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BATRACHOMYOMACHIA

Volgarizzamento del 1456 di AURELIO SIMMACO DE IACOBITI a cura di Marcello Marinucci

Universit degli Studi di Trieste 2005

A Michele e a Marco pap

Il rifacimento in volgare della Batrachomyomachia che qui presento contenuto in un manoscritto datato 1456, custodito nella Biblioteca Nazionale di Parigi (cod. it. 1097), in cui sono raccolte altre opere in versi dell'umanista abruzzese Aurelio Simmaco de Iacobiti, poeta legato alla corte del principe di Taranto, Antonio del Balzo degli Orsini, e operante a Napoli nel periodo aragonese. Il componimento, in ottava rima, allo stato attuale delle ricerche assume notevole importanza sia dal punto di vista documentario, in quanto risulta essere la versione pi antica in volgare del poemetto pseudo-omerico (precede di quattordici anni quella in terzine, datata 1470, del veronese Giorgio Sommariva), sia dal punto di filologico, soprattutto in riferimento all'individuazione della fonte utilizzata. In questa sede offro all'attenzione degli studiosi la versione integrale del testo simmacheo da me curata. Per le notizie biografiche, la descrizione del codice e il commento filologico-linguistico rinvio al testo a stampa: M. Marinucci, Batracomiomachia. Volgarizzamento del 1456 di Aurelio Simmaco de Iacobictis, Esedra Editrice, Padova 20011.
M. M.

Trieste, 21 marzo 2005

Colgo l'occasione per segnalare alcuni refusi: p. 9 r. 13 IesuChristo > Iesu Christo; p. 11 r. 21 a destra > a sinistra; p. 12 r. 12 n . 22-58 > n. 22-53;p. 13 r. 7 suprema > superna; p. 14 r. 17 Fidelfio > Filelfo; p. 22 r. 10 [ stata omessa la seguente parte in grassetto: ..., dei personali soggetto di terza persona sing. lui, lei e pl. loro e dei dimostrativi quisto...; p. 98 r. 15 Percopo 1987 > Percopo 1897; p. 98 r. 17 1987 II > , 1897 II

Batrachominiomachiae Homeri poetae permaximi nec non sexti libri Publii Maronis Virgilii Eneidos vulgari rhithimo traductio per Aurelium de Jacobictiis de Tussicia ad petitionem et instantiam magnifici viri et domini Jachecti Maglabeti, et multorum aliorum peanum et rhithimorum compilatio, ut infra latius patet. Feliciter incipit.

Diva Elicona che sempre piatosa esser solivi con quil sacro choro de sancte muse, lieta et gratiosa alli mie preghi senza alcun dimoro forza porgendo sempre valerosa, allintellecto mio del tuo tesoro tanto donasti, bench fosse indegno gustare il cibo del tuo sacro legno. Et tu, Apollo, che guidare solivi per ogni mare la mia frale barca, senza temer fortuna o scogli o rivi, suavemente de toe merce carca; con vostra pace, o mei sacrati divi, con altre forze omai tucta travarca per altri porti con pi fido vento, quale la rege et guida al suo talento. Mentre de Citherea il gran figliolo guid lingegno mio che in Tesalgia, sentir te fe de morte quasi duolo per quella amata fronde de gran valgia, io te servai senza fraude et dolo. Ora che scrivere intendo la bactalgia, simile ad quella che fero i giganti, altra deit servo ne mei canti.

f. 1 r.

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Ora tu aspira, nume tarantino, ad me porgendo tua serena faccia; ad me sol basta lu tuo gran domino senza altre muse et di; non li dispiaccia, te sol servando, signor mio divino. Tu solo de aspro mare in gran bonaccia me poi condure; ors, sir mio possente, guida le rime alle bactalgie intente. Non credo gi li Greci et li Troiani s aspre guerre intorno ad Simeonte fessero mai, n ancor li Romani con Anibal ad Candi in su lo ponte; n gi in Tesalgia colpi s soprani fossero dati; n s fide ponte, n s gran stuolo mai adusse Serse, quando de navi il mar tucto coperse. Como menaro le due nationi con lor robusti et magnanimi regi, ci fe' li surci senza opinioni contra le rane et li suo' gran collegi, como riceta Homero in soi sermoni, quillui che di poeti ha digni pregi, como oldirete soe rixe primordia che forsia mise il mondo ad gran discordia.

f. 1 v.

