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Scaletta

 INTRODUZIONE
 STORIA + ED. CIVICA
 ITALIANO
 FILOSOFIA
 LATINO
 ARTE
 INGLESE
 FISICA
 SCIENZE

INTRODUZIONE

Il rapporto intellettuali/potere si può declinare lungo tre direttrici:

1) il peso, di varia natura, e spesso la fascinazione, che il potere – inteso come il potere dei poteri, ossia
quello politico, ma anche il potere economico, e infine il quarto potere, il potere dei media – esercita sugli
intellettuali;

2) il potere che gli intellettuali, in quanto tali, ossia svolgendo le proprie attività, esercitano (potere
culturale, in genere);

3) il potere direttamente politico, o almeno mediatico – che ha assunto nel corso del secolo scorso una
dimensione impensabile –, che gli intellettuali ambiscono, spesso, ad esercitare.

Guardando al passato potremmo fare molteplici esempi di intellettuali e il loro rapporto con il potere o
viceversa. Potremmo fare rifermento alla figura del mecenate, che solitamente era una figura in vista
nell’ambiente politico del tempo. Il mecenate era colui che sosteneva economicamente e che rendeva
conosciuto l’intellettuale, nell’antica Roma. Un altro esempio è sicuramente Galileo Galilei e il suo rapporto
con la Chiesa, (Galileo Galilei sosteneva che il sole era al centro dell’universo e la terra girava attorno al
sole, è il contrario per la chiesa) solo dopo circa 400 anni il vaticano ha cancellato la condanna nei confronti
dello scienziato
Se guardiamo alla storia degli intellettuali nel Novecento – chiamato «il secolo degli intellettuali»,
prendendo come punto di partenza l’Affaire Dreyfus, negli anni Novanta dell’Ottocento –, non avremo
soverchie difficoltà a scorgere, variamente incrociati, tali elementi, tutti connessi al tema decisivo del
potere. In fondo, fin dalla loro prima espressione collettiva – l’automobilitazione per la difesa dell’ufficiale
dello Stato Maggiore Alfred Dreyfus (i servizi segreti francesi trovarono nell’ambasciata tedesca materiali
utilizzati dall’esercito francese- venne accusato solo a causa delle sue origini ebraiche) , nella Francia della
fine XIX secolo, percorsa da forti tendenze antisemite. Un altro esempio è sicuramente quello del rapporto
tra fascismo e intellettuali antifascisti.

STORIA FASCISMO

(*)Fasci di combattimento= movimento fondato da Benito Mussolini il 23 marzo del 1919 a Milano, piccolo
gruppo politico di ideologia molto confusa e velleitaria. Il manifesto politico venne chiamato San Sepolcro
dal nome della piazza milanese dov’era la sede in cui si tenne la riunione di fondazione del movimento. In
un primo momento si collocò politicamente a sinistra, battendosi per radicali riforme sociali (minimo
salariale, giornata lavorativa i 8h, gestione dell’impresa estesa ai rappresentanti dei lavoratori). Mussolini
cambiò radicalmente la gestione del movimento che fu caratterizzato dall’aggressività verbale dei suoi
membri e la violenza della loro condotta (il 15 aprile 1919 i Fasci attaccarono e incendiarono la sede del
giornale socialista “l’Avanti”). Successivamente da un semplice movimento i fascisti entrarono nelle liste
comuni, dopo divennero un partito e grazie alla marcia di Roma si instaurarono nel governo. L’atrocità di
questo regime verrà segnata radicalmente dal delitto Matteotti

DOPOGUERRA italiano LA STORIA

Tra la fine del 1919 e l’inizio del 1921 vennero formate le squadre d’azione fasciste che organizzavano
spedizioni punitive contro socialisti e organizzazione contadine. Lo squadrismo ottenne immediatamente
l’appoggio finanziario della borghesia terriera desiderosa di una rivalsa, ma raccolse militanti soprattutto tra
gli ex combattimenti, tra i giovani, nelle file della piccola borghesia.

Giolitti decise di indire nuove elezioni nel maggio 1921. I fascisti, che entrarono in liste comuni con liberali e
gruppi di centro, continuarono a ricorrere alla violenza in modo sistematico durante la campagna
elettorale. Le elezioni furono un insuccesso per i liberali e così Giolitti rinunciò a guidare il governo.

