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Traduzione Heroides di Ovidio

Medea a Giasone
Medea esule, senza mezzi, disprezzata scrive al novello sposo o forse non hai tempo libero degli
impegni del regno?
Eppure, io lo ricordo Regina dei Colchi tralasciai i miei impegni io per te, quando tu chiedevi che la
mia arte portasse aiuto a te. Allora le sorelle che dispensano i destini dei mortali avrebbero dovuto
svolgere (srotolare) i miei fusi, allora io Medea avrei potuto morire degnamente. Tutta la vita che io
ho tralasciato da quel tempo fu dolore. O povera me perché mai spinta da braccia giovanili la nave
del monte Pelio venne a cercare l’ariete di Frisso, Perché mai noi colchi vedemmo Argo di
Magnesia e perché mai voi schiera di greci beveste l’acqua del Fasi? Perché i tuoi biondi capelli mi
piacquero più del dovuto e la tua eleganza e il garbo artificioso della tua lingua? O poiché una volta
la nave nuova (insolita) era giunta presso le nostre spiagge e aveva portato uomini audaci,
l’immemore esonite fosse andato senza l’aiuto delle mie pozioni (della mia magia) verso le fiamme
ispirate e verso le teste fiammeggianti dei tori. O se avesse scagliato i semi e se avesse seminato
altrettanti nemici di modo che il coltivatore cadesse (venisse abbattuto) dal suo stesso coltivato.
Quanta perfidia, o scellerato, sarebbe morta con te quanti molti mali sarebbero stati allontanati dal
mio capo. C’è un qualche piacere nel rinfacciare il (proprio) merito a un ingrato di questo godrò,
queste sole gioie io porterò di te, (Giasone sottinteso) avendo ricevuto l’ordine di dirigere la nave
inesperta verso i Colchi entrasti nel regno beato della mia patria. Lì io Medea fui ciò che qui è la
novella sposa quanto ricco è suo padre tanto lo è il mio questi possiede Efira bagnata da due mari
quello possiede tutto fino alla nevosa Scizia dove giace la riva sinistra del Ponto. E Eta accoglie
nell’ospitalità i giovani pelagi e voi corpi greci premete i letti variopinti. Allora io ti vidi, allora
cominciai a sapere chi tu fossi quella fu la prima rovina della mia vita e vidi e morì. Ne bruciai di
fiamme note come arde la fiaccola di pino presso i grandi dei eri bello e il mio fato mi trascinava i
tuoi occhi avevano stregato i miei. (Maledetto) Traditore, tu lo capisti! Chi infatti nasconde bene
l’amore? La fiamma tradita dal suo stesso chiarore appare ben visibile, nel frattempo ti viene dato
l’ordine di (premere) aggiogare con un aratro insolito i duri colli di tori selvaggi. I tori di Marte
erano crudeli più che per le corna il loro alito era un fuoco terribile i piedi (zoccoli) solidi di bronzo
e le narici ricoperte di bronzo anche queste rese nere attraverso i propri soffi. Nel frattempo ti viene
ordinato di spargere per i vasti campi con la mano pronta alla morte semi destinati a generare dei
popoli che avrebbero cercato il tuo corpo con i dardi nati con essi stessi quella è la messe iniqua per
il suo agricoltore. L’ultima fatica è ingannare con qualche artificio gli occhi del custode incapaci di
soccombere al sonno. (Così) Aveva detto Eeta “Voi tutti tristi vi alzate e l’alta mensa lascia i letti
purpurei quanto era lontano da te allora il regno della dote di Creusa e il suocero e la figlia del
grande Creonte? Triste te ne vai io ti seguo mentre te ne vai con gli occhi umidi e la (mia) lingua
disse con un tenue mormorio addio”. Come io toccai, ferita nell’animo (profondamente) il letto
posto nel talamo la notte (per quanto fu lunga) fu trascorso da me tra le lacrime. I tori e i semi
nefandi erano davanti i miei occhi il drago vigile aumenta anche l’amore, era mattina e la sorella
cara accolta nel talamo mi trova scompigliata nei capelli e giacente sulla faccia riversa e tutta piena
delle mie lacrime. (Prega) Chiede aiuto per i Minii (Argonauti) l’una chiede e l’altra otterrà noi
concediamo al giovane figlio di Esone, quello che quella chiede. C’è un bosco nero di fronde di
leccio scure come la pece lì a stento è lecito ai raggi del sole penetrare. Ci sono in quello e c’erano
stati certamente dei templi di Diana una statua d’oro della dea, fatta da una mano barbarica sta (lì).
