Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
CORO
151. Tradussi Dione, come nel testo: forse più giustamente dovea dire
Dionea, da Dione che Omero dà per madre a Venere. Esiodo la dice
figlia dell’Oceano e di Teti, e fa nascere Venere dalle spume del mare.
152. Delia, soprannome di Diana, dall’isola di Delo, ove era nata. Vedi
Virgilio, Eglog. 3, v. 67.
153. Ibla, monte della Sicilia, celebre per lo squisito miele che vi si
raccoglieva. Due città sicule portavano questo nome, Hybla major e
Hybla parva, sulla costa orientale, le cui rovine veggonsi tuttavia in riva
al mare. I colli che la circondano, lungo il fiume Alabus, sono in tutte le
stagioni coperti di fiori, di piante odorifere, di timo e di sermolino, d’onde
le api traggono anche presentemente il più squisito miele. Già induce a
credere che il miele d’Ibla, tanto vantato dagli antichi, fosse raccolto
presso d’Ibla la piccola.
154. Enna, città in luogo eminente in mezzo della Sicilia. Le praterie dei
dintorni, inframmezzate da limpidi ruscelli, indorse di sempre
verdeggianti boschi e di fiori odorosi, erano considerate come il
soggiorno prediletto di Cerere. Fu in quella bellissima campagna che
venne rapita la di lei figlia Libera, più nota sotto il nome di Proserpina.
156. Amiclea od Amicla, città antica italiana, che dissero fabbricata dai
compagni di Castore e Polluce, i cui abitanti astenevansi da ogni
nutrimento animale. Furono distrutti dai serpenti, de’ quali abbondava il
suo paese. Erano grandi osservatori del silenzio, onde taciti li chiamò
Virgilio: Tacitis regnavit Amiclis (Æneid. lib. 10, v. 565) e qui pure nel
Pervigilium vien designata Amicla d’essersi perduta col silenzio: forse
non avendo invocato soccorso a tempo quando era devastata dai
serpenti.
157.
158. Vedi nel Vol. I. il Cap. VIII. — I Templi, dove si parla di quello di Iside.
162. Vol. II. Cap. XII, p. 106-113. Milano, 1873. Presso Felice Legros, editore.
163.
164. V. 346-49:
165.
. . . . a poco a poco
Te aggregheranno del bel numer uno
Quei che accerchian la fronte in lunghe bende,
E tutto avvolgon di monili ’l collo.
Ne’ penetrali lor, con ampie tazze
E ventraia di tenera porcella
Placan la Bona Dea. Ma quelle soglie,
Con rito inverso, or non avvien che tocchi
Piè femminile: a’ soli maschi l’ara
Apresi de la Dea. Lungi, o profane!
Alto s’intona; no, che qui non geme
Tibia ispirata da femmineo labbro.
Tal’orgie i Batti usar fra tede arcane
Solean, stancando l’Attica Cotitto.
Id., Ibid. Trad. di Gargallo.
166.
. . . Via, fuori
. . . . qual vergogna! S’alzi
Da l’equestre cuscin, chi non possiede
L’equestre censo; e de’ mezzan d’amore
Vi sottentrino i figli, in qual sia chiasso
Nati pur sien. Costinci applauda il figlio
Del grasso banditor tra la ben nata
Da’ rezïari giovinaglia, e quella
Degli accoltellatori.
V. 153-158. — Tr. Gargallo.
167.
168.
170.
171.
172.
173.
174.
175. Dissi già nel capitolo de’ Teatri come le cortigiane fossero nel
quattordicesimo gradino del teatro, citando all’uopo il Satyricon di
Apulejo.
177.
179.
180.
181. Fu Sotade poeta di Tracia, che scrisse in verso ogni sorta di libidini, e
sembra che scrivesse in quel genere che i Francesi chiamano poesie
fuggitive e che in latino diconsi commatæ, cioè incise, spartite. Così le
chiama Quintiliano; e pare che a’ tempi di lui fossero conosciute,
perciocchè egli proibisse agli istitutori di parlarne a’ giovinetti.
