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IL CRIMINE

Breve analisi del comportamento


deviante

Deborah Mazzone III I


Liceo Classico Mario Cutelli, Catania
Esame di Stato
2014/2015

INTRODUZIONE
Il presente lavoro nasce dal desiderio di un primo approccio a quella
che vorrei diventasse la mia futura professione, e dal desiderio di
conoscere quali siano le dinamiche che spingono lessere umano a
provare godimento nella sofferenza altrui e quali quelle che
spingono la societ allinteresse morboso verso il crimine, come
dimostrano i media di oggi. In questa breve trattazione cercher di
trovare una risposta a queste domande ricorrendo al panorama
storico e letterario dal mondo classico a oggi, soprattutto attraverso
lausilio della psicanalisi freudiana.
Partendo da unanalisi etimologica, si osserva che la derivazione
del termine crimine di facile acquisizione, basta cercare in
qualsiasi dizionario, etimologico o generale. Il termine deriva da un
verbo documentato nel latino arcaico e classico e da qui passato
direttamente allitaliano. Si tratta di cerno-is, creui, cretum, cernere,
della terza coniugazione in -ere con il significato di base di passare
al setaccio, in latino cribrum, quindi scegliere molto accuratamente,
anche composto con preposizioni che ne accentuano determinate
caratteristiche sappiamo che i termini sorgono sempre in un
contesto concreto e successivamente vengono tropizzati, traslati,
comunque collegati in qualche misura alla semantica concreta che
ha connotato la loro origine. Ora la scelta conseguenza di una
decisione, si scelto quando si deciso di per un oggetto o laltro,
per una questione o laltra. Con questo senso di decidere di
derivazione metonimica il verbo ed i sostantivi ad esso connessi
sono passati direttamente nel linguaggio giuridico latino, questo gi
in epoca arcaica, assumendo appunto il significato di decisione
giudiziaria, di tribunale, cos anche decretum, decreto, come
decisione giuridica, come cosa decisa giuridicamente, con valore di
legge. Crimine, latino crimen, per quanto possa sembrare
diversamente di primo acchito, deriva esso stesso dal verbo cerno,
forma
greca
affine
krino,
attraverso
un
processo
di
metonimizzazione, ossia passando dal significato di decisione
giudiziaria, quindi anche condanna, alloggetto su cui si esplica
detta decisione, detta condanna, sentenza, ossia sul crimine
appunto, sul fatto compiuto su cui il giudice deve decidere. Il
significato originario dunque non si riferisce allefferatezza
dellazione criminosa, quanto allazione di esaminare attentamente,
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con la massima cura, quindi di decidere soprattutto in ambito


giudiziario, della Giustizia, dove lattenzione deve essere massima,
quindi si riferisce alloggetto delle decisioni dei giudici, ai crimini. Il
termine crimine dunque ha il significato molto ampio di fatto che
cade sotto la decisione del giudice, il quale decide quando vi sono
azioni che contravvengono alla legge con la sopraffazione di una
delle parti da parte appunto del criminale.
Da un punto di vista prettamente sociologico, possiamo considerare
i fenomeni identificabili con il nome di criminalit come casi
particolari di devianza. In particolare, relativamente al concetto di
criminalit, dobbiamo far riferimento alla definizione di devianza
intesa come comportamento che viola le regole normative, le
intenzioni o le attese dei sistemi sociali ed (quindi) connotato
negativamente dalla maggioranza dei membri di quei sistemi
sociali. Quando le regole sociali sono formalizzate in norme
giuridiche che configurano reati e prevedono pene corrispettive,
linsieme di azioni che le disattende viene detto criminalit. I reati
quindi costituiscono una sotto-categoria dei comportamenti di
deviazione dal modello culturale. In quest'ottica, la criminalit pu
essere considerata un fenomeno di relativamente semplice
definizione: i reati, infatti, sono individuati e circoscritti
dall'ordinamento giuridico in vigore. Nella storia del pensiero
criminologico ci si sempre chiesti: perch certi attori commettono
atti devianti o criminali? Il primo tentativo di rispondere a tale
quesito stato effettuato dalla Scuola classica, nata nel XVIII
secolo sulla scorta del movimento illuminista, secondo cui le azioni
degli individui sono rette da un principio di razionalit. Tradotto nel
linguaggio penale, ci esprime lidea che, nella scelta se
commettere un atto criminale, un individuo decider di deviare
qualora tale atto gli consenta di massimizzare il proprio piacere. Nel
corso del XIX secolo, invece, emerge una visione che considera la
devianza come un prodotto sociale. Allinterno di questo paradigma
sociale troviamo due importanti teorie: la prima linterpretazione
sociologica della devianza ad opera di Durkheim, che propone una
concezione relativistica della criminalit secondo cui criminale un
comportamento che viene giudicato negativamente dalla maggior
parte dei membri di una collettivit; e quella della Scuola di
Chicago, che studia il comportamento umano adottando il
paradigma ecologico, in cui gli esseri umani sono visti come
animali sociali modellati dalla loro dipendenza dallambiente in
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cui vivono. Secondo tale teoria si ritiene che i tassi di criminalit


sono pi elevati nella zona della citt caratterizzata da un livello
maggiore di disorganizzazione sociale. Ispirandosi alla teoria
ecologica
Sutherland
elabora
una
teoria
evolutiva
del
comportamento criminale: il comportamento criminale appreso
attraverso linterazione con altre persone in un processo di
comunicazione. Infine, vi sono dei teorici che propongono una
spiegazione della devianza che inverte la relazione tra
comportamento deviante e controllo sociale: la reazione sociale
contribuisce a rafforzare le carriere devianti.