Non lo sai o forse i luoghi sono morti con me? Ci incontrammo lì, tu cominciasti a parlare per
primo così con bocca infida così disse (Giasone) “La sorte ha affidato a te, il diritto e l’arbitrio della
nostra salvezza e la vita e la morte sono nelle tue mani”. È già sufficiente avere la facoltà di
uccidere se a qualcuno piace il potere in sé stesso ma io messa in salvo (da te) sarò per te motivo di
gloria maggiore. Ti prego in nome delle mie sventure delle quali tu puoi essere un sollievo per la
stirpe e per il nume del padre che vede tutte cose e per i triplici volti e per i misteri sacri di Diana e
se per caso codesta stirpe possiede alcuni dei. O vergine abbi pietà di me dei miei compagni fa’ in
modo che grazie ai tuoi meriti io sia tuo per sempre. Che se per caso tu non disdegni un marito
greco (Pelasgo) ma come posso sperare che i miei dei mi siano tanto favorevoli il mio spirito
svanisca nel tenue etere prima che non sia tu. Sia consapevole Giunone preposta ai sacri mariti e
(sia testimone) la dea nel cui tempio marmoreo noi ci troviamo. Queste parole mossero l’animo- e
quanta piccola parte non sarebbe bastata?- della fanciulla ingenua e la destra congiunta alla mia
destra. Vidi anche le lacrime o forse in quelle c’è una componente di frode così subito io, ragazza,
fui catturata dalle tue parole. E tu aggioghi i tori dagli zoccoli di bronzo senza bruciarti il corpo e
solchi la terra dura con il vomere (aratro) ordinato riempi i campi di denti avvelenati anziché (del
seme) dei semi poiché nascono soldati e hanno spade e scudi io stessa che avevo dato delle pozioni
mi sedetti impallidendo quando vidi gli uomini improvvisamente apparsi tenere delle armi fino a
quando i fratelli nati dalla terra intrecciarono le mani strette fra di loro ecco il guardiano insonne
irto di squame stridenti sibila e spazza la terra contorcendosi (con il petto contorto letteralmente)
Allora dove erano le ricchezze della dote? Dove era per te la spesa regale e l’istmo che divide le
acque del duplice mare? Io quella che ora sono stata fatta infine barbara da te e (che sottinteso) ora
sono povera per te e ora sembro . Io feci chiudere gli occhi di fuoco con un magico sonno e
diedi a te in sicurezza come sicuro il vello che dovevi portare via (portavi via letteralmente). Il
padre fu tradito, lasciai il regno e la patria accettai che ci fosse qualunque peso in esilio. La
verginità fu fatta bottino di un ladro straniero la sorella ottima fu abbandonata con la cara madre.
Ma non abbandonai te o fratello fuggendo senza di me soltanto in questo punto la mia lettera è
reticente la mano non osa scrivere quello che la mia ha osato fare così io avrei dovuto essere
straziata ma con te. Né tuttavia ebbi paura- che cosa infatti avrei dovuto temere dopo quelle cose- di
affidarmi al mare io donna ormai colpevole. Dov’è il nume? Dove sono gli dei? Paghiamo in alto
mare tu le meritate pene dell’inganno, io dell’ingenuità. O se avessimo stritolato noi stessi
schiacciati contro le simplegadi o se le nostre ossa avessero aderito alle tue o se Scilla rapace avesse
mandato noi in pasto ai cani, Scilla avrebbe dovuto nuocere a uomini ingrati o se lei che vomita
tanti frutti e altrettanti ne riassorbe avesse posto anche noi sotto il mare della trinacria. Tu ritorni
salvo e vincitore presso le città (della Tessaglia) il vello d’oro è posto presso gli dei patri.
