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RICERCA SUL FASCISMO

INTRODUZIONE
Il lavoro di studio e ricerca che ho scelto è rappresentato dal periodo storico del ‘ventennio fascista’. In
particolare ho privilegiato e analizzato la nascita del fascismo e il suo declino. In buona sostanza ho cercato
di sviluppare gli aspetti che diedero origine al fascismo e le cause del suo declino e fallimento. Essendo un
periodo storico piuttosto vasto, ho seguito e predisposto una scaletta degli eventi cronologicamente più
significativi. Alcuni eventi li Ho approfonditi in quanto importanti per lo scopo che mi sono dato (nascita e
fallimento), mentre altri aspetti pur molto importanti del ventennio sono stati solo accennati al fine di dare
continuità alla cronologia storica.

La ricerca è stata effettuata utilizzando soprattutto ‘internet’ navigando nei vari siti, ho scoperto una vera
miniera di materiale, didattico, storico, politico economico, fotografico. Alcune immagini le ho inserite nel
mio lavoro, la rete mi ha dato la possibilità addirittura di vedere filmati ascoltare discorsi.

La ricerca si sviluppa su tematiche ed eventi prettamente storici, ma analizza anche aspetti di carattere
economico, sociale, finanziario, oltre ad altre discipline quali il diritto pubblico, l’organizzazione dello Stato,
le relazioni industriali, l’arte e la letteratura del ventennio. Grazie alla rete ho trovato siti dove mi hanno
permesso di inserire nella ricerca delle vere e proprio curiosità e aneddoti che comunemente non si trovano
nei libri di testo.

L'avvento del fascismo (1918-25)


Il primo dopoguerra in Italia

Giovanni Giolitti

Le forze politiche
All'estrema destra dello schieramento politico ital (dai "Fasci di Combattimento" fondati
nel marzo del 1919), guidato dall'ex-socialista rivoluzionario Benito Mussolini

Come nasce il Fascismo


Il Fascismo non nasce improvvisamente, ma è frutto di
una maturazione nella coscienza della Nazione. Nel
dopoguerra l’Italia è in pieno caos in tutti i settori,
sconvolta da catene di scioperi e di violenze, ferita dalla
«pace tradita» e dalla «vittoria mutilata», impotente di
fronte ai reduci scherniti ed umiliati. In quello scenario,
Benito Mussolini ed i centocinquanta (arditi,
interventisti, sindacalisti, futuristi, repubblicani) di piazza
San Sepolcro a Milano intuiscono il pericolo e chiamano
a raccolta il popolo tradito.

La "vittoria mutilata". D'Annunzio a Fiume

Gli equilibri internazionali post-bellici vedono la posizione dell'Italia sicuramente rafforzata rispetto
all'anteguerra con la conquista dei "confini naturali" e con il collasso dell'impero austro-ungarico,
tradizionale nemico. La stipulazione tra Italia, Francia, Inghilterra e Russia del Patto di Londra (aprile
1915) prevedeva, in cambio della discesa in guerra dell'Italia a fianco dell'Intesa, l'annessione -tra
l'altro- dell'intera penisola istriana (con l'esclusione di Fiume, abitata però in prevalenza da italiani) e
buona parte della Dalmazia, la cui maggioranza della popolazione era slava. I diplomatici italiani
interpretano il "principio di nazionalità" a modo loro e alla conferenza di pace di Versailles chiedono
l'annessione dell'"italiana" Fiume in aggiunta però ai territori "slavi" promessi dal Patto di Londra. Al rifiuto
opposto dal presidente americano Wilson, la delegazione italiana abbandona Versailles per protesta, accolta
in patria da grandi manifestazioni patriottiche (primavera 1919).

Nel paese si parla sempre più di "vittoria mutilata": espressione coniata in quei giorni da Gabriele
D'Annunzio. Proprio D'Annunzio, è protagonista di una clamorosa azione quando, nel settembre del 1919,
alla testa di alcuni reparti militari ribelli occupa Fiume (allora sotto controllo internazionale) e ne dichiara
l'annessione all'Italia autoproclamandosi "reggente". L’impresa fiumana" dura poco più di un
anno (si conclude nel dicembre del 1920 quando, conclusi gli accordi tra Italia e Jugoslavia che dichiarano
Fiume "città libera", le milizie dannunziane vengono attaccate dalle truppe regolari italiane)
D'Annunzio
"O Fiume o morte!"

