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docente: Beatrice Larosa

Propedeutica al latino universitario, Liv. 1, Università La Sapienza, a.a. 2019-2020,


LA LINGUA LATINA
La lingua come sistema dinamico. Il latino come
lingua indoeuropea. La formazione del latino. Gli
influssi. Le fasi del latino. Le varietà diacroniche
e sincroniche. L’alfabeto, le sillabe, la pronuncia,
l’accento, la divisione in sillabe.
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LA LINGUA COME SISTEMA DINAMICO
 La lingua latina, come tutte le lingue, non è un
sistema coerente e determinato, ha avuto una sua
origine e una sua storia, e si è modificata nel corso
del tempo.
 Il latino che noi apprendiamo dalle grammatiche
scolastiche è quello che si basa sui testi risalenti al
periodo che va dal I sec. a. C. al I sec. d. C.: è questo
il momento nel quale la lingua raggiunge una sua
“normalizzazione” e compiutezza (il latino classico,
impiegato da scrittori come Cicerone, Cesare, Livio,
Orazio, Virgilio, Seneca, Tacito, Petronio, che la
nostra tradizione culturale ha considerato
particolarmente significativi).
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SINCRONIA E DIACRONIA
 Una lingua può essere studiata sotto due aspetti:
sincronico e diacronico.
 La sincronia studia la lingua in un determinato
periodo storico e il suo uso viene ricondotto a
precise leggi di funzionamento (sotto l’aspetto
morfologico, sintattico, lessicale). [linguistica
“statica”, “descrittiva”: De Saussure]
 La diacronia studia la lingua nella sua
evoluzione nel corso del tempo (le fasi), con la
finalità di individuare le leggi di mutamento.
La lingua è, infatti, un sistema vivo, non stabile,
capace di adeguarsi alle sempre nuove esigenze
dei parlanti.
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IL LATINO COME LINGUA INDOEUROPEA
 La prospettiva diacronica è impiegata dagli
studiosi di grammatica storica e comparata.
 È merito dei glottologi tedeschi dell’Ottocento aver
riconosciuto, dopo la scoperta del sanscrito o antico
indiano, le parentele linguistiche tra idiomi parlati
in aree geografiche lontane tra loro,
riconducendole ad un’unica matrice comune:
l’indoeuropeo.
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 L’indoeuropeo è il ceppo linguistico che
comprende, oltre al latino e alle lingue romanze
da esso derivate, il greco, molte antiche parlate
italiche, le lingue germaniche, celtiche, baltiche e
slave, alcune lingue asiatiche (l’armeno, l’iranico,
l’ittita e le lingue indiane); era parlato dalle tribù
che, da un originario stanziamento (IV-III
millennio a.C.), in un territorio corrispondente
all’area caucasica, si diffusero, in diverse fasi
migratorie, fra i territori estremi dell’India e
dell’Europa occidentale.
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MAPPA:
(FONTE
LE PRINCIPALI LINGUE INDOEUROPEE
HTTP://WWW.HOMOLAICUS.COM/LINGUAGGI/LINGUE_INDOEUROPEE.HTM)
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LE PARENTELE LINGUISTICHE E
CULTURALI

