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22.11.

2023
FASCISMO ITALIANO
Fascismo è stato un fenomeno nuovo non solamente per la storia italiana ma più in generale per la
storia del XX sec.
Cercheremo di capire come dalla guerra emerse un fenomeno politico che portò al potere questa
forza contro rivoluzionaria e che trasformò il sistema parlamentare liberale del regno italiano nella
dittatura di una persona e di un partito modificando allo stessa modo anche la struttura economica
del paese.
Oggi andremo ad analizzare:
- origini del fascismo
- la marcia su Roma
- distruzione del sistema democratico e parlamentare attraverso la cosiddetta rivoluzione
legale
- repressione, lo stato di polizia
- fascistizzazione della società

Origini:
Com’è possibile che un movimento come i fasci di combattimento che contava 100 iscritti in meno
di 3 anni sia riuscito a prendere potere?
Nell’ Ottobre 1922 con la marcia su Roma si andò a concludere una fase politica caratterizzata da
tentativi rivoluzionari, violenze civili, violenze politiche e tentativi di costruzione di quella che era
la situazione emersa dalla grande guerra.
Le origini del fascismo devono essere cercate anche nella 1 Guerra Mondiale, perché durante la
grande guerra la società era sottoposto ad un sistema di disciplina militare e di controllo repressivo
da parte dello stato che ha depotenziato le istituzioni parlamentari preesistenti.
Dopo la guerra l’Italia è stata caratterizzata da sentimenti di bisogno di ordine, ma anche di
speranze di cambiamento che spesso andavano a contraddistinguere le nazioni che erano state
sconfitte; quindi, l’Italia era tra i paese vincitori della guerra ma dal punto di vista psicologico era
un perdente.
Tra il 1913 e 1918 le nascite si dimezzarono, non ci fu nessuna forma di assistenza per i 600 mila
soldati che avevano combattuto in Italia.

Per certi versi Caporetto divenne l’emblema dell’Italia, secondo Giorgio Roscià Caporetto fu il
fulcro della guerra da dove emersero tutte le contraddizioni della guerra stessa, perché la
guerra con caporetto era una guerra che era stata subita dalle classi popolari, una guerra senza
pressioni patriottiche, guerra legata ad obiettivi di potenza ma era basata soprattutto sulla
manipolazione delle informazioni, sul panico, la frustrazione e senso di vergogna.
Questi erano tutti elementi che poi vennero sfruttati dal regime fascista.

Nel 1918 al termine della guerra l’Italia dovette affrontare problemi come l’inflazione, la necessità
di andare a riconvertire la produzione economica (durante la guerra scoppio una guerra industriale)
tutta la società e la produzione era rivolta alla produzione bellica, quindi c’era la necessita di
riconvertire la produzione industriale ed economica, la forza lavoro che doveva essere smilitarizzata
e al tempo stesso bisognava trovare impego ai soldati e c’erano poi le cosiddette agitazioni sociali.

Come riuscirono a reagire alla situazione che si creò al termine della guerra?
La novità dopo la guerra fu da un lato l’emergere delle nuove forze politiche, dall’altro anche una
nuova legge elettorale, non solamente il suffragio universale maschile che è stato indotto in Italia
per la prima volta nel 1912, ma dopo la guerra ci fu anche un sistema elettorale proporzionale.
Cosa vuol dire sistema elettorale proporzionale?
Il sistema proporzionale va a premiare tutti i partiti che hanno una capacità mobilitativa e una
struttura organizzata sul territorio; si tratta di partiti che devono essere orientati con sistemi di
propaganda.
Dopo la fine della guerra in Italia emergono alcuni partiti nuovi, a lungo i cattolici anche a seguito
del non expedit emesso da Pio IX non potevano votare, dopo la guerra per la prima volta Don Luigi
Sturzo crea il Partito Popolare Italiano, primo partito di massa; il secondo partito di massa era il
Partito Socialista, fondato negli anni 80, il partito socialista italiano fondato nel 1895, in
precedenza c’è il partito socialista rivoluzionario di Romagna. All’interno del partito socialista che
si ispirava all’ideologia socialista di Gramsci c’erano diverse induzioni: i riformisti, i massimalisti
e i sindacalisti rivoluzionari.
Quello che cambiava all’interno di queste diverse opposizioni erano i mezzi necessari per la
costruzione di una società socialista:
- riformisti→ speravano in una via per le riforme e quindi l’accettazione delle istituzioni
presenti nello stato
- l’unica soluzione sarebbe stata una rivoluzione violenta come quella che era avvenuta nel
1917 in Russia (Crollo dell’impero zarista e creazione unione Sovietica) riforme presenti e
chi invece affermava che la rivoluzione sarebbe stata violenta.

