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1; LA CRISI DEL DOPOGUERRA

LE TRATTATIVE DI PACE E LA VITTORIA MUTILATA


Il 18 gennaio 1919 nella reggia di Versailles, si aprì la Conferenza di pace tra le potenze
vincitrici della Prima guerra mondiale. Secondo il Patto di Londra l’Italia avrebbe dovuto
tenere la Dalmazia, lasciando la città di Fiume agli Austriaci.. La delegazione italiana,
guidata da Vittorio Emanuele Orlando e Sidney Sonnino, mantenne un atteggiamento
incerto. Il governo italiano pretese con forza il rispetto del Patto di Londra, ma cercò di
ottenere anche l’annessione di Fiume. Gli alleati contrastarono queste prese di posizione e
intransigente fu soprattutto il presidente americano Wilson. Il 24 aprile, di conseguenza,
l’Italia lasciò la riunione per protestare contro l’arroganza del leader americano. Wilson
decise allora di rivolgersi direttamente agli Italiani, facendo pubblicare un appello per
sostenere la soluzione proposta dagli americani. Nonostante grandi manifestazioni e
un’accesa campagna su quella che si diceva essere “una vittoria mutilata”, il 29 maggio la
delegazione italiana fu costretta a ritornare al tavolo del negoziato.

IL GOVERNO ACCUSATO DI NON TUTELARE L’ITALIA


Logorato anche da queste trattative inconcludenti, il governo Orlando si dimise a metà
giugno e fu eletto il presidente del Consiglio Francesco Nitti. Quest’ultimo si trovò ad
affrontare il malcontento dell’opinione pubblica, rappresentato dalle manifestazioni dei
nazionalisti e dagli atteggiamenti provocatori di Gabriele D’Annunzio. Il governo fu infatti
accusato di incapacità nel tutelare l’Italia e lo stesso D’Annunzio fu l’artefice di un’impresa
clamorosa: l’occupazione di Fiume nel settembre 1919. Anche a causa dell’incertezza di
Nitti, tornò al governo, nel 1920, Giolitti. Egli firmò, il 12 novembre del 1920, il Trattato di
Rapallo: la Jugoslavia ottenne la Dalmazia e all’Italia fu invece assegnata l’Istria.

LE CONSEGUENZE DELLA GUERRA PIEGANO L’ECONOMIA


Le conseguenze economiche della guerra furono particolarmente pesanti per uno Stato
fragile come quello italiano:
- 615 000 caduti
- il debito pubblico passò a 95 miliardi di lire
- svalutazione della lira e inflazione
Le prime vittime di questa situazione furono proprio la piccola borghesia e piccoli
proprietari terrieri, i quali vennero colpiti dalla crescita del carico fiscale. Tra il 1914 il 1919
la lira perse quasi il 40% del suo valore; questa situazione causò, di conseguenza, grande
risentimento e malcontento

ITALIA ANCORA PREVALENTEMENTE AGRICOLA


Durante la guerra più volte era stata utilizzata la promessa della “terra ai contadini” per
incitare le masse rurali a resistere. Per comprendere la drammatica situazione delle
campagne, bisogna tener conto della struttura agraria. La maggioranza dei contadini
possedeva solo un ettaro di terreno, di conseguenza erano costretti ad affittare i fondi dai
grandi proprietari o lavorare come braccianti. Era dunque diffusa una gran fame di terra da
coltivare, soprattutto da parte di chi aveva trovato i propri terreni ormai improduttivi e
abbandonati.
LA RICONVERSIONE PRODUTTIVA POST-BELLICA
Grazie alle commesse di guerra l’apparato industriale italiano aveva incrementato la
produzione. Lo Stato aveva promosso lo sviluppo della grande industria, accentrando nelle
sue mani funzioni di gestione economica. La nuova ricchezza era innanzitutto finita nelle
mani di quegli speculatori che avevano
vissuto la guerra come un grande affare, andando ancora una volta a peggiorare le
condizioni di miseria e arretratezza dei contadini: in Italia, infatti, la necessità della
riconversione della produzione determinò una crescente disoccupazione. In un simile
contesto divennero sempre più aspre le lotte sociali; tra il 1918 e il 1920 la
Confederazione Generale dei Lavoratori aumentò il numero degli iscritti, e nel 1918 venne
formata la CIL, sindacato di ispirazione cattolica.