 La glottologia ottocentesca, grazie al metodo


storico-comparativo, sistemò un enorme
materiale specie nel campo della fonetica e della
morfologia.
 Trovavano, così, spiegazione anche le anomalie
grammaticali o le eccezioni, che grazie alla
comparazione con lingue affini, erano considerate
il residuo di uno stadio linguistico più antico.
 La parentela tra le lingue è dimostrata da
elementi comuni che legano le parole impiegate
dalle varie lingue indoeuropee per indicare una
stessa entità.
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 Le somiglianze si deducono a questi livelli:
• fonetico (suoni comuni per consonanti, vocali e
dittonghi);
• morfosintattico (comune la flessione o
declinazione di nomi, aggettivi, pronomi e verbi, con
l'aggiunta, alla radice delle parole, di prefissi,
suffissi e desinenze);
• lessicale (qui le maggiori concordanze nei vocaboli
di natura religiosa, alimentare, familiare, abitativa,
oggettistica, nell’abbigliamento e nei nomi degli
animali).
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Indoeuropeo
*pǝter
Greco Tocario Latino Sanscr Antico germanico
Pater b Pater .
Pacer Pitar Fatar
Franc. Proven. Ital. Gotico Inglese Tedesco
Pére Paire Padre Fadar Father Vater
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 Del ceppo linguistico indoeuropeo il latino
conserva il sistema della flessione, l’accento
melodico e molti elementi del lessico di base,
come i termini per indicare i rapporti di
parentela (la struttura della società dei popoli
indoeuropei era di tipo patriarcale) e quelli
relativi all’economia, alla religione, alla politica
(pensiamo, per es. al vocabolo rex, la cui radice di
reg- compare nelle lingue celtiche in nomi come
Vercingetorix o nel sanscrito Rāja).
 Prima dell’arrivo in Italia dei protolatini

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indoeuropei, nella penisola si parlavano idiomi
differenti.
 Il latino era la lingua delle tribù indoeuropee che
intorno al II millennio a.C. si stanziarono nella
parte centrale del territorio, insieme a Falisci,
Oschi, Umbri, Sabini; i Celti e i Veneti si
stanziarono a nord, i Messapi e i Siculi a sud. Tra
il IX e il VII sec. un gruppo si insediò su un colle
posto alla sinistra del Tevere (il Palatino), dove
secondo la tradizione nel 753 a.C. fu fondata
Roma, sebbene studi più recenti abbiano collocato
i primi insediamenti sull’isola Tiberina,
importante punto strategico per i rapporti
commerciali con gli Etruschi.
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IL LATINO LINGUA ITALICA

 Il latino è una lingua indoeuropea, appartenente


al gruppo gruppo italico assieme a:
----Osco (lingua dei Sanniti: Sannio, Campania,
Bruzio, colonia di Messina)
----Umbro (tra Lazio e Umbria)
----Dialetti sabellici (Sannio, Umbria)
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L’ITALIA PREROMANA
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http://accvmisoccul.blogspot.com/2010/12/interferenze-culturali-e-linguistiche_19.html
Beatrice Larosa
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 Il latino, in realtà, non era la lingua di tutto il
Lazio preromano, ma il dialetto di Roma, esteso col
predominio politico a tutto il Lazio, dove finì per
soppiantare le parlate locali, dalle quali fu però
anche influenzato.
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 Quel dialetto non si discostava sostanzialmente
dal linguaggio parlato originariamente da un
gruppo di paesi situati a sud del basso Tevere, tra
i Monti Albani e il mare, regione storicamente
indicata col nome di Latium Vetus. Al principio
del sec. VI a. C., la continuità dialettale tra Lazio
settentrionale e Lazio meridionale e tra questo
stesso paese e quello degli Aurunci fu
probabilmente interrotta da un'infiltrazione di
Volsci, dialettologicamente Sabelli, discesi lungo
il Tevere e l'alto corso dell'Aniene dal confine
meridionale dell'Umbria.
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https://it.wikipedia.org/wiki/Latium_vetus#/media/File:Ligue-latine-carte.png
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L’ESPANSIONE DEL LATINO: TAPPE
PRINCIPALI

 753 a.C. (fondazione di Roma)- 476 d.C.: caduta


dell’Impero romano d’Occidente
 Principali conquiste militari:
• 272 a.C. Italia centro-meridionale
• 197 a.C. Iberia
• 167 a.C. Illiria (cfr. ex-Jugoslavia e Albania)
• 146 a.C. Africa settentrionale
• 118 a.C. Gallia meridionale
• 50 a.C. Gallia settentrionale
• 15 a.C. Rezia
• […]
• 107 d.C. Dacia (cfr. attuale Romania)
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LE VARIAZIONI DEL LATINO
 Diacroniche (variazioni nel tempo);
 Diatopiche (variazioni nello spazio);

