Sei sulla pagina 1di 21

CARLO FEDELI IIIA

Italiani: vittime o
carnefici?
8 settembre 1943

Il prezzo e il peso che l’Italia ha pagato dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945
Le Leggi Razziali

Figura 1: Benito Mussolini e Adolf Hitler nel 1938

Adolf Hitler nel maggio del 1938 si recò in visita a Roma. Storici come Meir Michaelis e
Renzo De Felice hanno voluto sottolineare che non abbiamo prove di pressione diretta
da parte tedesca nell'avvio della campagna razzista del fascismo italiano che partì
ufficialmente il 15 luglio 1938, quando venne pubblicato il Manifesto della razza
firmato da noti professori fra cui Nicola Pende. Galeazzo Ciano riporta nel suo diario
per la giornata del 14 luglio 1938: «Il Duce mi annuncia la pubblicazione da parte del
Giornale d'Italia di uno statement sulle questioni della razza. Figura scritto da un
gruppo di studiosi, sotto l'egida della Cultura Popolare. Mi dice che in realtà l'ha quasi
completamente redatto lui». Quanto sopra apparve il 15 luglio 1938 come articolo
anonimo nella prima pagina del giornale citato sotto il titolo: «Il Fascismo e i problemi
della razza».
Nella sostanza, si precisava che «la razza italiana è prettamente ariana, e va difesa da
contaminazioni». Gli ebrei – sempre stando al documento – «sono estranei e pericolosi
per il popolo italiano».
Immediatamente l'ufficio demografico del Ministero dell'Interno diventa Direzione
generale per la demografia e la Razza.
Ci fu un certo consenso e un vasto colpevole silenzio fra gli intellettuali, che si erano in
vari modi ampiamente legati al regime divenuto ormai pervasivo; gli oppositori, (non
erano pochi) o erano al confino, o in carcere, o eliminati.
Gli unici a manifestare apertamente di non approvare l'atteggiamento anti ebraico
furono Giovanni Gentile, Massimo Bontempelli e Tommaso Marinetti, ideatore del
Futurismo. Anche Giorgio La Pira levò una voce di protesta in quanto gli ambienti
cattolici non videro di buon occhio il lato pagano che stava prendendo l'antisemitismo.
A settembre venne emanata la prima "legge razziale" secondo la quale tutti gli ebrei
italiani venivano banditi della vita pubblica. Persino la frequentazione delle scuole
pubbliche venne vietata ai giovani appartenenti a famiglie ebraiche. Fra i fascisti
manifestò una certa prudente opposizione Italo Balbo. L'obbligo di registrazione presso
le questure sarà particolarmente utile per l'organizzazione delle retate da parte dei
nazisti e delle milizie durante il periodo di Salò. Come fu dimostrato per il caso della
Francia durante il processo Papon, anche in Italia le retate furono possibili grazie al
lavoro di numerosi funzionari che non furono mai processati dopo la guerra.
Secondo le ricostruzioni di diversi storici, il fascismo, durante il periodo
immediatamente successivo all'emanazione delle leggi razziali, cercò comunque da
una parte di distinguersi dal nazismo e dal suo anti-ebraismo biologico, e dall'altra di
dare rassicurazioni a quella parte degli ebrei italiani che avevano appoggiato prima il
movimento e poi la dittatura. Lo stesso Mussolini elaborò lo slogan "Discriminare e non
perseguitare" per indicare la prevista (o pubblicizzata come tale) filosofia che sarebbe
stata adottata nell'applicazione delle leggi razziali e, in un discorso tenuto a Trieste nel
settembre 1938, affermò esplicitamente che "gli ebrei che hanno indiscutibili titoli di
benemerenze militari e civili troveranno la giusta comprensione del Regime".
L'applicazione delle leggi e la diffusa propaganda anti-ebraica di quel periodo
causarono comunque una crescente perdita di diritti da parte dei cittadini italiani di
origine e/o religione ebraica, e crearono condizioni (come la diffusione di un generico
sentimento antisemita nell'opinione pubblica) che facilitarono poi le azioni ben più
repressive messe in atto alcuni anni dopo dai nazi-fascisti durante la Repubblica
Sociale.
Sinteticamente vengono qui riportati i principali dati della persecuzioni causate dalle
"leggi razziali" in vigore in Italia dal 1938 al 1943 (la fonte è uno scritto di Michele
Sarfatti, massimo studioso del problema):
Vennero assoggettate alla persecuzione circa cinquantunmila persone
(quarantaseimila ebrei e circa quattromilacinquecento persone non esattamente
«classificate» come aderenti all'ebraismo), ovvero circa l'uno per mille della
popolazione italiana del tempo.
In un anno, dei circa diecimila ebrei stranieri presenti in Italia,
seimilaquattrocentottanta furono costretti a lasciare il Paese; novantasei professori
universitari, centotrentatrè assistenti universitari, duecentosettantanove presidi e
professori di scuola media, un centinaio di maestri elementari, duecento liberi docenti,
duecento studenti universitari, mille studenti delle medie e quattromilaquattrocento
delle elementari vennero scacciati dalle scuole pubbliche del Regno.
A Tullio Levi Civita, allievo e collaboratore di Gregorio Ricci-Curbastro, autore di studi
sul calcolo tensoriale, base della costruzione del modello matematico della teoria della
relatività poi elaborata da Albert Einstein, venne vietato da parte del nuovo direttore
Francesco Severi l'accesso alla biblioteca del suo Istituto di Matematica dell'Università
di Roma.
Inoltre quattrocento dipendenti pubblici, cinquecento dipendenti di aziende private,
centocinquanta militari e duemilacinquecento professionisti persero il posto di lavoro
restando senza alcun sostentamento.
Contestualmente, anche se limitati nel numero, si verificarono casi di violenza
squadrista esplicita specialmente nelle città di Roma, Trieste, Ferrara, Ancona e
Livorno).