Nel novembre del 1921 Mussolini decise di trasformare il suo movimento in Partito Nazionale Fascista,
modificandone significativamente il programma:

- Si dichiarò favorevole alla monarchia


- Sostenne l’opportunità di una politica economica

Dopo aver reso più credibili il PNF come forza di governo, Mussolini il 24 ottobre 1922 riunì migliaia di
camice nere e ordinò di marciare su Roma. Nei giorni successivi, il re, nonostante le sollecitazioni del
governo, decise di non fare intervenire l’esercito e di affidare a Mussolini l’incarico di formare un nuovo
governo.

Tra il 1922 e il 1924 Mussolini guidò un governo di coalizione costituito anche da liberali e popolari. Tra i
provvedimenti assunti in questo periodo merita ricordare:

- La riforma della scuola varata da G. Giolitti (5 anni di scuola elementare + scelta liceo o scientifico o
classico, questi erano gli unici canali per entrare all’università a stampo scientifico)
- La legge Acerbo(14 novembre 1923) che riformò il sistema elettorale in senso maggioritario (la
legge stabiliva che alle nuove elezioni chi avesse ottenuto almeno il 25% dei voti e comunque la
maggioranza relativa avrebbe preso due terzi dei seggi disponibili- Giolitti non fu d’accordo)= il 6
aprile 1924 i fascisti ottennero una vittoria schiacciante.(ottenne il 65% dei voti)
- La creazione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (che legalizzò di fatto lo squadrismo)

Possiamo affermare che il fatto simbolico che segnò l’inizio del regime fascista fu il delitto Matteotti,
avvenuto il 10 giugno del 1924 da parte degli squadristi, segretario del Partito Socialista unitario.
Matteotti venne ucciso perché il 30 maggio 1924 pronunciò un discorso in cui denunciava violenze
brogli dei fascisti durante le elezioni. Vi fu un crollo della popolarità di Mussolini. L’opposizione si
dichiarò disponibile a rientrare in Parlamento solo dopo il ripristino della legalità e l’abolizione della
Milizia (secessione dell’Aventino). Nel 1925, in un discorso della camera, Mussolini si assunse tutta la
responsabilità. Era l’annuncio dell’inizio della dittatura fascista degli arresti e delle restrizioni che in
pochi giorni resero impossibile la vita dei partiti d’opposizione.

Il 1925 il fascismo fece approvare una serie di leggi dette fascistissime:

-unico partito politico (PNF), venne vietata l’esistenza di altri partiti e venne sostituito

-la figura del Presidente del Consiglio venne sostituita dal “capo del governo”

-al capo del governo venne riconosciuto il potere legislativo

- fu sostituita la carica del sindaco con il podestà

Il fascismo o agli albori chiamato fasci di combattimento (*) nasce come movimento politico fondato
da Benito Mussolini nel 1919 ma, tra il 1922 ed il 1943, si trasforma gradualmente in un regime totalitario. 
A partire dal 1926 la politica culturale del fascismo fu orientata a reprimere il dissenso attraverso la
censura ‒ con il controllo preventivo di qualsiasi pubblicazione (compito affidato al Ministero della Cultura
Popolare) ‒ e la soppressione della libertà di espressione e tramite la persecuzione giudiziaria e
l’aggressione fisica degli oppositori.

Inoltre, venne messo in atto un accurato programma per la promozione del consenso che prevedeva una
propaganda attraverso i mezzi di comunicazione di massa (la radio e il cinema con l’Istituto Luce, e
l’organizzazione di manifestazioni celebrative).
Furono create organizzazioni giovanili fasciste (come l’Opera Nazionale Balilla), legate anche allo sport.
In questo periodo vennero fondate istituzioni culturali quali l’Istituto Fascista di Cultura, l’Istituto della
Enciclopedia Italiana e l’Accademia d’Italia, fondata con il compito di “promuovere e coordinare il
movimento intellettuale italiano nel campo delle scienze, delle lettere e delle arti, di conservare puro il
carattere nazionale (art. 2 dello Statuto).