1. LAGGRESSIVITA SECONDO FREUD


luomo non una creatura mansueta, bisognosa damore,
capace al massimo di difendersi quando attaccata; vero invece
che occorre attribuire al suo corredo pulsionale anche una buona
dose di aggressivit. Ne segue che egli vede nel prossimo non
soltanto un eventuale soccorritore ed oggetto sessuale, ma anche
un oggetto su cui pu magari sfogare la propria aggressivit,
sfruttarne la forza lavorative senza ricompensarlo, abusarne
sessualmente senza il suo consenso, sostituirsi a lui nel possesso
dei suoi beni, umiliarlo, farlo soffrire, torturar lo ed ucciderlo. Homo
homini lupus: chi ha il coraggio di contestare questa affermazione
dopo tutte le esperienze della vita e della storia? Questa crudele
aggressivit di regola in attesa di una provocazione, oppure si
mette al servizio di qualche altro scopo, che si sarebbe potuto
raggiungere anche con mezzi meno brutale. In circostanze che le
sono propizie, quando le forze psichiche contrarie che
ordinariamente la inibiscono cessano doperare, essa si manifesta a
anche spontaneamente e rivela nelluomo una bestia selvaggia, alla
quale estraneo il rispetto per la propria specie (). Se la civilt
impone sacrifici tanto grandi non solo alla sessualit ma anche
allaggressivit delluomo, allora intendiamo meglio perch luomo
stenti a trovare in essa la sua felicit. Di fatto luomo primordiale
stava meglio poich ignorava qualsiasi restrizione pulsione. In
compenso la sua sicurezza di godere a lungo di tale felicit era
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molto esigua. Luomo civile ha barattato una parte della sua


possibilit di felicit per un po di sicurezza.
Da Il
disagio della civilt, vol. X
Come noto, mentre la psicologia comportamentale studia
attentamente il comportamento cos come si manifesta
all'osservatore, la psicoanalisi si propone, pi ambiziosamente, di
studiare anche gli stati soggettivi e le possibili motivazioni
sottostanti, costruendo ipotesi esplicative sulle dinamiche inconsce,
soprattutto alla luce dei significati legati alla storia personale
dell'individuo. Sono in particolare le forze motivazionali e i significati
che il soggetto attribuisce all'esperienza il principale focus di
attenzione della psicoanalisi, ed in questo senso che la
psicoanalisi "psicologia dinamica". Queste forze, queste
dinamiche, queste motivazioni o spinte ad agire sono in maggiore o
minore equilibrio tra loro, e il loro insieme unitario e relativamente
stabile, frutto anche della storia personale, rappresenta la
personalit. Freud ancora nel 1937, quindi due anni prima di morire,
scriveva a Marie Bonaparte a proposito dell'aggressivit: "L'intero
argomento non stato trattato a fondo, e ci che ebbi a dire in
proposito nei miei scritti precedenti era cos prematuro e casuale
da meritare scarsa considerazione". Non potevano esservi dubbi
sull'importanza
dell'aggressivit
per
una
comprensione
soddisfacente di tutta una fenomenologia psicopatologica che
comprendeva ad esempio la delinquenza, la violenza, il
masochismo, il suicidio, ecc. Come noto, Freud tentava di
costruire un modello dell'apparato psichico partendo dalla sua
teoria della libido. Si possono comunque notare tre fasi nel percorso
di Freud mentre lavorava attorno alla emozione aggressiva: in una
prima fase, prima del 1915, l'aggressivit viene concepita quasi
esclusivamente come un aspetto della libido o comunque come al
servizio della libido; in una seconda fase, corrispondente a Pulsioni
e i loro destini del 1915, l'aggressivit viene concepita come
indipendente dalla libido e ascrivibile alle pulsioni dell'Io (o di
autoconservazione); e infine in una terza fase, dopo il 1920,
l'aggressivit non pi considerata una manifestazione delle
pulsioni dell'Io, ma come manifestazione di una autonoma pulsione
di. Questo criterio cronologico per non interpreta fedelmente il
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percorso freudiano, perch il passaggio da una fase all'altra non


sempre corrisponde all'abbandono di ipotesi precedenti, ma ad un
approfondimento di indagine, a una maggiore complessit e
riflessione, dove il mutamento di prospettiva non sempre reso
esplicito. Il critico Caprara ha individuato nell'opera freudiana tre
ipotesi differenti che coesistono spesso parallelamente tra loro:
l'ipotesi di una pulsione originaria eterodistruttiva; l'ipotesi di
un'aggressivit come reazione alla frustrazione; l'ipotesi che
riconduce l'aggressivit alla proiezione di un originaria pulsione
autodistruttiva o di morte. In una prima fase di ricerca, non da
escludere che Freud condividesse la diffusa convinzione del suo
tempo circa l'esistenza di istinti autonomi di natura aggressiva,
anche se non chiaro se l'aggressivit alla quale fa riferimento sia
in un qualche modo prodotta da una precedente seduzione subita o
sia invece l'espressione di quegli istinti. Potrebbe avvalorare
l'ipotesi istintivista l'influenza esercitata su Freud dalla lettura di
Darwin, come d'altro canto potrebbe avvalorare l'ipotesi
ambientalista-reattiva l'importanza da Freud attribuita, in quei
tempi, alla realt esterna. Ne L'interpretazione dei sogni, del 1899,
Freud racconta molti sogni a contenuto aggressivo, ad esempio
sogni di "controdesiderio", di punizione, di morte di persone care, e
cos via. Caprara osserva che Freud, se vero che viene colpito da
questi sogni, mostra una certa resistenza a riconoscere in alcuni di
essi la propria aggressivit. Alcuni sogni masochistici vengono
spiegati con la trasformazione della componente aggressiva nel suo
contrario. L'ostilit, l'ambivalenza, la rivalit tra genitori e figli e tra
fratelli (tematiche che gettano le basi della successiva elaborazione
del complesso edipico) vengono spesso espresse nei sogni,
mostrando quindi una lettura dell'aggressivit come reattiva,
difensiva, principalmente funzionale alla soddisfazione di bisogni.
Vediamo quindi tutte le varie ipotesi prima accennate, quelle di
un'aggressivit
e
di
un'autodistruttivit
originarie
(che
spiegherebbero rispettivamente il sadismo e il masochismo), e
quella reattiva, come risposta alla frustrazione e volta
all'allontanamento di ostacoli o pericoli. Ma a partire dal 1905, con
i Tre saggi sulla teoria sessuale, che il discorso sull'aggressivit
diventa pi sistematizzato. Nel primo dei Tre saggi, quando affronta
il problema delle aberrazioni sessuali del sadismo e del
masochismo, Freud dice: "Il sadismo corrisponderebbe allora ad una
componente
aggressiva
della
pulsione
sessuale,
resasi
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indipendente ed esagerata, che usurpa per spostamento la