Figura 2: 1938, le Leggi Razziali in Italia

La caduta del Fascismo


La guerra, che impazzava in tutto il mondo dal 1939, nel 1940 era divenuta
anche affare italiano.
Le prime vittorie militari di Hitler diedero a Mussolini l’illusione di poter sedere
al tavolo dei vincitori a conflitto terminato. Le Forze Armate italiane non erano
però pronte al conflitto. La mancanza di armi, equipaggiamenti e rifornimenti
gravò pesantemente sull’esito delle campagne militari. Le prime sconfitte
avvennero in colonia, l’Impero, conquistato appena cinque anni prima, capitolò
nel novembre del 1941. In Africa del Nord, con l’aiuto dei tedeschi, l’Asse
resistette ancora qualche mese per poi precipitare completamente nel 1942.
Contemporaneamente il contingente che dall’Albania invase la Grecia fu messo
a dura prova dall’esercito greco. Nel 1941 centinaia di soldati italiani presero
parte alla disastrosa campagna di Russia al seguito dei tedeschi. Il 1943 fu
l’anno della svolta. I fronti arretravano sempre più fino a giungere sullo stesso
suolo italiano. Il 10 luglio 1943 gli Alleati sbarcarono senza alcun problema in
Sicilia. Il morale popolare era a terra. Così quello dei soldati che da tre anni
combattevano e si sacrificavano senza ottenere alcun risultato positivo.
Mancavano materie prime e generi alimentari. Le città erano rase al suolo dalle
incursioni aeree e la guerra minacciava di avvicinarsi sempre più al cuore
d’Italia: Roma.
La fiducia dei gerarchi in Mussolini stava via via scemando sino all’epilogo del
25 luglio.
Il Gran Consiglio del Fascismo approvò, nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943,
l’Ordine del Giorno promosso dal gerarca Dino Grandi. Mussolini deposto; tutti i
poteri (politici e militari) nuovamente in mano al monarca Vittorio Emanuele
III1. Dopo venti anni di regime totalitario l’asse politico italiano venne sconvolto.
Il re esercitando legittimamente i suoi poteri fece arrestare Mussolini. Subito
venne nominato il nuovo capo del governo: il Maresciallo d’Italia Pietro
Badoglio2.
Così dopo due decenni gli italiani riposero la camicia nera nei cassetti e subito
si pensò alla pace. La caduta del fascismo però non (almeno apparentemente)
mutò la situazione bellica che rimase invariata. La domanda “Come avranno
reagito i tedeschi?” sorse spontanea.
Di seguito riportiamo le citazioni di alcuni rari documenti pubblicati
recentemente sul volume “I Verbali di Hitler” (Helmut Heiber, 2009, ed. Libreria
Editrice Goriziana).

Seconda riunione serale del 25 luglio 1943

Riunione delle ore 00.25 (26 luglio 1943)

Hitler sta discutendo un ordine promosso dal generale Jodl riguardante misure
militari in territorio italiano.

(…)
Jodl: ‘elevato stato d’allerta’. È probabile che queste misure siano state prese
in previsione della comparsa di truppe aerotrasportate o di partigiani.

1
Vittorio Emanuele III di Savoia, 1869-1947, Re d’Italia 1900-1946
2
Pietro Badoglio, 1871-1956, Maresciallo d’Italia, nel 1943 nominato capo del governo italiano.
Hitler: Allora è collegato a questo. Questa gente ha preparato
sistematicamente il tradimento3.
Jodl: Lo suppongo anche io. Poi c’è un altro messaggio del comandante
supremo del sud: secondo quanto comunicato dal generale Roatta4, il Duce
dopo il rapporto – questo naturalmente risale a molto prima – ha rinunciato a
trasferire la 3^ Divisione Corazzata Granatieri nei pressi di Roma, come invece
desiderava. – ‘Secondo quanto comunicato dal generale Roatta!’ Non si sa se
tutto questo sia vero.
Hitler: non credo che Roatta sia in combutta con gli altri. Quelli si odiano,
Roatta e Badoglio.

Nonostante fosse solo il 25 luglio 1943 i tedeschi avevano capito tutto della
situazione italiana. Forse avevano previsto l’armistizio con gli Alleati loro ancor
prima dello stesso Badoglio. Il movimento delle forze tedesche presenti in Italia
è l’argomento principale. I generali tedeschi in Italia devono essere a
conoscenza della situazione. Hitler opta però per una linea di non reazione
verso gli italiani. Il governo italiano e tutte le FFAA abboccheranno come pesci
all’esca che Hitler gli ha lanciato. Questa pesante distrazione del servizio di
informazione italiano ha permesso ai tedeschi di avere campo libero in Italia
dopo l’8 settembre.

(…)
Jodl: Ora l’altra questione è: non si dovrebbero fermare almeno i viaggi per
l’Italia, le comunicazione private?
Hitler: Per il momento non farei nemmeno questo.
Keitel: No, non ancora!
Hitler: Tutte le personalità importanti devono comunque prendere congedo,
quelle non avranno più alcune permesso.
Jodl: Poi ho parlato con Kesselring5. Ora, dato che sentito l’appello, ma nessuno
si è messo in contatto con lui anche se in effetti ora ci sono un nuovo
comandante supremo ed un nuovo capo del del governo, vuole prendere
contatto con il re o con Badoglio, cosa deve comunque fare?
Hitle: Deve!?! Si, deve farlo!
Jodl: Lo farà domani mattina, anche solo per sondare la situazione.
Hitler: Il buon Hube con la sua opinione: ‘Qui sono tutti fidati’!
Keitel: Hube non sapeva nulla, ha solo mandato avanti quello che --
Hitler: Vede come è pericoloso per ‘generali impolitici’ arrivare in un’atmosfera
così politica.

La linea dell’indifferenza è stata accordata da Hitler. La tattica militare porta a


prendere seriamente in considerazione la situazione di Roma e la gestione di

3
Hitler si riferisce al popolo italiano con un chiaro riferimento alle vicende belliche e politiche
precedenti la Grande Guerra.
4
Generale di Corpo d’Armata Mario Roatta (1887-1968) condannato all’ergastolo per la
mancata difesa di Roma
5
Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante della forza aerea su più fronti della guerra. Al
25 luglio era il comandante in capo tedesco della controffensiva Italo-tedesca contro gli Alleati
in Italia. Accusato di crimini di guerra e condannato a morte, accusa, mutata in ergastolo.
eventuali rapporti con il Vaticano. Lo sprovveduto (e forse timorato) gheneral
Hewel propone al Fuhrer di ostruire gli ingressi e le uscite dello Stato Vaticano.

(…)
Hewel: Non dovremmo dire di occupare le uscite del Vaticano?
Hitler: è del tutto indifferente, in Vaticano ci entro subito6. Crede che abbia
soggezione del Vaticano? Quello7 lo prendiamo subito. In primo luogo là
dentro c’è tutto il corpo diplomatico. Me ne infischio. La gentaglia è la e noi
tireremo fuori tutto quel branco di porci. … Che cosa è già … Poi in un
secondo momento ci scusiamo8, questo non ci importa. Là facciamo una
guerra…

La riunione si conclude alle 00.45 di quella stessa notte. In venti minuti di


discorso stenografato, Hitler, ha chiaramente definito come si sarebbe
comportato con gli italiani in caso di armistizio. Ha espresso nel più vile dei
modi la considerazione che aveva del pontefice e dello Stato Vaticano.
Scorrendo questi verbali si delinea come Hitler avesse una sola risposta ad ogni
quesito: “Divisioni!!!”. La sua fiducia nella sua perfetta (o almeno così
sembrava) macchina bellica era assoluta, la repressione nel sangue da parte di
intere divisioni di fanteria e di divisioni corazzate era il metodo di azione del
Fuhrer.

