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Di cosa parleremo

Un paese dilaniato dalla guerra, un crescente sentimento nazionalista e la


debolezza politica. Il contesto perfetto per l’ascesa del totalitarismo in Italia.
Sfruttando le difficoltà interne, Benito Mussolini si appropriò ben presto del
potere, privando gradualmente il popolo italiano della libertà e democrazia finora
conquistate.
L’avvicinamento alla Germania nazista provocò inoltre un intrinseco sentimento
razziale, soprattutto verso la comunità ebraica.
Sarebbero stati i 20 anni più bui della storia italiana.

Timeline
• 1919/20: Biennio rosso in Italia; numerosi scioperi ed occupazioni di
stampo rivoluzionario attraversano il Paese;
• Gennaio 1919: nascita del Partito Popolare Italiano, si apre un nuovo
fronte di centro;
• Marzo 1919: Benito Mussolini fonda i Fasci di combattimento;
• Aprile 1919: distruzione del giornale socialista l’Avanti, ad opera
delle squadriglie fasciste;
• Settembre 1919: conquista di Fiume ad opera di Gabriele d’Annunzio;
• Novembre 2020: Trattato di Rapallo con la Jugoslavia; ai serbo-croati
viene concessa la Dalmazia, agli italiani l’Istria; Fiume è proclamata città
libera;
• 21 Novembre 1920: Eccidio di Bologna, all’insediamento del neosindaco i
fascisti attaccano la folla causando morti e feriti, nell’indifferenza delle forze
dell’ordine;
• Gennaio 1921: Congresso del PSI, che si concluse con la secessione dei
suoi membri più rivoluzionari; nasce il PCI;
• 15 Maggio 1921: a seguito delle elezioni indette da Giolitti, i
fascisti entrano per la prima volta in Parlamento;
• 28 Ottobre 1922: Marcia su Roma, Vittorio Emanuele III assegna a
Mussolini l’incarico di formare un nuovo governo; comincia l’età fascista;
• 10 Maggio 1924: Giacomo Matteotti, segretario del Partito Socialista
unitario, viene rapito e assassinato dalle squadriglie fasciste; Secessione
dell’Aventino;
• 3 Gennaio 1925: nel suo Discorso alla Camera, Mussolini si assume la
piena responsabilità politica del delitto Matteotti, e invoca i pieni poteri; ha
inizio il regime totalitario;
• 1925/26: emanazione delle Leggi Fascistissime, trasformazione graduale
della monarchia in dittatura;
• 1928: nuova legge elettorale; trasformazione delle elezioni
in plebisciti;
• 11 Febbraio 1929: stipulazione dei Patti Lateranensi tra Italia e
Vaticano; fine delle tensioni Stato-Chiesa;
• Maggio 1936: conquista dell’Etiopia, Mussolini proclama il
neonato Impero d’Italia;
• Ottobre 1936: instaurazione dell’Asse Roma-Berlino; avvicinamento
progressivo tra le dittature italiana e tedesca;
• 1938: emanazione delle Leggi razziali contro la comunità ebraica; si
diffonde l’antisemitismo nel Paese.