Perché dovrei ricordare le figlie di Pelia assassina per affetto e le membra del padre fatte a pezzi
dalle mani delle vergini? Benché gli altri (mi sottinteso) accusino è necessario da parte tua lodarmi
per il fatto che io fui costretta a essere colpevole tante volte. Tu osasti- o al (questo) giusto dolore
mancano le proprie parole!- Tu osasti dire esci dalla casa di Esone, io ordinata di ciò andai via dalla
casa accompagnate dai due figli e dall’amore per te che sempre mi segue. Come improvvisamente
l’imeneo cantato giunse alle nostre orecchie e le fiaccole brillarono di fuoco acceso e il flauto
accompagnò canti per voi nuziali ma più tristi per me di una tromba funebre fui pervasa dal terrore
ne ancora credevo che fosse così grande l’infamia ma tuttavia il gelo era nel mio petto. Accorre la
folla e grida con frequenza o Imene, o Imeneo quanto più vicina si faceva questa voce tanto peggio
era per me questo. Servi piangevano in disparte e nascondevano lacrime . Chi avrebbe voluto essere
messaggero di una tale sciagura? Mi avrebbe giovato non sapere neanche piuttosto (ciò) qualunque
cosa fosse ma come se sapessi il mio animo era triste quando il più piccolo dei figli ordinato oppure
per il desiderio di vedere si fermò sulla soglia della duplice porta e disse a me “mamma vieni qui,
mio padre Giasone guida un corteo e rivestito d’oro sprona cavalli appaiati” subito strappata la
veste percossi il mio petto ne il volto fu al sicuro dalle mie dita l’istinto (mi) spingeva ad andare tra
le schiere della turba mediana (in mezzo al corteo ) e a sottrarre le corone strappate ai capelli
agghindati. A stento mi trattenni, io così dilaniata nei capelli, dal gridare “è mio e dal mettere le
mani (contro – su di te ). O papà ferito rallegrati o colchi sopravvissuti rallegratevi o ombra di mio
fratello ricevi il sacrificio di espiazione. Perduti il regno, la patria e la casa sono abbandonata da
mio marito che era per me lui solo il mio tutto. Dunque io ho potuto domare draghi e tori infuriati
ma non ho potuto domare un solo uomo, io che ho cacciato via le fiamme feroci con sapienti
incantesimi non riesco io stessa a fuggire le mie fiamme e gli stessi incantesimi le erbe e le arti mi
abbandonano niente riescono a fare la dea ne i riti sacri della potente Ecate. Il giorno non è a me
gradito, le notti si susseguono amare in uno stato di veglia ne un tenero sonno ahimè ha il petto
della misera. Io che non posso addormentare me stessa, ho potuto addormentare un drago la mia
arte è più utile a chiunque altro piuttosto che a me. Gli arti che ho preservato un amante abbraccia e
quella tiene i frutti della mia fatica e forse mentre tu cerchi di gloriarti di fronte alla sciocca moglie
e (cerchi di sottinteso) formulare discorsi adatti alle sue orecchie ostili inventi anche nuove calunnie
contro il mio aspetto e il mio comportamento. Rida pure e quella sia pure lieta delle mie colpe rida e
giaccia pure sublime sulla porpora di Tiro (ma) piangerà e lei bruciata supererà le mie fiamme
finché ci saranno il ferro le fiamme il succo del veleno nessun nemico di Medea rimarrà invendicato
che se per caso le preghiere toccano un cuore di ferro ora ascolta parole più moderate dei miei
sentimenti Io sono supplice per te tanto quanto tu spesso lo fosti per me ne io esito a gettarmi ai tuoi
piedi se io sono vile per te (non conto più niente) guarda almeno i nostri figli (nati in comune ) la
crudele matrigna si farà ancora più crudele (letteralmente si incrudelirà) contro i miei parti (figli).
Ed essi sono troppo simili a te e io sono toccata dalla loro immagine e tutte le volte che (li) vedo i
miei occhi si inumidiscono. Ti prego per gli dei superi per le luci dell’avida fiamma per il (mio)
merito e per i due figli nostro pegno d’amore restituiscimi il letto per il quale io pazza ho lasciato
così tante cose dai alle parole e ricambia l’aiuto. Io non imploro te contro tori e uomini perché
un drago vinto dal tuo intervento riposi. Prego te che ho meritato che ti sei dato volontariamente a
me e con il quale io sono diventato allo stesso tempo madre con te padre. Tu chiedi dove sia la dote
l’ho pagata in quel campo che doveva essere arato da te intenzionato a recuperare il vello.
Quell’ariete dorato mirabile per il folto vello (è) la mia dote. Se io ti dicessi “rendimela” tu ti
rifiuteresti. La mia dote (è che) tu (sia) salvo, la mia dote è la gioventù greca tu improbo va via
adesso e fa’ il confronto con le ricchezze di Sisifo. Il fatto che tu vivi, il fatto che tu hai una sposa e
un suocero potente e anche questo fatto che tu possa essere ingrato è merito mio. I quali certamente
subito- ma a cosa serve pronunciare un castigo, l’ira genera enormi minacce io andrò dove mi
porterà l’ira forse mi pentirò della mia azione e mi pento di avere avuto cura di un uomo infido.
Vedrà queste cose il dio che sconvolgerà il mio cuore. Non so certamente cosa di più grande la mia
mente agita (concepisce).

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