8 settembre 1943: l’inizio della fine

La situazione era tesa. Badoglio, il Re, lo Stato Maggiore, tutto era confuso. Il 3
settembre 1943 la missione del generale Castelleno9, inviato dal Maresciallo Badoglio
per concordare un armistizio con gli Alleati, dà i suoi frutti positivi. A Badoglio restava
solo il difficile compito di gestire gli eventi successivi all’annuncio alla nazione
dell’armistizio. I tempi si protrassero fino alla sera dell’8 settembre quando, il
Maresciallo Badoglio, prese la decisione di rifugiarsi in territorio alleato prevedendo la
dura reazione tedesca. Quasi all’unanimità tutti gli ufficiali superiori e ufficiali generali
presenti a Roma in quei giorni seguirono il Maresciallo Badoglio. L’anziano Vittorio
Emanuele III, atrofizzato da venti anni di regime fascista, si unì a Badoglio
costringendo il principe ereditario Umberto a seguirlo.
Così come Cesare varcò il Rubicone, alle 19.42 di quel 8 settembre, Badoglio
proclamò all’Italia e al mondo l’avvenuta firma dell’armistizio tra Italia ed Alleati.
Parole vaghe che facevano intendere bene solamente che la guerra era finita. Al
termine del proclama fu dato un ordine così striminzito e così vago che in pochi ne
capirono il significato: “Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-
americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però
reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.
Quale poteva essere questa “qualsiasi altra provenienza”? Ben presto le truppe
capirono contro chi avrebbero dovuto combattere (o meglio, a chi avrebbero dovuto
consegnare le armi). Così, mentre la Divisione Acqui rifiutava di arrendersi ai tedeschi,
6
Pesante affermazione che dimostra quanto Hitler vedesse il Vaticano come un ostacolo.
7
Con la parola “Quello”, Hitler, indica il pontefice Pio XII.
8
Il consenso popolare è vitale per le ambizioni di Hitler, un attacco così pesante al Vaticano
non può passare certo inosservato, le scuse sono un palliativo mirato ad affievolire gli animi.
9
Generale di Corpo d’Armata Giuseppe Castellano 1893-1977
il Maresciallo Badoglio, l’anziano Re Vittorio e altri petti colmi di decorazioni
immeritate fuggivano verso Brindisi protetti ed accuditi dagli Alleati, che fino al giorno
prima erano stati loro nemici.
Roma fu difesa per qualche ora dal solo generale Raffaele Cadorna jr comandante la
divisione corazzata Ariete. La difesa fu relativamente breve, ma intensa ed aspra; vi
parteciparono ufficiali, sottoufficiali e truppe provenienti da diversi Corpi che avevano
deciso di resistere. Dopo alcune ore di resistenza alle porte di Roma il generale
Cadorna rese la città.10
Divisioni di fanteria di linea, SS, corazzate e di fanteria alpina imperversarono e
dilagarono in tutto il Nord Italia dando inizio alla tragedia che sconvolgerà il paese per
due anni.

Figura 3: Il Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio l'8 settembre 1943

10
Testimonianza del tenente Mario Maffioli, ufficiale di Stato Maggiore partecipante alla difesa
di Roma
Sbandati
Quella sera dell’8 settembre 1943 nessuno si sarebbe aspettato di sentire il
comunicato di Badoglio. A partire dalle 19.42 di quella sera la situazione bellica
si capovolse completamente. Le divisioni tedesche in Italia raggiunsero ogni
caserma e presidio militare dando l’ultimatum di consegnare le armi. Molti
ufficiali, completamente ignari dell’armistizio, consegnarono senza vacillare le
armi. Altri più informati o semplicemente coraggiosi cercarono di difendersi
disperatamente. La macchina bellica tedesca era di gran lunga superiore a
quella italiana. Nel giro di poche ore le caserme e i presidi italiani attaccati
furono sbaragliati. Presto tra reggimento e reggimento si diffuse la notizia che
gli ex alleati tedeschi avevano attaccato le batterie costiere e le caserme
sparse sul territorio. Ci fu un fuggi fuggi generale spontaneo tra la truppa. Solo
in pochi rimasero ad aspettare (e fronteggiare) i tedeschi. Gli aeroporti furono
bloccati immediatamente, molti piloti riuscirono a fuggire sfidando la
contraerea tedesca. In altri casi gli eroici avieri imbracciarono il fucile e
difesero la propria base fino all’ultimo uomo.
I tenenti e i capitani cercarono di raggiungere i comandi di battaglione, i
maggiori i comandi di reggimento e i colonnelli i comandi di brigata e divisione.
Ogni ufficiale cercava ragguagli dal proprio superiore ma non c’era maggiore o
colonnello alcuno (generali di brigata e divisione inclusi) che avesse un quadro
chiaro della situazione. Solo i comandi di armata e lo Stato Maggiore erano
perfettamente informati della situazione. Ma questi importanti generali
(Raffaele Cadorna escluso) la sera dell’8 settembre erano già al sicuro a
Brindisi al seguito del re.
In questo clima di confusione generale ognuno pensò per sè. Dismessa la divisa
e indossati bislacchi abiti di taglie decisamente superiori o inferiori a seconda
del caso, le centinaia di soldati fecero ritorno a casa propria. Chi poteva faceva
ritorno al proprio paese, chi invece era troppo distante perché di stanza al nord
preferiva la Svizzera. Così intere compagnie di finanzieri e di carabinieri
saltarono la sbarra con l’uniforme addosso11.
La disorganizzazione regnava sovrana. E i tedeschi se ne approfittarono. Se
solo Badoglio avesse dato un ordine in più in quel comunicato, 600.000 militari
italiani non sarebbero andati in pasto al nemico, anzi, lo avrebbero rallentato.

9 settembre: i tedeschi a caccia


Dal Brennero penetrarono in Italia centinaia di soldati tedeschi. In poche ore
occuparono il paese e come un tumore maligno si insediarono in ogni valle e
ogni anfratto. Al seguito della Whermacht12 i temuti battaglioni di SS13.
All’occupazione militare del territorio seguiva la ricerca e il prelevamento di
determinate “categorie”. I primi ad essere catturati in massa furono i militari
italiani trovati in uniforme. Senza alcuna distinzione tra ufficiali e sottoufficiali,
senza alcun rispetto di convenzioni, migliaia di militari furono presi prigionieri.