posizione principale". Qui dunque Freud fa rientrare una
componente aggressiva all'interno della pulsione sessuale. Ma nel
secondo dei Tre saggi subito non esclude l'esistenza di
un'aggressivit non riducibile a semplice componente della pulsione
sessuale, e sottolinea l'importanza di una "pulsione di
appropriazione" che pu assumere connotazioni aggressive: "Con
un'indipendenza ancora maggiore dalle altre attivit sessuali legate
a zone erogene, si sviluppa nel bambino la componente crudele
della pulsione sessuale. E' lecito supporre che il moto crudele derivi
dalla pulsione di appropriazione e si presenti nella vita sessuale in
un'epoca in cui i genitali non hanno ancora assunto la loro
posteriore funzione". Entrambe le ipotesi, quella di una pulsione
aggressiva originaria e quella di un'aggressivit reattiva (sia alla
pulsione sessuale che alla pulsione di appropriazione), sono
discusse da Freud nel Caso clinico del piccolo Hans, del 1908: da un
lato Freud accenna a "tendenze crudeli e violente della natura
umana" (p. 563), che negli stadi infantili sembrano senza freni, e
dall'altro accenna alla aggressivit come reazione alla frustrazione.
Tuttavia, come osserva ancora Caprara, la resistenza ad accettare
l'ipotesi di una specifica pulsione aggressiva pi marcata che in
passato. Con Totem e Tab, del 1913, Freud ritorna sulla questione
di una pulsione aggressiva, e ne ipotizza una autonomia su base
storico-culturale, attribuendo ad essa una enorme importanza per lo
sviluppo dell'organizzazione sociale. Rimane tuttavia discutibile se
tali tendenze rinviino ad un'aggressivit originaria o, piuttosto, a dei
desideri aggressivi rimossi. Anche in Pulsioni e loro destini, del
1915, notevole il rilievo che viene assegnato all'aggressivit. Pi
chiaramente che in passato, l'aggressivit si configura in questo
saggio come una manifestazione delle pulsioni dell'Io tese
all'autoconservazione e al controllo della realt. In particolare
l'aggressivit viene a configurarsi come l'espressione tipica delle
pulsioni dell'Io di fronte alla frustrazione. L'aggressivit e l'odio qui
scaturiscono non da un originale bisogno e desiderio di arrecare
dolore, poich "l'infliggere dolore non ha niente a che fare con gli
originari comportamenti finalizzati della pulsione", quanto piuttosto
dal desiderio di allontanare e respingere ci che , in qualsiasi
forma, occasione di dispiacere:
L'Io odia, aborrisce, perseguita con l'intenzione di mandarli in
rovina tutti gli oggetti che diventano per lui fonte di sensazioni
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spiacevoli, indipendentemente dal fatto che essi abbiano per lui il


significato di una frustrazione del soddisfacimento sessuale o del
soddisfacimento dei suoi bisogni di autoconservazione. Si pu
addirittura asserire che gli autentici archetipi della relazione di odio
non traggano origine dalla vita sessuale ma dalla lotta dell'Io per la
propria conservazione e affermazione.
In queste ultime parole Freud addirittura pare arrivi a negare alla
sessualit un ruolo primario, in favore di altre esigenze di
autoconservazione ancor pi pressanti. Seguendo questo rapido
excursus storico delle posizioni di Freud sulla aggressivit, ci
avviciniamo alla prima guerra mondiale, che sicuramente influenz
Freud profondamente. Nel saggio Considerazioni attuali sulla guerra
e sulla morte, del 1915, sembra riprendere vigore l'ipotesi di
un'aggressivit pulsionale originaria che anticipa i successivi
sviluppi teorici. Di fronte alla guerra sembra impossibile rinunciare
all'ipotesi di impulsi malvagi originari che soltanto l'educazione e la
civilt, non senza fatica, riescono a tenere a freno: la morte non pu
pi essere negata e con essa non possono essere negati gli impulsi
"a sopprimere tutti coloro che ci sbarrano il passo la prontezza ad
uccidere l'estensione e l'importanza degli inconsci desideri di
morte l'impulso ostile che avvertiamo nel nostro intimo"; di fronte
alla morte occorre "sopportare la vita: questo pur sempre il primo
dovere di ogni individuo". Pare che la guerra abbia esercitato una
influenza cos profonda su Freud, tanto che cinque anni dopo, nel
suo fondamentale saggio Al di l del principio di piacere, del 1920,
approda alla sua definitiva contestualizzazione dell'istinto di morte,
rassegnandosi all'idea di un istinto autonomo, biologico, deputato al
dissolvimento della sostanza vivente, di quiete assoluta, "al di l del
principio di piacere" o al di l del principio di vita. Ma questo saggio
di Freud tanto affascinante, geniale e ricco di stimoli quanto
contraddittorio, alternante tra il biologico e lo psichico, tra
osservazioni cliniche e teorizzazioni astratte e filosofiche, e,
probabilmente influenzato anche da dolorose tematiche affettive
quali la perdita di alcuni suoi familiari e la incombenza sempre pi
sentita della propria morte. In questo saggio Freud concepisce una
polarit vita-morte, che riflette il modo con cui dovremmo affrontare
la vita e nel contempo accettare l'idea della sua transitoriet,
rappresentante effettivamente la polarit dialettica di ogni lavoro
clinico e anche la polarit di ogni tappa evolutiva, intesa come il
prevalere dei processi costruttivi e aggregativi rispetto a quelli
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distruttivi e disgregativi. L'esperienza di tali resistenze alla vita