 Diastratiche (variazione in base al parlante: età,


genere, classe sociale…);
 Diafasiche (variazioni di registri, generi,
sottocodici)
 Diamesiche (variazioni in base al mezzo: parlato
o scritto).
Subisce influssi di adstrato (dalle lingue
confinanti); sostrato (da quelle preesistenti nel
territorio dove si diffonde) e superstrato (è il caso
del greco nelle colonie dell’Italia meridionale).
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VARIABILITÀ NEL LATINO
 Latino classico ≠ latino volgare;
 latino di Roma ≠ latino delle aree periferiche;
 latino dei ceti acculturati ≠ latino dei ceti non alfabetizzati;
 latino scritto (proprio delle opere letterarie o dei documenti
ufficiali) ≠latino parlato.
 latino volgare:
• per usi familiari, frequente nelle aree periferiche, utilizzato dalle
persone incolte;
• non scritto (solo tracce casuali), non ha una norma
grammaticale codificata;
• varietà: sermo plebeius, sermo militaris, sermo rusticus, sermo
provincialis.
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Il latino letterario-scritto: seguiva dei modelli
linguistici e stilistici e rispettava delle norme
che si tramandavano, più o meno inalterate,
nelle regioni latinizzate.
Il latino volgare: è quello effettivamente
parlato nelle regioni soggette alla
dominazione romana e viene di solito
usato per indicare i diversi livelli linguistici
esistenti (varietà d’uso che si sono
susseguite nel tempo e nei diversi
territori).
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LE FASI DEL LATINO
1. La fase più antica:
 latino pre-letterario sino al principio del III sec. a. C., restano
scarse iscrizioni e frammenti indiretti, è ricostruibile con il
metodo storico-comparativo;
 latino arcaico da Livio Andronico (240 a.C. sua prima
rappresentazione) all’inizio del I sec. a C. (età di Silla morto nel
78 a.C.): palliata e opera di Catone.
2. La fase più matura:
 latino classico (I sec. a.C.): età di Cesare e di Cicerone (in
questo periodo la lingua raggiunge una sua normalizzazione);
 latino augusteo (fino al 14 d. C. morte di Augusto): poeti

augustei e Livio;
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3.latino post-classico o imperiale (i primi due secoli
dell’impero-180 d.C. morte di Marco Aurelio):
divergono progressivamente lingua letteraria e lingua
parlata;
4. latino cristiano: latino imperiale attestato negli
autori cristiani a partire dalla fine del II sec. d. C.,
ricco di grecismi, semitismi, volgarismi;
5. tardo-latino o basso latino, in parte parallelo al
latino cristiano: ultimi secoli dell’impero (524 d.C.
morte di Boezio).
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GLI

