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Gli uccelli

Evelpide reggeva un gracchio, mentre l’amico Pistetero una cornacchia. Filocrate al mercato
aveva venduto loro i due uccelli dicendo che li avrebbero guidati no a Tereo. Egli era il re di
Tracia e marito di Procne. Aveva violentato però sua cognata Filomena e per impedirle di
raccontare tutto le aveva tagliato la lingua. Filomena però riuscì a far sapere tutto a Procne
comunque, così lei incollerita uccise il loro glio Iti e lo fece mangiare al marito. Gli dei
trasformarono in uccelli i protagonisti: Tereo in upupa, Procne in usignolo e Filomena in
rondine. Evelpide e Pistetero volevano infatti fuggire da Atene, al contrario dei tanti che
volevano la cittadinanza a tutti i costi. Non sopportavano più i loro concittadini, sempre
impegnati nei tribunali. I due uccelli però non li conducevano da nessuna parte, così che in
breve cominciarono a dubitare delle loro capacità. Ad un certo punto entrambi puntarono i
becchi verso il cielo. Era certo dunque che li si trovava Tereo. Pistetero ordinò a Evelpide di
chiamarlo e quello prese a battersi con una pietra sulla gamba e a fare il verso dell’upupa.
Spuntò fuori il servo di Tereo, era un uccello così brutto che i due amici si spaventarono e
lasciarono scappare la cornacchia e il gracchio. Per convincere il servo che non erano
cacciatori essi dissero di essere uccelli particolari. Il servitore si tranquillizzò e spiegò di essere
diventato un uccello a sua volta perché il padrone glielo aveva chiesto, poiché aveva bisogno
di qualcuno che gli procurasse i piaceri ai quali era abituato. Ora dormiva, ma Evelpide
chiese al servitore di andarlo a svegliare e il servitore andò, anche se sapeva che si sarebbe
arrabbiato molto. Nei brevi istanti in cui furono soli si rimproverarono a vicenda per aver
fatto scappare la cornacchia e il gracchio. Poi apparve l’upupa, quasi del tutto senza piume
perché era inverno. Era abbastanza orrenda e fece inorridire i due amici. L’upupa chiese loro
perché lo stessero cercando. Quelli risposero che avevano bisogno di un essere che possedeva
l’esperienza di un uomo ed anche quella di un uccello. Cercavano una città più tranquilla di
Atene, senza preoccupazioni e fatta di spensieratezza. L’upupa propose una città sul mar
Rosso, intendendo una qualche città dell’oriente. Evelpide però subito disse che era necessaria
una città lontana dalle coste, Atene era molto potente sul mare e sarebbe potuta venire a
prenderli. L’upupa propose altre città, ma le scartarono per motivi vari. In ne Evelpide chiese
come si vivesse tra gli uccelli. Tereo spiegò che non ci si doveva portare la borsa e che si
mangiavano ori tutta la vita, perciò una vita abbastanza bella. Pistetero rivelò il suo piano
all’upupa: creare una città tra cielo e terra, in modo da poter ricattare gli uomini fermando i
fumi dei sacri ci e facendo morire gli dei di fame. L’upupa era entusiasta per quest’idea
meravigliosa. Decise di chiamare a raccolta gli altri uccelli per proporlo anche a loro. Andò a
svegliare un usignolo che con il suo canto, unito alle parole di Tereo, richiamò gli uccelli. Se
ne presentarono di molto diversi tra loro. L’upupa prese la parola e disse che quegli uomini
erano venuti tra loro per aiutarli. Gli uccelli subito si adirarono con Tereo, stimandolo un
traditore poiché aveva portato tra loro gli uomini, esseri che avevano portato loro solo guai
nei secoli. Decisero di attaccare prima i due e poi pensare a Tereo. Evelpide e Pistetero
spaventati presero padelle e piatti per coprirsi gli occhi per evitare che venissero loro strappati.

