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STORIA DELLA REPUBBLICA, L'Italia dalla liberazione ad


oggi, Crainz
Storia Contemporanea (Università degli Studi di Milano)

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Storia della Repubblica; l’Italia dalla liberazione ad oggi - Guido Crainz

I. Un intenso e tormentato dopoguerra


1.Fra guerra e guerra civile
L’Italia che esce dal fascismo è profondamente lacerata.

l’Italia del 1945 sembra quasi aver smarrito la propria identità ed essere ritornati sotto il dominio di
sperimenti elementari, incapace di fare i conti con la catastrofe e con se stessa e le molte Italie
che lo scorcio del 1945 ha rivelato.

In questo quadro giungono l’8 settembre e1943, il disfacimento dell’apparato statale e lo sbarco
alleato a Salerno. vi è anche la costituzione della Repubblica di Salò nell’area centrosettentrionale
occupata facilmente dai nazisti. L’esercito è senza ordini, Vittorio Emanuele II e il capo di governo
Badoglio sono scappati da Roma, il fronte si sposta lentamente verso Nord dove l’Italia vivrà in
pochi mesi una “guerra totale”. I nazisti in ritirata attuano stragi, deportazioni, spoliazione
sistematica di viveri, distruzione del territorio. A cui si aggiungono intensi bombardamenti cui
scopo è ‘distruggere psicologicamente l’Italia per spingerla ad arrendersi’.

Alla liberazione il Mezzogiorno è allo stremo: distrutta la poca industria, gli aiuti degli Alleati sono
al minimo necessario, si diffondono illegalismi e rivolte locali, dilaga l’inflazione.

A Roma, liberata il giugno 1944, prende avvio un interrogatorio sul fascismo, che presto si attenua
di fronte ai delitti della RSI e dei nazisti: negare è come rimuovere ed autoassolversi.

Il fascismo è ancora nel costume, come pensiero politico degli italiani dopo vent’anni di regime.
Con il crollo dell’autorità statale è come se persistesse il vecchio stato dittatoriale e burocratico, è
una crisi fondamentale.

Incerte sono anche le vicende dell’epurazione delle figure compromesse dal fascismo: chiedersi
chi è ‘colpevole’ significa chiedersi il rapporto tra italiani e fascismo.

Il 27 dic. 1944 Giannini pubblica il “giornale dell’Uomo qualunque, stufo di tutti” che vende
tantissimo: fa una polemica contro i politici di professione, porta avanti la campagna anti-
antifascista e contro la “dittatura dell’esarchia”. l’Italia ha bisogno di ritornar ad una normalità
insidiata sia dal fascismo che dall’antifascismo.

Il Mezzogiorno ormai vive nel “dopoguerra” (dimostrato dalla ripulsa alla chiamata alle armi voluta
dal governo per affiancare partigiani ed Alleati) mentre nel Nord si combatte, si fanno i conti con i
rastrellamenti, deportazioni, stragi. Le truppe naziste diventano più crudeli, così come i corpi
armati della RSI. Ci sono fucilazioni di ostaggi e incendi di paesi.

L’8 settembre aveva portato alla luce incertezze, non mancarono quelle ‘fedeltà’ alla dittatura
nazista, humus attivo della RSI. Fu più che collaborazionismo, venne raccolta la parte peggiore
degli uomini cresciuti nel ventennio fascista: così si connaturavano gli anni 1943-45 come guerra
civile. Ma oltre alla resistenza armata, si connotarono comportamenti della Resistenza in ambito di
aiuto ai perseguitati, dagli ebrei agli ex prigionieri, e ancora la resistenza dei militari che rifiutarono
di aderire alla RSI vennero imprigionati. La Resistenza era consapevole di andare incontro alla
solitudine. Coloro che diventavano antifascisti durante la resistenza mettevano in discussione
tutto ciò che erano stati negli anni precedenti.

2. uscire dalla guerra


Il paese è distrutto dalla guerra, ma trova la forza di rialzarsi, anche se lentamente. Nel 1946 riapre
la Scala. Per dare corpo alla democrazia viene affidata ad un sistema di partiti una società intrisa
di sofferenze e speranze: il danno bellico è fra un quinto e un sesto della produzione nazionale, il
PIL di fine 1946 è il 60% dell’anteguerra, i bombardamenti hanno distrutto i centri urbani, la borsa
nera, inflazione e disoccupazione dilagano. In molte case mancano elettricità, acqua, cucina e
bagni interni anche negli anni 50. Il 58% della popolazione del Sud ha consumi essenziali
bassissimi, 19% in quella centrale e 7% al Nord. La percentuale è equivalente rispetto
all’analfabetismo. Nel 1951 il 44% dei lavoratori era in agricoltura.

In Sicilia, Sardegna e Calabria negli anni cinquanta si vive ancora un’eterno regime di agricoltura e
latifondo e povertà. Anche nell’Italia settentrionale, a partire dal Delta del Po, la miseria aumenta
di km in km fino a dilagare nel basso Polesine (1949) dove regna carenza di acqua potabile,
dilagare di malattie, mortalità infantile e analfabetismo. La situazione si inasprisce nel 1951 con
un’alluvione che provocò un grandissimo esodo verso la Valsassina o in Cadore (ci si muoveva fra
i paesi isolati).

Piano piano si espande l’industria elettrica (Natale 1954 Milano è tutta illuminata). Ma la capitale
dell’industria, ormai prossima al miracolo, vive in mezzo ad una periferia caratterizzata dalla
povertà. Livelli ancora peggiori li vive la periferia di Roma, dove erano stati costretti ad andare i
romani cacciati dal centro storico per volontà del fascismo.

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Guido Gonella (su cui la DC punta per consolidarsi al governo) espone le difficoltà di un impiegato
pubblico, che nel 1946, con lo stesso stipendio dell’anteguerra, poteva permettersi il 30% di
quello che prendeva nel 1938.

I giornali ci riconsegnano la cultura povera dei consumi idi allora (Palmolive consiglia di
massaggiarsi con la schiuma del sapone) e i giornali sindacali denunciano contratti individui
vessatori.

Nel 1946 nasce la Vespa della Piaggio ma, così come la Macchina e persino le biciclette, era
miraggio per molti.

Nello stesso anno riprende la corsa ciclistica nazionale e il campionato di calcio con la SISA. Nel
1947 si afferma “l’europeo”.

Le canzoni di quegli anni riflettono la situazione ma c’è una riemersione di un’allegria di evasione
che aveva detto la fortuna delle canzoni degli anni trenta. Nel 1951 c’è il primo Festival di
Sanremo, e un’Italia povera fa da sfondo alle canzoni vincitrici degli anni successivi.

Nel cinema si assiste ala stagione d’oro del neorealismo (Rossellini, Roma città aperta 1944; Paisà
1946; De Sica ladri di biciclette 1948 —> Andreotti dice ha reso un pessimo servizio all’Italia,
dando una cattiva immagine; Luchino Visconti Ossessione 1943) che ha come caratteristiche gli
attori presi dalla strada, l’uso del dialetto, l’Italia della Povera gente e che trova la sua fine con il
fotoromanzo di Federico Fellini (sceicco bianco, i vitelloni).

Nasce una “smania di raccontare” e nascono una serie di riviste che esplodono anzitutto nella
Roma liberata, che parlano di scandali di personaggi famosi, guardano ai contrasti sociali, fanno
proposte di riforme, indicono inchieste (“Politecnico”, “Cosmopolita”).

Nel 1945 esplode la narrativa con Moravia, Levi. Nel 1947 viene inaugurato il Teatro Piccolo da
Grassi e Strehler e due anni dopo nasce la biblioteca Feltrinelli.

In quel brevissimo scorcio di tempo troviamo la migliore cultura italiana.

3. La ripresa delle lotte sociali


Prima ancora della fine della guerra si estendono nel mezzogiorno le occupazione dei latifondi
lasciati incolti e legalizzati dell’ottobre 1944 da un decreto del ministro comunista dell’Agricoltura
del CLN, Gullo che prevede che quelle terre siano da dare in affitto a cooperative contadine. Interi
paesi partecipano alle occupazioni di terre arbitrariamente sottratte alla collettività dai grandi
proprietari. Analogamente ci sono lotte per il lavoro.

Peserà però il mancato rinnovamento dello stato e il diffuso permanere di uomini forgiati dal
fascismo (a partire dai carabinieri che negheranno l’esistenza del latifondo pur di non dare ai
contadini le terre). I provvedimenti di Gullo verranno aspramente criticati sia dai carabinieri che da
magistrati e prefetti, commissionati ad assegnare i terreni e che respingeranno le domande delle
cooperative.

Le città dell’Italia centrale nel 1945 sono invase da gruppi di mezzadri che portano viveri in
ospedali, carceri e mense. È il simbolo del rifiuto della guerra e della devastazione che questa ha
portato. I proprietari terrieri però, assenti durante gli anni tragici della guerra, tornarono alla fine di
questa reclamando i loro terreni. Questi erano compromessi con il fascismo. La popolazione
aspirava a radicali mutamenti, alimentati anche dalla resistenza.

Altre eredità del primo dopoguerra vennero evocate dal rapporto agli Alleati con cui l’arma dei
carabinieri analizzava le uccisioni commesse dai partigiani oltre i 25 aprile, violenze “giustificate”
dalla ferocia delle squadracce fasciste nel ventennio che si sono tramandate oltre la Liberazione.

Nelle cascine lombarde la caduta del fascismo non portò alla scomparsa dell’arbitrio degli agrari,
che potevano tranquillamente estromettere le famiglie di lavoratori privandole di case e lavoro
(solo la fuga dalle campagne lo permetteva). Il compenso dei contadini era per metà ancor ai
natura.

Dalla pianura occidentale sino al Delta si estende un’area bracciantile, cuore del movimento
socialista, dove riemergono le “roccaforti rosse” del passato.

Altro epicentro sindacale è nelle fabbriche del Nord. Nel 1947 la CGIL registrava 6milioni di iscritti,
il 56% dei consensi proveniva dalla componente che fa capo al PCI.

Nelle concentrazioni industriali la liberazione si tinge di aspirazioni sindacali e del “mito sovietico”,
basata sull’attesa di un’insurrezionale ora X: i comunisti si aspettavano di vincere le elezioni.

4. La nascita del sistema dei partiti


Nel 1947 il PCI aveva più di due milioni di iscritti (dato unico in Europa); il PSI mezzo milione
(entrambi sono fortemente presenti nel movimento sindacale e cooperativo) mentre la DC nel
1948 contava più di un milione di iscritti, senza contare gli aderenti all’Azione cattolica e
l’associazionismo presente.

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Questi partiti assunsero un ‘ruolo pedagogico’, ma loro crisi dagli anni settanta inizia ad affiorare e
a costituire il problema: è una classe politica inefficiente e corrotta, benché insostituibile.

L’onnipresenza politica nel nostro paese conoscerà un rovesciamento, e vedrà partecipazione al


voto e alla vita di partiti o a movimenti di diversa natura.

Il numero delle iscrizioni ai partiti si avvicinò al numero di quelli del PNF e ci ricordano che
l’abitudine alla “tessera” e l’iscrizione ai sindacati si diffonde durante il regime: con il fascismo le
grandi masse videro entrare il partito nella vita quotidiana. Il fascismo fu capace di articolarsi in
ogni piega della società contornandosi con istituti ed enti ponendosi come strumento di
mobilitazione e dispensatore di favori. In quegli anni si afferma la politica Come mestiere. il
fanatismo politico portava un uomo onesto a rubare milioni per il proprio partito; il difetto del
sistema proporzionale è quello di portare in parlamento uomini pedine del patito. Alla fine del
1949 l’uomo politico diventa funzionario retribuito della politica. I partiti dichiarano il proprio
intento di diventare veri dirigenti della vita nazionale: de Gasperi però oppone una visione non
invasiva del partito, come organismo limitato che coopta con altri organismi. I suoi successori
dilateranno il ruolo ma bisogna tener conto che al tempo i partiti erano legati agli anni trenta e
presto saranno fortemente condizionati dal bipolarismo della guerra fredda, caldamente sentito in
Italia perchè al confine tra il blocco occidentale e quello orientale, dalla presenza della chiesa e
dal più grande PC dell’occidente.

Lo stesso concetto di democrazia non era chiaro all’alba della repubblica.

Il PCI, cui gruppo dirigente era forgiato nel leninismo-stalinismo, doveva costruire un grande
partito di massa nazionale e democratico. Compito della classe operaia e del PCI era quello di
impugnare la bandiera degli interessi nazionali che il fascismo aha tradito. Il pCI era aperto agli
stati intermedi ma chiuso ai gruppi reazionari e monopolistici, contraddizione confermata nello
statuto del partito: il partito è aperto a tutti, senza distinzione, ma gli iscritti sono tenuti ad
acquistare una sempre maggiore conoscenza dei classici del marxismo - leninismo.

I giovani partigiani vennero chiamati alla direzione dei sindacati e nelle federazioni provinciali,
mentre ai versati del partito rimanevano i vecchi quadri costretti alla clandestinità. A questo si
intreccia anche il socialismo prefascista nelle aree bracciantili del centro nord, attratto dal
prestigio che il PCI acquistò durante l’opposizione. In queste aree l’impatto della guerra alimentò
la volontà di riscatto e rinnovamento.

Nel Mezzogiorno si afferma lotta per la terra dove si formano movimenti di organizzazioni
collettiva per la battaglia per la dignità dei lavoratori.

Si diffondono nuove consapevolezze di democrazia: nel referendum istituzionale del 2 giugno


1946 la marea del voto monarchico meridionale troverà qualche argine nelle aree più coinvolte in
quelle lotte.

Si registra una larga adesione al PCI da parte di intellettuali. La funzione liberatrice della classe
operaia finge da bussola, nella condizione che la lotta di classe possa render epiu aperta e
creativa una società insidiata dal conformismo ecclesiastico e dal paternalismo autoritario. Il
quell’Italia il comunismo potè sembra come n liberalismo di emergenza.

Il pCI troverà fondamento della trasformazione dei frammentari quaderni scritti in carcere da
Gramsci dove parla di materialismo storico, risorgimento, ruolo di intellettuali, Partito politico
come ‘moderno principe’ . Il comunismo italiano assunse un autorevolezza culturale con il
riferimento gramsciano, decisivo per spostare l’accento dall’insurrezionale assalto allo stato alla
conquista graduale della società civile.

Il PCI fu un crogiolo di culture, le differenti parte iniziarono a comunicare. I comunisti ebbero una
parte decisiva con la diffusione capillare culturale di giornali a far circolare un blocco di valori con
cui la popolazione poteva riscattarsi.

Il disciplinamento di massa compiuto dal PCI può definisci disciplinarmente democratico se si fa


riferimento all’abbandono delle tentazioni rivoluzionarie e delle attese insurrezionali. Non fu un
processo lineare, si vedano i sussulti nell’autunno 1947 da critiche venute da mosca e da altri PC.

Possibili derive furono arginate dalla intransigente difesa della costituzione, con cui venne a
concedere la democrazia sostanziale di Togliatti. Le remore originarie non svanirono i tempi rapidi:
il permanere del mito, della diesa a priori dell’URSS, la subalterni alle peggiori derive staliniane,
l’indifferenza ai drammi del ‘socialismo realizzato’ rivelano la difficoltà di accogliere le libertà
formali Come intangibili. La pedagogia comunista è poco intrisa di democrazia, si veda
l’annullamento degli oppositori, spia della convenzione totalizzante della militanza come scelta di
vita, intrisa di subordinazione al partito. I militanti vivono la durezza settaria delle scuole di partito
e le Feste dell’Unità. L’integrazione sociale perseguita dai partiti sociali ha remori nella seconda
internaiozla Ema anche nel regime fascista.

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Il PSI fu assente nell’attività clandestina e non ebbe grandi meriti nemmeno nella resistenza.
Eppure fu il primo partito della sx nell’Assemblea costituente (grazie all’eredità carismatica di
Nenni). Il PSI era però lacerato all’interno (scissione dei socialdemocratici di Saragat) ed era
incapace di dare corpo ad una vera rifondazione del riformismo. Il Partito d’azione scomparirà
quasi subito, nonostante fosse stato significativo nella resistenza, perchè schiacciato dal
bipolarismo della vita politica italiana.

Il mondo cattolico è segnato dall’esperienza del fascismo e dal pontificato di Pio XII, carismatico,
autoritario ed indiscusso. Il passaggio dal fascismo al sistema democratico è stato faticoso per la
Chiesa. Pio XII volta che la chiesa ricoprisse il vuoto aperto dal crollo del comunismo
combattendo al tempo stesso il comunismo. La guerra civile 1943-45 accresce a dismisura il
ruolo di ‘supplenza’ della Chiesa, Pio XII, nei mesi successivi alla fuga del re e del governo,
assume il ruolo di unico defensor urbis (aiuti ai profughi, ebrei ed antifascisti). Si consideri anche il
bisogno di religiosità che esplode allora, alimentato dalle angosce della guerra.

La catastrofe e le macerie alimentavano inoltre l’esigenza di una risposta etica e facevano


riemergere rassicuranti valori tradizionali (ordine sociale, rispetto delle autorità e delle gerarchie,
tranquillità quotidiana), ingigantite anche dalla minaccia dell’anticristo di Oriente, al quale doveva
opporsi assieme alle culture occidentali con le quali condivideva ben poco (con la laicità dello
Stato, il primato dello sviluppo economico, impersonati dagli USA). Il pontefice contrapponeva un
nuovo ‘ordine cristiano’ che aveva come riferimento il mondo rurale, opposto alla città moderna. Il
tumultuoso scomparire dell’Italia rurale ha reso amaro il declino del pontificato. Erano vive anche
istituzioni lontani da una democrazia piena come l’Azione Cattolica, con l’ascesa di Gedda, dei
gesuiti della Civiltà cattolica. Qui aleggiava l’idea di uno stato non mussoliniano ma sempre
clerico-autoritario, simile al Portogallo di Salazar o alla Spagna franchista. Lo scontro con il
comunismo diminuisce temporaneamente le differenze, ma con la sua sconfitta riemergono,
facendo trionfare il centirsmo de gasperiano con la DC. Questo ha alle spalle l’esperienza del
Partito Popolare (De Gasperi era segretario dopo l’esilio di Sturzo), l’arresto di de Gasperi durante
il fascismo e il riparo nella Biblioteca vaticana. Da qui l’autorevolezza di questa e il rapporto con
gli esponenti del vecchio partito, tra i quali Scelba.

Esperienza superata che comporta però un sostegno del vaticano, la difesa dei patti lateranensi,
che avevano amareggiato De Gasperi. D’altro canto emergeva la non dipendenza totale dal quel
sostegno e la necessità di costruire una propria autonomia. In questa direzione vanno i rapporti
con il Movimento guelfo d’azione di Malvestiti, con i settori universitari dell’azione cattolica,
l’università cattolica di Milano, esponenti del mondo industriale e l’organizzazione dei coltivatori di
Bonomi: si crea un intreccio di potere economico oe finanziario articolato in una miriade di piccole
banche e imprese. De Gasperi voleva coinvolgere le masse grigie per contrapporle alle sinistre e
per sottrarle all’egemonia della destra qualunquista e fascista, per conquistarla alla democrazia.

La proposa di De Gasperi è connotava in negativo, con il supporto di una ‘dottrina sociale della
Chiesa’, che interpreta l bisogno di rassicurazione dell’Italia del tempo.

La DC riesce a diventare interlocutore privilegiato degli USA, che, con il piano Marshall, riesce a
pilotare le risorse. Si raggiunsero esiti lontani dalla visione degasperiana ma anche dal pensiero di
Dossetti, oppositore interno, con il suo integralismo profetico.

La Dc riuscì a conquistare altri umori, quelli ‘apoti’ (Prezzolini, anni trenta) ovvero coloro che sono
impermeabili ad ogni fede, condividono con il qualunquismo l’anti-antifascisti, apologia del
disimpegno. Addebitano la subalternità al fascismo degli italiani a tare immutabili, così le
responsabilità individuali scompaiono.

Sono gli italiani che pensarono alla famiglia e al sopravvivere senza farsi influenzare dal fascismo.

Si forma un’Italia pronta a convivere con un altro ‘regime’ di stampo clericale.

5. Verso l’assemblea costituente


La conferenza di Pace di Parigi assegna l’Istria alla Jugoslavia e solo nel 1954 gli Alleati ridaranno
Trieste all’Italia (inizio di un sofferto esodo, ignorato dal paese che vuole rimuovere le sue
responsabilità). Il 5 marzo 1946 Churchill dichiara la caduta di una cortina di ferro: inizia la
sovietizzazione forzata dell’Europa centro-orientale.

L’ispirazione progressista che il deceduto Roosevelt volle per gli USA è sempre più flebile per far
posto alla priorità di ‘contenimento’ di Truman: propone di offrire sostegno economico e militare ai
popoli liberi che resisteranno alle tentazioni comuniste. Nel dicembre 1947 inoltre dichiara di
sostenere l’Italia contro chi ne minaccia libertà e indipendenza.

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Nel marzo 1944 era Tornato Togliatti e pose fine alla divisione creata dopo l’armistizio tra re e
Badoglio contro la CLN: Togliatti propose di rimandare al dopoguerra ogni scelta e di dare priorità
all’impegno bellico. Dopo la liberazione di Roma usciranno di scena sia Badoglio (sostituito dal
presidente di consiglio della CLN Bonomi) sia Vittorio Emanuele III (che indicherà come
luogotenente il figlio Umberto), perché compromessi con il fascio. La scelta tra repubblica e
monarchia verrà affidata all’assemblea costituente, eletta a suffragio universale.

Dopo il 25 aprile 1945 venne nominato un governo che sarebbe dovuto giungere alla costituente:
guidato d aParri e composto da tutti i partiti della CLN. Si insedia anche la consulta, cui membri
sono indicati dai partiti e dalle associazioni. Per la prima volta entrano anche le donne. Questo
governo sarà di breve durata, Parei verrà sostituito da De Gasperi e verrà posta fine alla mai
veramente iniziata epurazione. Si attuerà all’insegna del ritorno all’ordine, sopratutto nelle misure
economiche con la restaurazione liberista di Corbino (rinuncia ad un intervento regolatore dello
Stato, introduzione di un’imposta progressiva sul patrimonio per censire la valuta circolante e
raffreddare l’inflazione). Socialisti e comunisti rimasero passivi, così anche nella Costituente:
prevale così la volontà di monarchia, Alleati e di de Gasperi di sottrarre alla sinistra il potere
legislativo e la scelta tra monarchia e repubblica, affidata ad un referendum: solo un referendum
avrebbe potuto dare legittimità alla repubblica anche a chi ne fosse ostile o ne avesse paura.

Anche le donne poterono partecipare al referendum grazie al diritto di voto sancito il 1 febbraio
1945 anche se solo il 10 marzo 1946 poterono anche essere eletto (segnale di umori ancora
diffusi, di un timore ad una possibile tendenza al matriarcato): solo 13 donne (su 430 membri)
saranno elette alla Consulta, 21 alla Costituente e 41 al Parlamento del 1948. Da allora il numero
diminuirà progressivamente.

Votare la repubblica vorrebbe dire assemblea costituente con l’obbligo di mettere tutto in
questione, repubblica era vista da tempo come sinonimo di anarchia. L’abdicazione di Vittorio
Emanuele III a favore del figlio Umberto, meno compromesso, voleva dire confermare l’equazione
monarchia, fascismo, guerra. I sostenitori della monarchia presentano la repubblica come un salto
nel buio, l’anticamera del comunismo. Anche Pio XII, alla vigilia del voto, si esprimerà a favore
della monarchia, roccaforte del cristianesimo.

Il 2 giugno però il risultato è chiuso e fallisce il sentivo di impugnarlo da parte dell’effimero “re di
maggio” (Umberto). Nord e Centro votarono per il 63-65% a favore della repubblica, nel sud oltre
il 65% voto per la monarchia. Il voto meridionale rispecchiava un bisogno di protezione, di
garanzie che trova nella monarchia stessa (legittimismo borbonico). Inoltre confluisce anche il
precoce disincanto del lungo dopoguerra.

In contemporanea viene fatto il voto per l’assemblea: la Dc conquista il 35,2%, inferiore alla soma
dei voti di socialisti e comunisti (20,7%, 19%)

6. Dalla costituente al 18 aprile 1948


Le elezioni amministrative dell’autunno 1946 avevano visto il crollo della Dc e la contemporanea
esplosione dell’Uomo Qualunque nell’Italia centro-meridionale. Nell’aprile 1947 le elezioni siciliane
confermavano quella tendenza (20,5% per la Dc, 30,4% per il Blocco del popolo).

I partiti impegnati a scrivere la costituzione furono realmente ispirati dall’esigenza di cercare punti
di contatto per rifondare la nazione , ponendo la democrazia come sostanza del nuovo stato, il PC
fu criticato per aver accolto alla Dc l’articolo 7 che accoglie i patti lateranensi stipulati in regime
fascista.

DE Gasperi inaugura la campagna elettorale per la Costituente sostenendo il bicameralismo,


criticando quei partiti, come il PC Francese, che hanno condotto ad una repubblica dominata da
una sola assemblea e una sola camera. Il percorso che portò al bicameralismo paritario non fu
lineare (si pensare prima ad una seconda camera eletta dalle rappresentanze del lavoro e delle
professioni, poi eletta dai comuni e dalle regioni, con astensione delle sinistre) ma fu sancito dalle
modalità di elezioni dei due rami del parlamento (maggiore età per elettori del senato, durata più
lunga). Per la paura del fascismo e una rivoluzione, la Dc escluse ipotesi presidenzialiste,
delirando però un esecutivo debole e fondato sui contrappesi.

Nel 1946 ci fu una ripresa dell’inflazione, cui vi contribuiva la politica economica liberista
(smantellamento dei controlli interni, politica creditizia permissiva che favorì le speculazioni, libertà
di utilizzo della valuta, affossamento del cambio della moneta). Per De Gasperi diventa prioritario
accreditare la Dc come perno del fronte moderato e interlocutore privilegiato degli Usa, qui si
spiega il viaggio in America nel 1947 per chiedere un prestito e maggior impegno nel Paese. La
Dc dipinge l’Italia come spinta verso l’orbita sovietica da parte del PCI, e con una situazione
alimentare tale per cui può portare a moti prerivoluzionari (la situazione era in effetti drammatica).

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Pochi mesi prima, nel bisogno urgente di carbone valuta estera, il governo firmò un accordo che
mandava i lavoratori italiani nelle miniere belghe, con condizioni di vita e lavoro pessime.

l’America alla fine concederà un modesto prestito (inferiore a quello francese) che sarà simbolo
dell’investitura di De Gasperi. A suo favore inoltre confluirà l’inasprimento dei rapporti Usa-URSS;
la scissione dal PSI dei socialdemocratici di Saragat (piu filomericani) che porterà alla fine della
‘coabitazione forzata’ con le sinistre.

L’inflazione senza freni (i prezzi all’ingrosso aumentano di circa 50 volte) che porta De Gasperi a
cercare un elettorato più ricco, il ceto medio, e discende da qui l’espulsione nel maggio 1947 di
socialisti e comunisti dal governo: è un grande azzardo per De Gasperi, anche se ormai ha
sostegno politico ed economico degli Usa vive un isolamento interno in quanto i
socialdemocratici e repubblicani non vogliono entrare nel nuovo governo. De Gasperi ha paura
del fallimento della politica economica, che farebbe salire le sinistre.

Nel giugno 1947 venne inaugurato il piano Marshall degli aiuti ai paesi europei e insieme al
successo della politica deflativa di Einaudi (ministro delle finanze e del tesoro) si riacquistò fiducia
della piccola e media borghesia a reddito fisso, pensionati e risparmiatori, creando una stabilità
economica. Nel gennaio 1948 aumentarono i salari.

Ci furono delle conseguenze: stretta creditizia e riduzione dei prestiti bancari, che incidono sulla
produzione industriale e sugli investimenti, disoccupazione e scomparsa delle imprese.

Gli aiuti americani però resero più solida l’azione del governo.

Nel febbraio 1948 la cortina di ferro si chiuse con il colpo di stato di Praga e la sovietizzzione della
Cecoslovacchia. Gli Usa affermarono che sarebbero ricorsi a tutta la loro forza politica e militare
per impedire la caduta dell’Italia sotto mano sovietica.

Gli Usa inoltre si impegnarono immediatamente per fornire aiuti sostanziali per generi di prima
necessità, aiuti che con l’avvicinarsi del 18 aprile si infittiscono. Inoltre Usa, Gran Bretagna e
Francia si impegnarono a restituire all’Italia Trieste, necessitava però del consenso di Stalin.
Togliatti propose di scambiare Trieste con la cessione a Tito di Gorizia.

Nel frattempo il mondo cattolico si mobilitava sotto la guida di PioXII e sotto l’organizzazione dei
comitati civici di Gedda. Alcuni vescovi scomunicarono i comunisti, prima della promulgazione
ufficiale del 1949.

La Dc varò leggi per la piccola proprietà contadina.

La propaganda era varia, dalla campagna contro l’astensione alla minaccia comunista. Veniva
contrapposta ad un’opera di assistenza e ricostruzione concreta grazie agli aiuti Usa.