Benedetto Croce e Giovanni Gentile

I due intellettuali che hanno maggiormente contribuito a caratterizzare il primo Novecento furono
Benedetto Croce e Giovanni Gentile che, insieme, avevano fondato nel 1903 la rivista La Critica.
La loro collaborazione terminò quando Gentile aderì al fascismo, ricoprendo importanti incarichi: fu
ministro della Pubblica Istruzione nel 1922 e redasse nel 1925 il Manifesto degli intellettuali fascisti, con
cui cercò di delineare le basi politiche e ideologiche della nascente dittatura e giustificarne gli interventi
violenti e illiberali.
Tra i firmatari del manifesto troviamo Luigi Pirandello, Ardengo Soffici, Antonio Beltramelli, Curzio
Malaparte, Giuseppe Ungaretti, Guido da Verona, Bruno Barilli, Ferdinando Martini.
Qualche mese dopo arrivò la risposta di Benedetto Croce che, su invito di Giovanni Amendola, nel 1925,
stilò il Manifesto degli intellettuali antifascisti.
Il documento venne firmato da giornalisti, filosofi, politici, artisti e letterati tra cui Giovanni Amendola, Luigi
Einaudi, Sibilla Aleramo, Attilio Momigliano, Corrado Alvaro, Piero Calamandrei, Eugenio Montale,
Gaetano Salvemini.
Croce, per il ruolo che gli veniva unanimemente riconosciuto, poté continuare a operare per tutto il
ventennio senza essere ostacolato dalla censura, a patto che non intervenisse direttamente nella vita del
regime. Il Manifesto fu l’ultimo atto ufficiale del tentativo fatto da parte del mondo culturale di opporsi alla
dittatura. Secondo Norberto Bobbio, Benedetto Croce : “ fu la coscienza morale dell’antifascismo italiano”
L’opposizione: Gramsci e Gobetti
Due figure di spicco tra gli intellettuali in netta opposizione al nascente regime fascista e che sostennero la
necessità di un diretto coinvolgimento degli intellettuali nella politica, sono quelle di Antonio Gramsci e
Piero Gobetti. Entrambi furono messi a tacere, il primo con il carcere e il secondo con le persecuzioni e
l’esilio.
Gramsci, tra i fondatori del PCI insieme a Bordiga e Togliatti, dedicò la sua intensa attività di giornalista e
scrittore (crea e dirige, oltre a L’Unità, le riviste Grido del Popolo e L’Ordine Nuovo) non solo
all’organizzazione politica della classe operaia, ma soprattutto alla sua crescita culturale, per emanciparla
dall’egemonia borghese.
In tal senso, riteneva fondamentale il ruolo educativo degli intellettuali, sostenendo, in contrasto con
quanto affermava Croce, la necessità di conciliare l’impegno culturale con quello politico, attraverso la
militanza all’interno del partito.
Gobetti, principale esponente dell’antifascismo liberale cercò, finché la morte non lo colse giovanissimo nel
1926, sia attraverso la collaborazione con L’Ordine Nuovo di Gramsci, sia attraverso le pagine del
settimanale da lui fondato La Rivoluzione Liberale, di conciliare il liberalismo borghese con le richieste del
socialismo. La stessa prospettiva è presente anche nella rivista di cultura e letteratura Il Baretti da lui
fondata nel 1924.
L’eredità di Gobetti fu raccolta nel 1929 dal movimento Giustizia e Libertà che si costituì clandestinamente
a Parigi intorno a Gaetano Salvemini e di cui fecero parte Carlo Rosselli ed Emilio Lussu.
Le riviste
Il dibattito culturale durante il regime è fortemente caratterizzato dalle vicende di alcune riviste su due
posizioni opposte: le riviste che difendono l’autonomia totale dell’arte e dell’intellettuale dalla politica
(La Ronda, Solaria e Letteratura) e quelle che in un modo o nell’altro si confronteranno con i valori del
regime, facendosene portavoce (L’Italiano, Il Selvaggio), proponendo una critica interna (900, Primato),
oppure opponendo una visione radicalmente diversa (Il Baretti, La cultura).
Caratteristica è stata la polemica tra Strapaese e Stracittà, portata avanti dalle riviste Il Selvaggio e 900, in
cui venivano contrapposti due modelli culturali diversi: centrato sulla mitizzazione dei valori rurali, agresti e
tradizionali del popolo italiano il primo, sulla necessità di un’apertura alla cultura moderna ed europea il
secondo. Il dibattito tuttavia si ridusse per lo più a sterili polemiche, tanto che Pavese lo definì una
“caricatura letteraria”. 4
I precursori delusi: Marinetti e D’Annunzio
(nella foto: Mussolini e D’Annunzio, dal sito http://ichef.bbci.co.uk)
Il percorso di Filippo Tommaso Marinetti e di Gabriele D’Annunzio, seppure con presupposti ed esiti
differenti, presenta degli aspetti in comune. In primo luogo, alcune caratteristiche della loro poetica e della
loro biografia (il mito del superomismo, il vitalismo e il dinamismo aggressivo e anti-borghese)
anticiparono in un certo senso il clima in cui maturò il fascismo. Tuttavia, in seguito al ridimensionamento
dello spirito rivoluzionario, i due autori rimasero delusi e si ritirarono. Entrambi ricevettero riconoscimenti
ufficiali, ma non contribuirono a determinare gli orientamenti della politica del regime che, di fatto, cercò di
imbrigliare la loro carica rivoluzionaria, con la nomina all’Accademia d’Italia per Marinetti e con il ritiro al
Vittoriale di D’Annunzio.
L’adesione problematica di Pirandello e Ungaretti
L’adesione ufficiale di Pirandello al regime avvenne all’indomani del delitto Matteotti quando lo scrittore
s’iscrisse al partito e in seguito firmò il Manifesto di Gentile. Pirandello riconosceva al fascismo una carica
rivoluzionaria capace di abbattere le convenzioni sociali; la sua opera, tuttavia, rimarrà sempre lontana da
ogni compromesso con la propaganda fascista.
La posizione di Ungaretti è quanto mai problematica e costituisce tuttora una questione aperta per la critica
letteraria. L’adesione al regime, testimoniata dalle sue scelte (firmatario del Manifesto di Gentile, membro
fondatore e successivamente, nel 1937, presidente dell’Accademia d’Italia), risulta infatti in netto contrasto
con il carattere apolitico e la riflessione sull’esperienza del male e della morte nella guerra proprie della
sua poesia.