Dal 1919 dichiarò il Partito Socialista dichiarò di seguire il modello della rivoluzione sovietica,
voleva creare un nuovo ordine comunista in Italia puntando sulla violenza (aspetto centrale).

C’erano poi una serie di associazioni composte dai veterani di guerra:


- l’associazione nazionale combattenti;
- arditi o gruppo di assalto→ gruppo selezionato di soldati e si presentavano come uomini
fuori dalla norma, fedeli ai valori della patria che andavano a rifiutare le regole e si
basavano sulla forza della capacità individuale e la forza delle minoranze (idee che
ritroviamo nel Fascismo)

Nel Marzo 1919, a Milano, ci fu un piccolo raduno in un circolo milanese a Piazza San Sepolcro,
ci furono 200 persone tra futuristi e arditi che vanno a fondare i Fasci di combattimento; non ci
fu grande interesse della stampa verso questo evento, solamente una decina di righe nella cronaca
locale del corriere della sera nella sezione milanese.
I Fasci di Combattimento quando vennero fondati non erano molto diversi da una società di
veterani, ama fin da subito avevano l’obiettivo di contrastare l’idea l’egemonia del partito socialista
tra i lavoratori.
Il programma, che fu pubblicato a Luglio 1919, si basava su diversi elementi:
- condanna sistema parlamentare
- appello ad una nuova classe dirigente
- abolizione senato
- voto per le donne
- miglioramento condizioni di vita lavoratori

Il promotore dei Fasci di combattimento era Benito Mussolini, era un politico e giornalista che fino
alla guerra era stato un punto di riferimento per diversi giovani socialisti; infatti, era stato direttore
dell’avanti, il quotidiano socialista, però venne espulso dal partito socialista nei mesi che andarono
a precedere l’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale per cui aveva supposizioni
interventiste.
La società italiana divisa tra interventisti e neutralisti, il partito socialista italiano in nome dell’idea
di comunanza tra tutti i lavoratori era su posizioni neutraliste, Mussolini al contrario fu espulso dal
partito socialista e andò a formare il giornale “il popolo d’Italia”, che durante la guerra fu anche
finanziato.

La fondazione dei fasci di combattimento può essere visto come un tentativo di unificare in un
univo implemento gli interventisti e reduci della 2 Guerra Mondiale, interventisti e reduci che erano
rappresentati come una nuova Italia.
Mussolini aveva imboccato una rivoluzione italiana, che non era quella socialista, ma era
l’associazione che contrapponeva due razze di italiani, due mentalità, due anime italiane e quindi
due tipi di italiani (quelli che hanno preso parte alla guerra e quelli che non l’hanno fatta)

Quali erano i problemi che dovettero affrontare i gruppi politici?


I problemi nazionalistici e i problemi socio economici.
L’Italia aveva vinto la guerra ma aveva perso la pace e secondo il trattato di Versailles che aveva
posto fine alla 1guerra mondiale, l’Italia non ottenne i territori che le erano stati promessi (costa
della Dalmazia e città di fiume); secondo i principi del presidente americano Wilson, la Dalmazia
era a maggioranza slava e non aveva motivo ad essere annessa all’Italia. A Fiume la maggioranza
della popolazione era italiana e quindi esso divenne l’emblema della cosiddetta “vittoria mutilata”,
l’idea di una vittoria in cui l’Italia tradita dai suoi alleati ma anche dalla sua classe dirigente.
Per far fronte alla vittoria mutilata nel Settembre 1919 D’Annunzio, andò ad organizzare un colpo
di stato e marcio su fiume con 2000 regionali, soprattutto con ex ufficiali dell’esercito.
Fiume divenne simbolo di nuova Italia.
D’Annunzio dimostro che lo stato italiano era debole e di fatto lui andò a creare una forma di auto
governo a fiume basata sulle corporazioni, sul decentramento, sul leader carismatico e il governo
degli italiani non intervenì fino a dicembre 1920 per porre fine a questo esperimento di occupazione
territoriale.