La propaganda del fronte democratico popolare era invece incredibile: dall’imposizione sovietica,
all’opposizione al Piano Marshall, attribuzione ad Usa e De Gasperi la minaccia di una guerra.

Sembra inevitabile il risultato del 18 aprile, che vede la Dc a 48,5% di voti contro le sinistre al
31%.

Nel PCI la delusione è vivida: Togliatti viene colpito da una pistola da uno studente di destra ed
iniziano le rivolte in tutta Italia. A Torino gli operai della Fiat occupano la fabbrica sequestrano
Valletta, a Genova si assiste ad una manifestazione armata di ex partigiani, simili a Milano. Lo
spettro di un’insurrezione apre reale ma scongiurata dai comunisti, che non volevano una guerra
civile. La rivoluzione era inoltre impossibile, la mobilitazioni in molte aree era meno tumultuosa,
c’erano numerose aree di passività. Lo sciopero generale portava ad una scissione del sindacato.

Con il ritorno di Togliatti però ci furono diverse manifestazioni festose.

7. Fra “democrazia protetta” e “democrazia mutilata”


All’azione del governo convivono spinte differenti: il piano Marshall venne bilanciato da alcune
scelte di governo, che davano priorità al risanamento del deficit e della bilancia dei pagamenti che
limitarono le spinte keynesiane di allentare la stretta creditizia e rilanciare produzione e
occupazione anche per favorire i sindacati nati dalla scissione della CGIL. Le imprese utilizzarono
la politica deflativa per liberarsi di manodopera più del necessario, colpendo glioperai comunisti e
socialisti. Con il piano Marshall vennero privilegiati alcuni settori (siderurgia, elettricità, meccanica)
e gruppi industriali pubblici e privai (Fiat, Piaggio …) e una spinta riformatrice.

Per entrare nella Nato De Gasperi dovette superare resistenze interne (Dossetti) ma anche esterne
(paesi che reputavano Italia come nemico sconfitto) e attacchi delle sinsitre.

Nel 1949 l’esplosione della ombra atomica sovietica, la vittoria di Mao in Cina e l’anno dopo
l’invasione della Corea del Nord nei confronti di quella del Sud aumentano le tensioni
internazionali. Gli Usa configurano il conflitto contro il comunismo come scontro planetario tra
libertà e dittatura, così come le principali cancellerie europee: inizia la corsa agli armamenti e
provvedimenti, in Italia, per limitare i comunisti nelle istituzioni. Con la guerra in Corea si accelera
la necessità di proteggere le democrazia dalla minaccia del comunismo, porta in realtà a mutilata
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in maniera significativa, escludendo una parte dei cittadini dalla pienezza del diritto. Viene rinviata
sine die l’istituzione delle Regioni e del referendum abrogativo (1970) e la stessa corte
costituzionale subisce ritardi (in funzione dal 1956). Viene accantonata l’abolizione delle norme del
Codice penale e del testo unico di pubblica sicurezza ereditati dal fascismo, vengono anzi
sollecitati i prefetti ad applicare e viene cercato di ampliare le misure anti-sindacali per
comprendervi nuove forme dil lotta (occupazione delle terre, non collaborazione nelle fabbriche).

Nel 1952 viene emanata la ‘legge Scelba’, contro la ricostituzione del PNF che poteva anche
essere premessa per opposti sviluppi. Il comandante generale dell’arma dei carabinieri propone di
individuare i gruppi comunisti ed arrestarli, inoltre chiede un più ampio uso delle armi da fuoco: un
centinaio di lavoratori vengon uccisi dalle forze dell’ordine tra il 1947-50, decine di migliaia
arrestati.

Su questa base si attuano licenziamenti massicci, trasferimenti punitivi, perquisizioni e controlli.

Inizia un’intensa attività di “caccia alle streghe” che vedeva la connivenza di coloro che
approntavano schedature e controlli ma anche dalle acquiescenze di una parte di cittadini che
denunciavano. I diritti formalmente riconosciuti venivano quotidianamente messi in mora.

Nel 1953 la visita dell’ambasciatrice degli Usa, Luce, considerò troppo moderati anche Scelba e
Valletta. Si moltiplicano così le pressioni al governo. Aumenta la collaborazione tra il servizio
informazioni delle Forze armate italiane con i servizi americani: viene creata una rete clandestina
Stay-Behind per organizzare forme di residenza e di sabotaggio in caso di invasione sovietica e
insurrezione comunista. Nel 1954-55 Scelba garantisce l’appoggio statunitense in caso di reazioni
comuniste. Considera il PCI anticostituzionale e antidemocratico.

8.Fra riforme e distorsioni


Quello che contava per la Dc era la vittoria sul comunismo che diede il via ad una serie di riforme
(Cassa per lo sviluppo del Mezzogiorno; riforma agraria (1950); legge sulle case popolari (1949).

Nel 1946 venne fondata l’associazione per lo sviluppo dell’industria del mezzogiorno che fu però
mutilata dal restringersi della sua azione all’agricoltura e alle infrastrutture. Fu comunque rilevante
l’impatto della Cassa, che permise la realizzazione di acquedotti, strade, ferrovie, lavori di
bonifica, irrigazioni…miglioramenti reali.

Oltre a sanare malattie antiche, le operazioni di bonifica e di irrigazioni contribuirono anche ad un


rilevante aumento della produzione agricola. Nella prima fase della Cassa (1950-57) rimase il nodo
dell’industrializzazione, privilegiata nell’industria settentrionale. La riforma agraria fu realizzata con
una serie di leggi parziali e fu duramente contrasta dalla stessa Dc. Sebbene l’esproprio diede un
‘colpo d’ariete’ agli assetti tradizionali, gli effetti furono minimi, in quanto l’estensione di questo fu
la metà di quello previsto. Contemporaneamente i beneficiari aumentavano, a scapito
dell’efficienza produttiva, nel frattempo avveniva l’esodo dalle campagne. Gli Enti di riforma
furono sopraffatti dal clientelismo. In molte aree questi enti Cassa rappresentavano uno Stato,
tradizionalmente assente. La gestione clientelare avrà effetti negativi ben oltre le conseguenze
immediate.

Si espansero anche gli investimenti in agricoltura ma già nel 1960 le scelte in campo agricolo
avvenivano in dipendenza dalle scelte di governo, ‘intruso’ nella società rurale.

Da questo traevano alimento numerosi enti e al loro interno prendeva corpo il dominio della
Federazione nazionale dei coltivatori diretti (COLDIRETTI), creata e diretta da Bonomi dal 1944.
Questa cresce a sostegno della chiesa e cavalcando un anticomunismo, difesa della piccola
proprietà e l’avversione alla supremazie dei grandi agrari. Bonomi conquista i Consorzi agrari
provinciali(sotto il fascismo diventano la Federconsorzi) di cui diventa presidente nel 1949, dopo
che la Coldiretti vince le elezioni locali. Riesce ad acquistare il monopolio della gestione degli
ammassi. Nel 1952 vara il piano dodecennale per l’agricoltura. La Federconsorzi era autorizzata a
concedere prestiti per l’acquisto di terre e macchinari ed aveva un accordo con la Fiat per la
vendita di soli trattori Fiat.

Attuò anche misure fondamentali per la pensione, assistenza mutualistica. Questo viene fatto in
un periodo di esodo dalle campagne, dove la protezione dei “rimasti” è essenziale.

La Coldiretti fu un serbatoio elettorale per la Dc, rappresentante in parlamento.

Nel 1949 viene varato il Piano Fanfani (INA-CASA) per la costruzione di case popolari per i
lavoratori, aumentando l’occupazione operaia. Le iniziali speranze progettuali si trasformarono poi
in delusione per il loro deperire per poi essere rivalutate recentemente. Bisogna tener presente
che il 50% delle famiglie che entravano in quelle case venivano da baracche, sottoscale, cantine
o abitazioni plurifamigliari.

Non va taciuto nemmeno qui il peso della “mobilitazione clientelare” e la crescita urbana
disordinata e incontrollata.

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Ezio Vanoni, ministro delle finanze, nel 1951 varò una legge sulla dichiarazione delle tasse. Era
rigida per i lavoratori dipendenti ma più flessibile per i lavoratori autonomi.

È chiaro l’agire di diverse spinte in una Dc che De Gasperi considerava ancora ‘non invasiva’.
Ritirato in convento, Dossetti, i suoi eredi (Fanfani) perseguono un rafforzamento della loro
presenza nella società.

Pio XII e Gedda stringono i rapporti. Il secondo, presidente dell’Azione Cattolica, scomunica i
comunisti dal 1949 (legge) e inizia un processo di mobilitazione dei fedeli, con l’istituzione
dell’anno santo 1950 per esempio. Arriverà a rivendicare il diritto-dovere del pontefice di
intervenire ben oltre l’ambito religioso: il Papa si impegnerà nel 1952 alla rinascita religiosa e civile
di Roma, in concomitanza con le elezioni amministrative di quell’anno che vedono l’ascesa della
destra nel Mezzogiorno. Nasce così l’operazione Sturzo: creazione di una lista civica capeggiata
dall’anziano leader del PPI comprendente monarchici e neo-fascisti. De Gasperi viene quindi
politicamente sconfessionato ma l’operazione fallisce per l’eccessiva arroganza di Gelda e
l’estrema destra che portano Sturzo a ritirare la propria disponibilità. Inoltre l’integralismo religioso
dell’Italia arcaica sono oggi fuori stagione.

Prima delle elezioni del 1953 viene varata la legge elettorale maggioritaria (premio di maggioranza
a chi ha più di 50% anche in coalizione) che viene battezzata come “legge truffa” dalle sinistre in
quanto a quel premio non potevano aspirare le stesse, ferme al 31% nelle altre elezioni, ma solo i
partiti governativi. Nel 1953 però la Dc, che nel 1948 aveva superato largamente il 60% con una
coalizione, rimane al di sotto del 50%.

II. Un “miracolo” non governato


1.la fine dell’Italia del 18 aprile
Il 1953 segna l’attenuarsi delle tensioni internazionali: inizia il ‘disgelo’, con la Conferenza di
Badung 29 stati asiatici danno vita al movimento dei paesi ‘non allineati’.

Nemmeno il democristiano Gronchi è ‘allineato’, viene eletto presidente della repubblica nel 1955
e inizia un’apertura verso i paesi arabi, effettua un Viaggio in Unione Sovietica nel 1950 che
provoca ostilità in America insieme all’iniziativa di Mattei, dal 1945 commissario liquidatore
dell’Agip, che decide di imporre la nascita dell’Eni come ente pubblico nel 1953, facendo accordi
diretti con i paesi produttori di petrolio. Nel 1962 il suo aereo esplode.

Viene ristrutturata l’industria siderurgica per volontà di Sinigaglia; nell’industria privata vene creato
un nuovo stabilimento della Fiat a Mirafiori. l’Italia sta succedo dal dopoguerra ed è la fine dell’era
De Gasperi, scomparso nel 1954. Sono cadute anche le illusioni di coniugare impegno religioso,
oltranzismo anticomunista e azioni riformatrice. Sono gli ultimi anni di Pio XII, cui cupo
pessimismo trova smentite nelle trasformazioni sociali. Tramonta così la ‘riconquista cristiana’ a
favore di un rafforzamento della cultura degli “apoti”: mentre la divaricazione fra la religione
predicato e una società in trasformazione coinvolge pienamente il costume. La rivista “famiglia
cristiana” giudica questi atteggiamenti, è contro i ‘balli’ i ‘rossetti’, contro matrimoni civili, contro il
piccolo divorzio avanzato nel 1954 dall’onorevole Sansone per casi gravissimi. Un’inchiesta della
Gioventù di Azione Cattolica ha fatto emergere una ribellione diffusa per il mondo rurale
privilegiato dalla Chiesa.

La Chiesa di Pio XII appartiene ormai al passato. La morte stessa del pontefice (1958) diventa
simbolo fortissimo: la Dc necessita di maggiore autonomia dal Vaticano e Fanfani, nuovo
segretario di partito, lavora per rafforzare il partito con nuovi dirigenti periferici. Nel 1959, dopo le
elezioni fruttuose per la Dc e l’aumento delle iscrizioni, viene sancita la sconfitta di Fanfani,
travolto dalle coalizioni di spezzoni della sua corrente, raccolti nel convento di Santa Dorotea: il
“doroteismo” diventa sinonimo di un trasformismo però senza idee che vuole arrivare al potere.

L’aumento delle iscrizioni suggerisce forti rigonfiamenti clientelari.

Si succederanno governi fragili e profondamente contraddittori.

Il progressivo affiorare di questa trasformazione stima nuovi fermenti intellettuali consolidando


altre opposte logiche, esplicitate dal ministro dell’interno Tambroni che alla vigilia delle elezioni del
1958 chiede ai prefetti locali di segnalarli quali provvedimenti avrebbero influenzato
favorevolmente il corpo elettorale: si trasformano in consiglieri elettori della Dc.

In Alcune zone (retroterra ligure, fuori Perugia) basta un modesto intervento, solo per dare la
sensazione di non essere dimenticate. Nel mezzogiorno invece si svolge la Colossale conquista
del consenso: nello sgretolarsi del ‘blocco agrario’, basato su notabili e grandi proprietari si crea
intorno alla Dc un nuovo sistema di potere: si connotano dei mediatori nella società civile che
suggeriscono al centro come influenzare finanziamenti e decisioni. opere pubbliche, distribuzione
di lavoro e redditi precari, si dilatano gli impieghi statali e parastatali. Si crea una gerarchia sociale

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dove il potere e il prestigio vengono dalla vicinanza alle casse dello stato. Lo stato è viicino ed
interlocutore per chi cerca lavoro.

Il rapporto fra Dc e popolazione si connota come un rapporto di scambio di favori (favori per
appoggio politico) continuamente alimentato.

La sinistra è sconfitta: nel 1955 la Cgil perde alla Fiat. All’indomani delle elezioni si apre a Torino il
XXXI congresso nazionale del PSI dove Nenni denuncia i metodi dell’azienda (intimidazione,
ricatto, rappresaglia) cose tutte vere. I prefetti prevedevano che le cause dei licenziamenti fossero
dovute al risentimento che gli operatori avevano nei confronti dei loro dipendenti a cause delle
lunghe agitazioni sindacali. Nei settori tradizionali della classe operaia cresce la sensazione di
isolamento mentre la sinistra denuncia ancora l’arretratezza italiana.

Il senso di sconfitta si intreccia a più generali disorientamenti, la rivoluzione non si fa più, lo


stalinismo è ormai intollerabile.

Nel febbraio 1956 Chruscev al XX congresso del PC annuncia la liberalizzazione insieme alla
denuncia dei crimini Stalin; a novembre l’Ungheria viene invasa dall’URSS.

Le speranza di una distensione internazionale, di una coesistenza pacifica e di giungere al


socialismo per via parlamentare sono intense ma tutto viene messo in discussione, la sinistra è
ceca di fronte alle trasformazioni del paese. La violazione della legalità, la degenerazione del
socialismo fanno interrogare sullo stesso essere un comunista. Si preferisce accantonare il
problema. Rimane inspiegabile come molti intellettuali rimanessero in un partito che muta solo
parzialmente il suo giudizio sul ‘socialismo realizzato’.

Il 1956 appare non come un’occasione mancata dalla sinistra, ma come annuncio di una guerra
ormai perduta. Quella crisi interagisce con processi come la scomparsa dei mezzadri e braccianti,
su cui era basata la presenza comunista nelle campagne, e la mutazione della classe operaia.

Nella crisi dell’ortodossia di sinistra e nel primo declinare della guerra fredda sembrano aprirsi
spazi per una presenza laica, difficilmente l’occasione potrà essere colto dai partiti laici minori, a
lungo subalterni alla Dc, mentre il PSI è subordinato al PCI.

2. La inattesa belle époque


In un brevissimo volger d’anni la società Italiana muta radicalmente nel modo di produrre,
consumare, vivere il presente. Esprime straordinarie potenzialità economiche. La fase più intensa
del nostro ‘miracolo economico’ si interrompe nel 1963 ed era iniziata nel 1958. Il 1958 segna una
distensione nello scenario internazionale, era volato il primo essere vivente nello spazio (cagnetta
Lajka) e nel 1961 il primo uomo; il 1 gennaio 1958 venivano firmati i trattati di Roma per la
costituzione della CEE; a ottobre saliva come pontefice papa Giovanni XXIII il Papa buono. I
lavoratori dell’industria quell’anno sono più numerosi di quelli dei campi. Venne inaugurato a fine
anno il primo tratto dell’Autostrada del sole.

Dal 1954 al 1964 il reddito nazionale netto quasi raddoppia, così come il reddito pro capite. Gli
occupati in agricoltura scendono dal 40 al 25%; quelli dell’industria dal 32% al 40%, nei servizi
dal 28% al 35%. La produttività industriale aumenta dell’84%. La produzione Italiana è salita al
9% di quella europea nel 1955, al 12% nel 1962.

L’emigrazione all’estero aumenta ancora ma sopravanzano i colossali flussi migratori interni.

All’italia industriale fanno da traino i settori dell’automobile, degli elettrodomestici, della siderurgia,
della chimica e petrolchimica, in un intreccio fra iniziativa privata ed impresa pubblica. L’universo
fiat a Torino, a Ivrea esplode l’Olivetti. La fascia industriale milanese comprende Cinisello-Rho-
Cologno-Sesto. Il vecchio triangolo industriale si allarga verso Nord-est, verso l’Emilia, la Toscana,
le Marche.. si configura la Terza Italia della piccola impresa. Un quadro complesso al nord che si
semplifica nel Mezzogiorno: nel 1957 viene varata la legge sulla Cassa, volta a favorire
l’industrializzazione. Viene usufruito dalle grandi imprese pubbliche e private che investono in
industrie di base siderurgiche. Sono destinate a rimanere “cattedrali nel desterto” poco coerenti
con il progetto di stimolare l’economia locale. Nel 1956 viene creato il ministero delle
Partecipazioni statali.

Svanisce presto l’illusione di un’industrializzazione capace di portare con se una democrazia


moderna, in primo luogo per colpa delle modalità di intervento dello stato: l’industria pubblica
avrebbe dovuto favorire lo sviluppo delle aree depresse con politiche di lungo periodo che con
tempo sarebbero risultate in attivo. Comportavano oneri impropri coperti di fondi di dotazione
erogati dallo Stato ma accresce incontrollato l’indebitamento delle imprese e dei finanziamenti
pubblici. Il progetto viene corroso dai localizzi clientelari. I protagonisti dell’impresa pubblica
iiniziano ad essere sostituiti da figure di minor prestigio, meno propensi ad opporsi alle derive. La
crescente interferenza del potere politico coincide con la discesa dell’impallidire della vocazione
imprenditoriale.

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I flussi di popolazione avvengono verso le principali città ma anche da aree agricole più povere a
quelle meno povere: ci si muove verso la modernità e si va incontro a situazioni di inferiorità.

Fino al 1961 rimane in vigore la legislazione fascista contro l’urbanesimo, molti immigrati sono
quindi lavorati clandestini. Quando il ministero del lavoro e il ministro dell’interno si rendono conto
dell’inapplicabilità della legislazione ci si affida al senso di opportunità di prefetti e forze
dell’ordine: da qui il proliferare di cooperative per appalto e subappalto. La società moderna si
iscrive all’insegna dell’incertezza della legge e della sopraffazione. Nella cintura milanese si
diffondono le ‘coree’, agglomerati costruiti dall’oggi al domani dagli immigrati stessi.

L’arretrato livello di partenza rende ancora più travolgente l’impatto del boom economico:
frigoriferi e televisioni irrompono, ci sono abitudini alimentati decenti. Nell’immaginario collettivo
incide la possibilità di accedere a nuovi consumi. Con l’avvento di automobili e motociclette l’Italia
si rimpicciolisce. Nel 1960 viene aperto l’aeroporto di Fiumicino, seguito da un’inchiesta
parlamentare che porta alla luce costi raddoppiati irregolarità e violazioni di legge. Il trasporto
aereo decolla ed esplode il boom del traffico privato le ferrovie dello Stato diminuiscono di
importante. Il numero di chi viaggia in treno aumenta solo lentamente nel 1952 al 1961 e scende
nel 1964. Si segna lo scarto fra consumi pubblici e privati.

Nel 1956 si inaugura la mostra internazionale dell’estetica e delle materie plastiche, l’anno dopo la
mostra internazionale del mobile e la mostra internazionale degli elettrodomestici. Tuttavia nel
1958 la metà delle case costruite di recente da geometri non ha il riscaldamento centrale o
autonomo (a differenza di quelle degli architetti) e due milioni di famiglie usano legna o carbone
vegetale per cucinare.

Anche la vacanze assumono importanza: inizia a colmarsi la distanza fra i luoghi più esclusivi. La
riviera romagnola viene considerata la più americana delle riviere italiane.

L’estate è uno dei luoghi in cui l’universo giovanile inizia ad affermarsi come mondo a se.

I giovani sono stretti tra i punti di riferimento rigidi e meno accettabili del passato e il mondo
nuovo di arrampicatori sociali. Si assiste all’inaspettato passaggio dalla conformistica
generazione delle 3M (moglie, macchina, mestiere) alla generazione del 68. Il rock’n’roll dilaga
anche in Italia, come sfida ai valori degli adulti e veicolo del mito americano, da qui emerge il
Celentano o Mina. Emergono anche i Beatles, il twist. È l’Italia anche dei cantautori. Nel 1954
prendono avvio le trasmissioni televisive.

In tv esistono rigidi vincoli imposti dalla cnesura, sui divieti e ogni allusione alla politica sui timori
che Pio XII esplicito. Nel 1954 la tv incide sul costume più di uqnato abbia fatto il cinema in tanti
anni. Questo però viene eroso ancora poco : conosce il suo culmine nel 1955 e 1960, toccando i
due milioni di spettatori al giorno. È anche una straordinaria stagione, da la dolce vita di Fellini a
rocco e i suoi fratelli di Visconti. L’ultimo segnala na capacità di controntarisi con un passato
recente, la prima si interroga sul presente. La dolce vita viene attaccato duramente dalla stampa
conservatrice e dal mondo cattolico, contestato dal pubblico perchè turba i sonni e fa emergere
tutti i vizi degli italiani dell’epoca.

È corale il panorama cinematografico di quegli anni, dal cinema d’autore alla commedia italiana
migliore. Diventa stridente il contrasto fra le nuove sensibilità e una cultura ufficiale segnata dal
cattolicesimo più retrivo, impersonato dai sottosegretari dello Spettacolo (Scalfaro).

Tra il 1959-1961 trionfa l’arbitrio più oscurantista, divieti, tagli, sequestri ad alcuni fra i migliori film
ed autori (Fellini, Visconti, Pasolini). Ma la censura colpisce anche il teatro in una stagione di
grande effervescenza con l’affermarsi di Brecht al Piccolo di Milano. La radio conquista il pubblico
giovanile, nel 1965 l’editoria si inoltra nei consumi di massa con gli Oscar Mondadori. Il mercato e
i media entrano in modo prepotente nella costruzione di identità intervenendo su un terreno prima
occupato dallo Stato soltanto.

3. I nuovi fermenti
Nelle fabbriche si assiste ad una fortissima crescita della produttività, dei profitti ma rimangono
anche salari bassissimi, orari pesanti, ritmi di lavoro massacranti, assenza di diritti. Situazione che
si trascina fino al 1963.

I metalmeccanici, settore in grande crescita, si iscrivono in massa alla Fiom-Cgil (1959


duecentomila, 1963 trecento mila iscritti) ma segnali significativi arrivano dalla Fim-Cisl: cresce
impetuosamente e si rimodella sulla spinta di giovani (attratti dal minor tasso ideologico) e dalla
leva nuova di sindacalisti cattolici.

Gli scioperi avranno grande ampiezza e visibilità, si assiste al crescere di un nuovo protagonismo
sindacale che conosce il culmine nel rinnovo dei contratti dei metalmeccanici nel 1962-63. Con
epicentro a Milano, gli scioperi si estendono anche ad altre realtà segnate da un duro controllo
padronale (Piaggio Pontdera). Lo sciopero è compatto quasi ovunque tranne che alla Fiat, ma
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anche li avviene: la reazione dell’azienda è durissima, alla vigilia di un nuovo sciopero la Uil e òa
Sia (sindacato padronale) firmano un accordo separato per chiudere la vertenza. La protesta è
immediata a Piazza Statuto, alla seda della Uil, e presto iniziano le cariche della polizia.

Il ministero dell’Interno e il quotidiano della Fiat lo attribuiscono indebitamene all’azione del PC.
Erano tutti giovani in realtà, tra i 17-25 anni, immigrati.

Da li a poco la fiat sembra riprendere il comando.

Lo Stato, di fronte a questi rivolgimenti, era ancora un sistema arcaico, diviso al proprio interno: vi
era un ‘blocco di potere’, apparati culture e uomini largamente forgiati durante il fascismo, che
vedevano nel ‘centrismo’ l’unica democrazia possibile ed ogni mutamento come minaccia.

La Dc si sta trasformando in regime, ne derivano quindi l a mancanza di senso della lgalit dei
pubblici poteri.

Il PSI nel 1956 denuncia l’invasione sovietica e la politica comunista, ma per gli apparati centristi
dello stato e col dipartimento americani Nenni è ancora social comunista.

Nel 1959 giunge la “congiura Dorotea” che sancisce l’emarginazione di Fanfani, troppo “esposto
a sinistra” e porta Moro ala segreteria della Dc: questi non esclude aperture ma a condizione che
si accetti e rispetti per intera la Dc. Al governo ora c’è Segni, che apre un fascicolo su Fanfani per
conoscerne iniziative e frequentazioni politiche; nel 1960 ha un incontro riservato, nelle vesti di
Ministro dell’interno, con il capo della polizia, segnalando tendenze ad agire autonomamente
quando dovrebbe operare sotto le autorità politiche.

Da Li a poco Segni viene sostituto da Tambroni, dando vita ad un governo monocolore


democristiano con il sostegno del MSI, fedele al fascismo: si ha una svolta populista a destra,
intrisa di sfiducia per il sistema dei partiti.

Deve guadagnarsi alto consenso popolare (ribasso dei prezzi della benzina e di generi di prima
necessità; strali contro parlamento lontano dalla popolazione etc). Viene attuata una scelta di
gestione dell’ordine pubblico.

Nel luglio 1960 a Genova, medaglia d’oro della Resistenza, il MSI organizza frettolosamente un
congresso, con presidenza a Basile, prefetto della città al tempo della RSI. Il deputato ligure (ex
PNF ) Gonella allarma sull’esplosione di un proletariato urbano per le disagiate condizioni
economiche e il segretario del MSI chiede invano al presidente del consiglio di vietare il
congresso per motivo di ordine pubblico. A Genova scoppia uno sciopero generale, con cariche
della polizia e scontri. Mobilitazioni che presto dilagano in tutta Italia, a Reggio Emilia vi è lo
scontro più tragico (le forze dell’ordine sparano alla folla, uccidendo 5 civili). Il giorno dopo lo
sciopero generale paralizza l’italia. Il consiglio dei ministri esprime la volontà di portare lo scontro
alle estreme conseguenze, nonostante la Dc abbia espresso volontà di porre fine: ben lungi dal
rassegnare le diissioni, Tambroni evoca il pericolo di vuoto di potere, ma deve cedere e si dimette.

I fautori della “democrazia mutilata” hanno come riferimento le parti oltranzista del governo, e
hanno la tentazione di agire in proprio. Era decisivo riorientare in senso democratico l’insieme
delle istituzioni ma così non fu.

I protagonisti delle manifestazioni di piazza erano per lo più giovani, che si batterono per la libertà
minacciata, da riconquistare: nuovi protagonismi giovanili si volgevano a sinistra, per opporsi allo
scenario dominante.

4. Il riformismo dimezzato
Con la caduta di Tambroni prende vita un governo monocolore del democristiano Fanfani
(appoggiato da PRI, PSDI, PLI ma senza monarchici e socialisti). Aldo Moro inizia parlare di
un’incubazione del centrosinistra, nonostante la forte presenza della Dc più conservatrice (da
Scelba, Andreotti, Pella).

L’elezione di JFK fu fondamentale per il centrosinistra anche se l’addetto militare americano


Walters ipotizza un intervento americano in caso di ingresso dei socialisti nel governo italiano.

Nel Vaticano l’opposizione alle giunte del centrosinistra è guidata da ultraconservaotri. Viene
ribadito il diritto-dovere della Chiesa a intervenire in ambito temporale.

Tra il 1963-63 si profila una congiunta economica negativa.

Nel febbraio 1962 prende vita il primo governo di centrosinistra “di programma” guidato da
Fanfani, senza però i socialisti. Le spinte in direzione opposta riprendono vigore dopo le elezioni
politiche del 1963 che vedono un’atrretramento della Dc e una lieve flessione del pSI. La
ricostituzione del centrosinistra avverrà dopo un altro governo monocolore Dc guidato da Leone,
e scontando la nascita del PSIUP: nasce il governo Moro, che per la prima volta comprende
anche i socialisti. Terminerà nell’estate 1964.

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Emergono però sincere ansie riformatrici nella Dc tra il 1961-63. Il ministro del Bilancio Ugo la
malfa annota in una relazione che gli squilibri tradizionali si stavano aggravando ed era necessaria
una programmazione economica di urgenza.