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Fugendo de la gacta i gran pericoli, il sorce, sazo, con corso festino, per non provare li soi crudi articoli et per cacciar la sete al suo domino, ad un gran laco per tali aminicoli gionto ne fuo. Il surce pilligrino, guardando il laco cheto et la chiara unda, per bere la barba puse in su la spunda Havia data alla sua sete il bando et era lieto de cotal guardare, quando la rana, de lontan guardando, garula a &llui ne ve' senza tardare Gionta che fuo, il gran stagno varcando, in cotal guisa comenz ad parlare: "Ors, chi si' tu?, donda et ad che parte vai?, et che cerchi, dime, per tale arte?". Ancor: "Chi foro i ginitori toi?, dime il vero narrando, n busia non toche te, ca per certo da noi, se degno te farai, per ogni via donato serrai. Et lo albergo poi nostro ser commun senza fulia, et serai lieto, la nostra corte intrando, da te ogni timor via cacciando.

f. 2 r.

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56 spunda] corretto da sponda

Se il nostro nome voi te sia spianato et poi la nostra prole te disnude, sappi io son re, Phisignato chiamato. Limperio mio in questa palude, sopra le rane in sempiterno dato; Pelago mio patre da le forze drude, Idromedusa mia matre, con disio, in litto oceano me partorio. Ma or che te guardo s robusto et magno, esser tu d nellarme assai saccente; tu in prodeze non d haver compagno, ancor sopra ogni duca il pi excellente. Or di su presto, senza haver sparagno, chi fuo tuo patre et ogni tuo parente, et tua nation qui presso allacque". Et cus decto Phisignato tacque. Ad cui Psicarpax in tal modo rispuse: "Ad che la generatione a nullo oscura cerchi sapere in mei parol diffuse? Psicarpax ogni sorce con gran cura me chiama, senza far alcune scuse. Per ogni loco la mia fama dura, Troxarte lo mio magnanimo patre, Lycomile se chiama la mia matre.

f. 2 v.

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95 Troxarte] corretto s.l. con -s, qui ignorata perch avrebbe alterato il metro.

De Pernotrocto, re superbo et degno, filgiola fo de sterpe imperiali. Dirr pi avanti senza altro ritegno: paro non hebbe sua vita riali, temea ogni uno lu suo magno regno. Et poich nato foi con i mortali, nutrito foi: per cibo alla mia menza fo fice et nuce poste per sentenza. Ma dime: como or noi serren conionti in amar, che varie semo de natura ancor de nation tucti disionti? Viver in lacqua tucta la tua cura; ad me de roder pane i denti pronti, et le spianate con mente sicura tollo de li canistri, et ci che magna lhomini ad me non fuge per sparagna. Non casio fresco et cose inzuccarate, n anche li odoriferi magnari, che spesso ai di solgion esser portate, et ci che ne i conviti se pu fari; ancor, ne' piatene chiuse et copertate, ci che i coci usa conservari a noi fuge, ch con lo arguto dente no &lli rodan senza temer sovente.

f. 3 r.

