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Linea Gotica
1944-2014
Foto Biblioteca Archivio Bobbato Pesaro
Monument Man
Brigata Maiella
LEDITORIALE
ettantanni fa il territorio pesarese, lungo la linea del Foglia (da Sassocorvaro al mare) futeatro di una delle pi cruente battaglie della seconda guerra mondiale. I tedeschi, per bloccare lavanzata degli alleati, crearono la Linea Gotica, un gigantesco sistema difensivo lungo il crinale appenninico, 320 chilometri dallAdriatico al Tirreno, da Pesaro a Marina di Massa. Proprio qui, nel Montefeltro costruirono, sulla sponda sinistra del Foglia, una fascia fortificata, profonda oltre dieci chilometri, ultimo ostacolo prima delle grandi pianure. I tedeschi smantellarono linee di comunicazione, distrussero installazioni ed edifici, minarono ogni corridoio di transito e qualsiasi cespuglio o rilievo che offrisse mascheramento o riparo (Memoria Viva 2004). Questo numero del Ducato dedicato alla Guerra, ai tragici fatti dellestate 1944. il numero con il quale i giornalisti praticanti di questo biennio (2012-2014) si congedano dai lettori. La Scuola ripartir con trenta nuovi allievi il prossimo ottobre. Perch, per il numero di commiato, sceglie-
re proprio i tragici fatti della Guerra? Perch nonostante le lezioni della storia luomo non ha ancora capito che le controversie non si risolvono con la ferocia e lirrimediabile irrazionalit del ricorso alle armi. E anche perch non deve mai oscurarsi il senso della riconoscenza per i combattenti di varie provenienze ed etnie che, sotto le bandiere alleate, morirono o rischiarono la vita per aprire la strada alla liberazione dellItalia. Infine per non dimenticare. I nostri praticanti con questo numero del Ducato vogliono dare il loro contributo alla memoria. Hanno ricostruito le gesta dei nostri eroi, raccolto le testimonianze dei sopravvissuti, recuperato le piccole storie di vita di una popolazione ridotta alla fame e alla disperazione fra le rappresaglie e i saccheggi dei tedeschi e i bombardamenti de-
gli alleati. Piccole e grandi storie, atti di eroismo a volte scaturiti da un semplice gesto di altruismo e di solidariet umana. Il marchigiano per sua natura abituato al sacrificio e alla sofferenza. Ha un forte spirito di sopravvivenza, ma anche solidi ideali e radicati principi morali. Le sofferenze della guerra, la morte diventata abituale compagna di vita, i rastrellamenti, le devastazioni e le ruberie cancellarono lesaltazione nata dalla propaganda fascista per lasciare il posto allodio per lalleato-nemico che ha rovinato lItalia, allamore per la pace, premessa essenziale per una nuova vita collettiva fondata su democrazia e libert, valori che solo qualche sprovveduto ritiene consunti . C stata, insomma, una scelta di carattere etico, tantocheancheperipartigiani inarmisipuusare la definizione di resistenza civile, intendendola non solo come partecipazione senza una di-
visa militare , ma come impegno per la realizzazione di valori e di ideali condivisi Ha ragione Italo Calvino quando, nel Sentiero dei nidi di ragno, afferma che il significato generale della lotta di resistenza era in una spinta di riscatto umano, anonimo, da tutte le umiliazioni. In tutti coloro che avversavano la guerra (non solo nei partigiani in armi) cera laspirazione a una redenzione delluomo, a una umanit liberata, finalmente espressione dei propri bisogni pi intimi e sempre meno costretta da imposizioni secolari o ideologiche. Purtroppo la lezione della storia a volte non basta. Oggi, per giustificare un intervento militare si usano sofismi come missione di pace,guerra giusta,umanitaria,preventiva o per legittima difesa. Ma nessuna acrobazia linguistica pu trasformare uno strumento al servizio della morte in una operazione di pace e di vita. Forse ha ragione Bob Marley quando afferma che la guerra ci sar sempre fino a quando il colore della pelle pi importante del colore degli occhi.
il Ducato
u la volta che io giunsi pi vicino al nemico, scrive Winston Churchill, ricordando quel 27 agosto 1944, quando si trovava sopra Fano, a Montemaggiore al Metauro. Il primo ministro del Regno Unito era stato accompagnato in cima alle colline marchigiane dopo un incontro con il generale dellesercito polacco Anders. Ammirava il panorama e con il binocolo osservava le nuvole di polvere sollevate dallartiglieria nei pressi della linea del fronte. Gli alleati avevano iniziato da pochi giorni lattacco alla linea Gotica. La seconda guerra mondiale, nel pesarese, scoppiata tardi. Dal giugno del 1940 fino al settembre del 1943 il fronte era lontano e le armi erano solo un ricordo della Grande guerra. Eppure nel giro di un anno, il 1944, Pesaro e tutto il territorio della provincia si sono ritrovati ad essere il punto nevralgico prima della strategia tedesca e poi della liberazione dellintero Paese. Pesaro, punto di partenza della linea Gotica Lesercito tedesco occup la citt, senza trovare resistenza, il 13 settembre del 1943. In quei giorni i tedeschi scelsero Pesaro come baluardo orientale di una linea difensiva che avrebbe tagliato in due lItalia. Si trattava della la linea Gotica. Niente a che vedere con la fortificata Ligne Maginot, in Francia. Per rallentare gli alleati in Italia, lesercito tedesco cercava di sfruttare soprattutto il terreno montuoso e gli ostacoli naturali offerti dal territorio appenninico, come dirupi, fiumi e torrenti. Ma nel tratto finale ad est, verso la costa, una striscia di pianura rimaneva scoperta. L, sulla sponda sinistra del fiume Foglia, la linea Gotica fu costruita come una vera e propria fascia fortificata. La linea, seguendo il fiume, arrivava fino a Urbino, poi si dirigeva verso il Monte Fumaiolo, proseguiva sui passi appenninici a nord, poi a sud delle Alpi Apuane e raggiungeva il mar Tirreno a Marina di Massa, fra Viareggio e Pisa. La costruzione dei baluardi era sotto la supervisione degli ingegneri tedeschi dellorganizzazione Todt. Quindicimila italiani furono costretti a collaborare alla realizzazione dellopera. Tra questi, a Montecchio, cera Umberto Palmetti (a pagina 6): con i compagni cercava di rallentare i lavori, di organizzare le assenze per impedire il completamento della linea. Dopo il 28 dicembre, con linizio dei primi bombardamenti anglo-americani su Pesaro, inizi lo sfollamento di massa degli abitanti verso le campagne. Il 3 gennaio 1944 sui muri della cit-
t venne affisso un manifesto che avvisava dello sgombero della popolazione della fascia costiera per una profondit di 10 chilometri nel termine di 48 ore. Gli uffici dellamministrazione provinciale vennero dislocati a Fermignano, Urbania, SantAngelo in Vado, Pergola, Saltara e soprattutto Urbino, che divenne il crocevia di tutta la provincia. La liberazione di Pesaro avvenne otto mesi dopo. I primi ad entrare nella citt e nei comuni vicini, tra il 30 agosto e il 2 settembre, furono i soldati del II Corpo polacco, con laiuto dei soldati canadesi e della Brigata Maiella. Ad aspettare la liberazione della citt cera anche Odoardo Barulli (a pagina..). Sfollato in campagna nellinverno del 44, si nascondeva con la famiglia in una grotta a Ripe di Talacchio. Per cinque giorni, con altre 30 persone, rimase chiuso nel suo rifugio, sopravvivendo con pane e acqua. Lo spettacolo che si present ai suoi occhi, al rientro a Pesaro, fu quello di una citt sventrata. Secondo i dati del Comune, dopo i bombardamenti furono pi di 8.000 i vani completamente distrutti o gravemente danneggiati e oltre 9.000 gli abitanti rimasti senza casa. Nel 1945 il bilancio dei danni bellici nel pesarese fu di 30 miliardi di lire: la cifra pi alta della regione. Lesercito degli alleati, con la Brigata Maiella, prosegu nella liberazione del paese, raggiungendo Bologna il 21 aprile 1945. Tra le fila del nucleo abruzzese cerano anche Gilberto Malvestuto (a pagina 13), sottufficiale dei mitraglieri, e Raffaele Di Pietro (a pagina 13), che si arruol nella brigata a 18 anni contro il volere dei suoi genitori. Quella della Maiella lunica brigata che stata premiata con una medaglia doro al valore militare. Ma i protagonisti della Resistenza sono molti di pi. Da Erivo Ferri alla V Brigata Garibaldi di Pesaro Nel novembre del 1943, mentre iniziavano i lavori di costruzione della linea Gotica, lesercito fascista cercava nuove leve a Pesaro. Sui muri di tutte le citt della provincia vennero affissi i bandi per larruolamento nellesercito della Repubblica Sociale Italiana. Ma alla federazione fascista si present solo il 10 per cento del totale dei giovani idonei. Di questi, la maggior parte abbandonava le caserme dopo aver ricevuto il completo militare. Negli stessi giorni, la resistenza armata provinciale entrava in una nuova fase. Un reparto di polizia tedesca aveva circondato Ca Mazzasette, una frazione di Urbino, per arrestare il comunista Erivo Ferri, punto di riferimento della lotta antifascista della valle del Foglia. Tina Cecchini