Aldo Moro al congresso della Dc nel 1962 presenta il centrosinistra come scelta obbligata ma con
il pessimismo di fondo, il privilegiamento della mediazione e la vocazione a stemperare i conflitti il
modello si configura contrario a quello necessario e avrà conseguenze anche il contrappeso
messo da Moro: insediare come presidente della repubblica Segni.

Il centrosinistra però assecondò i processi di modernizzazione sociale e culturale:

- viene ridimensionata la censura, abolita per il teatro ma solo mitigata per il cinema.

- Nel 1962 venne istituita la commissione parlamentare antimafia, che trovò poca attenzione da
parte delle relazioni dei prefetti (che mai nominavano presenze mafiose), ma era fondamentale,
lo dimostra la strage Ciaculli nel 1963 (due auto esplosero provocando la morte di 7 uomini
delle forze dell’ordine).

- Nel 1963 venne dato il diritto alla donna di accedere alla magistratura e ad altre professioni,
anche se nel 1956 era critico anche il loro ingresso nei tribunali per minorenni e nelle corti
d’assise.

- Istituzione di una scuola media unica che estende l’obbligo scolastico a 14 anni, abolendo la
distinzione precedente fra la scuola media e l’avviamento professionale. Le istituzioni non erano
pronte anzi arretrate.

- Viene nazionalizzata l’energia elettrica, proposte ma mai attuate tariffe più basse per le zone
agricole e più depresse. Questa fu approvata come compromesso, venne scelta non dai
socialisti ma dagli oppositori (Carli, governatore della Banca d’Italia): gli indennizzi degli
espropri vennero pagati alle società ex elettriche. La Sade li utilizzò per iniziative fallimentari e
dovette fondersi alla Montecatini che si use a sua volta con la Edison, rimpinguata di indennizzi.

- Venne disatteso il rinnovamento degli enti pubblici, anzi posti ai loro vertici uomini socialisti

- Riforme fiscali erano necessarie per diminuire il divario tra le varie zone del paese e i fenomeni
di evasione. 1962 cedolare d’acconto sui titoli azionari (poi modificata dalla Dc per favorire chi
aveva redditi e mantenere anonimato)

- La riforma urbanistica vene mancata: Sullo proponeva nel 1962 una nazionalizzazione dei
terreni (le persone avrebbero comprato quello che c’era costruito, non il terreno) ma la proposta
venne bocciata prima delle elezioni del 1963 e definitivamente accantonata nel 1964.
All’opposizione della riforma c’erano interessi economici, posizioni politiche, umori popolai
diffusi.

Tra 1963-64 l’offensiva contro il centrosinistra utilizza una congiuntura economica negativa:
aumento dei salari, scaricato dagli imprenditori sui prezzi, vedeva anche la crescente domanda di
beni di consumo, che avevano aggiravo i conti con l’estero e l’inflazione. In più l’esodo di capitali
e evasione del fisco all’estero facevano il resto.

I riformatori più lucidi proponevano di non deprimere gli investimenti e l’occupazione di colpire i
patrimoni e gli interessi speculativi e di compensare il contenimento salariale con riforme reali. Al
contrario Carli e il ministro del Tesoro colombo esigono drastiche misure deflative, che avrebbero
inciso su occupazione e sviluppo ma protetto l’impresa privata.

5. Il “tintinnar di sciabole”
Viene allo scoperto un attacco frontale alle forze riformatrici da parte dei prefetti della Repubblica
che ora prendono partito in modo netto, pur celandosi dietro l’opinione pubblica: molti affermano
la necessità di accantonare le riforme di struttura, la diffidenza nei confronti del PSI e le
preoccupazione degli scioperi. Sin dall’inizio dell’anno si susseguono le esortazioni al governo a
rinunciare a riforme e piani quadriennali e si infittiscono le critiche al PSI: lamentano lo
scadimento dell’autorità dello Stato.

Il 26 giugno 1964 il primo governo Moro è dimesso e il generale De Lorenzo (Comando generale
dell’arma dei carabinieri) lo stesso giorno convoca d’urgenza i comandanti delle tre divisioni
d’arma per dare le disposizioni per il Piano solo (controllo dell’ordine pubblico da parte del corpo
dei carabinieri, con occupazione di prefetture, Rai, istituti civili e miliari, sedi di partiti e l’arresto
degli oppositori).

Il presidente della Repubblica Segni convoca al Quirinale de Lorenzo e il capo di stato maggiore
dell’esercito Rossi e seguono incontri dei vertici della Dc con De Lorenzo: l’ipotesi di un colpo di
stato era ben conosciuta anche dal dipartimento di stato degli Usa e dalla Cia. Il piano verrà
rivelato nel 1967 e sarà oggetto di una commissione parlamentare d’inchiesta del 1969.

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Le relazioni della Dc rivelano che il piano poteva esser una misura difensiva da attuarsi solo in
caso di un’emergenza speciale; le relazioni della sinistra sono di misure volte a colpire le istituzioni
e la Costituzione.

Una recente costruzione afferma che il piano fosse commissionato da Segni, ossessionato dalle
penetrazioni comuniste nel governo, non è credibile la tesi che attesta tutta la colpa a De Lorenzo
in quanto potè contare sul sostegno di gruppi importanti di forze armate ed ebbe interlocutori
autorevoli del mondo politico italiano.

Dopo il fallimento del Piano, de Lorenzo fu promosso a capo di stato maggiore dell’esercito e non
vi furono ne sanzioni ne ripercussioni per gli apparati dello Stato coinvolti. Viene inoltre utilizzato il
segreto di stato per chiudere la questione. Questo ebbe conseguenze: l’impunità veniva a
confortare settori dell’esercito potenzialmente infedeli alla costituzione e confermava loro qualche
sintonia con il potere politico, cui fiducia si incrinava nei cittadini.

Tra il 1962-65 l’impegno di professionalizzazione per i carabinieri fu quello dell’addestramento


antiguerriglia, per combattere il comunismo radicalizzando il conflitto e forgiando soldati
controrivoluzionari. Venne anche creata una struttura clandestina (“nuclei di difesa dello stato”).
Gli umori che fermentavano nell’esercito si collegavano con il movimento neofascista.

6. I nodi irrisolti
Gli “accordi di Villa madama” che danno via al secondo governo Moro sanciscono la fine del
centrosinistra riformatore: il “piano quinquennale di programmazione economica!” Affonda in
consiglio dei ministri e in parlamento. La rinuncia ad orientare lo sviluppo si accompagna
all’incentivazione delle storture sociali. Rimaneva irrisolto lo scatto tra la trasformazione del paese
ed un’amminsitrazione dello Stato arretrata. Il fallimento di un progetto di riforma per il paese
provoco da un lato il ripiegamento conformista, un adeguamento all’esistente che privilegiata la
ricerca dell’utile e del vantaggio individuale e dall’altro insoddisfazioni sociali.

Il modello riformista perse fascino: la politica si mostrava incapace di misurarsi con la modernità.
In assenza di un orientamento complessivo la disunione dell’Italia accelerava la sua corsa verso
egoismi e particolarismi. I guasti dello sviluppo senza guida porteranno ad uno stato
caratterizzato da un mercato senza regole ed una mentalità consumistica che erodono la cultura
cattolica come quella marxista. Prevalgono modelli individuali e familiari e una concezione
egoistica della nazione. Agivano anche il mondo giovanile esposto al consumismo e sollecitazioni
culturali di rinnovamento; i nuovi lavoratori nelle fabbriche. Il mondo comunista viene colto di
sorpresa ma le lacerazioni indotte dal boom delle economie sono meno avvertite in quelle zone
intrise di solidarismo comunista, la futura “terza Italia”.

7. I mutamenti di scenario
Fra il 1964-68 i due governi Moro vedono un processo di svuotamento dei contenuti
programmatici e la sopravvivenza di un’alleanza fine a se stessa. I processi di moralizzazione
erodono le subculture cattoliche e comuniste.

Il PSI inizia a modificare la sua natura: dalla scissione nasce il PSIUP che si unisce ai
socialdemocratici di Saragat, operazione volta a rafforzare il ruolo dei socialisti all’interno del
governo. Conobbero però una sconfitta nel 1968, dove la Dc recupera i voti e il PCI avanza grazie
ai giovani.

L’unifazione socialista è un modello di non governo, volto ad elargire benefici: gli iscritti calano
nelle aree tradizionalmente socialiste mentre aumentano in meridione. Rimane un processo
subalterno, la Dc è alla gestione del potere.

Il PCI invece nel 1964 perde la guida di Togliatti e la speranza di un’evoluzione positiva della
società sovietica (Breznev). Inoltre agisce la ‘crisi del monolitismo’ tra Urss e Cina. Il pCI però
diventa più solido sul piano elettorale anche se vede la sua forza organizzata sindacalista
diminuirsi, così come la flessione della Federazione giovanile. Si rafforzano il peso e il potere però
i funzionari di partito. Non hanno paragoni in Europa.

L’incomprensione di molti aspetti del Boom contribuisce a lasciare il partito privo di proposte
programmatiche, incapace di incidere nelle dinamiche del centrosinistra. I processi culturali nel
frattempo erodono la cultura comunista. Il partito è infatti estraneo al movimento per
l’introduzione del divorzio, stimolato da un progetto di legge nel 1965 da un socialista. alla
compattezza del partito interviene il centralismo democratico con il suo divieto di dissenso. Le
tensioni che riguardano la Dc, la chiesa e gli Usa sono ancora più forti: dall’enciclica di Giovanni
XXXIII Pacem in terris (1963, ultimi giorni della crisi di cuba) che segna un’apertura alla modernità,
sconosciuta fino a quel periodo alla chiesa. Parlava dell’impegno alla pace e il rivolgersi agli
uomini di buona volontà: il papa afferma che la condanna alla dottrina marxista non escludeva il
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confronti e la collaborazione con i movimenti che la richiamavano. Questi temi proseguivano nel
concilio vaticano anche con cardinale Montini, papa Paolo VI, non mancando però di resistenze
della chiesa-istituzione (viene formulata la riforma liturgica con la messa in italiano).

L’arrestarsi del vento innovatore del concilio avveniva in concomitanza con il dissolversi delle
promesse riformatrici del centrosinistra. Si svolgono i giovani dell’Azione cattolica ma si
infittiscono le misure per emarginare le voci meno prudenti.

L’attenzione si sposta sulla polarizzazionfra radicalismo post conciliare e conservatorismo: l’Italia


sta diventando più indifferente al cattolicesimo e questo espandersi e il rimodellarsi della culture
dell’indifferenza e del conformismo è segnato da processi di secolarizzazione. In Humanae Vitae
(1968) di Paolo VI vengono condannate le materie anticoncezionali acceralando l’allontanarsi degli
italiani.

Nel 1963 l’assassini Kennedy seppellisce il sogno della Nuova frontiera e il “mito americano”,
accentuato anche dalle violenze razziste intensificate. La guerra in Vietnam mostra come la lotta
al comunismo per la libertà appaia come guerra sporca. Inoltre il sostegno dato ai colpi di stato
militari in latino America e la messa fuori legge dei comunisti venezuelani sono suggestioni che
segnano gli stessi fermenti cattolici, alimentati anche dall’enciclica di Paolo VI 1967 che condanna
l’insurrezione rivoluzionaria salvo in caso di tirannia evidente. Il mito del Che oscura la dittatura
disumana cubana, la ‘rivoluzione culturale cinese’, mera lotta al potere, viene letta in chiave di
comunismo alternativo al sovietico. C’è anche la guerra arabo-israeliana e il capo di stato dei
colonnelli in Grecia che fanno insorgere nella direzione del PCI preoccupazione.

A quella Grecia guardano i movimenti neofascisti.

8.movimenti giovanili e studenteschi


Sono forti e contrastanti le suggestioni e le tensioni che vengono dallo scenario internazionale e
assume al tempo stesso ritmi tumultuosi una circolazione culturale sin li inedita. Nel 1963 la
Feltrinelli pubblica “rivoluzione sessuale” di Reich. Illibertà del mondo contemporaneo e tenace
permanere di ingiustizie sociali arcaiche: le radici del 1968 stanno tutte qui. Nel 1967 si svolge un
convengo sulla dialettica della liberazione nella società opulenta dove partecipano molti
intellettuali, hippy, studenti e militanti della sinistra radicale. nel 1967 il film ‘Fahrenheit 451’ di
Truffaut mostra il presagio/incubo di una società tecnologica priva di libertà; dalle manifestazioni
pacifiste degli Usa arrivano le canzoni di Bob Dylan; Guccini canta ‘Dio è morto’ e critica una
politica che è solo far carriera. Molte cose si mescolano e si sovrappongono:dal crescere di
pensioni ideali ad un anticonformismo istintivo, reazione quasi obbligata ad arcaismi ed ipocrisie,
sino al puro diffondersi di questo nuovo filone.

Questi giovani “capelloni” sono vivamente esecrati da un coro conservatore, espresso anche da
giornali come Il Corriere della Sera, che condanna ad esempio le manifestazioni contro la guerra
in Vietnam e il servizio militare. Ma l’italiano medio, che sulle prime si sente offeso, se riflette
capisce di non aver fatto nulla a suo tempo per contrastare i soprusi dello Stato. Le inquietudini e
le aspirazioni di quella generazioni stanno ormai invadendo i livelli medi e alti dell’istruzione,
scontrandosi con una scuola arretratissima; il periodico giovanile Azione Cattolica definisce lo
studente un sacco vuoto da riempire di nozioni già confezionate’. I periodici scolastici pubblicano
articoli sul rifiuto della guerra, sui drammi del terzo mondo, sulle discriminazioni razziali, le
posizioni delle donne o sui fascismi ancora esistenti. All’università dominano ancora strutture e
culture arcaiche: i professori ordinari onnipotenti sono tutori di saperi spesso obsoleti, in
contrasto con quello che succede negli atenei, con il primo diffondersi di occupazioni che
permettono forme inedite di socialità ma provocano violente campagne di stampa. Si chiedono
più materie complesse e aperte, seminari, un consiglio didattico a cui possano partecipare. Si
aggiungono presto le richieste di diritto allo studio, a Milano don Lorenzini in ‘lettera ad una
professoressa’ denuncia una selezione scolastica che colpisce sopratutto le classi meno abbienti.

Il ministro degli interni Taviani nel 1966 con una circolare riservatissima, pone le premesse
definitive per la radicalizzazione delle agitazioni: le forze dell’ordine, che prima intervenivano su
richiesta del rettore, dovranno intervenire sempre. Le agitazioni venivano messe fuori legge.

Fra il novembre 1967 e i primi mesi del 1968 le agitazioni diventano mobilitazioni ampie che
coinvolgono la maggior parte degli atenei, iniziando dalla Cattolica di Milano. Si scoprono nuove
modalità dell’agire collettivo, con l’affermazione di una democrazia dal basso scandita della
centralità dell’assemblea e dal rifiuto di una delega. Un referendum ratifica l’adesione di larga
parte degli studenti alle agitazioni ma gli sgomberi della polizia si succedono, accompagnati da
quasi 500 denunce. Processi fecondi sono aperti anche nel campo della medicina: il movimento
avvia indagini sulla nocività nelle fabbriche e nei quartieri, insistendo sulle cause sociali della
malattia e sulla centralità della prevenzione.

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Processi fecondi sono aperti in campo medico: il movimento avvia indagini sulla nocività delle
fabbriche e nei quartieri, insistendo sulle cause sociali della malattia e sulla centralità della
prevenzione. Nelle piattaforme contrattuali crescono le rivendicazioni riguardanti l’ambiente di
lavoro, viene abolita l’indennità di nocività nel contratto dei chimici e spingono limiti alla
concentrazione di sostanze dannose. Nel 1968 si scoprono ospedali psichiatrici e Basaglia en
denuncia i metodi disumani di cura e le torture. Le agitazioni studentesche passano dalla non
violenza al lancio di bottiglie molotov (Roma). Fu sepolta così l’utopia di un rinnovamento della
politica basato sulla democrazia dal basso e questo rinvia ad un altro aspetto: la cecità del
movimento studentesco di fronte ai drammi del socialismo reale riproposti dall’invasione sovietica
della Cecoslovacchia. Non furono vere mobilitazioni contro l’invasione. Lo stesso PC passa
rapidamente dal grave dissenso nei confronti dell’invasione alla piena accettazione della
normalizzazione sovietica. Il 1968 portò a galla le trasgressioni per le regole formali dell’Italia
arcaica, che dovevano portare alla costituzione di nuove regole necessarie, che non vi furono. In
quesi mesi differenti umori e pulsioni convissero e parvero quasi fondersi: anticonformismo e
impegno politico, laicizzazione e solidarismo sociale, insofferenza per arretratezze anacronistiche
ed aspirazioni a profondi rivolgimenti. L’apparente coralità da li a poco si dissolve ma da impulso
alla modernizzazione e alla sensibilità sociale. In Italia mancò però una risposta politica e delle
istituzioni.

9. Le ragioni degli operai


La breve crisi del 1964-65 annullò le conquiste operaie del biennio precedente: rinnovata forbice
tra profitti e salari, mancato rispetto dei contratti, licenziamenti. Eppure la produttività cresceva a
ritmi poco inferiori di quelli del ‘miracolo’.

Le ristrutturazioni aziendali sono basate sullo sfruttamento intensivo del lavoro in tempi e
condizioni disumane, provocando un’allarmante ascesa delle malattie nervose nelle fabbriche.
Comprensibile è il superamento della antiche divisioni sindacali, sopratutto fra i metalmeccanici
della Fiom-CGIL e la Fim-Cisl. Alla Fiat ancora gli scioperi sono molti esigui, le rappresaglie
padronali continuano a falcidiare le organizzazioni sindacali. Alle rappresaglie aziendali si unisce
un intervento delle forze dell’ordine. A Milano la partecipazione agli scioperi è molto alta ma alla
fine l’accordo nazionale è debuttante era i lavoratori inizia a serpeggiare anche al critica al
sindacato con diffuse spinte ad un impegno autonomo più radicale.

Nel 1968 si assiste ad un “salto di qualità”: aumentano scioperante e ore di sciopero, nello stesso
periodo si raggiunge il massimo storico sia nell’occupazione industriale che pe rio peso delle
grandi aziende. Nella primavera del 1968 c’è uno sciopero alla Fiat e preso i conflitti dilagano al
“Veneto bianco”. Dappertutto i sindacati vengono scavalcati dagli scioperanti. Fra le richieste
c’erano aumenti salariali consistenti ed uguali per tutti, riduzione d’orario, parità normativa fra
operai e impiegati, diritto di assemblea in fabbrica. I sindacati fanno nascere una nuova forma di
rappresentanza: il delegato di reparto eletto direttamente dagli operai.

Nella primavera-estate 1969 alla Fiat, dopo la firma di un deludente contratto aziendale, per
iniziativa Extra sindacale prendono avvio scioperi settoriali di varia durata. Prende corpo
un’assemblea operai-studenti che contesta i sindacati e indice una manifestazione per il 3 luglio,
in occasione di uno sciopero generale. Il corte, pur dispero dalla polizia, si formò più volte.

Dopo l’estate riprendono gli scioperi di reparto.

A milano le agitazioni allaPirelli portano alla “serrata” dell’azienda e alla risposta operaia con
ripetuti assedi ala sede della direzione. Inizia l’autunno caldo, e vengono coinvolte anche piccole
fabbriche in tutto il nord. L’allarme viene anche da province poco coinvolte dalle agitazioni.
Nell’autunno caldo i toni si inaspriscono ulteriormente per la deprecazione del ‘vuoto politico’ che
ha favorito i ‘fermenti dell’estremismo e della negazione totale’. Viene così delineata un’arroccarsi
a edestra di significativi apparati dello Stato.

10. Dalla speranza alla tragedia


Lo sciopero generale per la casa del 19 novembre 1969 dura due mesi. Il comune di Bologna
delibera esenzioni per trasporti e bollette in favore degli scioperanti, seguito da Genova e Torino.

Lo sciopero avviene nella calma quasi ovunque: a Milano il comizio si svolge al Teatro Lirico, al
chiuso per non dare esca ad incidenti. In quei pressi giunge un corteo dell’unione marxista-
leninista tallonato da un reparto di polizia. Una decisione dei dirigenti porta il prato a contatto con
i lavoratori uscenti dal teatro: una camionetta investe uno di essi provocando una violenta
reazione che scatena quella della polizia. Tragicamente, un agente di polizia, Annarumma, rimane
ucciso. Il presidente della repubblica Saragat parla di “barbario assassinio”. Nella notte esplode

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una protesta nella caserma di polizia di piazza Sant’Ambrogio, con il tentativo di uscire per
dirigersi all’università per vendicare Annarumma. Il MSI è subito in piazza.

Il variegato estremismo neofascista trova connivenze negli apparati dello Stato. È fascista la
bomba che esplode il 25 aprile alla fiera di Milano, come suggerisce la data ed attentati a lapidi
partigiane, e nei giorni precedenti vengono colpite le sede del PCI e circoli di sinistra. Ma la
questura esclude che le bombe del 25 aprile siano opera di gruppi neofascisti, le attribuisce alla
protesta di estrema sinistra, così come le bombe che scoppiarono su sette treni italiani
nell’agosto 1969 erano opera di gruppi anarchici. Anche qui in realtà erano a mano di gruppi
neofascisti veneti.

Alle elezioni del 1968 il MSI subisce un’altra sconfitta e il suo leader Michelini scompare nel 1969,
viene sostituito da Almirante.

Il problema viene considerato con attenzione dal dibattito interno al PCI a fine 1968, Berlinguer
osserva l’accrescersi di elementi pericolosi.

La radicalizzazione avviene ma all’inizio di dicembre l’accordo con le aziende metalmeccaniche


pubbliche da i primi segnali di distensione. Stanno cadendo le resistenze che hanno impedito fino
ad allora l’approvazione dello statuto dei diritti dei lavoratori, che tutela generalmente la dignità
dei dipendenti.

Il 12 dicembre però scoppia una bomba alla Banca dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano,
provocando 17 morti, perlopiù agricoltori. Strage senza precedenti. Altre bombe scoppiano a
roma alla Banca Nazionale del Lavoro e al monumento del Milite ignoto.

III. Fra tragedie e speranze, culture del passato e declino dell“età dell’oro”
1. Le lacerazioni e i paradossi degli anni settanta
La strage di piazza Fontana annuncia gli anni settanta; centinaia di persone perderanno la vita ai
seguito a stragi, atti terroristici, vittime di squadrismo neofascista o terrorismo di sinistra (“anni di
piombo”). Sullo sfondo vi è una gestione estrema dell’ordine pubblico, le culture del passato
propongo tentazioni autoritarie fuori stagione e strategie rivoluzionarie arcaiche. Negli stessi anni
sono prepotenti le istanze di rinnovamento e realizzazione della costituzione (dalle regioni al
referendum, all’abolizione di norme ereditate dal fascismo), con l’introduzione del servizio civile
all’abbassamento a 18 anni del diritto di voto, la legge sl divorzio, sul diritto di famiglia, sull’aborto
regolamentizzato, dalla riforma sanitaria a quelle delle carceri e ospedali psichiatrici. La politica
però è incapace di riformare se stessa e non vede la fine dell’età dell’oro, sancita dalla crisi del
1973.

L’italia, che per la sua arretratezza aveva fatto risaltare con maggior forza il “miracolo” viveva più
drammaticamente la crisi. Declinava anche il fordismo italiano. Il decennio del “panpoliticsmo” si
concluderà con un “rifiuto della politica”, crescono la spesa e i ldbeitg pubblico, i processi di
degrado, la corruzione che diventa roma.

L’influenza sindacale conosce il suo culmine: il prolungarsi dei movimenti cresce con i ribellismi
corporativi. Il potere politico però è incapace di proporre disegni universalistici e nasce una
contraddizione: la moltiplicazione degli episodi di malessere tolse unità alle nuove tensioni
collettive, accentuando il carattere particolaristico.

Si profila la crisi economica, dal 1973 la spesa pubblica è pericolosa e porta al 1974 ad una
progressiva crisi delle istituzioni. Ma l’Italia viene valorizzata come capace di resistere alla crisi.

2. Gli anni della “strategia della tensione”

Dopo l’esplosione di Piazza Fontana il prefetto di Milano scrive al ministero dell’Interno che le
indagini si dovevano spostare verso gruppi anarcoidi. Indicazioni analoghe vengono dalla
questura milanese.

Il ministero degli interni il 15 dicembre afferma che le indagini sono rivolte a tutti gli ambienti
estremistici senza discriminazione, ma verranno arrestati 310 elementi di sinistra e solo 57 di
destra.

Anche Saragat, presidente della repubblica, accusa l’estrema sinistra.

Il 16 dicembre viene arrestato l’anarchico Pietro Valpreda e toglie ogni dubbio all’opinione
pubblica.

La notte prima il ferroviere anarchico Pinelli precipita dal quarto piano della questura di Milano: vi
era entrato il 12 e il suo Fermo si era protratto illegalmente. Il questore milanese Guida presenta
Pineli come sucidàca e complice degli attentatori di Piazza Fontana. Già in passato era ritenuto
coinvolto in altri attentati. Tutto falso. Si delinea quindi dall’inizio un intrico di menzogne e
depistaggi che renderà impossibile perseguire i colpevoli, pur venendo accertata in via giudiziaria
la responsabilità di ordine nuovo e dei neofascisti. Ma la campagna di stampa in quei mesi crea
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un clima pesante e un disorientamento verso sinistra. Già ai funerali delle vittime però il paese si
mostra diverso, difendendo gli scioperi. Questa piazza da forza alle prime voci che non accettano
la versione ufficiale: dai togli del movimento studentesco e della sinistra extraparlamentare. Nel
paese si diffonde la convinzione però della colpevolezza degli anarchici e qualche legame fra la
strage e i conflitti sociali di quei mesi.

Inizia così la “strategia della tensione”, volto a spostare a destra opinione pubblica ed asse
politico per favorire ‘governi d’ordine’ se non presidenzialismo autoritari. Lo squadrismo
neofascista in questo clima lancia l’offensiva: le affissioni verso sedi e militanti di sinistra
raggiungono grande intensità. Nell’autunno 1971 la giunta della Lombardia avvia una propria
indagine: nel 1969 c’erano episodi di violenza fascista almeno uno ogni due giorni. La SAM
(Squadre d’azione Mussolini) colpiscono con bombe l’abitazione del procuratore feenrale di
Milano, che aveva incriminato Almirante per la ricostituzione del PNF. Infatti Almirante in quel
periodo chiama allo scontro con i comunisti e vari documenti confermano l’azione paramilitare.

La violenza neofascista si estende in tutta Italia ma a Milano si presenta con maggiore virulenza.
Alcuni rapporti segnalano una sua costante presenza in San Babila con spedizioni continue
contro il movimento studentesco della Statale, che ora aveva un suo servizio d’ordine). Ma alla
fine del 1970 un rapporto sull’ordine pubblico del prefetto ignora questa realtà e descrive una
Milano dominata da estremismo di sinistra organizzato. Il progetto chiede di fatto la messa fuori
legge di questi gruppi extraparlamentari che contrastano l’art49 della Costituzione (libertà di
associazione). Al primo anniversario della strage, 12 dicembre 1970, un caletto lacrimogeno
sparato ad altezza d’uso provoca la morte di uno studente universitario, Saltarelli.

Nel frattempo, esponenti negfasisti guidano la rivolta di Reggio Calabria per diventare capoluogo
di Regione. Questa agitazione raggiunge livelli di violenza altissimi e inizia Nel luglio 1970 per
terminare nel febbraio 1971. La “battaglia del capoluogo” si svolge anche in Abruzzo, Pescara poi
L’Aquila, dove vengono devastate le sedi dei partiti, tra i quali quella del PCI.

Nel 1973 la polizia vieta un comizio del caporione della rivolta, Franco, e del segretario della
federazione milanese del MSI, Servello: i neofascisti tentano comunque di manifestare e una
bomba lanciata da due dimostranti uccide un agente di polizia, Marino.

Nel 1971 viene anche alla Luce il golpe tentato da Junio Valerio Borghese del dicembre
precedente, che segna collegamenti con settori dei servizi segreti e delle forze armate.

L’anno successivo emerge la rete della Rosa dei venti, collegata al Sid, e viene messo fuori legge
Ordine Nuovo.

Lo stesso anno dopo una cerimonia alla questura di Milano dove partecipa il presidente del
consiglio Rumor, una bomba uccide 4 persone. L’attentatore Bertoli, dichiaratosi anarchico, è
legato al neofascismo.

Emergevano anche anomalie delle indagini su piazza fontana e sulla pista nera, indicate da un
libro La strage di Stato del 1970, scritto da ‘militanti della sinistra extraparlamentare’.

Gli italiani avevano l’impressione di essere stati ingannati dallo stato, ma elezioni amministrative
del 1971 e quelle politiche del 1972 segnalano comunque una spinta verso destra, sopratutto nel
Mezzogiorno dove vi era un’avanzata del MSI. Si ritorna ad un governo di centrodestra guidato da
Andreotti, con Leone come presidente della repubblica.