1. La crisi del Dopoguerra
La trattativa tra le potenze vincitrici della Grande Guerra congedò freddamente le
richieste italiane previste dal Patto di Londra; l’Italia uscì vittoriosa della
guerra ma “mutilata” nel suo successo. Fu uno smacco tale da causare una vera e
propria crisi politica, che portò alle dimissioni di Vittorio Emanuele Orlando,
sostituito dall’economista liberaldemocratico Francesco Nitti, che dovette
immediatamente interfacciarsi con il malcontento dei nazionalisti, il cui supporto
si estese anche all’élite intellettuale del Paese; si distinguerà, in particolare
per le sue azioni politiche decisamente creative, il poeta e deputato Gabriele
D’Annunzio.
L’occupazione di Fiume
“Mio caro compagno, il dado è tratto! Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le
armi. Il Dio d’Italia ci assista. Mi levo dal letto, febbricitante. Ma non è
possibile differire. Anche una volta lo spirito domerà la carne miserabile.
Sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio.”
Così D’Annunzio, l’11 Settembre 1919, annunciò con una lettera rivolta a Benito
Mussolini l’avvio dell’Impresa indipendente di Fiume, in cui il poeta italiano,
alla guida di 2500 soldati, occupò la città in territorio jugoslavo.
Non fu però un atto scellerato e privo di motivazioni, anzi varie furono le ragioni
che spinsero D’Annunzio ad intraprendere questa campagna.
In particolare, gli italiani a Fiume volevano l’annessione al Regno d’Italia,
negata dal principio a tratti ambiguo dell’autodeterminazione dei popoli utilizzato
nei colloqui di pace del primo dopoguerra. Le tensioni che seguirono nella città
tra croati e italiani dopo il riconoscimento della Jugoslavia non furono mai messe
a tacere dal governo balcanico, che rimase inoltre di fatto inerme al tentativo
d’occupazione di D’Annunzio.

Il 12 Settembre la città fu conquistata, ma il Presidente del Consiglio Nitti era


indeciso sul da farsi.
Per quasi un anno l’atteggiamento italiano fu prettamente prudente, da ambo le
parti; D’Annunzio, furioso, spinse quindi per la realizzazione di una Costituzione
propria della città di Fiume, che giunse l’8 Settembre 1920 con la pubblicazione
della Carta del Carnaro, che però di fatto non entrò mai in vigore.
Per risolvere lo stallo diplomatico venne richiamato al Governo l’intramontabile
Giolitti, che firmò il 12 Novembre 1920 con lo Stato jugoslavo il Trattato di
Rapallo, in cui l’Italia ottenne l’Istria, la Jugoslavia la Dalmazia (eccetto la
città di Zara), e Fiume venne proclamata città libera.
Nel Natale 1929, le truppe regolari italiane entrarono a Fiume, ponendo fine
all’occupazione di Gabriele D’Annunzio; l’impresa del poeta rimase comunque un
evento che segnò in maniera indelebile la storia italiana, creando di fatto un vero
e proprio fenomeno di massa visibile tuttora.