L'avanzata del fascismo e l'agonia dello Stato liberale. Il


fascismo al potere

Il movimento fascista, fino ad allora marginale, tra il '20 e il '21 comincia a crescere. Cambiano i tempi, e
con essi le parole d'ordine fasciste; A che serve chiedere a gran voce la repubblica e le riforme sociali quando
la borghesia chiama tutti a raccolta? Il fascismo non si tira certo indietro e mostra il suo volto di classe,
ed è ovviamente pronto a rispondere alla "chiamata alle armi" della borghesia. Chi sopratutto usò il
fascismo come suo braccio armato furono gli agrari e i grandi proprietari terrieri. Nelle campagne
padane, infatti, le Leghe rosse, reduci dalle vittorie del biennio rosso, avevano creato un vero e proprio
"sistema", controllando il mercato del lavoro attraverso il collocamento dei braccianti. Ma con la fine delle
grandi agitazioni sociali e il riflusso del movimento socialista, gli agrari e i grandi proprietari terrieri
organizzano la controffensiva. Già nel novembre del 1920 a Bologna i fascisti, organizzati in squadre armate,
scatenano la propria violenza contro i socialisti, dopo un tragico incidente alla cerimonia d'insediamento
della nuova amministrazione rossa di Bologna, dove i socialisti aprirono il fuoco sui propri sostenitori (i
"fatti di Palazzo d'Accursio", considerati comunemente come l'atto di nascita del fascismo agrario). Il
fascismo agrario cresce a vista d'occhio, sovvenzionato dai proprietari terrieri che scoprono nello
squadrismo uno strumento efficace per contrastare le leghe rosse e l'avanzata socialista. In tutta la
Pianura Padana si moltiplicano le violenze fasciste ai danni di esponenti socialisti o di semplici militanti,
delle sezioni, delle Case del popolo, delle cooperative, delle leghe, dei giornali socialisti, devastati,
incendiati, distrutti dalla furia squadrista. Le forze dell'ordine però, in questo clima da guerra civile, non
intervengono e vedono anzi i fascisti come propri alleati nella difesa dello status quo dal "pericolo rosso".
Giolitti, dal canto suo, spera di poter usare i fascisti in funzione antisocialista per poi assorbirli nella
sua maggioranza parlamentare: i suoi calcoli risulteranno sbagliati, ma intanto lo squadrismo fascista
può colpire nella più assoluta impunità. Inutile dire che il movimento operaio uscirà distrutto dalla prova di
forza col fascismo. Le elezioni del maggio 1921 vedono i candidati fascisti presentarsi nelle liste
governative: la vecchia classe dirigente legittima e "costituzionalizza" in questo modo il movimento fascista
che, però, non abbandona i propri metodi. Nonostante ciò i socialisti arretrano solo lievemente, i popolari si
rafforzano e il PCd'I esordisce con un 5%. Dimessosi Giolitti, Il nuovo governo guidato da Ivanoe Bonomi
nasce ( nel luglio 1921) grazie all'appoggio fascista e cerca subito di rimettere ordine in un paese scosso dalle
violenze. Un "patto di pacificazione" governativo tra i socialisti organizzati negli "Arditi del popolo" (la
prima organizzazione antifascista militante) e i picchiatori fascisti delle squadracce viene presto rigettato da
Mussolini, che non può fare a meno dell'ala dura e pura del fascismo (Grandi, Farinacci, Balbo e gli altri
"Ras").
Nel novembre del '21 nasce il Partito Nazionale Fascista.. Dopo queste vittoriose azioni, sbaragliato il
movimento operaio, per il fascismo è ormai tempo di pensare alla presa del potere: assicuratosi il favore
della monarchia (sconfessando le precedenti affermazioni filo-repubblicane) e quello degli industriali
(dichiarandosi fautore di una politica liberista), Mussolini prepara la "marcia su Roma", cioè
un progetto di conquista del potere.