SI MOLTIPLICARONO GLI SCIOPERI


La situazione sociale esplose e si moltiplicarono gli scioperi: da 303 passarono a 1861.
Assai significativa fu poi l’azione della Federterra, che portò all’occupazione dei terreni non
coltivati e in alcuni casi anche di quelli coltivati. In questo movimento si affacciò anche il
cosiddetto “bolscevismo bianco“, rappresentato da gruppi di militanti cattolici. Le lotte
ottennero risultati sia per i contadini sia per gli operai che scioperavano:
- aumenti salariali per i braccianti e gli operai
- parziale redistribuzione delle terre incolte
- giornata lavorativa di 8 ore

NEL 1919 ENTRA IN SCENA IL PARTITO POPOLARE ITALIANO


Nel 1919 la scena politica fu caratterizzata da importanti novità. Il 18 gennaio don Luigi
Sturzo fondò il Partito popolare italiano, che coinvolse i cattolici nella vita politica,
avanzando proposte di riforme sociali da attuarsi pacificamente. Sturzo però si differenziò
dai socialisti, dei quali non accettò la critica alla proprietà privata, sia dai liberali,
disinteressati verso le condizioni di vita dei poveri lavoratori. Fondamentale per la riuscita del
suo progetto fu la distinzione tra appartenenza ecclesiale e adesione elettorale
(aconfessionalismo); il consenso non venne chiesto sulla base della fede, ma a partire
dalla condivisione di uno stesso progetto politico

NEL 1919 MUSSOLINI FONDA I FASCI DI COMBATTIMENTO


Un altro importante fatto politico del 1919 fu la nascita dei Fasci di combattimento, fondati
da Benito Mussolini, e collocandosi politicamente a sinistra. Il manifesto politico dei Fasci
fu chiamato programma di San Sepolcro: in campo sociale proposero il minimo salariale e
si battevano per l’estensione del voto alle donne. Tuttavia, Mussolini si sbarazzò di questo
programma e il movimento si caratterizzò ben presto per l’aggressività e la violenza dei
suoi membri

2. IL BIENNIO ROSSO IN ITALIA

SI FORMA UN GOVERNO DI CENTRO CON POPOLARI E LIBERALI


Nel 1919 si tennero elezioni che rivoluzionarono il quadro politico italiano e venne utilizzato
per la prima volta il sistema proporzionale:
- il Partito socialista si affermò come primo partito
- secondo per consensi fu il Partito popolare
- i gruppi liberali subirono un drastico ridimensionamento
Questi risultati non riuscirono a dare stabilità al Paese, anzi ne acuirono le difficoltà. L’unica
alleanza possibile fu quella tra liberali e popolari, fino all’avvento del fascismo.

NEL 1920 I LAVORATORI RIVENDICANO GLI AUMENTI SALARIALI


Dopo gli scioperi la protesta si allargò a tal punto da passare all’occupazione delle
fabbriche. La FIOM aveva chiesto agli industriali il rinnovo del contratto per ottenere
aumenti salariali, ma questi rifiutarono: i sindacati proclamarono uno sciopero bianco, ovvero
entravano in fabbrica ma non lavoravano, comportando quindi la chiusura degli
stabilimenti. In agosto scattò l’occupazione delle fabbriche, guidata dai sindacati rossi.
Per molti lavoratori questo doveva essere l’inizio di un processo rivoluzionario, ma furono
incapaci di estendersi e privi idee precise. Tra i gruppi più attivi si ricorda innanzitutto quello
della rivista L’ordine Nuovo, tra i cui fondatori vi fu Antonio Gramsci

