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I Carmina docta GAIO VALERIO CATULLO Pagine digitali 6

TESTO 2

Il lamento di Arianna abbandonata Carmina 64, 124-201

Il carme 64 è un epillio di argomento erotico-mitologico che, secondo i canoni della poetica callima-
chea e neoterica, sostituisce il poema epico che non offre, proprio per la sua ampiezza, garanzia di
accurato labor limae. L’argomento è costituito dalle nozze di Peleo e Teti, esempio di amore felice
fondato sul foedus e sulla fides, ma al suo interno, attraverso la tecnica alessandrina dell’ékphrasis,
si inserisce la storia dell’amore infelice di Arianna e Teseo. La narrazione prende avvio dalla raffigu-
razione che orna la coperta del talamo nuziale. L’immagine della fanciulla sola sul lido che scorge in
lontananza la flotta di Teseo che si allontana veloce campeggia sulla coperta. La scena trova il suo
momento culminante nel lamento di Arianna abbandonata dall’uomo a cui aveva salvato la vita sa-
crificando quella del proprio fratello, il Minotauro.
I modelli dell’eroina sono numerosi, dalla Medea euripidea abbandonata da Giasone a quella prota-
gonista della tragedia di Ennio, fino alla protagonista del III libro delle Argonautiche di Apollonio Rodio.
Dell’Arianna catulliana si ricorderanno a loro volta Virgilio nel tratteggiare la figura di Didone nel IV
libro dell’Eneide e nella narrazione - nel IV libro delle Georgiche - della vicenda di Orfeo ed Euridice,
che costituisce un vero e proprio epillio, e Ovidio nelle Heroides.
Una caratteristica comune dei carmina docta, in particolare di questo e del carme 68, è la capacità di
Catullo di rendere soggettivo il mito, di proiettare i suoi sentimenti nella vicenda mitica, cosicché que-
sti carmi non si distaccano molto dal resto del liber. A questo proposito è interessante istituire un con-
fronto tra il lamento di Arianna (vv. 139-148) e il carme 70, appartenente alla terza sezione del liber.
Le parole con cui Arianna lamenta la mancata fedeltà ai giuramenti da parte di Teseo ricalcano le pa-
role con cui Catullo dichiara che non bisogna prestar fede ai giuramenti delle donne, che vanno scritti
«sul vento e sull’acqua che porta via». La situazione è la stessa, anche se nel carme 64 lo sviluppo è
più ampio rispetto alla concisione epigrammatica del carme 70, e il linguaggio più aulico. La diffe-
renza sta nel fatto che nel carme 64 è Arianna a lamentarsi del comportamento dell’amato, mentre
nel carme 70 è Catullo a dolersi della violazione della fides da parte di Lesbia. C’è dunque una chiara
identificazione di Catullo in Arianna, entrambi sofferenti per l’infedeltà della persona amata, per la vio-
lazione di quella fides di cui un tempo gli dei si facevano garanti e che ora è calpestata e offesa.

Narra la leggenda che ella smaniò col cuore in fiamme,


spesso emise grida acute dal fondo del petto,
e stravolta sovente salì sui monti scoscesi
per spingere lo sguardo dall’alto sui flutti immensi del mare
e sovente corse incontro alle onde del mare increspato,
sollevando sulle gambe denudate le morbide vesti,
e mesta pronunciò queste parole fra i lamenti di morte
ed emise freddi singhiozzi col viso irrorato di lacrime:
«Ah! così tu, traditore, toltami al focolare domestico,
o traditore Teseo, mi abbandonasti su una spiaggia deserta?
È così che tu fuggi, sprezzando la potenza dei numi,
e dimentico, ahimè!, porti a casa i tuoi esecrati spergiuri?
Nulla ha potuto piegare il proposito della tua mente
crudele? Non avevi clemenza
che inducesse il cuore snaturato ad impietosirsi di me?
Non questo promettevi un giorno con parole
suadenti a me sventurata, non queste speranze infondevi;
ma un lieto matrimonio, ma un bramato imeneo. 1
Tutte promesse vane, che i venti ora disperdono all’aria.
E non vi sia più donna che creda ai giuramenti di un uomo,

1. Imeneo è sinonimo di nozze; si noti la ridondanza delle parole di Arianna, che ripete nel breve giro di un unico
verso il medesimo concetto («lieto matrimonio ... bramato imeneo»).