La sinistra è colpita: i più anziani del PCI evocano il 1920-22. Longo propone di agire con
iniziative adeguate, simili a quelle della Resistenza, e parla di un’orgnizzazione scientifico-militare
ma le sue affermazioni sono ‘bilanciate’ dal richiamo alla legalità ma accendono discussioni nei
dirigenti.

In questo clima Berlinguer propone la politica del “compromesso storico”, cui definizione nascerà
nel 1973 dopo il colpo di stato cileno ma la politica, frutto di una riflessione tormentata sulla grave
situazione italiana, nascerà qui. Per Berlinguer è necessaria una collaborazione tra comunisti,
socialisti e cattolici. La linea politica di Berlinguer è ben definita.

La sinistra extraparlamentare inizia a contestare la verità della strage di piazza Fontana e chiama
in causa il questore Guida per la morte di Pinelli. La strage dei neofascisti, coperta dallo stato,
serviva per colpire l’estendersi delle lotte sindacali.

Aver avuto ragione su piazza Fontana toglierà lucidità alla sinistra, alimentando la psicosi di
complotti e colpi di Stato.

Alcuni ristretti gruppi iniziano a pensare ad un’organizzazione clandestina: il Collettivo politico


metropolitano, da cui nasceranno le brigate rosse. Il gruppo rimane isolato, la sinistra
extraparlamentare sii mpegna nelle mobilitazioni sindacali ma presto anche ad impedire comizi
dell’MSI. La campagna elettorale del 1972 si svolge in un clima teso con scontri di piazza: cresce
la militarizzazione dei servizi d’ordine e delle organizzazioni extraparlamentari. Vengono registrati
episodi gravi: viene appiccato un incendio all’abitazione di un dirigente periferico del MSI di
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Roma; nel 1972 inizia ad agire apertamente il terrorismo, con il sequestro i un dirigente della Sit-
Siemens (viene fotografato con una pistola alla tempia e in mano lo slogan delle Brigate Rosse).
Nei pressi di Milano viene ritrovato Giangiacomo Feltrinelli, dilaniato dal tritolo che stava
collocando (aveva organizzato i primi nuclei clandestini, i GAP, gruppi azione partigiana). Il
commissario Calabresi viene ucciso a colpi di pistola fuori da casa; 16 ann idopo un pentito
porterà all’incriminazione di tre esponenti di Lotta Continua.

3. La “conflittualità permanente” …
Nel frattempo di protraevano i conflitti sindacali, inaspriti dalla convinzione che il padronato
avesse scelto al “linea dura”: dilagarono scioperi di reparto, un rallentamento della produzione e
aumentò l’assenteismo, favorito dalle tutele dello Statuto del lavoratori.

Le ore di sciopero rimangono molto alte. Le conquiste dell’autunno caldo comportano un


aumento del 20% del costo del lavoro e la compressione dei argini di profitto. Alla Fiat si
moltiplicano gli scioperi mossi da gruppi extraparlamentari accompagnati però dall’intransigenza
aziendale. Da qui l’inasprirsi di cortei interni che danno anche i primi segni di stnchezza. La
democrazia dal basso inizia a trasformarsi in sopraffazione entra l’assenteismo passa dal 7% nel
primo 1970 al 15% nel 1972.

Gli interventi delle forze dell’ordine provano reazioni violente. Segnali ancora più forti vengono
dalla realtà milanese, dove il sindacato fa proprie le forme di lotta più radicali: scioperi “selvaggi”,
autoriduzione del rendimento, blocco delle merci. La resistenza padronale diventa più dura: qui i
primi insuccessi degli scioperi e l’aggiornare di divisioni fra i lavoratori (Siemens). Iniziano le acini
contro capi e dirigenti dei primi nuclei di fabbrica delle Brigate Rosse.

Il contratto dei metalmeccanici del 1972-73 segna un punto di arrivo e inizio di un declino: si
moltiplicano gl interventi della polizia così come forme più aspre di sciopero, blocchi stradali. La
Fiat viene occupata e ciò provoca licenziamenti antisindacali. L’azienda chiede l’intervento della
magistratura mentre il cardinale Pellegrino porta la propria solidarietà al presidio sindacale perchè
“la chiesa non può essere assente quando gli uomini si battono per essere trattati da uomini”. È
un momento simbolo per la solidarietà con il movimento operaio, cresciuta ma ora incrinata.

4. … e l’onda anomala dei sommovimenti


sull’onda delle mobilitazioni studentesche e operai fu forte l’illusione di una tendenza unificatrice
dei sommovimenti attorno a valori egualitari e solidaristici. Segnali diversi vengono da Reggio
Calabria, Aquila, Pescara, Battipaglia, Melfi, Fondi, Castellammare e Casertano. Sullo sfondo vi è
la divaricazione fra le differenti parti del paese e l’appannarsi della programmazione economica,
che lascia campo ad un intreccio crescente di clientelismo e assistenzialismo e a pulsioni
particolaristiche. L’avanzare del movimento operaio del nord accrebbe le divaricazioni, il
mezzogiorno si sente andare indietro: cresce il malcontento e con questo la tensione sociale. A
Reggio Calabria la mobilitazione prende il via il 5luglio 1970 con un “rapporto della città” del
sindaco dc Battaglia che evoca i precedenti moti Battipaglia (1969). La rivolta di Reggio però è
unica per durata, ampiezza, radicali. Alla rimozione delle barricate seguono subito la loro
ricostruzione, alcuni quartieri popolari si proclamano repubbliche o granducati. Si afferma una
“rabbia antipolitica” (vengono impiccati i politici traditori alla Madonna). Si arriva anche
all’”antipoltiica dei politici” (Battaglia esorta a combattere per i diritti di Reggio). La politica ormai
è degenerata in clientelismi, lo dimostra il numero altissimo di dipendenti della pubblica
amministrazione di Reggio.

In Abruzzo gli scontri iniziano a Pescara ed hanno il loro culmine all’Aquila nel 1971: ultima
scintilla fu l’inganno dei politici. Violenza collettiva sai sposta nel sud negli anni successivi, fino ad
Eboli nel 1974. La “democrazia dei partiti” è stata incapace di intercettare ed orientare le ansie e
le domande di una grande trasformazione.

Si assiste ad un nuovo protagonismo dei ceti medi, portatori di una “laicizzazione consumistica”
alla rincorsa di nuove forme di prestigio e di”difesa dello Stato”. Condividono con gli studenti
l’insofferenza per l’arretratezza italiana. Si sento messi in discussione dalla prepotente ondata di
conquiste opere. Più disponibili a riconoscere il buon diritto ma decisi comunque a ristabilire
distanze e gerarchie. Di qui un corporativismo osconglittuale di tipo nuovo con connotati moderni
ma sempre incurante di preoccupazioni generali.

Il vecchio sindacalismo autonomo inizia a deperire e quello confederale acquista forza ma non
muta la natura delle fiammate rivendicative che iniziano alla fine del 1969 e trovano spinta nel
1972-72 con il governo centrodestra di Andreotti.

Questo nuovo centrodestra ricerca consensi elettorali con una “politica delle mance” (aumenti ai
superburocrati, contratto degli statali generosi e chiuso in fretta, pensionamento anticipato).

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Da qui il termine “giungla retributiva”.

L’inflazione accelera e a sua volta la rincorsa agli aumenti.

Fra i docenti più giovani agisce l’influenza del movimento studentesco: di qui battaglie minoritarie
per rinnovare contenuti e metodi della didattica, per promuovere la modernizzazione culturale e
modificare il profilo dell’insegnante medio del decennio precedente. Si afferma la CGIL - scuola,
ha pochi iscritti ancora per scalfire conservatorismi radicati.

La protesta unisce tutte le generazioni dei docenti e chiedono: svuotamento dell’esame, lavori di
gruppo decisione collettiva di contenuti e metodi. Queste rivendicazioni non rimuovo il nodo sullo
sfondo: la necessità di ricostruire dalle fondamenta il sistema educativo nell’epoca della
scolarizzazione di massa, alla quale hanno favorito i decreti delegati del 1974, aboliscono un
disciplinamento discriminatorio, pongono fine ad una scuola centralissima dominata dal Ministero
della pubblica istruzione, che controllava presidi e indirettamente gli insegnanti.

L’assenza di un ripensamento generale lascia i docenti risolti e favorisce un’impreparazione.

Inquietudini attraversano anche le ‘corporazioni’ come quella dei giornalisti, rappresentata da due
utraconservatori alla fine degli anni 60 (Missiroli e Gonella). Lascia segni la “battaglia di verità” su
piazza Fontana che mette in discussione un’informazione basata sulle fonti ufficiali. Rivoluzione è
l’avvento di Ottone alla dirigenza del corriere che dichiara di voler ricostruire un giornale credibile.
Alla magistratura arrivano i giovanissimi che si impegnano nell’adeguamento delle leggi alla
Costituzione e nel far rispettare le norme in materia di lavoro, ambiente e tutela dei deboli.

Nasce il sindacato di polizia: sfidando sanzioni e interrogandosi su cosa significhi ‘servire lo stato’

5, la fine dell’”età dell’oro”


Alla fine del 1973, dopo la quarta guerra araboisraeliana, i paesi produttori di petrolio decidono di
quadruplicarne il prezzo. Nel 1979 un secondo aumento lo farà triplicare ancora. l’Italia stava
alimentando la ripresa produttiva con meccanismi inflazionistici: la qui shock più grave che
altrove. La crisi internazionale era aggravata anche dalla fine del sistema monetario di Bretton
Woords del 1944. L’inversione di tendenza coinvolge gli orizzonti mentali: nell’estate 1969, con la
conquista della luna si pensava a potenzialità illimitate dello sviluppo. Ma quattro anni dopo lo
shock petrolifero mette in ginocchio l’occidente e segna la scarsità crescente di una risorsa non
riproducibile. Le stesse misure adottate enfatizzano quel nodo: chiusure anticipate di uffici e
negozi, programmi televisivi, spettacoli teatrali e cinematografici, limiti posti all’illuminazione
pubblica. L’aumento del presso della benzina innesca la paura di altri rincari. Tuttavia il divieto alle
automobili nei giorni festivi alimenta le prime “feste ecologiche”.

Gli anni settanta sono caratterizzate da un mutamento globale e al tempo stesso ricadute
immediate, amplificate in Italia: la crisi impone a tuti i paesi sviluppati un “canovaccio del
dramma” ma nel suo svolgersi risaltano appieno l’impreparzione del ceto dirigente italiano,
incapace di costringere le domande sociali all’interno delle risorse disponibili. Debito pubblico e
inflazione crebbero: nel 1970 l’emissione dei buoni del Tesoro copriva l’8% del debito, nel 1980
era al 34%. L’inflazione al 1975 si attesta attorno al 25%, intollerabile.

Ad aggravare fu il permanere di un sistema tributario inadeguato, dal 1960 al 1980 la spesa dello
stato pass dal 31% al 62%. Al tempo stesso un’evasione fiscale si accompagna ad una rinnovata
fuga di capitali all’estero.

6. Crisi economica e crisi politica


In questa situazione vi erano debolezza economiche reali che debolezze nel sistema politico, che
necessitava di un profondo cambiamento, già Moro lo disse nel novembre 1968 (“è diffusa la
sensazione che storture..condizione di insufficiente dignità e potere non siano più tollerabili” nel
1971 “noi come Dc siamo vittime del prevalere dentro di noi delle nostre meschinità, mediocrità e
debolezze”) mentre il segretario del PCI Longo sottolinea all’inizio del 1970 il bisogno delle masse
di partecipare. Sono riflessioni lasciate presto cadere. Nei primi anni settanta le scelte politiche
sono strumentali e di corto respiro. Si susseguono tra il 1970-74 ben sette governi (cinque di
centrosinistra e due di centrodestra): una cornice istituzionale fragile e destinata ad accelerare il
deterioramento. Alcune vicende concrete furono l’istituzioni delle Regioni (1970) che avrebbero
dovuto contrastare i limit e i guasti del centralismo italiano. Le istanze di una maggiore
partecipazione trovano negli statuti regionali echi ridondanti ma spazi di autonomia sottoposti al
centralismo partitico. L’istituzione dei nuovi organismi gratifica il ceto politico marginale ma ne
accentua la dipendenza da Roma. Aumentano le competenze istituzionali di un personale politico
sempre più numeroso. La spesa pubblica esplode a livello locale ma è garantita dalla copertura
dello stato, una spesa irresponsabili. Le vicende di corruzione vedranno le loro radici negli enti
regionali e nella sanità pubblica. Sanità ce conosce riforme, da quella ospedaliera del 1968 a
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quella generale del 1978: questa nasce per porre fine alle ingiustizie della mutua e agli sprechi. Si
profila avanzata rispetto ad altri paesi ma non impedisce storture. vi contribuisce la spartizione
delle undicimila carichi di nomina politica che prevede. Si aggiunga il generale degenerare dell
partecipazione nelle vicende di comunità montane, comprensori, circoscrizioni e le occasioni di
consigli di amministrazione, enti, banche, patronati.

La Rai nel 1975 abolisce il controllo governativo, sostituendolo con quello del parlamento.

Altre leggi incontreranno resistenze quando presuppongono modifiche di strutture e culture (legge
carcerarie del 1975, legge “Basaglia” 1978 per accertamenti sanitari, che avrà conseguenze per la
resa mutila dal mancato operare degli strumenti).

Nel 1969 viene varata la riforma sulle pensioni che avrebbe dovuto porre rimedio alle
sperequazioni e a condizioni di vera povertà (agli inizi del 1968 ci fu un accordo fra il Governo
Moro e i sindacati che fu contestato dai direttivi provinciali della cgil che spingono
l’organizzazione a rifiutarlo e ad indurre uno sciopero generale cui aderirono anche settori della
cisl. Si conclude con la riforma del 1969). Questa introduce la pensione sociale per gli anziani
sprovvisti di reddito ed abbandona il criterio contributivo per quelle retributivo basato sulle ultime
retribuzioni percepite. Un criterio generoso ma intollerabile quando avvenne la crisi economica, il
crollo della natalità e la crescita dell’attesa di vita.

Sullo sfondo c’era la convinzione che l’età dell’oro fosse destinata all’infinito e sulla condizione
che il deficit sarebbe stato riassorbito, errore comprensibile ma le resistenze per porvi rimedio
rinviano all’assenza di una cultura riformatrice e a un modo di intendere i diritti acquisiti che non
vogliono misurarsi con il cambio d’epoca.

Il declinare dei fattori di crescita tende ad essere compensato da una spesa pubblica sempre
meno programmata, frutto di pressioni corporative, localistiche e clientelari (crescita dei
dipendenti pubblici ne è la prova). Si delinea negli anni settanta una dilatazione prima di controlli
degli investimenti dello stato con la crescente irrilevanza del mercato, la predominanza delle
pressioni dei partiti e il moltiplicarsi degli interventi di ‘salvataggio’. (la Gepi 1971 doveva
difendere l’occupazione delle imprese in difficoltà, dovrebbe difendere la politica precedente del
“denaro al vento” ma commette gli stessi errori: vengono forniti mezzi finanziari alle imprese e
ampliata la durata della cassa integrazione, favorendo accordi tra imprenditori e sindacati. L’Egam
di Enaudi sorge come ente minerario nel 1968 ma operativo solo dal 1971: in pochissimi anni
rileva più di cento società ‘decotte’ e avvia la costruzione di uno stabilimento siderurgico in Sicilia
con un passivo enorme). In generale le operazioni di salvataggio assorbono il 50% delle
agevolazioni finanziarie mentre l’autofinanziamento scende sotto il 50%. Alla fine degli anni
settanta sarà al 19%. Lo stato concede molti crediti agevolati. Cresce la “razza padrona” dei
manager di Stato (Cefis, presidente della Montedison) che poggia la sua strategia su chimica ed
acciaio, il fallimento di entrambi ne decreta un ridimensionamento e viene sostituito da Sindona,
capace di ottenere coperture ad alto livello e di contraccambiare soddisfacendo esigenze di
cassa della classe politica.

Nel 1977 però tutti i bilanci chiudono in rosso.

Alla crisi dei settori corrisponde quelli dei modelli aziendali adottati basati sulla grande fabbrica.

Si modifica il mondo del lavoro, stretto tra crisi economica e conflitti sindacali: diminuiranno gli
operatori di fabbrica.

Cresce il peso delle imprese più piccole, perché libera dallo Statuto dei lavoratori, minor costo e
più ampia possibilità di evadere oneri sociali ed imposte. Si profila la “terza Italia” in centro e nord
oriente del paese, più flessibile e tendente ad organizzarsi in sistemi locali (“distretti”).

Insieme alla piccola impresa si diffondono anche molteplici forme di lavoro a domicilio e lavoro in
nero. “L’economia sommersa” porta una rinuncia dei diritti riconosciuti in cambio di vantaggi
materiali: si delinea una nuova dinamica dei consumi che oltre ai beni necessari della famiglia si
indirizzano verso consumi connessi alle nuove forme di ricchezza. Questo “decentramento
selvaggio” è reazione allo scadimento della politica: una società che non si sente governata
finisce per esprimere al proprio interno una dislocazione selvaggia e conflittuale dei poteri.

Nel 1972 al MOMA viene esposta una mostra sul design italiano. Dallo stesso anno gli stilisti
spostano da Firenze a Milano le loro collezioni pret-a-porter, nasce la Milano capitale della moda.
Le propensioni e le aspirazioni di un ampio universo sociale (manifestazioni) trova inadeguati i
tradizionali capi confezionati e vede nel pret-a-porter d’autore una risposta convincente.

Nuove forme di comunicazione pubblicitaria.

Negli anni settanta nasce un anticonformismo non ‘obbligato’ all’impegno politico, una laicità
spogliata dalle ideologie.

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7. Il crinale del 1974


Nel 1974 inizia a declinare la “strategia della tensione” cui contribuiscono anche la strage di
Brescia, maggio 1974, contro una manifestazione sindacale (condannati due esponenti di Ordine
Nuovo e un informatore dei Servizi) e l’attentato al treno Italicus di agosto. Si scoprono anche i
campi militari neofasciste e intraprese iniziative contro i vertici dello Stato compromessi con
l’eversione di destra. Sia nel PCI che nella DC si avverte un clima di tensione, quasi guerra civile:
Andreotti, allora ministro della difesa, in settembre destina ad altro incarico il capo del SID, Miceli,
e scioglie l’Ufficio Affari diretto da D’Amato, su cui gravavano ombre. L’allora giudice di Torino,
Violante, è protagonista di indagini che riguardano il “golpe bianco” di Sogno, in stretto rapporto
con alte gerarchie militari. Andreotti trasmette alla magistratura una nota dei servizi sulle trame
eversive, dal golpe del 1970 di Borghese a questo. Seguono avvisi di reato ed arresti.

Siamo alle ultimi convulsioni dell’eversione di destra, iniziano gli “anni di piombo”, annunciati ad
aprile dal rapimento del giudice Sossi dalle Brigate Rosse. Poco dopo le Brigate Rosse entrano in
difficoltà, con l’arresto di alcuni leader importanti e la scoperta della base. Il clima di tensione
evocato, aggiunto alla crisi economica, alimenta la sopravvivenza di gruppi terroristici: Milano si
sta muovendo verso la lotta armata, dopo la chiusura di molte piccole fabbriche, a roma il
quartiere di San Basilio ricorda il terzo mondo. Nel 1974 un intervento della polizia provoca la
violenta risposta di centinaia di occupanti, cui si uniscono i “servizi d’ordine” di alcuni gruppi
extraparlamentari: rimane ucciso un diciannovenne simpatizzante delle Brigate rosse. Sullo
sfondo di questo clima di tensione c’è la lotta di popolo irlandese e altre guerriglie più lontane, lo
spettro del colpo cileno e ideologie rivoluzionarie defunte: elementi fondanti di piccoli collettivi,
come Autonomia operaia e militanti che nel 1975 escono da Loa continua per contribuire alla
nascita di Prima linea. Ma permangono movimenti di collettivi: a Brescia, come risposta alla
strage, la piazza della Loggia viene presidiata da migliaia di operai che sostituiscono la polizia, e
al funerale, cui partecipano il presidente della repubblica e il capo del governo, la sicurezza è
garantita da un servizio d’ordine operaio. I più alti vertici dello Stato vengono fischiati da una
piazza enorme: crisi politica.

In quei mesi iniziano le indagini sui “fondi neri” della Montedison: una grande quantità di miliardi
versati ai partiti governativi e alla destra dagli Anni 50 in poi, un’indagine genovese sull’Unione dei
petrolieri mette in luce il versamento di tangenti a DC, PSI, PSDI, PRI in base alla percentuale
rigida del 5% e precise ripartizioni interne. La Montedison di Cefis inoltre controllava direttamente
il Messaggero, interviene nella Gazzetta del Popolo e punta al Corriere ma al tramontare di Cefis
subentra la loggia P2 di Gelli, che punta ad una politica di “penetrazione nel sistema” (piuttosto
che una politica d’ordine e restaurazione all’ombra dei militari) con l’acquisizione di stampa,
magistratura, pubblica amministrazione, mondo finanziario ed esercito. Questo piano di rinascita
rimarrà sulla carta.

Nel frattempo si riprende e rafforza la mafia nell’Italia meridionale estendendosi all’Italia


settentrionale, allargando la propria attività ai sequestri di persone al commercio della droga. Nel
1976 il presidente della Commissione antimafia Carraro considerava il fenomeno in via di
scomparsa mentre apparivano fondate le critiche del PCI: dalla seconda metà degli Anni settanta
le mafie sono diventate protagoniste della storia italiana.

Nel 1974 viene varata una legge che istituiva il finanziamento pubblico dei partiti; questa non
prevedeva necessari controlli ed appariva lontana dalla strategia delle mani pulite necessitata.

“La classe politica non era quella corrotta, ma attorno alla quale si aggirava una corte di
maneggioni che discredita l’intero sistema”, si difende, non limpidamente, il ministro dell’industria
DC De Mita. Il finanziamento pubblico si sarebbe aggiunto a quello occulto: la ‘corte dei
maneggioni’ sarebbe ancora più dentro le istituzioni. Il Parlamento però approvò rapidamente la
legge con il contrario dei liberali e l’astensione della sinistra indipendente: il PCI era favorevole in
quanto il finanziamento pubblico avrebbe potuto garantire economia internazionale (da quella
sovietica) e anche da condizionamenti interni, frenando i processi di corruzione che iniziavano a
coinvolgere seppur marginalmente il PCI.

Nel 1974 venne tenuto il referendum sul divorzio (chiesto nel 1971 dai cittadini per abrogare la
legge Fortuna-Basini del 1970): la percentuale dei votanti sfiora l’88%, la conferma è voluta dal
59,3% di essi. Il pontefice e vasti settori del cattolicesimo tradizionale che insieme al MSI di
Almirante e la DC di Fanfani si appellavano ad un’Italia poco prevalente. Per entrambi i partiti
erano preoccupanti altri temi (pornografia, omosessualità, droga) e l’anticomunismo ritornava. Nei
comizi di Fanfani veniva evocata una famiglia italiana pessimistica, dove le donne sono sciatte e i
mariti vi sono legati solo dalla forza della legge. Affermazioni in contrasto stridente con le
trasformazioni del paese. Il PCI di Berlinguer tenta di evitare il referendum, perchè comporterebbe
un cambio radicale di politica. Lo scontro referendario è visto come danno per quell’incontro
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necessario del compromesso storico: sacrificando la componente socialista, e quindi riducendo il


mondo cattolico della DC nel momento in cui è attraverso da fermenti. È l’impostazione della
‘strategia della tensione’, nata come preoccupazione per evitare contraccolpi reazionari.

All’indomani del referendum la DC è la sconfitta portabandiera di uno schieramento arretrato, e il


PCI si presenta come parte integrante di un’Italia più moderna. Ma per Pasolini la vittoria del
divorzio dimostra come “i ceti medi sono radicalmente .. cambiati: i loro sono valori dell’ideologia
edonistica del consumismo di tipo americano. l’Italia contadina e paleoindustriale è crollata. La
cultura italiana si allontana tanto dal fascismo tradizionale che dal progressismo socialista”.

Nel 1975 viene approvato il diritto di famiglia (parità giuridica fra coniugi, comunione dei beni,
abolito il concetto di seriazione per colpa, obbligo della moglie a seguire il marito e la dote). Nel
frattempo si diffondevano convivenze pre-matrimoniali, fra i giovani, e i matrimoni civili.

Cresceva anche il femminismo, stimolato all’inizio del decennio da fermenti culturali e


mobilitazioni, gruppi di autocoscienza con slogan (il personale è politico). Al centro di questa
rivoluzione copernicana c’era il vissuto femminile, cui sofferenze individuali sono state per anni
segrete e che ora vengono a galla come esperienze comuni. A far irrompere questo movimenti
contribuiscono la campagna per il divorzio e il tema dell’aborto, fortissimo tabù in Italia che non
arrestava le pratiche clandestine e mortali. Queste pratiche sono dovute a codici fascisti,
diseguaglianze di classe, mancanza di educazione sessuale. L’iniziativa femminista accentua la
denuncia alla repressione sessuale e il privilegio maschile, le ipocrisie della medicina e della
morale, la morale della maternità sacralizzàtà e contemporaneamente strumento di esclusione.

La regolamentazione dell’aborto sarà introdotta nel 1978 da una legge e confermata nel 1981 da
un referendum.

Nell’ottobre 1975 un gruppo di giovani romani violenta due ragazze uccidendone una e lasciando
per morta l’altra. Da qui partivano le riflessioni sulla violenza acquistata nelle organizzazioni
giovanili fasciste cui appartenevano, l’arroganza per i soldi e il disprezzo delle donne. Vennero
portati alla luce altri casi di stupro e un orizzonte diffuso di violenza quotidiana sulle donne che
porteranno a Roma e Milano a due grandi cortei con slogan comuni. Da entrambi sono esclusi i
maschi.

8. Fra speranza e delusione


Cresce la convinzione che la democrazia italiana possa esser meglio difesa e non messa a rischio
da uno schieramento che comprenda il PCI. Questo, elogiato sul Corriere per la sua tradizione
riformista, in questi anni è cambiato mentre niente è cambiato negli altri partiti.

Montanelli e altri giornalisti crearono il “Giornale Nuovo” per raccogliere l’area di lettori, ormai
ridotta, di ultra conservatori.

Secondo un sondaggiodel 1974 il 32% degli elettori democristiani ritiene che l’ingresso al
governo del PCI possa avere conseguenze positive per le sue qualità pratiche dell’organizzazione
dei militanti, per la capacità di risolvere problemi ed aiutare le varie categorie.

È forte in Italia la sensazione di essere di fronte all’ingloriosa fine del partito che aveva governato
per trent’anni.

Pasolini propone il Processo a Palazzo, un processo simbolico, più etico che giudiziario, in cui
riscrivere nella coscienza collettiva del paese le regole civili essenziali e considerare intollerabili
ciò che è accaduto per trent’anni.

Sullo sfondo vi era l’idea di un vuoto diptere in se, in cui i democristiani crollavano insieme a
Vaticano e alla famiglia.

Il voto amministrativo del 15 giugno 1974, in cui per la prima volta votarono i 18enni, vedevano la
distanza tra PCI e DC pari al 2% (5 anni prima era al 10%) mentre con l’aumento del 2% del PSI e
dell’1,4% delle liste di Democrazia Proletaria questi tre partiti di sinistra si ponevano come
potenziali soggetti di un governo di sinistra, raggiungendo il 47% insieme.

Il PCI giungeva al governo il 5 regioni, nelle prime città italiane (Milano, Roma, Napoli, Genova,
Torino) e in 29 province maggiori del Centro Nord. Il voto esprimeva un grande bisogno di
cambiare.

Le elezioni politiche del 1976 segnarono un cambio di rotta: il PCI avanza ma la DC recupera
consensi e rimane primo partito. Il PSI è ai minimi storici e la Democrazia proletaria è irrilevante,
l’alternativa di sinistra è priva di credibilità.

Nel 1979, per la prima volta dal 1948, il PCI perde consensi alle elezioni politiche, con un crollo fra
i giovani, segnando l’inizio di una diminuzione costante per tutti gli anni ottanta, mentre si avvia la
scomparsa delle organizzazioni nate alla sua sinistra.

Le elezioni amministrative del 1975, secondo il Censis, hanno segnato un grande mutamento:
c’erano occasioni di impegno ma si delineava una spirale di sfiducia e disaffezione, un livello di
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moralità civile più basso del dopoguerra. Si aggiungeva la disillusione di movimenti collettivi che
avevano vissuto il boom industriale.

La proposta del compromesso storico era in contraddizione, in quanto lo scenario era


radicalmente mutato e non aveva più ragioni reali. Piega all’accordo con la DC l’esigenza di
cambiamento espressa dal voto e privilegia il sistema dei partiti, ormai degeneranti. Sottovaluta
invece la crisi economica e la necessità di forti misure di risanamento. Dagli Usa venivano veti
robusti al coinvolgimento comunista.

Come capo del governo viene messo dalla Dc Giulio Andreotti, che esprime le esigenze della Dc
di conservare il potere e marcare il distacco con il PCI.

Berlinguer, nonostante Longo abbia osservato che avrebbe portato alla squalificazione del partito,
conferma l’astensione. Viene eletto presidente della camera il comunista Ingrao.