ED. CIVICA INTELLETTUALI E POTERE

«È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. In deroga all'articolo 48,
sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dalla entrata in vigore della Costituzione, limitazioni
temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista.»
(XII disposizione transitoria e finale della Costituzione della Repubblica Italiana)

La XII disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana vieta la riorganizzazione del Partito


Nazionale Fascista.
Pur essendo inserita tra le disposizioni transitorie e finali, ha carattere permanente e valore giuridico pari a
quello delle altre norme della Costituzione. [1] Per questo motivo è più corretto parlare, riguardo al primo
comma, di XII disposizione finale.[2] Autorevole dottrina sottolinea che la sua collocazione tra le disposizioni
transitorie è sorretta da ragioni di mera opportunità e rappresenta un dato puramente formale. [1] Il
secondo comma, contenente limitazioni temporanee all'elettorato attivo e passivo per i gerarchi fascisti, ha
invece carattere transitorio.
ITALIANO:UNGARETTI E IL FASCISMO

"Patria e rivoluzione: ecco il grido nuovo. (...) Aderisco ai fasci di


combattimento, il solo partito che intende la tradizione e l'avvenire, in modo
genuino."

(in: Il Popolo d'Italia, 13 novembre 1919).

Non abbiamo alcuna notizia di un ripensamento di Ungaretti sulla sua adesione al


fascismo, neppure dopo la sua caduta.

L'adesione al fascismo da parte di Ungaretti è un problema notevole della critica


letteraria e biografica, che andrebbe indagato a fondo e che non è mai stato preso
seriamente in considerazione. Le sue poesie contro la guerra e poi la sensibilità e
l'umanità dimostrata dal poeta sono in stridente contraddizione con l'adesione ad un
movimento che faceva delle persecuzione politica e poi dell'alleanza con il nazismo
(anche avallando e praticando direttamente le persecuzioni ebraiche), i suoi mezzi di
lotta correnti. Contraddizione ancor più evidente se si pensa al nuovo massacro del
secondo conflitto mondiale, del tutto simile a quello a cui si riferiva e che condannava lo
stesso Ungaretti nelle sue liriche del 1915 - 1916. Ungaretti visse personalmente questo
periodo. Nel 1924, per esempio, non si ha notizia di una sua reazione di fronte
all'omicidio del deputato socialista Matteotti. Certo, nel 1944 scrisse nuovamente contro
la guerra: "Non gridate più", e la raccolta del "Dolore". E tuttavia mantenne i suoi
rapporti con il fascismo ed addirittura le sue relazioni personali con Mussolini, che gli
fece avere la cattedra universitaria Roma.