Corbucci ( a pagina 5 ), che allepoca aveva 17 anni, racconta che Erivo riusc a scappare dopo una violenta sparatoria. Persero la vita un soldato tedesco e tre civili, tra cui un giovane di 19 anni, una ragazza incinta e unanziana. Una volta a Cantiano, Erivo costitu i primi nuclei della lotta partigiana nelle Marche: i distaccamenti Picelli e Gramsci. Nel giro di qualche mese i ribelli marchigiani si moltiplicarono, sempre pi giovani partirono per i boschi appenninici e i due nuclei diedero vita alla V Brigata Garibaldi di Pesaro, una delle prime dItalia. Le brigate
dassalto Garibaldi erano prevalentemente legate al Partito Comunista e al Partito dAzione. Nelle Marche si concentravano nella fascia interna, quella pi montuosa. Sulla costa, invece, i Gruppi di azione patriottica compivano operazioni di sabotaggio e di recupero di armi e materiale utile per le bande armate. Nel pesarese, sia nella fascia interna che in quella costiera, la Resistenza ebbe soprattutto il ruolo di impedire o rallentare i lavori di costruzione della linea Gotica. Ciro Renganeschi (a pagina ..), di Pesaro, si era infiltrato nella manovalanza. Nel 1944 rischi la vita per portare i
piani di costruzione tedeschi ai generali degli eserciti alleati. Ma tra le fila della Resistenza cerano anche tante donne. Tra di loro, Rosina Frulla (a pagina 4). Aveva 17 anni ed era una staffetta partigiana. Racconta che usciva di casa con il pepe in tasca per tirarlo sul viso dei fascisti durante le adunate. Non aveva paura, perch lottava per la libert. Le tragedie di Urbania e Montecchio Uno dei luoghi pi caldi del 44 pesarese era Urbania. Il 23 gennaio del 1944 gli aerei americani rasero al suolo il centro stori-
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co della citt. Erano le 12,45 di domenica. Gran parte della popolazione era andata a messa e stava uscendo dalle parrocchie in quel momento. Le vittime furono 250, intere famiglie morirono sotto le macerie, furono centinaia gli orfani e gli sfollati. Angela Bifaro (a pagina 10), napoletana, si era rifugiata a Urbania per fuggire alle bombe nella sua zona, ma quel giorno perse tutta la famiglia. Pietro Paci (a pagina 10), che oggi ha 97 anni, si salv per caso: abitava nel centro storico e al momento del lancio delle bombe si trovava fuori casa. Ha ricostruito la sua abitazio-
ne sul punto esatto dove era una volta. Don Sergio ( a pagina 10 ) ricorda un altro evento tragico nel comune di Urbania. Il 6 luglio, 14 persone vennero uccise per rappresaglia dalla Wehrmacht a San Lorenzo in Torre, una frazione a sud ovest della citt. In tutta la zona di Urbania infatti, fin da gennaio, i partigiani e i membri del Comitato di liberazione nazionale sabotavano le operazioni tedesche e impedivano il reclutamento nellesercito fascista. La popolazione stessa si opponeva alle autorit fornendo armi, viveri, rifugio e protezione a par-
tigiani, sfollati, prigionieri fuggiti dalle forze tedesche ed ebrei internati. Altro punto nevralgico della lotta era Montecchio, dove passava la linea Gotica. I tedeschi avevano trasportato nella cittadina il deposito di mine di Pesaro, con tutto il materiale necessario per la costruzione dei baluardi di difesa. Il 21 gennaio, alle 21.30, la polveriera esplose, provocando 30 morti e oltre un centinaio di feriti. Gino Ricci (a pagina 11) allepoca aveva 22 anni: racconta che la potenza dellesplosione lo sollev dal suolo. A far scoppiare le oltre 8000 mine furo-
no un gruppo di partigiani, che non sapevano che gli esplosivi fossero stati ammassati in tale quantit. Resistenza passiva e coraggio marchigiano Tutto il territorio provinciale aveva una forte tradizione antifascista. I civili mettevano in discussione le autorit assaltando i silos di grano, lasciando fuggire i confinati e organizzando propaganda antiregime. I soldati tedeschi e le autorit fasciste rispondevano con minacce, arresti o rastrellamenti. Uno dei protagonisti del
coraggio marchigiano, oltre quello della Resistenza, fu Pasquale Rotondi. Sua figlia Giovanna ( a pagina 8 ) racconta di come suo padre, sovrintendente ai beni culturali di Urbino, nascondeva centinaia di opere darte provenienti da tutta Italia per proteggerle dai bombardamenti. Tra la fortezza di Francesco di Giorgio Martini, a Sassocorvaro, e il Palazzo dei Principi a Carpegna, nelle Marche erano conservati oltre diecimila capolavori. Tra di essi opere di Caravaggio, Tiziano, Piero della Francesca, Rubens, Bellini e Giorgione.
il Ducato
La storia di una leggendaria partigiana di Pesaro che tir il pepe in faccia ai fascisti
osina Frulla nata il 30 novembre 1926. A 17 anni ha iniziato a fare la staffetta partigiana. Antifascista e comunista convinta rimasta una ragazza del secolo scorso. Nel 1944 lavoravo alla mensa della scuola a Pesaro e ogni quindici giorni dovevo andare a prendere la paga in un ufficio di via Passeri dove, appena si entrava, bisognava fare il saluto al duce. Un giorno entro nellufficio e trovo un comandante fascista con la faccia da maialone che mi dice: Saluta il duce! e io zitta. Allora lui ha ripetuto Saluta il duce! e io dov?. L mi ha risposto lui, indicandomi una foto incorniciata di Mussolini appesa sopra la sua testa. Allora io ho preso la cornice e glielho rotta in testa. Lui si arrabbiato molto ma non mi hanno fatto nulla perch ero piccola: avevo 17 anni ma ne dimostravo meno. I fascisti non pensavano che una ragazzina cos piccola potesse fare la staffetta partigiana e quando mi vedevano fare su e gi con la mia bici sgangherata senza copertoni, mi lasciavano sempre passare. Solo una volta quando stavo portando una pistola Beretta ai partigiani della brigata Bruno Lugli, sono stata fermata a un posto di blocco. La pistola era chiusa nel portapacchi della bici. Era la prima volta che ne trasportavo una e nemmeno sapevo che si chia-
iro ha 91 anni e durante la seconda guerra mondiale ha combattuto, ventenne, con il Comitato di Liberazione di Pesaro. Ricorda i nomi dei suoi compagni, le date delle azioni, le citt dove passato. Dopo larmistizio dell8 settembre noi giovani ci siamo arruolati spontaneamente nellesercito voluto dal governo della Repubblica sociale guidato da Mussolini racconta Ciro cos siamo riusciti a occupare posti chiave negli ufci per sabotare i piani dellesercito e aiutare i nostri compagni . E continua: Sono stato io a portare, no a Pergola, a piedi, i piani delle forticazioni del Foglia e istruzioni sui lanci agli alleati.Il 4 ottobre del 1943, dopo larmistizio e loccupazione da parte dei tedeschi, a Pesaro fu istituito il Comitato di Liberazione con le rappresentanze di 4 partiti: il partito dazione, il partito comunista, il partito democristiano e il partito socialista. Tra i promotori, il padre di Ciro, Juarez Renganeschi, partigiano e convinto antifascista. La prima vera azione dei giovani pesaresi, incaricati dal Comitato, fu di andare nella caserma Del Monte a prendere dei fucili e delle munizioni abbandonate. Li portarono a Mombaroccio dove un colonnello italiano aveva costituito il primissimo gruppo di partigiani della provincia.Uno camminava avanti e laltro stava dietro coi fucili continua Ciro cos, se ci fossero stati dei rastrellamenti, chi aveva i fucili in ma-
no avrebbe potuto gettarli. Ma lo sguardo si fa ero e intenso quando inizia a raccontare quello che avvenuto qualche mese dopo, la missione per la quale stato scelto lui. Bisognava aiutare le forze alleate a passare il Foglia spiega e serviva che portassimo i piani dei tedeschi con i punti dove avevano intenzione di costruire le forticazioni e dove erano segnate le basi di lancio. Le forze alleate stavano accampate a pi di 50 chilometri da Pesaro, a Pergola. Sono partito la sera del 17 agosto e la mattina dopo ero a Pergola, 53 chilometri in un notte, a consegnare i piani a Piero, un esponente del partito dazione. Avevo arrotolato i fogli e li avevo inseriti in una canna di bamb, allestremit. Cos, se fossimo caduti in un rastrellamento, sarebbe bastato rompere la canna in fondo e gettare lultima parte. Ma perch stato scelto proprio lui? Io ero un atleta vero dice orgogliosamente insegnavo nuoto ed ero un campione di corsa. Sono stato anche giurato internazionale di scherma alle Olimpiadi di Roma. Bisognava farseli a piedi tutti quei chilometri. Ciro ha portato a termine la missione e ha aiutato i canadesi a passare sul Foglia con relativa sicurezza (i morti furono soprattutto nei pressi di Montecchio dove i tedeschi avevano istallato nuove difese non inserite nei piani). Lo spirito battagliero di Ciro lo stesso del1944. E quando viene il momento di congedarci, saluta cos: Se avete dei nipotini o dei gli, portateli da me questestate che gli insegno a nuotare.