Le misure di riconversione industriale ripropongono le consuete agevolazioni alle imprese senza


controlli reali: nuovi aiuti per le aziende sono decise agli inizi del 1977 mentre il bilancio dell’IRI
porta alla luce migliaia di debiti per tutte le aziende del gruppo. Vengono attuate misure restrittive:
aumenti in benzina, gasolio, metano, fertilizzanti, tariffe telefoniche ed elettriche. Vengono abolite
sette festività e congelata una parte della contingenza. Inizia a segnalarsi lo sconcerto dei militanti
comunisti a Genova, Venezia, Reggio Emilia e Milano (ove ci sono diversi scioperi selvaggi
sopratutto alla Pirelli). Il perpetuarsi di un non governo acuisce le lacerazioni, Berlinguer propone
una politica di austerità per mettere in discussione un sistema caratterizzato da spreco,
individualismo e consumismo: secondo il manifesto comunista, o si avvia una trasformazione
rivoluzionaria della società, o si va incontro alla rovina comune delle classi in lotta. Tensione
utopica e drammatica all’altezza della situazione, ma in contrasto con la politica concretamente
attuata.

Le contestazioni operaie sono pregne di rassegnazione per le scelte su cui non hanno avuto
possibilità e volontà di intervento. Nel dicembre 1977 è indetta una manifestazione nazionale dei
metalmeccanici.

Contemporaneamente una commissione inquirente rinvia a giudizio delle camere gli ex ministri
Tanassi e Gli pr il caso Lockheed (tangenti colossali per l’acquisto di arei militari con un contorno
di geniali e di faccendieri e il del presidente della repubblica Leone, costretto alle dimissioni nel
1978 ma sempre estraneo ai fatti).

Questa ‘solidarietà nazionale’ però sembra essere deleteria sul piano etico del PCI: il partito viene
coinvolto nella lottizzazione a partire dalla rai e dal monte pasci di siena.

Il PCI da governo delle astensioni diventa governo della non sfiducia.

Berlinguer però siederà allo stesso tavolo di Moro e il PCI si troverà in mezzo a due compromesso
senza risultati, mentre si frantuma l’idea forza di buongoverno alla base dell’avanzata comunista.

Nel frattempo aumentano militanti ed elettori del PCI che non appartengono alla cultura
comunista e che quindi traducono il disincanto e la disillusione in diaspro silenziose più che in
fedeltà acritiche. Diventa ingombrante il riferimento all’URSS ed è in discussione la centralità della
classe operaia, l’industrialismo. Occorreva una rifondazione culturale e politica che non fu.

9. Tragico finale di partita


Esplodeva la violenza degli “anni di piombo”: tenendo conto del periodo 1968-82 gli atti
terroristici di sinistra si concentrano per il 70% fra il 1977 e 1979 e per il 90% fra 1977 e 1982,
segnando una crescita di ferimenti e uno stretto rapporto con le violenze di piazza. Dai “servizi
d’ordine” delle formazioni extraparlamentari iniziano attaccarsi giovanissimi che vanno nelle reti
clandestine. Dalla campagna elettorale del 1975 inizia una tragica sequenza partire dal 16 aprile a
Milano con l’uccisione da parte di un gruppo neofascista di un diciassettenne. Altri 4 giovani
comunisti vengono uccisi dai neofascisti. In quegli stessi mesi muore una delle fondatrici delle
Brigate rosse, in seguito ad uno scontro a fuoco con la polizia. Nel frattempo veniva rapito il
giudice Di Gennaro dai Nap (nuclei armati proletari). Inizia così l’attacco al cuore dello stato. Il
“movimento dei ’77” è un movimento giovanile che incendia i grandi atenei, sopratutto a Roma e
Bologna, trasformandoli in luogo di aggregazione di migliaia di giovani sospesi fra precarietà di
studio e precarietà del lavoro che trovano un’occasione collettiva prima delle dispersione nei
molteplici rivoli della marginalità. Si consideri anche il diffondersi della disoccupazione
intellettuale, la metà del milione e due di giovani disoccupati hanno la laurea/diploma. I contorni si
delineano nell’estate 1976, con la delusione elettorale dell’estrema sinistra: violenze dei “collettivi
autonomi” fanno degenerare il “festival del proletariato giovanile” a parco Lambro a Milano.
Scenetta analoghe anche altrove, si diffonde a macchia d’olio l’eroina. Il collettivo del “movimento
del ’77” si configura con due filoni, una più ironica (“gli indiani metropolitani”,ha come bersaglio
polipo gli operai di fabbrica, visti ora come privilegiati e garantiti) e una dei collettivi autonomi più
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prossimi alla Lotta armata, ma entrambi hanno in comune un senso di solitudine, suicidio che si
intrecciano alla riflessione su violenza e politica. Manca una totale fiducia nel futuro, che era
essenziale per la generazione del ’68. Una sfigura reale in cui si bruciano energie e vite: il No
future, motto del movimento punk. Per questo la valenza degli autonomi convince a lungo con
l’ironia dissacrante dell’ala creativa, la cifra comune è la rinuncia delle promesse di
trasformazione.

Scintilla d’avvio fu la decisione del ministro Malfatti che riguarda i piani di studio e appesi
d’esame: gruppi di neofascisti irrompono alla protesta studentesca all’università di Roma con
bottiglie molotov e armi (studente ferito gravemente). Il giorno dopo un corteo promosso dai
collettivi autonomi esce dall’università per raggiungere la sede dei neofascisti, le forze dell’ordine
sparano e i dimostranti rispondono al fuoco (agente e due studenti feriti). Gli autonomi praticano
la tattica della P38, utilizzo di armi nelle manifestazioni.

Il giorno dopo una manifestazione a Bologna, a Roma viene indetta una manifestazione nazionale
cui affluiscono cinquantamila persone, i collettivi dell’autonomia operaia la trasformano in una
guerra: ad aprile ancora a Roma gruppi di autonomi sparano ed uccidono un agente. Nella città
sono vietati i cortei per un mese, ma quello dei radicali per il 12 maggio, anniversario del
referendum sul divorzio, si tiene ugualmente, la polizia spara ed uccide una studentessa.

Due giorni dopo a Milano muore un agente per mano di autonomi.

In autunno un convegno nazionale del movimento avrebbe dovuto isolare l’alta violenta, non fu.

Il 30 settembre viene ucciso un giovane a Roma, da dei neofascisti, centomila persone al suo
funerale. Il giorno dopo un gruppo di dimostranti a Torino lancia bottiglie molotov contro un bar,
ritrovo di giovani di destra. Quel rogo segna la fine di una storia.

A primavera 1978, alla vigilia del processo ai capi storici delle BR, erano stati uccisi un brigadiere
della squadra politica e il presidente dell’ordine degli avvocati: i giudici popolari affermano
defezione ed il processo è rinviato. Riprende il 9 marzo 1978, fra i giudici c’è il segretario del
partito radicale. È una sconfitta per le BR.

Poco dopo però viene rapito Aldo Moro dalle brigate, il paese vive in mezzo a movimenti massicci
delle forze dell’ordine, assillanti controlli di polizia, la capitale lacerata dalle sirene. Così per 55
giorni. Il 30 marzo viene pubblicata la prima delle lettere di Moro che invitano la Dc a trattare con i
terroristi: la linea di fermezza della Dc volta ad escludere la trattativa sottolineava ragioni di
principio e il timore di aprire brecce ad un terrorismo che pareva inarrestabile; i socialisti erano
invece favorevoli alla trattativa. Paolo VI fa un appello alle BR, pregandoli di lasciar andare Moro.
Nonostante ciò, il corpo dell’onorevole viene ritrovato il 9 maggio in una R4 rossa nel cuore di
Roma, vicino alle sedi di DC e PCI.

I funerali si svolgono privatamente. La repubblica sembra scomparsa, nel gennaio 1979 viene
ucciso a Genova un operaio comunista che aveva denunciato un militante di fabbrica delle BR
che distribuiva volantini. Dalle fabbriche vengono altri segnali raccolti dalla Fiat al rapimento di
Moro: invettive feroci contro la Dc e la classe dirigente si uniscono all’invocazione della pena di
morte per i terroristi, una diffusa indifferenza ed egoismo. Dopo l’assassinio dell’operaio di
Genova, all’Alfasud a Pomigliano d’Arco gran parte dei lavoratori non partecipa allo sciopero
contro il terrorismo e si da malato per non perdere la paga ed avere un giorno di ferie.

A settembre 1979 alla Fiat, Prima Linea uccide il dirigente Ghiglieno e la Fiat licenzia 61 operai
imputati di violenze, lo sciopero di solidarietà non riesce. Poco dopo vengono annunciati 15mila
licenziamenti e 23mila operai in cassa integrazioni. I settori più radicali della fabbrica attuano un
“blocco dei cancelli” che li porta ad isolarli ancora di più. Il 14 ottobre 1980 migliaia affluiscono ad
una manifestazione contro lo sciopero indetta dal Coordinamento dei capi e dei quadri intermedi,
unisce componenti non secondarie di fabbrica e città costringendo le organizzino sindacali ad un
pessimo accordo.

Nel 1980 il terrorismo giunge all’epilogo: con le 85 vittime della strage neofascista alla stazione di
Bologna, le 8 persone uccise dai NAR (nuclei armati rivoluzionari), il moltiplicarsi degli assassini di
BR, prima linea, altri gruppi che non nasconde una crisi cui dev’essere sommata la più efficace
azione dello stato.

A febbraio è arrestato Peci, il primo di tanti ‘pentiti’ che permettono al generale Dalla Chiesa di
compiere arresti decisivi. Irrompe anche nella use di Genova, uccidendo 4 brigatisti (forse si erano
arresi). I cittadini provavano un senso di orrendo sollievo alla notizia della morte di terroristi e non
di cittadini innocenti. Poco dopo alla Statale di Milano è ucciso il magistrato e docente Galli.

Gli anni di piombo iniziano a spegnersi in questo quadro, con gli ultimi sussulti: il rapimento
dell’assessore regionale della Campania e l’uccisione della sua scorta nel 1981 (liberato grazie al
pagamento della Dc); rapimento del generale USA Dozier (liberato nel 1982) e uno dei
sequestratori farà i nomi dell’intera “colonna veneta” delle BR.

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IV. La grande mutazione degli anni ottanta


1. Cesure drastiche e confini mobili
Già nel cuore degli anni di piombo si registra una propensione sfrenata ai consumi, al lusso, al
divertimento e l’affermarsi di un privato. Si consolida un modo di essere italiani, già colto nel
“miracolo economico”, fondato sul successo come valore assoluto; sui consumi come simbolo
del progresso individuale e familiare; sulla noncuranza per le regole collettive; sull’aspirazione ad
un’affermazione personale poco attenta a limitazioni etiche. Vent’anni prima questi fenomeni
erano contrastati da identità collettive forti, che ora sembrano dissolversi, travolti dalle dei
terroristiche, e la scena appare dominata dalla pasoliniana laicizzazione senza valori. I sociologi
parlano di riflusso del privato, intriso di restaurazione ed edonismo. Il “nuovo rinascimento
italiano” erode le realtà sociali precedenti, manda in frantumi il concetto stesso di Classe operaia
e dilata il ceto medio: l’individualismo acquisitivo e il consumismo non generano emancipazioni
ma distorsioni. La crisi culturale e politica della sinistra appare nella sua interessa.

Nel 1980 il tracollo sindacale della Fiat è preceduto dall’estate degli operai di Danzica, che avvia il
processo che seppellirà il socialismo reale: il papa Wojtyla darà forza a questi operai (nel 1979
tornerà in patria). Fra il 1979-80 vince il neoliberismo conservatore della Thatcher e di Reagan,
esplode il fondamentalismo islamico in Iran.

Nel vissuto dell’Italia prevalgono i primi segni di una mutazione che investe gli orizzonti culturali.

La distinzione fra cultura d’elite e cultura di mass viene scompigliata da fenomeni diversi: all
successo della mostra di Matisse a Roma, all’esposizione dei Bronzi di Rice. Esce di scena il
marxismo, e si riscopre Nietzsche.

Entra in crisi la storia contemporanea e la sua riduzione a storia politica e il suo uso come chiave
interpretativa.

La fine delle ideologie e delle grandi narrazioni non riguardava solo l’Italia.

Alla biennale veneziana del 1980 è dedicata alla presenza del passato, contribuisce sulla fine delle
utopie, la rappacificazione con il passato e la fine delle tensioni collettive. Non bisogna ridurre la
lettura ad uno sguardo nostalgico per mettere insieme le rovine del progresso, considerando
anche la rivincita della pittura figurativa e del piacere estetico, dopo il concettualismo degli anni
settanta e lo stesso ritorno all’individuo, con il dissolvimento dell’ideale collettivo, dove l’io
riaffiorava in bilico fra una soggettività a lungo mortificata e l’insorgenza di egoismi.

I primi segni di disincanto venivano già da dopo il ’68. Nel 1974 il film dei fratelli Taviani,
Allonsanfan, diventa parabola della impossibilità della rivoluzione. Amarcord di Fellini diventa
simbolo provocatorio (perchè rinviava agli anni trenta) del rifugio della memoria.

A sinistra non mancavano le critiche. Nasce una nuova sensibilità che dava impulso al recupero di
imagini, oggetti, diari del passato.

Nel 1978 la crisi delle illusioni e degli stereotipi di sinistra è al centro dell’Ecce bombo di Moretti. I
corporativismi hanno stravolto i movimenti collettivi ed aperto la via all’individualismo più sfrenato
(sciopero degli orchestrali alla Scala, balletto dell’Opera di Roma).

Lucio Dalla cosparge di ironica malinconia gli anni di piombo (nessuno esce la sera nemmeno
quando c’è festa, c’è chi ha messo sacchi di sabbia alla finestra) e Francesco de Gregori in Viva
L’Italia (1979) spera in un’Italia che resiste.

Le continuità prevalgono sulle cesure e alcuni segnali venivano dalle forme espressive dell’ala
creativa del movimento del ’77. Importante è l’influenza del corso di Laurea di Umberto Eco,
DAMS (discipline delle arti, della musica e dello spettacolo). Nel 1977 è voluta dall’assessore
Nicolini l’estate romana, simbolo della cultura dell’effimero: all’origine vi è l’idea di restituire ai
cittadini il centro storico, devastato da continui scontri di piazza. Affiora un bisogno di serenità.

L’irrompere del banale costituisce la colonna sonora del ‘riflusso’. C’è una voglia di evasione,
prevalenza della sfera privata su quella poltiica, fine della grande illusione della democrazia di
base. C’è un nascente individualismo e riscoperta della religiosità, edonismo e rifiuto della
costrizioni sociali, chiusura nel particolare. Dal 1979 al 1981 crescerà la disaffezione per la politica
e per i partiti. Sul Corriere (diretto da Franco di Bella, travolto con la famiglia Rizzoli nella vicenda
della P2) viene pubblicata una lettera inventata di un professionista di 50 anni, sposato con figli
adulti che medita il suicidio per amore di un’altra donna. Finito l’interesse per questa, entra in
campo una casalinga adultera di Cinisello, e nel natale 1979 il dilemma di un’altra “lettrice”, in
realtà una giornalista, che medita sul passare il Natale con la moglie o con l’amante.

Con altri toni anche l’Unità e il PCI trattarono il tema, unendolo alla messa in discussione di
chiusure e conservatorismi, dando stimolo a femminismo e aprendo la via a sensibilità più aperte,
dalla sessualità ai sentimenti, alle coppie aperte o chiuse.

A sinistra c’è la riscoperta di ciò che la loro morale gli aveva vietato.

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Esplode nel 1980 il Carnevale, sino a poco prima confinato nei ricordi, con Venezia come luogo
d’avvio. La carnevalomania sembra diventare parentesi di dissociazione in cui annullare le paure
delle folle insicure. In passato le grandi stagioni del carnevale corrisposero a quelle delle
pestilenze. Festa e peste è l’intreccio alla base delle fasi ludiche del movimento del 77.

Il mutar di decennio non luminoso faceva trionfare rimozione e smemoratezza.

Il fenomeno della moda a Milano diventa internazionale (esplodono Armani, Versace, Krizia).

Guardando al’europa, è evidente il peso crescente dei consumi in una democrazia in perdita di
valori, dove il caos sociale propizio al disincanto è dominatori media che soppiantano il contenuto
dell’informazione con l’ubriacatura dell’immagine. In Italia però contribuiscono più che altrove a
modellare i ceti medi, sempre più estesi ed orientati all’affermazione individuale.

Si passa dall’era del Carosello, finita nel 1977, a quella degli spot e a forme pubblicitaria
nonsenso. A fronte dell’onda travolgente dell’effimero, case lussuose ed hi tech si afferma anche il
tradizionalismo (dove c’è Barilla, c’è casa). La Voiello chiama Giugiaro per disegnare un modello
di pasta, questo aveva disegnato orologi, macchine fotografiche, caschi, la Panda della Fiat. Inizia
un processo che posta stilisti e designer a apporre le proprie firme ovunque.

Nel 1979 riprende il Compasso d’oro, iniziato negli anni cinquanta, e due anni dopo
all’internazionale design conference di Aspen ha come titolo the Italian idea. Nel 1981 viene
presentata a Milano la collezione Memphis promossa da Sottass (oggetti effimeri colorati, cui
decorazione è ornamento).

Il mondo dei media interagisce con la difficile transizione di una comunità nazionale fragile con il
vistoso deperire del ruolo pedagogico delle istituzioni dello stato, partiti e della stessa televisione
pubblica.

Pesa molto il ritardo del sistema dei partiti: si pensi all’opposizione dei repubblicani e comunisti
all’introduzione della televisione a colori in nome della politica di austerità e alla convinzione di
poter impedire la liberalizzazione dell’etere.

Nel 1975 avviene una riforma della Rai, ancora nella dimensione esclusiva del monopolio anche la
corte costituzionale ha già iniziato a smentellarlo.

Dal 1977 al 1981 la televisione passa dal 18% al 30% degli investimenti, mentre la carta scente
del 10%. Nel 1990 gli investimenti pubblicitari sono sei volte rispetto a quelli dell’’80, metà di essi
riguarderà la tv e per il 62% la Fininvest presidiata da Confalonieri (poi Mediaset) e il 33% quella
della rai. Si ampliano le trasmissioni oltre le fasce orarie tradizionale.

Si ricercano nuove forme di comunicazione radiofonica, già all’interno della Rai con la stagione
delle Radio libere. Il panorama non si riduce alle grandi città e non si esaurisce dopo il 1977, ma le
radio libere terminano per lasciare il campo a quelle commerciali. Cadono per la imitata
professionalità di quelle prime esperienze, la caduta dell’impegno politico, primo motore. Le
telefonate in diretta degli ascoltatori entrano anche nel mondo dei giochi televisivi, dove prevale
uno spirito da ora del dilettante. (la corrida di Corrado nacque come programma radiofonico della
rai dieci anni prima). Le radio private eccedono in sciatteria.

Nel declinare della stagione della partecipazione trionfava quello del protagonismo senza qualità.

Canale 5, prima ammiraglia della flotta Fininvest, parte di slancio con i telequiz presidiati dal
principio dei presentatori, Mike Bongiorno, e dall’altro il calcio. Berlusconi utilizza satelliti per le
dirette oltreoceano ed acquista in massa film e serie tv di successo.

Già nel 1979 le emittenti private irrompevano nella campagna elettorale mentre in Inghilterra il
fenomeno era più massiccio con la Thatcher e anche nel 1981 nella Francia di Mitterand.

Nel 1980 i media sono chiamati in causa dal terremoto di Irpinia e con la diretta lunghissima di
due canali Rai, il dramma del piccolo Alfredo Rampi, precipitato in un pozzo vicino Roma, segna
come la comunicazione sia diventata spettacolo.

Con il mutar di decennio il sistema politico è investito da una crisi senza precedenti: nel
referendum del 1978 proposto dai radicali per l’abolizione del finanziamento pubblico il 44% dei
votanti vota per abolirlo, nonostante l’opposizione delle forze poltiice. Alle elezioni del 1979 la
percentuale dei votanti scende del 3%, aumentano le schede bianche e nulle e vengono premiati i
radicali con il 3%.

Nelle elezioni regionali dell’anno successo i votanti sono sotto il 90% per la prima volta ed
esplode la protesta della Lega contro la prima repubblica. Il calo di partecipazione continuerà in
modo graduale fino al picco nel 2010.

Nel 1979 il PCI scende del 4%, inizia la discesa inarrestabile, mentre il PSI, sceso nel 1976 al
minimo storico del 9%, viene guidato da Craxi. Accantonata posto l’ipotesi di contestare
l’eggemonia comunista sul terreno delle idee che nel 1978 porterà alla riscoperta di Proudhon e
del rigetto di marxismo-leninismo. È una stagione felice per la rivista del partito, Mondoperaio, cui
Craxi vi pote termine preferendo vecchi strumenti delle lotte di fazione, sconfigge indocili alleati e
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potenziali concorrenti, utilizzando con la sinistra socialista di Signorile lo scandalo della tangente
EniPetromin (fa aprire al tempo stesso presso l’unione banche svizzere un fondo di Protezione, al
centro delle indagini mani pulite). Ripropone la conventio ad excludendum nei confronti del pCI.

Il sistema politico ricalca le vie più consunte, inconsapevole della crisi e del succedersi di
corrosione delle istituzioni e di drammi: nel 1979 viene assassinato da un killer l’avvocato
ambrosoli, nominato liquidatore della banca privata italiana. Vengono accusati il vicedirettore della
banca d’Italia Sarcinelli.

Nel 1980 scoppia lo scandalo Italcasse, di ingenti finanziamenti ai partiti e i concorrenti. Il ministro
Evangelisti, vicino ad Andreotti, dichiara di aver ricevuto tanti soldi dai Caltagirone.

Inoltre c’è l’evasione dele tasse petrolifere in cui sono coinvolti i vertici di guardia di finanza,
petrolieri e politici.

Nel 1980 il capo della P2 Licio Gelli esce e vengono prese le liste della loggia dove figurano nomi
di lati gradi dell’esercito, servizi di sicurezza, magistrati, esponenti della Dc, Msi, Psdi, Psi e
imprenditori (dai Rizzoli, a Berlusconi a Calvi, quest’ultimo trovato morto sotto un ponte a Londra).

Mai si era vista così tanta corruzione radicarsi cosi dentro e largamente nelle strutture dello Stato.
Nel 1984 nasce la seconda repubblica, a palazzo Chigi non si vedranno più democristiani, il PCI è
crollato al 21%, la Dc al 14%, il PSI al 7%.

Pertini viene eletto presidente della repubblica nel 1978, dopo le forzate dimissioni di Leone, e
parla di come i corrotti devono essere colpiti senza nessuna attenuante (31 dic 1979) e riasisce il
concetto l’anno dopo. Alla fine del 1981 parla di come la P2 si prefiggeva di compiere atti contro
la costituzione e contro la repubblica. All’indomani del terremoto all’Irpinia Pertini denuncia i rischi
i un altro Belice (divario tra denaro erogato dopo il sisma del 1968 e il reale utilizzo) ma la
situazione sarà peggio. Moravia parla di come ha visto morire il Sud. Un generoso gallerista
napoletano Amelio stimolava l solidare impegno di intellettuali di tutto il mondo, da Pistoletto,
Schifano a Warhol.

Ma presto la faccenda sarà dimenticata, e cresceranno umori antimeridionali al nord.

2. Verso la società post-industriale


Accresce la disoccupazione: la Fiat inizia il suo declino: fra il 1980 e il 1986 gli operai di gruppo
scenderanno di quasi la metà così come i dipendenti totali.

Continua a diminuire drasticamente l’occupazione agricola ed esplode il terziario. Carlo De


Benedetti, chiamato al vertice della Fiat nel 1976 ma dimesso poco dopo (bocciato il piano di
riduzione dei dipendenti) fa volare l’Olivetti e nel 1982 fa realizzare i primi pc italiani (in quell’anno
il pc era ‘uomo dell’anno’ per Times.

Altrettanto simbolica è la chiusura di stabilimenti storici come la Pirelli bicocca a Milano e il


Lingotto della Fiat a Torino: vi sorgeranno facoltà universitarie e centri culturali.

I sindacati non sanno come affrontare l’esplosione della tecnologia e i sistemi internazionali delle
multinazionali. Con la crescente importanza di redditi stabili o precari di tutta la famiglia e con il
divaricarsi delle condizioni id vita, con l’intrecciarsi di mobilità sociale ed emarginazione ci sono
davvero dei vinti in questo processo. E la perdita di lavoro porta anche alla perdita di
legittimazione: la CISL torinese raccoglie le disperazioni e racconta di un centinaio di storie di
suicidi. Si affievolisce anche la solidarietà sociale, riaccesa solo da nuovi drammi: nel 1987 un
incendio distrusse un cantiere navale di Ravenna, provocando tredici vititme. nell’Amelia funebre
monsignore Tonini contesta le pessime condizioni in cui dovevano lavorare per dieci ore in mezzo
ai topi.

Ma dietro a questo c’erano i corporativismi e gli egoismi di ceto. Nel 1984 Scalfaro, prendendo
spunto dagli scioperi nell’aeroporto di Fiumicino, paragona l’immagine della repubblica e lo stato
a quell’aeroporto, decomposto in mezzo alla campagna romana e in prossimità del mare
schiumoso ed inquinato, divorato da piccoli roditori e grandi avvoltoi.

A Milano si delinea un universo produttivo incentrato su informatica, public relations, pubblicità,


moda, design, televisioni commerciali. Un universo consacrato fra teatro della scala, cantieri
operosi e donne in carriera e modelle.

Alle spalle ci sono le macerie degli anni settanta e del vecchio establishment, che hanno per
lungo tempo oscurato la diffusione dell’imprenditorialità e la nascita di nuove imprese, con la
distensione del terziario.

Mentre Pirelli vende il grattacielo, cadono i grandi nomi di un tempo che si rifugiano oltreoceano
(Cefis, Sindona) e cresce la curiosità nei confronti di Silvio Berlusconi, che mette il suo studio
nell’ex villa Borletti: anche i simboli di prestigio passano di mano (Versace a palazzo Rizzoli;
Armani nella casa di felice Riva; Krizia a Palazzo Melzi d’Eril). A Milano e nel suo hinterland
spuntano le cittadelle delle televisioni commerciali, del terziario, dei servizi.

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l’informatica trasferisce il trauma di un mutamento, cresce il popolo pubblicitario e la lotta


ossessiva per la televisione.

A Bergamo un’imprenditoria capillare e solida compensa il ridimensionamento delle grandi


aziende. A Brescia si incontrano eccellenze e provincialismi, da li viene il direttore di
Confindustria, Luigi Lucchini, al tempo stesso scompaiono i gruppi industriali e i pionieri storici.

A piazza Affari non si erano mai emessi così tanti titoli come nel 1984: gli italiani sviluppano un
nuovo amore per i fondi di investimento. Gran parte degli italiani sta conoscendo la ricchezza, in
piazza affari i listini lievitano in permanenza, i bilanci delle società cambiano di segno e sommano
i profitti.

Anche il Corriere dello Sport e l’Unità decidono di dare spazio alle quotazioni di Borsa, la
decisione della seconda è l’atto ufficiale della scomparsa del proletariato, il Corriere dello Sport
dimostra come da elitaria, la finanzia sia diventata popolare.

Si diffondono gli yuppies americani, giovani finanzieri dell’età reaganiana. Questi in Italia sono
portatori di innovazione ma lontani dal progressismo politico, in aperta rotta con la tradizione. È
difficile qui distinguere gli yuppies dai medio e piccoli speculatori. Come è difficile ignorare il peso
dei bluff (prendi i soldi e scappa).

Nel 1983 già si avvertiva un erratico passaggio di entrata ed cita dal mercato del lavoro,
spostamento da lavoro dipendente a indipendente, con una forte crescita per il lavoro precario o il
doppio lavoro. La politica è messa in crisi, ma l’urgenza di un’analisi sfuma grazie all’euforia del
decennio e dal diffondersi della Terza Italia.

La politica per il sud fu da ostacolo per la sua crescita: l’espansione del settore pubblico ha avuto
effetto di disincentivazione dell’attività privata ed ha contribuito all’espansione della corruzione.
Le zone meno dipendenti dallo Stato hanno fatto si che il mezzogiorno si avvicinasse al
Settentrione nei consumi (70% di quelli del nord) ma non nel reddito prodotto (57%), provocando
quindi una frattura.

La spesa pubblica al sud ha un livello superiore del reddito prodotto il loco.

Le zone colpite dal terremoto del 1980 sono nella situazione peggiore: l’enorme dilatarsi del
denaro erogate e delle aree di intervento con l’elusione di ogni controllo grazie a legislazioni di
emergenza. Il sud diventa simbolo di degrado nazionale.

Il termine stesso di classe operaia cade in disuso mentre il ceto medio prende fisionomia. Si
delinea un pollo di consumatori di ceti medi gonfiati dalla rivoluzione produttiva. La solidarietà
sociale si affievolisce insieme alle ideologie.