Il problema del nazionalismo di questa vittoria mutilata fu il primo grande problema.

In secondo luogo, questo periodo fu caratterizzato da un conflitto sociale che si diffuse in tutti le
parti della società, dalle campagne fino alle zone industriali; in questi anni si parla infatti di biennio
rosso, ma questa non è un particolarità italiana. I disordini sociali e gli scioperi che avvennero in
Italia non furono più pericolosi di quelli che erano in corso negli altri paesi europei, che si trovarono
dopo la guerra in una situazione economica molto simile a quella dell’Italia.
La situazione italiana era diverso per almeno due aspetti; da un lato c’era un partito socialista
radicalizzato e forte e si presentava alle elezioni con un programma rivoluzionario; il suo obiettivo
era prendere potere per instaurare la dittatura del proletariato.
Seconda differenza, rispetto agli altri stati europei, riguarda i numeri. In Italia furono milioni gli
operai e i contadini che andarono in sciopero, tanto che nel nord Italia, in Lombardia, Piemonte e
Liguria si arrivo addirittura all’occupazione delle fabbriche da parte degli operai che crearono
comitati di gestione interna.
Il Partito Socialista lanciava dei proclami rivoluzionari, dall’altro l’unica soluzione che presentava
queste tensioni era la volontà di conciliare la crisi e quindi giungere ad un accordo con i proprietari.

Queste tensioni sociali, gli scioperi e le proteste spaventavano le classi sociali medie e
imprenditoriali.
Per far fronte al biennio rosso e a queste tensioni, gli imprenditori e le classi medie iniziarono a dare
importanza a forze militari private che avrebbero avuto il compito di prevenire scioperi e
manifestazioni; e il fascismo faceva parte di queste forze private e per questo acquistò significato.

Il fascismo si pose alla testa delle forze reazionali della borghesia sia in città che in campagna che
volevano porre fine alla violenza e alle tensioni sociali.
Il fascismo cambiò programma politico e soprattutto si andò a concentrare sull’attività delle squadre
fasciste.
La violenza andò a distruggere le organizzazioni operai della pianura padana e l’opinione pubblica
rispondeva a questa violenza sostenendo queste squadre fasciste, perché temeva la rivoluzione
bolscevica, mentre l’esercito di fatto tollerò l’attività e la violenza delle squadre fasciste.
La violenza fu una parte costitutiva del movimento fascista.

Il fascismo andò a reclutare i suoi seguaci tra coloro che praticavano le armi e divennero dei
professionisti della violenza e ne fecero un occupazione politica a tempo pieno. Le loro azioni non
si limitano ad attaccare le organizzazioni contadine e socialiste, volevano distruggere tutti i centri
che si articolavano come forme di resistenza, solidarietà, di assistenza ed erano gestite da socialisti
ma anche da gruppi cattolici.
La violenza non si basava solamente sulla violenza praticata ma pure sulla strategia del terrore e
mirava all’intimidazione e all’umiliazione dell’avversario.

Quello che avvenne nel biennio rosso tra 1920 e 1922, fu che lo stato andò a cedere ad altri il
monopolio della violenza; erano i gruppi fascisti ad avere il monopolio della violenza.
All’inizio alla violenza fascista si oppose un’altrettanta violenta auto ripresa dei gruppi socialisti,
ma più che una guerra civile si tratto di una lotta difensiva della sinistra e una lotta offensiva dei
gruppi fascisti.

Per i fascisti la violenza non era solamente uno strumento di lotta ma aveva un valore e faceva parte
del programma politico.
All’inizio dell’estate 1921 Mussolini voleva cercare di tranquillizzare alcuni settori della borghesia
che si erano avvicinati ai fascisti e voleva normalizzare il movimento e controllare questi gruppi,
soprattutto provinciali, di milizie fasciste.
Nel novembre 1920 andò a trasformare il movimento dei fasci di combattimento in un vero
partito.

