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Gaia Gandolfini

PARMA 1914-1918 – Piergiovanni Genovesi


Questo libro tratta della fase intermedia della Grande Guerra (1914\1918), concentrandosi sul
fronte interno, per osservare più da vicino la vita quotidiana della città, con l’obiettivo di
evidenziare vicende che hanno avuto meno attenzione, e trasformazioni e tensioni che il conflitto
innescò su piano politico, economico, sociale e culturale.
Nel maggio ’15 quasi 10.000 persone sfilarono per le vie di Parma sostenendo Salandra, contro
Giolitti. Prima vi erano già state altre simili manifestazioni. La famosa tavola di Beltrame su una
copertina della “Domenica del corriere” mostrava la lotta sanguinosa tra soldati e scioperanti in
via Bixio. Fino a quel momento vi era un marcato tratto rivoluzionario, ora la protesta si muoveva
in direzione opposta, questo mutamento era dato dalla nuova direzione politica presa dai
manifestanti che ora non sfilavano più dal popolare Oltretorrente ad espugnare il centrale
“salotto” cittadino ma dal centro verso la zona al di là del torrente. Oltre ciò vi erano significative
continuità, come la presenza del gruppo dirigente del sindacalismo rivoluzionario locale. Per le
autorità era persistente la pericolosità rivoluzionaria.
La città era una capitale dell’interventismo. Il movimento interventista era capeggiato da
repubblicani legati con sindacalisti, i quali speravano di trovare nella guerra una causa
d’indebolimento dell’organismo statale e quindi la possibilità di realizzare le proprie aspirazioni
rivoluzionarie. La componente sindacalista agì pure in stretto legame con la componente radicale,
repubblicana e massonica. A questo intreccio che diede forma all’interventismo locale s’impose
Berenini, docente universitario, deputato socialista passato nel ’12 tra le fila del socialismo
riformista, in buoni rapporti con De Ambris, massone, nel ‘17 al governo come ministro della
pubblica istruzione.
L’esperienza dei Soviet mostrò di saper catalizzare anche in città le masse lavoratrici avendo così
l’effetto da un lato di rinnovare l’ostilità con i borghesi, dall’altro di marginalizzare l’esperienza del
sindacalismo interventista. Si creò conflitto tra la borghesia “minuta” e i lavoratori da un lato,
dall’altro con la borghesia ricca.

UNA CITTA’ INTERVENTISTA – cap. 1


A fine luglio ’14 scoppiò la guerra, l’Italia non era ancora coinvolta militarmente ma culturalmente,
psicologicamente, politicamente ed eticamente. Da Parma partirono una quarantina di volontari
garibaldini.
Ci fu uno scontro fra interventisti e neutralisti. Inizialmente l’Italia si dichiarò neutrale avendo
consenso dalle forze politiche. A favore della neutralità per cui contro la guerra vi erano
sindacalisti, socialisti, anarchici, liberali(giolittiani) e pure cattolici e filogovernativi. La minoranza
era a favore dell’intervento, i nazionalisti: repubblicani, democratici, massoni. Masotti e De Ambris
inizialmente erano per “Abbasso la guerra, viva la rivoluzione!”: l’8 agosto alla stazione circa 80
richiamati in partenza gridarono “Abbasso la guerra e la monarchia, viva De Ambris!”. La
situazione cambiò quando a metà agosto i dirigenti sindacalisti tra cui De Ambris si schierarono a
favore della guerra scegliendo l’intervento, da qui “Viva la guerra liberatrice”. A rimarcare questa
situazione, alla vigilia della guerra (fine aprile ’15) circa 40 soldati in partenza passando davanti al
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luogo tradizionale di ritrovo sindacalista gridarono “Abbasso la guerra e De Ambris”. Giuseppe