3. “cosa resterà degli anni ottanta…”


Siamo nel pieno della vital revolution: fra il 1976-80 e il 2006-10 si allunga l’età media e si
modifica radicalmente la famiglia e gli indicatori del viver civile (aumentano i decessi dopo gli
ottant’anni, uno su quattro matrimoni è dstinato a sciogliersi, crescono le nascite extranuziali e
l’età media del parto). È l’era del pieno consumo, sono di dorati anni ottanta. Cresce il gusto del
successo sociale, dell’eleganza, del gusto di piacere. La conflittualità politica è diminuita c’è un
governo stabile.

Ritorna l’euforia del “miracolo”, più disattenta ai primi segnali negativi, come il crollo di Wall Street
del 1987. Le donne si occupano della carriera, la moda conquista i palcoscenici più prestigiosi. Gli
italiani vogliono il lusso. Esplode la stagione dei trasgressivi Swatch, cui collaborano molti artisti.
Si espandono i fast food e le multisale cinematografiche, compaiono il trendy e il bodybuilding. Ci
sono anche messaggi dissonanti, come quello di Toscani proposto per Benetton, con la denuncia
del razzismo e delle guerra o l’evocazione delle emergenze sociali, sono sopraffatti anch’essi
dall’apoteosi della pubblicità.

Escono di scena il disco in vinile mentre esplode il multiforme mondo dei videogiochi e le
videocassette.

La ‘rivoluzione dei computer’ pretende di diventare lo strumento possibile per un nuovo equilibrio
fra stato e dinamiche sociali. Computer e internet attueranno un rivolgimento simile a quello della
televisione di trent’anni prima. Tuttavia domina la scena la tv a colori. Nel 1984 c’è chi evoca la
profezia orwelliana, chi semmai è inquietato dal mondo nuovo di Huxley, il quale ci insegna che
quando una popolazione è distratta da cose superficiali, la nazione è in pericolo.

l’auditel introduce la misurazione degli ascolti, Berlusconi completa la Finivest con l’acquisto di
Rete4, che si aggiunge a Canale5 e Italia1.

Nel 1985 esce Ginger e Fred di Fellini, cui primo bersaglio è una tv che riduce tutto ad una
pubblicità. La televisione di poche pretese nei confronti dello spettatore, è una neotelevisione, una
sorta di “carnevale conformista” che si affida alle sgangheratezze linguistiche e ha il suo simbolo
nelle ragazze fast food, che anticipano le veline di Striscia.

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Nel 1990 esce la voce della luna di Fellini, che da il ritratto di un’Italia deformata dalla sua
rappresentazione televisiva.

Irrompono sulla scena anche i conflitti internazionali: la tv costruì giorno dopo giorno lo show
della guerra del Golfo. Inoltre le immagini televisive della caduta del muro di Berlino avevano
favorito potentemente il dilagare della protesta popolare e il crollo del socialismo reale, si pensi
alle dinamiche dell’epilogo romeno, con le manipolate immagini della “strage di Timisoara” che
favorivano l fine cruenta di Ceausescu e la moglie

Sono disincanti che vengono dalle culture degli anni sessanta e settanta, lontane dalle nuove
generazioni. Michele Serra paragona i Beatles, cui musica rotolo sopra il mondo, con i Duran
Duran che fanno pensare a belle donne e ricchezza.

L’incertezza domina anche nei reportage dell’epoca che tratteggiano raggruppamenti giovanili
inquietanti, la “generazione Benetton”, vestita con piumini Moncler, scarponcini Timberland e
occhiali da sole Rayban. Il movimento del 1985 si diffonde negli istituti superiori: prende avvio
dalla protesta contro la sede fatiscente di un liceo artistico milanese, che doveva essere un vivaio
della Milano terziaria ma fra mostre, sfilate non si trovò un palazzo nuovo. Lunghissimi corei
chiedevano aule decenti senza topi, buoni trasporti, mense dignitose, biblioteche non miserevoli,
laboratori funzionanti. Urlavano “vogliamo studiare”. Cronisti e osservatori si muovo nell’universo
della protesta, affermando che i ragazzi vogliono studiare ma si consolano con musica, cappotti e
pantaloni. Il partito degli indifferenti per Letizia Paolozzi, non hanno modelli da proporre ma sono
braiv. I ragazzi dell’85 sono i figli del trilione, cifra pari al debito pubblico accumulato dai loro
padri. Figli che stentano a trovare lavoro, è tanto il tempo passato tra la fine degli studi e la prima
occupazione, la deriva è accentuata dall’irresponsabile inerzia nei confronti dell’istruzione
universitaria: nei dorati anni ottanta non è tempo per una vera riforma, solo quella del 1980, una
promozione ope leggio che rigonfierà gli organici ed impedire un ricambio reale. Nel frattempo si
moltiplicano gli atenei e cresce il numero, la liberalizzazione degli accessi all’università del 1969,
dei fuori corso o di chi non termina gli studi. Nel 1990 è pari ad uno studente su tre.

4. La politica e il paese: le linee generali


Il debito pubblico cresce rivelando l’incapacità di governo di quegli anni.

Segnala surrogati cui ci si affida per mantenere il consenso: dall’evasione fiscale di ampie aree del
lavoro autonomo, alle compensazioni del pubblico impiego e ad altri settori, ai condoni fiscali e
edilizi. Trova codificazione il divorzio fra interesse individuale e collettivo: l’arricchimento privato
svincolato e la corruzione politica crescono insieme, si delinea un patto di tolleranza per far valere
i propri interessi. Nel 1980 il debito pubblico era di poco inferiore al 60% del PIL, ma cresce fino al
125% nei primi novanta. Si forgiava un paese abituato a consumare senza pagare il conto. Era
presente anche un ciclo economico espansivo e l’assenza di vincoli internazionali, che quando
questi scompariranno porranno fine all’illusione. Il paese rovesciò la colpa sul ceto politico.
Secondo un’analisi del Censis, nel 1980 l’accento batte sulla lontananza fra società e politica. Nel
1981 da un lato si vuole più ampia libertà dei comportamenti individuali e collettivi, dall’altro si
chiede totale protezione pubblica.

Negli anni successivi torna a prevalere l’enfatizzazione della enorme forza vitale del paese e nel
frattempo vengono resi noti dati sulla corruzione e sulle economie illegali e criminali. Nel 1988 si
segnala un malcostume che riemerge nel quotidiano. Nel 1989 cresce un senso di ostilità e si
colgono segni di fragilità dell’appartenenza nazionale.

La società si fa portatrice di comportamenti microtrasgressivi e contemporaneamente di cultura


della legalità. Il sistema politico era fatto di usurate dialettiche e rovinosi salti di qualità: i partiti si
assomigliavano tra di loro e si contendono il consenso. Cresce la sensazione del crescente
distacco fra governati e governanti che spinge la partitocrazia a occupare ogni spazio possibile
per compensare il potere perduto. Da qui origina la corruzione senza paragoni in Occidente.

Ma iniziano ad entrare in crisi i partiti di massa novecenteschi in tuta Europa, entra in crisi la
democrazia basata su di essi per l’affermazione della democrazia del pubblico, dove i cittadini
sono spettatori e la comunicazione subentra alla partecipazione sociale, e dal delinearsi di nuovi
modi di essere partiti. Da qui declinano le due “chiese”, cattolica e comunista, e si afferma il PSI
di Craxi, in parallelo con il costante declino del PCI. Il “partito personale” craxiano si intreccia al
dilagare dell’occupazione del potere e della corruzione, mentre i rapporti tra politica e media
hanno da noi percorsi tardivi.

5. La politica e il paese: fasi e protagonisti


Per l’intero decennio il paese è governato da un pentapartito (Dc, Psdi, Pci, Psi e liberali).

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Si rinuncia ad un profilo ideale e programmatico in quanto la prassi di governo è rinchiusa in una


fortezza ed attraversata da guerriglie di potere. Dall’aprile 1980 al 1991 si susseguono 11
compagini ministeriali ed è difficile accostare il decennio craxiano alla governabilità, una delle
parole-chiave del leader, in quanto l’instabilità è altissima sopratutto quando Craxi, non al
governo, agisce come ‘corsaro’. La coalizione chiudeva la via ad un’opposizione comunista in
crisi.

Nel maggio 1981 con l’arresto di Gelli e la pubblicazione degli elenchi della P2 portano alle
dimissioni del governo Forlani e al voto referendario che conferma la regolamentazione dell’aborto
del 1978: altissima percentuale di votanti e altrettanto la maggioranza. Nello stesso giorno però
veniva respinta la proposta di abolizione dell’ergastolo con n pronunciamento ancor più ampio. Oil
voto indeboliva ulteriormente la Dc, per la pria volta un laico diventava capo del governo,
Spadolini. Era un’indicazione della moralizzazione dela politica che non ebbe seguito, come
mostrò il rinnovo dei vertici di Iri (dove va Prodi) e dell’Eni (Colombo). Colombo deve dimettersi
subito (per evitare il condizionamento del corresponsabile precedente Di Donna coinvolto con la
P2) mentre Prodi avvia il risanamento, anche se frenato da interferenze.

Nell’agosto 1982 il governo Spadolini cade ed è seguito da un secondo, identico, che dura pochi
mesi e ved Elo scontro del democristiano Andreatta contro il socialista Formica. Il primo voleva
contenere l’inflazione con il raffreddamento di investimenti e consumi, questioni rese urgenti dal
crescente debito. Avrebbero portato o ad una soluzione condivisa o ad un’altra alleanza
(impossibile per la cornice blindata del pentapartito). Il governo successivo guidato da Fanfani ha
vita breve; nel 1983 Craxi chiede elezioni anticipate. Il leader socialista nella campagna propone
una Grande Riforma (nessuno Sa di cosa si tratti).

Nel frattempo il presidente della Camera Nilde Iotti osservava come i politici avessero occupato
spazi che non avrebbero dovuto occupare. Nel 1983 il Censis annoiava come la mancanza della
supremazie della legge e la certezza delle regole abbia accresciuto il peso incivile di poteri non
ofrmali.

Nel momento in cui ricevute e scontrini neon introdotti va in scena un’erosione quotidiana delle
norme destinata a crescere, veniva a mancare quella certezza della sanzione, alla base dello Stato
di Diritto. Cresceva la sperequazione tra lavoro autonomo e dipendente.

L’11 luglio 1982 l’Italia vinceva la coppa del mondo, mentre a Palermo si consumavano i delitti
delle mafie: due mesi prima e due mesi dopo vi erano gli assasinii del dirigente comunista La
Torre e del generale Dalla Chiesa. La mafia iniziava ad uccidere i potenti troppo pericolosi già nel
1979 con l’assassinio del vice-questore di Palermo Giuliano e del giudice Terranova che aveva
indagato sulle cosche. Fra il 1979-1980 a Palermo le istituzioni vennero decapitate. Le cosche si
irrobustivano e si espandevano ex novo approfittando dell’assenza dello Stato, conquistando
anche nuovi campi d’azione (eroina) e da qui l’esplosione dei conflitti sanguinosi fra famiglie.

Traumi rimossi nel clima di ottimismo che il nuovo PSI, rivitalizzato da Craxi, si candida ad
interpretare: Craxi ne cambia i simboli, gli interlocutori, i riti. Non vi è solo una superficiale enfasi
di modernità ma anche il declino della vecchia forma-partito e da qui l’attenzione alle nuove forme
della comunicazione e alla conquista della maggioranza sul terreno dell’opinione. La leadership
viene personalizzata, il PSI guarda all’Italia emergente, cui Craxi promette le cose giuste:
ottimismo, stabilità, democrazia efficiente. Segue un convegno fiorentino sul made in Italy nel
1982 cui partecipano diverti nomi dell’Italia Fashion, da Krizia, Fiorucci, Versace.

Alle elezioni anticipate del 1983 Craxi propone ‘l’ottimismo della volontà’, che al contrario fanno
crescere le astensioni e le schede nulle. Aumenta la Liga veneta (1 deputato e 1 senatore) mentre
Dc cala e un modesto aumento del PSI permette a Craxi di diventare il primo leader socialista
dell’Italia repubblicana.

Un’inflazione galoppante imponeva di correggere l’accordo del 1975 sul ‘punto unico’ di
contingenza. Lo scontro si radicalizzava presto, vi contribuivano difficoltà del movimento
sindacale, un ridimensionamento del lavoro di fabbrica che alimenta rassegnazione ed
esasperazione. Un economista nella CISL, Tarantelli, suggerisce un accordo ‘impossibile’ tra il
governo contraddittorio, la Confindustria oltranzista ed un sindacato incapace. Si deve
aggiungere l’irrigidimento del PCI che divide la CGIL e l’orientamento di fondo del premier, che
conta su CISL e UIL e la componente socialista della CGIL. Nel febbraio 1984 viene varato il
“decreto San Valentino” di riduzione della scala mobile. La mobilitazione contro culmina con una
manifestazione nazionale voluta dal PCI che porta allo scioglimento della Federazione sindacale
unitaria e al crisi dei consigli di fabbrica. Un referendum per abrogare il decreto del 1985 rova la
sua sconfitta e sottolinea l’isolamento comunista. Bisogna intervenire sull’evasoine fiscale che
assumeva contorni inaccettabili. Dalla necessità di porre medio all’inutilità delle ricevute
nascevano misure proposte dal ministro della Finanza Visentini che vennero però ridimensionate

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in corso d’opera: un non previsto regalo ed una non prevista legittimazione per gli strati sociali
che considerano l’evasione un diritto acquisito. Il fisco ha protetto le categorie politicamente
fortissime, che tollerano una classe dirigente corrotta. In una stagione economica espansiva quel
nodo veniva rinviato e aumentavano le concessioni al pubblico impiego. Il calo dell’inflazione era
dovuto in larga parte al trend internazionale e al calo del prezzo del petrolio. Fra il 1982-88 il
debito pubblico cresceva dal 65% al 92,7% nonostante i richiami del predicente della Banca
d’Italia Ciampi.

La crisi si avviava ad un punto di non ritorno, accentuata dal condono edilizio del 1985, volto a
legittimare l’abusivismo, processo già iniziato da alcune regioni alla fine degli anni settanta. I veri
intralci alla legge vennero da ‘abusivismo popolare’ che considera troppo gravosa la penale
prevista dalla sanatoria.

Altri aspetti dell’azione di Craxi sono irrilevanti, le linee generali della politica internazionale non si
discostano da quelle fin li attuate, Adnretotti era ministro degli esteri.

Craxi però accetta l’istallazione in Italia dei missili Cruise e con fermezza rivendica la sovranità
Italia sulla base Sigonella, dopo che forzatamente vi era finto il commando palestinese che
sequestro l’Achille Lauro. La seconda scelta gli vale l’apprezzamento, la prima no.

La Grande Riforma non fu attuata, evocata in modo propagandistico.

Segni e altri deputati perseguivano riforme istituzionali per via referendaria, Craxi si opporrò. Il
rafforzamento dell’esecutivo è svuotato dal concreto agire dai partiti, ogni passaggio procedurale
è un negoziato, così da escludere il PCI dall’area di governo per affermare la centralità socialista.
Diventa fondamentale la crescita di potere e di risorse finanziarie e la conflittualità all’interno della
coalizione, strettamente legata al moltiplicarsi delle funzioni dirigenti di nomina politica e su
questo terreno il PSI di Craxi conquista una partecipazione al potere centrale e periferico
largamente superiore al suo peso elettorale.

La centralità socialista si coniuga in modo esplicito alla personalizzazione del partito e al


congresso di Verona del 1984 viene abolito il Comitato centrale, luogo di decisionale politico,
sostituito dall’assemblea nazionale pletorica, priva di incidente reale. Craxi ridiventa segretario per
acclamazione, alla sua scommessa carismatica contribuiscono le scenografie dei congressi
(Rimini, 1987, tempio finto-ateniese, Craxi entra con il Nabucco). Al congresso del 1989 a Milano,
con vistose piramidi telematiche, dove Craxi e Froalni pongono le basi per il CAF, asse tra loro e
Andreotti, che avrebbe accompagnato l’involuzione del pentapartito fino al crollo.

Craxi scandisce il passaggio dalle forme tradizionali della politica al osstnziale scardimaneto di
essa.

Silvio Berlusconi ormai concorre a livello nahzlae con la rai, infrangendo l’ambito locale previsto
dalla Corte costituzionale per le emittenti private, alcuni pretori in Lazio Piemonte ed Abruzzo ne
oscurano le reti, con un impatto inevitabile sulla gente. Nel 1984 viene emanato il “decreto Craxi”,
che consente alla Fininvest di continuar ele trasmissioni a livello nazionale. Nato come personale
e temporaneo, viene prorogato fino al 1990 con la legge Mammì che ratifica il fatto compiuto e
concede la diretta. Vengono aboliti i vincoli previsti per la pubblicità televisiva.

La politica inizia a personalizzarsi, si apre ai talk show e le campagne elettorali fanno il oro
ingresso nelle tv private. Molti politici partecipano a programmi televisivi e fanno promesse a
cittadini in diretta televisiva (ministro della difesa che concede il congedo illimitato ad un soldato
con la moglie malata).

Il 1987 si presenta come “anno rivelazione”: a partire da due esordi, Creme Caramel, Raiuno, che
affianca politici reali alle sue caricature, a Samarcanda, Raitre, che porta la piazza in Tv. Per i
radicali viene eletta Ilona Staller, pornostar Cicciolina. Si vedono dilagare gli spot a pagamento dei
partiti. L’anno si conclude con il Fantastico, programma condotto da Celentano dove parla di Dio,
politica, Stato, partiti, difesa degli animali tutto. Celentano interpreta l’atmosfera di frustrazione,
rabbia, protagonismo.

Berlusconi completa l’impero acquistando il Milan e nel 1990 conquista la legge Mammì e prende
d’assalto, con metodi no trovo limpidi, la Mondadori. Nell’eludere leggi e norme, la Fininvest ha
potuto contare sul fortissimo legame con il PSI di Craxi e la capacità di iniziativa politica di
Berlusconi.

Strettamente connessa all’occupazione partitica dello stato, dilaga la corruzione. Già nel 1983
vengono arrestati a Torino il vicesindaco e altri assessori socialisti, e in Liguria l’ex presidente
socialista della regine ora candidato alla Camera, Teardo.

All’apertura dell’anno giudiziario del 1984 le relazioni dei procuratori appaiono come una cronaca
nazionale tangente per tangente. Nel 1985 a Milano è arrestato per una maxi tangente il
presidente della Metropolitana e architrave del PSI cittadino ma architrave di quel sistema Milano
che regolerà sino al 1992 la distribuzione delle tangenti fra i partiti, PCI compreso. La magistratura
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però è cambiata, non vuole più difendere certi privilegi e le inchieste giudiziarie si moltiplicano. La
corruzione è sistematica e nulla permette a chi non si adegua.

Nel 1991 il sistema politico partitocratico cade.

6. L’eclissi delle “due Chiese”

Sta venendo meno la lunga predominanza di Dc e Pci.

Enrico Berlinguer rilascia a Scalfari un’intervista nel 1981 in cui critica il degradare dei partiti,
‘macchine di potere e di clientela. Perdura anche la riluttanza nel parlare del “socialismo reale”,
già dopo il colpo di stato polacco e Berlinguer ritiene conclusa la santa propulsiva della
rivoluzione sovietica.

Si consideri l’alterità del PCI rispetto alla degenerazione del sistema politico: nei governi di
solidarietà nazionale la partecipazione alla lottizzazione non era mancata e il partito si fece
coinvolgere anche nella corruzione.

La lunga insistenza di Berlinguer sulla ‘diversità comunista’ appare come un ‘dover essere’: ai
suoi funerali nel 1984 si capisce che il fascino dell’ultimo Berlinguer stava nel suo essere inattuale
in un mondo che vede mutare, e non in meglio, riferimenti politici ed etici. Testimonia una sconfitta
storia.

Segnale effimero è il sorpasso della Dc alle elezioni europee mentre l’anno successivo alle elezioni
amministrative e il referendum sulla scala mobile il Pci perde sia la “centrlaità della classe operaia”
sia il buongoverno a livello locale.

Un mese prima le elezioni amministrative avevano posto fine alle giunte di sinistra nate nel
1975-76. La struttura organizzativa del partito era quella forgiata nel 1956 ma retta da una rete di
funzionari rinnovata negli anni settanta, molti si erano uniti per i successi del 1975-76. Le elezioni
politiche del 1987 e quelle amministrative del 1988 segneranno pensanti sconfitte, nel cuore del
decennio la crisi della sinistra appare radicale: sinistra e modernità sembrano andare in opposte
direzioni. (mentre la seconda sembra divaricarsi al progresso e all’allargamento di diritti, eversione
delle regole, la prima non vi riesce ad adattarsi).

Ci sono sussulti che scuotono antiche incrostazioni, incrinano le ipocrisie del “centralismo
democratico” ma sembra arrestarsi sul fondo. Cresce un eclettismo confuso, e una generica
apertura nuove sensibile, rendendo inevitabile il cambio degli iscritti: nel 1987 il 7% dei voti si
riversa su altri raggruppamenti di sinistra (il “movimento verde” italiano segnato da politiche
estrenee all’ambientalismo e da una marcata rissosi interna).

Nel 1988 Achille Ochetto sostituisce Natta (che aveva sostituito Berlinguer alla morte senza
concludere nulla) e la caduta del Muro coglie un partito smarrito e in crisi di identità.

Ochetto poco dopo annuncerà a Bologna la ‘svolta’ “bisogna inventare strade nuove”.

Non aiutano però ne il congresso straordinario del marzo 1990 (Ochetto propone un nuovo nome
e un nuovo partito ed iniziano infatti a delinearsi fazione destinate a rimanere sorde, svanisce un
possibile coinvolgimento della sinistra sommessa“fase costituente”) ne quello del 1991, cui esito
inevitabile era la fine del PCI e la nascita del PDS e la contemporanea fondazione del Movimento
per la Rifondazione comunista. La svolta di Ochetto ha fatto emergere la scarsa rappresentatività
sociale della sinistra.

Nel frattempo la DC si stava erodendo con i processi di accelerata laicizzazione e il mutare dl


ciclo produttivo ed economico del nord, che portarono ad un aumento della delusione e
disorientamenti nei settori meno capaci di affrontare le sfide internazionali. Si configura una
“società del rancore” sempre più tentata dalla protesta antistatuale e dal populismo territoriale,
cui pesano le disfunzioni dello stato, i rapporti clientelari e la corruzione. Pesa l’incapacità politica
di orientare e favorire lo sviluppo. Mario Talamona suggerì la necessità di sostenere il modello di
sviluppo padano, che sarebbe stato il vero presupposto per una crescita in Mezzogiorno. Al
contrario le tensioni cresceranno sino all’esplosione delle Leghe. La Dc era particolarmente
distante da questa storia.

Ciriaco Da Mita si era candidato nel 1982 a riproporre il vecchio folklore congressuale, si propone
di dare un nuovo volto alla DC.

Ma qualche mese dopo la Dc viene sconfitta (33%), si indebolisce la leadership di de Mita e rivela
una diffusa consapevolezza della perdita di autorità morale.

Il rinnovamento demitiano è efficace solo in Sicilia, nel favorire la stagione del sindaco
democristiano di Palermo (1985-1990). Nel 1989 Andreotti, Gava e Forlani tornano al governo.
“banche, industrie di stato, rai cambieranno padroni” viene detto, così fu, ma la Iri tornerà in rosso
e molti verranno indagati per tangenti.

Si dissolvono le vecchie correnti e restano sul terreno poche tracce di aggregazione, come
Comunione e Liberazione: i suoi candidati ottengono successi sempre maggiori, aveva le sue
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roccaforti nelle scuole superiori, nelle università, con il confluire di differenti umori (nuove
sicurezze in sostituzione di quelle del 68 e 77; verniciatura modernista al modo di esser cattolico;
estensione della militanza; attenzione caritatevole verso il sociale; intervento concreto su fatti
quotidiani). CL veniva a convergere con alcun iaspetti del cattolicesimo conservatore del
Movimento per La Vita. Nel 1985 la fine delle giunte di sinistra rafforza la presenza istituzionale
della Cl, con un’attività molto radicata a Milano (pratica capillare nelle periferie, centri di
solidarietà, ospedali etc). Sono meno discreti i contribuiti e gli appalti alle cooperative di Roma
(vicinanza ad Andreotti e Sbaradella, proveniente dalla destra estrema, scatena lo scandalo della
giunta di Giubilo nel 1989). CL è lontana dall’arcivescovo di Milano e la rettore della Cattolica, che
nel 1983 lascia l’incarico.

Ottengono il sostegno di Papa Paolo II, che trova alleati nel referendum contro l’aborto (sconfitta
pesante). Il Papa è impegnato però nell’evanelizzaizone del popoli e nella creazione di una società
cristiana da restaurare sulla soglia el terzo millennio.

Nonostante l’aggiornare evidente della corruzione, i vescovi stessi che l’avevano denunciata
chiamavano l’unità politica dei cattolici.

Il crollo dei partiti avviene nel 1992, cui si sommano crisi economica, malessere sociale, degrado
istituzionale e crisi morale.

7. La frana
Nel 1989 il crollo del Muro e la fine del socialismo reale avrebbero fatto mancare ogni
giustificazione all’accordo per escludere il PCI dal governo. L’anticomunismo non aveva più
ragione di esistere, veniva usata come arma propagandistica.

Il trattato di Maastricht 1992, di adesione all’UEE, impone vincoli rigorosi e impone l’Italia a fare i
conti ogni declino del precedenti ciclo espansivo. I primi scricchiolii venivano dalla “marcia contro
il fisco” di Torino 1986 (parteciparono artigiani, commercianti, professionisti, lavoratori autonomi
ed indipendenti) che segnarono il Punto critico del rapporto stato-cittadini. Si avvertiva il pedo del
debito pubblico e il dilagare della corruzione, che facevano crescere una rabbia montante verso i
vertici dello stato. Lobbies e corporazioni smantellavano la legge finanziaria, poco si ci
preoccupava della critica dell’OCSE (considerava l’italia paese a rischio) tanto meno dei moniti
allarmanti del governatore di Banca d’Italia, Ciampi.

Nel 1991 Norberto Bobbio prevedeva una fine orribile per la prima repubblica ed un altrettanto
orribile inizio per la seconda, quando sarebbero rimasti gli stessi uomini al comando. Inoltre entra
in crisi il contratto fra fasce sociale e la classe politica di governo, basato su una redistribuzione di
risorse senza contropartite. Sempre nel 1991 viene presentata la Relazione della commissione
parlamentare sulla ricostruzione dell’Irpinia presieduta dal futuro Presidente Scalfaro: documenta
una spartizione di denaro publico tra imprese edilizie (private, pubbliche, camorristiche) con
assegnazioni di quote fisse (3%) a politici e clan criminale.

A Reggio Calabria è ancora in corso la guerra fra le cosche che provoca seicento morti, senza
contare le vittime in Campania e Sicilia. Illuminano gli elementi capaci di convivere con la nostra
modernizzazione e di plasmare i caratteri.

L’epicentro dello scontro è in Sicilia, ove in molte indagini è decisiva la legge che introduce il reato
di associazione mafiosa e sequestro di beni. Nel 1985 la commissione antimafia segnala che la
mafia si sposta verso il Centro-Nord. La Società civile ha volontà di reazione così come l’interno
dello Stato. Dopo l’assassinio del giudice Chinnici (1983) a Palermo Caponnetto da vita ad un
pool antimafia con Falcone e Borsellino: dal 1984 un boss inizia a parlare e si da il via a trecento
mandati di cattura. Nel 1986 inizia il maxiprocesso a Cosa Nostra e nel dicembre successivo la
sentenza condanna all’ergastolo boss come Riina, Greco, Provenzano. le condanne saranno
confermate in cassazione il 30 gennaio 1992. Tuttavia, dopo una serie di omicidi a giudici del
maxiprocesso e a persone civili che avevano criticato il racket, a febbraio il giudice Carnevale
accoglie in ricorso alcuni boss e ne decreta la scarcerazione. Altri in ottobre.

Giovanni Falcone, direttore dell’ufficio affari penali, nel 1991 afferma che al sud è centrale che lo
stato ristabilisca il monopolio dell’uso della forza e riaffermi le sue prerogative e la su
autorevolezza.

L’ultimo giorni del 1991 il presidente della repubblica Cossiga al posto degli auguri di buon anno,
pubblica un messaggio di tre minuti e mezzo per dichiarare un innaturale bavaglio per proclamare
un’ostentata autocensura dettata dalla prudenza: bisognava tacere su fatti che non potevano
essere taciuti.

Giunge al culmine una strategia politica e comunicativa che aveva investito magistratura e il
sistema dei partiti e il loro degenerare, colorata di populismo conservatore e presidenzialismo. Nel
1990 quando le indagini dei giudici Casson e Mastelloni fanno emergere i lineamenti
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dell’organizzazione stay behind Gladio, approntata dallo Stato a metà anni 50 in funzione
anticomunista. Cossiga, che ne faceva parte, difenderà Gladio. Nel 1991 chiede le dimissioni del
presidente della Corte costituzionale Gallo, reo di aver pronunciato un appello ai valori della
resistenza, dimenticati per lui. Un crescendo che porta i magistrati a proclamare uno sciopero.
Cossiga stesso si definisce “picconatore” contro un sistema di partiti e i limiti della Costituzione.