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120

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98 100 imperiale] corretto da imperiali riale] corretto da riali

In nullo strepito ancor de bactalgia gi mai fugecti, ma sempre nellarme io so' lo primo, se Iove me valgia, senza temer alcun che possa farme. Ancor se lhomo al somno se travalgia, io animoso, senza dubitarme, spesso li mordo li punte de i deta, strengo li calci mei che non me 'l veta, non per che dal somno li disvilgia, n dolgia li dahan per cortesia. Ma doi son li animali ad miravilgia qual noi tememo pien dogni follia, ci la gacta e 'l nibio che ni pilgia, dannone aspra morte in ogni dia; ancora noi tememo il tristo laccio, qual spesso ne d morte et grave impaccio; ma sopra tucti noi tememo la gacta, quale, iacendo a li nostri pirtusi, ella con fraude ad cavarne se adacta. Ma noi, per cibo, ad mangiar non semo usi rofani, bieti, brassica ad vui acta; n le pregnante zucce a noi si pusi per cibo, overo l'appio s amaro che socto londe ad vui tanto caro".

f. 3 v.

124

128

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136

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144

Or subridendo s, la rana allora respusi: "Amico, assai te levi altano! Molte cose alle rane in ogni hora in terra et mare, et non te parlo invano, Iove concese,et doppia vita honora. Le rane in doppio alimento soprano occultano lo corpo in lieta vita; vivemo in terra et acqua a noi gradita. Le quale cose se veder vorrai, ad te firran palisi i nostri regni; se su le nostre spalle montarai et con le mane al mio collo te tengi, legeramente lacque passarai una con nui, s lieto ne vengi". Et cus decto, il sorce monta suso, la rana abraccia lieto et gracioso. Con ambo mano lei va s abracciando: o quanto lieto nello aspecto primo, senza temer fortuna o altro dando, vedendo lacque chiare!; et gi vicino era lu porto ancora, ma, natando, la rana verso lalto tie' il camino. Bangiar se sente et vende tucto meno, la cuda stende in lacqua como un remo.

f. 4 r.

148

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160

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150 152 doppio] aliter bino m.s. vivemo] aliter vivendo m.s

Lo cor li trema in corpo et crudi pianti comenz a &ffare tucto lacrimoso, tirandose i capegli tucti quanti del capo tristo; et tucto spaventoso chiama li di, de et tucti i sancti, li porza aiuto con nume piatoso, che possa sicuro ad terra ritornare con voto de mai acqua pi passare. Non s il tauro, per lo regno de Theti, Europa ne portava, il bel zoiello, per londe tirie allisola de Creti, como la rana il sorce mischinello ad cui contra il cielo et le pianeti. Et gi mezo il laco Phisignato fello havia passato, quando di lontano uno idro vede con lo capo altano. Quando la rana ci vene guardando, remase smorta et perse ogni virtute, ma pure del suo scampo va penzando, non se ricorda che l compagno aiute; subito in lacqua lo ve reversando et fuge per cercar la sua salute. Il sorce, poich abandonato foe, in lacqua resupino allor cascoe.

f. 4 v.

172

176

180

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192

Devende smorto et strenze ambo le mano et de soi pianti tucta lacqua sona, sforzandose dal fato proximano voler scampare sua rial persona. Tre volte se affond in laco altano, tre volte, morituro, se abandona allo tornar di sopra , calcitrando: lo pel bangiato in lacqua li d affando. Poich sent indarno, contrastando, et la vicina morte poich vedi, in cotal modo se ve' lamentando: "Ay, Phisignato, i dei celar te credi cotal piccati et lo mio grave dando? Con fraude qui pigliarme non devidi, gectandome nellacqua despietato, como del monte fosse traboccato. Perfido, non havesti animo in terra ad corpo ad corpo meco de provarte, cha nullo paro ad me se trova in guerra et de loctare in ciascaduna parte, n docto pi ad corer se diserra, overo in giostra meglio sappia larte, o luna man con laltra dimicando; ma tu, crudele, occidi me con ingando.

f. 5 r.

196

200

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208

212

216

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200 pel] corretto da pelo, che presenta espunzione di -o, segnalata da un non chiaro puntino sottoscritto.