Micheli, deputato, era rappresentante dei sindacalisti, contrario alla guerra, ma il 29 maggio
dichiarò, pur essendo riluttante al mondo spirituale e contrario all’intervento, che dopo la
dichiarazione di guerra all’Austria da parte del Governo del Re, gli italiani hanno obblighi all’infuori
di qualsiasi opinione e senza distinzioni ognuno deve far sacrificio dei propri averi e della vita per
la patria. Il vescovo di Parma sosteneva l’idea, e in occasione del Corpus Domini disse ai fedeli che
il sacrificio per causa nobile non deve rincrescere a seguaci di una religione che pone alla base il
rinnegamento di se stessi sino all’immolazione nel bisogno: da qui la scritta sulla porta del Duomo.
La svolta dei sindacalisti generò sospetti nell’area di governo.
A partire dall’autunno l’attività a sostegno dell’intervento fu febbrile, con diverse conferenze tra
cui di spicco fu quella di Mussolini, che si trasformò in uno scontro anche fisico coi neutralisti.
Tutto il mondo della scuola e l’Università e la borghesia intellettuale furono in prima linea a
sostenere l’intervento. La borghesia cittadina celebrava la guerra anche come “sola igiene del
mondo”, e a ciò si aggiungeva il desiderio di avventura e protagonismo.
La città si divideva tra: industriali e proprietari - temevano la guerra per le conseguenze
economiche; borghesia intellettuale - considerava la guerra necessaria per l’integrazione
nazionale e assicurare all’Italia libertà e prosperità nei commerci marittimi; ceto operaio -
favorevole alla guerra, sperando che essa porti miglioramenti economici dovuti a un diverso
assetto sociale e avendo paura che senza intervento gli venga resa difficile l’emigrazione data la
posizione che verrebbe fatta dall’estero; classi agricole(fuori città) - contrarie alla guerra,
ritenendo che sarebbero quelle che risentirebbero i danni più di tutti. Ci furono imponenti
manifestazioni col fine di impressionare l’opinione pubblica.
Nel maggio ’15, col telegramma “Per l’onore e l’avvenire d’Italia” a sostegno di Salandra, l’Ateneo
raggiunse una posizione istituzionale di primo piano all’interno del movimento interventista
parmigiano, di cui Berenini diventò sempre più figura di riferimento. Già da qualche giorno aveva
preso via una grande agitazione interventista e antigiolittiana, Giolitti era considerato traditore
della patria, i cortei erano guidati dalla necessità di opporsi al tradimento compiuto. Venne letta
una lettera di Berenini in cui rivendicò la necessità di compiere qualsiasi azione per sostenere le
aspirazioni nazionali e i diritti della civiltà e denunciò Giolitti e gli altri traditori per le manovre
parlamentari con cui hanno disonorato l’onore della patria verso lo straniero alla giustizia del
popolo.
Berenini inserì l‘intervento nella prospettiva di “guerra di liberazione” e per la civiltà
celebrandone i tratti risorgimentali, garibaldini e mazziniani e cercando di emarginare sia le visioni
ispirate al mito della guerra di potenza sia quelle eversivo-rivoluzionarie. La prospettiva
risorgimentale della “quarta guerra d’indipendenza” unita al tema della lotta per la libertà contro
le barbarie era un elemento trasversale capace di unire massoni, democratici, repubblicani,
sindacalisti e moderati. Perciò la lettura della guerra come necessaria risposta in difesa della
civiltà e per il compimento dell’unità nazionale risultò prevalente.
La violenza si radicò come modello d’agire politico. La situazione d’instabilità era fermentata dal
crollo dell’illusione di guerra democratica e di libertà, naufragata da tempo in un bellicismo
nazionalistico, l’orizzonte del dopoguerra era lontano dagli ideali di pace, diritto, libertà e giustizia,
con l’Italia che si apriva al fascismo, in cui confluirono molti docenti protagonisti delle giornate di
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maggio. Berenini così fu costretto a dimettersi da rettore con l’accusa di essere antifascista,
massone e socialista.