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INFLUSSI LESSICALI DELLE LINGUE
PREINDOEUROPEE, DELL’ETRUSCO E DEL GRECO
Dal sostrato preindoeuropeo dell’Italia centrale il latino
derivò i nomi di piante e di prodotti della zona come abies
(abete), larix (larice), ficus (fico), cupressus (cipresso),
vinum (vino).
Dalla lingua etrusca (non indoeuropea) prese in prestito
termini politici e militari come miles, veles “vèlite” (soldato
alla leggera), populus, cliens, currus, parma, o indicanti
tecniche e oggetti come cisterna, taberna, lanterna, catena,
columna, o anche vocaboli del mondo teatrale tra
cui histrio “attore”, scurra “buffone”, persona (maschera,
<phersu), subūlo “flautista” o ancora religiosi. Di probabile
derivazione etrusca è l’uso, caratteristico di tutti i popoli
italici, di indicare i nomi propri personali con la triade di
praenomen, nomen, cognomen.
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 Dalla lingua greca i prestiti lessicali riguardarono
i campi del commercio, della navigazione e della
tecnica, ma anche quello filosofico e letterario. I
termini furono introdotti e adattati con
procedimenti diversi: la traslitterazione (poietés),
la formazione di calchi (ousìa) e di neologismi,
l’attribuzione di nuovi significati a parole latine
preesistenti (ratio) sul modello di quelle greche.
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L’ALFABETO LATINO
L’alfabeto latino deriva da quello greco occidentale
usato nelle colonie greche dell’Italia meridionale
(presumibilmente nella colonia calcidese di Cuma)
per intermediario etrusco.
 L’influsso etrusco ha stabilito la direzione della
scrittura (da sinistra a destra). In greco, i testi più
antichi mantennero la direzione da destra a sinistra,
tipica della scrittura fenicia; in seguito ci fu un
periodo di incertezza: a volte il testo aveva
andamento bustrofedico, a volte da destra a sinistra,
o da sinistra a destra; alla fine si impose l’uso di
scrivere da sinistra a destra.
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 All’inizio anche l'etrusco era scritto con
orientamento bustrofedico (secondo il modo di
arare dei buoi, da destra a sinistra, da sinistra a
destra, e via di seguito, cambiando direzione ad
ogni andata a capo), secondo l'uso greco. Tale
orientamento compare pure nei primi documenti
latini, come il cippo del foro romano. Tuttavia, ben
presto la scrittura etrusca, e così quella latina,
accolse l'orientamento definitivo da sinistra a
destra.
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o Originariamente l’alfabeto era composto da 20
caratteri, divenuti presto 21 attorno al 230 a.C. con
l'aggiunta della lettera ⟨G⟩, ad opera del console
Spurio Carvilio Ruga.
 Le lettere ⟨J⟩, ⟨U⟩, ⟨W⟩, ⟨Y⟩ e ⟨Z⟩ erano sconosciute.
L'ordine tradizionale delle lettere si chiudeva con la
X.
 Durante l'epoca repubblicana, a seguito del
crescente influsso greco, furono introdotte due
ulteriori lettere, la ⟨Y⟩ e la ⟨Z⟩, per riportare in
latino i corrispondenti caratteri dell'alfabeto greco.
L'alfabeto latino arrivò così a 23 lettere (6 vocali a e
i u o y e 17 consonanti).
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 Inizialmente le lettere erano scritte solo in
maiuscolo (capitale arcaica, usata nelle iscrizioni).
Accanto alla scrittura maiuscola era diffusa anche una
scrittura di tipo corsivo per i testi privati e poi per
quelli letterari.
 Tramite le conquiste imperiali, l'alfabeto latino si
diffuse da Roma ai territori conquistati e venne
trasmesso alle lingue neolatine che ne derivarono; le
regioni orientali dell’impero romano continuarono ad
usare il greco come lingua franca. L'espansione
nell'Europa settentrionale e centrale avvenne
attraverso la diffusione del Cristianesimo.
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LE CARATTERISTICHE DI ALCUNE LETTERE

