Sei sulla pagina 1di 5

Anno scolastico 2020/2021

Liceo Scientifico-Linguistico “Leonardo” - Giarre CT


Classe V Sezione I
Docente Salvatore Ivan D’Agostino
Verifica di Storia
13 novembre 2020

Nome Agnese   Cognome Tropea


1)Dal 1887 al 1914 l'Italia va incontro ad una serie di modifiche sostanziali, che, nel corso della
cosiddetta "crisi di fine secolo", ne cambiano profondamente l'immagine. Dopo la morte di
Depretis, al governo sale per due periodi l'autoritario Francesco Crispi, che si dimetterà dopo la
disfatta coloniale di Adua nel 1896. Dopo l'attentato ad Umberto I per mano dell'anarchico
Gaetano Bresci, l'altra figura di spicco è Giovanni Giolitti, sotto il cui governo vengono emanate,
tra le altre, leggi per lo sviluppo industriale nazionale e sulla tutela dei lavoratori (anche di età
minorile). Viene inoltre introdotto il suffragio universale maschile e riprende l'espansione
coloniale in Libia
2)Nonostante le vicende politiche ci fu comunque la crescita economica, fino al 1907, si forma
una base industriale, e l'agricoltura perde la posizione di preminenza.
Segni della rivoluzione:
- aumento del reddito nazionale
- aumento del reddito pro-capite
- maggiore partecipazione delle industrie alla formazione del prodotto lordo privato
- incremento del risparmio
- crescita della città

Lo sviluppo squilibrato: non ci fu infatti una distribuzione uniforme su tutto il territorio


nazionale, solo in alcune aree. Questo dualismo persiste ancora.

Il dibattito sul protezionismo:


1887 tariffa doganale della sinistra determinò lo sviluppo economico.
Il piano industriale (protezione doganale) favoriva il settore siderurgico (commessa statale) e
tessile
Il piano agricolo: la forte produzione doganale a favore di tutti i produttori di cereali.

La tariffa doganale era oggetto di una critica serrate da parte dei liberisti, favorevoli alla politica
del libero scambio.

Discussione sul contenuto specifico all'intervento del governo:


1) quote altissime al settore siderurgico che per le circostanze ambientali e le carenze strutturali
non era all'altezza della concorrenza.
No al mercato internazionale.
Frequenti elargizioni in denaro pubblico.
Consumatori italiani pagavano i prodotti di più rispetto al quelli della concorrenza.
Non diminuire la dipendenza italiana per l'acciaio perché era forte importatrice di carbone.
2) dazio sul grano:
-Agricoltura meridionale in letargo.
-No miglioramento dei metodi di produzione.
-No trasformazione dei rapporti sociali arcaici che dipendevano da quei metodi.
-La tariffa doganale toglieva incentivi alle costose e migliorie perché garantiva margine di
profitto alle pratiche tradizionali.
-Penalizzava gli scambi con l'estero di prodotti agricoli pregiati.

- il Nord non si era arricchito sottraendo risorse al sud, ma nelle regioni del nord alla base dello
sviluppo era costituito dalla più avanzata condizione dell'agricoltura: rigoglio delle attività
economiche e civile: sviluppo industriale.
3) Nel periodo giolittiano si diffuse il nazionalismo. Il fenomeno fu inizialmente letterario e
culturale, limitato ad una ristretta cerchia di intellettuali, ma nel 1910 fu fondata l'associazione
nazionalista italiana. Questa manifestava la necessità di uno Stato forte e di un'espansione
coloniale al fine di affermare la grandezza dell'Italia sul piano internazionale. Il nazionalismo
ottenne molti consensi, e Giolitti decise così di riprendere la politica coloniale nel nord Africa,
con la guerra di Libia. L'impresa divenne interessante in quanto pubblicizzata come una grande
opportunità economica per l'Italia: la Libia era un paese di grandi ricchezze. In effetti, però,
questa zona non aveva alcun rilievo economico. La conquista della Libia fu portata a termine in
modo diplomatico, con la Turchia che si ritirò dalla regione.
4)Contemporaneamente alle tensioni all’estero a causa della campagna dannunziana nella città di
Fiume, all’interno del Regno d’Italia la situazione economica iniziava a farsi più problematica. Il
debito pubblico era salito alle stelle e ciò causò una pesante svalutazione della lira e, di
conseguenza, un rincaro di tutti i prodotti che l’Italia importava dall’estero.

