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e l’altra così:
MARCVM CERRINIVM AEDILEM
POMARII ROGANT
Ciò che vuol essere osservato si è che in queste botteghe, che sono
circostanti al Tempio di Augusto, si sono rinvenuti molti oggetti
preziosi e d’arte, fra quali una statuetta di bronzo rappresentante
una Vittoria con armille d’oro alle braccia; un’altra in marmo; Venere
che si asciuga i capelli, come sorgesse allora dalle spume dell’Ionio
mare, colla parte inferiore velata da un drappo dipinto in rosso; una
bella tazza d’alabastro, anelli d’oro, gemme, sistri isiaci, un vaso di
vaghissimo lavoro, amuleti, strigili e diverse monete.
Sarà negli ulteriori scavi che verrà dato indubbiamente di scoprire
taberne d’altre cose mangerecce, e soprattutto lanienae, o botteghe
da beccai e macelli, la principale opera e materia prima dei quali
veniva somministrata dai templi, per le continue vittime che vi si
immolavano, per lo più in buoi, giovenche e pecore; e se agli Dei si
bruciavano ciocche di lana e qualche inutile interiora, tutt’al più
spruzzate da vino e mescolate di fiori, il meglio veniva accortamente
goduto dai sacerdoti pel loro uso, e venduto nuovamente ai gonzi, di
cui si costituisce la maggior parte del pubblico, che a ragion di
divozione avevano fatto prima l’offerta. I macellai dell’antichità erano
adunque principalmente i sacerdoti.
Della bottega del Chirurgo e del Seplasarius o farmacista e di quella
di prodotti chimici, ho già detto nel Capitolo delle Scuole; di quella
dello scultore mi occuperò nel venturo delle Belle Arti, come anche
del mercante de’ colori; perocchè meglio vi si trovino in essi collocati,
come materia che a que’ capitoli ha tutto il suo riferimento.
Nella stradicciuola di Mercurio, gli scavi trovarono nel 1853 un
Myropolium, o bottega da profumiere, detta anche, come la vediam
nominata in Varrone e Svetonio, unguentaria taberna [290]. Già
superiormente ho toccato dello spreco di profumi, aromi ed unguenti
che si faceva a quei tempi di grande effeminatezza in Roma e in
tutto l’orbe a lei soggetto. Non era soltanto, cioè, del mondo
muliebre; ma pur degli uomini. All’uscire del letto, prima d’entrare nel
bagno, nel bagno e dopo, era costume di ugnersi e di profumarsi;
altrettanto facevasi nelle case prima del pasto e avanti comparire in
pubblico e prima di coricarsi; ogni occasione era buona per
ispargersi il corpo e le vestimenta di odorose essenze, per ungere i
capelli e perfino per profumare camere ed appartamenti. Già abbiam
veduto nel capitolo dell’Anfiteatro come si facesse eziandio all’aperto
assai gitto di croco: si può pertanto argomentare cosa dovesse
essere negli appartamenti chiusi: a suo luogo vedremo,
specialmente nel triclinio e ne’ funerali.
Ma più che tutto, era nell’amore che di profumi si abusava, come
eccitanti e preparatori allo stesso. È noto, scrive Dufour [291], che il
muschio, il zibetto, l’ambra grigia e gli altri odori animali portati nelle
vesti, nei capelli, in tutte le parti del corpo esercitano un’azione
attivissima sul sistema nervoso e sugli organi della generazione. Nè
solo adoperavano esternamente detti profumi, ma non temevano di
far entrare aromi e spezie in quantità nel giornaliero loro alimento;
onde a ciò si voglia ascrivere quell’appetito e prurito continuo che
tormentava la romana società e che la spingeva in tutti gli eccessi
dell’amor fisico.
La lussuria asiatica portò seco tali profumi e d’allora in poi, così
prodigioso fu il consumo delle sostanze aromatiche, che parve non
bastare quanto inviava la Persia, l’Arabia e tutto l’Oriente insieme.
S’era insomma venuto a tal punto, da aver ragione Plauto, quando
nella Mostellaria usciva in questi accenti:
. . . tonstricem Suram
Novisti nostram, quæ modo erga ædes habet [294].