10

Timerosa sopra ogni cosa humana, per cotal fallo et inaudito scelo riceverai la pena, fiera vana, ca dio vindicator dal summo celo riguarda tucto, et in schera soprana vidrai i surci ad vindicar col telo". Et cus decto, anneg lo mischino, le mani strinze in lacqua resupino. S come suole advingir, per ventura nella ripa del stagno stava asciso un sorce, et sentio ogni sciagura, Licopinax chiamato, et fo conquiso; partise subito in molta pagura de lagreme bangiando il tristo viso; ululando, alli surici, dolgioso, conta lu facto in volto assai piatoso. Li quali, intesa s crudele sorte, in ira mossi, senza far dimora, di nobil surci ogni uno alla gran corte del misero Troxarte vengia allora socto la pena de ricever morte, como del sole i razi para fora. Et cus tucti attenti et dobitando, non sa ogni un che volgia dire il bando. _______________________________________________
217

f. 5 v.

220

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240

Timerosa] corretto da Ay timerosa: espunzione di Ay segnalata da due puntini sottoscritti, richiesta anche dal metro. 222 vidrai] corretto da vindrai: -n- cancellata con tratto verticale. 230 - 232 de lacreme ... piatoso] corretto da ululando alli surici dolgioso / conta lu facto in volto assai piatoso / de lagreme bangiando il tristo viso / . L'intento di correggere l'errata collocazione dei versi, dovuta al mancato rispetto dello schema metrico (AB AB AB AC CB per AB AB AB CC) , segnalato in maniera imprecisa, e probabilmente da altra mano, dalle lettere a e b poste in apice sul m.s. del terzultimo e dellultimo verso dell'ottava e dalla a, successivamente cancellata con tratto orizzontale, posta il apice a sinistra del penultimo verso della stessa. 235 nobil] corretto da nobili: espunzione di -i segnalata da due puntini sottoscritti e richiesta anche dal metro

11

Era quisto Troxarte re et signore de ogni sorce in sempiterno regno et patre ad Psicarpax di valore, morto et anegato con isdegno da Phisignato, falso traditore, re de le rane de superb<i>a pregno; nullo se fide ad chunca dice: "Io tamo!", ca socto porta il foco, lesca et lhamo. Stava il misero corpo in mezo il stagno exangue, pregno de acqua et resupino; or qua or l, senza haver sparagno, londa lo portava al suo domino. Ay crudele sorte, ay rio compagno, non era ancora il corpo suo tapino possuto mai, de la vita priva, dallalto stagno vingire alla riva. S come Phebo dal mare occeano vende sorgendo con laurata chioma, fugando i tenebre con ragio soprano, et li cavalli con la usata soma tenia la via su nel cielo altano, quando i surci, ruendo, se abandona, allo rial palazo tucti intrando per consigliar il re al suo domando.

f. 6 r.

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248

252

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260

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12

Tacan tucti, quando i &rre, turbato della morte del filgio, im pi se leva, et cus sospirando hebbe parlato: "O mei fratelli, la morte gi seva et l ingando de rane haver portato ad mei filgiol, et far non lo deveva. Ay morte seva, ad mei filgiol s presta, oy me, de tre gi nullo me nde resta. Tre, misero, filgioli ho generati, tre, lasso me, mi sondo stati morti: lo primo la gacta con malvasitati tir dal busio con suo' ungi torti, laltro li homini in ligni ad nui sacrati, per arte facti, ay me crudeli sorti, qual chiamato laccio per rasione de ogni sorce morte et passione; il terzo a noi restava, ay caro filgio, dillecto et spene del tuo tristo patre, quisto le rane col suo fiero artilgio, periura falsa con promesse latre, morto me &llha nellacqua con pirilgio. Adunque, tucti armati in belle squatre se mecta in puncto de ci vindicare contra le rane, et giamolle ad trovare".

f. 6 v.