La poesia “ Non gridate più”, tratta dalla raccolta del “Dolore”, affronta il tema della
sofferenza privata e il tema della tragedia pubblica, legato alle vicende della Seconda
Guerra Mondiale (tratto da un fatto di cronaca, ossia il bombardamento alleato del cimitero
romano del Verano

Cessate d’uccidere i morti,


Non gridate più, non gridate
Se li volete ancora udire,
Se sperate di non perire.
Hanno l’impercettibile sussurro,
Non fanno più rumore
Del crescere dell’erba,
Lieta dove non passa l’uomo.

Ungaretti si rivolge si rivolge ai superstiti della seconda guerra mondiale e li esorta non
rendere vana la morte di milioni di esseri umani. Nella poesia, Ungaretti vorrebbe che le
grida di sofferenza e dolore tacessero , dando ascolto alla voce di pace che viene dai defunti,
una voce che appare lieve e impercettibile, perché sfugge all’orecchio degli individui di
oggi, divenuti incapaci di riscoprire la propria umanità. Quindi analizzando questa poesia ci
sempre paradossale che un uomo segnato dal dolore, dalla guerra e dalle atrocità della vita,
possa aderire ad un governo violento e che ha causato la morte di migliaia di essere umani.

L'adesione di Ungaretti al fascismo rimane dunque una grande ombra sulla sua vita e
sulla sua integrità morale. D'altra parte la sua poesia e le sue riflessioni, cariche di
umanità, testimoniano la genuinità della sua lirica che non era certo al servizio del
"regime".

Resta quindi, in sede biografica, l'interrogativo: come si conciliava in Ungaretti l'alta


valenza morale ed umana delle sua poetica con la propria posizione politica? E' possibile
che il dissidio tra poetica e prassi giunga fino a limiti così estremi e, se sì, perché?
FILOSOFIA HANNAH ARENDT

[Il Novecento è un’epoca ricca di contraddizione perchè da una parte è il secolo della diffusione dell’idee di
democrazia e libertà, quindi possiamo dire una reale espansione dei diritti civili, dall’altra parte è stato il
secolo delle due grandi guerre, dei totalitarismi e della Shoah]