11
Indossare l’uniforme regolamentare era l’unico modo per farsi accettare dalle autorità
Svizzere.
12
Esercito regolare tedesco
13
SS- schutzstaffel tedesche
Chi resisteva o si rifiutava di consegnare le armi (persino l’innocua Beretta M34
in dotazione agli ufficiali) veniva passato per le armi. I gerarchi fascisti e i militi
della Milizia rispolverarono le vecchie camicie nere e ritornarono ad appuntarsi
i fascetti sul bavero. La popolazione ebraica italiana, che dal 1938 era soggetta
a leggi razziali, rimase tranquilla per qualche giorno, molti si illusero che la
guerra non li avrebbe toccati, altri invece si prepararono ad affrontare il
peggio.
Il lago insanguinato
15 settembre 1943

Figura 4: Giovane SS sul Lago Maggiore

La popolazione ebraica italiana fu toccata dall’orrore del piano nazista il 15


settembre 1943 sulle placide sponde del Lago Maggiore. La popolazione del
lago e della vicina val d’Ossola non si era illusa con l’armistizio della fine della
guerra. I pendolari che lavoravano in centri più vicini alle città portavano
notizie sempre più inquietanti. Nella notte tra il 12 e il 13 settembre una
compagnia di SS giunse a Baveno dove erano insediati tre ospedali della Croce
Rossa Italiana. L’Ispettrice di Comitato (equivalente al grado di capitano
nell’esercito) Pina Palumbo, comandante del locale presidio di CRI, racconta di
quanto queste SS si rivelarono da subito brutali. Ragazzi alti e biondi compresi
in una fascia di età tra i sedici e non oltre i trent’anni. L’aspetto giovane ma lo
sguardo fermo e colmo di odio. Le prime ad essere minacciate furono le stesse
crocerossine che, nella notte tra il 13 e il 14 settembre, furono costrette a
barricarsi nei loro alloggi per sottrarsi alle violenze tedesche.
I primi ad essere catturati dalle SS furono gli ufficiali medici e i militari degenti
nelle strutture CRI. Gli ospedali furono inoltre razziati di attrezzature, coperte,
lenzuola e quanto altro potesse far comodo al reparto di SS.
L’Ispettrice Palumbo dovette appellarsi con forza alla Convenzione di Ginevra,
scontrandosi direttamente con il ventiquattrenne capitano Hans (il cognome
verrà reso noto decenni dopo in sede di processo), per ottenere un minimo di
rispetto.
Era l’alba del 15 settembre quando a Baveno una camionetta di SS giunse
all’Ospedale di chirurgia colma di uomini, donne e bambini ebrei che furono
rinchiusi negli abbaini della struttura in attesa della loro triste sorte.
Pina Palumbo osservando la mesta scena comprese il grave pericolo che
incombeva sulla famiglia ebrea Covo, di sua stretta parentela, che abitava a
Mergozzo, un piccolo paese affacciato sull’omonimo lago nelle immediate
vicinanze di Baveno.
Mario Covo, milanese di origine ebraica ammogliato con una mergozzese,
Alberto e Maty Arditi, ebrei di Bulgaria, nipoti di Mario Covo, furono catturati e,
presumibilmente, trucidati in loco dopo un tentativo di fuga.
Ospite dei Covo la scultrice tedesca Jenni Ziegman Mucchi che, forte della sua
nazionalità, cercò con ogni mezzo di ammansire il manipolo di SS senza però
ottenere nulla.
Quella mattina a Mergozzo un delatore filonazista agevolò il lavoro delle SS.
Nella tarda serata, dopo aver pasteggiato a casa Covo, le camionette di SS
lasciarono il paese con il loro “bottino” ed ordinando alla popolazione di
saccheggiare la villetta Covo.
La mattina dopo sul luogo della strage fu trovata una pozza di sangue di
notevoli dimensioni, gli occhiali di Alberto Arditi ed un ponte dentale.14 Dal 15
settembre in poi in tutto il territorio circostante il lago Maggiore iniziarono i
rastrellamenti di ebrei. È celebre l’episodio di Meina, dove si trovavano
numerosi ebrei sfuggiti da Salonicco dopo l’invasione tedesca. Gli ebrei
dell’Hotel Meina, i Covo di Mergozzo e altre decine di persone di origine ebraica
provenienti dai paesi circostanti furono catturati, fucilati ed affondati nel lago.
Alcuni cadaveri riaffiorarono nei giorni successivi, ma in pochi avevano capito
cosa realmente fosse accaduto. Nei giorni successivi barconi delle SS
pattugliavano il lago in cerca di cadaveri galleggianti da sventrare con le
baionette.
Un rapporto dei carabinieri del 30 settembre diede queste cifre di ebrei uccisi e
gettati nel lago: Arona 4, Meina 12, Stresa 4, Baveno 14. Stranamente i
carabinieri non contemplarono le tre vittime mergozzesi.
Inizialmente l’ordine era di condurre tutti gli ebrei catturati in un campo di
lavoro a duecento chilometri di distanza. L’alto comando delle SS di Milano
cambiò in ultimo l’ordine trasformandolo in un’esecuzione immediata.
Tra il settembre e ottobre 1943 furono trucidati, da poche decine di SS, sul
Lago Maggiore circa 56 ebrei.

Roma, 16 ottobre 1943


La Gestapo aveva dato una possibilità agli ebrei di Roma. Chi fosse riuscito a
consegnare una certa quantità d’oro si sarebbe salvato dalla cattura. Era un
sabato mattina grigio e piovoso a Roma. Nel ghetto si era lavorato tutta la
notte per fondere e racimolare quanto più oro possibile. Nel ghetto si trovavano
circa 5000 ebrei. Era l’alba quando gli agenti della Gestapo scortati da decine
di SS entrarono nel ghetto. A molti la situazione fu chiara da subito, l’oro era
solo una scusa per riempire le casse germaniche. In pochi minuti furono
catturati 1022 ebrei. Altri 4500 circa riuscirono a trovare ricovero in Vaticano. Il
ghetto fu totalmente razziato. Di 1022 ebrei deportati nei campi di sterminio e
lavoro in Polonia e Germania solo 17 fecero ritorno.
Da evidenziare è l’intraprendenza e il coraggio del medico Giovanni Borromeo.
Il prof. Borromeo creò all’Ospedale Fatebenefratelli di Roma un reparto
d’isolamento dedicato ai malati di morbo di K. Il morbo di K fu inventato dal
Borromeo per sottrarre alla cattura numerosi ebrei. Fingendo che tutti i
ricoverati erano estremamente contagiosi riuscì a tenere lontani i tedeschi
evitando così le perquisizioni. Per il suo coraggio fu decorato di Medaglia
d’Argento al Valor Civile e del titolo di Giusto tra le Nazioni. Altro luminoso
esempio di coraggio e carità fu padre Pietro Pappagallo che fornì supporto e
conforto alle vittime del nazi fascismo. Arrestato nel gennaio 1944 fu trucidato
alle Fosse Ardeatine. Fu insignito di medaglia d’oro al merito civile alla
memoria.