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13

Cus parlato, tucti allarme corre, et Marte valeroso ben li assecta in bella schera, et larmatura apporre. Primo arnisi et schineri ogni un se mecta, qual fuo schorcie de fave, chebbe ad torre che rosicar la nocte molto in frecta; cus soctili arme ogni uno amava, un pizo de lucerna in scuto stava. Et la coraza poi in su le spalle ugni un per arte facta molto bella, la quale fo, se Homero mio non falle, de gacta acconza una horrende pella. La minace asta tosto pilgia avalle, quale fuo una acu con la punta fella; le cocchie de nuce lor tien per almecto, schirati tucti in uno drappellecto et stando tucti in arme, aspri et feroci. Quando i rane, chiamate, dalti stagni usceva tucti in resonanti voci, turbate, insemi con i loro compagni, senza tra loro fare feste et ioci, de la bactalgia i perilgiosi dangi gi non sentea, ma il messo soprano de' surci arriva col bastone in mano.

f. 7 r.

292

296

300

304

308

312

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304 tucti] aliter insemi m.s.

14

Quistui da ogni sorce era chiamato Churobato, trombecta assai saputo, del sangue chiaro de Tiroglafo nato. Gionto che fuo, non stecte mica muto, la cruda bactalgia ha &nnuntiato, dicendo: "Rane, con tucto vostro aiuto, i surci minaci or ve diffida con larme in mano", il buon trombecta grida, "perch annegato fuo dallo re vostro nellacqua Psicarpax senza fallo, filgio de re Troxartes signor nostro. Adunca, in vostro ardire , in quisto stallo pilgiate bactalgia, quale or ve dimostro". Voltose indreto tucto de ira caldo decto che hebbe, et la diffida vende. Alle rane turbate il re ad parlar prende: "Chi quistui? Da noi giamai fo morto sorce alcuno, n anche viduto; ma forse limprudente et poco accorto, volendo natare, in lacqua fo caduto; videndo le rane natare in su lu porto, loro imitando, de la vita sciuto, lassiando qui la vita, lossa et polpa: loro me accusa senza alcuna colpa!

f. 7 v.

316

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324

328

332

336

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316 e 317 Gionto che fuo, ... ha &nnuntiato] corretti da La cruda bactalgia hannuntiato / Gionto che fuo non stecte mica muto/. La correzione, verosimilmente di altra mano, dell'inversione dei versi segnalata dalle lettere b e a poste in apice rispettivamente sul m. s. del quarto e del quinto verso.

15

Ma como i surci noi faccian morire, ogni una penze, et primo la sentenza mia intenda senza alcun fallire: ogni una, armata, in quella ripa, in tenza sedamo, et quando i surci ar ad vingire ruendo in noi, senza altra clemenza pigliamoli a lalmecto traboccando nellacqua altana, et lor se nigarando, perch non sa natare allo ver dire; nel laco morerando ad gran disdegno, et cus ad noi magne et pien de ardire star de' surci il triumpho pi degno". Piacque tal decto ad tucti, et con desire allarme corse senza altro ritegno: pilgi schineri et arnisi con gran volge, facte de malva con tucte le folge. Per coraza la bieta verde tolse, li cauli ancora per scudo inbrazava, la lanza ogni un de pilgiar non se dolse, qual fo un ionco con la punta prava; et per almecto poscia al capo avolse la lumbaca marina assai suava; et poscia in su la ripa ogni un sarresta, laste crispando, collalmitti in testa.

f. 8 r.

340

344

348

352

356

360

16

Allora Iove su nel ciel stellato li di fece tucti convocare, et tal bactalgia tosto habbe monstrato, et larmati firoci al contrastare con laste in mano, ogni un furiato. Paria i surci allor che assimilgiare se possa tucti alli centauri feri, et le rane ancora alli giganti alteri. "Cerchese nume che habia aitato alli surci et alle rane tanto fieri!" et placido in tal modo habbe parlato; ad Pallas dice: "Filgia, tu primeri como soccorso non porgi allo stato de' surci toi, che sempre legeri exultano, saltando in su laltari, letandose alli adesi singulari?". Ad cui Pallas cus fe risposta: "O patre, se io vedesse i surci torti et rocti ancora, ad aiuto disposta non so', ma volgio tucti fosse morti, ch l<a> corona al nostro tempio posta rodeno, et le lampe ando ramorti bivendo lolgio; ma pi mha turbata una pianeta che mha lacerata,

f. 8 v.

