Sei sulla pagina 1di 2

ITALIA FASCISTA ANNI 30

La grave crisi economica del 1929 ebbe forti ripercussioni su tutti i paesi, anche l’Italia, che a quei tempi era
retta dal regime fascista.

Sforzi economici del regime


Nonostante l'Italia fosse un paese in gran parte rurale la sua agricoltura era molto arretrata, il regime
fascista fece così molti sforzi per modernizzare la produzione e venne lanciata la cosiddetta ‘battaglia del
grano’, di cui l'obiettivo era raggiungere l'autosu cienza produttiva.
Questa battaglia ebbe dei buoni risultati e l'agricoltura migliorò la sua produttività.
Inoltre un buon incremento interessò anche la produzione industriale, anche perché il regime agevolava gli
industriali con imposte molto basse.
In tal modo il fascismo si sdebitò con i proprietari che ne avevano apertamente sostenuto la scalata al
potere.

Lo Stato si inserisce nell’economia


La grave crisi di Wall Street peggiorò di colpo la situazione economica anche dell'Italia e la produzione ne
so rì moltissimo, poiché la domanda di beni calò.
Le grandi fabbriche si salvarono solo grazie all’intervento del governo fascista, che moltiplicò gli ordinativi di
armi, materiali e rifornimenti per l’esercito.
Lo Stato fascista si intromise sempre di più nella vita economica, nel 1933 fu creato l’IRI (istituto
ricostruzione industriale), che era stato pensato per sostenere le banche e le industrie in di coltà.
Lo Stato che aveva anticipato capitali, si ritrovò imprenditore di molte attività economiche.
In questo modo l’economia italiana divenne economia mista, in parte privata e in parte pubblica.

Una nuova disciplina per il mondo del lavoro


Lo stato si intromise anche nella vita tra padroni e lavoratori, era un punto delicato però, l’ascesa di
Mussolini era avvenuta grazie ai con itti tra le classi sociali. Il fascismo voleva dimostrare di possedere il
metodo giusto in questo campo.
Sciolse tutte le organizzazioni sindacali e fondò 22 corporazioni, una per settore economico, i
rappresentanti erano sia lavoratori e sia imprenditori.
La carta del lavoro fu sostituita da un ideale opposto, ovvero quello della collaborazione tra le classi
sociali, sotto supervisione del partito fascista.
Lo stato corporativo si presentava capace di creare giustizia nei rapporti sociali e nelle professioni, mirando
al bene superiore della nazione.
Però il fatto che fossero stati aboliti i sindacati sottomise il mondo del lavoro alla supervisione del partito
fascista. In questo modo i lavoratori si ritrovavano imbavagliati e neutralizzate, anche le loro paghe venivano
tenute basse.
Ma non si scatenarono grandi proteste, infatti, per ottenere il consenso dei lavoratori il regime introdusse
alcuni utili provvedimenti sociali ( assicurazione obbligatoria, previdenza contro le malattie più gravi e
tutela della maternità ).

Conquista estera del fascismo


Mussolini attribuiva grande importanza la politica estera e la rivoluzione fascista puntava su rinnovare i fasti
dell'impero romano e vendicando i torti subiti nel 1919.
Con questi presupposti il regime fascista decide di intervenire nell’Africa orientale, cosi un forte esercito
invase l’Etiopia. Il 5 maggio 1936 il generale Badoglio entrò vittorioso a Addis Abeba, che unita a Somalia
ed Eritrea formano la colonia dell’Africa Orientale Italiana.
Questa però fu una conquista poverissima, un’area periferica, ma la presentarono come una vittoria epica.

Italia isolata dalla comunità internazionale


La conquista dell'Etiopia non fu accolta bene degli altri Stati, in particolare da Francia e Gran Bretagna, che
criticarono l'aggressione militare. Per questo la Società delle Nazioni, applicò alcune sanzioni economiche
ma il regime fascista in risposta proclamò l’autarchia (autosu cienza economica).
Per un paese come l'Italia si trattava di un azzardo e l'autosu cienza rimase un miraggio poiché non solo
dovettero fare a meno di beni di uso quotidiano ma anche ricorrere ai surrogati. E la conseguenza più
negativa fu l'allontanamento dell'Italia dall'altri Stati democratici, avvicinandola così alla Germania nazista.
ff
fl
ffi
ffi
ffi
ffi
Le leggi razziali
Una conseguenza di questo avvicinamento furono le leggi razziali contro gli ebrei, introdotte nel nostro
paese dal fascismo nel 1938.
Gli ebrei furono da un giorno all’altro emarginati, dichiarati inferiori, considerati cittadini diversi e
pericolosi.
La comunità ebraica era ben integrata nel tessuto civile del nostro paese e Mussolini non era mai stato
antisemita. Egli cambiò rotta solo per allinearsi con la Germania.
Per il regime fascista però le leggi razziali si rivelarono come un boomerang poiché in Italia l’antisemitismo
non era un pensiero di uso.

Il fascismo ebbe il consenso dal popolo?


È di cile stabilire il grado di consenso poiché esprimere il consenso è una cosa volontaria ma un regime
totalitario impedisce ai cittadini di manifestare liberamente il proprio consenso o dissenso.
Secondo alcuni storici verso gli anni trenta il regime godeva veramente di un largo consenso della società,
ma si può parlare di consenso passivo. La maggior parte delle persone non aderiva per scelta individuale
ma bensì subiva gli e etti della propaganda, assai e cace.
La massa degli italiani si sentiva di partecipare alla gestione del potere, quando ne era totalmente esclusa.
Lo slogan “credere, obbedire, combattere” riassume al meglio quello scritto precedentemente e la cultura
del fascismo: credere come atto di fede, obbedire come chi si sottomette all’autorità come volontà di Dio e
combattere come azione violenta segno di virilità del popolo.
La società italiana seguiva questo slogan poiché appariva come unico atteggiamento possibile.
Gli italiani credevano di aver trovato nel Duce e nel fascismo una guida salda e forte ma riusciranno ad
aprire gli occhi solo durante il dramma della guerra, quando il fascismo perderà il consenso goduto n ora
e cadrà senza appello.
ffi
ff
ff
ffi
fi

Potrebbero piacerti anche