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ella grotta eravamo in trenta, stretti uno affianco allaltro. Per 4-5 giorni siamo rimasti li, mangiavamo pane e acqua senza sapere cosa stava succedendo allesterno, sentivamo solo il rumore degli scoppi. A distanza di 70 anni Odoardo Barulli ricorda cos i momenti interminabili in attesa della liberazione di Pesaro avvenuta i primi giorni del settembre 1944 grazie allintervento del II corpo polacco e della Brigata Maiella. Ogni tanto uscivamo dal rifugio per vedere che cosa succedeva ma gli spari e i bombardamenti ci impedivano di stare fuori. Una volta esplosa una mina vicinissimo alla nostra caverna e una scheggia entrata dentro, rompendo una tazza. Il 2 settembre, dopo lattacco decisivo contro i tedeschi, arriv la liberazione totale della citt e i pesaresi nascosti nei rifugi poterono finalmente rientrare nelle loro abitazioni. Non sapevamo se e in che condizioni avremmo ritrovato la nostra casa. Noi siamo stati fortunati, aveva soltanto qualche vetro rotto. Ma chi per primo rientr in citt dopo il passaggio del fronte descrive Pesaro deserta e sventrata, tutto era da ricostruire. Anche la vita di chi aveva lasciato la propria casa per sfollare in campagna e che improvvisamente si ritrov a ricominciare da zero. Molte case erano state demolite e le vie principali distrutte. Pesaro era irriconoscibile. Una volta tornati in citt si pensava che il periodo pi brutto fosse alle spalle ma la realt fu che la cittadinanza dovette fare i conti con la ricostruzione e soprattutto con la fame. Non cera cibo e il grano non si poteva macinare. Mia madre lo faceva di nascosto, andava a prendere il grano ogni giorno dai parenti che ci avevano ospitato durante i bombardamenti, lo nascondeva in una pancera e quando arrivava a casa lo tritava con un macinino da caff. Con la farina ci cucinava delle cresce e, con quelle cresce, siamo tornati lentamente alla normalit. Quando Odoardo Barulli lasci per la prima volta Pesaro insieme alla sua famiglia, aveva 14 anni. Ci siamo rifugiati a Talacchio, a casa di una cugina di mio padre. Me lo ricorder sempre, era il giorno del mio compleanno e io, mia sorella e i miei genitori siamo partiti portando con noi solo beni di prima necessit e
Sopra, vecchie fotograe in bianco e nero. In alto, Odoardo Barulli dopo la liberazione. In basso, Tina Cecchini Corbucci
FEDERICO CAPEZZA
ia nonna non ha avuto nemmeno il tempo di capire cosa stava succedendo. Ha sentito degli spari, il verso dei cani, le urla in tedesco. Si affacciata alla porta e le hanno sparato. Tina Cecchini Corbucci il 1 novembre 1943 aveva 17 anni. La strage di Ca Mazzasette la vede con gli occhi di allora, di una ragazza affacciata alla finestra di casa, la stessa casa dove vive ancora oggi. I poliziotti nazisti erano venuti da Rimini a cercare Erivo Ferri, il calzolaio del paese, comunista e, secondo un informatore dei fascisti, ben armato. Ma quello che doveva essere un semplice arresto si subito trasformato in uno scontro a fuoco che lasci a terra tre civili e un soldato tedesco. Ho visto il camion dei tedeschi salire dalla strada provinciale racconta Tina - la sparatoria cominciata quasi subito. Allaltezza delle Casacce, alle porte del paese, un ragazzo uscito di casa correndo, si era spaventato vedendo arrivare il camion carico di
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ella nostra caserma, quella di Cesena dove stavamo noi militari dellAeronautica, lallarme lhanno fatto suonare verso la mezzanotte del 9 settembre. Poche ore prima erano arrivati i tedeschi e tutti avevamo pensato questa volta la nostra, questa volta ci prendono, ci caricano su un treno e ci spediscono in un campo di concentramento. Invece no, i tedeschi hanno fatto un gran casino con i nostri ufficiali e se ne sono andati. Ma non eravamo pi sicuri e, dopo aver fatto scattare lallarme, gli ufficiali ci hanno detto di andare via, di scappare. Erano i giorni dei primi rastrellamenti di soldati italiani. Chi non faceva in tempo a togliersi la divisa, ad andare al sud o a nascondersi in montagna, veniva disarmato e fatto salire su un treno per la Germania. Alla fine, si sa, furono 600.000 i soldati italiani portati nei campi di concentramento. Io sono stato fortunato. Con i miei compagni, la notte del 9 settembre, mi sono rifugiato nel castello di Montiano. Da l non sapevamo dove andare, cerano i tedeschi in giro. Abbiamo chiesto aiuto alle ragazze che incontravamo
Umberto Palmetti ha 91 anni. Ancora oggi va nelle scuole a raccontare la sua testimonianza In alto il tracciato della linea no a Pesaro
mo, quello per cui avevamo sabotato i lavori e rischiato la vita. I tedeschi non sapevano cosa fare: la mattina del 3 settembre 1944 erano ancora a Gabicce Monte mentre nella notte gli Alleati erano arrivati al fiume Foglia, a Gradara e Tavullia. I nazisti erano nel panico e nel disordine, uno di loro in fuga da Gabicce spar a un civile. Non sapeva che, sul versante adriatico, la sua guerra era finita. Gli Alleati si sono poi stabiliti al limite della pianura Padana e fino alla primavera del 1945 hanno interrotto la loro offensiva, a causa della difesa tedesca e delle forti piogge. Dopo la liberazione, volevo vivere la ricostruzione del nostro paese. Volevo viverla sulla mia pelle. Mi sono iscritto al partito Comunista, sono stato scomunicato dal prete del mio paese e per un anno ho fatto il sindacalista. Ma la paura non se nera andata e avevamo tutti un gran terrore
addosso: le mine. Le mine hanno ucciso il padre di tre ragazzi che conoscevo molto bene: erano stati fatti prigionieri e, finita la guerra, il pap era preoccupato . Pensava che tornando a casa avrebbero potuto trovare delle mine. Ha iniziato a sminare un campo ed stato lui a morire. Io volevo tornare a fare il contadino, ma il 1 gennaio del 1946 una cartolina dellAeronautica mi diceva che dovevo rimettermi la divisa. Non ero ancora stato congedato e per questo ho girato lItalia e le sue caserme. A Bari, in realt, dovevamo andare in caserma solo per dormire e mangiare. Mancava poco al referendum del 6 giugno e, con un compagno del Pci pugliese, ho girato la regione per fare la campagna elettorale a favore della Repubblica. Ho votato la mia Repubblica a Bari, mentre quasi tutti al sud preferivano la Monarchia. Era la nostra svolta, la nostra ricostruzione. Era la pace.