FRONTE INTERNO – cap. 2


Per tutto il corso della guerra Parma rimase nel fronte interno, seguendola “a distanza” anche
quando venne dichiarata il 1° dicembre ’17 zona di guerra. Ci fu qualche esercitazione di allarme
aereo dopo i bombardamenti austriaci sull’adriatico. Il prefetto fece dei manifesti con norme di
sicurezza, precisando che Parma e provincia erano tra i meno esposti al rischio. L’autorità militare
dispose dei centri d’avvistamento per gli allarmi obbligando i cittadini a partecipare attivamente
all’iniziativa. In caso di allarme, si segnalava con suono continuo di cornetta, e per evitare falsi
allarmi si stabilì il divieto per ambulanti e musicisti di strada di suonare ovunque sia di giorno che
di notte strumenti simili. Tra le indicazioni per il popolo c’era lo spegnimento delle luci e il divieto
di sparare contro i velivoli nemici. In città ci fu la ricerca delle spie austro-ungariche e contro i
propalatori di notizie false o allarmistiche. Agli occhi dei parmigiani la guerra prese forma in modo
indiretto, soprattutto attraverso la mediazione e quindi deformazione dei bollettini di guerra, dei
primi cine-giornali e documentari e delle commemorazioni. Erano seguitissime le pellicole
cinematografiche e gli spettacoli patriottici. Un altro canale erano le lettere dal fronte, che
rimandavano un’idea di guerra che in molti casi, soprattutto nella fase iniziale, diventava una
giocosa escursione, capace di offrire spettacoli meravigliosi, cinematografici. Col prolungarsi del
conflitto le lettere cambiarono registro. Imponenti furono le cerimonie e le commemorazioni, a
partire da quelle per l’anniversario dall’entrata in guerra, per la consegna delle medaglie al valor
militare, fino alla vittoria nel novembre ’18. Questi eventi avevano luogo di norma presso il Teatro
Regio o nel Giardino Pubblico, ma potevano anche assumere forma di corteo, come la “Solenne
celebrazione in memoria dei caduti per la Patria”. Nell’autunno ’18 in provincia si contavano circa
8000 profughi provenienti dalla zona di guerra, e accanto alla solidarietà per il loro arrivo vi erano
anche anche preoccupazione, sospetti, pregiudizi, ostilità varie. Tra questi l’accusa di essere causa
della guerra. Non rari furono gli episodi di alienazione e suicidio, pazzia che ebbero militari come
protagonisti, e suscitarono notevole impressione in città. La vita in città appariva estranea dal
conflitto, con la gente che si divertiva come nulla fosse, con aria festosa, a discapito dei soldati che
tornando dal fronte si trovavano demoralizzati ad incontrare smoderata allegria piuttosto che
serio raccoglimento. In realtà la guerra incise in profondità anche sulla vita cittadina.
Pochi giorni dopo l’inizio della guerra il prefetto Olgiati convocò una riunione per stabilire
provvedimenti a favore delle famiglie dei richiamati, un piano di “soccorso morale”. Già prima
della dichiarazione di guerra presso l’Università popolare si era costituito il Comitato parmense di
preparazione civile, con presidente Giovanni Mariotti, su iniziativa di repubblicani, massoni e
radical-democratici. Il comitato inizialmente era organizzato attorno a 5 sezioni: servizi civili,
istruzione, assistenza e previdenza, difesa sussidiaria, propaganda. Nel corso della guerra si
aggiunsero: pro-mutilati, provinciale, agricola. Era sostenuto da piccola borghesia, professionisti,
classe impiegata e lavoratori. Oltre a stimolare lo spirito di sacrificio e patriottico, esso agiva per
sostituire i lavoratori partiti per il fronte per le aziende, preparare militarmente gli esenti,
organizzare gli asili per i bambini dei richiamati. Si costituì anche una sezione femminile, con più
marcato tratto assistenziale per bimbi e ricoverati. Il mondo cattolico diede vita al Comitato civile