Mafalda Di Savoia
14
Carlo Armanini, testimonianza
Una nostra Sorella Italiana

Figura 5: la principessa Mafalda di Savoia Assia

Casa Savoia ha duramente pagato la guerra. Prima la disfatta dell’AOI che ha


visto la morte di Amedeo di Savoia, l’Eroico Duca d’Aosta che resistette alle
truppe britanniche per più di trenta giorni asserragliato nello spartano forte
dell’Amba Alagi.
Nel settembre del 1943, alla firma dell'armistizio con gli alleati, i tedeschi
organizzarono il disarmo delle truppe italiane. Badoglio e il re fuggirono al Sud,
Mafalda di Savoia (secondogenita del re Vittorio Emanuele III), partita per Sofia
per assistere la sorella Giovanna, il cui marito Boris III era in fin di vita, non fu
messa al corrente dei pericoli, forse per paura che informasse il Landgravio agli
ordini del Führer. Seppe quindi dell'armistizio mentre era in Romania. Ne venne
informata nel suo viaggio di ritorno, alla stazione ferroviaria di Sinaia, in piena
notte, dalla regina Elena di Romania, che aveva fatto fermare appositamente il
treno e aveva tentato di farla desistere dal rientro in Italia. Consiglio che
Mafalda decise di non seguire.
Con mezzi di fortuna, il 22 settembre 1943 riuscì a raggiungere Roma e fece
appena in tempo a rivedere i figli, custoditi in Vaticano da Monsignor Montini (il
futuro Papa Paolo VI).
Il 23 mattina, all'improvviso, venne chiamata al comando tedesco con urgenza,
per l'arrivo di una telefonata del marito da Kassel in Germania. Un tranello: in
realtà il marito era già nel campo di concentramento di Flossenbürg. Mafalda
venne subito arrestata e imbarcata su un aereo con destinazione Monaco di
Baviera, fu trasferita poi a Berlino e infine deportata nel Lager di Buchenwald,
dove venne rinchiusa nella baracca n. 15 sotto falso nome (Frau von Weber).
Le venne fatto divieto di rivelare la propria identità (per scherno i nazisti la
chiamano Frau Abeba). Nel campo di concentramento le viene riconosciuto un
particolare riguardo: occupa una baracca ai margini del campo insieme ad un
ex-ministro socialdemocratico e sua moglie; ha lo stesso vitto degli ufficiali
delle SS, molto più abbondante e di migliore qualità rispetto agli altri internati.
Le viene assegnata come badante la signora Maria Ruhnan Testimone di Geova
deportata per motivi religiosi; questa fu una figura molto importante per la
principessa, la quale in punto di morte chiese che il suo orologio le fosse
regalato come segno di riconoscenza. Il regime, pur privilegiato rispetto a
quello di altri prigionieri è, comunque, duro: la dura vita del campo e il freddo
invernale intenso la provarono molto. Malgrado il tentativo di segretezza
attuato dai nazisti la notizia che la figlia del Re d'Italia si trovava a Buchenwald
si diffuse.
Dalle testimonianze si apprende che i prigionieri italiani avevano sentito dire di
una principessa italiana reclusa e che un medico italiano lì rinchiuso le aveva
prestato soccorso. Si sa anche che mangiava pochissimo e che quando poteva
faceva in modo che quel poco che le arrivava in più fosse distribuito a chi
aveva più bisogno di lei.
Nell'agosto del 1944 gli anglo-americani bombardarono il Lager; la baracca in
cui era prigioniera la principessa fu distrutta. La principessa riportò gravi
ustioni e contusioni varie su tutto il corpo. Fu ricoverata nell'infermeria della
casa di tolleranza dei tedeschi del lager, ma senza cure le sue condizioni
peggiorarono. Dopo quattro giorni di tormenti, a causa delle piaghe insorse la
cancrena e le fu amputato un braccio. L'operazione è di una lunghissima,
sconcertante durata. Ancora addormentata, Mafalda viene abbandonata in una
stanza del postribolo, privata di ulteriori cure e lasciata a sè stessa. Muore
dissanguata, senza aver ripreso conoscenza, nella notte del 28 agosto 1944.
L'opinione del dottor Fausto Pecorari, radiologo internato a Buchenwald, è che
Mafalda sia stata intenzionalmente operata in ritardo (seppur con procedura in
sé impeccabile) per provocarne la morte. Il metodo delle operazioni
esageratamente lunghe o ritardate era già stato applicato a Buchenwald, ed
eseguito sempre dalle SS su altre personalità di cui si desiderava sbarazzarsi.
Il suo corpo, grazie al prete boemo del campo, padre Tyl, non venne cremato,
ma messo in una bara di legno e seppellito in una fossa comune. Solo un
numero: 262 eine unbekannte Frau (donna sconosciuta). Trascorsi alcuni mesi,
sette italiani, già appartenenti alla regia marina e rinchiusi come lei nei campi
di concentramento nazisti, non appena liberi seppero trovare fra mille la sua
tomba anonima e si tassarono per apporvi una lapide identificativa.
Il dottor Fausto Pecorari, subito dopo essere rientrato a Trieste, si recò
personalmente a Roma dal Regio Luogotenente principe Umberto per
comunicargli la triste notizia del decesso per assassinio della principessa
Mafalda. Il chirurgo nazista che la operò fu processato e condannato a morte
per crimini di guerra.
Appena estratta dalle macerie chiamò a se alcuni Internati Militari Italiani e
disse loro: «Italiani, io muoio, ricordatevi di me non come di una principessa, ma
come di una vostra sorella italiana».

Internati Militari Italiani


Vera resistenza

Figura 6: Internati Militari Italiani

In un italiano un po’ arcaico “imi” significa “di infima condizione”. È difficile