Il paese era dunque in preda all’inflazione, che danneggiava soprattutto i ceti medi della
popolazione. Gli unici a trarre profitto da questa situazione furono proprio gli operai, che
riuscirono ad ottenere un aumento del proprio salario; in un primo momento questo aumento
sembrò bastare, ma con il tempo iniziò a serpeggiare la voglia di imitare la Russia e modificare
la struttura interna attraverso una versa e propria rivoluzione socialista. Parallelamente a questa
volontà che serpeggiava nelle fabbriche, anche nelle campagne regnava il malcontento: dopo la
disfatta di Caporetto, era, infatti, stato promesso ai contadini che sarebbero stati distribuite delle
terre per persuaderli a non ritirarsi dalla guerra. I contadini occuparono du
5)La possibilità di conquistare il potere con la forza fu prospettata per la prima volta da Benito
Mussolini il 29 settembre 1922, in una seduta segreta a Firenze della direzione fascista. La
decisione di passare all’azione si ebbe il 16 ottobre 1922, nella riunione a Milano del gruppo
dirigente fascista, nel corso della quale venne anche costituito il quadrumvirato che avrebbe
diretto l'insurrezione, formato da De Vecchi, De Bono, Balbo e Bianchi. Pochi giorni dopo, il 24
ottobre, al Congresso fascista di Napoli, arrivò il proclama ufficiale di Mussolini: "O ci daranno
il governo o lo prenderemo calando a Roma".
Secondo i piani, il quadrunvirato, insediato a Perugia, avrebbe assunto nella notte tra il 26 e il 27
i pieni poteri e nei due giorni successivi sarebbe seguita la mobilitazione delle squadre fasciste
che avrebbero occupato i punti chiave dell'Italia centrale. Le bande destinate a marciare sulla
capitale (26.000 uomini) furono inquadrate in quattro colonne (una di riserva e tre concentrate a
Santa Marinella, Monterotondo e Tivoli) e cominciarono a muovere verso Roma il 27. Mussolini
rimase a Milano in attesa degli sviluppi della situazione a livello governativo.

In grande ritardo, dopo la mezzanotte tra il 27 e il 28 ottobre 1922, il presidente del consiglio
Luigi Facta, richiamato il re da San Rossore (Pisa) a Roma, convocò il Consiglio dei ministri per
predisporre il decreto di stato d’assedio, che dava pieni poteri al governo per disperdere i fascisti
con l'esercito. Il generale Pugliese, capo del territorio di Roma, predispose, con i suoi 28.000
uomini, la difesa della capitale. La mattina del 28  le bande fasciste vennero temporaneamente
fermate a Civitavecchia,  Orte, Avezzano e Segni.

Vittorio Emanuele III, che alle due del mattino aveva espresso il suo accordo con la decisione del
governo, quando di prima mattina ricevette Facta con il decreto (che era già stato affisso nelle
strade della capitale), anche perché influenzato dal parere negativo di Salandra e di Giolitti, si
rifiutò di firmarlo.

Caduto Facta, il re propose a Mussolini un ministero con Salandra, ma il duce rifiutò sostenendo
la richiesta di un governo interamente fascista. Il 29 ottobre Vittorio Emanuele cedette e chiese
formalmente a Mussolini di formare il nuovo esecutivo.

Quando i fascisti entrarono a Roma, era già tutto deciso. Nonostante la successiva mitizzazione
della "marcia", essa fu essenzialmente una parata: le squadre fasciste, infatti, giunsero nella
capitale 24 ore dopo che Mussolini aveva già ricevuto l’incarico di formare il nuovo governo. Lo
stesso duce arrivò a Roma in vagone-letto da Milano la mattina del 30 ottobre e la sera salì al
Quirinale per sottoporre al re la lista dei suoi ministri.