Il 28 ottobre del 1922 le squadre fasciste entrano effettivamente in Roma. Il giorno prima il governo
Facta aveva presentato le proprie dimissioni. Nel vuoto di potere che si viene a creare tutto poggia sulle
decisioni del Re Vittorio Emanuele III, e questo non è un buon segno. Il Re infatti dinnanzi alle camicie
nere si rifiuta di firmare la proclamazione dello stato d'assedio e il conseguente passaggio dei poteri ai
militari, e i fascisti, senza nessuna resistenza, marciano verso il potere. Alcuni giorni dopo si forma il
governo Mussolini, sostenuto anche dallo schieramento liberale e dai popolari, oltre che avvallato da Vittorio
Emanuele III: il fascismo ha conquistato il potere.
La dittatura

Il clima di violenza e di intimidazione ai danni dei "rossi" non cambia, anzi ora continua sotto la maschera
della "legalità" fascista: già nel '23 i comunisti, principali oggetti della repressione, sono costretti alla
clandestinità e i socialisti sono perseguitati come e più di prima. Gli scioperi calano a livelli bassissimi e
la CGL, anch'essa colpita a morte dal fascismo, non riesce più ad organizzarsi in fabbrica: i salari si riducono
costantemente fino a raggiungere i livelli dell'anteguerra. L'istituzione del Gran Consiglio del fascismo
(dicembre 1922), organo che doveva dettare le linee principali della politica fascista e organismo di raccordo
tra PNF e governo, e la creazione della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (gennaio 1923),
banda militare di partito nella quale vengono inquadrate da subito le squadracce fasciste. Sempre del 1923 è
la riforma della pubblica istruzione, redatta da Giovanni Gentile, filosofo ufficiale del regime. Le elezioni
dell'aprile 1924 (con una nuova legge elettorale maggioritaria) sono stravinte dai fascisti organizzati
nelle Liste nazionali insieme ai fiancheggiatori liberali che, ancora una volta ciechi davanti alle
violenze, alle intimidazioni e ai brogli dei fascisti ai danni delle opposizioni, danno man forte al nuovo
potere. Si giustificano come al solito sperando in un'improbabile evoluzione del fascismo in senso liberal-
conservatore. A levargli le fette di salame dagli occhi arriva il delitto Matteotti. Nel giugno del 1924
Giacomo Matteotti, segretario del PSU, pronuncia alla Camera una dura e coraggiosa denuncia del fascismo
e contesta la validità delle elezioni. Il suo coraggio gli costa la vita: qualche giorno dopo è rapito e ucciso
barbaramente da sgherri al soldo del fascismo.

Giacomo Matteotti

Giacomo Matteotti (Fratta Polesine, Rovigo, 1885-Roma 1924). Deputato socialista,


nell'ottobre del 1922 fu nominato segretario del Partito Socialista Unificato. Avverso alla
politica di compromessi praticata anche da molti compagni, fu tra gli oppositori più efficaci
e decisi del governo Mussolini che attaccò più volte alla Camera sino al duro discorso del
30 maggio 1924 con cui denunciò le violenze e i brogli commessi per vincere le elezioni del
6 aprile. Assalito pochi giorni dopo (10 giugno) da una banda di sicari fascisti, fu ucciso e
sepolto alla Quartarella, località deserta della campagna romana. Il cadavere fu ritrovato il
16 agosto successivo. La notizia del delitto suscitò un'ondata di orrore e di indignazione che
parve mettere in pericolo le basi dello stesso governo, ma le opposizioni non seppero agire
con sufficiente energia e Mussolini poté in poco tempo superare la grave crisi. Solo nel
1947 fu celebrato il processo contro i superstiti esecutori materiali del delitto (Dumini,
Poveromo e Viola), che furono condannati a 30 anni di reclusione.

Il regime fascista (1925-40)


Società italiana e regime fascista
creato u ente apposito chiamato Eiar).