Una filosofa e politologa del Novecento, o anche conosciuta come l’autrice della banalità del male, Hannah
Arendt si interrogò su cosa fossero e da cosa e/o da chi avessero impulso i regimi totalitari scrivendo
“L’origine del totalitarismo”. La tesi centrale è che il totalitarismo è una forma politica radicalmente nuova,
e sostanzialmente diversa dalle forme storicamente note di potere autoritario, come il dispotismo, la
tirannide e la dittatura. Laddove ha preso il potere, infatti, il totalitarismo - diversamente dalle altre forme
autoritarie - ha distrutto le tradizioni politiche e l'ordine sociale precedente. Il totalitarismo, secondo la
Arendt, porterebbe all'estremo le caratteristiche della società di massa, tra cui l'isolamento e
l'intercambiabilità degli individui. Il totalitarismo non pretende solo la subordinazione politica degli
individui, ma invade e controlla anche la loro sfera privata. Il totalitarismo distrugge quello che Arendt
chiama lo spazio pubblico, ossia quella dimensione che abbiamo visto mettere in relazioni gli esseri umani
ma al contempo li distingue e li separa. In questo senso soltanto i regimi totalitari – che per arendt sono il
regime nazionalsocialista e regime stalinista sono riusciti a eliminare il singolare per l’universale, le parti per
il tutto. Per Arendt il totalitarismo procede manipolando la realtà così come è data, sia idealmente-
attraverso la propaganda- sia operativamente- attraverso il terrore e i campi di concentramento- appunto
da farla scomparire entro quella idea che funge da unica indiscussa premessa dell’ideologia. Sia che si tratti
dell’idea di una società senza classi come il comunismo sovietico, sia dell’idea di una razza Ariana superiore
chiamata a dominare la terra il nazismo, la dinamica del totalitarismo consiste nell’eliminare ciò che
potrebbe contraddire e tracciare la realizzazione dell’assunzione di partenza. In questo senso arent
concepisce il totalitarismo come l’espressione più estrema della razionalità poietica: esso vuole dimostrare
un’ideologia politica fondatrice di una prassi concreta che in grado persino di trasformare la natura umana.
Il cuore e il simbolo del fenomeno totalitario è il campo di sterminio, interpretato da Arendt come il
“laboratorio”. Il campo è insomma la verità ultima del totalitarismo poiché è il luogo in cui si mette in
opera la modificazione della realtà umana. In altre parole, l’universo proprio dei campi di concentramento
serve a dimostrare che l’essere umano , annientato prima come persona giuridica poi come persona
morale, infine come individualità unica e singolare, è riducibile a un fascio di reazione animali che
cancellano ogni traccia di libertà e spontaneità. In un certo senso possiamo dire che i totalitarismi
manipolano la realtà per eliminare i possibili ostacoli all’idea di partenza. Secondo Arendt il totalitarismo è
un male radicale e accostare la radicalità del male con la banalità del male è un atto paradossale: un male
tanto estremo come quello rappresentato dai totalitarismi novecenteschi non può essere compreso come
il progetto di attori demoniaci e malvagi. Secondo arendt i totalitarismi disumanizzano gli uomini,
riducendoli a ingranaggi dell’apparato statale. Totalitarismi e quindi i campi di concentramento, devono
contare sul supporto e la collaborazione di una vasta parte della società che contribuisce attivamente con la
sua opera o che fa finta di non vedere il crimine mostruoso che si consuma sotto i propri occhi quindi per
Arendt banalmente e semplicemente gli uomini della società del tempo risultano allineati agli ordini
superiori tali ordini prescrivono di uccidere non un nemico di guerra ma persone che non rispondono ai
parametri di umanità stabiliti dal regime: gli ebrei.
LATINO SENECA E NERONE

In età augustea esisteva una figura, quella del mecenate, che proteggeva e incoraggiava la produzione
artistica, fra gli intellettuali che vennero protetti sicuramente conosciamo Orazio e Virgilio. A questo
mecenatismo dell’età augustea, si può contrapporre la censura e il dispotismo in età imperiale.
Infatti,l’ampio potere di cui godevano gli imperatori influenzò inevitabilmente il rapporto con gli
intellettuali dinnanzi al dispotismo politico gli autori potevano scegliere la strada dell’adulazione o
dell’opposizione all’impero. In effetti, nonostante le tendenze più o meno autarchiche dei vari imperatori,
tutti esercitarono il pugno di ferro nei confronti di intellettuali ostili o che abusavano della apparente libertà
di parola concessa.. La vita che condussero gli intellettuali, durante la dinastia Giulio Claudia non fu una
delle migliore, un esempio ricorrente è sicuramente quello tra Seneca e i due imperatori: Claudio e Nerone.
Nel 41 la sposa dell’imperatore Claudio, Messalina lo convinse a esiliare Seneca in Corsica con l’accusa di
essere coinvolto nell’adulterio di Giulia Livilla, sorella di Calligola. Seneca tentò di riconciliarsi con
l’ambiente della corte di Claudio e scrisse il 'Consolatio ad Polybium' dove esaltava la figura dell’imperatore,
il suo operato e la sua clementia, successivamente scrive anche la laudatio funebris, che viene pronunciata
in Senato. Poco tempo dopo però compone l' apokolokyntos, con cui si scaglia contro Claudio e i suoi
comportamenti. Dopo l’uccisione di Claudio da parte di Agrippina (sorella di Giulia Livilla), la seconda
moglie dell’imperatore, il potere passò a Nerone, figlio di primo letto di Agrippina, appena diciassettenne.
Seneca venne richiamato da Agrippina che lo usò come strumento per la conquista del potere, facendone di
lui il precettore di Nerone. Nella prima parte dei principato di Nerone, Seneca lo affianca, tentando di
insegnare all'imperatore le giuste doti che un sovrano deve possedere, ponendo un freno etico alle azioni
da compiere. Il tema del potere si rintraccia in tutta la produzione di Seneca, ma è evidente nell’opera ‘De
Clementia’. Queta opera, sicuramente dedicata a Nerone, è l’espressione del pensiero politico di Seneca e
corrisponde ad un manifesto sul buon governo di un principe moderato: l’esatto opposto di cio che Nerone
avrebbe poi dimostrato. Il Buon governo è ispirato alla dottrina stoica del potere e si fonda su questo
principio: come tutto l’universo è diretto da una forza divina che lo amministra e lo governa (Logos), così in
uno stato il monarca deve assicurarsi la pace e la prosperità ispirandosi alla Ragione, la stessa che il dio usa
per amministrare l’universo. Bisogna praticare giustizia, moderazione e mansuetudine. Solo con gli uomini,
che sono “animali ribelli”, accetteranno l’autorità del sovrano. Il conclusione Seneca propone, nel de otio,
una collaborazione intellettuale- principe, basata sulla figura del 'rex iustus' ovvero il sapiente stoico al
governo, che aiuta il principe a compiere le sue scelte in modo giusto. Frase celebre di Seneca a Nerone: “Il
tuo potere ha origine nella mia paura. Se io non ho paura, tu perdi il potere”.