Intitolavansi quelle poesie del poeta Sotade Cinaedos, per cui Marziale
lo chiama Cinedo, ed altri chiama Jonico quel poema, giacchè l’epiteto
di jonico davasi a tutto ciò ch’era molle e lascivo. Visse questo poeta a’
tempi di Tolomeo, che il fece gittare in mare entro una cassa di piombo.
. . . . . Canidia, figlia
D’Albuzio, a’ suoi nemici erbe e veleno.
Tr. Gargallo.
187.
188.
189. Con una sacra indegnazione e con maggior calore per avventura di
Persio, Turno, vissuto sotto il regno di Nerone e vecchio sotto quello
degli imperatori di casa Flavia, compose satire che quello imperante
stigmatizzarono a fuoco. Vuolsi che le sue composizioni non publicasse
finchè visse quel tiranno; ma se ciò fosse, sarebbe stato minore il suo
coraggio, nè di lui avrebbe Marziale potuto dettare il seguente
epigramma:
191. Son note le pazze e infami nozze di Nerone con Sporo, celebrate
publicamente in Roma. Questo verso ricorda quello della Sat. II di
Giovenale:
193. Geta è altro favorito, che eccitò sotto Nerone una sedizione a Roma. Di
lui parla Tacito nel lib. II, cap. 72 delle Storie.
199.
..... Ascondere
Con segni intelligenti
I lusinghieri accenti.
201.
202.
Noti il lettore come Plauto usi della parola scœno, invece di cœno, come
dai Sabini si usava allora sostituire nella pronunzia la s al c. Così
scœlum per cœlum, scœna per cœna. La medesima cosa si fa oggidì,
in alcune parti d’Italia e massime in Toscana.
203.
204. Il comico latino che di queste femmine se ne intendeva, nella già citata
commedia del Pœnulus non dimenticò la scorta diobolaria, che
retribuivasi di due oboli, che è la stessa moneta del dupondium, e a
siffatte sciagurate accenna pur Seneca nel Lib. VI Controversiarum, in
quel passo: Itane decem juvenes perierunt propter dupondios duos?
205.
ARGIRIPPO
Non sono morto affatto, ancor mi resta
Qualche poco di vita, e quel che chiedi
Ancor darti poss’io; ma darò solo
Che tu rimanga in mio possesso e sappia
Che un anno intero tu mi serva e intanto
Presso di te nessun altro tu ammetta.
CLEERETA
E se tu il vuoi, quanti ho in mia casa schiavi
Evirerò; ma se d’avermi brami,
Il singrafo mi reca, e come chiedi
E come piace a te, dettane i patti:
Ma insiem portami il prezzo, agevolmente
Il resto accetterò. Son dei lenoni
Pari alle porte de’ gabellieri,
S’apron se paghi, se no, restan chiuse.
206.
DIABOLO
Fra me, l’amica mia e la mezzana
Leggine i patti, perocchè poeta
In codesti negozi unico sei.
Suvvia, mostrami il singrafo che hai scritto.
208.
210.
211.
212. «Porgi l’acqua fredda, o ragazzo.» Notisi il fridam per frigidam quanto
s’accosti alla nostra parola fredda.
213. «Una bianca m’apprese a odiar le brune.» Vedi Vol. I. Cap. Le Vie, ecc.
217.
218. «E le misere madri di null’altro più pregavano se non che fosse loro
concesso di raccogliere l’estremo sospiro de’ figli.»
Ed io tua madre,
Io cui l’esequie eran dovute, e ’l duolo
D’un cotal figlio, non t’ho chiusi gli occhi.
222. «Affermavano passarsi sotto terra l’altra vita dei morti.» Tuscul. 1, 16.
223.
. . . . e con supremi
Richiami amaramente al suo sepolcro
Rivocammo di lui l’anima errante.
Æneid. Lib. III, 67, 68. Tr. Ann. Caro.
227. «Le anime di virtù maggiore si chiamano Mani, quelle che son nel nostro
corpo diconsi Genii; fuori di esso, Lemuri; se infestano colle loro
scorrerie le case, Larve; ma se pel contrario ci son favorevoli, si
chiamano Lari famigliari.» De Deo Socratis.