Nel 1992 rassegna anticipatamente le dimissioni con un ultimo messaggio in tv denunciato la


prepotenza delle oligarchie dei partiti. Ci sarebbe stato bisogno al contrario di un’alternativa
limpida al degradare della politica, che sembrò identificarsi con la “democrazia
referendaria” (riferimento i referendum per modificare il sistema elettorale proposta da Segni),
vissuto come strumento contro la partitocrazia. Importa poco che in quel clima la Corte
costituzionale bocci i referendum principali e autorizzi solo quello volto ad abolire le preferenze
multiple (considerato strumento di controllo clientelare), ancor meno conta l’invio di Craxi e bossi
e Disertare le urne: il 62% degli italiani andrà a votare e ne esce un plebiscito per il si (95,6%).

In quel voto si intrecciavano e sovrapponevano aspirazioni ad una riforma della politica e


propensioni ad un’antipolitica, esasperata poi da Tangentopoli.

Nel 1993 un plebiscito contro il sistema proporzionale porrà fine alla “prima Repubblica”, vi
partecipa il 77% dei cittadini, l’introduzione del sistema maggioritario al Senato ottiene il 82,5%
dei voti, e si afferma anche alla camera. Per l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti si
supera i 90%.

Titoli e commenti di quel periodo, contemporanei a quelli di Tangentopoli, ripropongo i contorni di


un’illusione (/autoinganno) di un’incorrotta società civile che trionfa su una partitocrazia corrotta e
invasiva, univo male sul paese.

Nel frattempo la Lega promuoveva programmi televisivi, dove prendevano parola parti reali della
società che si era modellata ed affermata negli anni ottanta mentre i politici diventavano simbolo
di un’Italia disprezzabile.

Già nel 1983 il successo della Liga Veneta aveva dato visibilità alle pulsioni anti-meridionali che li
e in Lombardia si trasformavano in “italiani oppressi dall’Italia”: si inveiva contro meridionali,
immigrati. .sono questioni che attraversavano le regioni più industrializzate del paese, percosse
da un sentimento di frustrazione, il distacco dal mondo politico tradizionale, la paura di veder
turbato il proprio mondo da altri italiani o stranieri. La lega è figlia del benessere e al tempo stesso
pausra che questa situazione abbia fine. Le dava alimento anche la disgregazione della politica. Al
tempo una massa enorme di cittadini era esente dal giusto carico fiscale, perchè trasformata in
clientela dei partiti governativi. La base ‘leghista’ è propio questo terziario settentrionale che sente
minacciato il proprio privilegio e abbandona il sistema. Si aggiungano le inquietudini dei lavoratori
delle ex grandi fabbriche milanesi, marginali rispetto al terziario. Poi le piccole imprese che
piuttosto che prendersela con se stessi credevano a qualcuno che utilizzava ‘roma ladrona’ e le
sue tasse come cappio espiatorio. Inoltre c’era la fabbrica asnella, con imprenditori più capaci di
innovare che erano a disagio per i servizi pubblici inefficienti. L’evasione fiscale poi era troppo
appetittosa e la pressione fiscale troppo alta.

La lega intercettava e alimentava molti umori, con semplificazioni brutali, gesti aggressivi, luogo
comuni come la crisi della subcultura cattolica.

Bossi ipotizza la divisione in tre dell’Italia e riunisce le realtà regionali nella Lega Nord. A Brescia
nel 1991 batte la Dc che crolla, diventando primo partito.

Gli umori alimentati dalla lega portano l’italia ad affrontar la trasformazione da paese di
emigrazione a paese di immigrazione in modo peggiore.

Gli immigrati si sentivano sia inclusi, esclusi e semi inclusi per l’applicazione disomogenea delle
legislazione e lavarietà degli atteggiamenti degli italiani. L’arcivescovo di Milano a Pasqua 1989
durante il lavacro dei piedi chiama dodici immigrati e invita a riflettere sul cammino verso
un’Europa multirazziale.

Pochi mesi dopo però viene ucciso un rifugiato politico sudafricano in uno dei centri di lavoro
stagionale per extracomunitari, per mano di un comando locale.

Il lavoro degli immigrati già al tempo rispondeva alle esigenze di assistenza degli anziani.

Nel 1990 la legge del socialista Martelli suscitava protesta dalla Lega e dal MSI.

Iniziava nel 1991 la prima ondata di immigrati dall’Albania e dopo dopo una seconda, che provoco
tensioni fortissime e rimpatri forzati.

Al tempo stesso iniziano i flussi dalla Jugoslavia e la direttrice proveniente dall’Est, insieme a
quella meridionale.

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V. Il crollo e le derive
1.la bufera di Tangentopoli
L’italia arriva al Trattato di Maastricht nel 1992 con un ceto politico irresponsabile, corrotto, e il
bilancio dello stato fuori controllo. Il 17 febbraio viene arrestato il socialista milanese Mario Chiesa
e le indagini portano rapidamente sul banco degli imputati un sistema di partiti ormai privo di
autorevolezza. Nel frattempo la mafia si sente accerchiata dopo la conferma in cassazione delle
condanne del maxi processo, e tradita da un governo che l’aveva protetta (il 12 marzo viene
assassinato un democristiano, Lima, a Palermo, che li proteggeva). Il 23 maggio a Capaci viene
assassinato Giovanni Falcone e il 19 luglio a Palermo Paolo Borsellino, due giudici.

Il procuratore capo di Milano organizza un pool con i giudici di “Mani Pulite”(tra cui Antonio di
Pietro), di nascosto fino alle elezioni di parole del 1992 quando il pentapartito crolla al Nord
lasciando la Lega raggiungere dal 10 al 20%.

All’indomani del voto la bufera giudiziaria infuria e prende corpo un sostegno popolare ai giudici: i
cattivi sono i politici, colpevoli di aver saccheggiato il Milano e il paese. Il sistema delle mazzette
non ha risparmiato alcuna istituzione cittadina. Dopo le dimissioni anticipate di Cossiga le
votazioni per il nuovo presidente della repubblica iniziano in uno scenario surreale, gli stessi
politici indagati, davanti ai magistrati pensavano di avere il diritto e il potere di poter eleggere uno
di loro. L’elezione solenne si apre così fra le risse, la candidatura di Forlani salta.

In quel clima giunge l’assassinio di Capaci, ai funerali la folle accoglie gli esponenti politici con
urla e fischi. Il Parlamento sembra comprendere che il paese è sull’orlo del baratro e nello
scrutinio successivo è eletto Oscar Luigi Scalfaro, cattolici e garantista, non sospettato di ruberie.
Due mesi dopo vi è l’assassinio di Paolo Borsellino, trovato con un braccio destro troncato segno
dell’impotenza di Stato e Giustizia in Sicilia. Anche a quei funerali esplode la protesta.

Negli stessi giorni inizia il processo a Mario Chiesa mentre le inchieste sulle corruzione di politici e
funzionari pubblici si allarga al paese.

Craxi, su cui gravano ombre, ritira la candidatura. La scelta cade su Amato, intellettuale socialista
estraneo alle peggiori logiche di partito. Nel frattempo Craxi in parlamento fa un discorso nel
quale afferma che si è diffusa la rete di corruzione grandi e piccole che segnalano il degrado della
vita pubblica .. ma se queste azioni sono criminali allora tutto il sistema è un sistema criminale.
Rimuove il proprio ruolo in quello stravolgimento. Un altro socialista propone un’amnistia per gli
indagati, in quanto la tangente sarebbe molto meno grave se raccolta per il partito. In realtà la
distinzione tra rubare per il partito e rubare per se stessi non era limpida, anche se il furto politico
era diventato onnipervasivo e corrosivo. Intanto le indagini giudiziarie dilagano e solo a Milano
conteranno 2497 indagati e 593 ordinanze di custodia cautelare.

Sono coinvolti Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli ma anche ex comunisti del Pds, anche se in modo più
limitato. Nel dicembre 1992 il primo avviso di garanzia per Bettino Craxi, sono accuse confermate
da ammissioni. Le indagini giungono anche alla Fiat e all’Olivetti: Carlo de benedetto, presidente
di quest’ultima, dichiara in un’interista che chi non era disposto pagare era escluso perfino dalla
possibilità di presentare offerte. Emerge al tempo stesso il coinvolgimento di una Estesa rete di
dirigenti pubblici.

All’inizio del 1993 il governo prepara un decreto retroattivo per depenalizzate il finanziamento
illecito ai partiti, ma contro quel decreto, che sarebbe come dire che la legge sul finanziamento
pubblico fu un errore, ci fu una mobilitazione inedita.

Il presidente Scalfaro blocca il decreto in quanto avrebbe esasperato una contrapposizione tra
società politica e società civile, già alimentata dagli attacchi dei politici iainquisiti ai giudici e
rafforzata ora comportamenti di alcuni magistrati. In particolare da un uso improprio della
carcerazione preventiva. La profonda corruzione del sistema dei partiti ha ora affidato ai magistrati
un ruolo decisivo e l’avvio di improprie supplenze.

La mobilitazione popolare per il decreto era unificata dalla protesta contro la corruzione e contro i
guasti della prima repubblica. vi era un senso di indignazione nei capisaldi della legalità e della
democrazia cui vi si aggiungano da una parte l’intenzionalità politica di utilizzare al massimo la
crisi delle forze di governo (sinistra e Lega, fiancheggiati dal MSI). Quando la camera nega
l’autorizzazione a procedere nei confronti di Craxi di fronte a palazzo Chigi venne innalzato un
manichino del leader in divisa da galeotto e innescata una reazione incivile contro di lui all’uscita
dell’hotel Raphael.

L’italia del 1945 ha rifiutato di considerare il fascismo peccato nazionale per assolversi da quel
peccato ed ora addebita a Tangentopoli e Craxi la stessa colpa, per assolversi da quel peccato.

Si avverte nel paese la possibilità che questo si dissolva e che l’Italia possa non esistere più. Le
pulsioni antipolitiche sono aumentate da un ceto politico ipertrofico, parassitico. La classe
dirigente italiana è simile alla nomenklatura sovietica.

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L’Italia liberale non ha saputo misurarsi con l’irruzione delle masse, accelerata dalla WW1, l’Italia
fascista è crollata insieme alla guerra. l’Italia del 1945 però, nonostante divisa in fazione, era unita
dal vivere comune, sentimento che manca all’Italia della prima repubblica. La combinazione tra
recessione economica e crisi molare è l’evento più minaccio per un paese, non può favorire quella
ricostruzione di spazio politico democratico urgente. Tutti i cittadini hanno avuto diritti da
rivendicare e continua ad averne oggi, ma questi non fanno riforme efficienti. Tuttavia non era
questo il clima prevalente tra i cittadini, che trionfavano una virtuosa società civile e una radiosa
seconda repubblica.

Pietro Amorese sarà il primo suicidio di Tangentopoli, dopo una lettera scritta in cui chiede
perdono per il disonore e per ciò che ha fatto. Seguiranno Sergio Moroni, che ammette di aver
intrapreso un cammino sbagliato accettando il sistema di contributi e sostegni per il partito,
negando con forza di averne tratto profitto personale. Non si dichiara innocente e si suicida.

Così anche il presidente dell’Eni, Gabriele Cagliari, che premedita il suicido nei 4 mesi di
detenzione a San Vittore: lo attua quando confessioni permettono di ricostruire la vicenda
Enimont: spregiudicatezza d’impresa, sprezzo delle regole, corruzione pubblica, avventurismo
finanziario e fondi neri.

Questi epiloghi ci dicono che quegli anni e quel potere sono finiti per davvero, per dirlo scelgono
l’estrema del suicidio.

2. La transizione mancata
Il debito pubblico rinviava a colpe sia della politica sia delle irresponsabilità del paese ,che
scaricava su esso consumi e modi di vita incompatibili con la fine dell’età dell’oro, incapace
quindi di progettarsi un futuro. Sale il governo di Amato (fino all’aprile 1993), privo di sostegno e
dal condizionamento dei partiti in dissoluzione. Al risanamento che vuole attuare Amato
contribuisce il senso di responsabilità dei dirigenti sindacali, come Trentin. La CGIL fa un accordo
che segna la fine della scala mobile: si introduce la tassazione minima per i lavoratori autonomi
(minimum tax) e una tassa comunale sulla casa (ICI). Inizia la privatizzazione industriale e
bancaria, si pone quindi fine all’IRI e si iniziano a correggere storture del sistema pensionistico.

Sono scelte sofferte dai sindacati, in quanto da tempo i salari reali erano in diminuzione e il
dissenso dei lavoratori esplodeva a più riprese. I lavoratori autonomi protestavano contro la
minimum tax, resa però necessaria da un’evasione altissima (che per i lavoratori era condizione di
sopravvivenza ed equità).

Il governo amato però registra le dimissioni insieme a molti membri dopo qualche mese, in quanto
coinvolti in Tangentopoli. Dopo che nel 1993 venne introdotta l’elezione diretta dei sindaci e un
plebiscito referendario aprisse al via al sistema elettorale maggioritario, Amato si dimette e
Scalfaro nomina il governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, come presidente del
consiglio, primo non parlamentare. Ciampi vara un governo di alta qualità, con anche il PDS, che
si dimette e astiene il voto di fiducia quando viene data l’immunità a Craxi.

Si registrano anche molte stragi mafiose nel 1993.

Ciampi prosegue il risanato avviato da Amato, e l’organizzazione di un accordo sul costo del
lavoro tra governo e parti sociali. Sono ribadite misure fiscali sul lavoro autonomo e previsti altri
provvedimenti, con nuove proteste.

Nell’autunno 1993 alle prime elezioni dirette dei sindaci Dc e Psi sono dissolti, c’è un vuoto al
centro dello schieramento, posto per i singoli canditati: Bossi e Ochetto. Nonostante la lega
conquisti Milano e molte città del Nord alla fine dei ballottaggi la sinistra trionfa a Roma, Napoli
Palermo e alter città. Il MSI però, fermo al 6% l’anno prima, raggiunge e supera il 45% a Roma e
Napoli e si ferma in diverse città, allentando i legami con il passato e trasformando in Alleanza
nazionale.

3. L’alba del ventennio berlusconiano


Già nel 1992 serpeggiava nell’aria l’idea che Berlusconi potesse entrare in politica. Nel 1993 lo
stesso afferma ai venditori di Publitalia che gli piacerebbe formare n partito ma non può.
Nonostante ciò il progetto è già in fase avanzata, vengono mandati dei documenti contenenti
lineamenti programmatrici, metodologia pratica per impostare una campagna elettorale e altro
ancora alla Repubblica.

La discesa in campo era ormai iniziata e quattro mesi dopo Forza Italia era primo partito italiani a
capo di una coalizione, il polo delle libertà che al nord si allea con la Lega e al sud con il MSI. La
coalizione raggiunge la maggioranza alla Camera (con il PDS sotto al 33%). Da li a poco le
elezioni europee portano la sola forza Italia oltre il 30% mentre il PDS, ora guidato non più da
Occhetto ma da D’Alema, sotto il 20%.

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Si delineava la “stagione di Berlusconi”, cui campagna elettorale ha avuto esito positivo mach epe
l’incapacità della sx di offrire un’alternativa credibile, basata su un rinnovamento del suo modo di
essere. Ignorava le macerie sulla scena fossero non solo frutto della corruzione ma anche della
partitocrazia e che era dunque necessario ricostruirsi un ruolo pedagogico, che prima i partiti
avevano. Così la sinistra formò coalizioni confuse e disomogenee che riproponevano vizi e riti
della politica screditata.

Al contrario Berlusconi aveva la capacità di vincere le elezioni (1994, 2001, 2008) e di sfiorare la
vittoria anche quando sembrava lontana (2006) . Ma una volta al governo, era incapace di
governare realmente di dar vita a coalizioni stabili e coese, entrando in crisi nel volgere di due o
tre anni: perderà per via dei suoi principali alleati, Casini e Fini, subendo anche i mutevoli umori
della lega. Se è nato un “popolo” di Forza Italia non è nato al contrario una nuova classe dirigente,
e il declino del leader per la sua vita privata ed imprenditoriale hanno portato alla “fine di un
regime”. Il potere di imprenditore televisivo fu largamente utilizzato per la propaganda indiretta
(spot di eccellenze della Fininvest, speciale sui trionfi del Milan) e diretta (campagna che lancia il
partito). Tutte le fasi che lo vedono al governo però si concluderanno con una sua sconfitta.

Berlusconi voleva fare i propri interessi, incompatibili con quelli dello Stato.

Alla convention di presentazione del partito alla Fiera di Roma Berlusconi annuncia la rottura
radicale con i partiti che hanno portato l’Italia al disastro, con gli uomini legati ad un passato
politicamente ed economicamente fallimentare e la sfida di un imprenditore che si è costruito e
che si candida a guidare l’Italia. In più fa leva sul miracolo italiano prossimo, su meno tasse e
burocrazia, su più posti di lavoro e una professione di liberismo, contraddetto però dal populismo
berlusconiano, capace di intercettare un antistatalismo di antica data, si affermavano i valori
dell’anti politica. A ciò univa la campagna contro il comunismo, apparentemente fuori stagione ma
comprensibile quando il Pds era presentato come strumento di “clonazione della partitocrazia”
che accomunando tutti i partiti della prima repubblica coagulando culture anti-antifasciste (quasi
neofasciste nel caso dell’MSI). Settori dell’opinione pubblica che non si erano riconosciuti/ si era
allontanati dalla prima repubblica ora andavano da Forza Itlaia, accomunati dall’insofferenza per
una politica invasiva e meno capace di orientare il paese. Il revanscismo di un ceto medio
spaesato raccolto dalla lega di Bossi che cercava l’autoassoluzione. Trionfa l’idea che le norme
siano adattate ai cittadini e non il contrario. I nuovi socialisti erano dipinti come amanti del denaro
e del potere ,estranei a tradizioni e progressismo, consonanti con una modernità dedita allo
spetttacolo. Quindi gli ex elettori socialisti vengono a Forza Italia. Inoltre l’ammaliante evocazione
del miracolo italiano, l’illusione di un’infinita età dell’oro, di poter compensare il debito pubblico
con il ciclo economico e del patto con gli italiani, che vent’anni dopo verrà trascinato con
Berlusconi nell’affondare. Ma neppure la sinistra abbandonò facilmente quell’illusione, condividerà
politiche di rigore solo n nome dell’emergenza, quindi stanno prive di una capacità i convinzione e
contrastate dalla sinistra estrema.

La morte della Dc aveva scoperto l’istituto di destra che l’Italia alimentava silenziosamente, si
smarrì anche la ricetta democristiana di trsfromarlo in moderatismo italiano.

4. Una “seconda repubblica” mai nata


Il primo governo Berlusconi era una coalizione anomala: il leader di AN Fini elogiò pubblicamente
Mussolini e proponeva, nel mezzo delle guerre in ex Jugoslavia, il ritorno all’Italia di Istria e
Dalmazia.

Berlusconi nel frattempo aveva rinunciato al ruolo di imprenditore ma ‘occupava’ la rai,


contribuendo alle dimissioni del consiglio di amministrazione nominato l’anno prima.

Si considerino i nodi della giustizia, Scalfaro ha chiamato preventivamente al rispetto della


costituzione il governo: la nomina di guardiasigilli non venne data a Previti, su cui gravavano
ombre, ma a Biondi. Questi fede approvare un decreto legge che ridusse l’uso della carcerazione
preventiva e mise in libertà molti inquisiti, ma un ripensamento di lega e AN porta al ritiro del
decreto. Biondi decide un’ispezione contro il pool di Milano. Nel frattempo il fratello di Berlusconi,
Paolo, venne indagato per la corruzione della Guardia di finanza, Berlusconi riesce però a
condotte un attacco alla magistratura, senza crolli di popolarità, e senza ostacoli grandi da parte
di lega e An, prima fila nel giustizialismo. Questo perchè il biennio Tangentopoli si era tradotto in
voglia di vendetta e giustizia per i responsabili di quello scempio ma aveva assuevfatto la gente
alla normalità dei comportamenti illegali.

In politica economica sfuma l’illusione di 1 milione di posti di lavoro ma viene fatta la sanatoria
fiscale, con l’estensione fino al 1993 del condono edilizio di 8 anni prima. Viene carta una riforma
delle pensioni, in sfida con il movimento sindacale e provoca quindi proteste, e viene ritirata dopo
tensioni in Parlamento e la presa a distanza della Lega.

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Mentre a Berlusconi giunge il primo avviso di Garanzia, Bossi dichiara caduto il governo. Il
Cavaliere chiede il ritorno immediate alle urne ma Scalfaro affida la guida del governo tecnico si
transizione a Lamberto Dini. Scelta in contraddizione con il sistema maggioritario, anche se
ineccepibile in base alla Costituzione.

Il primo governo di Berlusconi viene considerata esperienza conclusa, e in questa direzione


spingevano i risultati positivi del centro sinistra nelle lezioni regionali del 1995. Tuttavia venne
sottovalutato la sconfitta dei referendum sul sistema televisivo proposti dalla sinistra, per limitare
l’impero Fininvest, il quale vinse utilizzando la potenzialità delle sue reti.

Dini però varò una riforma delle pensioni ratificata da un referendum che instaurò un reale
rapporto fra i contributi versati e la pensione percepita.

5. Il riformismo soffocato
A molti parve una parentesi l’irruzione di Berlusconi e venne rimossa l’esigenza di un radicale
rinnovamento della politica. Questo scenario condizionava la scelta del Pds e del Partito Popolare
(eredi di Pci e sinistra Dc) di dar vita all’Ulivo, una coalizione elettorale guidata da Prodi. Questa
vinse nel 1996 in stretta misura, quindi aveva bisogno del sostegno esterno di Rifondazione
comunista. L’idea base della campagna di Prodi era un ritratto dell’Italia che ‘noi vogliamo’, ma
non faceva i conti con i litigi e le invidie della coalizione di centro sinistra. Neglette apparivano le
necessità di recuperare un senso dello Stato, fortemente indebolito da un paese troppo abituato,
come invitava Berlusconi, a inseguire i propri estri individuali.

La prima legislatura di centrosinistra era importante e le difficoltà accentuavano l’esigenza di un


progetto ideale per rimette in movimento la società italiana, capace di comprendere le ragioni e
necessità dell’ingresso in Europa, e quindi proseguire il risanamento avviato da Amato e Ciampi
(che aveva avuto risultati positivi, il rapporto fra debito pubblico e Pil scese, così inflazione, si
conitnuò la privatizzazione e si migliorò la riforma delle pensioni di Dini). Il primo governo prodi si
occupò di questo e i consensi al centrosinistra non vennero meno. Alla fine del 1997 vennero
confermate alle elezioni amministrative le vittorie pre ascesa di Berlusconi.

L’ulivo non era stato penalizzato da drastiche misure di risanamento e da inasprimenti fiscali.

Anche all’indomani della caduta di prodi (un anno dopo) i consensi del centrosinistra erano
positivi, Rifondazione Comunista però cercava di affondarlo anche quando si vedevano i segni del
risanamento (Rifondazione chiese una riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore). Lo stesso ingresso
in Europa, realizzato grazie a Ciampi, sembrava avere limiti nei parametri fissati a Maastricht, ma
alla fine del 1998 era in atto il calo della pressione fiscale e titolare.

Le nazioni europee rischiano il declino se non si adattano ad un’economia globalizzata ed occorre


cambiare abitudini delle democrazie Europee, ma il futuro individuale si fa precario. È inevitabile
avviare l’unificazione attraverso la moneta ma bisogna dare un contesto istituzionale, culturale e
politico. Il processo rendeva necessaria una politica all’altezza e lo spirito dell’Ulivo sembrava
andare in quella direzione. Ciononostante, si radicava il disincanto per le scelte logoranti
quotidiane di rifondazione e per lo svilimento delle forme nuove di politica dell’Ulivo, a partire
dall’esperienza dei sindaci.

D’Alema, segretario di PDS, ribadisce un’astratta supremazie dei partiti sulla società civile. Per lui
“l’idea che si possa eliminare la politica come ramo specialistico per restituirla ai cittadini è un
misto estremista”. Nella crisi del 1992-94 rappresentanze consistenti della società civile erano
entrate nelle istituzioni sotto la lega e forza Italia dove vi avevano portato regole dell’antipoltiica,
diffidenza nei confronti dello stato e le pulsioni all’ascesa individuale, insieme a rancori e volontà
di rivalsa maturate con la crisi.

Trovarono poco spazio quelle parti della società italiana che avevano il loro riferimento nelle
culture riformatrici nel rispetto dei calori e dei vincoli collettivi. Il centro sinistra vedrà isterilissi il
proprio ceto politico e le proprie dinamiche interne, in quanto incapace di rifondare i cardini
essenziali della cultura di sinistra e non attivo all’urgenza di ripensare il proprio modo di essere.
Riemerse una corruzione pervasiva, che avrebbe coinvolto il centrosx più che in passato. Inoltre si
guardi all’inadeguatezza politica della generazione successiva, pur cresciuta negli anni del
miracolo economica e d una forte apertura culturale e di un diffuso protagonismo collettivo. Nella
crisi ella repubblica saranno provvidenziali le figure che rinviano all’origine della repubblica
(Scalfaro, Ciampi, Napolitano). D’Alema presiederà una Commissione Bicamerale per le riforme
costituzionali, istituita nel 1997, che avrebbe dovuto disegnare le istituzioni della II repubblica ma
cui fallimento pesò l’inaffidabilità della Lega e di Berlusconi, presenti. La giustizia entrò fra i temi in
esame: u giurista equilibrato, Cheli, temeva la messa in discussione di indipendenza della
magistratura, terzietà dell’organo giudicante, obbligatorietà dell’azione pensale. In generale
emergeva la mancanza di un vero spirito costituente della Bicamerale e dell’intera classe politica.

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La caduta del governo Prodi segna la fine del progetto originario, confermato dalla ricerca di
un’altra maggioranza in parlamento, che contraddiceva lo spirito del sistema maggioritario e
costringeva il presidente incaricato d’Alema e correre al raggruppamento di spezzoni in uscita dal
centrodestra e Cossiga. Si tornava all’importanza delle poltrone, traguardo di sofisticate strategie
politiche, dove gli egoismi trionfavano sui fini dell’alleanza. L’elezione di Ciampi a presidente della
Repubblica fu l’unica a maggioranza, lui sosterrà la costruzione dell’Europa eta valorizzazione
dell’identità nazionale.

Prodi nel 1999 present una lista per le elezioni europee. Il centrosinistra ex Pci però perdeva
Bologna che passava alla destra.

Un malinconico declino per una legislatura iniziata all’insengna del bipolarismo porta ad un nuovo
governo guidato da D’Alema. Questi governi ebbero meriti, come l’equilibrio durante la guerra in
Kosovo. Ma dopo la sconfitta del centrosinistra alle regionali del 2000 D’Alema da le dimissioni.
La vittoria del centrodestra è inevitabile ma il governo viene affidato ad Amato dal centrosinistra
che gli toglie autorevolezza indicando Rutelli come candidato premier. Il centro instar aveva
riproposto i tratti di una vecchia screditata politica per questo viene sconfitto nonostante il
risanamento economico sia concreto. Il governo Amato rimborsò la tassa ‘una tantum’ sull’Europa
introdotta dal Governo Prodi.

Nel 1999 il Censis segnalava il prevalere degli egoismi individuali e di ceto, la moltiplicazioni di
paure, l’erosione della legalità: andava in crisi l’espansione dei ceti medi, alla base della
modernizzazione italiana.

Emergeva di nuovo Forza Italia (“partito di plastica”,privo di solide radici territoriali e fondato su
un’aggregazione estemporanea), che nella sua inafferrabile e multiforme identità sembra
rispondere bene ad un paese sfuggente e in perdita di valori, in sintonia con tendenze delineate
ben oltre i nostri confini. Innervato in profonditi dal conflitto di interessi e dalle vicende personali
del premier ma capace di conquistare consensi al fronte del riemergere dei peggiori vizi della
politica italiana. Berlusconi riusciva ad imporsi anche se pluri-condannato, celebrava il ritorno di
una lega in difficoltà (sorvolando su alcune scelte: creazione di un parlamento secessionista di
Mantova; voto ai gazebo per la repubblica padana; elezioni parlamento leghista). Berlusconi
invase i teleschermi, le città si riempivano di sue immagini le poste recapitavano una storia italiana
(con il suo programma preceduto da una biografia del leader con tanto di fotogrammi, dalla
famiglia, al destino scritto nel firmamento, al successo imprenditoriale). Nel salotto di Bruno Vespa
firmò un “accordo con gli italiani”, promettendo diminuzione delle tasse, aumento irrealistico dei
posti del lavoro, grandi opere pubbliche, aumenti delle pensioni- promise di non ricandidarsi
quando non avesse realizzato 4/5 punti. Nel 2001 il centrodestra aveva una significativa
maggioranza, Forza Italia era il primo partito.