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cattolico, presieduto da Canali e composto da laici ed esponenti del clero. Esso si proponeva di
provvedere alla tutela dei ragazzi, procurare al governo i sussidi stabiliti per le famiglie bisognose
dei militari, facilitare la corrispondenza tra militari e famiglie, provvedere all’assistenza morale dei
feriti e i convalescenti, aiutare i bisognosi. I cattolici erano esortati a dare appoggio morale e
finanziario. L’associazione “Patria e Umanità”, presieduta da Guerci, si proponeva a tenere alto il
sentimento morale patriottico, lo spirito di sacrificio e la fermezza nei propositi, ed era punto
d’incontro fra radical-democratici, repubblicani, massonici e sindacalisti. Questo inizialmente si
tradusse nella pubblicazione dei manifesti per commemorare i caduti al fronte, in particolare
Filippo Corridoni; l’organizzazione di conferenze a pagamento presso il Regio. L’attività
dell’associazione s’indirizzò verso il sostegno dello sforzo bellico, preferendo conferenze di noti
oratori in luoghi pubblici. Venne prevista un’azione, con diffusione di volantini per contrastare la
propaganda socialista. Si decise di porre al centro dell’operato un’azione di vigilanza, affinché
ognuno compia il proprio dovere. Essa fu parte rilevante nella costituzione del Comitato per la
resistenza interna, sorto per contrastare le richieste di pace crescenti. Negli ultimi giorni dell’anno
venne fatta propaganda attraverso manifesti nei negozi, ci furono casi in cui negozianti pur
accettandoli non li esposero, e a fronte di ciò il comitato sfidava di respingerli apertamente, che
significherebbe negazione di solidarietà alla propaganda per la difesa nazionale e provocherebbe
così le determinazioni del caso.
La mobilitazione civile diede vita a moltissime iniziative, in gran parte sostenute dalla Cassa di
Risparmio: per aiutare i soldati al fronte(confezione di maschere antigas, raccolta indumenti di
lana), e la popolazione in difficoltà(cucine economiche per offrire pane e minestre alle famiglie dei
richiamati, asili per gli orfani di guerra). Particolare attenzione venne data alla corrispondenza, fu
istituita una sala di scrittura per i militari di passaggio, un Ufficio corrispondenza per gestire la
posta delle famiglie dei militari in guerra. Fu costituito un Comitato d’assistenza, riconosciuto
dalla Croce Rossa, per la questione dei prigionieri, per i quali i fratelli Barilla confezionavano il
pane.
L’inizio della guerra comportò contraccolpi sul sistema economico cittadino. La chiusura dei
mercati e l’impossibilità di esportare ebbero ripercussioni sul commercio. Con l’avanzare del
conflitto l’aumento dei costi e la scarsità di materie prime resero la situazione dei piccoli commerci
estremamente difficile. Il problema della disoccupazione col blocco dell’emigrazione si aggravò
ulteriormente, che faceva da valvola di sfogo e quindi soluzione al problema, e ancor più grave la
situazione era in provincia, nella zona appenninica. La preoccupazione per le tensioni sociali che
ne potevano scaturire spinse il prefetto ad inviare operai al fronte a svolgere lavori militari.
Dal punto di vista industriale nei primi del Novecento Parma iniziava i primi passi, soprattutto con
l’industria delle conserve alimentari, della pasta(Barilla) e lo zucchero, il settore meccanico e del
vetro, i busti da donna e le calzature. Il Comitato di preparazione civile si era già preparato per
sostituire i lavoratori mandati al fronte. Nel corso della guerra le crescenti difficoltà
nell’approvvigionamento del carbone e la latta crearono forti problemi al settore. Venne discussa
la possibilità di dar vita alla produzione di munizioni da guerra, anche in provincia, presentata
come dovere patriottico e anche come occasione per alleviare la crisi dell’industria meccanica. La
Barilla fin dall’inizio fu chiamata dall’autorità militare ad un’eccezionale produzione di gallette, la
Rizzoli-Emanuelli fu tra le principali fornitrici di alici, in variopinte confezioni, furono creati in città
vari laboratori di produzione data la forte richiesta di indumenti e calzature militari.
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Nel corso del conflitto la vita sociale era militarizzata a tal punto da contrastare ogni forma di
protesta, la convergenza delle forze politiche cittadine a sostegno della guerra impedì che un
dissenso di natura esplicitamente politica assumesse forme organizzate, anche se le tensioni
soprattutto relative al settore produttivo aumentarono portando all’estate ’17 a serie di scioperi,
e in provincia le proteste non mancarono. La protesta portò al riconoscimento dei miglioramenti
richiesti, ma restò confinata nell’ambito salariale, senza assumere connotati di esplicita
opposizione alla realtà e alle logiche del conflitto. Ci fu una grande ribellione in città quando un
centinaio di reclute del distretto di Parma, dirette in stazione si allontanò dai plotoni e quelle
rimaste si accasciarono a terra per non partire fino all’intervento delle guardie. Ci fu un clima di
sospetto anticlericale, rappresentato anche dalla polemica natalizia a dicembre ’17 sul presepe e
la sua effettiva necessità in un momento in cui ogni segnale di pace assumeva connotazione di
tradimento. I sindacalisti non mancarono di ribadire accanto ad una posizione nazionale e
patriottica, la connotazione prettamente proletaria e rivoluzionaria della guerra: un esempio fu la
commemorazione di Filippo Corridoni, figura di spicco del sindacalismo rivoluzionario,
protagonista durante lo sciopero parmense del 1908, volontario morto nel ’15. Il partito socialista
era al centro degli attacchi per via della sua posizione, anche se nell’immediato dopoguerra
primeggiò sia in provincia che in città.