228. V. 91-96.
. . . . la buon’anima,
Che già siede novizia in riva a Lete,
Trema del tetro barcajuol, nè spera
Varcar su la sua barca il morto stagno;
Miser! nè il può senza il triente in bocca.
Tr. Gargallo.
231. Storia Popolare degli Usi Funebri Indo-Europei. Milano, Fratelli Treves,
1873, pag. 19. — Perchè alla vera dottrina è sempre gentilezza d’animo
congiunta, l’illustre scrittore mi volle onorato del dono di questa sua
opera, che mi tengo cara e della quale pubblicamente il ringrazio. E
come no, se a’ dì nostri solo compenso a chi si pasce di studio sono o la
noncuranza o la calunnia? Oggi è vezzo di portar la politica anche ne’
giudizi letterarii, e chi non s’imbranca coi gerofanti della politica è punito
colla cospirazione del silenzio.
233.
Di lutti non plebei teste il cipresso.
Pharsal. III, 442.
Spiacquemi non usar qui della versione notissima del conte F. Cassi,
perchè in questo passo si cavò d’impiccio, col dire semplicemente i
funebri cipressi.
. . . . In pianti, in ululati
Di donne in un momento si converse
La reggia tutta, e insino al ciel n’andaro
Voci alte e fioche, e suon di man con elle.
Tr. A. Caro.
235.
236. «Io Sesto Anicio Pontefice attesto avere costui onestamente vissuto.»
Bannier, Spiegazione delle favole.
237. «Da qualche anno in qua non si offerse altro sguardo del popolo romano
una pompa così solenne e memorabile, come i publici funerali di Virginio
Rufo, non meno egregio ed illustre, che fortunato cittadino.» Lib. II.
epist. 1, Tr. Paravia.
238. «Detti furono siticini coloro che solevano cantare canti lamentevoli a
titolo d’onore, quando a taluno si facevano i funerali e recavansi a
seppellire.»
239.
Spargete lagrime,
Querele alzate,
Lutto e gramaglie
Or simulate,
Del triste coro
Echeggi il Foro.
245. «La nostra prosapia di tal guisa congiunge alla santità dei re, che assai
possono in mezzo agli uomini, la maestà degli dei che sono i padroni dei
re.» Svetonio, In Cæs. VI. Giulio Cesare da parte di madre si diceva
discendere da Anco Marzio, re.
248.
249. «Addio: noi ti seguiremo tutti nell’ordine nel quale la natura avrà voluto.»
251. Phaleræ. Erano piastre d’oro, d’argento o altro metallo lavorate che si
portavano sul petto, come attesta Silvio Italico nell’emistichio:
253.
. . . . . Altri gridando
Le pire intorno, elmi, corazze e dardi
E ben guarnite spade e freni e ruote
Avventaron nel fuoco e de’ nemici
Armi d’ogni maniera, arnesi e spoglie;
Altri i lor proprii doni, e degli uccisi
Medesmi vi gittar l’armi infelici
E gli infelici scudi, ond’essi invano
S’eran difesi.
Lib. XI, 193-196. Tr. Caro.
255.
. . . . . in ordinanza
Tre volte armati a pie’ la circondaro
E tre volte a cavallo, in mesta guisa
Ululando, piangendo, e l’armi e ’l suolo
Di lagrime spargendo.
Lib. XI, 188-190.
256. Annal. Lib. II. VII. Il Davanzati così traduce: «Nè Cesare combattè gli
assedianti (i Catti), perchè al grido del suo venire sbandarono, spiantato
nondimeno il nuovo sepolcro delle legioni di Varo, per onoranza del
padre si torneò.» In nota a questo passo, Enrico Bindi, nell’edizione del
Le Monnier 1852 vol. I. p. 65, pose: «Di questo costume antichissimo
detto decursio, vedi Senofonte nel sesto di Ciro, Dione, 55; Svetonio in
Nerone. Il Lipsio cita Omero, Virgilio, Livio, Lucano e Stazio.»
. . . . il camposanto
De la plebaglia...
260. V. 124-129.
262.
. . . . E di natura impero
Ma il pianto impon, se di fanciulla adulta
C’incontriam ne l’esequie, e se bambino,
Negato al rogo da l’età, si infossa.
Tr. Gargallo.