 L'alfabeto greco di tipo occidentale usava due lettere


scomparse in quello classico: il digamma e il koppa
che i latini ripresero per i loro segni F (inizialmente
accompagnato da h) e Q.
 Il segno V (minuscolo u) indicava sia il suono
vocalico sia quello consonantico della u, ma non
aveva il valore della nostra fricativa labiodentale
sonora v, che i Latini non possedevano: ad esempio
"vita" era scritto e pronunciato uita. Il segno v,
adottato nel 500 per l'italiano, fu poi esteso ai testi
latini per indicare la u semiconsonante, ma molte
edizioni critiche riproducono la grafia classica e
scrivono uiuere, uenio per vivere e venio.
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 Il suono velare sordo C, in origine era rappresentato da
K, solo dopo si generalizzò in C, mentre K rimase in
alcune sigle K. o Kal. (per Kalendae cioè il primo giorno
del mese) e in pochi nomi come Karthago per dire
Cartagine (tra l'altro era diffusa anche la grafia
Carthago).
 La lettera gamma, che indicava la velare sonora, fu
usata per indicare anche la velare sorda C, su influsso
etrusco, che non possedeva sonore. In un'iscrizione
arcaica, per esempio, troviamo scritto VIRCO per
VIRGO, vergine. Successivamente, nel corso del III sec.
a.:, con una leggera modificazione della C fu introdotto
il segno G per distinguere i due suoni. Dell'uso antico
di C rimane traccia nelle abbreviazioni C. e Cn. dei
prenomi Gaius, Gaio, e Gnaeus, Gneo. La lettera G fu
allora inserita al settimo posto dell'ordine alfabetico, al
posto della Zeta che al momento era stata soppressa.
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 La Zeta infatti rappresentava la s sonora, ma tale
suono sempre intervocalico, diventò ben presto in
latino R (per il fenomeno del ROTACISMO:
arbosem=arborem, introdotto secondo la
tradizione da Papisius Crassus, dittatore nel 340
a.C., nella trascrizione del suo nome in Papirius).
Risultando inutile quindi la lettera zeta fu
eliminata. Fu reintrodotta alla fine dell'epoca
repubblicana, insieme col segno Y, per trascrivere
le parole greche.
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 Essendo estranea al sistema fonetico latino la serie
delle consonanti aspirate, i segni greci di queste
consonanti furono utilizzati in latino come sigle
numeriche: per esempio θ=th in greco divenne in
latino C=100 (per influsso dell'iniziale di centum).
Da X su influsso etrusco, pare sia derivata la sigla
per indicare 10 e dalla sua metà quella per indicare
il 5 (V).
 Ennio introdusse l'innovazione, che si ispirò al
modello greco, di scrivere doppie le
consonanti geminate (sono quelle che hanno una
durata maggiore delle altre, nonostante siano
indicate con una sola consonante) originariamente
scritte con una consonante semplice (fuisse invece
di fuise).
LA PRONUNCIA