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Gli uccelli stavano per abbattersi su di loro quando Tereo riuscì a fermarli. Spiegò che sapeva
bene che gli uomini erano sempre stati nemici in di degli uccelli, ma sapeva anche che spesso
dai nemici si apprendono utili virtù, come la cautela. Gli uccelli allora si quietarono e
lasciarono che gli uomini parlassero. Evelpide e Pistetero abbandonarono le armi di difesa e
presero a parlare. Pistetero spiegò che secondo Esiodo gli uccelli sono più vecchi degli dei e
del mondo. Infatti erano loro a governare prima di tutti. Erano rimaste delle tracce di questo
loro antico potere: il gallo portava ancora la corona perché un tempo governava l’oriente.
Ancora a quel tempo quando esso cantava tutti si svegliavano e si mettevano al lavoro. Poi il
nibbio era re della Grecia, il cuculo di Egitto e Fenicia. I re avevano scettri con uccelli sopra e
gli stessi dei spesso gli dei stessi erano rappresentati con degli uccelli. Il ricordo di questi tempi
lontani non era stato tramandato a quegli uccelli che adesso erano convinti nel voler
spodestare gli dei dal loro trono. Pistetero propose loro di creare una città nel cielo e di
dichiarare poi una guerra santa agli dei. Avrebbero impedito loro di venire sulla terra e di
sedurre le donne. Avrebbero dovuto mandare un uccello-araldo ad avvertire gli uomini di fare
sacri ci ed adorare loro invece che le vecchie divinità. Se si fossero ribellati gli uccelli
avrebbero tirato fuori tutti i semi dai campi coltivati e strappato via gli occhi degli animali da
lavoro. Invece se li avessero accolti come nuovi dei avrebbero eliminato tutti gli insetti
infestanti dei raccolti, avrebbero aiutato gli aruspici e gli auguri a prevedere il futuro ed
avrebbero guidato i cercatori presso le più grandi ricchezze. Non sarebbe stato necessario
guarire nessuno, cosa di cui erano capaci solo gli dei, perché tutti sarebbero stati benissimo.
Inoltre per gli uomini sarebbe stato più semplice adorare loro, non era necessario recarsi
presso gli oracoli lontani o costruire templi preziosi perché bastava gettare cibo tra le piante
per ricevere aiuto. Tutti gli uccelli erano ormai convinti, così l’upupa decise che avrebbero
agito in fretta e subito. Avrebbero costruito la città e i due uomini avrebbero dovuto mangiare
una particolare radice per acquisire le ali. Prima che andassero però gli uccelli chiesero a gran
voce a Tereo di far vedere loro sua moglie, l’usignolo. Ella si presentò vestita d’oro e subito
tutti, inclusi gli uomini presero a lodarne la bellezza. Dopo un po’ tornarono i due uomini
con ali nuove e pronti alla fondazione. Pistetero mandò Evelpide a fare i lavori pratici per la
creazione della città che si sarebbe chiamata Nubicuculia e come dio patrono avrebbe avuto il
pulcino. Pistetero rimase per compiere i riti di fondazione. Aveva chiamato un sacerdote il
quale però si era dilungato troppo, così Pistetero lo cacciò. Arrivò poi un poeta che sosteneva
di aver già composto delle odi per quella nuova città appena fondata. Era vestito pochissimo e
per convincerlo ad andarsene Pistetero gli diede la pelliccia e la tunica di un servo. Giunse in
seguito un venditore di oracoli che sosteneva che su un libro che aveva in mano fosse scritto
che per far in modo che la città fosse orente essi dovessero fare sacri ci e donare un
montone, vesti, calzari e frattaglie. Pistetero spazientito lo cacciò via in malo modo. Poi arrivò
Metone, matematico, che voleva misurare l’aria. Pistetero ancora più innervosito lo avvertì
che nella sua nuova città non erano bene accetti gli stranieri, soprattutto se impostori. Gli
diede una botta e quello se ne andò in fretta. Giunse poi un ispettore e Pistetero gli propose di
tornare alla sua città con il compenso immediatamente dando una botta anche a lui.