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mesi. I francesi impiegarono quasi 12 anni a costruire la linea Maginot, il complesso di forticazioni che difendeva i conni orientali della Francia. I tedeschi, invece, ebbero a disposizione solo 10 mesi per dar vita alla linea Gotica. I lavori iniziarono nel settembre 1943, dopo la liberazione di Benito Mussolini per opera delle forze speciali tedesche e la proclamazione della Repubblica di Sal. Per la costruzione delle strutture difensive i nazisti reclutarono soldati e prigionieri italiani, che nirono cos a lavorare per la Todt (una grande impresa di costruzioni creata in Germania da Fritz Todt). Tutti coloro che lavoravano alla creazione della linea Gotica non venivano pagati e avevano il compito di costruire bunker in cemento armato e campi minati, scavare fossi anticarro e posizionare tralicci di lo spinato. I lavori furono necessariamente interrotti nellagosto del 1944, quando lesercito alleato sferr il primo attacco alla linea Gotica. A quella data erano stati realizzati 2375 nidi di mitragliatrici, 479 postazioni di cannoni e oltre 16.000 postazioni per tiratori scelti. I chilometri di fossati anticarro erano quasi 9.000 e quelli di lo spinato 117. giorni. I combattimenti tra gli alleati e i nazifascisti, sul versante adriatico della linea Gotica, durarono dal 25 agosto al 21 settembre del 1944: 28 giorni di battaglie che si conclusero con la liberazione di Rimini. Il nome in codice delloffensiva alleata alla linea Gotica era Operazione Olive: il piano di attacco era stato ideato dallo stato maggiore del generale Harold Alexander, comandante in capo delle forze armate alleate durante la Campagna dItalia. Lobiettivo era sfondare le forticazioni tedesche, in modo da aprirsi una strada per la conquista dellintera Pianura Padana entro la ne del 1945. Il 3 settembre gli alleati travolsero tutte le linee di difesa tedesca nel territorio marchigiano e arrivarono in Romagna. Il 17 settembre i nazi-fascisti ricevettero lordine di ritirarsi e gli scontri si spostarono pi a nord, nella zona di Rimini. La citt fu conquistata da truppe greche e neozelandesi quattro giorni dopo. Sul versante tirrenico, invece, lavanzata alleata fu pi faticosa: nella parte centrale e occidentale la linea Gotica cedette solo nellaprile del 1945. morti. Dopo la prima fase dei combattimenti lungo la linea Gotica, i caduti nei due eserciti furono 72.000: secondo le stime redatte dal generale Harold Alexander, ci sarebbero state 42.000 morti tra le linee tedesche e 30.000 tra quelle degli alleati. Le cifre approssimative parlano di 60.000 morti tra i civili: molti morirono per i bombardamenti e, dopo la ne della guerra, per la presenza dei campi minati che circondavano i centri abitati. Gli sminatori, che cercavano di scovare gli ordigni inesplosi lasciati dalla guerra, lavoravano per pochi soldi ma spesso pagavano con la loro vita.
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Pasquale Rotondi mise al sicuro nel Montefeltro oltre diecimila opere italiane
io padre non si considerava un eroe, diceva sempre che aveva fatto solo il suo lavoro di soprintendente. E cos che GiovannaRotondi racconta la figura del padre Pasquale, salvatore del patrimonio artistico italiano e medaglia doro al valor civile. Rotondi ha salvato dalla guerra, dai bombardamenti e dalle razzie naziste oltre diecimila opere darte, tra cui capolavori di Giorgione,Tiziano, Tintoretto, Piero della Francesca, Correggio, Caravaggio, Rubens, Tiepolo, Lorenzo Lotto, Perugino. Quando il 1 settembre 1939 Hitler invade la Polonia, lallora ministro delleducazione Giuseppe Bottai capisce che lItalia, prima o poi, entrer nel conflitto a fianco dellalleato tedesco e che quindi il fronte potrebbe arrivare anche sul territorio nazionale. Si preoccupa subito di mettere in salvo limmenso patrimonio artistico del Bel Paese con un progetto segreto che chiamer operazione salvataggio. Della missione top secret viene incaricato un giovane studioso di 31 anni, Pasquale Rotondi, appunto. Rotondi viene nominato soprintendente delle Marche e, un mese dopo lo scoppio della guerra, arriva alla stazione di Urbino, indicatagli come citt aperta dove ricoverare tutte le opere che riuscir a radunare. Rotondi si rende immediatamente conto che la cosa non fattibile perch nei sotterranei di Urbino nascosto un arsenale dellaeronautica, il che rende la citt un potenziale bersaglio militare. La rocca di Sassocorvaro. Il rifugio ideale viene quindi identificato nella rocca di Sassocorvaro. Nonostante Roma gli abbia promesso uomini e mezzi, Rotondi ha a disposizione lautista urbinate Augusto Pretelli, 4 custodi e un paio di carabinieri, oltre a un vecchio camioncino riluttantemente concesso dal comune di Urbino. Nel giugno del 1940 tutto pronto: Rotondi comincia a far affluire a Sassocorvaro le opere conservate nei musei marchigiani. Il 10 di quel mese, Mussolini annuncia lentrata in guerra. Lo studioso quindi comincia ad allargare il la rete delloperazione: a Sassocorvaro arriva Rodolfo Pannucchini, soprintendente di Venezia, che rimane impressionato dalloperazione e dispone immediatamente che le opere del capoluogo veneto vengano ricoverate nella rocca feltresca. Dai musei veneziani arrivano a Sassocorvaro, nellottobre del
40, opere come La tempesta di Giorgione e il tesoro della basilica di San Marco compresa la preziosissima Pala doro. Le opere continuano ad affluire costantemente fino al 1942, fin quando la rocca di Sassocorvaro non completamente piena di tesori. Rotondi deve cercare un altro ricovero. Carpegna. Incontra perci il principe di Carpegna che gli mette a disposizione il proprio palazzo. Dal maggio 43 iniziano ad arrivare grandi opere a Carpegna: i tre Caravaggio da San Luigi dei francesi a Roma, Raffaello, Piero della Francesca e Bramante da Milano, i manoscritti e i cimeli di Rossini da Pesaro. A quel punto, tra Sassocorvaro e Carpegna, Rotondi ha in custodia circa 10mila opere, di cui periodicamente controlla lo stato di conservazione. Durante uno di questi giri di ricognizione ha lidea geniale di staccare dalle casse delle opere letichetta che ne descrive il contenuto. Unaccortezza banale che salver le sorti delloperazione. L8 settembre del 1943 il governo Badoglio annuncia larmistizio. LItalia, adesso, fa parte del fronte alleato. Per Rotondi questo un problema perch i tedeschi occuperanno il territorio nazionale e i bombardamenti alleati si intensificheranno di conseguenza. In pi, non ha pi alcuna guida da Roma, detiene le opere senza titolo: completamente solo. A Bergamo i tedeschi fondano la divisione italiana del Kunstschutz, un reparto di protezione dellarte che ha come reale scopo la razzia dei tesori artistici europei da trasferire nel futuro Furhermuseum di Linz e nella collezione privata del feldmaresciallo Hermann Goering. Il 20 ottobre del 43: i tedeschi arrivano a Carpegna e occupano il palazzo del principe poich pensano vi siano nascoste armi e munizioni. A questo punto la fortuna assiste Rotondi: si precipita al palazzo e chiede di parlare con il comandante della guarnigione,
il quale vuole accertarsi del contenuto delle casse. I soldati ne aprono una: dentro ci sono i manoscritti di Rossini. Il comandante tedesco le definisce cartacce. Dellesito delloperazione si era interessato anche il patriarca di Venezia, il quale intercede presso i tedeschi per consentire a Rotondi di ritirare le casse di propriet della Chiesa. qui che lidea di staccare le etichette ripaga il soprintendente: riesce infatti a sottrarre al controllo dei tedeschi anche le casse di propriet dello Stato. Giorgione sotto il letto . A questo punto Rotondi ha paura: si precipita a Sassocorvaro: teme che la rocca possa essere occupata dai tedeschi. Giunto alla rocca, carica sulla vecchia Balilla di Pretelli alcuni tra i capolavori pi preziosi come La tempesta di Giorgione, il San Giorgio del Mantegna, quattro madonne del Bellini, una di Cosm Tura e il ritratto Morosini del Tintoretto. Le metter sotto il suo letto, in una Urbino occupata dalle SS. Fu qui - racconta la figlia Gio-
vanna, che poi diventelta soprintendente di Genova - che io e mia sorella ci accorgemmo che cera qualcosa di strano: ci dissero che la mamma era malata e perci non si muoveva mai dalla camera da letto. Evidentemente stava benissimo ma stava facendo la guardia a quei preziosi quadri. Qualche giorno dopo, le SS lasciano Urbino: Rotondi si atti-
va e svuota i ricoveri di Sassocorvaro e Carpegna, e trasferisce tutto nei sotterranei di Palazzo Ducale. Nel frattempo, alcuni studiosi al corrente delloperazione che hanno rifiutato di aderire alla repubblica di Sal, si organizzano per aiutare limpresa di Rotondi: Carlo Giulio Argan, uno dei pi grandi storici dellarte italiani, si reca in Vaticano do-
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LA VERSIONE ANGLOAMERICANA
di questanno il lm Monuments Men, scritto e diretto da George Clooney. La pellicola, che ha ricevuto reazioni contrastanti dalla critica cinematograca, si basa su una storia vera: quella dei Monuments Men, o meglio della Mfaa (Monuments, ne arts and archives group) dellesercito angloamericano. I soldati alleati deputati alla protezione dellarte, erano un folto gruppo di oltre 350 persone che salv dalle razzie dei nazisti moltissimi capolavori artistici tra cui la Madonna di Brugges, unica scultura di Michelangelo ad uscire dallItalia durante il corso della vita dellartista.