Il fascismo come partito si presentava come partito che andava ad incarnare la volontà della
nazione, ma per tornare grande l’Italia doveva eliminare tutte le divisioni sociali e politiche.
Quindi l e azioni violente furono presentate come un mezzo per ristabilire la volontà della nazione e
la grandezza della nazione stessa. La lotta politica veniva rappresentata come una forma di guerra,
ma non fra partiti ma tra i rappresentati della nazione e i loro nemici. Il preambolo dello statuto del
partito nazionale fascista diceva che il partito nazionale fascista è una milizia volontaria posta al
servizio della nazione. Si tratto quindi anche di una nuova forma di partito, il partito milizia, non c’è
distinzione all’interno del partito tra i politici e i soldati.
Se il partito inoltre era al servizio della nazione questo implica che poteva esserci un unico partito,
quello della nazione, e quel che il partito della nazione è quello fascista non c’era spazio per nessun
altro che non fosse fascista. Per certi versi un atteggiamento totalitario era presente fin dall’inizio
nel movimento e poi nel partito fascista, ancora prima che questo prendesse il potere.
Quindi, fin dall’iniziò si trattò di un movimento violento e che presentava la lotta come una lotta tra
nazione e anti nazione.

Nel maggio 1921, durante le prime elezioni politiche nazionali a cui si presentò anche il fascismo
furono eletti solamente 35 deputati fascisti all’interno di una lista di coalizione molto eterogenea,
c’erano liberali, nazionalisti e fascisti.
Quindi, dal punto di vista politico, almeno inizialmente, il fascismo non prese piede.
Nel corso del 1922 fu evidente che la violenza non era più giustificata, le tensioni sociali (scioperi)
erano quasi finite, il partito socialista era molto debole, e quindi per prendere potere i fascisti non
potevano continuare con la violenza.
Nel settembre del 1922 Mussolini lasciò cadere alcune pregiudiziali istituzionali che avevano fatto
parte del programma originale del fascismo, soprattutto mise da parte l’idea repubblicana e quindi
promise di rispettare anche la monarchia e promise anche di mettere fine alla lotta di classe.

Però i fascisti per non perdere il potere, non in parlamento ma nella società, dovettero fare un’altra
dimostrazione di forza per accedere al potere: Marcia su Roma.

Le squadre fasciste andarono a paralizzare le città italiane e le vie di comunicazione tra Nord e
centro Italia; volevano obbligare il primo ministro alle dimissioni.
Queste truppe fasciste erano numericamente meno e meno armate delle truppe regolari, ma avevano
una chiara strategia politica, non si trattava di un colpo di stato ma della minaccia di un colpo di
stato.
Lo scontro frontale non ci fu, si creò solamente paura panico di tutte queste insurrezioni che
potessero portare ad uno scontro reale. I ministri di dimisero sperando che queste dimissioni
richiamassero alle loro responsabilità l’esercito e soprattutto il re, Vittorio Emanuele doveva
scegliere tra dichiarare lo stato d’assedio quindi chiamare l’esercito a Roma oppure lasciar entrare a
Roma i gruppi fascisti.
Vittorio Emanuele fece entrare i fascisti a Roma.
La presa del potere seguì una procedura costituzionale, Mussolini fu chiamato dal re e fu
nominato primo ministro.

Il fascismo, come partito, che aveva solamente 35 deputati in parlamento ma 25000 uomini armati
alle porte di Roma riuscì ad avere il controllo del governo.
Per molto tempo la marcia su Roma è considerata una falsa ed è stata minimizzata la storiografia
fascista ma anche anti fascista; l’interesse per la marcia su Roma è riemersa recentemente anche
nella storiografia, che afferma che questo episodio deve essere inquadrato in un contesto più ampio
caratterizzato dalla violenza politica, sia rivoluzionaria che contro rivoluzionaria, che caratterizzo
non solo l’Italia ma anche l’Europa nel dopo guerra.

Secondo Giulio Albanese fu proprio la marcia su Roma che mise in luce la forza dei fascisti, ma
soprattutto l’incapacità dello stato di reagire a questa forza, oltre che all’incapacità dello stato di
andare ad affermare i principi fondamentali della sua esistenza come: libertà di stampa, di
associazione, di espressione ma anche il monopolio della forza.
I governi liberali non diedero ordini chiave ai prefetti e cercarono di utilizzare il fascismo per
riportare ordine.
Allo stesso modo i socialisti annunciavano la rivoluzione ad ogni sciopero, ma la rivoluzione non
sarebbe mai avvenuta, ma questo creò una forma di paura della rivoluzione tra la borghesia e le
classi medie; in questo contesto la strategia della violenza politica del fascismo ebbe la meglio.