LA VITA QUOTIDIANA – cap. 3


Ci fu una limitazione dei consumi elevata a dovere patriottico, i giornali e i muri informavano su
calmieri, razionamenti e divieti riguardanti carne, pane, dolci, zucchero, lardo ecc… Latte, patate,
farina erano scarseggianti, e dov’era possibile si era provveduto a fare provviste. La contesa per le
scorte diventò presto scontro fisico, la gente si accalcava e ammassava nei negozi picchiandosi e
insultandosi. Per acquistare i vari beni servivano le tessere, chi se ne procurava in aggiunta
rispetto a quelle spettanti veniva denunciato e perdeva diritto ad averne altre, in caso di
smarrimento non venivano rilasciati duplicati, chi non ne aveva non poteva fare determinati
acquisti(qui emerse un dettaglio quotidiano legato alla reticenza femminile a indicare la propria
età). Forte fu il fenomeno del contrabbando, soprattutto della carne e del cuoio, diventato raro.
Aumentavano le frodi alimentari, cominciando dal latte annacquato e il mancato rispetto dei
prezzi limite stabiliti dai calmieri, gli aumenti selettivi soprattutto a danno di profughi e soldati di
passaggio. Vari furono i casi di speculazione a danno dei profughi, come i locali che facevano
passare per occupati anche se vuoti o i prezzi esorbitanti. Vi furono poi diversi casi di truffe, come
il caso dell’impostore che si spacciava come raccoglitore di offerte per l’assistenza, o il finto
capitano d’esercito che garantiva alle madri il ritorno dei figli dietro compenso, per poi dileguarsi,
o la truffa del carbone di una donna che lo offriva a negozi a buon prezzo per sparire con gli
acconti, con la scusa di averne bisogno per il dazio.
Altra importante fonte di preoccupazione fu il freddo, molto rigidi furono i “giorni della merla”, la
progressiva mancanza di legna e carbone aggravava la situazione, dati anche i furti di carbone a
danno delle ferrovie. Ripetuti furono gli incidenti dovuti all’usura dei tram a vapore, specialmente
quelli che collegavano città e provincia.
Tra le occasioni di svago vi erano gli spettacoli d’opera, gli alcolici, il gioco d’azzardo e la
prostituzione, aggravata a causa di molte donne sole rimaste in difficoltà. Sulla Gazzetta così
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apparivano i nomi delle “veneri da strapazzo” e pregiudicate erano le donne lavoratrici. Le autorità
erano preoccupate per le malattie sessualmente trasmissibili legate alla prostituzione clandestina,
fuori delle “case chiuse”, e per il gioco d’azzardo, che portava le persone alla rovina dissipando
patrimoni considerati utili a sostenere lo sforzo bellico, così specificatamente per queste ultime
persone furono attivate iniziative, in particolare in ambito cattolico, per offrire spazi per “onesto
convegno”. Quasi a fine guerra venne aperta in collaborazione con gli alleati statunitensi una casa
del soldato della YMCA, associazione che proponeva l’opportunità di stabilire relazioni sociali con
giovani seri vogliosi di una vita sana. Paure, ansia, depressione, suicidi erano sempre più in
crescita. Ci furono fenomeni come le catene di sant’Antonio, come preghiere che promettevano