GIOLITTI MEDIA TRA INDUSTRIALI E OPERAI


Nel giugno 1920 fu chiamato Giovanni Giolitti a sostituire il governo Nitti; egli era convinto
che l’occupazione non avrebbe avuto sbocchi rivoluzionari e rimase neutrale. Nonostante le
pressioni, si rifiutò di utilizzare la forza e propose invece una peculiare opera di mediazione
tra CGIL e industriali: gli operai ottennero aumenti salariali e in cambio essi
sgomberarono le fabbriche. Nonostante la conclusione pacifica, la tensione si acuì sia tra
gli operai, delusi dalle attese, sia tra borghesi, spaventati per una possibile rivoluzione.

I SOCIALISTI DIVISI TRA MASSIMALISTI E RIFORMISTI


Nonostante il successo e i risultati ottenuti, il socialismo italiano era molto diviso al proprio
interno. Per i massimalisti guidati da Serrati la rivoluzione russa del 1917 divenne il
modello da seguire. I riformisti, tra cui Turati e Treves, rifiutarono il metodo rivoluzionario,
ma non riuscirono a far prevalere la propria linea di partecipazione. Al Congresso di
Livorno del gennaio 1921 le contraddizioni esplosero e in tale contesto la corrente guidata
da Gramsci si staccò dal Partito Socialista e fondò il Partito comunista d’Italia. Esso era
formato da rivoluzionari convinti che si dovesse lottare per abbattere una classe borghese
ormai agonizzante.

3. LA MARCIA SU ROMA

NELLE CAMPAGNE I CONTADINI OTTENNERO OTTIMI RISULTATI


Mentre le lotte sociali del biennio 1919-20 avevano indebolito la maggior parte degli operai
delle fabbriche, nelle campagne i contadini erano riusciti a ottenere risultati significativi. In
particolare avevano conquistato miglioramenti salariali, creando contemporaneamente
una forte struttura organizzativa. Questo sistema, all'apparenza solido, era caratterizzato in
realtà da profonde divisioni tra i salariati, da una parte, che miravano alla socializzazione
della terra, e i piccoli affittuari, dall'altra, che speravano di riuscire a diventare proprietari
terrieri.

A BOLOGNA CON L’ECCIDIO DI PALAZZO D’ACCURSIO


Il 21 novembre 1920, giorno dell'insediamento del Consiglio comunale a Palazzo
d'Accursio, quando il sindaco si affacciò sulla piazza, partirono dalla folla dei colpi di
pistola. I socialisti incaricati della sicurezza, storditi dalla sorpresa, spararono sulla folla
provocando una decina di morti. I fatti di Palazzo d'Accursio segnarono la nascita del
fascismo agrario. Inoltre, tra il 1920 e il 1921, fu accantonato il programma di San Sepolcro
e vennero costituite le squadre d'azione per intimidire e colpire il movimento socialista.
Queste erano costituite da ex combattenti, giovani e file della piccola borghesia. Dopo
L’eccidio di Palazzo d’Accursio le spedizioni punitive delle squadre fasciste aumentarono
vertiginosamente: molti socialisti furono ripetutamente picchiati e costretti a lasciare l’Italia.

LA TOLLERANZA LIBERALE VERSO IL FASCISMO


Molti liberali tollerarono il fascismo nella speranza di poter arginare le pretese del movimento
socialista; in questo senso si comprende la decisione di Giolitti di indire nuove elezioni il 15
maggio 1921 e di accettare la composizione di liste comuni, con liberali e fascisti. Tuttavia,
il Partito socialista subì solo una lieve flessione (da 156 a 122 seggi), e i popolari addirittura
aumentarono i consensi.. La speranza dei liberali di riconquistare il controllo del Parlamento
fu quindi delusa. Giolitti ne prese atto e rinunciò a guidare il governo che venne invece
formato da Ivanoe Bonomi. A questo punto al Congresso dei Fasci del novembre 1921
Mussolini decise di trasformare il movimento nel Partito nazionale fascista: era un altro
passaggio con cui cercava di proporsi sempre più come leader affidabile