Cosa successe con la Marcia su Roma?


Con la presa del potere il fascismo doveva trasformare lo stato e le istituzioni.
Il primo provvedimento consisteva nel conferire i poterei legislativi al governo, che non spettavano
più al parlamento; nel dicembre 1922 viene creato un nuovo organo dello stato, il Gran Consiglio
del Fascismo, un organo nuovo supremo del Partito Nazionale Fascista, ma allo stesso tempo
divenne un organo di raccordo fra il partito e lo stato; era di fatto un organo consultivo in cui aveva
origine l’azione politica del fascismo.
Nel gennaio del 1923 le squadre fasciste (squadre paramilitari) furono trasformate nella milizia
volontaria per la sicurezza nazionale.
La milizia rimase un esercito privato ma che veniva posto sotto il controllo del capo del governo; in
questo modo le azioni violente delle squadre fasciste venivano legittimate. L’anno successivo la
milizia divenne parte integrante, tanto che gli squadristi dovettero giurare fedeltà al re.
C’erano però dei problemi ancora legati all’opposizione al fascismo, sia interna per le tensioni che
esistevano con gruppi locali e provinciali, ma anche l’opposizione esterna (esistevano ancora partiti
contro a quello fascista); si fece allora la Legge Acerbo, una legge elettorale con un premio di
maggioranza che diceva: la colazione o il partito che avesse ottenuto almeno 25% dei voti sarebbe
stata premiata con i dei seggi in parlamento.
Le forze dell’opposizione erano divise tra di loro e questa legge non poteva che premiare la
colazione, il cosiddetto listone, che aveva a capo il fascismo.
Alle elezioni dell’aprile 1924 il Fascismo ottenne il 64% dei voti totali.

Anche perché, come enunciò un deputato socialista di Rovigo, Giacomo Matteotti le elezioni si
erano svolte in un clima di intimidazione; però la denuncia in parlamento delle violenze fasciste
durante le elezioni portarono al suo rapimento e alla sua uccisione.
L’omicidio di Matteotti è stato uno dei crimini politici più brutali della storia italiana e l’omicidio
aprì una crisi politica e morale sulla quale si andarono a decidere anche le sorti del paese, perché
sembra che Mussolini non avesse dato un ordine esplicito di ucciderlo, tuttavia aveva la
responsabilità politica e morale dell’omicidio.
Le opposizioni cercarono di fare pressione sul re abbandonando il parlamento sperando che il re
intervenisse e andasse a ristabilire la legalità, ma le opposizioni erano deboli e frammentate e
mussolini ebbe in tempo per ridefinire la sua strategia politica.
Per rassicurare i settori moderati del paese, per conquistare la fiducia dei gruppi economici e per far
tacere sia l’opposizione interna che esterna, tantoché nel gennaio del 1925 alla riapertura delle
camere Mussolini andò ad assumersi responsabilità politica, morale e storica di tutto quello che era
accaduto e di fatto andò ad inaugurare una nuova fase della storia del fascismo e dello stato italiano.
Fino a questo momento il fascismo aveva tollerato il parlamento e anche l’opposizione, nonostante4
al violenza politica, ma questa crisi accelerò la creazione di uno nuovo stato, lo stato fascista.
Lo stato fascista lo si può assumere nella frase: “tutto nello stato, niente fuori sello stato, niente
contro lo stato”. Questo è un progetto totalitario, è uno stato che controlla la vita privata e la vita
collettiva dei cittadini.