Quest'ultima si impone presto come il mezzo di comunicazione più seguito, grazie anche
Imperialismo e politica estera. Il "Patto d'acciaio"

Caratteristica della politica estera fascista fino all'ascesa di Hitler si può considerare una generica quanto
inconcludente contestazione dell'assetto europeo uscito dai trattati di Versailles. Ammantato della
propaganda fascista che vede l'Italia "proletaria" antagonista alle nazioni "plutocratiche", il "revisionismo"
italiano in politica estera non ha però effetti pratici, se si esclude una certa tensione nei rapporti diplomatici
con la Francia, già tesi per l'ospitalità offerta ai fuoriusciti antifascisti. Più che altro l'Italia si limita a
sostenere le rivendicazioni di Austria e Ungheria, ma evita di esprimere un più ampio e coerente disegno
"revisionista". I rapporti con la Gran Bretagna, invece, rimangono buoni. Certo il movimento fascista sin
dagli inizi fa leva sul nazionalismo: la propaganda interna è di stampo marcatamente patriottico e descrive il
regime come paladino della riscossa nazionale contro gli usurpatori della grandezza e delle glorie che furono
di Roma. L'ascesa del nazismo in Germania (gennaio 1933) cambia lo scenario europeo. Le prime
avventurose mosse di Hitler in politica estera destano allarme e sconcerto: già nel 1933 la Germania ritira i
propri rappresentanti dalla conferenza di Ginevra (dove le grandi potenze mondiali discutono di limitazione
degli armamenti) e, qualche giorno dopo, addirittura dalla Società delle nazioni. Il messaggio è chiaro: il
Reich non ne vuole sapere dell'Europa così com'è stata disegnata a Versailles ed è pronta a riarmarsi per
sconvolgere tale ordine.

Anche il regime fascista, nonostante le indubbie affinità ideologiche col nazismo, pare guardare con timore
all'aggressività tedesca. Nel luglio del 1934 in Austria il cancelliere Engelbert Dollfuss viene ucciso dai
nazionalsocialisti austriaci (diretti da Berlino) che tentano un colpo di stato per realizzare

l'"Anschluss" ("annessione") con la Germania: il golpe fallisce. Mussolini per precauzione schiera sulla
frontiera italo-austriaca quattro divisioni dell'esercito. Hitler è costretto a cedere. Un anno dopo (aprile 1935)
in Germania viene reintrodotta la coscrizione obbligatoria, ennesimo passo verso il riarmo tedesco vietato a
Versailles. Francia, Gran Bretagna e Italia, allarmati, riuniscono i propri rappresenti in una conferenza a
Stresa: lì viene riaffermata la validità degli accordi presi a Locarno nel 1925 (dove Belgio, Francia e
Germania trovarono un accordo sull'inviolabilità dei propri confini comuni stabiliti a Versailles) mentre la
politica di riarmo nazista è aspramente criticata, e infine viene ribadito l'impegno comune per l'indipendenza
dell'Austria minacciata dalla Germania. Il "fronte di Stresa" viene rotto proprio dall'Italia. Mussolini, lo si è
visto, non è del resto interessato alla difesa del "sistema di Versailles". In realtà la costruzione di un'alleanza
tra l'Italia e le democrazie occidentali è funzionale ai disegni di Mussolini in politica estera. In uno scenario
europeo sconvolto dalla politica nazista Francia e Gran Bretagna hanno un bisogno disperato di alleati,
chiunque essi siano: ne troveranno uno nell'Italia ma il fascismo ha intenzione di far pagare a caro prezzo
questo accordo. Mussolini, infatti, prepara un'impresa coloniale contro l'Impero Etiope credendo di poter
contare sul tacito assenso di Francia e Gran Bretagna. Col suo imperialismo il regime intende nascondere i
problemi sociali interni (soprattutto la disoccupazione) cercando di spostare l'attenzione altrove, oltre che di
vendicare la sconfitta di Adua, dimostrando così di superare in prestigio la vecchia Italia liberale. Come
motivazioni valgono anche lo sbocco offerto alla vocazione imperiale del movimento fascista agitata
continuamente dalla propaganda nazional-patriottica in patria. L'aggressione all'Etiopia comincia
nell'ottobre del 1935, senza nemmeno essere preceduta da una formale dichiarazione di guerra. Francia e
Inghilterra, però, non possono tacere l'invasione straniera di un paese membro della Società delle nazioni,
ultimo grande stato africano indipendente. La società delle nazioni, effettivamente, si pronuncia per la
condanna dell'aggressione italiana e vengono pure adottate delle sanzioni contro l'Italia. Il "fronte di
Stresa" è rotto. Mussolini riesce anche nell'intento di trasformare le sanzioni in uno strumento utile ai suoi
fini: esse vengono infatti presentate dalla propaganda di regime come un espediente della congiura
internazionale delle "nazioni plutocratiche" contro l'Italia, che in Etiopia voleva solo conquistarsi il proprio
"posto al sole". La mossa ha successo: le piazze italiane si riempiono di folla inneggiante al regime e al suo
capo. Milioni di coppie, in primis quella reale, donano al regime in difficoltà le proprie fedi nuziali.
Solidarietà al paese in guerra arriva persino da Benedetto Croce. Insomma, l'"impresa" etiopica si trasforma
in un grande successo politico per il regime, e i problemi sociali-economici del paese passano in secondo
piano. Le truppe italiane guidate da Pietro Badoglio entrano in Addis Abeba il 5 maggio 1936. L'accanita
resistenza etiope (denigrata dalla stampa fascista con toni razzisti) guidata dall'imperatore Hailé Selassié in
persona è dunque sconfitta, piegata da un esercito indubbiamente più forte. Neanche una settimana dopo
Mussolini proclama l'Impero italiano in Africa orientale, del quale offre la corona a Vittorio Emanuele III.