MUSSOLINI MARCIA SU ROMA


Luigi Facta sostituì Bonomi dopo solo sei mesi di governo instabile; tuttavia, anche il
governo Facta fu piuttosto debole e inconcludente. Mussolini nel frattempo rimodellò il
Partito Fascista, modificandone il programma:
- dichiarò favorevole alla monarchia
- abbandonò la critica del capitalismo
- attaccò il Partito popolare di don Sturzo
Il 24 ottobre 1922 Mussolini riunì a Napoli migliaia di camicie nere in vista della Marcia su
Roma per assumere il potere con la forza. Facta chiese al re Vittorio Emanuele IlI di firmare
la proclamazione dello stato d'assedio che avrebbe permesso l'intervento dell'esercito. Il re
però rifiutò. Il 22 ottobre le forze entrarono nella capitale e Il 30 ottobre Mussolini ricevette
ufficialmente dal sovrano l’incarico di formare il nuovo governo.

4. LA DITTATURA FASCISTA

MUSSOLINI GUIDA IL GOVERNO COLPENDO LE OPPOSIZIONI


Tra il 1922 e il 1924 Mussolini guidò un governo di coalizione costituito da fascisti, liberali,
popolari. Per realizzare ciò che aveva promesso ai gruppi politici che lo avevano appoggiato,
Mussolini abbandonò la politica economica che colpiva i profitti di guerra; pose limiti alla
libertà sindacale e penalizzò le cooperative rosse.
Tuttavia, le opposizioni e una parte degli alleati chiedevano a Mussolini soprattutto la fine
della violenza come strumento di lotta e lo scioglimento delle squadre fasciste. Mussolini
decise allora di creare la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, legalizzando lo
squadrismo e trasformandolo in forza armata del regime. Inoltre, nel 1923, il governo
Mussolini perse l'appoggio dei popolari.

LA RIFORMA DELLA SCUOLA DI MUSSOLINI


Negli anni 1922-24 Mussolini alternò un atteggiamento moderato a richiami minacciosi,
legittimandosi come leader conservatore. Stati democratici come la Francia e l’Inghilterra
giudicavano prioritario sconfiggere il pericolo comunista e per questo concessero credito a
Mussolini. Tra i provvedimenti assunti in questo periodo è opportuno ricordare:
- riforma della scuola, sotto la responsabilità di Giovanni Gentile
- la legge Acerbo, che assegnava alla lista che conquistava la maggioranza relativa
due terzi dei seggi alla Camera.
Nelle elezioni del 1924 la posizione governativa fu rappresentata da un listone controllato
dai fascisti, che ottenne infatti il 65% dei voti.

LA VICENDA MATTEOTTI
Il 30 maggio 1924 Giacomo Matteotti, segretario del Partito socialista unitario, pronunciò
un coraggioso discorso alla Camera, denunciando le violenze compiute dalle squadre
fasciste. Il 10 giugno venne rapito a Roma da un gruppo di squadristi e ucciso in auto a
pugnalate. Improvvisamente, gran parte dell'opinione pubblica si rese conto delle
responsabilità fasciste. Gli esecutori del delitto furono arrestati, ma i mandanti non furono
mai scoperti. Vi fu un conseguente crollo della popolarità di Mussolini e del suo partito. Si
formò la cosiddetta secessione dell’Aventino: l'opposizione sperava che il re intervenisse
ritirando la fiducia a Mussolini, ma il sovrano non assunse alcuna iniziativa.

GENNAIO 1925, MUSSOLINI E IL DISCORSO IN PARLAMENTO


Il 3 gennaio 1925, in un discorso alla Camera, Mussolini si assunse la responsabilità politica
e morale del delitto Matteotti, gettando le basi per la dittatura. L'assassinio di Giacomo
Matteotti segnò, infatti, la morte della democrazia liberale e l'affermazione della dittatura
fascista.