364

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380

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380 381 volgio] aliter voria m.s.; tucti ] aggiunto s.l. corona] corretto da corone, con -e ritoccata in -a, che ha richiesto, in questa sede, l'emendamento dell'articolo le del ms.

17

corrosa tucta con molti pertusi, qual fici daltrui stame in altra parte; per fornirla allusura ne pusi, orrida cosa ai dei in ogni carte. Et le rane, ancora pur che fosson fusi! Garule, vane, periure et false ad arte, che morte fosse, non darr soccorso perch instabili fando ogni suo corso. Dall'orisona pugna gia tornando, stracchi et fatigati i membri mei, per ripusarli alquanto da laffando; queste periure rane, vane et rei, il cielo impl de tristo lucto intando, n tanto spatio ad me donaro lei, che dormir me potesse; fin che l gallo annonti lo iorno in quillo stallo. Adunca, di, senza nostri numi tra loro pugne et faccia tal contrasta, acci che i nostri corpi sacri et sumi non sia franti con la loro asta o con altro cortello ad tal costumi; adunque senza noi tra lor se adasta." Piacque ad tucti i di cotal consilgio, qual diede Pallas con turbato cilgio.

f. 9 r.

388

392

396

400

404

408

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396 403 405 407 periure] maldecte aliter m.s. sacri] corretto s.l. da si alti. tal] corretto da tali, con -i cancellata da un tratto verticale. cotal] corretto da cotale: espunzione di -e segnalata da un puntino sottoscritto.

18

Et ecco li trombecti senza posa, quale era eraldi ad la mortale guerra, ci la cenciala magna et valerosa con sua bocca la bactalgia afferra. Un trono, signo de pugna dolgiosa, Giove dal cielo allor tosto diserra. Allor de rane uno aspro cavalero, Isiboa chiamato prodo et fero, quistui ferecte un sorce valeroso che Licanor per nome se chiamava et stava avanti laltri, vigoroso, gridando fortemente, aminazava; lasta feroce nel ventre animoso qual fin nel gran polmone trapassava. Per la qual cosa cade in su la terra et larme fece sono in su la serra. Or se incomenza la crudel bactalgia; et poi quistui, un sorce assai feroce, unasta prese, il cavalier de valgia; Troglodito, chiamato in plena voce, ad vendicare il compagno travalgia morto: un dardo prese assai veloce, fer una rana, Pelion chiamata, cui nel petto lasta li fo intrata;

f. 9 v.

412

416

420

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19

per la cui ferita lanima se parte et locchi da la morte fo serrati. Sentleo la vita tolle in cotale arte ad Abachitro per cotal mercati; allora Polifano, che di Marte era filgiolo, con suo' crudi aguati ad un sorce, Atrofao chiamato, lasta li mise nel corpo, adirato. Per tale colpo lanima abandona, il fredo corpo su la terra iace; in ogni loco par che l ciel resona de pianti et gridi senza alcuna pace. Lindocaro allora, la franca persona, un saxo prese et de potentia face, ad Troglodito percosse in su lu collu, qual fracassato, morte via portollu. Dallaltra parte Lichenoro ardito unasta prese como neve chiara, et Lindocaro nel ventre hebbe firito. Quillui, ad chi la vita tanto cara, dallalta ripa nel stagno, smarrito, se gecta per fugir la morte amara; ma non li valse, ch l bon Licanore un altro colpo li don mazore.

f. 10 r.

436

440

444

448

452

456

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446 saxo] m.s. corretto da xaxo.