Un Paese in crisi
Alla fine della Guerra l’Italia si trovò in una situazione economica molto
complicata:
• le spese belliche tenute durante la Grande Guerra erano elevatissime, e
furono finanziate prevalentemente con emissione di debito pubblico; le misure
furono talmente ingenti che tra il 1914 e i 1920 il debito italiano decuplicò;
• per rispettare i debiti si decise di fare ricorso alla più comoda
quanto potenzialmente dannosa soluzione, ossia stampare quantità smisurate di
moneta, che provocò però 2 effetti distruttivi: la svalutazione della lira, che
ridusse il potere d’acquisto italiano dall’estero; l’inflazionegaloppante, che
portò ad un aumento generale dei prezzi dei beni, inclusi quelli di prima
necessità;
• ci fu una vistosa difficoltà nell’attuare la riconversione
industriale del Paese, essenziale per la ripresa economica italiana;
• il tasso di disoccupazione era alle stelle, l’offerta delle aziende non
riusciva a soddisfare l’altissima richiesta di lavoro della popolazione.
Le vittime che soffrirono maggiormente di questi effetti avversi furono soprattutto
la piccola e media borghesia e i proprietari terrieri minori.
Una rapida conseguenza fu l’acuizione delle lotte sociali: nel 1918 venne fondata
la CIL (Confederazione Italiana dei Lavoratori), e il movimento delle masse operaie
iniziò ad assumere una certa rilevanza nell’ordine sociale; scioperi e occupazioni
aumentarono e proseguirono a gettito continuo per i 2 anni a venire, ottenendo
effettivamente risultati incoraggianti, come l’aumento dei salari, la riduzione
della giornata lavorativa a 8 ore e la redistribuzione delle terre incolte
occupate.
2. I fasci di combattimento e la presa di Roma
Don Sturzo e il Popolarismo
Il 18 Gennaio 1919 il presbiterio Don Luigi Sturzo fondò il Partito Popolare
Italiano (PPI), un partito di centro aconfessionale (laico, costituzionale, non
classista); tale fatto segnò la nascita di un nuovo movimento: il Popolarismo,
un’ideologia che vedeva nel popolo l‘indiscusso protagonista dello scenario
politico italiano, il cui PPI altro non era che una proiezione del popolo nella
sfera politica.
Il Popolarismo, tra le varie idee, rifiutava in ogni modo il fenomeno del
centralismo statale, privilegiando lo sviluppo di autonomie locali, seguendo un
principio ideologico molto affine alla comunità evangelica, sebbene il partito
fosse laico.
Negli anni a venire, il Popolarismo avrebbe ricoperto un ruolo di prim’ordine nello
sviluppo di movimenti ideologici nel Belpaese, gettando le basi per quella che, in
un futuro lontano, sarebbe diventata la Democrazia Cristiana, il partito più
influente della Prima Repubblica.
I fasci di combattimento
Il Popolarismo non fu l’unica corrente ideologica a nascere e svilupparsi in Italia
negli anni del dopoguerra; il 23 Marzo 1919 Benito Mussolini fondò i Fasci di
combattimento, un partito, incredibile a dirsi, nei contenuti molto vicino alla
sinistra (ricordiamo che Mussolini era una figura massimalista di spicco nel
partito socialista), che mediante il Programma politico di San Sepolcro, supportava
l’introduzione di un minimo salariale, la giornata lavorativa di 8 ore, la gestione
delle imprese anche ai rappresentanti dei lavoratori in sinergia col ceto borghese,
l’imposta progressiva sul capitale e il diritto di voto alle donne.
Il movimento di Mussolini si distinse fin da subito per la sua
particolare aggressività di azione, tramite il ricorso alla violenza verbale e
fisica.
In particolare, il loro coinvolgimento nell’attacco alla sede del giornale
socialista l’Avanti nell’Aprile 1919 ebbe una certa risonanza, rendendo i Fasci
conosciuti a livello nazionale.

Il Biennio rosso
Le elezioni del 1919 crearono i definitivi presupposti per un forte periodo di
instabilità politica: nessuno degli schieramenti ottenne una maggioranza dominante,
e ogni tentativo di collaborazione venne stroncato dal PSI, che mal digeriva i
partiti “borghesi” (compreso il Partito Popolare di Sturzo, che ottenne ben il 20%
dei voti).
Iniziò, anche in Italia, il Biennio Rosso, che portò alla chiusura degli
stabilimenti produttivi e all’occupazione delle fabbriche, fino a giungere nel 1920
al primo Sciopero bianco, forma di protesta in cui i dipendenti si astennero
dall’attività lavorativa pur recandosi comunque al posto di lavoro, ottenendo un
discreto successo.
Le fabbriche occupate vennero inoltre utilizzate dai manifestanti per la creazione
dei Consigli di fabbrica, sulla falsariga del modello dei Soviet russi.
A nulla valse la motivazione degli intellettuali socialisti nel cercare il
confronto; la divisione tra classi era ormai insanabile, e i socialisti non avevano
intenzione di tirarsi indietro.
Il movimento rivoluzionario italiano era però, per quanto spinto da forti
motivazioni ideologiche, estremamente disorganizzato; al contempo, la frattura
interna tra massimalisti e riformisti divenne sempre più insanabile.
Su pressioni di Lenin, l’Internazionale Comunista chiese espressamente l’espulsione
dei riformisti da tutti i partiti socialisti in Europa.
Nel Gennaio 1921, venne convocato a Livorno Il Congresso del PSI, per discutere
della disposizione giunta dal Comintern; fu una riunione seguita con apprensione da
tutta Europa, in quanto avrebbe potuto delineare il nuovo fronte rivoluzionario in
Italia, uno dei Paesi più “caldi”.
La maggioranza del partito si rifiutò tuttavia di sostenere l’espulsione dei
riformisti; di fronte a tale incompatibilità, una frazione di membri del PSI si
scisse, con l’intenzione di creare un movimento di stampo rivoluzionario,
totalmente aderente alla visione leniniana del Comintern: era nato il Partito
Comunista d’Italia.