5. L’ITALIA FASCISTA

NEL 1925 SI VARARONO LE LEGGI FASCISTISSIME


A partire dal 1925 il fascismo fece approvare una serie di leggi che segnarono la definitiva
trasformazione del fascismo in una dittatura.
- L’unico partito riconosciuto fu il Partito nazionale fascista
- La figura del presidente del Consiglio fu sostituita da quella del «capo del governo»,
responsabile solo di fronte al re
- si riconobbe al capo del governo il potere legislativo
Fu abolita la carica di sindaco e sostituita da quella di podestà, nominato dal governo,
limitata la libertà di stampa e fu istituito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato.

NACQUE IL GRAN CONSIGLIO DEL FASCISMO


Il vertice del Partito fascista era rappresentato dal Gran Consiglio del fascismo, affidato
alla presidenza di Mussolini. Nel 1928 la trasformazione dello Stato liberale in Stato
totalitario fu completata con una nuova legge elettorale, che affidò al Gran Consiglio il
compito di preparare la lista unica di candidati. Se la lista avesse ottenuto almeno la metà
più uno dei voti sarebbe stata approvata. I cittadini non potevano dunque più scegliere i loro
rappresentanti, potevano solo approvare o meno la lista proposta dal partito.

IL PARTITO ORGANIZZA IL CONSENSO E L’INDOTTRINAMENTO


Il nuovo ruolo del partito può essere colto nell’impegno per organizzare il consenso nella
società italiana. Divenne obbligatorio possedere la tessera del partito per ottenere un posto
nell'amministrazione pubblica o per conquistare privilegi. Furono create poi delle
organizzazioni capaci di coinvolgere gli Italiani di tutte le età. Ad esempio l'Opera nazionale
dopolavoro si occupava del tempo libero dei lavoratori proponendo gite, gare sportive,
mentre il Comitato olimpico nazionale italiano stimolava e controllava le attività sportive.
Le organizzazioni più importanti furono i Fasci giovanili, i Gruppi universitari fascisti e
soprattutto l'Opera nazionale balilla, a cui appartenevano i ragazzi fra gli 8 e 14 anni,
balilla, e quelli fra i 14 e 18 anni, avanguardisti.

IL REGIME UTILIZZA TUTTI I MASS MEDIA


Il controllo dell’informazione fu attuato in maniera capillare.
La stampa fu censurata e la radio divenne uno strumento per la diffusione delle informazioni
che il regime voleva far conoscere agli Italiani. Anche il cinema fu ampiamente sfruttato a fini
propagandistici.

IL GOVERNO FASCISTA E LA SANTA FEDE FIRMANO I PATTI LATERANENSI


Le trattative tra governo e Santa Fede cominciarono nel 1926 e si conclusero l’11 febbraio
1929 con la firma dei Patti lateranensi. Il documento si componeva di tre parti
- Un trattato internazionale con la quale la chiesa riconosceva ufficialmente lo Stato
italiano e la sua capitale
- Una convenzione che impegnava l’Italia a versare un'indennità al Vaticano
- Un concordato che regolava i rapporti tra lo Stato e la chiesa: esso stabilì, fra l'altro,
che quella cattolica era la religione di Stato e ne regolamentò l’insegnamento nelle
scuole
Il Papa Pio XI espresse soddisfazione per l’accordo raggiunto. Don Sturzo, invece,
commentò con amarezza la conciliazione tra Stato e Chiesa. Nel 1931, infatti, il regime tentò
di esautorare completamente le associazioni cattoliche dal compito di educare i giovani.

LA POLITICA ECONOMICA DEL GOVERNO FASCISTA


La prima fase della politica economica fascista fu di stampo liberale, sotto la guida di De
Stefani. Fu stimolata l'iniziativa privata con incentivi e ridotta la spesa pubblica. I buoni
risultati però non furono sufficienti a fermare l’inflazione e a stabilizzare la moneta. Così, nel
1926, Mussolini decise di cambiare linea politica: nominò ministro delle finanze Giuseppe
Volpi e adottò misure protezionistiche. Rimase famoso il discorso tenuto a Pesaro il 18
agosto 1926 se la rivalutazione della lira: venne infatti fissato l’obiettivo del cambio con la
sterlina a 90 lire.