tuttavia diversa nelle varie tappe evolutive, nelle differenti
condizioni di vita in rapporto ai sostegni forniti dal nostro patrimonio
biologico e da ci che il nostro organismo trova nell'ambiente, ed
diversa da individuo a individuo. Nell'opera L'Io e l'Es, del 1922,
viene enunciata la pi compiuta formulazione dell'apparato psichico
alla quale giunge l'indagine freudiana. Freud, nel proporre il
concetto di Super-Io, differenziazione dell'Io ed erede del complesso
edipico, coglie questa occasione per riaffermare la dualit delle
pulsioni di vita e di morte. A ben vedere per con l'introduzione del
concetto di Super-Io fa il suo ingresso anche una precisa
teorizzazione del rapporto tra individuo ed ambiente, nel senso che
le primitive cure materne, cio le esperienze infantili e i rapporti coi
genitori, vengono poi interiorizzate ed avranno una influenza nel far
pendere il piatto della bilancia del conflitto tra le forze costruttive e
le forze distruttive all'interno del soggetto. Se un bambino viene
amato adeguatamente imparer ad amare e a crescere, se invece
viene maltrattato e abbandonato imparer ad odiare la vita e gli
altri esseri umani. Pare dunque che qui si profilino le tracce di una
moderna teoria degli affetti, a partire dalle primitive esperienze
piacevoli o spiacevoli, per revisionare la teoria della motivazione in
psicoanalisi sulla base della teoria delle relazioni oggettuali. La
problematica dell'aggressivit viene riproposta da Freud ne Il
disagio della civilt, del 1929, rielaborata in termini psico-sociali.
Viene proposta una antitesi ineliminabile tra l'uomo e la civilt, la
quale costruita sulla repressione - e idealmente sulla rimozione,
cio con una stabile difesa inconscia - delle pulsioni, che per loro
natura sono disadattive. Su questo tema romantico elaborer anni
dopo, a ponte tra psicoanalisi e marxismo, il Marcuse (1955) di Eros
e civilt, riproponendo uno scontro immanente tra le forze vitali
(l'Eros) e la societ civile: il conflitto, prima ancora di rivelarsi
all'interno del soggetto, apparterrebbe alla vita, al rapporto tra
l'uomo e la societ in cui vive, se non addirittura tra uomo e natura,
in un "disadattamento" perenne (vengono in mente le parole del
poeta romantico Alfred Tennyson [1809-1892]: "Natura, rossa nel
dente e nell'artiglio"). Ne Il disagio della civilt il pessimismo di
Freud e la sua convinzione che all'interno dell'uomo esista una forza
distruttrice di natura pulsionale, che minaccia la societ civile,
raggiungono il loro apice. In passato Freud sembrava pi ambiguo
sul ruolo di questa aggressivit rispetto ad un tipo di aggressivit
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che invece era determinata dalla frustrazione della libido. Ora


l'istinto di morte, chiamato anche mortido o Thanatos, pare
irriducibile, porta alla sua necessaria repressione che poi la causa
principale del "disagio della civilt", sperimentato come sentimento
di colpa e come angoscia morale. La civilt costruita sulla rinuncia
pulsionale proprio perch il Super-Io si forma sulla base dei divieti e
delle sanzioni del mondo esterno, interiorizzato appunto come
istanza psichica la cui intensit proporzionale alla forza stessa
delle pulsioni.