Fra il 1925 e il 1927 il governo fascista andò ad approvare una serie di nuove leggi, le così dette
leggi fascistissime, che cambiarono radicalmente lo stato italiano operando il passaggio da un
sistema parlamentare che aveva già le libertà costituzionali limitate, ma ci fu un passaggio,
comunque, da un sistema che formalmente era ancora parlamentare ad una dittatura personale.
Il parlamento, in primo luogo, venne privato di qualsiasi controllo sull’esecutivo perché il governo
divenne solo nei confronti del re e il governo poteva approvare le leggi senza il consenso del
parlamento.
Inoltre, con il patto di Palazzo Vigoni le associazioni imprenditoriali andarono a riconoscere
l’esistenza del sindaco fascista; tutti gli altri sindacati furono sciolti e da lì a poco eliminati scioperi.
Quindi furono sciolte anche tutte le associazioni contrarie allo stato fascista; nel novembre 26
furono sciolti i partiti diversi da quello fascista, vennero dichiarati illegali, fu introdotto un rigido
controllo sulla stampa, si creò un regime a partito unico, infine il gran consiglio del fascismo
divenne un organo dello stato, che doveva essere consultato per tutte le questioni costituzionali.
Infine, fu approvata una nuova legge elettorale secondo la quale il gran consiglio del fascismo
andava a selezionare 400 nomi in base ad una lista che era fornita dal partito e semplicemente gli
elettori dovevano approvare oppure non approvare l’elenco; ogni cittadino doveva esprimersi
pubblicamente a favore o contro il regime, ma di fatto si trattava di un plebiscito.
La creazione dello stato fascista comportò la repressione di ogni forma di opposizione attiva e
organizzata.

Nel settembre 1925 il segretario del partito fascista, Roberto Farinacci, dichiarò “in Italia nessuno
può essere antifascista perché l’antifascista non può essere italiano”.
Prima della crisi legata all’omicidio Matteotti non si può parlare ne di repressione totale e nemmeno
di antifascismo militante. Prima dell’omicidio c’erano alcune forme di opposizione sia parlamentare
che extra parlamentare nonostante la violenza.
La reazione delle opposizioni all’omicidio fu l’ultima rivolta morale delle opposizioni ma anche la
fine del paese legale. Dopo l’omicidio l’opposizione non era più legale.

Fu anche l’inizio dell’esilio dei leader politici. Gli oppositori politici sceglievano ed erano obbligati
ad andare all’estero per il pericolo con la propria incolumità fisica, ma anche perché pensavano che
vista la situazione di dittatura e totalitarismo, all’estero fosse possibile continuare la battaglia
antifascista.
Una serie di attentati, nella vita di Mussolini, furono poi l’occasione per giustificare un ultima
ondata di violenze che colpì l’Italia soprattutto nell’autunno 1926. Viene infatti introdotta una legge
a difesa dello stato. Fu creato prima un nuovo tribunale speciale per la difesa dello stato con il
compito di perseguire gli atti politici; doveva rimanere in vigore solamente 5 anni ma rimase in
vigore per tutto il regime.
Furono poi riorganizzati i sevizi di polizia e se ne creò una nuova, l’opra che aveva lo scopo di
perseguitare gli antifascisti.

Tutto questo sistema repressivo si basava su informatori e su denunce anonime; si creava un sistema
di controllo non solamente sugli anti fascisti ma su tutti gli italiani e di fatto si inculcava la paura
come minaccia di violenza.

Il fascismo allo stesso modo andò a adottare una tattica paternalistica; gli oppositori erano costretti
ad anni di confino, ossia residenza forzata in alcune isole o territori sotto il controllo delle autorità
di polizia.
Durante il fascismo non ci fu il terrore di massa o le uccisioni di massa degli oppositori politici che
ci sono negli altri regimi totalitari, ma ci fu allo stesso modo un grande controllo e la minaccia di
violenza che era costante.

La repressione fu molto efficace; in alcuni processi dell’estate 1928 andarono a decimare il partito
comunista e tutti i suoi dirigenti furono arrestati, tranne uno che all’epoca si trovava a Mosca.
Le leggi fascistissime favorirono la fuga degli oppositori politici e all’estero cercarono di
riorganizzare una forma di attività politica.
Nel marzo 1927 fu fondata a Parigi la concentrazione antifascista formata da partiti socialisti,
repubblicani, sindacati socialisti che avevano l’obiettivo di creare all’estero un’opinione pubblica
internazionale ostile al fascismo; quello che volevano fare era scrivere e pubblicare le loro denunce
sul fascismo e far conoscere all’estero quello che avveniva nella penisola.
I comunisti non avevano aderito alla concertazione antifascista per ordine Comintern, si
organizzarono invece in un centro direzionale che si trovava all’estero e ad un centro all’interno
dell’Italia che doveva operare con attività clandestine. Si tratta solamente di poche migliaia di
persone.
Solamente nella seconda metà degli anni 30 i comunisti cercarono una nuova tattica che consisteva
nell’infiltrazione all’interno delle organizzazioni fasciste, però solamente a partire dal 1942 ci fu
una riorganizzazione dei partiti politici antifascisti all’interno dell’Italia. Un altro organismo
all’estero in questi anni è l’associazione giustizia e libertà fondata a Parigi dai fratelli Rosselli e da
Emilio Lussu, la quale voleva combattere il fascismo con azioni eroiche, dall’altro lato voleva fare
conoscere all’estero il fascismo.