La scalata al potere
La frammentazione della sinistra italiana portò ad ulteriori disordini nel Paese;
tra gli schieramenti, la classe operaia ne uscì ridimensionata, mentre subirono
invece un allargamento del consenso le classi contadine, che ottennero risultati
significativi in Val Padana e in Puglia; ciò contribuì alla creazione di forti
divisioni tra i salariati, i mezzadri e i piccoli affittuari.
Nella confusione sociale, lo movimento fascista si inserì sempre più
prepotentemente nella scena politica italiana, senza mai essere veramente limitato
dalle forze dell’ordine.
Il 21 Novembre 1920 avvenne una tragica svolta: Alle elezioni comunali di Bologna i
socialisti ottennero una schiacciante vittoria, ma durante l’insediamento del
neosindaco Enio Gnudi i Fasci di combattimento assaltarono la folla, provocando 11
morti e decine di feriti, senza subire ripercussioni di alcun tipo; tale evento
segnò la nascita simbolica del fascismo agrario, l’evoluzione che presero i Fasci
di Mussolini; nei mesi precedenti infatti il leader del movimento fascista
accantonò il programma di San Sepolcro, e avviò una campagna propagandistica ancora
più violenta, tramite la costituzione di squadre d’azione, supportate dalla
borghesia terriera (da qui il termine fascismo “agrario”), dagli ex combattenti,
dai giovani ultranazionalisti e dalla piccola borghesia, schierata contro le masse
socialiste; l’appoggio popolare e la totale indifferenza delle forze dell’ordine
portò le squadriglie fasciste ad esercitare numerose spedizioni punitive contro gli
oppositori, senza mai essere apertamente condannati.
Il 15 Maggio 1921 giunse anche la svolta in Parlamento: Giolitti indisse nuove
elezioni e diede la possibilità di candidarsi ai blocchi nazionali (liste comuni
tra liberali, gruppi di centro e fascisti).
I risultati furono disarmanti:
• 122 seggi ai socialisti, in lieve flessione;
• 107 seggi ai popolari;
• 12 seggi al Partito Comunista;
• 275 seggi ai blocchi nazionali, di cui 35 ai fascisti.
L’esito delle elezioni portò alle dimissioni di Giolitti (sarebbe stato il suo
ultimo mandato da Presidente del Consiglio), succeduto da Ivanoe Bonomi.
Ma l’evento in assoluto più rilevante fu l’entrata del Fascismo in Parlamento per
la prima volta nella storia, con quasi il triplo dei voti dei rivali dell’estrema
sinistra.
Nel Novembre dello stesso anno Mussolini sfruttò il successo elettorale,
trasformando il movimento fascista in un vero e proprio gruppo politico, il Partito
Nazionale Fascista (PNF), anche per controllare gli estremismi dello squadrismo dei
capi locali (i ras).

