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Textbook Educational Psychology For Learning and Teaching Susan Duchesne Ebook All Chapter PDF
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35. «Portò nel sotterraneo i polli, quegli che per tale officio dicesi appunto
pullario.»
37. «Non aver egli abbastanza atteso, per avviso de’ pullarii, agli auspicii.»
38.
39. Lib. III, 7. «Con duplice corona di fanti circondano la città e pongono una
terza fila di cavalleria esternamente.»
41. Lib. 20. «In questa persuasione il soldato percuoteva con l’asta lo
scudo, facendo grande strepito, quasi un sol uomo approvava i detti ed i
fatti.»
42. In Grecia questo inno sacro del trionfo appellavasi θρίαμβος. Diodoro
Sic. IV, 5.
51.
52. «A te, o Giove Ottimo Massimo, e a te Giunone regina, e a voi dii tutti
custodi e abitatori di questa rocca, volonteroso e lieto io rendo grazie, e
supplichevole, prego perchè, salva meco in questo giorno per le mie
mani la Romana Repubblica e ben sostenuta, abbiate a conservarla
eguale, siccome fate, a favorirla e proteggerla benigni.» Rosini. Antiqu.
Rom. Lib. X. Cap. XXIX.
54. Lib. 2. c. 8.
55. «Sancirono i nostri maggiori pertanto che dove un reato militare si fosse
da molti commesso, si dovesse castigare a sorte in alcuni, acciò il
timore a tutti, la pena a pochi toccasse.» Orat. pro Cluentio.
56. «Il tribuno prendendo la bacchetta, lievemente toccava il condannato.
Allora quanti trovavansi nel campo, chi con bastoni, chi con sassi lo
uccidevano.»
58.
59. «Parato prega sia fatto Pansa edile.» Altri invece tradussero: Parato
invoca Pansa edile. Colla prima versione ch’io pongo potrebbe
rovesciarsi la supposizione generalmente fatta colla seconda, che, cioè,
la casa appartenesse a Pansa, e farla ritenere invece, come vorrebbe
Marc Monnier, di Parato, perchè non sarebbe credibile allora che Parato
siasi recato a esprimere il proprio voto precisamente sull’uscio di Pansa:
questi almeno per pudore non lo avrebbe permesso. Ma l’opinione di
Monnier sarebbe tolta, se fosse vero ciò che qualche archeologo
sostenne che Paratus fosse sinonimo di institor o dispensator, dello
schiavo, cioè, incaricato della vendita delle derrate del padrone. Non
saprei in tal caso con quale autorità di scrittura antica avvalorare
quest’ultima pretesa.
60. «Fabio Euporio capo de’ liberti, invoca l’edile Cuspio Pansa.» Pomp.
Antiq. Hist. 1. 109.
61.
62.
63.
64.
65.
66. In Æneid. Lib. III, 134. Vedi Æneid. IX, 259 e V. 744.
68.
70. «Acciò un luogo più recondito non desse adito alla licenza».
74. «Dinnanzi al crittoportico c’è un sisto olezzante di viole. Il calore del sol
che vi batte è accresciuto dal riflesso del crittoportico, il quale come
mantiene il sole, così vi scaccia e mantiene i venti boreali; e quanto è il
caldo che si ha sul davanti, tanto è il fresco che si gode di dietro. Esso
arresta del pari i venti australi, e così rompe e doma i venti più opposti,
gli uni da un lato, gli altri dall’altro. Ameno nel verno, lo è ancor più nella
state. Poichè prima del mezzogiorno, il sisto, dopo di esso lo stradon
gestatorio e la vicina parte dell’orto sono confortati dalla sua ombra, la
quale, secondo che cala o cresce il giorno, qua e là cade or più corta, or
più lunga. Lo stesso crittoportico non è mai tanto privo del sole, quanto
allora, che il più cocente raggio di esso cade a piombo sovra il suo
colmo. Oltre a ciò per le aperte finestre vi entrano e giuocano i zefiri; nè
il luogo è mai molesto per un’aria chiusa e stagnante.» Epist. Lib. II. 17.
Trad. Paravia.
78. È ben inteso che qui si parla del diritto più antico: in seguito queste leggi
si vennero modificando ed erano già da tempo mutate quando a Pompei
toccò l’estrema rovina.
80. Vedi Aulo Gellio IV, 3, Valerio Massimo II, 1, 4, e Dionigi d’Alicarnasso II,
25.
88.
90. Epistolar. C. Plinii Cæcilii Secundi. Lib. X. ep. XCVI. Ediz. Venezia, Tip.
Antonelli.
91. «Fu consuetudine presso gli antichi che colui il quale passasse in altra
famiglia, avesse prima ad abdicare a quella nella quale era nato.» Ad
Æneid. 11. 156.
94. Top. 6.
99. «L’ingiuria fatta anche allo schiavo non si deve dal Pretore lasciare
inulta.»
103. Oraz. Sat. 11. 6. 66; Ovid. Fast. 11. 631; Petronio, Satyricon, 60.
104.