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In latino distinguiamo una pronuncia scolastica, che è
quella che noi utilizzeremo, e una pronuncia classica.
 La pronuncia scolastica italiana non coincide con
quella classica, propria dei ceti colti di Roma nei
secoli I a.C.- I d. C., ma segue la pronuncia
tradizionale della Chiesa cattolica (di cui il latino è
tuttora lingua ufficiale) ed è perciò detta ecclesiastica
o romana, non lontana sostanzialmente dalla realtà
fonetica del latino del IV-V sec. d.C.
 Le caratteristiche principali sono queste:
i dittonghi ae e oe si pronunciano e (aetas: etas Caesar:
Cesar). Se però le due vocali sono in iato, cioè fanno
parte di due sillabe diverse, si pronunciano
separatamente. In tal caso si usa porre il segno della
dieresi sul secondo elemento: poëta; àër (aria);
y e yi si pronunciano i (tyrannus: tirannus);
h è sempre muta;
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il gruppo ph si pronuncia f;
il gruppo ti seguito da vocale si pronuncia zi (per
esempio laetitia), ma si legge ti se il gruppo è
accentato (totius: di tutto) o se la ti è preceduta da s, t
o x (Sextius: Sestio) o nelle parole di origine greca
(tiara: tiara);
il gruppo gl si pronuncia come l'italiano glicine;
c e g assumono tratto palatale se seguiti da e oppure i
(cena: pranzo si pronuncia come l'italiano cena, gens:
stirpe, come l'italiano gente);
la u semiconsonantica è pronunciata v (per esempio
uerus: verus).
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 La pronuncia detta “classica” –o, con termine latino,
restituta, cioè “ripristinata”– fu elaborata per primo
dall'umanista Erasmo da Rotterdam ed è più vicina a quella
usata nel periodo classico (posto tra I sec. a.C. e I sec. d.C).
 Le principali caratteristiche della pronuncia restituta sono
queste:
nei dittonghi si pronunciano sempre entrambi gli elementi, con
l'accento sul primo di questi: Caesar: Càesar, “LAETUS,
“làetus”, POENA, “pòena”;
la Y si pronuncia ü, alla greca (lyra: liura)
il nesso TI seguito da vocale si pronuncia come è scritto;
C e G si pronunciano sempre dure, anche prima di E o I:
CICERO, “kikero”; CELER, “keler”; • di conseguenza il
grafema GN si pronuncia sempre con la velare seguito dalla
nasale: DIGNUS si pronuncia “dig-nus”;
il segno V indica la semivocale U seguita da vocale: VISUM si
pronuncia “uisum”,VIVERE, “uiuere”.
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LA QUANTITÀ VOCALICA
 Uno degli aspetti della fonetica latina più
sfuggente per i parlanti italiani è il concetto di
quantità vocalica, ossia della durata della
pronuncia di una vocale. Si tratta di una
caratteristica di origine indoeuropea che è andata
perduta già tra IV e V sec. d.C., all'inizio del
processo di trasformazione del latino parlato
nelle lingue romanze.
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 In latino si distinguevano vocali brevi, indicate a
stampa coi segni Ă / ă, Ĕ / ĕ, Ĭ / ĭ, Ŏ / ŏ, Ŭ / ŭ, e vocali
lunghe, indicate coi segni Ā / ā, Ē / ē, Ī / ī, Ō / ō, Ū / ū.
Le vocali lunghe avevano una emissione di suono di
durata doppia rispetto alle vocali brevi. Questa
differenziazione aveva una funzione fondamentale
nella lingua latina: essa infatti permetteva ai parlanti
di distinguere parole omografe (cioè scritte nello
stesso modo) ma diverse, come ŎS, “osso” e ŌS,
“bocca”, oppure voci diverse della morfologia di un
nome o di un verbo, come ROSĂ, nominativo
singolare, e ROSĀ, ablativo singolare, oppure LĔGIT,
terza persona singolare del presente indicativo, “egli
legge”, e LĒGIT, terza persona singolare del perfetto
indicativo, “egli lesse”.
LE QUANTITÀ