protezione se diffuse e disgrazie se interrotte, o pubblicizzazione di pillole per chi “ha paura pure
della propria ombra”. Si cercava così conforto nella religione, molto sentito era il culto mariano,
ravvivato dalle apparizioni di Fatima.
La situazione igienico-sanitaria era problematica, soprattutto in Oltretorrente, dove alcolismo,
tubercolosi e carenza alimentare erano ampiamente gravi e più diffusi. In agosto ’18 anche Parma
fu colpita dall’influenza spagnola, che fece più morti di quelli di guerra.
La figura della donna in guerra era incentrata sul modello della mater: prolifica, consolatrice,
curatrice, dolorosa (modello rispecchiato soprattutto nell’infermiera). Le attività femminili si
ampliarono in zone prima escluse, come la gestione diretta delle risorse finanziarie. La Croce Rossa
sollecitava le donne a far parte del Corpo delle Infermiere Volontarie iscrivendosi ai corsi, più di un
centinaio aderirono, spinte dal senso di avventura, il desiderio di indipendenza e la volontà di
affrancarsi da ruoli prestabiliti. Importanti furono le associazioni femminili, le principali erano
l’Unione femminile italiana e il Consiglio nazionale delle donne italiane: esse si mobilitarono a
favore dello sforzo bellico e la loro richiesta prioritaria era il diritto di voto.
Si distinse sul piano dell’azione politica Maria Rygier, esponente dell’interventismo sindacalista,
attiva anche in provincia, proveniente da posizioni antimilitariste che la portarono in carcere più
volte. Nel ’14 si schierò con De Ambris e Corridoni a favore dell’intervento in aiuto della
Francia(interesse primo del proletariato), nel ’18 adottò una nuova identità nazionalista, costruita
attorno al mito del dolore e del sacrificio, per agire oltre la fine della guerra, che trovò forma nella
creazione della sezione parmense del Fascio nazionale femminile di Roma, il cui scopo era essere
fiduciosi alla patria resistendo a tutto ciò che necessario per conseguire la vittoria, combattendo
ogni tipo di disfattismo, dubbi, stanchezza e svegliando nuove energie nei soldati. Vi era una nuova
visione di donna combattente e audace, pronta a guardare in faccia il dolore. Veniva proposta
anche una rielaborazione sulla parità di genere, invitando uomini a rimuovere elementi come le
“femminette”, non lusingandole, e donne i buoni a nulla, spregiandoli.
Venne aperta una scuola di calzature e le donne iniziarono a sostituire gli uomini mandati al
fronte, per cui iniziarono a lavorare in massa in campi, fabbriche, ospedali, uffici, stazioni, banche,
botteghe… Le maestre si distinsero nella mobilitazione civile e nella propaganda di guerra,
l’intreccio di motivazioni patriottiche e rivendicazioni sociali portò così alla marginalizzazione delle
rivendicazioni sui diritti a fronte di una celebrazione del tema del dovere. Gli uomini al ritorno
pretendevano i loro posti di lavoro liberi, da qui iniziò la polemica in città sulla degenerazione
morale comportata dal nuovo status della donna, di cui dava segnale il lusso smodato sfoggiato
dalle donne emancipate, soprattutto per via dell’abbigliamento. Si temeva e soprattutto le