Al centro, Amore Sacro e amor profano di Tiziano. Da sinistra in senso orario la Predella Corpus Domini di Paolo Uccello, La Madonna del Prato di Giovanni Bellini, La Tempesta di Giorgione e la Madonna col bambino di Cosm Tura. Sono tutte opere ancora esistenti grazie alloperazione salvataggio guidata da Pasquale Rotondi, ritratto nella foto nel corpo dellarticolo
ve incontra il cardinal Montini, futuro Papa Paolo VI. Il Vaticano accetta di custodire le opere entro le sue mura, forse lunico posto sicuro rimasto in Italia. Il 21 dicembre del 1943 una colonna armata arriva a Urbino, carica le opere e riparte alla volta di Roma, dove arriva due giorni dopo. Loperazione salvataggio finalmente finita. Rotondi ha vinto. Leroico soprintendente, terminato il conflitto, continuer la propria carriera: sar soprintendente a Genova e salver altre opere darte dallalluvione di Firenze nel 1963, deumidificandole in una struttura detta la limonaia. Verr addirittura incaricato dal Vaticano di presiedere i lavori di restauro della cappella Sistina. La storia delloperazione salvataggio, per, viene dimenticata fino al 1984. in quellanno che il sindaco di Sassocorvaro viene a sapere della storia e va a Roma a incontrare il professor Rotondi che gli risponde: Era ora che vi ricordaste di me. Dal 1997 proprio nella cittadina della rocca si tiene ogni anno il premio intitolato alla memoria di Rotondi, scomparso nel 1991, e dedicato ai salvatori dellarte. Una storia straordinaria e ancora poco conosciuta nonostante al film La lista di Pasquale Rotondi realizzato da Rai Educational in collaborazione con la comunit montana del Montefeltro e trasmesso da La storia siamo noi. La storia di Pasquale Rotondi, luomo che salv il bello.
il Ducato
Veduta della Piazza di Urbania colpita dalle bombe il 23 gennaio 1944. Sulla destra un palazzo danneggiato. A destra, in alto unimmagine dellesplosione del deposito di mine di Montecchio. Sotto, soldati tedeschi fucilano dei civili
daco Luca Bellocchi e il parroco Don Piero scrissero una lettera per ribadire limportanza del ricordo: necessario ravvivare la memoria di un avvenimento che, con il passare del tempo e delle generazioni, rischia di afevolirsi per poi disperdersi tra le tante pagine della storia della nostra citt. Ma che non deve accadere mai pi. Ricordare fondamentale. Il bacio daddio. Avevo 26 anni allepoca. Quella mattina racconta Pietro Paci - ero uscito perch ero inquieto, non mi sentivo al sicuro. A casa cerano cinque persone, tra cui mia mamma, malata a letto. Mi ricordo che scesi le scale e incontrai la mia nipotina di nove anni, che stava facendo i compiti. Mi disse: Zio, mi dai un bacio?. Io glielo diedi e mi incamminai nel vialetto. Feci in tempo a percorrere pochi metri prima di sentire lo scoppio. Istintivamente mi misi a correre verso casa ma prima di arrivare incontrai una persona che conoscevo che mi disse: Pietro, la tua casa non esiste pi. Persi tutti e cinque i miei parenti ma i loro corpi non si ritrovarono mai, tranne quello di mia madre, sprofondata nella terra insieme al letto Amarsi no alla ne. In citt si sempre raccontata la storia tragica di due danzatini racconta Don Piero, parroco di Urbania quella mattina lei era andata a messa, lui laveva raggiunta per salutarla. Si parlavano separati dal vetro della porta della Chiesa. Ma ad un certo punto arrivarono le bombe. Lei si salv perch era allinterno. Di lui si recuper solo qualche povero resto nella zona della piazza. Il suo corpo era volato oltre i palazzi e si era quasi disintegrato a causa dello spostamento daria. Il riconoscimento, se cos si pu dire, fu fatto con un pezzo della cintura che indossava Il posto giusto. Arrivarono gli aerei e mi nascosi in una piccola cappella racconta il diacono
Giuseppe Mangani - ma non mi sentivo al sicuro cos mi spostai in un altro rifugio poco lontano. E cos, per caso, mi salvai. Mi ricorder sempre la montagna di cose che volava e le grida della gente. Ma io i morti non li ho visti. Per tantissime notti dopo il bombardamento, per, continuai ad avere gli incubi. Non riuscivo a togliermelo dalla mente I segni del bombardamento.
Quando arrivarono le bombe, ero con mamma e pap racconta Itala Spugnin, moglie di Giuseppe Mangani - mi ricordo che mio padre ci prese e ci mise sotto un arco, che fortunatamente non croll. Ma non dimenticher mai limmagine di mio padre insanguinato e della sottoveste stracciata di mia madre. Ho ancora una scheggia in testa a ricordarmi quel giorno maledetto
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ontecchio. una sera di fine gennaio del 1944. Gelida. Le famiglie si siedono a tavola. Poca roba, la guerra deve ancora finire. Al circolo di Piazza della Repubblica i soldati tedeschi e i montecchiesi bevono insieme qualche bicchiere di vino. Gino Ricci, 22 anni, un soldato in licenza premio, sta torMARTINA ILARI con due amici. nando in paese Quella sera hanno deciso di cenare in casa. Vedono il paese da due chilometri di distanza e i piedi sui pedali delle loro biciclette iniziano a spingere pi forte. Pum. Pum. Pum. Sentono a un certo punto. Sono le capsule delle mine del deposito di piazza della Repubblica che saltano in aria una ad una. Poi boom. Scoppiano tutte insieme. Poi silenzio, poi grida. Una nube di fumo immensa inghiotte il cielo di Montecchio. Il deposito di mine che i tedeschi avevano spostato da Pesaro a Montecchio esploso. Sono stati i partigiani. Lo avevano detto. Vi avviseremo, avevano anche detto. I tedeschi lo avevano messo l perch tanto cera la gente e non lo avrebbero fatto esplodere, spiega Ricci a 70 anni di distanza. Ma bisognava distruggerlo lo stesso o lavanzata degli inglesi sarebbe stata molto pi lenta. Quelle mine avrebbero fatto saltare i cingoli dei loro carri armati. La guerra cos, sentenzia il signor Ricci. Placido Gulino, il prigioniero venuto dal sud, il piantone del deposito, corre da una parte allaltra del paese. Via, via andate via, grida. Qualcuno lo ascolta e scappa a gambe levate. Altri non gli danno retta. un mese che ci dite che scoppia tutto, non vi crediamo pi, gli rispondono. Gulino muore insieme a trenta montecchiesi. Quelli che lo hanno ascoltato, tanti, si salvano. Il fratello e la sorella di Gino Ricci scappano da casa in mutande. Poi Gino scava e scava: i suoi genitori sono sotto le macerie. Li trova abbracciati nel letto. Gino Ricci, di quella notte ricorda un raggio di fuoco alto due o tre chilometri, i vetri rotti di tutti i paesi del circondario, le grida della gente, le case rase al suolo e una quercia alta quattro metri troncata nel mezzo. Uno spostamento
daria catapulta Gino e i suoi amici a decine di metri di distanza. Tutto bene? si chiedono lun laltro dopo un quarto dora. Poi il pensiero alle famiglie e via sui pedali. Quando hanno bombardato Fiume ho avuto tanta paura, racconta Ricci. Dopo lo scoppio, dopo quel 21 gennaio 1944, Montecchio non fu pi la stessa. O forse sarebbe il caso di dire, Montecchio fu per la prima volta. S, perch levento storico dellesplosione del deposito di mine divenne elemento fondante della memoria collettiva dei sopravissuti. Ho raccolto molte testimonianze spiega Cristina Ortolani, autrice di Un paese lungo la strada volevo ricostruire la storia di questo paese tra Pesaro e Urbino, prima e dopo lo scoppio. Eppure ogni volta
che chiedevo cosa ci fosse prima del 1944, tutti mi rispondevano che non cera niente. Come se lesplosione avesse cancellato tutto, spazzato via la memoria di quello che era stato. Non rappresentava la fine ma linizio di una civilt. Le parole per descrivere ci che avvenne si ripetono uguali sulle bocche di chi aveva sentito come una mazzata lesplosione della dinamite e visto la nube di fumo levarsi alta su piazza della Repubblica. Di chi aveva visto i parenti morire, di chi aveva cercato di rientrare in casa, scavalcando macerie, polvere, brandelli di quel che restava di armadi, letti, seggiole o che aveva tirato su baracche di fortuna con quel poco che stavano lasciando i primi soldati alleati che gi si aggiravano per i campi.