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REGOLE DELLA E
DELL’ACCENTO
 Nella lingua latina la quantità delle sillabe (se una
sillaba è lunga o breve) è un fattore essenziale anche
per la posizione dell'accento tonico.
 Nella parole latine l'accento può trovarsi solamente
sulla penultima o sulla terzultima sillaba, in base a una
semplice regola (legge della penultima sillaba): se la
penultima sillaba è lunga, allora l'accento case su di
essa; se è breve, allora cade sulla sillaba precedente,
ossia sulla terzultima. L'accento non può risalire oltre
la terzultima (legge del trisillabismo). Ovviamente il
problema si pone solo nelle parole composte da tre o più
sillabe: nei bisillabi l'accento tonico sarà sempre sulla
penultima (ter-ra ecc.): legge della baritonesi.
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 Per determinare la posizione dell'accento si parla
non di quantità vocalica ma di quantità sillabica,
che oltre alla durata della vocale prende in
considerazione anche le consonanti che
eventualmente si trovano nella sillaba. Per
determinare se la penultima sillaba è lunga o
breve (e quindi se l'accento cade su questa o sulla
terzultima), occorre tener presente una semplice
regola della fonetica latina: se la sillaba è
“chiusa”, ossia termina per consonante, la sillaba
è sempre lunga; se la sillaba è “aperta”, ossia
termina per vocale, allora la sillaba avrà la stessa
quantità della sua vocale. I dittonghi sono
sempre lunghi. Le vocali sono ancipiti (lunghe o
brevi in base alla posizione).
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NOTAZIONI SULL’ACCENTO
 In seguito alla caduta della vocale o della sillaba
finale (apòcope), alcune parole risultano
accentate sull’ultima sillaba. Così:
--gli avverbi formati con la particella –ce: p. es. illic,
istuc ecc.;
--le forme interrogative che presentano la particella
–ne: p. es. audin (da audīsne);
--gli imperativi dei composti di duco: reduc (da
redūce), adduc (da addūce);
--alcune forme dei composti di facio, nei quali
l’accento si mantiene in posizione originaria
(patefít, calefít)
-- i sostantivi Arpinás (da Arpinatis), Maecenás (da
Maecenatis), Samnís (da Samnītis).
2019-2020, docente: Beatrice Larosa
Propedeutica al latino universitario, Liv. 1, Università La Sapienza, a.a.
 Le particelle atone (enclitiche) –que e –ve
(congiunzioni); -ce, -pte, -te, -met, -dem (con valore
rafforzativo); -ne, -nam (interrogative), si
uniscono alla parola d’appoggio determinando lo
spostamento di accento (accento d’enclisi) sulla
sillaba che precede l’enclitica, indipendentemente
dalla sua quantità (p. es. populúsque, filiáve,
egómet).
 Quando l’enclitica non è più sentita come tale, si
segue la legge generale (útinam, úndique, éadem,
ítaque).
2019-2020, docente: Beatrice Larosa
Propedeutica al latino universitario, Liv. 1, Università La Sapienza, a.a.
LA DIVISIONE IN SILLABE
 Il numero delle sillabe di una parola è data dal
numero di vocali della parola stessa in esse presenti
o dei dittonghi (foederatus è una parola di 4 sillabe;
diligentia di 5 sillabe).
 La divisione in sillabe segue le stesse regole
dell’italiano, ma si deve tener conto dei seguenti casi:
1. se in una parola si incontrano 2 o più consonanti, la
prima va con la vocale che precede, l’altra o le altre
con quella che segue (dis-co, as-trum); se, però, il
gruppo è costituito da una muta (gutturale, labiale,
dentale) o da una f + liquida (l/r) allora la divisione
avviene come l’italiano (te-ne-brae);
2019-2020, docente: Beatrice Larosa
Propedeutica al latino universitario, Liv. 1, Università La Sapienza, a.a.
2. i digrammi qu e gu rappresentano un unico suono
consonantico (labiovelare) e formano una sillaba
con la vocale che segue (an-ti-quus; san-guis);
3. la i e la u semiconsonantiche formano sillaba con
la vocale che segue (Iu-no);
4. la x intervocalica forma sillaba con la vocale
successiva, ma chiude la sillaba precedente perché
è consonante doppia (di-xi= dic+si);
5. nelle parole composte le preposizioni formano
sillaba a parte (per-o-ro).
docente: Beatrice Larosa
Propedeutica al latino universitario, Liv. 1, Università La Sapienza, a.a. 2019-2020,
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E SITOGRAFICI
 Palmer L. R., La lingua latina, Torino 2002;
 Stolz F., Debrunner A., Schmid W. P., Storia della lingua latina, Bologna 1993;
 Traina A., Bernardi Perini G., Propedeutica al latino universitario, Bologna 1998;

 https://www.bookinprogress.org/bookinprogress/_file/documenti/PDF_LIBRI/latino/AIE%2
0800%20C1%20Latino%20ELEMENTI%20DI%20FONETICA.pdf
 https://slideplayer.it/slide/607683/2/images/3/Le+epoche+della+letteratura+latina.jpg
 https://it.wikipedia.org/wiki/Latium_vetus#/media/File:Ligue-latine-carte.png
 http://accvmisoccul.blogspot.com/2010/12/interferenze-culturali-e-linguistiche_19.html
 http://www.homolaicus.com/linguaggi/lingue_indoeuropee.htm
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 https://dizionaripiu.zanichelli.it/storiadigitale/p/mappastorica/288/l-italia-preromana

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