trovare una sigla più allusiva alla condizione degli Internati Militari Italiani (Imi
appunto).
La figura dell’Imi è molto particolare. Infatti l’Internato Militare non era
considerato né prigioniero di guerra da parte nazifascista né resistente da
parte partigiana.
Con l’8 settembre 1943 ebbero inizio gli arresti e le deportazioni di decine di
migliaia di militari italiani provenienti da tutte le armi. Di questi: 58.000 sul
fronte francese, 321.000 in Italia, 430.000 nei Balcani. Di questi 809.000
soldati ne dobbiamo sottrarre circa 150.000 che riuscirono a fuggire appena
dopo la cattura e circa 94.000 camicie nere della MVSN che aderirono in massa
al progetto embrionale di Salò. Di 700.000 Internati Militari circa 10.000 furono
considerati (per errore burocratico tedesco) Prigionieri di Guerra e inviati sul
fronte orientale al seguito dell’esercito tedesco come lavoratori aggregati.
Inizialmente tutti i militari catturati vennero deportati in massa in campi di
lavoro e prigionia situati tra Germania, Polonia e Olanda.
La prima umiliazione che gli Internati Militari dovettero subire fu quella del
mancato riconoscimento della condizione di “prigioniero di guerra”. Questa
abile mossa del comando germanico precluse, salvo rari casi, agli Internati
Militari il diritto di appellarsi alla Convenzione di Ginevra e di essere assistiti
dalla Croce Rossa.
Con la fondazione della Repubblica Sociale Italiana, Hitler, appoggiò il progetto
mussoliniano di costituire una forza armata fascista autonoma. Le previsioni
volevano l’istituzione di quattro divisioni armate. Furono chiamate alle armi
tutte le leve abili al combattimento, ma il numero di adesioni era comunque
troppo basso per la costituzione di quattro divisioni. Quindi, dal dicembre 1943
in avanti, fu offerto agli Internati Militari di fare ritorno in Italia servendo nelle
truppe della RSI.
Alla primavera del 1944 circa 103.000 Internati aderirono volontariamente
all’esercito repubblichino.
Quindi risultano circa 600 o 650.000 Internati Militari Italiani.
Agli Internati fu concesso di tenere l’uniforme e parte dell’equipaggiamento
(gavette, borracce, coperte e pastrani). Furono raccolti e smistati a seconda del
corpo e del ruolo ricoperto nell’Arma di appartenenza.
Così divisi furono inviati in decine di campi di lavoro sparsi per tutta Europa. Le
umiliazioni e le privazioni che gli Internati dovettero subire furono di non
indifferente portata.
Spesso le guardie tedesche erano reduci della prima guerra mondiale che,
mossi da profondo astio verso l’Italia del Piave e di Vittorio Veneto,
assoggettavano a durissime punizioni gli Internati Militari.15
I lavori che compirono gli Internati Militari furono molteplici e del più svariato
tipo.
Taluni furono assegnati a fabbriche di armamenti o industrie belliche, tal’altri
lavorarono presso fattorie ed allevamenti. Il compito più comune cui gli
Internati erano sottoposti era quello di scavare e costruire linee difensive,
infrastrutture e linee ferroviarie sul fronte orientale.
I cambi di ‘campo’ erano frequenti e significavano la morte per molti Internati
che indeboliti da fame e privazioni non reggevano alle lunghe e tortuose
marce.
Spesso gli Internati erano alloggiati in baracche autonome corredate da rozzi
tavoli e letti a castello.

15
Testimonianza di Antonio Armanini, classe 1924, arruolato il 16 Agosto 1943 nel R. Esercito,
catturato nei pressi di Cuneo il 9 settembre 1943 e deportato in Germania.
Dal settembre 1943 alla primavera del 1945 perirono circa 50.000 Internati. Di
questi: 23.300 morti per inedia e malattie, 4600 uccisi dai nazisti, 2700 periti
sotto i bombardamenti, 10.000 deceduti per cause varie legate al lavoro
forzato e circa 5.000 periti per mano sovietica sul fronte orientale.
Il rientro in patria fu altrettanto drammatico; affamati e distrutti da due anni di
internamento, gli Internati affrontarono lunghissime marce per il rientro in
Italia. Più fortunati furono quegli Internati Militari Liberati dall’armata alleata,
curati e nutriti iniziarono il rientro nel settembre ’45 per mezzo treno. Circa
7000 Internati Militari liberati dai sovietici furono inviati in Siberia nuovamente
come prigionieri. Di questi ne fecero ritorno negli anni ’50 circa 1500/2000.
Quello degli Internati Militari Italiani non fu un vano olocausto. In termini
militari gli IMI sottrassero volontariamente oltre 600.000 soldati ai nazi-fascisti
evitando così di prolungare il conflitto.
650.000 Internati Militari Italiani scelsero le stellette e la fedeltà alla propria
Patria dimostrando di essere parte attiva della Resistenza.
Gli Internati Militari scelsero la libertà.

Lavoratori coatti

Figura 7: Foto di riconoscimento di Lavoratore Coatto in Germania

“Mi offrirono l’opportunità di unirmi alla Guardia Nazionale Repubblicana, non


accettai così mi mandarono in Germania.” Cesare Moretti16 aveva sedici anni
nella primavera del 1944. Recatosi a Novara per convalidare il permesso di
continuare gli studi fu trattenuto dal locale presidio fascista.
Residenti in zone dove la concentrazione di resistenza era alta, parroci
antifascisti, operai e borghesi catturati nei rastrellamenti: queste erano le
categorie a cui veniva offerta l’opportunità di combattere per il duce. Molti di
loro rifiutarono. Un “no” che costò il campo di lavoro.

16
Cesare Moretti, classe 1926, studente internato nel 1944
Il Lavoratore coatto era una figura del tutto simile a quella dell’Internato
Militare. L’unica differenza stava nella mancanza di stellette al bavero del
pastrano.
I Lavoratori coatti furono circa 40.000. Quarantamila schiavi di Hitler che con la
loro scelta si dimostrarono uomini liberi.

Italiani brava gente?

Figura 8: Soldati dei Battaglioni "M" nei balcani

La tradizione popolare vuole che i soldati Italiani sul fronte Russo siano stati
ribattezzati “brava gente”. Già spostandosi di qualche chilometro a sud ovest,
sul fronte Greco Albanese, la reputazione del nostro popolo varia di molto in
peggio.
Nella partecipazione alla Shoah quale ruolo assunse il nostro popolo? Come
reagirono gli italiani?
La grandezza dei Giusti risalta in confronto con l’atteggiamento più comune:
deportazioni e retate non videro gli italiani come semplici spettatori attoniti e
impotenti di fronte al crimine tedesco. Quel crimine fu anche italiano. Tutto
ebbe inizio nel 1938, Mussolini emanò, quasi completamente di propria
iniziativa, le leggi razziali. La nazione era troppo ubriaca per la vittoria
imperiale di Addis Abeba da non accorgersi della reale gravità delle leggi
emanate. Re Vittorio era troppo insignificante per poter difendere i suoi italiani
di stirpe ebraica. Nemmeno il fascistissimo quadrumviro Italo Balbo che si
pronunciò in un ardimentoso ed infuocato discorso in sede di Gran Consiglio
riuscì a preservare la popolazione ebraica dalle leggi razziali.