La marcia su Roma
Mentre nel fronte politico Facta sostituì Bonomi alla Presidenza del Consiglio,
Mussolini avviò la modifica del programma del PNF, che incluse l’osteggiamento alla
Repubblica a favore invece della monarchia, il sostegno di una politica economica
liberista e un netto attacco al Partito popolare, giudicato come una
rappresentazione “bianca” del bolscevismo.
Il consenso dilagante e la delineazione di un chiaro programma politico portò a
Mussolini e ai capi del movimento fascista la convinzione che era giunto il momento
di rovesciare lo status quo: il 24 Ottobre 1922 Mussolini riunì a Napoli migliaia
di camicie nere (così erano chiamati i membri delle squadriglie), che, il 28
Ottobre, marciarono su Roma con l’intento di far cadere il Governo Facta,
sostituendolo con un nuovo esecutivo sotto la guida di Mussolini.
Le forze dell’ordine non reagirono e il Governo non seppe uscire da questa
pericolosa situazione di stallo; il 30 Ottobre, il Re Vittorio Emanuele III
acconsentì alle richieste, e diede l’incarico a Mussolini di costituire il nuovo
Governo.
I fascisti avevano preso il controllo dello Stato, senza alcun colpo ferire; fu un
chiaro segnale della grande debolezza politica di un Paese dilaniato dalla Guerra e
dalle crisi interne.

3. Mussolini al Governo: l’avvento della dittatura in Italia


Il primo esecutivo Mussolini fu in realtà un Governo di coalizione tra fascisti,
liberali e popolari (che uscirono dalla maggioranza nel 1923), per evidenti
necessità politiche, non disponendo del numero necessario di parlamentari per
governare da solo.
Il 16 Novembre 1922, tramite il Discorso alla Camera, Mussolini illustrò i suoi
piani per il Paese; tra i punti più forti vi furono:
• l’abbandono della politica economica giolittiana;
• lo scioglimento delle amministrazioni comunali in mano a socialisti e
popolari;
• l’estinzione delle cooperative rosse;
• la limitazione della libertà sindacale;
• la rivalutazione forzata della lira.
Inoltre, tra i primi provvedimenti Mussolini legalizzò ufficialmente lo squadrismo,
istituendo la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.
Mussolini ebbe tuttavia inizialmente un atteggiamento moderato e collaborazionista
con gli alleati liberal popolari, apparendo a tutti gli effetti come un Leader
conservatore legittimo agli occhi internazionali.
Nel 1923 furono avviate varie riforme, specialmente quella dell’istruzione (Riforma
Gentile, che rimase di fatto inalterata fino al 1962) e della legge elettorale
(Legge Acerbo), che prevedeva un sistema sempre proporzionale ma con un premio di
maggioranza. La cui finalità fu ben presto molto intuibile.
Alle elezioni del 1924 infatti il listone fascista (comprendente liberali e
cattolici) ottenne ben il 65%, ottenendo, anche grazie al premio di maggioranza,
una superiorità schiacciante in Parlamento.
Nel mentre, le violenze squadriste aumentarono nel Paese ad un ritmo dilagante,
colpendo soprattutto gli oppositori intellettuali.