La marcia su Roma e la conquista del potere da parte di Mussolini rappresentarono il momento


culminante di un periodo di scioperi (il cosiddetto biennio rosso, 1919-20), violenza e illegalità
diffusa cui le istituzioni dello Stato liberale – governi deboli e incapaci di durare a lungo - non
erano riuscite a porre rimedio, e che aveva visto gli squadristi fascisti protagonisti, in
contrapposizione ai socialisti, ai sindacati e alle leghe contadine.
6)il Fascismo è un movimento politico italiano fondato il 23 marzo 1919, in un’adunata in Piazza
S. Sepolcro, da Benito Mussolini, che resse il paese tra il 1922 e il 1943.
Già nel 1915 Mussolini aveva imposto al movimento interventista la costituzione dei “Fasci
d’azione rivoluzionaria”, ridenominati, poi, “Fasci di combattimento” nel 1919.Tra le prime
reclute di questo movimento troviamo futuristi, arditi, interventisti rivoluzionari, repubblicani
Quindi questo movimento, diventato, come è noto, il partito che istituì una dittatura di destra,
nacque come movimento di sinistra. Mussolini, fino al 1914, faceva infatti parte del PSI, da cui
venne espulso per aver portato avanti un’accesa campagna interventista su “Il popolo d’Italia”, in
quanto riteneva la guerra un’occasione da non perdere per una rivoluzione proletaria. Ben presto
si comprese che il programma dei Fasci era proposto solo per ottenere consensi e arrivare al
potere; una delle prime azioni compiute da Fasci di combattimento fu l’assalto e l’incendio della
sede milanese dell’”Avanti”, noto giornale socialista. In particolare, per compiere queste azioni
intimidatorie contro gli esponenti socialisti, vennero create le squadre d’azione fasciste,
composte da giovani studenti, ex combattenti e ufficiali appena congedati.
7)Il fascismo, nei primi anni di governo adottò una politica liberista. Eliminò vincoli per le
imprese, procedette a sgravi fiscali, liberalizzò i movimenti di capitale all’estero, cedette ai
privati il servizio telefonico e le assicurazioni, abolì la nominatività dei titoli.
In quegli anni l’economia italiana poté approfittare di una favorevole congiuntura internazionale.
La crisi dei primi anni del dopoguerra era stata ormai superata e l’economia mondiale
attraversava un periodo di ripresa.
Nel 1925 si manifestarono segni di cambiamento e ci fu una netta inversione nella politica
economica fascista, che non fu più liberale, ma si propose di controllare e indirizzare l’attività
produttiva e finanziaria. Anche nell’economia il regime voleva far sentire la sua voce.
Il regime si impegnò nella difesa del valore della lira. Mussolini, con il discorso di Pesaro nel
1926, annunciò che il governo aveva deciso di rivalutare la lira rispetto all’oro e alle altre valute
forti e che aveva fissato il cambio a 90 lire per sterlina.Questa scelta provocò una brusca
deflazione, cioè una diminuzione della circolazione della moneta. Anche nelle esportazioni i
produttori italiani persero competitività, e per continuare a vendere, dovettero non aumentare i
prezzi. Questa perdita fu fatta pesare sui lavoratori i cui salari furono più volte ridotti per
decisione del governo.Tra le conseguenze della nuova politica dei cambi ci furono l’aumento del
numero dei disoccupati. Il regime intervenne a compensare la diminuzione delle vendite
fornendo finanziamenti e facendo acquistare da parte dello Stato i prodotti dell’industria.

Anche in agricoltura furono sentiti gli effetti della politica economica del governo. I salari furono
compressi, e si incoraggiò la produzione di grano e di altri cereali per limitare l’importazione
all’estero (battaglia del grano).
Nel 1926 fu istituito il ministero delle corporazioni, fu vietato lo sciopero; nel 1927 fu emanata
la Carta del lavoro, un manifesto programmatico emesso dal Gran Consiglio del fascismo, nel
quale si enunciavano i principi generali del corporativismo, considerato come la risposta del
fascismo al liberalismo e al socialismo. Il sistema corporativo, delineato nel 1927, trovò però la
sua attuazione giuridica solo nel 1934.