Un’altra forma di opposizione era rappresentata dalle minoranze etniche, che si trovavano
soprattutto nei territori appena annessi come Trento e Trieste, durante la prima guerra mondiale; si
trattava di popolazioni di lingua tedesca del sud Tirolo e le popolazioni slave nella parte del confine
orientale.
L’italianizzazione forzata di queste aree con l’obbligo di utilizzare la lingua italiana, ma anche con
l’obbligo di cambiare i nomi, spesso favorì l’ostilità della popolazione tanto che ben 5 slavi vennero
condannati al tribunale speciale per attività terroristica.

Nonostante queste forme di opposizione, quale fu la reazione degli italiani al fascismo’


C’è stato un dibatto storiografico molto vivace, partito da un libro di Renzo De Felice nel 1974;
libro che fa parte di una biografia monumentale di Mussolini e De Felice parla degli anni che vanno
dal 1929 al 36 come gli anni del consenso. Nessuno può negare la presenza di una forma di
consenso fra gli italiani ma bisogna chiedersi se si trattò davvero di un consenso di massa; ma
soprattutto la mancanza di proteste può significare consenso in uno stato totalitario. Il consenso
implica una scelta, gli italiani potevano scegliere solo aderire o meno al fascismo se tanto non
c’erano le libertà politiche.
Secondo alcuni storici dobbiamo sostituire la parola consenso con una serie di possibilità che
andarono dall’accettazione e dall’adesione al regime fino alla distanza, o in corner suggerisce di
parlare di acquiescenza più che di consenso. Inoltre, dobbiamo considerare che l’oppressione in un
regime totalitario non escludono il consenso e di fatto, in un regime totalitario, ci può essere sia
l’opposizione, che non può esprimersi, sia l’adesione di alcune persone, ma questo varia da città a
città, da regione a regione, da un periodo ad un altro periodo; secondo gli storici il periodo di
maggior adesione al fascismo coincide con la guerra in Etiopia dal 1935 al 1936, ma il consenso
varai anche da generazione a generazione. Quindi è difficile parlare di consenso per il fascismo, che
era solo un regime totalitario, c’era forse consenso passivo, conformismo oppure una società
irreggimentata.

Quali sono i fattori di consenso? Come possiamo spiegare la non reazione degli italiani?
Dobbiamo considerare da un lato la risoluzione di quella che era il problema della questione
cattolica, che fu risolta nel 1929 con la firma dei patti lateranensi con il Vaticano, e questo era
importante in un paese cattolico.
Il riavvicinamento tra chiesa cattolica e fascismo fu possibile, già nel 1923, quando fu introdotto il
crocifisso negli edifici pubblici e l’educazione religiosa nelle sciole.
Il vaticano andò ad aiutare il fascismo a consolidare il potere, permettendo una confluenza dei
cattolici conservatori all’interno delle liste elettorali dei fascisti e dei nazionalisti.
Con la firma dei patti lateranensi la chiesa riconobbe lo stato italiano (1929), e quindi
quest’ultima diede al papa al sovranità temporale della città del Vaticano e andò a confermare il
cattolicesimo come l’unica fede della nazione; i patti lateranensi affermavano che la religione
cattolica era l’unica religione dello stato e questo andò a discriminare per la prima volta le altre
religioni.
Nel regno erano ammessi culti diversi dalla religione cattolica, quindi, erano annesse le religioni
diverse ma queste non dovevano professare dei principi contrari all’ordine pubblico o alla morale,
in sostanza il ministero degli interni poteva controllare ogni atto delle minoranze religiose e allo
stesso modo l’educazione religiosa, diventata obbligatoria a scuola, divenne solamente quella
cattolica.