2. IL CRIMINE NEL MONDO GRECO E LATINO


Nella letteratura greca la figura della donna sempre stata
trattata in modo ambiguo. Una sorta di figura ferina capace di moti
irrazionali e tempestosi e allo stesso tempo spinta da slanci di
amore innati e appassionati. Vi sono moltissime tipologie di donna,
da Penelope, la donna dedita solo al rispetto e alla fedele
conservazione della famiglia, ad Andromaca, la donna vittima della
societ della guerra, sottomessa alla morale. Gi con Antigone ci
avviciniamo ad una orgogliosa ribellione verso le imposizioni sociali.
Antigone si scontra con la morale comune decidendo di seguire la
propria volont in accordo con il volere divino. Moltissime dunque
sono le figure femminili che sfilano nel panorama della letteratura
greca, dalle pi grandi alle pi apparentemente secondarie:
Cassandra,
Alcesti,
Ifigenia,
Giocasta,
Nausicaa,
Elena,
Clitemnestra, Ecuba, Ecale, tutte portatrici di alcuni valori essenziali
e dominanti dellindole femminile. Gli autori di queste opere ci
offrono diverse chiavi di lettura di ogni animo, dunque a distanza di
secoli nessuno ha potuto svelare completamente i moti, i caratteri,
le azioni e le pulsioni di queste donne. Un emblema di questa
molteplicit dinterpretazione resta naturalmente Medea. Folle per
odio o per amore?
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Proprio alla figura di Medea Apollonio Rodio ha dato, nel suo poema,
grande rilievo. La nota saliente il modo in cui lautore ha
tratteggiato la figura di unadolescente innamorata, stupita e
disorientata di fronte al nuovo sentimento che sentiva nascerle in
seno. Medea, dal primo momento che vede Giasone, rapita da lui;
ella grida non appena lo vede; prova una sensazione che non
ancora amore ma indice di un sentimento a lei sconosciuto. In
seguito Apollonio indugia nel descrivere Medea che, tornata a casa,
pensa e ripensa a Giasone, a quelluomo che le sembra il pi bello
di tutti, ai suoi gesti, al suo modo di camminare, di parlare; si sente
attratta verso quelluomo e non sa ancora perch. E un sogno che
rivela a Medea il suo amore, o meglio Medea che lo confessa a se
stessa attraverso lincoscienza del sogno, arrivando addirittura ad
autoconvincersi che Giasone arrivato l solo per portarla via con se
e farla sua sposa. Certo, perch il sogno si avveri, ella sa che
Giasone deve, comunque, portare a termine limpresa per cui
ufficialmente giunto in quella citt: rubare il vello doro. Inoltre,
limpresa difficile e la fanciulla non pu neanche sopportare lidea
che alluomo di cui si innamorata possa succedere qualcosa: deve
aiutarlo. Ma aiutare Giasone significa tradire la sua gente, la sua
famiglia. Pensa allora di diventare sua complice e poi suicidarsi, ma
cos comunque attirerebbe il disonore su di lei e sulla sua famiglia;
infine, decide di uccidersi subito, per non compiere unazione
terribile e infamante. Medea, per, pur sempre una giovinetta e,
subito dopo aver pensato alla morte, torna in lei, prepotente, la vita
ed ella ricorda quanto le sia cara. Tormentata da tali pensieri,
Medea indugia qualche tempo sul da farsi ed un ritratto finemente
psicologico quello che ne traccia Apollonio: Medea dibattuta,
lacerata e altalenante tra vari, discordi e impetuosi pensieri. Inoltre,
una figura del tutto originale nellambito della letteratura
amorosa; per la prima volta, con Apollonio, viene rappresentato il
sentimento amoroso intriso di una tale passione che porta al delitto,
quello del fratello Absirto. Infatti partita con Giasone alla volta della
Grecia, per non farsi raggiungere fece a pezzi il fratellino, gettando
le parti del suo corpo dietro di se e ritardando cos linseguimento di
Eete che pietosamente si fermava a raccoglierle. La descrizione
letteraria dellamore, sino a quel momento, era stata, infatti, molto
pi pudica e riservata. Nellomonima tragedia di Euripide, Medea
una figura totalmente diversa: non pi una fanciulla, ma una
donna, madre di due figli e concubina di Giasone da alcuni anni. Ella
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ha seguito Giasone in Grecia, a Corinto, stata da lui amata, ma


non sposata, in quanto barbara. A turbare la loro convivenza
sopraggiunge la decisione di Giasone di abbandonarla per sposare
Glauce, figlia di Creonte, il re di Corinto. Da questo episodio prende
le mosse la tragedia, con lentrata in scena del personaggio della
nutrice. Questultima esorta i due figli di Medea a stare attenti ai
modi violenti della madre; Medea infatti ha saputo che il re Creonte
vuole cacciare dal paese lei e i suoi figli, per cui in preda alla
disperazione e allira. Pertanto, il pubblico si aspetta lingresso in
scena di una creatura furiosa, quandecco che appare Medea, calma
e padrona di se. Ella si rivolge alle donne di Corinto e comunica loro
la sua intenzione di vendicarsi del torto ricevuto da Giasone. Le
donne corinzie sono daccordo con lei, perch, in quanto donne,
conoscono bene la difficolt e la precariet della loro condizione. In
Grecia, infatti, la donna non godeva di molti diritti, in particolare se
straniera. Medea appoggiata anche dal coro perch nessuno al
corrente della vendetta che intende attuare: uccidere la sposa di
Giasone e il padre di lei, infatti fingendosi rassegnata, manda alla
novella sposa come dono di nozze una veste candida che, appena
indossata dalla ragazza, sprigiona fiamme indomabili che la
bruciano insieme al padre accorso in aiuto, e, per vendicarsi
appieno del suo uomo, anche i loro figli. Medea, in pratica, uccider
per vendetta i suoi stessi figli. Il momento cruciale in cui Medea
decide di uccidere i propri figli molto toccante e viene descritto
con grande intensit. La protagonista va incontro ai bambini, ma,
non appena li vede, cadono tutti i suoi propositi. Prende coscienza
di non poter compiere un atto cos atroce che alla fine le si ritorcer
contro causandole un dolore ancora pi grande di quello che sta
provando, ma poi prevale il desiderio di vendetta, la paura di
diventare, lasciando impuniti i propri nemici, oggetto di scherno.
Proprio in questa alternanza di pensieri ci sembra di riconoscere la
Medea di Apollonio, innamorata e dibattuta se uccidersi o aiutare
lamato. Ma vi per unenorme differenza di contenuto nei due
pensieri. Non pi la giovinetta innamorata, che prova le prime
palpitazioni del cuore, ma una donna addolorata, ferita, tradita: una
donna di grande carattere, di forte personalit, che fa della
vendetta il suo credo. Ella preferir uccidere i suoi figli, punire
anche se stessa in modo atroce, pur di annientare colui che lha
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tradita. La sua forza, il suo coraggio, i suoi sentimenti, la sua