A. DIOTTI, S. DOSSI, F. SIGNORACCI, Res et fabula © SEI 2012


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che speri sincera la parola di un uomo:


gli uomini, fino a che smania il capriccio di ottenere qualcosa,
non temono di far giuramenti, non risparmiano mai le promesse;
ma appena è saziato il piacere della voglia d’amore,
non temono più le parole, non si curano dei loro spergiuri.
Mentre tu eri afferrato dal vortice della morte,
ti salvai, e senza esitazioni preferii che morisse il fratello
piuttosto di non esserti, o traditore, vicina nell’estremo pericolo;
come ricompensa verrò data preda alle fiere e agli uccelli,
e, morta, non avrò chi mi seppellisca con una manciata di terra.
Qual è la leonessa che ti generò sotto rupe deserta,
qual è il mare che ti concepì e ti gettò fuori dalle onde di spuma,
quale Sirte, quale Scilla rapace, quale mostruosa Cariddi, 2
perché così mi ricompensi di averti salvato la vita che amavi?
Se davvero non pensavi a sposarmi,
perché temevi i crudeli comandi del padre severo,
avresti almeno potuto condurmi alla casa dei tuoi;
come una schiava ti avrei servito, con giuliva fatica,
delicatamente lavando nelle limpide acque i tuoi candidi piedi,
stendendo sul tuo letto una coltre scarlatta.
Ma perché invano mi lamento, impazzita per la sventura,
volgendomi ai venti ignari, che, privi di udito,
non possono ascoltare il messaggio, né rispondere a voce?
Eccolo già arrivato nel mezzo del mare,
mentre qui, su quest’alghe deserte, non si vede un essere umano.
Così la sorte crudele, colpendomi oltre misura,
nella mia ultima ora, non lascia che orecchio ascolti i lamenti.
Giove, che tutto puoi, oh! Se mai fin dal principio
le navi cecropie 3 non avessero toccato le rive di Cnosso,
e se, portando il tributo di morte all’invincibile toro,
lo spergiuro nocchiero non avesse legato a Creta la gomena,
e malvagio, mascherando sotto soavi apparenze intenzioni
crudeli, non avesse riposato, ospite nella mia casa!
Dove mi rifugerò? Misera, a quale speranza posso ora aggrapparmi?
Salirò sopra i monti dell’Ida? 4 Ahimè! Da questi mi separa
l’ampio gorgo della minacciosa distesa del mare.
Spererò nell’aiuto del padre? Fui io ad abbandonarlo,
per seguire il giovane Teseo, che grondava ancora sangue del fratello!
O mi posso consolare con l’amore fedele del marito?
Ma non è lui che fugge, curvando nelle onde i flessibili remi?
E poi è un litorale senza case; l’isola è deserta;
e non si schiude una strada d’uscita, con le onde del mare che mi cingono;
mezzo per fuggire non v’è; non v’è speranza; tutto è silenzio,
tutto deserto, tutto si presenta funereo.
Tuttavia gli occhi non mi diverranno languidi per la morte,
né il mio corpo spossato smarrirà i suoi sensi,
Prima che io tradita chieda ai celesti il giusto castigo,
e ne invochi la divina protezione nella mia ora suprema.
Voi, Eumenidi, 5 che punite i delitti degli uomini, vendicandovi

2. Sirte, Scilla e Cariddi sono tre punti ritenuti partico- 4. Gli antichi conoscevano due catene montuose che
larmente pericolosi dai naviganti. La Sirte si trova nei prendevano il nome di Ida; la prima, a cui fa riferimento
pressi delle coste libiche; Scilla e Cariddi nello stretto di qui Catullo si trovava nell’isola di Creta; l’altra nei pressi
Messina, la prima sulle coste calabre, la seconda su di Troia.
quelle sicule. 5. Le Eumenidi sono le Erinni o Furie, dee della vendetta
3. L’aggettivo «cecropie» si riferisce al mitico re di Atene familiare. La loro tradizionale iconografia le voleva con
Cecrope e indica le navi dell’ateniese Teseo. serpenti al posto dei capelli.

A. DIOTTI, S. DOSSI, F. SIGNORACCI, Res et fabula © SEI 2012

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