IL GOVERNO VUOLE RAGGIUNGERE L’AUTARCHIA


Uno dei primi provvedimenti economici fu l’aumento del dazio sui cereali, seguito da una
campagna propagandistica, detta battaglia del grano. Questa avrebbe dovuto portare
l’Italia a raggiungere l’autosufficienza nel settore dei cereali; in questo senso, nel 1928,
viene iniziato il progetto di bonifica di molte zone paludose, come l’Agro Pontino. Fu questo
il primo passo della politica dell’autarchia (autosufficienza) che caratterizzerà il fascismo
degli anni 30. In realtà, tutte queste misure economiche ebbero costi molto alti:
- La rivalutazione della lira colpì i ceti medio-bassi
- La battaglia del grano raggiunse buoni risultati a scapito di altri settori come
l’allevamento
- L’autarchia, in un paese povero di materie prime come l’Italia, causò un grave
indebolimento del sistema produttivo

IL MONDO DEL LAVORO VIENE RIORGANIZZATO


Per quanto riguarda i rapporti tra operai e imprenditori, il fascismo condannò lo sciopero e
la lotta di classe. Secondo Mussolini, i datori di lavoro e i lavoratori dovevano collaborare
nell'interesse della nazione, una posizione ideologica che prese il nome di corporativismo.
Esso fu enunciato in modo ufficiale dalla Carta del lavoro del 1927: tutti i settori della
produzione avrebbero dovuto organizzarsi in corporazioni, organizzazioni composte da
lavoratori e padroni appartenenti allo stesso settore economico. In realtà questo sistema non
funzionò mai e tutto si risolse a vantaggio degli imprenditori.

NASCONO L’IMI E L’IRI


Per fronteggiare gli effetti della crisi economica del 1929, fu istituito l'Istituto mobiliare
italiano, un istituto di credito pubblico capace di sostituirsi alle banche nel sostegno alle
industrie in difficoltà. Nel 1933, inoltre, fu creato l’Istituto per la ricostruzione industriale, che
acquistò il controllo di alcune grandi aziende italiane. Iniziò allora una moltiplicazione di enti
pubblici: assistenziali, pensionistici.

IL FASCISMO IDEOLOGICAMENTE NAZIONALISTA


Il fascismo fu caratterizzato ideologicamente da una forte componente nazionalista. La
propaganda presentava Infatti Mussolini come alfiere della riscossa nazionale, l’uomo che
sarebbe stato capace di riscattare il Paese dalle penalizzazioni subite. Tuttavia si trattava di
proclami piuttosto vaghi. Nel 1934 Mussolini decise di conquistare l'Etiopia. Il duce
intendeva dare all'Italia un impero, ampliando i territori coloniali già acquisiti

NELL’OTTOBRE 1935 INIZIA LA GUERRA IN ETIOPIA


Le truppe italiane invasero l’Etiopia il 3 ottobre 1935, senza nemmeno una dichiarazione di
guerra. Grazie all’abbondanza di uomini fu conquistata il 5 maggio 1936.
Il re Selassié fu costretto alla fuga, ma iniziò una guerriglia che i fascisti non riuscirono mai
a sconfiggere completamente. La Società delle Nazioni, tuttavia, condannò l’Italia in
quanto aggressore di un altro Paese membro dell’associazione. Essa decretò anche
sanzioni economiche, vietando la vendita all’Italia di beni di interesse militare. Tuttavia, le
sanzioni non indebolirono l’Italia, perché non vennero rispettate neanche dagli Stati che le
avevano imposte. In compenso, fornirono a Mussolini l’opportunità di assumere
atteggiamenti vittimistici, garantendo al regime ampi consensi dell’opinione pubblica.