passionalit lhanno resa uno dei personaggi pi famosi del teatro
mondiale. Tracce di questa tenacia si hanno gi nella Medea di
Apollonio Rodio, quando deve scegliere se aiutare o no Giasone e
quando decide di uccidere il fratello: tutto ci per in embrione,
perch si tratta pur sempre di una fanciulla e non ha quei
sentimenti di rabbia, dira, di vendetta che avr poi la Medea di
Euripide. Si pu dire, quindi, che la Medea di Apollonio molto pi
comune come personaggio e non sarebbe divenuta immortale se
Euripide non ne avesse dato questa immagine cos terribile e
intensa.
Nella letteratura latina, emblematico risulta essere il matricidio
compiuto da Nerone che ci viene raccontato Tacito. Nel 59 d.C.,
dopo anni di tensione, Nerone decide di liberarsi della madre,
troppo invadente ed ambiziosa, cosa non facile dal momento che
Agrippina, figlia di Germanico e sorella di Caligola, aveva una
grande influenza sulle milizie. Dunque incarica un sinistro liberto,
Aniceto, che anni dopo aiuter Nerone ad eliminare anche Ottavia,
di escogitare un piano. Ma questo piano fallisce e Nerone chiama a
consiglio Burro e Seneca. Sar proprio Seneca ad escogitare il
nuovo piano, che verr questa volta attuato da Aniceto e da alcuni
sicari presi dallesercito. La narrazione, dettagliata, fosca e
drammatica, riprende a modello alcuni canoni ellenistici. Sono qui
riportati alcuni paragrafi (1, 2, 3, 4, 5) estrapolati dallottavo
capitolo degli Annales.
Testo
Interim, vulgato Agrippinae pericolo, quasi casu evenisset, ut
quisque acceperat, decurrere ad litus. Hi molium obiectus, hi
proximas scaphas scandere; alii, quantum corpus sinebat, vadere in
mare; quidam manus protendere; questibus, votis, clamore diversa
rogitantium aut incerta respondentium omnis ora compleri; adfluere
ingens multitudo cum luminibus, atque, ubi incolumem esse
pernotuit, ut ad gratandum sese expedire, donec aspectu armati et
minitantis agminis deiecti sunt. Anicetus villam statione circumdat,
refractaque ianua, obvios servorum abripit, donec ad fores cubicoli
veniret; cui pauci adstabant, ceteris terrore inrumpentium
exterritis. Cubicolo modicum lumen inerat et ancillarum una, magis
ac magis anxia Agrippina, quod nemo a filio ac ne Agermus quidam:
aliam fore laetae rei faciem; nunc solitudinem ac repentinos
strepitus et extremi mali indicia. Abeunte dehinc ancilla, Tu
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quoque me deseris prolocuta, respicit Anicetum, trierarcho


Herculeio et Obarito, centurione classiario, comitatum; ac, si ad
visendum venisset, refotam nuntiaret, sin facinus patraturus, nihil
se de filio credere: non imperatum parricidium. Circumsistunt
lectum percussores, et prior trierarchus fusti caput eius adflixit; iam
in mortem centurioni ferrum destringenti protendens uterum,
Ventrem feri exclamavit, multisque vulneribus confecta est.
Traduzione
Frattanto si era sparsa la voce del pericolo corso da Agrippina, che
si credeva del tutto accidentale, e ognuno si precipitava alla
spiaggia a mano a mano che apprendeva la notizia; alcuni salivano
sui moli, altri sulle barche che si trovavano a portata di mano; chi si
inoltrava nel mare fin dove per la sua statura riusciva a toccare il
fondo, chi tendeva le braccia; tutta la spiaggia era piena di lamenti,
di invocazioni, di un vocio confuso in cui si intrecciavano domande
contrastanti e risposte incerte: si andava radunando una folla
immensa con le torce accese, quando giunse la notizia che
Agrippina era salva, e tutti allora si avviarono per andare a
congratularsi con lei, ma la vista di una minacciosa schiera di
armati li costrinse a disperdersi. Aniceto circond la villa con un
cordone di uomini, quindi, sfondata la porta, fece trascinare via tutti
i servi che gli si facevano incontro finch giunse davanti alla porta
della stanza da letto: qui stava di guardia uno sparuto gruppo di
domestici, perch tutti gli altri si erano dileguati atterriti
dallirruzione dei soldati. Nella camera, illuminata da una luce fioca,
si trovava una sola ancella, mentre Agrippina era sempre pi in
ansia perch non arrivava nessun messo da parte del figlio e non
ritornava neppure Agermo: le cose sarebbero state ben diverse,
allintorno, se gli eventi avessero preso una piega favorevole; ora
invece non vi era che solitudine, un silenzio rotto da grida
improvvise e tutti gli indizi di una irrimediabile sciagura. Poich
lancella stava per andarsene, Agrippina si volse verso di lei per
dirle: Anche tu mi abbandoni?, e allora vide Aniceto
accompagnato dal trierarco Erculeio e dal centurione navale
Obarito. E subito gli disse che, se era venuto per farle visita, poteva
riferire a Nerone che si era ristabilita; se invece era l per compiere
un delitto, ella non poteva credere che ubbidisse a un ordine del
figlio: era certa che egli non aveva comandato il matricidio. I sicari
circondarono il letto e il trierarca per primo colp al capo con un
bastone; quindi il centurione impugn la spada per finirla, e allora
Agrippina, protendendo il ventre, esclam: Colpisci qui, e spir
trafitta da pi colpi.
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Analisi del testo