L’ispettore si sentì offeso e prese ad urlare. Intanto era giunto un venditore di decreti che stava

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proponendo leggi su leggi per la nuova città. Pistetero continuava ad urlare loro di andare via
ed in ne lo ascoltarono. Poi arrivò un messaggero che informò Pistetero che gli uccelli
insieme avevano costruito il muro della città. Pistetero era sbalordito e gioiva poiché erano
riusciti a farlo senza l’aiuto di nessun manovale. In seguito arrivò un secondo messaggero che
allarmato spiegò che una divinità era stata vista aggirarsi per la città. Gli uccelli si schierarono
e setacciarono tutto il cielo alla ricerca della divinità. Poi dal cielo dopo un grande rumore
scese Iride. Era stata mandata da Zeus per informare gli uomini riguardo ai sacri ci da
compiere agli dei. Pistetero le disse che d’ora in poi i sacri ci si sarebbero dovuti fare agli
uccelli, i veri dei. La cacciò via mentre quella giurava che suo padre Zeus avrebbe punito tali
impudenze. Arrivò poi l’araldo ad informare la città che gli uomini erano molto felici di
venerare gli uccelli e già cercavano di imitarli e vivere come loro. Presto sarebbero giunti a
chiedere ali ed artigli, di cui Pistetero dovette rifornirsi e dividere in base al tipo. Arrivò un
parricida, attratto da una legge che perdona coloro che percuotono il padre. Pistetero gli
ricordò che una legge delle cicogne imponeva di mantenere il padre nella vecchiaia. Poi gli
diede delle ali e una cresta da gallo e lo fece diventare un soldato. Gli consigliò di lasciar stare
il padre e di dedicarsi alla guerra nel caso la sua voglia di uccidere fosse così pressante. In
seguito arrivò un poeta, Cinesia, che voleva le ali per poter volare nell’aria ed avere
l’ispirazione per i suoi canti. Pistetero lo cacciò picchiandolo con le sue ali. Cinesia se ne andò
ma avrebbe ottenuto le ali in qualche modo comunque. Giunse uno sicofante che era uf ciale
giudiziario delle isole. Voleva le ali per andare in giro a fare le denunce più in fretta ed evitare
i pirati. Pistetero gli consigliò di cambiare lavoro perché era davvero triste quello che faceva. Il
suo mestiere gli era però stato tramandato dagli avi e quindi doveva mantenere le tradizioni.
Pistetero prese delle fruste, lo picchiò e non gli diede le ali. Arrivò ancora Prometeo. Aveva
saputo della città ed era venuto a consigliare a Pistetero. Spiegò che gli dei erano costretti al
digiuno e che gli dei barbari erano sul punto di dichiarare guerra a Zeus. Egli quindi era
nito e per la pace era disposto a tutto. Prometeo gli consigliò di chiedergli lo scettro e
Regina, donna meravigliosa che amministrava il suo fulmine ed anche le virtù migliori. Poi
Pormeteo protetto da un ombrello per non farsi vedere dagli dei celesti se ne andò. Furono
mandati Posidone, Eracle ed un dio barbaro, un Tiballo, per la pace. Pistetero stava facendo
cuocere degli uccelli che avevano provato a distruggere la democrazia della città e questo
distrasse Eracle, notoriamente dio goloso. Posidone chiese la pace ed in cambio proponeva il
favore degli dei in modo da rendere grande la loro città. Pistetero però voleva lo scettro e
spiegò che gli uccelli avrebbero reso gli dei ancora più potenti: avrebbero punito gli spergiuri
e coloro che non mantenevano le promesse di sacri ci. Posidone era convinto ed anche Eracle
e il Tiballo si erano lasciati persuadere. Però c’era un’altra condizione: Regina. Ad Eracle non
importava poiché non voleva far scoppiare una guerra per una donna, ma Posidone non era
d’accordo. Dovette però cedere perché sia Eracle che il Tiballo votarono a favore. In seguito
Pistetero venne portato al cospetto degli dei e ci furono le nozze con Regina. Canti e inni
accompagnarono la cerimonia e tutti acclamarono Pistetero come sommo dio.

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