L’unico baluardo di difesa della dignità umana della popolazione ebraica si


trovò nella Chiesa di Roma. Agli occhi del mondo la scelta della Santa Sede di
mantenere dei rapporti diplomatici con la Germania Nazista apparve
incomprensibile. Pio XI, abbattuto ed attonito dagli ultimi eventi, avrebbe
immediatamente tagliato ogni contatto con la brutale nazione tedesca. Però
l’abile cardinale Pacelli (futuro Pio XII) comprese al meglio la situazione e studiò
una linea di azione precisa. Alla provocazione di Pio XI “Come può la Santa
Sede tenere là ancora un nunzio? Ne va di mezzo il nostro Onore!”, Pacelli
rispose esponendo le proprie convinzioni: “Santità, e dopo noi che facciamo?
Come potremmo mantenere un legame coi vescovi tedeschi? (…) Il regime non
ristabilirebbe di nuovo le relazioni senza concessioni da parte nostra.” (Da un
verbale redatto il 9 marzo 1939 nel contesto di un colloquio tra il neo eletto Pio
XII ed alcuni vescovi). Esplicito segnale. La Chiesa non aveva chiuso un occhio
sulle persecuzioni agli ebrei e alle altre “categorie” ritenute non ariane. I
Vescovi tedeschi avrebbero lavorato con il pieno appoggio della Chiesa per
contrastare quanto possibile il regime. Gli effetti di questa linea produssero tra
i fedeli tedeschi numerosi esempi di bene caritatevole silenzioso ma efficace
nella sua capillarità.

Altri luminosi esempi di generosità e bontà arrivano proprio da quel


settembre/ottobre 1943. Dal Lago Maggiore al ghetto di Roma compaiono
splendidi esempi di prontezza d’animo e generosità che salvarono la vita a
numerosi ebrei. Si potrebbe citare l’esempio di un alto dirigente del PNF
Milanese, Marcia su Roma e quant’altro, che, venuto a conoscenza della
situazione, non esitò ad inviare la moglie e la figlia ad avvertire la famiglia
ebrea che soggiornava nel paese in cui erano sfollati 17. Il 16 ottobre 1943 a
Roma tutti i telefoni di ebrei squillarono, amici, parenti, correligiosi che
cercarono in ogni modo di mettere in salvo i propri cari. I portinai ebbero un
ruolo di gran peso nel salvare o perdere vite. Tradimenti o aiuti inaspettati. Una
linea comune per il popolo italiano è indefinibile. Esaltati e traviati dal regime
fascista, i giovani fascisti ebbero a Roma un ruolo più determinante delle SS
nella “caccia all’ebreo”.
Man mano la personalità corrotta di spietati uomini d’armi o d’affari uscì allo
scoperto. Privi di alcuna pietà si resero colpevoli al pari delle SS nelle
deportazioni e nelle denunce.
Ci furono molti “giusti” che si privarono del loro cibo e dei loro effetti personali
pur di salvare una vita.

Numeri

Dopo l’armistizio l’Italia si spaccò in due blocchi, da quella data il suolo italiano
e la popolazione conobbe il vero significato della guerra.
• Circa 8.000 persone di stirpe ebraica
• Circa 600.000 Militari Italiani sbandati
• Circa 40.000 civili sottoposti a lavoro coatto
• Circa 30.000 Italiani effettivi nelle Brigate Nere nella primavera 1945
• Circa 15.000 volontari Italiani nei reparti di SS Italiane
• Circa 558.000 Italiani aderirono alle FFAA della RSI dal 1943 al 1945
• Furono formate circa 1152 unità partigiane legate al CLN
• Circa 22.000 uomini entrarono nel Corpo Italiano di Liberazione

Stragi, retate ed Eccidi compiuti su suolo


Italiano
• Mergozzo (15 settembre 1943)
• Lago Maggiore (settembre 1943)
• Strage di Meina (22-23 settembre 1943).
• Eccidio di Gressoney (11 ottobre 1943). Uccisione di Ettore Ovazza e
della sua famiglia.
• Retata al ghetto di Roma (16 ottobre 1943)
• Retata alla sinagoga di Genova (3 novembre 1943)
• Eccidio di Ferrara (15 novembre 1943)
• Prima retata al ghetto di Venezia (31 dicembre 1943).

17
Marilena Pavan, testimonianza
• Retata a Trieste (20 gennaio 1944)
• Eccidio delle Fosse Ardeatine (24 marzo 1944). 75 delle 335 vittime della
rappresaglia erano ebrei.
• Eccidio di Casa Pardo Roques (Pisa, 1 agosto 1944). 7 delle 12 vittime
erano ebrei, incluso Giuseppe Pardo Roques.
• Strage di Rignano (3 agosto 1944). Nella Villa del Focardo, nel comune di
Rignano sull'Arno, milizie naziste uccisero la moglie e le due figlie di
Robert Einstein, cugino di Albert Einstein.
• Seconda retata al ghetto di Venezia (17 agosto 1944).
• Strage di Cuneo (25 aprile 1945). 6 profughi ebrei fucilati dalle Brigate
Nere in fuga.