INGLESE: ANIMAL FARM GEORGE ORWELL

The author who experienced totalitarianism was George Orwell, he speaks about this theme in his works,

Animal Farm and 1984.Animal Farm is a political fable describing how the animal of a farm rebel against

their cruel master . The book expresses Orwell’s disillusionment with totalitarianism in the form of an

animal fable. It is a dystopian novel influenced by Swift’s Gulliver’s Travels. the “dystopia” that was its

counter-force, its contrary, the anti-utopia. As utopia concentrated on the positive, so dystopia painted the

most negative, the blackest picture possible of the present and the future. While the utopian order was

perfect in the moral sense, the dystopian order destroyed all forms of moral sense creating a society in
which there is the victory of the tyranny. It is set on a farm where a group of oppressed animals, led by

Napoleon, overcome their cruel master and set up a revolutionary government. As timepasses, Napoleon’s

leadership becomes a dictatorial regime. All the Seven Commandments are abandoned and only one

remains: ‘all animals are equal but some animals are more equal than others’. We have got a sad

conclusion because at the end of the story the other animals see pigs and man drinking toghether to

celebrate their new found harmony. The sad conclusion: revolution is doomed to fail and result in a new

form of oppression when the workers/animals lack their social consciousness. Animal Farm is not only a

satire on the Soviet Union, but a satire on dictatorship in general, as the name ‘Napoleon’ shows.Animal

Farm shows how the initial idealism of the revolution gradually decayed into inequality, hierarchy and

finally dictatorship. Animal Farm does not attack the original ideals of the Revolution but the ways in which

they were betrayed. Gradually, the privileges and abuses of the old regime are restored in a systematic,

tyrannical form: this is what Orwell means by totalitarianism. The animal are a metaphor for workers in

modern society, they are exploited.