105. Sat. II, 5, 79. Non raccapezzandomi sulla versione del Gargallo, mi
provo io:
109. «Cesare dittatore nella cena del suo trionfo, distribuì anfore di vin
Falerno nel banchetto e cadi di Chio. Lo stesso nel trionfo ispanico
largheggiò Chio e Falerno. Al convito poi del suo terzo consolato diè vin
Falerno, Chio, Lesbio e Mamertino.»
110.
111.
. . . . i cibi apprestansi
Alla tua mensa in aurei piatti accolti.
Trad. Magenta.
112.
114.
115.
117.
120. Tre furono gli Apicii e tutti celebri per la loro ghiottornia. Il primo visse al
tempo di Silla; il secondo sotto l’impero di Augusto e Tiberio e fu il più
famoso e venne celebrato da Giovenale, da Seneca e da Plinio; il terzo
sotto Trajano e rinomato inventore del marinar le ostriche, delle quali
mandava all’imperatore desideratissime giare, quando quest’ultimo
trovavasi a guerreggiare tra i Parti. Tanto impose l’abilità degli Apicj, che
i cuochi si divisero persino in Apicj ed Antiapicj, come trovasi
menzionato in Plinio il Giovane.
121.
123. «Nè bevon meno e coll’olio e col vino sfidano le forze, e giù cacciatili
nelle svogliate viscere, lo rimettono per la bocca e rigettan col vomito
tutto il vino.»
125. Vedi nel I. vol. alle misure dei liquidi: il congio conteneva sei sextarii.
126.
Mai col mantile Ermogene
A cena non andò;
Da cena col mantil sempre tornò.
Ep. Lib. XII. 29. Trad. Magenta.
129.
130. Ciniflones eran gli schiavi incaricati di tingere i capelli soffiandovi sopra
determinate polveri, cinerarii quelli che riscaldavan nelle ceneri i
calamistri o ferri da arricciare: calamistri appellavansi anche gli schiavi
che usavano di quel ferro per arricciare; psecas finalmente le schiave
che profumavano i capelli e li ungevano d’olj odorosi.
132. Discerniculum era il pettine che si usava per far la divisa dei capelli sin
giù alla fronte.
135.
137. Infatti v’eran certi cani detti Lacones o Laconici, come ce lo apprende
Orazio nell’Ode 6 degli Epodi:
139.
141. «I Campani gente molle e libidinosa.» Trinummus, Act. II, sc. 4, v. 144.
145. Profezia di Osea. Capo 1 e 2: «Va prendi per moglie una peccatrice, e
fatti dei figliuoli della peccatrice.» Traduzione di Monsignor Antonio
Martini, del quale non è inopportuno riferire il commento: «Con questo
straordinario comando fatto al santo Profeta di sposare una sordida
donna, la quale era stata di scandalo nella precedente sua vita, il
Signore prova ed esercita la pazienza e la ubbidienza di Osea e
provvede alla salute spirituale di questa donna, e principalmente
indirizza questo fatto profetico a rinfacciare a tutta Samaria il suo
obbrobrio, ecc.» Non c’è più nulla a dire!
146. Osea. Cap. III. V. 1, 2: «Or il Signore mi disse.: Va ancora ed ama una
donna amata dall’amico e adultera.... ed io me la cavai per quindici
monete d’argento e un coro di orzo e mezzo coro di grano.» Trad.
Martini, il quale, non si sgomenta punto del fodi eam e commenta che:
per ritrarla dalla sua cattiva vita le dà il profeta quindici sicli d’argento ed
il resto. E soggiunge: «Questa non è la dote con cui egli si comperi
costei per sua moglie perocchè egli non la sposò, ma tutto questo si
crede dato a colei pel vitto di un anno, e tutto questo messo insieme è sì
poca cosa, che dimostra la vile condizione di essa e l’orzo serviva pel
pane delle persone più meschine.»
147. Così Apulejo fa parlare la Dea stessa: «Io sono la natura, madre di tutte
le cose, padrona degli elementi, principio dei secoli, sovrana degli Dei
Mani, la prima delle nature celesti, la faccia uniforme degli Dei e delle
Dee. Io son quella che governa la luminosa sublimità dei cieli, i salutari
venti dei mari, e il cupo e lugubre silenzio dell’inferno. La mia divinità
unica, ma multiforme, viene onorata con varie cerimonie e sotto
differenti nomi. I Fenici mi chiamano la Pessinunzia, madre degli Dei;
quelli di Creta, Diana Dittina; i Siciliani, Proserpina Igia; gli Eleusini,
l’antica Cerere; altri Giunone, altri Bellona, ed alcuni Ecate. Evvi ancora
chi mi chiama Ranunsia; ma gli Egizii mi onorano con cerimonie che mi
sono proprie, e mi chiamano col mio vero nome, la regina Iside.»
148. Trattato del Sublime. Sezione X. pag. 25. Edizione Mil. 1822. Soc. Tip.
de’ Classici Italiani.
149.
150.
LA VEGLIA DI VENERE
Inno
CORO
Chi non provò mai palpito
Finor d’affetto in core,
Doman lo dee dischiudere
Al più fervente amore.
Le spume dell’oceano
Fecero in tal stagione
Nascer, commiste al sangue
Di un’immortal, Dïone,
Del mar tra i numi fieri
E i bipedi corsieri.
CORO
CORO
CORO
CORO
CORO
CORO
CORO