Dal punto di vista economico il fascismo non aveva una chiara politica economica, c’erano alcune
contraddizioni tra programmi e risultati; allo stesso tempo si può dire che il fascismo si presentava
come un’alternativa, al comunismo o alternativa al capitalismo. Le corporazioni si presentavano
come uno strumento de arbitrato fra i lavoratori e gli imprenditori ma anche come un organo di
rappresentanza collettiva dei lavoratori stessi, perché nell’idea del fascismo lavoratori ed
imprenditori dovevano avere lo stesso obiettivo economico.
Anche la situazione economica può esser un fattore che spiega il consenso verso il regime.
Welfare→ il ruolo del partito nazionale fascista era l’educazione degli italiani e non stupisce che
tutti gli aspetti della vita pubblica e privata degli italiani fosse gestita dal fascismo. Quello che si
voleva era attuare una mobilitazione costante del popolo italiano, tutte le attività dovevano rientrare
nel piano del fascismo, quindi non c’era spazio privato.
Il fascismo, ossia la tessera fascista, veniva utilizzata come carta d’identità per riuscire a presentarsi
e per avere un posto di lavoro bisognava essere iscritti al fascismo.
La mobilitazione riguardavo tutti i settori della società, dai giovani, alle donne e ai lavoratori.

Perché riguardava soprattutto i giovani?


Perché il fascismo si presentò come un fenomeno rivoluzionario giovanile; il fascismo aveva
contribuito al ringiovamento della classe politica italiana ma soprattutto aveva l’obiettivo di creare i
futuri leader dell’Italia.
In sostanza il fascismo voleva fare uomini e donne nuovi, persone che sarebbero nate fasciste.
I bambini partecipavano all’opera nazionale Balilla che mirava all’educare i giovani anche
all’attività della guerra.
Allo stesso mod c’era la riforma dell’educazione, che secondo Giovani Gentile, fu la più fascista
delle riforme (il sistema educativo italiano è per molti aspetti ancora basato sulle riforme della
scuola fascista).
Un’altra forma di mobilitazione era lo sport e le attività ricreative; lo sport serviva a creare un senso
di comunità e identità nazionale, il fascismo fu uno dei primi regimi che utilizzò lo sport come una
forma di propaganda politica, gli atleti durante il fascismo diventavano ambasciatori del fascismo
all’estero.
L’Italia in questi anni vinse molti mondiali di calcio per esempio.
All’inizio esistevano i fasci femminili, fondati prima che il fascismo prendesse piede, e prima del
partito fascista c’era anche il voto alle donne, però progressivamente le donne furono escluse dalla
vita politica del fascismo e furono relegate alle attività di assistenza, beneficenza e propaganda.
Secondo la storia Vittoria de Grazia il rapporto del regime fascista e donne fu un rapporto
ambivalente; le donne italiane dovevano partecipare alla vita pubblica attraverso le associazioni
giovanili partecipando ad eventi sportivi e culturali, ma una volta raggiunta l’età del matrimonio e
della maternità dovevano ritirarsi alla vita domestica.

Non possiamo capire il fascismo se non analizziamo il ruolo di mussolini, il leader.


Leader carismatico→ Mussolini rappresentò una delle prime esperienze di adesione totale tra
leader e le masse; questo fu favorito da: la scarsa popolarità di monarchia e casa Savoia in Italia,
mancanza di carisma dei governi precedenti e soprattutto i partiti di massa in Italia non erano
riusciti a consolidarsi e a diffondere una politizzazione un apprendistato politico nelle classi
popolari.
La figura di mussolini andava rispondere ad almeno 3 funzioni:
- Esempio→ Mussolini si rappresentava come modello del nuovo italiano;
- Identificazione→ si identificò con il fascismo;
- Protezione→ Mussolini era il garante e il protettore dei cittadini verso lo stato;

Quindi il culto della personalità di Mussolini assumeva anche aspetti di paternalismo; gli italiani
scrivevano delle lettere a Mussolini quando subivano abusi, dallo stesso stato fascista, quando
volevano chiedere un favore. Nel corso degli anni 30 la segreteria particolare del Duce riceveva
quasi 1500 lettere al giorno da parte dei cittadini italiani (più di 50 persone lavoravano nella
segreteria). Quindi non si può capire il fascismo senza andare ad indagare anche il culto della
personalità e il ruolo che Mussolini giocò come emblema del nuovo italiano ma anche come
persona con la quale si andava ad identificare il fascismo e lo stato stesso.

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