6. Mutamenti di scenario: dall’11 settembre al 13 novembre 2015.


L’11 settembre 2001 ci fu all’attacco terroristico alle torri gemelle di NYC, vissuto quasi in diretta
in tutto il mondo. Era una violenza simbolica, il Washington post annota come le politiche del
nostro tempo siano in allerta, in un mondo in cui tutto è certo e la minaccia è continua e
imprevedibile. Le politiche coinvolgono il quotidiano, lo riscopriamo negli attacchi del 2002 a Bali,
2005 a Madrid e Londra, 2015 prima in Tunisia, Kuwait, Somalia e Francia per ben due volte (il 13
novembre allo stadio dove era presente Holland e al Bataclan). Si ha la sensazione di essere
entrati in un infinito giorno dopo l’11 settembre. I nemici hanno la base solida nel Califfato
islamico ma non si ferma li.

Non era destino scritto che andasse così, ma all’indomani dell’11 settembre Bush annuncia la
guerra al terrorismo (Afghanistan) e a tutti gli stati che lo proteggono (“guerra preventiva”) con
strategie di contenimento e deterrenza della guerra fredda. Da qui l’attacco in Iraq nel 2003, e la
minaccia a Siria ed Iran. L’Inghilterra e l’Italia (forzata da Berlusconi) sono con l’America,
Germania e Francia in aperta opposizione. Sul finire del 2003 Hussein viene catturato ed umiliano
e subito dopo vengono pubblicate le imagini delle torture del carcere di Abu Ghraib. Inizia con al-
Zarqawi (al Qaida iracheno) il percorso che porta alla proclamazione dieci anni dopo del califfato
di Al-Bagh-dadi. Percorso accompagnato dal moltiplicarsi di decapitazioni e assassinii pubblici
messi in rete. Lo stato islamico si forgia in Iraq ma fruisce della crisi degli stati in seguito alle
primavere arabe (Siria, Libia post Gheddafi). La jihad (guerra santa) è volta a modificare i confini
decisi dagli accordi Sykes-Picot del 1916. L’isisi trova e forgia combattenti anche in Occidente
(foreign fighters); migliaia dall’Europa, dove vi ritornano per perseguire una guerra di
annientamento. Il Califfato fa breccia grazie al fondamentalismo islamico, alle disperazioni della
modernità. In tutto il mondo sono costrette a fuggire 40milioni nel primo decennio 2000, più di 60
nei quattro anni dopo. Crescono anche le vittime di questi viaggi clandestini.

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In Europa vengono chiuse nell’estate 2015 le frontiere (muro in Ungheria) e ci sono altre forme di
respingimento. A partire dalla Germania della Merkel, si diffondono atti di solidarietà civile ma il
crescere stesso dei flussi provoca l’estendersi dei respingimenti e rende difficile l’accoglienza.

È anche difficile distinguere i profughi di guerra da quelli per motivi economici. Gli ultimi flussi nel
mediterraneo gli intrecciano e sovrappongono e modificano la fisionomia del nostro paese: 5
milioni sono gli immigrati nel 2015, mentre erano 2 nel 2004. Si profila la quesitone della
cittadinanza italiana ed europea.

L’istruzione appare luogo decisivo dell’intervento pubblico e dell’impegno culturale del paese.

Nel 2004 la costruzione dell’UE ha una forzatura ancora più grande con l’ingresso di dieci paesi
appartenenti all’ex URSS, con realtà economiche e culturali differenti, ma avevano bisogno el
sogno europeo per superare le tragedie del passato. La cultura era chiamata in causa quanto la
politica in ambito europeo ed entrambe fallivano: dieci anni dopo i cittadini europei vivono in
un’unione prima di strumenti istituzionali efficaci, esposti Ale pulsioni nazionaliste ed incapaci di
comprenderne le radici. Esplode così il momento nazionalista di Le Pen, al ballottaggio per le
presidenziali francesi nel 2002, e con lui si diffondono movimenti non dissimili in tutta Europa. Si
guardino i pronunciamenti referendari contro l’Euro in Danimarca (2000) e Svezia (2003) e Francia
e Paesi Bassi contro la costituzione europea (2005). In italia questi umori vengon impersonati dalla
lega.

Nel 2008 scoppia la crisi finanziaria e alimenta nuove insicurezza, nazionalismi, xenofobie e
populismi. La crisi amplifica la frattura e il tracollo più grave è in Grecia che aveva falsificato i
conti pubblici. la crisi in Grecia è dovuta alle responsabilità dei governi: sin dall’ingresso del 1981 i
crediti vennero utilizzati per scopi diversi da quelli designati, con il rigonfiamento abnorme
dell’impiego pubblico per conquistare clientele, l’aumento delle pensioni, la creazione della
“ricchezza artificiale”. In Spagna esplode una “bolla edilizia” alimentata dall’espansione
esasperata del settore immobiliare. In Italia il premier Berlusconi negli anni di governo (2001-2006,
2008-2011) è incapace di comprendere che il debito pubblico è un barile che sta per esplodere e
lo farà cescere. Non siamo stati lontani dal ‘caso greco’.

7. Un lungo regno
Nel 2001 torna Berlusconi al governo: abolisce la tasse di successione per i redditi alti (già abolita
per quelli medio-bassi) e altri sgravi fiscali vengono fatti anche se inferiori a quelli promessi.

I condoni del 2002-03 premiano ed incoraggiano evasione illeciti, da quello fiscale a quello edilizio
(nel 2009 il ripetersi dei Condoni portano all’allentamento dei controlli e ad un abusivismo
‘tecnicamente pericolo’, contribuiscono al declino della moralità pubblica alimentato dalla
diseducazione civica di un premier che è comprensivo per chi sfugge ad un ‘fisco esoso’. La
scena è occupata anche dalla “finanza creativa” del ministro dell’economia Tremonti
(“cartolarizzazione” di molti beni pubblici in vendita: gli introiti erano anticipati dalle banche con
uno sconto sul prezzo) per occultare la gravità della situazione. La coalizione di governo va in crisi
nel 2004 e il ministro è accusato da Fini e Casini di aver truccato i conti. estromesso, tornerà al
ministero dell’economia in quella e nella legislatura del 2008.

Il premier irrita con certe uscite i capi di stato e le opinioni pubbliche di altri paesi, diventa lo
zimbello della stampa e viene accusato di poter innescare una crisi finanziaria mondiale. Lo
scherno nella Merkel e in Sarkozy pongono fine alla sua posizione di leader internazionale. Non si
sottovalutino i guasti del “personalismo” che segna l’azione tra Bush e Putin.

In quel quadro le istituzioni non contano e la costituzione è di intralcio a Berlusconi.

Durante la guerra in Iraq l’Italia era stata inserita dagli americani tra i paesi che sarebbero
intervenuti con mezzi in assetto di guerra, Ciampi si oppose ma Berlusconi dichiarava la necessità
della comunità internazionale di intervenire come esportatrice di democrazia e libertà del mondo
intero. Aggiungeva ch epotrebbe richiedere un cambiamento nel diritto internazionale che
prevedeva l’inviolabilità della sovranità degli stati. Grazie a Ciampi, la presenza italiana in Iraq si
limita all’operazione peace keeping Antica Babilonia anche se fu esposta ad attacchi tragici
(Strage di Nassiriya novembre 2003). Ciampi invia alle camere un messaggio in difesa del
pluralismo ma non firma la legge Gasparri sulle televisioni infrangendo quel pluralismo e legalizza
export illeciti precedenti. Berlusconi ritiene il rinvio alle camere come ‘atto di guerra’ nei confronti
del governo e di lui stesso, in quanto la sua Mediaset ne sarebbe uscita danneggiata. Ciampi
conferma l’eclatante conflitto di interessi esistente. Non si dimentichi il decreto legge che salva
retequattro, in spregio alle leggi esistenti e alle sentenze della corte costituzionale (sarebbe
dovuta andare sul satellite, non si potevano possedere più di due reti). Vengono fatte una serie di
leggi ad personam da parte del premier, mettendo in discussione gli architravi della Costituzione,
in primis l’equilibrio fra i tre poteri fondamentali: l’escalation ha avvio nel 2001 con la
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depenalizzazione del falso bilancio e con la legge che limita le reggitori internazionali. Segue la
legge Cirami sulla remissione dei giudici per legittimo sospetto che allunga i tempi processuali e la
Ex Cirelli che accorcia quelli della prescrizione. Il lodo Schifani sospende i giudizi per le alte
cariche dello Stato (bocciato dalla Corte) e la legge pecorella che nega al pubblico ministero
l’appello in caso di assoluzione (incostituzionale). La legge Castelli sull’ordinamento giudiziario
avrebbe indebolito la magistratura ed accentuato i poteri del ministro della giustizia. Ciampi la
rinvia alla camera. Anche la legislatura del 2008 sarà contornata da leggi ad personam. Si
aggiunga il tentativo di limitare l’azione della magistratura e della stampa con una “legge
bavaglio” sulle intercettazioni (2010) e un progetto di riforma della giustizia per modificare
l’equilibrio costituzionale (per berlusconi, con questa legge ‘Mani Pulite’ non avrebbe avuto
luogo). Il premier voleva riscrivere la costituzione mettendo al vertice un capo eletto direttamente
dal popolo, subordinando alla sua volontà il potere esecutivo e legislativo. Comprensibile perchè
Berlusconi perda rapidamente credibilità alle elezioni del 2004-05. Nella certezza di una sconfitta,
viene varata la legge Calderoli, pensata per rendere difficile la prevista vittoria del centrosinistra
(bocciata dalla corte). Una truffa istituzionale resa inutile in quanto il centro sinistra si suicida da
se, mettendo in campo una coalizione (Unione) con rifondazione, il cattolicesimo clientelare
dell’Uder e il giustizialismo conservatore dell’Italia dei valori di Di Pietro. Mancava una visione
generale e c’era rissosi interna. Alle urne del 2005 Romano Prodi vinse plebiscitariamente.

La composizione dell’Unione condiziona l’azione del governo. La legge finanziaria del 2006 è
messa a dura proda, ma migliorata dal ministro dell’economia Schioppa (resistenze corporative
ridimensioneranno poi le privatizzazioni tentate dal governo in alcuni settori, dalle farmacie ai taxi).
Si evidenziava l’incapacità di governo del centrosinistra.

Berlusconi ha la possibilità alla fine del 2006 si portare in piazza a roma il suo ‘popolo’, con
violenti strali contro la sinistra. Acquista il consenso del popolo.

Crescono però le tensioni interne al centrodestra e alla fine del 2007 a San Babila Berlusconi
annuncia la nascita del Popolo Della Libertà, dove avrebbero dovuto confluire le componenti
dell’alleanza. Contemporaneamente il centrosinistra smarrisce i suoi riferimenti culturali e sociali,
le divisioni del governo caratterizzano la formazione del Pd. Si disperdono le speranze di
rinnovamento e alle “primarie” del 2007 viene eletto Veltroni.

Dal paese vengono segnali di insofferenza nei confronti del sistema politico, dei suoi abusi,
sprechi e privilegi. Beppe Grillo nel V-Day a piada maggiore a Bologna parla di distruzione dei
partiti, cancro della democrazia.

All’inizio del 2008 le contraddizioni del centrosinistra esplodono per le intemperanze di


rifondazione comunista e le convulsioni di Udeur.

Il risultato delle elezioni du quell’anno vede il centrodestra senza Ucd con il 47% dei voti, e una
maggioranza solida in parlamento. Lo scontro interno al Pd porta alle dimissioni di Veltroni e alla
sua sostituzione con Pierluigi Bersani. Berlusconi, incurante della crisi economica, realizza
l’abolizione dell’Ici, promessa alla fine della campagna elettorale del 2006, e vara altre leggi ad
personam. Propugna una politica del fare, con l’apice al terremoto abruzzese del 2009: decide di
spostare all’Aquila la riunione del G8 in programma all’isola della Maddalena, in una gigantesca
promozione mediatica e con mirabolanti progetti che pregiudicano una ricostruzione vera (stessa
cosa del terremoto del 1980). Partecipa alle celebrazioni del 25 aprile a Onna, colpita dal sisma e
poco dopo si precipita a festeggiare la diciottenne Noemi Letizia. È solo l’inizio delle vicende di
Ruby che scoppieranno l’anno dopo, una minorenne marocchina Fermat per furto, che il premier
libera e la dichiara nipote del presidente egiziano Mubarak e la affida a Nicole Minetti, eletta alla
regione Lombardia e al centro di una rete di escort. Alle elezioni regionali del 2010 il Pd supera di
poco il 26% e la vittoria del centrodestra è netta. La forte avanzata della Lega però maschera
l’indebolimento del Pdl. Il premier e Fini rompono i rapporti, a luglio viene espulso il cofondatore
che fonda un effimero movmento. Dopo aver superato a stento il voto di fiducia di dicembre 2010,
la maggioranza di centrodestra sopravviverà per un anno, grazie all’inadeguatezza
dell’opposizione, ma entrambe assistono parallelamente al loro declino.

Il reddito annuo procapite era cresciuto ininterrottamente fino al 2007 per subire una frenata e
scendere nettamente, inevitabilmente diminuiscono anche i consumi. Il Censis alla fine del 2010
delinea un’Italia mancante di regole, con illegalità e sfiducia diffuse. Deteriora la nostra immagine
a livello internazionale.

1milione di posti di lavoro vengono distrutti dall’inizio della crisi, in 9/10 casi appartenevano al
mondo precario. Anche i distretti economici si incrinano. Si contano 14 suicidi nel 2010 di
imprenditori del nord-est-

Cadono gli elementi costitutivi dell’egemonia culturale di Berlusconi, già sbiadita la fiducia del
‘secondo miracolo italiano’ e si dissolveva la sua capacità di offrire rappresentanza e speranze.

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L’imprenditore che si era fatto da se aveva contribuito al declino del paese, esposto alle
congiunture negative. Il premier aveva come unica bussola il proprio impero ed immunità
giudiziaria. La personalizzazione della sua prima politica era corrisposta ad umori reali, ora era
incompatibile con il popolo.

Il centrosinistra vi assiste passivamente, ma le consultazioni elettorali del 2011 lo rianimano.

Stride però il divario fra i costi pagati dal paese e il permanere di abusi scandali della
partitocrazia. Il Pd doveva invertire la deriva, ma lascia il campo al M5S di Grillo. La situazione
economica precipita a fine luglio in borsa, lo spero sfiora i 400 punti, pericoloso, e ciò comporta le
perdite economiche quotidiane. Il 3 agosto Berlusconi nega la gravità della crisi, il 5 la BCE
manda un diktat: anticipare al 2013 il pareggio di bilancio previsto per il 2014, iniziando con
interventi pr tagliare la spesa a stimolare l’economia.

Il premier risponde con misure pesanti, insufficienti e sbagliate (doppio condono fiscale ed
edilizio). Ad ottobre la camera boccia il bilancio, il governo ottiene la fiducia per un voto ma arriva
un ultimatum dalla UE. È interessante come la Banca d’Italia nascondesse un decreto di chiusura
dei mercati finanziari.

Il 9 novembre lo spread aveva raggiunto il picco di 575 punti e il presidente della repubblica
Napolitano, succeduto a Ciampi nel 2006, nomina senatore a vita Monti. Le defezioni del Pdl
provano il disfacimento di un “regime”, il 12 novembre Berlusconi rassegna le dimissioni e da li a
poco nasce un governo tecnico guidato da Monti.

8. La metamorfosi della corruzione


Il definitivo declino della stagione Berlusconi si intreccia con quello del sistema dei partiti, minato
da una corruzione profondissima: è molto più grave la devastazione etica e politica che sta
vendendo alla luce oggi rispetto a Tangentopoli, ora non si ruba per i partiti ma prevalgono gli
individui e le loro carriere. La stampa parla di P3.

Una colossale espansione dell’arricchimento privato a spese del bene pubblico che si insinua
anche nei più piccoli meandri e non cerca di mascherarsi con motivazione politiche, la mola
dell’indignazione non scatta nel popolo per mancanza di codici cui aderire.

Gli importi accertati in sentenze di primo grado, segnala la Corte, hanno ripreso ad aumentare
dalla fine degli anni novanta ma ogni allarme è caduto nel vuoto.

I primi segnali all’indomani stesso di Tangentopoli e nel 1996 venne arresto il presidente delle
Ferrovie dello Stato.

Non si è usciti da Tangentopoli: le normali vie di uscita non possono essere sufficienti per
l’estensione capitare della corruzione e l’incapacità congenita che hanno le classi amministrative
e imprenditoriali di espellere le cellule malate. Queste rischiano una società ostile alla poltiica, non
governabile. Ci furono molti processi allora, ma mancò quello simbolico che l’ultimo Pasolini
proponeva: una rifondazione etica capace di rispondere al degradare del palazzo e alla
“mutazione antropologica”.

Nel 2005 uno scandalo colpisce Banca d’Italia, cui governatore Fazio è costretto alle dimissioni.
Sono coinvolti anche le scalate alla banca nazionale del lavoro, alla Antonveneta, RCS e Unipol: i
verbali parlano di “gruppo criminoso” e “spartizione di bottino” garantita da una “rete di
protezione di partner di affari”.

Nessuna persona coinvolta, che corrisponde a i consiglieri di quasi tutte le regioni italiane, nelle
inchieste aveva la percezione dell’errore o del crimine. Dal riparte per il partito e per la politica si è
giunti a rubare al partito e alla politica.

Negli scandali vengono coinvolti anche il tesoriere della Lega e Umberto Bossi con famiglia.

Alla fine del 2011 un sintetico bilancio passa “dagli appalti milionari della Protezione civile ai due
mila euro con cui funzionari del comune e dell’Ines di Napoli promuovevano i finti ciechi”.

Sono indagati o condannati numerosi parlamentari e amministratori locali, da Parma, Napoli,


Firenze.

Le inchieste nel 2012 dilagano a due ragioni-simbolo: la Lombardia, già protagonista l’anno prima
di un ex vicepresidente con in casa centomila euro in contanti, ora crolla l’immagine del suo
onnipotente presidente, Roberto Formigoni, criticato anche dalla sua organizzazione CL. Le
indagini coinvolgono un numero altissimo di consiglieri e fanno emergere voti comprati alla
’Ndrangheta. Subito dopo è la volta del Lazio dove il capogruppo in consiglio regionale del PDL,
Fiorito, raccolte una valanga di preferenze, ‘Batman di Anagni’, organizza un toga-party stile
antica Grecia.

Al tempo di Tangentopoli si erano interagiate una sensazione di dramma e un’autoassoluzione che


trovava nella politica la sua giustificazione. Questi fattori si sono via via dissolti, lasciando il
campo al “predominio del se”. Crollano il mito del buongoverno (che era dalle regioni rosse
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all’Italia dei sindaci’) e le stesse preferenze, simbolo di corruttela. Il possibile ricambio italiano è
possibile solo da un’assunzione di responsabilità individuale da parte di tutti.

Nel 2013 si assiste allo scandalo di Monte dei Paschi di Siena e nel 2014 ci sono arresti per
l’Expo di Milano (portano alla nomina di un consigliere anticorruzione, Cantone) e quelli per le
tangenti del Mose di Venezia (vengono travolti l’ex presidente della regione Veneto, Galan, il
sindaco di centrosinistra di Venezia Orsoni ed altri). Nel 2015 scoppia “Mafia Capitale” che
espone l’amministrazione comunale a rischio scioglimento per infiltrazione mafiosa.

Si veda il prsorso del principale protagonista, Carminati (nel Nar e nella banda criminale Magliana)
che ha raggiunto i centri del potere romano grazie al sindaco Alemanno, con trascorsi neofascisti.
Politici amministratori, funzionari comunali vengono arrestati a decine tra dicembre 2014 e giugno
2015 e dalle intercettazioni trapelavano considerazioni soddisfatte.

9. Terre incognite
A questo punto è difficile illudersi ancora sulle salvifiche virtù della “società civile” com’era
avvenuto nella crisi della prima repubblica. Il paese è bloccato in un’immobilità invincibile, con
una società cinica che sta deragliando verso un individualismo tradizionale e riottoso al
cambiamento. Sembra in discussione l’intera classe dirigente, non c’è categoria che non annaspi
davanti al futuro fra scandali, clientele, omissioni difese di privilegi e status quo. Sorge il dubbio
che siano frutto di un paese che ha perduto il valore condiviso della comunità.

Il paese si disgrega, intrecciandosi con la disgregazione dei partiti tradizionali aprendo la strada
ad un nuovo ceto sociale più attivo nel campo della politica ma privo di cultura e valori, famelico
di visibilità e influenza. Ma la società italiana può far leva su una responsabilità collettiva, già
preziosa nei passaggi chiave della satira nazionale, o la presenza di comparti vitali nell’economia,
creatività culturale. Manca però un segno ideale e politico.

All’esordio del governo tecnico di Monti nel 2011 i sondaggi registrano un crollo verticale della
credibilità dei partiti e una larga fiducia per il nuovo premier, estraneo alla politica e competente in
economica. Centrali sono le prime misure del governo, drastiche: fondamentale è risanare
l’economia e delineare il futuro (versante non tentato). Viene varato il decreto “salva-Italia”, dove
sono chiari i sacrifici: riforma delle pensioni (maggiore età, fine del sistema retributivo e
generalizzazione di quello contributivo) per porre fine ad un aggravio dei conti pubblici;
reintroduzione dell’ICI; aumento dell’IVA e altro. Furono assenti però misure per rilanciare lo
sviluppo e troppo timide le riduzioni della spesa pubblica, debolissimi i segnali di equità sociale.

dall’Europa giungono giudizi positivi.

Nel dic 2012 dopo un anno di governo Monti, il rapporto annuale dell’ISTAT segna come sia
diminuita la ricchezza ma cresciuta la diseguaglianza. Il Censis pone al centro la divaricazione fra
le istituzioni e un paese impoverito: la politica non ha avuto lo spessore per generare forza
collettiva, non è scattata la magia dello sviluppo di governo e popolo. Si appanna il prestigio di
Monti e crolla la credibilità dei partiti anche con l’aggravarsi degli scandali.

Le elezioni amministrative del 2012 vedono crollare Lega e PDL nelle roccaforti tradizionali mentre
irrompe il M5S di Grillo sulla scena. Alle elezioni regionali di ottobre si afferma il M5S come primo
partito ma l’astensionismo supera il 50% (partecipazione dal 1948-1980 era al 90%). La
democrazia italiana è in crisi.

La situazione è aggravata dalla condanna di primo grado a Berlusconi per evasione fiscale, e l’ex
premier tenta l’ultimo azzardo con una conferenza stampa dove attacca giudici, Monti e l’Europa,
annunciando la fine del governo e imminenti elezioni anticipate. Berlusconi verrà sconfitto e con la
fine della sua stagione gli ampi strati sociali che si erano riconosciuti in lui si sentono “orfani”,
esposti al disincanto, esasperati da corruzione, indifferenza al bene comune, incapacità di
governo, cecità di fronte al naufragio. Era fondamentale parlare a questa Italia: Monti cerca di
rivolgersi ad un’Italia moderata, riformatrice ma riuscì a conquistare un modesto 10%,
sottraendoli al centrodestra ed impedendo a Berlusconi una rivincita o di salire come presidente
della Repubblica.

La campagna elettorale del Pd sembrò iniziare bene , con affollatissime e combattute “primarie”
per il candidato premier: Renzi sembrava il favorito (proponendo un rinnovamento del partito) ma
al ballottaggio vinse Bersani. Questi sarà incapace di raccogliere le esigenze e si mostrerà
estraneo all’insofferenza per sprechi, deformazioni e degenerazione della politica. Il Pd così ebbe
una campagna elettorale priva di programmi.Inoltre il Pd si allea con la formazione di Sinistra e
Libertà (in opposizione a Monti e al Pd). In questo scenario irrompe il M5S di Grillo, con attacchi
violenti al parlamento e ai partiti e con un seguito sul Web e nelle affollate piazze.
L’alleanza Pd-Sel conquista un 30% alla camera, e vince grazie ad un Porcellum che le regala una

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forte maggioranza alla Camera ma gliela nega al Senato. Il M5S si attesta attorno al 25% mentre il
centrodestra scende sotto il 30% alla camera.

Il segretario del Pd Bersani continua a candidarsi come premier e assomma Imperizia a imperizia
nell’elezione del presidente della repubblica, portando il parlamento e il Pd al naufragio. Bersani si
Dimette e gli altri partiti chiedono a Napolitano uscente di accettare la rielezione. Questi accetta
con un grande senso delle istituzione e vincola il proprio impegno alla realizzazione di riforme
istituzionali, chiamando i partiti alle loro responsabilità.

Il voto del 2013 ha portato ad un parlamento ingovernabile, cn tre blocchi incompatibili tra loro.
Segna però una vittoria completa del centrosinistra, ma l’anomalo governo guidato da Enrico
Letta unisce il Pd, il raggruppamento centrista e il Pdl ma un ulteriore cassone viene dalla
condanna definitiva di Berlusconi per frode fiscale. In base alla legge Severino, ne cosnegue la
decadenza da senatore e il divieto a ricandidarsi. Allora Berlusconi tenta di far cadere il governo,
fallendo, insieme al tentativo di rifondare Forza Italia.

Le primarie per il nuovo segretario del Pd si trasformano in un plebiscito per Matteo Renzi, che
conferma il suo impegno a rottamare le vecchie modalità di politica. Le primarie per i dirigenti
provinciali avevano offerto un quadro di tessere fasulle, elettori fantasma e risse ai seggi. Avevano
fatto emergere un partito micro baronale. In realtà Renzi punto presto a diventare premier, spinto
dalla lentezza del governo Letta, dalla sentenza della Corte che cancella le parti centrali della
legge Calderoli e che quindi fa rimanere in vigore un sistema elettorale rigidamente proporzionale
che condannerebbe il paese all’instabilità.

Da qui una lettera di Renzi che porpore tre ipotesi per garantire al paese governabilità —>
incontro con Berlusconi nella sede del Pd per formare l’italicum (riforma elettorale un sistema
maggioritario con eventuale doppio turno, premio di maggioranza, soglia di sbarramento) o “patto
del Nazareno”; ridimensionamento dei poteri del Senato e quindi superamento del bicameralismo
perfetto o paritario (senato non più elettivo ma indicato da comuni e regioni con un numero ridotto
di senatori e privo di competenze legislativo); revisione del titolo V della costituzione relativo ai
poteri di province regioni e comuni.

Renzi decise di assumere la guida dell’esecutivo e da li a poco presentava un programma su fisco


e lavoro, per ridimensionare le burocrazia e gli sprechi pubblici. Veniva attuato un rimborso fiscale
di 80 euro per i redditi medio-bassi. Verranno oi la riforma del lavoro, della scuola e della pubblica
amministrazione. Nel maggio 2014 le elezioni europee contemporanee alle consultazioni
amministrative segnano la vittoria del Pd quando in Europa si affermavano le destre pericolose e
populiste. Il Pd riconquistò i suoi elettori e ne attrasse molti altri. Nel 2015 le elezioni in molte
regioni e città segnalano un calo del Pd rispetto alle europee, si consolida l’astensionismo e
riprendo forza il M5S e la Lega, ora guidata da Matteo Salvini. Il parlamento però è ingovernabile
dopo che Berlusconi ha rotto il patto del Nazareno (dopo l’elezione di Mattarella) e si è aggiunta
un’opposizione di una minoranza dl Pd. Si erano delineate tre aree politiche incompatibili, si
doveva scegliere tra l’ingovernabilità e i rischi del sistema maggioritario. Con l’italicum si scelse
un premio di maggioranza per la lista con il 40% al primo turno o vince il ballottaggio. Si sumera il
bicameralismo perfetto, auspicato sin dalla fine degli anni 70, ma il dibattito per la “fine della
democrazia” sembra esser stato ben poco costituente e la preoccupazione viene da qui.

Si guadi inoltre alla mobilitazione sindacala per la questione del lavoro, entro il governo e una
divisione della sinistra. Il Jobs Act di Renzi ha colpito il lavoro precario ed incentivato nuovi
contratti a tempo indeterminato con però minori tutele. Venne ridimensionato l’art 18 dello Statuto
dei lavoratori contro i licenziamenti senza giusta causa (gia con legge Fornero nel 2012, valeva
solo con aziende con più di 15 addetti). Impostazione del premier sembrava evidenziare come le
garanzie conquistate in campo fossero privilegio obsoleto. Si consideri l’insensatezza delle
organizzazioni sindacali, simulacri di quello che erano state in passato.

Ma l’economia ebbe i primi segni positivi, anche se la ripresa non significherà riprendere i modi di
vivere antecedenti la crisi internazionale, viste le trasformazioni avventue.

Renzi sarà criticato per aver abbandonato la bella politica, la guerra agli sprechi di stato e il
innovamento del suo partito, sotto accusa per Mafia capitale a Roma. Alla fine del 2014 cresce la
disaffezione per Renzi, con un crollo delle iscrizioni al partito. Il Pd is disgrega come realtà
collettiva per il venir meno delle sue ragioni costitutive e l’idea di rinnovare il paese puntando
sull’azione del governo alla fine del 2015 non è credibile. Lo scenario è aggravato dall’assenza di
un’alternativa credibile (il M5S non è tale, si sovrappone allederive di astensionismo); il
controtesta è in sintonia con gli umori popolosi e xenofobi dell’Europa e il centrosinistra è
incapace di rinnovarsi: la macchina del partito organizzazione si è deteriorata da tempo ma nel
suo tracollo sente evidente un vuoto di educazione civica e di selezione della classe dirigente.

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