La memoria si cristallizzata, ha unito la cittadinanza, facendo scomparire le differenze: dopo quel momento catartico non ci fu pi la camicia nera che pi nera non si pu, n il partigiano, non si distinse pi tra buoni e cattivi. Montecchio non era pi il paese con losteria in cui si fermavano i viandanti che viaggiavano verso Pesaro, n la cittadina lambita dal Foglia, la cui portata spesso trascinava via il ponte che la collegava con Urbino. Era ormai la citt dello scoppio, della fiamma di fuoco che aveva fatto alzare lo sguardo al cielo degli abitanti dei paesi vicini: SantAngelo in Lizzola, Monte Gridolfo, Ripe. E da allora tale rimasta. Nel ricordo degli anziani e nei loro racconti ai giovani montecchiesi che ogni anno, il 21
gennaio, si ritrovano a commemorare i caduti. Di quello scoppio rimane, ora, un monumento: marmo bianco al centro della piazza, una corona dalloro con il tricolore, due lastre di bronzo con lelenco dei morti. La citt tutto intorno risorta spinta dallurgenza: a gennaio fa freddo e bisognava procurarsi un tetto. Ogni montecchiese, soccorsi i feriti, seppelliti i morti, ha ricostruito la propria abitazione sulle spoglie di quella venuta gi. Cos, una pietra sullaltra non erano quelli giorni in cui restava tempo per pensare. Cera solo la necessit di ritornare alla vita di sempre, ripartendo da se stessi, uniti attorno al ricordo confuso di un microcosmo spazzato via in una sera dinverno.
a guerra non solo quella delle trincee e dei bombardamenti, ma anche quella che viene a prenderti dentro casa. Che uccide tutti senza criterio: donne, anziani e bambini. Nella zona urbaniese successo tutto nel giro di pochi giorni: dal 5 al 14 luglio del 1944. La rappresaglia della Torre. Il cinque del mese i partigiani decidono di dar vita a un atto dimostrativo: vogliono far saltare il ponte di Tre Archi, sulla strada che collega Urbania e Piobbico. In quel momento arriva da Apecchio un sidecar di un maresciallo delle SS. I partigiani lo uccidono, riducendo in fin di vita il soldato che con lui (morir il giorno dopo). Lalba del 6 luglio ha inizio la rappresaglia tedesca. A raccontarlo don Sergio Campana, diventato il parroco della Torre pochi mesi dopo: Hanno iniziato a seguire le tracce dei partigiani con i cani ma hanno risparmiato Mamma Cesira che aveva dato da mangiare ai tedeschi racconta don Sergio subito dopo hanno fucilato quattro uomini e dato fuoco alle loro case. La risalita tedesca continua dando fuoco a tutte le case che trovano per strada. In undici si rifugiano dentro una stalla: vengono stanati e fucilati. Francesco Canti viene colpito a una gamba. Cade a terra e sviene: Non per il dolore ma per aver visto la sua casa in fiamme con i figli dentro -
continua ancora don Sergio i tedeschi passano a dare il colpo di grazia, ma Francesco coperto da altri cadaveri e cos si salva. Intanto Carmela Canti, la madre di quei bambini, chiede piet ai tedeschi spiegando che l dentro ci sono i suoi figli avvolti dalle fiamme, nel letto. I soldati non conoscono litaliano e non capiscono quello che dice la donna: le danno un colpo sui denti col calcio del
fucile. Lunico in grado di salvare i bimbi il loro fratello maggiore, Giuseppe Canti, di 8 anni: entrato in casa e ha liberato la sorellina di un anno e il fratello di due, continua il racconto di don Sergio. Tra i fucilati c anche Biagio Rossi, un
settantenne che abita l di fronte. Don Sergio racconta che luomo ha sentito gli spari e ha esclamato vado a vedere, tanto sono vecchio, cosa ci possono fare i tedeschi con me?, subendo per la stessa sorte degli altri uomini della Torre. Il rastrellamento dellOrsaiola. Pochi giorni dopo, per, alla storia della guerra a Urbania si aggiunge un nuovo capitolo: il rastrellamento dellOrsaiola. Quello che successo il 7 luglio lo racconta un testimone dellepoca che non vuole dire il suo nome perch limportante conoscere i fatti e non chi li riporta: successo a 200 metri da dove stavo io dopo esser fuggito dalla citt bombardata racconta chi ha vissuto quei momenti i tedeschi sono entrati nella chiesa e hanno sparato alcuni colpi: ancora oggi ci sono i bozzi nella chiesa. L hanno preso alcune persone e le hanno portate in una casa: Hanno fatto merenda insieme, sembravano volerli lasciare spiega il signore loro si sono allontanati e quando erano a circa 50 metri di distanza gli hanno sparato. Cinque morti e una giovane ragazza che chiedeva piet in lacrime, provando a convincere il fratello, passato dalla parte dei tedeschi, a risparmiarla, conclude il suo racconto luomo. Altri due uomini, Venanzio Maccarelli e Vincenzo Londei, rastrellati in quei giorni, sono stati trasportati a Urbino e fucilati. Ora una lapide li ricorda nel parco della resistenza, sulla collina alla fine di via del Popolo che affaccia su Palazzo Ducale.
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Arduino Federici. In alto, la brigata Maiella. Nella pagina accanto, a sinistra Gilberto Malvestuto. A destra Raffaele Di Pietro
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bardato le nostre roccaforti continua e noi eravamo sprovvisti di armi. In pi i nazisti sono arrivati con i caccia camuffati con i colori italiani. Era un tranello. Ci hanno falciati, e io sono stato ferito. Mi hanno mandato in infermeria e da l allospedale da campo di Argostoli. A Cefalonia i tedeschi uccisero cinquemila soldati italiani e quasi 450 ufciali che, dopo un duro combattimento si arresero. Arduino si salv grazie ai consigli di un generale: Mi disse di non dire a nessuno la mia nazionalit perch sarebbero arrivati i nazisti. Quando le SS chiesero se cerano italiani presenti non risposi. Davanti ai miei oc-
chi spararono in testa a un medico e a un prete. A ottobre inoltrato, Arduino era prigioniero nel campo della cittadina greca e ci rimasto per un mese: Ci nutrivamo con ghiande e bacche cadute a terra dagli alberi. I generali nazisti lo costrinsero anche a scrivere una lettera per rassicurare i familiari: Dissi di star bene, in realt pesavo 40 chili. Una volta uscito dal campo di concentramento, Arduino ha passato un anno, dal 1944 al 1945, peregrinando di citt in citt. Nel 1945 arrivai a casa. Tornare e riabbracciare gli altri sei fratelli e i miei genitori stata unemozione incredibile conclude.