Il regime è al massimo del suo splendore e da l'impressione di aver piegato l'Europa alla sua volontà (le
sanzioni vengono revocate già nel '36 e l'Impero viene successivamente riconosciuto dalle democrazie
occidentali). Visto che a Mussolini era riuscito il gioco di sfruttare la rivalità tra il Reich e i
franco-inglesi perchè non approfittarne ancora? L'Italia invia circa 50.000 "volontari" (in
realtà truppe regolari)
in Spagna dove il "pronunciamiento" del generale fascista Francisco Franco contro il
legittimo governo repubblicano provoca una guerra civile. Il sostegno italo-tedesco ai falangisti sarà
decisivo ai fini della sconfitta della Spagna repubblicana e antifascista. Dello stesso periodo è
l'avvicinamento tra Italia e Germania, incominciato già nel 1936 con la firma di un patto d'amicizia
conosciuto col nome di "Asse Roma-Berlino". Nell'autunno del '37 l'Italia aderisce al "patto anti-
Comintern" stipulato da Germania e Giapone. Credendo di poter svolgere una politica da grande potenza a
livello internazionale e desideroso di ulteriori vantaggi in campo coloniale, Mussolini pensa che un'alleanza
con la Germania non possa fare altro che aumentare il peso contrattuale dell'Italia sullo scacchiere mondiale.
In realtà la posizione dell'Italia è totalmente subordinata all'aggressività nazista. Mussolini è comunque
convinto che, in vista di una guerra, la Germania sia l'alleato più forte. Negli anni successivi, quando il
disegno nazista emergerà in tutta la sua chiarezza, l'Italia non farà altro che seguirne le direttive. Nel marzo
del 1938 la Germania annette a sé l'Austria (Anschluss) senza incontrare nessuna resistenza, per via
dall'immobilismo francese e inglese (strategia sostenuta dal primo ministro inglese Neville Chamberlain,
che pensava di poter contenere le spinte naziste più aggressive accontentando Hitler sulle questioni "minori".
Viene avversata in patria da Winston Churchill, intransigente nei confronti delle pretese naziste). Dopo
l'Austria le nuove mire del Reich si spostano sul territorio cecoslovacco dei Sudeti, abitato da
tedeschi. Il governo ceco, legato militarmente alla Francia e all'URSS, risponde concedendo ai
tedeschi del proprio paese ampie autonomie. Ma Hitler vuole l'annessione. La tensione è
altissima, l'Europa sembra sull'orlo della guerra. Si riesce ad avviare una trattativa. Nel
settembre del 1938 alla conferenza di Monaco, complice sempre l'"appeasment" britannico,
passa una proposta italiana che consente al Reich l'annessione dei Sudeti. La Cecoslovacchia
non è nemmeno invitata alla Conferenza. L'URSS, esclusa anch'essa delle trattative, abbandona la
linea filo-occidentale, capendo che non potrà contare sulla solidarietà delle democrazie europee in caso di
aggressione da parte nazista. L'ennesima concessione al Reich fa tirare a molti un sospiro di sollievo: la
guerra è per il momento scongiurata, nelle piazze europee si festeggia e si grida alla pace. Ma la pace di
Monaco è una falsa pace, raggiunta sacrificando all'espansionismo tedesco la Cecoslovacchia. E tale scelta,
oltre a screditare totalmente i governi di Francia e Inghilterra, non avrebbe aperto la strada a nuove
aggressioni? Winston Churchill: "potevano scegliere tra il disonore e la guerra.
Hanno scelto il disonore e avranno al guerra". Prossimo alla catastrofe e incurante
dell'impreparazione dell'esercito italiano, Mussolini stringe un'alleanza militare con Hitler: il "Patto
d'Acciaio" viene firmato il 22 maggio 1939.