La crisi del 1929 ebbe forti ripercussioni in Italia, dove si registrarono, come negli altri paesi,
grandi perdite dei titoli azionari e il crollo dei prezzi dei prodotti agricoli e industriali.
La crisi indusse il governo fascista a intervenire secondo alcune linee direttrici fondamentali. Al
fine di alleviare la disoccupazione, si misero in cantiere impegnativi programmi di lavori
pubblici, in parte già decisi nel 1928. Si migliorò e allargò la rete stradale, compresa quella
autostradale; fu portato a termine l’acquedotto pugliese; si incrementò l’edilizia pubblica.
L’impresa di più vasto respiro furono i lavori per la bonifica delle paludi pontine (1931-34), che
portarono alla creazione di numerosi poderi e alla fondazioni di città rurali come Littoria e
Sabaudia.

Ma l’azione più rilevante venne condotta in campo industriale. Nel 1931 venne creato l’Istituto
mobiliare italiano (IMI), un ente di diritto pubblico, sostenuto dallo Stato con fine di integrare
l’azione di credito all’industria, ma quando la situazione economica andò nettamente
peggiorando, l’intervento dello Stato assunse un carattere più massiccio con la creazione nel
1933 dell’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI), il quale, intervenendo nel salvataggio di
banche ed industrie, venne ad assumere le caratteristiche di un grande ente bancario-industriale a
carattere “misto”, cioè in parte statale e in parte privato.

A partire dal 1934 il fascismo, al fine di ridurre al massimo le sperse per le importazioni e
rendere il più possibile autosufficiente il paese, proclamò la politica “autarchica”. Dopo che nel
1935 il regime iniziò la conquista dell’Etiopia, con le conseguenti sanzioni imposte all’Italia
dalla Società delle Nazioni (divieto di esportazione in Italia di materie di valore strategico e
boicottaggio dei prodotti italiani), la battaglia per l’autarchia diventò ancora più accentuata.

L’autarchia volle dire una ripresa della tradizionale politica protezionistica, così la politica
autarchica e il riarmo si risolsero in un ottimo affare per la grande industria italiana che, se
produceva a prezzi altissimi, era sul mercato interno interamente protetta da ogni concorrenza.
Povero di risorse economiche, il popolo italiano venne esortato da fascismo a crescere, secondo
la teoria che “l’avvenire è proprio degli Stati demograficamente forti” (“il numero è potenza).
Per sostenere la politica demografica, fin dal 1927 venne stabilita un’imposta sui celibi, e di
conseguenza furono esaltate e premiate le famiglie numerose e vennero concesse agevolazioni
economiche.
8) Le leggi razziali fasciste furono un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi
(leggi, ordinanze, circolari) applicati in Italia fra il 1938 e il primo quinquennio degli anni
quaranta, inizialmente dal regime fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana. Esse furono
rivolte prevalentemente contro le persone ebree. Il loro contenuto fu annunciato per la prima
volta il 18 settembre 1938 a Trieste da Benito Mussolini, da un palco posto davanti al Municipio
in Piazza Unità d'Italia, in occasione di una sua visita alla città. Furono abrogate con i regi
decreti-legge n. 25 e 26 del 20 gennaio 1944[1], emanati durante il Regno del Sud. Il primo di
quelli che sono stati definiti i "decreti della vergogna" risale al 5 settembre 1938 e fissava
"Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista" mentre è di due giorni dopo, il 7
settembre, il testo che fissava "Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri". Il loro
contenuto viene annunciato per la prima volta il 18 settembre 1938 a Triste da Benito Mussolini
in occasione di una sua visita alla città. Il mese successivo, il Gran consiglio del fascismo emette
una "dichiarazione sulla razza": è il 6 ottobre e viene successivamente adottata dallo Stato
sempre con un regio decreto legge che porta la data del 17 novembre 1938. Nel contesto in cui si
inquadrano le cosiddette 'leggi razziali' del fascismo bisogna includere anche il famigerato
'Manifesto della razza', pubblicato originariamente in forma anonima sul 'Giornale d'Italia' il 15
luglio 1938 col titolo "Il Fascismo e i problemi della razza", quindi ripubblicato sul numero uno
della rivista 'La difesa della razza' il 5 agosto firmato da 10 scienziati.

Potrebbero piacerti anche