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Settantanni dopo, ormai vecchi, parlano gli ultimi testimoni di quei giorni
EROI IN SCENA
La storia della Brigata Maiella diventata teatro.La racconta in 45 minuti la compagnia dei Guasconi, con lo spettacolo Banditen, diretto da Nicola Pitucci e rappresentato per la prima volta il 4 marzo 2012 al Piccolo Teatro Guascone di Pescara. Da quel momentodice Orazio di Vito, attore - iniziata la nostra esperienza, umana e teatrale, su questa formazione partigiana. E non si pi interrotta. E stato un lavoro lunghissimo di documentazione, fra gli archivi e i testi degli storici ci sono voluti mesi e ci sarebbe molto altro da leggere e studiare. Interpretato da Andrea Maria Costanzo, Orazio Di Vito e Pierluigi Amadio, lo spettacolo si regge su una scenograa semplice e un linguaggio variegato: s inizia in vernacolo abruzzese e si nisce con l italiano. In questi 2 anni Banditen ha fatto letteralmente il giro dItalia e il prossimo 24 aprile lo spettacolo sar replicato a Vasto, il 25 a Bologna. Un modo originale di celebrare la resistenza, che rende orgogliosi i Guasconi: Anche parlare della Liberazione rischia di diventare retorico, se si ricorre a cerimonie e parole vuote. Attraverso una storia vera, il nostro spettacolo cerca di andare oltre, di raccontare quegli ideali che hanno davvero guidato i partigiani in difesa degli ultimi. (s.c.)
MARISA LABANCA
SILVIA COLANGELI
lasse 1921, Gilberto Malvestuto stato ufficiale del plotone mitraglieri della brigata Maiella. Sulle pareti di casa primeggia il diploma donore, insieme al discorso di Pietro Calamandrei, alla foto della moglie scomparsa e allelenco dei nomi di tutti i giovani partigiani che componevano il reparto. Il suo racconto inizia con uno dei giorni pi tragici della storia dItalia: l8 settembre. Lesercito si era sciolto, era il caos. Io ero un ufficiale a Roma. Saputo dellarmistizio, insieme ad altri commilitoni, decisi di rientrare a casa, ma a Sulmona cerano i tedeschi. Rimasi nove mesi in clandestinit, in attesa di capire cosa fare. Avevo 23 anni. All8 settembre legato uno degli episodi pi tristi rimasti nei ricordi del tenente Malvestuto: Avevo un carissimo amico, era siciliano. Il giorno dellarmistizio ci separammo perch lui, non potendo tornare in Sicilia, decise di restare a Roma. Alla fine della guerra venni a sapere che si era arruolato con la Repubblica di Sal ed era morto, con quella divisa, in una battaglia contro i partigiani. Dopo nove mesi di occupazione, a Sulmona arrivarono gli alleati e con loro anche la banda partigiani della Maiella. E allora che scelsi di essere un partigiano, racconta il tenente spiegando che, anzich aderire al ricomposto esercito italiano, raggiunse Recanati. L la brigata si ferm per ricostituire lorganico, ad ognuno venne assegnato un ruolo ben preciso e il tenente Malvestuto fu messo a capo del plotone mitraglieri: Eravamo responsabili moralmente verso i genitori che ci avevano affidato i loro figli, la maggior parte di loro non aveva prestato servizio militare e dovevamo insegnare a loro tutto, dalla difesa alluso delle armi. Ne ha visti tanti cadere al suo fianco sotto i colpi dei tedeschi, come Oscar Fu, 17 anni, di Sulmona, arruolatosi volontario per combattere accanto ai suoi amici e morto nella battaglia di Brisighella il 4 dicembre 1944. La voce tremolante e lo sguardo lucido esprimono unemozione che non pu essere cancellata, quando ricorda lavanzata del plotone lungo la via Emilia, affiancato dalla seconda divisione delle truppe polacche: I tedeschi ci sparavano addosso dalla retroguardia, avevano il compito di bloccare la nostra avanzata. Ma il plotone del tenente Malvestuto, il 21 aprile 1945, riusc a raggiungere Bologna e a liberarla dalloccupazione tedesca. E stato senza dubbio il momento pi bello per me, - racconta abbandonandosi a un sorriso - la folla urlava di gioia, dal cielo cadevano i volantini. Una giovane donna corse verso di me, mi abbracci e mi disse grazie. Poi se ne and. La storia della brigata Maiella la storia di un gruppo di 1500 giovani che, dopo la liberazione dellAbruzzo, scelse di continuare a combattere in autonomia non legandosi mai allesercito regolare n a partiti politici. Lunica brigata partigiana decorata con la medaglia doro al valor militare. Nella motivazione si legge: Lungo tutto il cammino una scia luminosa di abnegazione e di valore ripete e riafferma le gesta pi epiche e gloriose della tradizione del volontarismo italiano. 54 caduti, 131 feriti di cui 36 mutilati, 15 medaglie dargento, 43 medaglie di bronzo e 144 croci al valor militare, testimoniano e rappresentano il tributo offerto dai Patrioti della Maiella alla grande causa della libert. Gilberto Malvestuto, che di anni oggi ne ha 92, dice: Abbiamo consegnato al futuro il nostro passato glorioso, perch non vada disperso il nostro sacrificio necessario che i giovani conoscano la nostra storia.
affaele di Pietro, 90 anni, mentre combatteva nella brigata Maiella ha perso luso del braccio sinistro e del ginocchio destro. Era il 3 febbraio 1944, sul fiume Senio: Avevo un fucile mitragliatore che serviva dassalto, ero al servizio dei due comandanti Dubai e Filetti, che mi avevano promosso caporal maggiore. Filetti una mattina mi ordin di sparare su un mezzo della Croce Rossa perch mi disse che conteneva munizioni e non farmaci. Allinizio mi opposi, ma poi eseguii lordine: il camion salt, qualcuno mor, qualcun altro si stese a terra per evitare i colpi. Fu il giorno successivo, quando i tedeschi spararono per rappresaglia, che rimasi ferito. Mi portarono in ospedale e quando venne a trovarmi il comandante mi disse che avevo fatto bene a sparare perch avevano ritrovato le munizioni. Il caporal maggiore Di Pietro in poche settimane viene portato in tre ospedali: Forl, Cesena, Loreto. Ho subito varie operazioni, ma non sono bastate a farmi recuperare il braccio e il ginocchio. Dopo mi hanno portato anche a Bari per un ultimo intervento. Sono tornato a casa il 2 giugno 1945. Raffaelle di Pietro non n il primo, n lultimo invalido di guerra nella sua famiglia. Il padre aveva combattuto la prima guerra mondiale e si era opposto con forza alla scelta del figlio di entrare nelle fila della brigata Maiella, tanto da mentire agli ufficiali che si occupavano dellarruolamento: Io e mio cugino, stufi dei soprusi tedeschi, ci presentammo dallufficiale di zona che stava costituendo il gruppo. Ma mio padre ci aveva seguiti e disse che eravamo minorenni. Quella volta tornammo a casa. Poco dopo, durante un blitz in casa mia, un tedesco mi punt una pistola alla testa. Sento ancora il freddo della canna. Dopo quellepisodio decisi di combattere. A Recanati Raffaelle Di Pietro entra nella brigata Maiella, insieme a suo cugino, che muore dopo pochi mesi. Uno dei momenti pi brutti di quellesperienza, insieme alla battaglia di Brisighella: Tre giorni di disastri. Facevo parte della compagnia polacca del generale Anders. Prima della battaglia venne lordine di attaccare la roccaforte tedesca, cos lartiglieria inizi il bombardamento. Era gi sera quando la fortezza tedesca venne distrutta. Quindi arriv il nostro turno. Ci arrampicammo lungo il dorsale della collina e andammo avanti cos per ore. Era gennaio inoltrato, pioveva e nevicava. Si combatteva a pochi passi dai tedeschi.Ma il caporal maggiore di Brisighella ricorda soprattutto la mattina successiva:Oscar Fu aveva 17 anni, uno meno di me. Quando in mattinata diedero il segnale iniziammo a retrocedere a pancia in gi , come i serpenti, senza alzare la testa. Fu era a pochi metri da me e fece per alzarsi. Gli spararono subito. Il calore delle persone aiutava i partigiani ad andare avanti, nonostante le difficolt: Appena ci vedevano uscivano a salutarci. Non ne potevano pi di stare in casa. Ci offrivano sempre acqua calda e cibo a volont. Le ragazze erano splendide e gentili. Appena siamo arrivati a Modigliano, tutti insieme abbiamo cantato Bella ciao. Prima di salutare Di Pietro conclude lucidamente : Mi fa piacere raccontare la Resistenza e invito i giovani a studiare meglio la storia del Novecento. La nostra formazione non aveva appartenenze politiche, siamo riusciti a conservare anche la nostra autonomia dallesercito. Ma prima di tutto eravamo giovani e la ribellione alle ingiustizie fu un gesto spontaneo, naturale (interviste a cura di Maria Gabriella Lanza).