ARTE: DADAISMO
Con il terrore della prima guerra mondiale molti artisti ed intellettuali si
rifugiarono in Svizzera, neutrale e non partecipante al conflitto. Fu proprio in questo ambiente che nacque il
movimento dei Dada che è un nonsenso per definizione: il nome del movimento infatti non significa nulla.
La scommessa dei dadaisti è di riscattare l’umanità dalla follia che l’ha portata alla guerra. Dunque questo
movimento si contrappone al futurismo, esaltazione della lotta, proponendo l’azzeramento di tutti i
valori in quanto questi hanno prodotto l’orrore della guerra. Non valendo più nulla i principi precedenti, né
l’arte passata, i dada si propongono di ridare agli uomini la forza di essere ancora tali, attraverso la
creazione di un’arte elementare.
Duchamp, artista dada, inizialmente cubista e futurista, inizia sin da subito a sperimentare la tecnica del
ready made, ovvero pronto all’uso: questa consisteva nell’uso di oggetti di uso quotidiano nel campo
artistico; il significato profondo di questa provocazione è nel riproporre oggetti scontati come arte,
spiazzando l’osservatore e stravolgendo le sue prospettive.
Opera di maggiore privazione, che ha aizzato la critica e le polemiche è la Fontana, niente altro che un
orinatoio dei gabinetti pubblici maschili rovesciato. La beffa dell’opera è spiegata dallo stesso autore:
l’orinatoio è un oggetto usuale della vita e lo ha collocato in modo tale che il suo uso abituale è
scomparso, grazie al nuovo titolo e punto di vista che ha creato un nuovo modo di pensare questo oggetto.
Arte dunque non è più fare ma scegliere, sottraendosi agli schemi mentali che incasellano la
realtà. Il movimento del Dadaismo nasce negli anni della guerra, contro la guerra e contro tutta la cultura
che lo precede, compresi gli altri movimenti d’avanguardia.
Tema portante e filo conduttore della corrente è il “caso”: a tragedia della prima guerra mondiale dimostra
che il progresso non conduce necessariamente a condizioni di vita migliori, che la storia non è un flusso
tendente al bene ma un caotico susseguirsi di eventi sul quale l’uomo non ha controllo, gli artisti dada
accolgono quindi il caso anche come regola dell’arte.
Ostile alla società borghese, il Dadaismo ne combatte i valori, le regole e i canoni estetici
"Dada è contro Dada, Dada è contro tutti"

SCIENZE: I VACCINI ED EDWARD JENNER

Concludendo potremmo fare sicuramente riferimento ad uno degli scienziati che ha rivoluzionato la scienza
di tutti i tempi sto parlando di Edward jenner uno scienziato britannico che ha scoperto il primo vaccino in
assoluto, quello contro il vaiolo (Il vaiolo è una malattia altamente contagiosa causata dal virus del
vaiolo, un orthopoxvirus. Provoca il decesso in una percentuale che arriva fino al 30% dei casi.
L'infezione naturale è stata eradicata. La principale preoccupazione per lo scoppio di epidemie è legata
al bioterrorismo. Si manifesta con sintomi sistemici gravi e un caratteristico rash pustoloso) . La
scoperta di jenner non è stata solo una scoperta epocale ma jenner ha dato la possibilità per la prima volta
a tutta l’umanità di poter sconfiggere il potere delle malattie infettive che distruggono il corpo umano.

Un vaccino è un farmaco che induce lo sviluppo di una memoria quindi unitaria che protegge una persona
quando viene a contatto con un determinato agente patogeno. I vaccini sono quindi farmaci preventivi
virgola che bloccano l’insorgere di una malattia prima ancora che compaiono i sintomi si basano sulle
inoculo di uno o più antigeni ovvero le componenti molecolari del patogeno in grado di attivare una
risposta immunitaria analoga a quella che si avrebbe in caso di malattia naturale. Nel caso di un secondo
incontro con il patogeno le cellule della memoria immunitaria precedentemente generati dal bacino
entrano in azione e lo eliminano appunto. I vaccini che abbiamo oggi a disposizioni possono essere
raggruppati in due categorie principali: i vaccini tradizionali e i vaccini di nuova generazione. I vaccini
tradizionali hanno origine da esperimenti condotti da appunto Edward jenner. Questi vaccini hanno
contribuito a contenere la diffusione di molte malattie non solo il vaiolo ma anche la poliomelite la difterite
il morbillo e la rosolia. Ovviamente multe formulazioni possono presentare i rischi per esempio, un virus a
attenuato può ritornare alla forma pienamente patogena in questo caso parliamo di retro mutazione e
causare quindi la malattia. Oggi invece sono disponibili vaccini più efficaci basati su proteine ricombinanti o
su vettori virali o su vaccini RNA come nel caso del vaccino contro il COVID. Un bacino ad RNA può essere
assemblato in tempo in tempi molto brevi e vista la tendenza a degradarsi rapidamente una volta
nell’organismo, LRN potrebbe garantire maggiore sicurezza nei confronti di effetti indesiderati

I vaccini ricombinanti sono forme più sofisticate dei vaccini ad antigeni purificati in cui gli antigeni non
derivano dal patogeno naturale, ma sono proteine prodotte con le tecniche del DNA ricombinante. Un
esempio di vaccini ricombinanti eh sicuramente il vaccino contro il papilloma virus quindi la HPV.

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