La caduta del Fascismo


Si può dire che in Italia i fascismo è crollato due volte: prima al proprio interno il 25 luglio del 1943
e poi con la liberazione del 25 aprile del 1945. In questa seconda fase contrassegnata da dalla guerra
civile e dall’occupazione tedesca, Benito Mussolini tentò di rispolverare le idee di quando era
socialista, con qualche simbolica nazionalizzazione di fabbriche e altre misure di pura apparenza. Ma
a comandare erano sempre gli invasori nazisti, con tanto maggiore durezza quanto più si avvicinava
la loro definitiva sconfitta. Grazie anche alla testimonianza dei gerarchi presenti, oltre che alle
pazienti ricostruzioni giornalistiche, si sa ormai tutto della seduta in cui Mussolini fu posto in
minoranza nel Gran Consiglio del fascismo dai suoi stessi fedeli (e se la fedeltà si era attenuata nei
vent’anni di regime, fino talvolta a scomparire, si trattava pur sempre di personaggi che dal duce
avevano ricevuto potere e onori). Lo scontro a Palazzo Venezia, nel cuore di Roma, si protrasse dalle
17 di sabato 24 luglio fino alle due di note, quando tutti andarono a dormire senza sapere che cosa
riservasse l’indomani.
Il regime in crisi
Per capire il clima, bisogna premettere che i membri del Gran Consiglio del Fascismo, che era
l’organo chiamato a deliberare, avevano costantemente subito, senza porsi problemi, l’influsso e la
personalità di Mussolini. Pure chi dissentiva nel proprio intimo non osava protestare apertamente.
Un po’ tutti avevano perso fiducia sull’esito della guerra, specie dopo lo sbarco degli Alleati in
Sicilia, avvenuto da appena due settimane. Ma solo pochi – in testa Dino Grandi, Giuseppe Bottai e
Galeazzo Ciano il genero di Mussolini - agivano secondo un piano preciso. Ad aprire la riunione fu
lo stesso Mussolini, chiedendo come potesse risolversi il dilemma: guerra o pace, resa a discrezione
o resistenza fino all’ultimo? Ci fu qualche battibecco sulle responsabilità del disastro militare, dopo
di che si alzò il vero capo della rivolta interna, Dino Grandi, già ministro e ambasciatore a Londra,
ostile alla Germania. Attribuita a Mussolini la totale responsabilità di una guerra non sentita dal
popolo italiano, Grandi propose un documento in cui si restituiva l’effettivo comando al re Vittorio
Emanuele III. Era un sconfessione del Duce, praticamente invitato a dimettersi. Gli fecero eco
Giuseppe Bottai, anch’egli ex-ministro e uomo che aveva varie aperture verso le forze antifasciste, e
Galeazzo Ciano. Venuta le sera, Mussolini disse di sentirsi stanco, ma ancora Grandi si oppose a una
sospensione del dibattito. A questo punto i pareri si divisero. La maggioranza firmò l’ordine dl
giorno proposto da Grandi, altri si rifiutarono. Il duce tentò di reagire assicurando che le sorti della
guerra sarebbero cambiate, ma i più si mostrarono scettici. Bisognava ormai distinguere tra le sorti
del Fascismo e le sorti della patria: un regime poteva anche dissolversi, ma non l’Italia. Alla fine,
quando ormai sembrava che la discussione girasse a vuoto, fu proprio Mussolini a chiedere che si
passasse finalmente ai voti. Come risultato, 19 si schierarono con Grandi, solo 8 con il capo fascista.
Mussolini si limitò a commentare: "Avete provocato la crisi del regime. La seduta è tolta".
L’arresto del duce