Nel capitolo, che descrive il momento culminante del matricidio
programmato da Nerone, emerge tutta la grande abilit di
tragediografo di Tacito. Come una sorta di regista, sposta lo
sguardo da spazi esterni a spazi chiusi, dal campo lungo al primo
piano. In un percorso che conduce il lettore dallanonimato della
folla al dramma interiore di Agrippina, avvincendolo. Lintero brano
pu essere suddiviso in cinque parti: scena corale, lirruzione del
sicario nella villa di Agrippina, lansia e la solitudine di Agrippina,
lirruzione del sicario nella camera da letto ed il matricidio.
Scena corale
La scena confusa, disordinata, prevale il vociare della folla
disorientata. Emerge il tema dellignoranza del popolo (quasi casu
evenisset), escluso dai meccanismi del potere e dagli intrighi di
corte. E un popolo ridotto a massa amorfa, ingens multitudo,
soggiogato dal fascino perverso del princeps lontano, magnificente.
La politica degenerata diventando ambiguo vincolo
pseudoaffettivo. Lincertezza riguardo la sorte dellimperatrice agita
la folla portandola a compiere gesti irrazionali, (quidam manus
protendere), in una sorta di dichiarazione di dipendenza verso i
sovrani. La narrazione ricca di ellissi, d infiniti narrativi e ricorre
spesso alla variatio del soggetto. Dalla sensazione uditiva ricreata si
passa ad un riferimento alla luminosit delle torce, ridefinendo cos
anche ombre e contrasti chiaroscurali. E come se lartista seguisse
dallalto la folla, ondeggiante sia fisicamente che psicologicamente,
prima dispersa (hi, hi, alii, quidam), poi compatto (adfluere infens
multitudo e ad gratandum sese expedire), poi di nuovo sparpagliato
(deiecti sunt con constructio ad sensum).
Irruzione del sicari nella villa
La scena dazione ora la villa dellimperatrice sul lago Lucrino,
dove stata condotta in salvo dai pescatori. Il ritmo incalzante in
quanto segue le mosse fulminee di Aniceto, dallesterno (villam
statione circumdat) alla porta di ingresso (refractaque ianua) alle
porte della camera della vittima. Funzionale alla drammaticit della
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sequenza lellissi narrativa sulla sorte dei pauci rimasti di guardia


della stanza, ma che al lettore facile immaginare.
Lansia e la solitudine di Agrippina
Tacito a questo punto sospende momentaneamente lazione di
Aniceto allingresso della stanza da letto. Introduce qui una lunga
pausa, cuore del capitolo, per seguire i moti dellanima della
vittima. Prima di Aniceto infatti il lettore ad entrare nella stanza di
Agrippina. Latmosfera cupa e funerea, linsistenza fonosimbolica
e minacciosa delluso della u, aiuta ulteriormente a creare uno
sfondo drammatico. Significativo il contrasto tra il modicum lumen e
i luminibus della folla nella scena iniziale, che accentua lisolamento
della donna. La tecnica qui usata pare unanticipazione del discorso
indiretto libero moderno. La prospettiva esterna si fa interne
portandosi dietro gli stessi paesaggi appena descritti. (magis ac
magis anxia). Agrippina sta facendo chiarezza sugli eventi accaduti
e prevede ormai con gran semplicit la sua fine, incredula. Il ritmo
sintattico affannato, interrotto e conciso, traduce lo stato danimo
della vittima: omissione del verbo (venerat), ellissi del verbum
sentiendi (cogitabat). Esplicativa la frase: aliam fore laetae rei
faciem che condensa in una breve oggettiva lapodosi di un periodo
ipotetico dipendente da una proposizione reggente sottintesa (la
frase completa sarebbe: Agrippina cogitabat, si res laeta esset,
aliam fore eius faciem).
Lirruzione del sicario nella camera da letto
Si approssima la fine del dramma. La porta finalmente si apre ed
entra Aniceto. Langoscia e la perdita di controllo della vittima la
portano a sperare vanamente in una visita di piacere, nonostante
lintuizione del reale motivo della visita sia ormai palesemente il
matricidio. Lultima difesa diviene paradossalmente lautoinganno,
ed in questo, Tacito, sembra addirittura anticipare la psicoanalisi. La
sintassi si complica ulteriormente. Agrippina ora non pi la donna
spregiudicata, ambiziosa e avida di potere, solo donna. O meglio
solo vittima, sola, tradita dal figlio. Suscita nel lettore un senso di
piet. Tacito qui appare umano ed indulgente nel giudicare quella
donna che, precedentemente, negli altri brani, aveva definito atrox
e falsa. Cos la condanna si ripercuote su Nerone.
Il Matricidio
Agrippina circondata e colpita al capo. Agrippina non perde la sua
dignit, Tacito ce la presenta come uneroina tragica, immolata ad
un potere corrotto e degenerato. Le sue frasi hanno funzione
prettamente teatrale. Come tu quoque deseris, chiara ripresa
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delluccisione di Cesare da parte di Bruto. Altra frase ventrem


feri, imperativo rivolto al sicario, un ordine dunque che fa s che si
conservi lautorit della fiera madre del princeps. E una sorta di
vendetta e di autopunizione. Una simbolica uccisione del figlio, oltre
che della madre, che ha peccato in quanto ha partorito un figlio
degenerato. La donna comanda dunque anche la sua morte.

3. IL CRIMINE NELLA STORIA: IL DELITTO MATTEOTTI


Due anni dopo la Marcia su Roma e la presa del potere da parte di
Mussolini, la situazione politica italiana si presentava tuttaltro che
stabile: erano gli anni che precedettero la trasformazione in senso
autoritario dello Stato italiano da parte di Mussolini. Di questo
processo i due passaggi pi significativi furono, nel dicembre 1922,
listituzione del Gran Consiglio del fascismo (un organo consultivo il
cui compito consisteva nel determinare e indicare le linee guida
della politica fascista, fluidificando il rapporto tra partito e
governo) e, nel 1923, lorganizzazione della Milizia volontaria per la
sicurezza nazionale nella quale vennero inquadrati molti degli
appartenenti alle squadre fasciste. La creazione di questi due organi
mostra chiaramente quale fosse lintento del duce: creare degli
organi di partito che assimilassero le funzioni degli organi statali
nati con lo Statuto albertino, lasciando a questi un potere formale.
Infatti, listituzione del Gran Consiglio del fascismo fece s che
unassemblea dei maggiori esponenti del partito divenisse organo di
Stato, privando il Parlamento italiano stesso di alcuni poteri. Nel
frattempo continuarono le repressioni illegali nei confronti degli
oppositori e dei dissidenti e lo sviluppo di una repressione legale
portata avanti da magistratura e organi di polizia che si abbatt
sempre con maggior vigore permettendo sequestri di giornali,
arresti preventivi, limitazioni alle libert sindacali. In questa fase
Mussolini continuava a mantenere allinterno del governo i liberali e
una formale collaborazione tra fascismo e alcuni uomini di altri
partiti, cosicch l dove la forma appariva intaccata solo
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parzialmente in realt la sostanza era gi mutata radicalmente. Un