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Le battaglie di Montecchio
uardando le colline ricoperte di fiori alle porte di Montecchio difficile immaginare che 70 anni fa quei prati verdi siano stati un campo di battaglia. Nel 1944, poco prima della liberazione dal nazi-fascismo, quelle colline erano solcate da barricate, campi minati, fortini in cemento armato e filo spinato. Prima dellestate i soldati tedeschi avevano rimosso cannoni da 88 millimetri da carrarmati morenti e li avevano posizionati sulle torrette che correvano lungo le fosse delle trincee. A sfondare quelle linee furono reggimenti canadesi e inglesi, che per subirono molte perdite. Guardando lerba tagliata corta ancora pi difficile pensare che un tempo, su quelle colline, inermi nel fango come i bossoli dei loro fucili Thompson, giacevano i corpi di soldati poco pi che adolescenti. A ricordare quelle battaglie ci sono le lapidi bianche del cimitero militare di Montecchio, costruito proprio sul crinale in cui gli alleati sfondarono le prime fortificazioni nemiche. Le tombe sono cos composte da sembrare un reggimento sullattenti: insieme allo stemma della propria nazione, ogni lapide riporta nome ed et dei caduti. In pochi superano i 24 anni tra i non ufficiali; uno di loro, C. Radtke, aveva solo 20 anni quando venuto a morire a diecimila chilometri di distanza da casa. Rest in peace inciso sulla sua lapide. Ma in
altre tombe ci sono anche dediche personali fatte dai parenti. Una di loro recita in inglese tanto amato in vita, quanto rimpianto in morte. In mezzo al cimitero c una piccola cappella che al suo interno conserva il diario delle visite. Tanti i ricordi lasciati da studenti, visitatori e parenti dei soldati morti. Gone but never forgotten. Morti ma mai dimenticati ha scritto R.Klein. Mentre Anne Bell ha lasciato una breve dedica con cui ha voluto ricordare il suo amato nonno. Quasi ogni anno i reduci dei West Nova Scotia, dei Cape Breton Highlanders, dei Perth e di tutti gli altri battaglioni canadesi che parteciparono alla guerra in centro Italia vengono a commemorare i compagni caduti in battaglia. Il loro ricordo vola ogni volta alloperazione pi sanguinosa, quella che sfond la crosta della linea gotica sulla collina che domina Montecchio. Lobbiettivo di quellattacco era conquistare laltura di Ca tramontana, che durante la seconda guerra mondiale era chiamata Quota 120. Alla fine di agosto il generale Bertram Hoffmeister, comandante delle forze canadesi, ordin di attaccare dai tre lati ai piedi dellaltura, sicuro che loffensiva avrebbe avuto esito positivo. Ma non and cos: il reggimento West nova Scotia, nel tentativo di scalare la collina a destra, dovette ritirarsi dopo aver perso 63 uomini sotto il fuoco delle mitragliatrici nemiche e lo scoppio delle mine; a sinistra, i Cape Breton Highlanders furono respinti poco prima di giungere alla vetta. Il reggimento Perth conquist
diverse postazioni nemiche passando dalla cittadina di Montecchio ormai rasa al suolo, ma venne bloccato prima di raggiungere la cima e si ferm a Quota 111. I Perth passarono la notte a guardare in cielo i colpi dei carrarmati dellottava divisione New Brunswick Hussars che passavano sopra le loro teste. In quei giorni linviata di guerra che testimoni lo sfondamento della linea gotica, Martha Gellhorn, moglie di Ernest Hemingway, descrisse cos quei giorni: terribile morire verso la fine dellestate quando si giovani e si combattuto a lungo. Quando si ricordano con tutto il cuore la casa e chi si ama. Quando si sa che la guerra comunque vinta. terribi-
le, e sarebbe da bugiardi o sciocchi se non si vedesse e sentisse tutto ci come una sventura. In questi giorni la morte di un uomo si avverte pi dolorosamente perch la fine di questa tragedia sembra cos vicina. Il 31 agosto, il giorno seguente il primo attacco, i canadesi riescono a conquistare Quota 120: dopo il forte bombardamento della notte da parte dei carrarmati dellottava divisione dei New Brunswick Hussars, il capitano Southby guid due compagnie degli Irish of Canada e degli Highlanders fin dentro le trincee nemiche. Lattacco dei canadesi sorprese i tedeschi allinterno dei loro fortini, portando alla cattura di 117 soldati e 4 ufficiali. Una dura sconfitta per il
comandante tedesco Albert Kesselring. Poco lontano dal cimitero, su un promontorio vicino Tavullia, sorge il monumento dedicato ai soldati canadesi che sfondarono la linea gotica. Il luogo non casuale. Nel punto esatto in cui stata edificata lopera mor uno dei protagonisti, il tenente colonnello Christopher Vokes. Il tenente colonnello fu colpito dalle schegge di una granata nemica poco dopo aver conquistato Quota 204, ma continu ad impartire ordini ai suoi uomini fino alla morte. Al centro del monumento c un cannone prelevato dalle vecchie fortificazioni, mentre intorno si stagliano verso il cielo delle lance di metallo che cingono lopera.
Una lapide nel cimitero militare di Montecchio: il soldato Radtke aveva 20 anni In alto, il monumento in memoria dei canadesi, morti combattendo sulla linea Gotica
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ono tantissime le iniziative che i comuni e le associazioni della provincia di PesaroUrbino hanno organizzato in occasione del 70 anno dalla Liberazione, molte delle quali per sono in forse a causa della mancanza di fondi. Una mattina mi son svegliato LAnpi, Associazione Nazionale Partigiani dItalia ha preparato, assieme a comuni e circoli Arci, una serie di incontri ed eventi in collaborazione con la manifestazione Una mattina mi son svegliato. Gli eventi sono in programma dal 19 marzo al 10 maggio in diverse localit, da Urbino a Gabicce Mare, passando per Fermignano, Fano e Pesaro. Il nostro obiettivo principale di tenere viva la memoria di quei giorni, dei valori della resistenza e della Costituzione, soprattutto tra i giovani ma anche dai 30 in su afferma Cristiana Nasoni, presidente dellAnpi di Urbino con i partigiani che piano piano stanno morendo e i giovani che non studiano quasi pi la Seconda Guerra Mondiale a scuola, sempre pi difficile mantenere il ricordo, ma altrettanto importante che i ragazzi si avvicinino a questa realt e ai sentimenti antifascisti, soprattutto ora che molti estremismi stanno tornando alla luce in particolari situazioni come in Grecia e in Francia. Oltre a cineforum, proiezioni e mostre fotografiche sono previsti anche pranzi sociali e dj set, per sensibilizzare il pi possibile le nuove generazion. Al Punto Macrobiotico di Urbino ogni domenica fino al 27 aprile si tengono degli incontri sui temi della resistenza, la sovranit alimentare e la tipografia clandestina. Le donne, protagoniste nei loro compiti della resistenza, saranno soggetto di
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ASSOCIAZIONE PER LA FORMAZIONE AL GIORNALISMO, fondata da Carlo Bo. Presidente: STEFANO PIVATO, Rettore dell'Universit di Urbino "Carlo Bo". Consiglieri: per l'Universit: BRUNO BRUSCIOTTI, LELLA MAZZOLI; per l'Ordine: NICOLA DI FRANCESCO, STEFANO FABRIZI, SIMONETTA MARFOGLIA; per la Regione Marche: JACOPO FRATTINI, PIETRO TABANELLI; per la Fnsi: GIOVANNI ROSSI, GIANCARLO TARTAGLIA. ISTITUTO PER LA FORMAZIONE AL GIORNALISMO: Direttore: LELLA MAZZOLI, Direttore emerito: ENRICO MASCILLI MIGLIORINI. SCUOLA DI GIORNALISMO: Direttore GIANNETTO SABBATINI ROSSETTI IL DUCATO Periodico dell'Ifg di Urbino Via della Stazione, 61029 - Urbino - 0722350581 - fax 0722328336 http://ifg.uniurb.it/giornalismo; e-mail: redazioneifgurbino@gmail.com Direttore responsabile: GIANNETTO SABBATINI ROSSETTI Stampa: Arti Grafiche Editoriali Srl - Urbino - 0722328733 Registrazione Tribunale Urbino n. 154 del 31 gennaio 1991
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Una volta preparammo una frittata di 12 uova per Mussolini e sua moglie. La mangi tutta lui. Stette male lintera notte. Sospettarono un avvelenamento. Ma era solo una pazzesca indigestione
Floride Candiracci, 90 anni, erede del titolare della locanda del Furlo che ospitava Benito Mussolini nelle sue soste tra Roma e Predappio. In alto, ci che resta del prolo imperiale e del mento volitivo