20

Per la qual cosa cade presto morto, facciando lacqua de sangue vermilgia, in su lu stagno, quasi presso al porto. Allor Lindesio con turbate celgia Tiroglafo percosse tucto ismorto; et Calamites, senza altra bisbelgia, Pernoglifo sguardando, fo smarrito: nellacqua fug tucto tramortito. Lo forte scuto, quale in brazo havia, dinanti al re lo gecta con isdigno; ma Idrocaro galgiardo, in fede mia, Pernogafo co un saxo assai maligno nel fronte percut senza busia. Per la qual cosa, de cervella pregno, il sangue insemi con aspro dolore del naso 'scio con dolgia et furore: cervelle et sangue la terra s bagna. Licopinax allora, assai valente, lo gran Barbarofonte con gran langia, quale nel fango ad gridar possente, s lasta forte senza altra sparagna nel corpo li trafixe fortemente, per lo qual colpo cade morto al piano, lasta rompendo, il cavalier soprano.

f. 10 v.

460

464

468

472

476

480

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471 472 il] m.s. corretto da con. et furore] corretto da et con furore

21

Pressofao, guardando, assai veloce il corpo morto prese per li pedi, nellacqua lo rimise in su la foce. Psicarpa, che ad riguardar se diedi, agiutare i compagni non li noce; Pelusio nel ventre allora fedi, passando lasta per fiallo polmone, lo corpo morto ad terra riversone. Non fo senza vindecta cotal morte perch de rane un magno cavalero, per nome decto Philobato forte, od che feci il nobili scudero: le mani ebbe in su lu fango porte, et quanta lota nel pugno sincero prender possio, con gran forza gecta, nel fronte ad Psicarpa ben lassecta. La faccia tucta de maligno limo limplio sc che appena l ha cecato, per la qual cosa il sorce assai tapino in terra se destese adolorato; et per fortuna sua, overo destino, un saxo, che l stava, habbe trovato, pigliolo presto et con tucte soe posse Philobate alla gamba poi percosse.

f. 11 r.

484

488

492

496

500

504

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484 485 492 Psicarpa] corretto da Fisicarpa: P- da F- ritoccata e -i- cancellata con un tratto verticale. i compagni] corretto da i soi compagni. L'espunzione di soi segnalata da tre puntini sottoscritti. nobili] corretto da magno.

22

Per cotal forza che lo gecta in terra, cascando resupino in su la rena, Caucraside allo aiuto se diserra. Un ionco prese, duna forte lena lanciandol gecta in cos aspra guerra, che li pass lo ventre et ogni lena, et mentre che la lancia fore trasse, la punta le budelle in terra sparse. Sitofaus in la rena stava asciso, videndo larme et la bactalgia dura, de la pagura tucto fuo conquiso. zoppo, de la bactalgia allor se fura, fece in la fossa de gectarse adviso, saltando in lacqua pieno de pagura. Troxarte allora su larme se assecta, penzando de suo filgio far vendecta. Nel manco pede tosto lha firito con lasta bascia, se Homer non fala, disposto sera il re magno et ardito presto mandarlo alli fiumi infernali. Allora un pronto cavalier gradito che, tra li sorci magni et naturali, quistui, lo pi doctato et rivirito, era nellarme ancora il pi saputo,

f. 11 v.

508

512

516

520

524

528

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509 523 gecta] corretto s.l. da forte. et] aggiunto s.l., in sostituzione di una precedente lettera confusa e cancellata.

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il qual de sangue chiaro era disceso de Artepibolo al suo tempo famoso; quistui chiamato per ogni paeso Meridarpago magno et virtuoso et de belleze et iovint compreso, ma sopra tucti in arme valeroso; quistui. cacciando tucti, se exaltato et nanti il stagno forte s firmato. Allor de' di et homini il gran patre sublimo su dal cielo ha risguardato videndo de rane rocte le soe squatre, la chioma e l capo, tucto hebbe squassato, "Di", dicendo, "de forze lizatre, che miravelgia lanimo ha assazato, et che frore vego: allo ver dire, Meridarpago vole i rane far morire. Subito tucti insemi mandaremo Pallas alla bactalgia aspra e feroce; ciascun cavaliero adlente il freno, de la bactalgia desista veloce." Ad cui Marte, con parlar sereno, in cotal modo mise la sua voce: "N Pallas, n le mie forze bastate, che daga soccorso alle rane sciagurate.

f. 12 r.