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autorità temevano il mutato protagonismo sociale delle donne(soprattutto operaie e impiegate)


che mostrarono nei momenti di protesta, come in occasione degli scioperi, e l’idea che esso
portasse alla sovversione del concetto di ruoli prestabiliti.
Per quanto riguarda i ragazzi, l’attenzione di autorità e Comitati si rivolse principalmente agli
orfani e i tanti figli dei richiamati di cui le madri rimaste sole non riuscivano a prendersi cura. Essi
venivano assistiti con l’istituzione di patronati per orfani, che organizzavano raccolte fondi, centri
estivi, asili ecc… La situazione degli adolescenti era più problematica, anche per la presenza dei
gruppi di “sbandati”, come ad esempio quelli che si accalcavano attorno alla roulette di strada
Garibaldi. I ragazzi visti a rischio di intraprendere percorsi di devianza si trovavano al Riformatorio,
una notizia fu il fatto che dieci diciottenni di loro avessero chiesto di essere arruolati venendo
subito mandati al fronte, la morte di uno di loro venne posta all’attenzione dicendo di “imitare
l’esempio del ragazzo, distinto per ottima condotta e assiduità a lavoro e studio”.
Fu così che soprattutto alla scuola spettò il compito di sostenere la mobilitazione, uno dei centri in
cui si sviluppò maggiormente l’azione di propaganda a sostegno della guerra. Il suo regolare
funzionamento fu difficoltoso dall’entrata in guerra, dal momento che molti edifici vennero
requisiti dalle autorità militari per farne ospedali(Parma venne connotata come città ospedale, e
proprio nell’ottobre ’15 venne posta la prima pietra nel nuovo Ospedale Maggiore, con la presenza
del presidente del consiglio Salandra, destinato a sostituire negli anni ’20 quello in strada
d’Azeglio) o alloggi per le truppe, ciò venne risolto con la chiusura anticipata a maggio. Il problema
si ripresentò alla ripresa dopo l’estate, le lezioni procedevano così con orari alternati. I materiali
presto scarseggiarono, e la chiusura improvvisa delle scuole comportò ulteriori ricadute negative
sulla vita quotidiana, soprattutto nell’Oltretorrente dove ciò significava privare gli alunni poveri del
sostentamento offerto dalla refezione scolastica. Le autorità richiamavano costantemente gli
insegnanti affinché anche all’infuori delle aule svolgessero la propria opera di propaganda.
L’atteggiamento interventista connotò significativamente la componente studentesca,
universitaria ma anche delle scuole superiori, molti studenti partirono come volontari, e nel primo
dopoguerra molti nomi degli studenti morti nel corso della guerra furono scritti sulle lapidi
inaugurate nelle varie istituzioni scolastiche cittadine.

Uno studio statistico sulle classi di leva 1895/96 presenta che il 45% delle reclute proveniva dal
settore dell’agricoltura, il 24,5% dall’artigianato, il 5% da operai. Al termine del conflitto il
conteggio ufficiale dei soldati originari di Parma e provincia coinvolti nella guerra parlò di 42600
uomini, di questi 5700 non tornarono.

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