Il delitto Matteotti
L’opposizione politica era sì osteggiata dal fascismo, ma non vi furono
inizialmente particolari episodi di stampo totalitario. Fino all’Estate del 1924.
Il 30 Maggio dello stesso anno, Giacomo Matteotti, segretario del Partito
Socialista unitario, pronunciò un discorso di denuncia alla Camera, in cui condannò
fermamente l’avvento del fascismo nel panorama politico e sociale italiano,
denunciando addirittura casi di brogli elettorali.
Il 10 Giugno Matteotti fu rapito e ucciso da una squadriglia fascista, prima del
suo Discorso alla Camera, dove avrebbe denunciato un pesante scandalo finanziario
che avrebbe coinvolto il Governo e il fratello minore dello stesso Mussolini.
Il 27 Giugno, in segno di protesta, 130 deputati d’opposizione proclamarono
l’impossibilità di presentarsi alla Camera fino alla proclamazione di un nuovo
esecutivo, nella famosa Secessione dell’Aventino.
A causa però dell’incertezza dei capi partito la mossa non sortì gli effetti
sperati; i secessionisti si rifiutarono di riportare il conflitto politico in
Parlamento, e il Re si rifiutò di intraprendere qualsiasi iniziativa
extraparlamentare.
Mussolini si ritrovò di fatto con la strada spianata.
Il 3 Gennaio 1925, nel suo storico Discorso alla Camera, Mussolini si assunse
la piena responsabilità politica del delitto Matteotti, mentre i parlamentari
secessionisti furono sempre più emarginati, fino ad essere dichiarati decaduti dal
mandato parlamentare nel Novembre 1926.
Fu di fatto il vero inizio della dittatura fascista.
Le leggi “fascistissime”
Tra il 1925 e il 1926 vennero progressivamente emanate una serie di norme
giuridiche, le Leggi eccezionali del fascismo, dette anche “fascistissime”, che
segnarono il trasformismo giuridico italiano nel regime fascista.
Esse prevedevano:
• il riconoscimento di un unico partito (PNF);
• il divieto di istituire altre formazione politiche;
• la sostituzione del Presidente del Consiglio con il “capo del governo”
(responsabile solo di fronte al re, non al Parlamento), che deteneva inoltre potere
legislativo;
• la sostituzione della carica del sindaco col podestà (nominato dal
governo);
• la limitazione della libertà di stampa e di associazione;
• lo scioglimento dei partiti di opposizione (chiusi i giornali
antifascisti);
• l’assegnazione di ampi poteri all’OVRA (Opera di Vigilanza per la
Repressione Antifascista;
• l’istituzione del “Tribunale speciale per la difesa dello Stato”.
Le alte cariche gerarchiche erano assegnate direttamente da Mussolini, in maniera
tale da bloccare ogni posizione strategica statale sotto il controllo del PNF.
Il PNF assunse una struttura altamente burocratica, e venne istituito appositamente
il Gran Consiglio del Fascismo, con la funzione di garantire il collegamento tra
partito e istituzione (prevalentemente attraverso compiti costituzionali, e la
facoltà di designare il capo del governo).
Nel 1928 avvenne infine la completa trasformazione dello Stato liberale in Stato
totalitario, con l’istituzione della nuova legge elettorale, che stabilì la
presenza di una lista unica dei candidati, preparata dal Gran Consiglio.
Le elezioni si trasformarono di fatto in plebisciti-farsa.

La propaganda
Il totalitarismo fascista necessitava però di un certo livello di consenso tra il
suo popolo; il regime avviò quindi un’intensa campagna propagandistica, basata
sull’ esaltazione della potenza della Roma imperiale, tramite l’utilizzo esclusivo
dei mezzi di comunicazione, come l’EIAR (Ente Italiano per le Audizioni
Radiofoniche), l’Istituto Luce, e i canali del Ministero della Cultura Popolare.
Divenne obbligatorio possedere la tessera del partito per lavorare
nell’amministrazione pubblica, e vennero istituiti speciali organizzazioni e
comitati per indottrinare i lavoratori (Opera Nazionale del Dopolavoro) e ispirare
i giovani studenti (Fasci giovanili; Gruppi Universitari Fascisti; Opera Nazionale
Balilla), in cui si esaltò l’importanza dello sport e della disciplina per
perseguire la creazione di un “uomo nuovo”, in una pericolosa deriva ideologica
basata sulla supremazia razziale.

I Patti Lateranensi
Mussolini intuì che per detenere un controllo stabile sullo Stato era essenziale
porre fine al contrasto Chiesa-Stato, risalente alla Breccia di Porta Pia del 1870
(anche se i rapporti si erano progressivamente distesi).
L’11 Febbraio 1929 vennero firmati in accordo col Vaticano i Patti Lateranensi, un
documento sottoscritto in 3 parti:
• un Trattato internazionale, in cui avvenne il riconoscimento ufficiale
dello Stato italiano da parte del Vaticano e il suo diritto di sovranità;
• una Convenzione finanziaria, in cui venne sancita la fine dello Stato
pontificio;
• un Concordato per regolare i rapporti tra Stato e Chiesa; tra i
dettagli maggiori, l’obbligo di insegnamento della religione cattolica e la sua
proclamazione come religione di Stato, e la legiferazione del matrimonio in capo
esclusivo alla Chiesa.