Campi di concentramento e transito istituiti su


suolo Italiano
• Campo di transito di Fossoli
• Campo di transito di Bolzano (maggio 1944 - maggio 1945)
• Risiera di San Sabba (Trieste)
• Campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo (Cuneo) (settembre
1943 - febbraio 1944)
• Alessandria: Campo di concentramento di San Martino di Rosignano. Per
donne straniere
• Ancona: Campo di concentramento di Senigallia, presso la Colonia marina
UNES. VI passarono 20-30 ebrei trasferiti a Fossoli nel maggio 1944.
• Aosta: Campo di concentramento di Aosta, presso la Caserma Mottina. Gli
internati furono trasferiti a Fossoli in tre riprese: 20 gennaio 1944, 17
febbraio 1944 e 16 marzo 1944.
• Asti: Campo di concentramento di Asti, presso il Palazzo del Seminario di
Asti. Gi internati furono trasferiti a Fossoli in febbraio, e quindi in maggio
con tappa nelle carceri di Torino e Milano.
• Cuneo: Campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo. Circa 30
internati.
• Ferrara: Campo di concentramento di Ferrara, nei locali del Tempio
Israelitico di rito italiano. Gli internati furono trasferiti a Fossoli in tre
riprese: 12 febbraio 1944, 25 febbraio 1944 e 6 marzo 1944.
• Firenze: Campo di concentramento di Bagno a Ripoli, presso la Villa La
Selva. I prigionieri furono trasferiti a Fossoli il 26 gennaio 1944 per essere
deportati il 30 gennaio 1944 da Milano.
• Forlì: Campo di concentramento di Forlì, presso l'Albergo Commercio di
Corso Diaz.
• Frosinone: Campo di concentramento di Servigliano (Ascoli Piceno)
• Genova: Campo di concentramento di Coreglia Ligure (spesso
erroneamente definito Campo di concentraemento di Calvari di Chiavari)
(12 dicembre 1943 - 21 gennaio 1944). Per il campo passarono 29 ebrei,
tutti deportati a Milano, via Genova.
• Grosseto: Campo di concentramento di Roccatederighi, presso la Villa del
Seminario di proprieta' della Curia vescovile. Due trasferimenti a Fossoli:
18 aprile 1944 e 11 giugno 1944.
• Imperia: Campo di concentramento di Vallecosia, presso la Caserma.
• Lucca: Campo di concentramento di Bagni di Lucca, presso la Villa
Cardinali in localita' Bagni Caldi. I prigionieri furono trasferiti a Milano il
25 gennaio 1944.
• Macerata: Campo di concentramento di Sforzacosta. Vi furono rinchiusi
anche gli ex detenuti del campo di internamento di Urbisaglia.
Trasferimento a Fossoli in marzo.
• Mantova: Campo di concentramento di Mantova, presso la Casa di Riposo
Israelitica. Deportati il 5 aprile 1944.
• Milano: campo di concentramento di Milano, presso il carcere di San
Vittore
• Padova e Rovigo: Campo di concentramento di Vo' Vecchio (Padova),
presso la Villa Contarini-Venier. (3 dicembre 1943 - 17 luglio 1944).
Trasferimento alla Risiera di San Sabba.
• Parma: Campo di concentramento di Salsomaggiore, presso il Castello
degli Scipioni (per gli uomini) e Campo di Monticelli Terme, presso
l'Albergo Bagni (per le donne e i bambini) (6 dicembre 1943 - 9 marzo
1944). Trasferimento a Fossoli.
• Perugia: Campo di concentramento di Perugia, presso l'Istituto
Magistrale.
• Piacenza e provincia: Campo di concentramento di Cortemaggiore
• Ravenna: Campo di concentramento di Ravenna, presso le carceri.
• Reggio Emilia: Campo di concentramento di Reggio Emilia, prima presso
Casa Sinigaglia, poi a Villa Corinaldi e infine a Villa Levi di Coviolo.
• Roma: Campo di concentramento di Roma, presso il carcere di Regina
Coeli.
• Savona: Campo di concentramento di Spotorno
• Sondrio: Campo di concentramento di Sondrio, presso gli Uffici Sanitari
del Comune in via Nazario Sauro.
• Teramo: Campo di concentramento di Teramo, presso la caserma
Mezzacapo, e Campo di Servigliano (Ascoli Piceno).
• Venezia: Campo di concentramento di Venezia, presso la Casa di Riposo
Israelitica nel ghetto di Venezia (dai primi di dicembre 1943 al 31 dello
stesso mese).
• Vercelli: Campo di concentramento di Vercelli, nella cascina Ara Vecchia
di proprieta' del Comune, e poi nella Casa di Riposo Vittorio Emanuele III.
• Verona: Campo di concentramento di Verona, presso la Caserma B,
locata nella Torre comunale-scaligera della Porta Rofiolana, in via
Pallone.
• Vicenza: Campo di concentramento di Tonezza del Cimone, presso la
Colonia Umberto I (20 dicembre 1943 - 30 gennaio 1944). Per il campo
passarono 45 ebrei di cui 42 deportati a Auschwitz.
• Viterbo: Campo di concentramento di Viterbo, nel carcere di S. Maria in Gradi.

Stazioni ferroviarie di partenza dei convogli per i


campi in Europa
• Stazione di Merano (16 settembre 1943). Primo convoglio di deportati
dall'Italia, destinazione Auschwitz.
• Stazione di Roma Tiburtina (18 ottobre 1943). Deportazione di 1023 ebrei
dalla retata al ghetto di Roma. Destinazione Auschwitz
• Stazione di Firenze Santa Maria Novella e Bologna (9 novembre 1943).
• Stazione di Borgo San Dalmazzo (Cuneo) (21 novembre 1943).
Destinazione Auschwitz, via Nizza Drancy.
• Da Milano e Verona (6 dicembre 1943) e da Trieste (7 dicembre 1943).
Destinazione: Auschwitz (11 dicembre 1943).
• Trieste (6 gennaio 1944). Arrivo ad Auschwitz (12 gennaio 1944).
• Trieste (28 gennaio 1944). Arrivo ad Auschwitz (2 febbraio 1944). Include
gli anziani della Pia Casa Gentiluomo e Ospizio israelitico della città.
• Stazione di Milano Centrale, binario 21, e Verona (30 gennaio 1944).
Arrivo ad Auschwitz (6 febbraio 1944). Deportazione di circa 600 ebrei.
• Stazione di Borgo San Dalmazzo (Cuneo) (15 febbraio 1944).
Destinazione: campo di transito di Fossoli.
• Campo di transito di Fossoli (19 febbraio 1944). Arrivo a Auschwitz (23
febbraio)
• Campo di transito di Fossoli (22 febbraio 1944). Arrivo ad Auschwitz (26
febbraio 1944). Include Primo Levi.
• Trieste (26 febbraio 1944). Arrivo ad Auschwitz (1 marzo 1944).
• Trieste (29 marzo 1944), Arrivo ad Auschwitz (4 aprile 1944)
• Campo di transito di Fossoli, Mantova e Verona (5 aprile 1944). Arrivo ad
Auschwitz (10 aprile 1944).
• Trieste (27 aprile 1944). Arrivo ad Auschwitz (30 aprile 1944).
• Campo di transito di Fossoli (16 maggio 1944). Arrivo a Bergen-Belsen
(20 maggio 1944). Arrivo a Auschwitz (23 maggio 1944).
• Milano (19 maggio 1944). Arrivo a Bergen-Belsen (23 maggio 1944).
• Trieste (1 giugno 1944). Arrivo ad Auschwitz (3 giugno 1944).
• Trieste (12 giugno 1944). Arrivo ad Auschwitz (16 giugno 1944).
• Trieste (21 giugno 1944). Arrivo ad Auschwitz (25 giugno 1944).
• Campo di transito di Fossoli e Verona (26 giugno 1944). Arrivo ad
Auschwitz (30 giugno 1944).
• Trieste (11 luglio 1944). Arrivo ad Auschwitz (14 luglio 1944).
• Trieste (31 luglio 1944). Arrivo ad Auschwitz (3 agosto 1944).
• Verona (2 agosto 1944). Arrivo ad Auschwitz (6 agosto 1944).
• Trieste (11 agosto 1944). Arrivo ad Auschwitz (16 luglio 1944).
• Trieste (2 settembre 1944). Arrivo ad Auschwitz (2 settembre 1944).
• Trieste (3 ottobre 1944). Arrivo ad Auschwitz (9 ottobre 1944).
• Bolzano-Gries (24 ottobre 1944). Arrivo ad Auschwitz (28 ottobre 1944).
• Bolzano-Gries (14 dicembre 1944). Arrivo ad Ravensbruck e Flossenburg.
• Milano Centrale (30 gennaio 1944). Arrivo ad Auschwitz.
Bibliografia
- Pina Palumbo, “Il Vissuto”

- Helmut Heiber “I verbali di Hitler”

- Roberto Beretta “Italiani nei lager: fu vera Resistenza”, Avvenire 12 ottobre 2009

- Wikipedia, enciclopedia online

- Paolo Bologna, Autori Vari, “Quando i picasass presero le armi”

Potrebbero piacerti anche