ulteriore passo segnato dalla legge elettorale del 18 novembre
1923, passata alla storia come Legge Acerbo che aveva un
meccanismo tale da favorire il partito fascista. Un vantaggio che
venne accresciuto dalle modalit di presentazione dei partiti nelle
liste: si verific infatti che diversi esponenti liberali e cattolici si
candidarono con Mussolini nelle liste nazionali, unite dal simbolo
del fascio in tutti i collegi, mentre i due partiti socialisti, i comunisti,
i popolari, i liberali dopposizione si presentarono in liste divise.
Nonostante il partito fascista potesse vantare una certa sicurezza
nel risultato delle elezioni non rinunci a ricorrere, n tanto meno a
ridurre, il ricorso a metodi violenti e intimidatori nei confronti degli
avversari. Il risultato delle elezioni, tenutesi il 6 aprile 1924, parl
chiaro. Con il 64,9% dei voti la lista fascista (o lista nazionale)
ottenne 374 seggi al Parlamento. I risultati delle elezioni aprirono un
periodo di grande tensione.
Il 30 maggio 1924 il deputato socialista Giacomo Matteotti
pronunci alla Camera un duro discorso contro il governo,
accusandolo direttamente di essere il responsabile dei soprusi che
avevano accompagnato tutto il periodo elettorale finanche il giorno
delle elezioni. Un discorso che anim il Parlamento e che si concluse
con una diretta e inequivocabile richiesta: Noi difendiamo la libera
sovranit del popolo italiano al quale mandiamo il pi alto saluto e
crediamo di rivendicarne la dignit, domandando il rinvio delle
elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni.
Qualche giorno dopo, il 10 giugno 1924, lonorevole Matteotti fu
picchiato e rapito dai fascisti alluscita della sua abitazione di Roma
e poi ucciso; il suo cadavere venne ritrovato solo diverse settimane
dopo. Non si seppe pi nulla, invece, della sua borsa piena dei
documenti che dovevano essere alla base del discorso che il
deputato avrebbe dovuto pronunciare alla Camera: le prove della
corruzione e dei traffici in cui il fascismo era coinvolto. La diffusione
della notizia ebbe portata europea e urt violentemente contro le
basi del governo appena costituitosi. Anche tra i fascisti si apr una
crisi perch lomicidio Matteotti non solo metteva in cattiva luce i
sostenitori del fascismo agli occhi dellopinione pubblica, ma
richiamava lattenzione sul pi generale problema politico italiano.
Non furono certamente pochi che iniziarono a porsi domande
intorno allorigine del potere assunto dal partito fascista, alla sua
legittimit, alleffettiva sicurezza che esso poteva dare o, come
aveva promesso, garantire. Dopo lassassinio di Matteotti i deputati
dellopposizione decisero di non partecipare pi ai lavori del
Parlamento (la cosiddetta secessione dellAventino), ma questa
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radicale protesta non scalf il consolidamento del potere del


fascismo.
Mussolini chiuse questo caotico periodo con il celeberrimo discorso
tenuto alla Camera dei deputati il 3 gennaio 1925, con il quale si
assunse la responsabilit politica, morale e storica di quanto era
avvenuto in Italia negli ultimi mesi, discorso che ritenuto dagli
storici latto costitutivo del fascismo come regime autoritario.

4. LA BALISTICA
La balistica, dal verbo greco bllo lancio, la scienza che studia
il moto dei proietti (proietto si definisce il proiettile gi lanciato) i
quali, oltre che una traiettoria, hanno anche una rotazione su se
stessi. Si suddivide in balistica esterna e balistica interna, a seconda
che lo studio si riferisca al mezzo di propulsione e al proietto oppure
al moto di questultimo lungo la sua traiettoria. Infine vi la
balistica terminale che studia leffetto del proiettile sul bersaglio. I
primi studi di balistica esterna risalgono al 500, allorquando Nicol
Tartaglia rappresent la traiettoria, in modo molto rudimentale, con
due segmenti di retta raccordati alla loro sommit con un arco di
circonferenza.
Galileo Galilei, circa un secolo dopo, gett le basi matematiche di
detta Scienza. La sua teoria sul moto locale si inseriva nella
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discussione di Filosofia Naturale. Galileo, nei Discorsi, affermava che


la resistenza dellaria fosse troppo importante per permettere
lapplicazione pratica della sua nuova teoria alla balistica. Quando
la balistica si occupa dellimpiego di proiettili diretti contro bersagli
umani, viene definita Balistica Forense. Nella Balistica Forense,
linteresse maggiore rivolto alla balistica terminale e, nello
specifico, alla balistica della lesione. Per questo essa si caratterizza
anche come branca fondamentale della Patologia Forense. In
Criminologia linteresse maggiore rivolto alle armi comuni da
sparo, leggere o portatili, in ragione delle loro capacit potenziali
offensive, le quali devono soddisfare ben precisi requisiti di
fabbricazione, essere iscritte (come modello) in un catalogo
nazionale, e riportare il numero di matricola. Dette armi possono
essere classificate secondo vati criteri e precisamente: la lunghezza
della canna, il volume di fuoco (mono o pluricorpo, a tamburo o con
serbatoio), il sistema di ripetizione dei colpi (manuale,
semiautomatico o automatico), il sistema di caricamento, la
superficie interna della canna, il tipo di rigature, il tipo di serbatoio
dei colpi, la destinazione (caccia, tiro, lavoro, difesa, guerra).

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