Fra i 19 uno ritirò più tardi il voto salvandosi così dal processo intentato in seguito contro quelli che si
definivano "i congiurati del 25 luglio". Ciano invece, con altri, subì la fucilazione, mentre Grandi e Bottai si
salvarono all’estero. Si stava compiendo in ogni modo il destino di Mussolini, che in quella mattina di
domenica andò come al solito a Palazzo Venezia, ricevendo i fedelissimi ma anche qualcuno che gli aveva
votato contro. Solo la pomeriggio si recò dal re. Il duce si era convinto in quelle ore che il Gran Consiglio
avesse espresso una semplice raccomandazione, non impegnativa: certo Vittorio Emanuele, con il quale
aveva collaborato per oltre vent’anni, non gli avrebbe voltato le spalle. Ma anche il sovrano, nel frattempo
aveva operato le sue mosse, consultandosi sia con antifascisti, sia con ex-fascisti, come il maresciallo Pietro
Badoglio. Quel giorno ricevette Mussolini, lo trattò senza asprezza ma, al termine del colloquio, lo fece
arrestare. I carabinieri fecero entrare il duce in un’ambulanza, con il pretesto che dovevano proteggerlo; poi
lo spostarono in varie località. Badoglio divenne primo ministro, la gente cominciò ad abbattere i simboli
fascisti: ma dopo l’8 settembre Mussolini venne liberato dai nazisti, sul Gran Sasso, riceve l’incarico di
formare una Repubblica sociale italiana, la Repubblica di Salò sul lago di Garda, detta dagli oppositori al
fascismo "repubblichina", mentre nel sud della penisola Badoglio si affianca agli Alleati nella guerra contro i
Tedeschi, mentre la famiglia reale e il governo hanno trovato nuova sede a Brindisi. A Roma si costituisce il
Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) che comprende comunisti, socialisti, democristiani, liberali e
rappresentanti del Partito d’Azione e che si prefigge il compito di liberare l’Italia. Anche al nord sorgono
comitati del genere: il più famoso è quello di Milano, che va sotto il nome di CLNAI, CLN dell’Italia
settentrionale. La lotta che ne segue va sotto il nome di Resistenza e coinvolge la popolazione civile,
impegnata nella lotta della propria libertà, ma la rappresaglia tedesca nei confronti dei partigiani è crudele: la
lotta partigiana costa circa 70000 vittime tra mi e civili. L’offensiva antitedesca non si esaurisce in Italia: nel
giugno del 1944 le truppe americane sbarcano in Normandia sotto il comando del generale Eisenhower e
comincia la liberazione della Francia. L’azione militare americana procedeva verso est, mentre da ovest
l’Armata Rossa sovietica procedeva alla liberazione dei territori conquistati all’inizio del conflitto e alla
scoperta delle terribili crudeltà dei campi di concentramento nazisti istituiti a decine in Europa centrale. Dopo
il ricongiungimento lungo il fiume Elba tra le truppe tedesche e quelle americane Hitler a Berlino si toglie la
vita e dopo lo sfondamento in Italia della "linea gotica", la linea difensiva di circa 320 chilometri da Pesaro a
Massa lungo la quale si raccoglieva l’ultima resistenza tedesca in Italia, il 25 aprile 1945 è la liberazione
dell’Italia. Mussolini fugge verso le Alpi ma viene catturato a Dongo sul lago di Como e fucilato il 28 aprile del
1945. L’8 maggio del 1945 la guerra in Europa è finita. Solo il Giappone resiste contro gli Americani, anche
grazie all’eroismo dei suoi kamikaze, un corpo speciale di aviatori suicidi. Il Presidente degli USA, Harry
Truman, decide allora l’impiego di una terribile arma, la bomba atomica. Ne vengono sganciate due una su
Hiroshima, l’altra su Nagasaki. Il 1° settembre del 1945, anche il Giappone firma la resa: la guerra che è
costata 50 milione di morti è conclusa.

Piazzale Loreto ( PER NON DIMENTICARE )

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