532

536

540

544

548

552

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531 535 551 ] aggiunto s.l. cacciando] corretto da cascciando: -s- cancellata da un tratto obliquo. bastate] corretto da bastante per ragiorni metriche.

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Tu col scuto, patre nostro et signore, percoti, col quale i feri giganti cascaro tucti, con greve furore, gi de la terra li filgioli tanti". Cus parlato, con grave romore li fulguri cadenti prese avanti, et con gran tono tucto il ciel percosse; de manu lu gran trono allor se mosse. Il quale, volando per lo ethereo celo, i surci inpagur per ogni canto, non per che de la bactalgia il velo lassar volesse con furore tanto, ma con lo core invelenato et felo le rane de finire se d avanto. Ma Iove ad aiutare pur disposto, alle rane di soccorso molto tosto. Mandance pure certi animal blesi, col rostro ritorto et gresso oblico, li quali han lochii nel pecto remesi, con dure spalle, s come io ve dico, con locchi torti et con frenati vesi, i quali gli homini con vocabolo antiquo granci chiam: bicipiti, senza mani, so' de octo pedi l'animali strani.

f. 12 v.

556

560

564

568

572

576

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553 574 575 576 ma aggiunto m.s. homini] h di homini s.l. mani] corretto da fallo. l'animali strani] : senza effecti vani lezione a testo; aliter l'animali strani aggiunto m.d.

25

Li quali de' surci subito ad furore con duri morsi li pedi et le mani, ancor le code con crudel rumore ad morder prese, con isdegni strani. Laste non valse contra loro valore; per la qual cosa, con sospiri insani, li surci tucti, con grave pagura, lo campo abandon per lor sciagura. In fuga allora messi, insemi tucti socterra se nde and; in lor pertusi per gran timore s'ero loro reducti. Febo alloccidente allor se ascusi solvendo i cavalli al carro aducti; allora la discordia se ripusi, et manc le bactalgie ismesurati. Cus Homer finissi in suo' tractati. Or qui finisce lopera dHomero, bench Plutarcho non lo concedesse, dicendo:" Ci, non fo su' lavorero", et no &llo notao nelli gran processi delle bactalgie troiane, et quillo fero et varii poscia et grandi error d'Ulessi. Ma vole laltri che ci Homer compusi, tra laltri magne scripti in quisto clusi.

f. 13 r.

580

584

588

592

596

600

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590 dicordia] corretto s.l. da bactalgia 593 -598 concedesse... processi ... Ulessi ] evidenziano il tentativo, probabilmente di altra mano, di adattamento della rima alla terminazione -issi, attuato con lieve ritocco delle /e/ toniche: concedissi... procissi... Ulissi.

26

Plutarcho, invidiando, non concesse a' re de' pueti greci e de' latini che tale cosa Homero ficesse perch opra alta et pelligrini. Or mira, lectore, et sappi quisto expresse: che quisto decto da Homer divini, che miro ingegno in basse cosi pilgiar principii alti et gloriosi. Perch upinion del nascimento varia, qual fusse il loco natale, bench de tucti tal consentimento che greco fosse tucto naturale. Cus ad tale opra laltri tene argomento che sia de Homero poeta immortale, gloria di greci et gran miravilgia de noi latini et dogni altra familgia. Curria lanni mille et quactrocento de Iesu Christo nostro salvatore, ancora cinquanta sei il complemento de l mese de augusto in Partenope ancore, quando Iachecto, sire de valimento, fece ci fare allo suo servitore: Aurelio fidele de Tuscicia. Per quisti pregate la matre Maria. Amen

f. 13 v.

604

608

612

616

620

624

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606 609 decto] tracto aggiunto m.s. Perch] Sci como aggiunto m.s.

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