L’IMPERO DELL’AOI VENNE ANNUNCIATO NEL MAGGIO 1936


Il 9 maggio 1936 Mussolini annunciò la fondazione dell'Impero dell'Africa orientale
italiana (AOI) e offrì a Vittorio Emanuele III la corona di imperatore d'Etiopia. Nell’estate del
1936, inoltre, le sanzioni furono ritirate, e Gran Bretagna e Francia riconobbero l’Impero
italiano d’Africa. Gli inglesi non erano infatti disposti a combattere una guerra per difendere il
popolo etiope.
L’ITALIA FIRMA UN PATTO DI AMICIZIA CON LA GERMANIA NAZISTA
La conseguenza più grave della guerra d'Etiopia fu l'avvicinamento di Mussolini ad Adolf
Hitler. La Germania infatti aveva appoggiato la conquista coloniale italiana garantendo
rifornimenti di armi. Nell'ottobre del 1936 fu dunque firmato un patto di amicizia tra Italia e
Germania, Asse Roma- Berlino. In quest'epoca l'Italia giunse anche a condividere le
discriminazioni contro gli Ebrei che già caratterizzavano il nazismo. Nel 1938, infatti, il
regime fascista promulgò le leggi razziste contro gli Ebrei, che vietavano i matrimoni misti
tra Ebrei e non Ebrei, e impedivano agli Ebrei di frequentare la scuola pubblica. In Italia però
non esisteva una forte tradizione antisemita; le leggi contro gli Ebrei, dunque, indebolirono il
consenso degli Italiani verso il fascismo.

6. L’ITALIA ANTIFASCISTA

L’ANTIFASCISMO RESTÒ UN REATO


A partire dal 1926 l’opposizione al fascismo divenne un reato, punibile col carcere. Gli
antifascisti che restarono in Italia perlopiù si rassegnarono e rinunciarono a qualsiasi forma
di opposizione politica. Un’importante eccezione fu rappresentata dal filosofo Benedetto
Croce, tollerato dal regime che non voleva danneggiare la propria immagine internazionale.
Croce, nel 1925, dichiarò il proprio dissenso attraverso il Manifesto degli intellettuali
antifascisti: la contestazione del regime fu essenzialmente morale, con scarsa efficacia
politica, e per questo non venne repressa

CARLO ROSSELLI E GLI ANTIFASCISTI


Giustizia e Libertà fu movimento antifascista fondato a Parigi nel 1929 da un gruppo di
profughi italiani, tra i quali Carlo Rosselli. Vi aderirono poi giovani di formazione liberale che
si rifacevano alle idee di Piero Gobetti: essi condussero la lotta contro il regime con metodi
rivoluzionari, cercando di unire l’aspirazione alla libertà con il desiderio di giustizia sociale.
Nel 1937 Rosselli venne assassinato da sicari fascisti e il movimento si dissolse, ma molti
dei suoi uomini si unirono nella resistenza contro l’occupazione nazista in Italia, fondando il
Partito d’azione.

OPPOSIZIONE COLPITA DEI COMUNISTI


Il Partito comunista seppe abilmente organizzare una rete di opposizione clandestina. La
direzione del partito stabilì la sua sede a Parigi, sotto la guida di Palmiro Togliatti. La dura
repressione che i comunisti subirono rese poco efficace la loro azione; essi infatti
accusavano i socialisti di essere oggettivamente degli alleati del fascismo. Solo nel 1934, di
fronte alla diffusione del fascismo in tutta Europa, l’internazionale comunista cambiò linea
politica, invitando a unire le forze per sconfiggere il nemico.

CATTOLICI E SOCIALISTI SI OPPONGONO AL REGIME


Altri gruppi antifascisti erano composti da repubblicani socialisti come Filippo Turati e
Alcide De Gasperi. A Parigi gli esuli italiani fondarono nel 1927 la Concentrazione
antifascista, che si impegnò attivamente in un’opera di propaganda internazionale. Tuttavia
i movimenti antifascisti ebbero una scarsissima influenza sull’opinione pubblica e
un’azione dall’efficacia limitata.

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