4. Politiche del Fascismo
La politica economica
Lo Stato fascista adottò due diversi approcci economici:
• la Fase liberista (1922-25), in cui il Ministro delle finanze, Alberto
De Stefani, concesse sgravi fiscali alle imprese, stimolò l’iniziativa privata con
incentivi, e ridusse la spesa pubblica. Non si ferma l’inflazione e non si
stabilizza la moneta;
• una successiva fase statalista (dal 1926), in cui vennero adottate
misure puramente protezionistiche; la lira venne inoltre fissata a “quota 90” (il
cambio con la sterlina era pari a 150 nel 1925), suscitando evidente sdegno
internazionale.
Nel 1925 venne inoltre lanciata da Mussolini la Battaglia del Grano, allo scopo di
perseguire l’autosufficienza produttiva di frumento dell’Italia. Venne avviata una
campagna nazionale di bonifica integrale delle zone paludose, ottenendo un discreto
successo: la produzione nazionale di grano aumentò, andando però a scapito di altre
colture.
L’Italia si ritrovò quindi impoverita di importanti materie prime, suscitando un
grave indebolimento del sistema produttivo nazionale.
Il Corporativismo
Anche gli accordi tra imprese e lavoratori vennero legiferati dal PNF; nel 1926
avvenne l’intesa tra sindacati fascisti e Confindustria, in cui fu concessa la
validità giuridica degli accordi presi tra loro, mentre venne impedita l’azione
sindacale dei socialisti, comunisti e cattolici.
A seguire venne pubblicata nel 1927 la Carta del Lavoro: tutti i settori della
produzione erano vincolati ad organizzarsi in corporazioni, associazioni che
riunivano i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro di un settore
economico, sotto stretto inquadramento statale Stato.

Politica estera
Le ambizioni di Mussolini si estesero anche al di fuori dei confini nazionali: nel
1935 le truppe italiane invasero l’Etiopia, riprendendo dopo decenni la campagna
coloniale nel Corno d’Africa.
L’invasione italiana costrinse il re etiope Hailé Selassié alla fuga; tuttavia, la
popolazione locale oppose una strenua resistenza, costringendo gli italiani ad una
guerra di logoramento.
L’atto di guerra suscitò un grande sdegno internazionale; presto giunse la risposta
della Società delle Nazioni, che condannò l’invasione e impose gravi sanzioni
economiche all’Italia, con effetti importanti sull’economia nazionale.
Ciò nonostante, il 5 Maggio 1936 la conquista di Addis Abeba decretò la fine del
conflitto in favore dell’Italia.
L’Etiopia divenne colonia italiana, e il 9 Maggio il Duce proclamò la nascita
dell’Impero italiano.
Nell’Ottobre dello stesso anno l’Italia strinse un Patto d’amicizia con la Germania
nazista, che portò di fatto all’instaurazione dell’Asse Roma-Berlino. Tale alleanza
non colse particolarmente di sorpresa il resto d’Europa, dopotutto Hitler nella sua
ascesa prese particolarmente spunto dal modello politico del regime fascista, e i
rapporti fra le due dittature fu sempre stato particolarmente cordiale.
Fu però un chiaro segnale del ritorno delle tensioni in Europa, e l’ombra di un
nuovo spaventoso conflitto iniziò a mostrarsi.
Per rispettare il patto con la Germania, nel 1938 vennero pubblicate le Leggi
razziali contro gli ebrei, in cui la comunità religiosa venne presa particolarmente
di mira. A loro fu vietato di svolgere attività lavorative nel settore pubblico, di
partecipare alla vita scolastica e addirittura di sposarsi con cittadini ariani.
Fu soltanto il principio degli orrori che l’Italia avrebbe commesso negli anni a
venire, lasciando una macchia indelebile nella storia del Paese.

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