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maggio. Berenini così fu costretto a dimettersi da rettore con l’accusa di essere antifascista,
massone e socialista.
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cattolico, presieduto da Canali e composto da laici ed esponenti del clero. Esso si proponeva di
provvedere alla tutela dei ragazzi, procurare al governo i sussidi stabiliti per le famiglie bisognose
dei militari, facilitare la corrispondenza tra militari e famiglie, provvedere all’assistenza morale dei
feriti e i convalescenti, aiutare i bisognosi. I cattolici erano esortati a dare appoggio morale e
finanziario. L’associazione “Patria e Umanità”, presieduta da Guerci, si proponeva a tenere alto il
sentimento morale patriottico, lo spirito di sacrificio e la fermezza nei propositi, ed era punto
d’incontro fra radical-democratici, repubblicani, massonici e sindacalisti. Questo inizialmente si
tradusse nella pubblicazione dei manifesti per commemorare i caduti al fronte, in particolare
Filippo Corridoni; l’organizzazione di conferenze a pagamento presso il Regio. L’attività
dell’associazione s’indirizzò verso il sostegno dello sforzo bellico, preferendo conferenze di noti
oratori in luoghi pubblici. Venne prevista un’azione, con diffusione di volantini per contrastare la
propaganda socialista. Si decise di porre al centro dell’operato un’azione di vigilanza, affinché
ognuno compia il proprio dovere. Essa fu parte rilevante nella costituzione del Comitato per la
resistenza interna, sorto per contrastare le richieste di pace crescenti. Negli ultimi giorni dell’anno
venne fatta propaganda attraverso manifesti nei negozi, ci furono casi in cui negozianti pur
accettandoli non li esposero, e a fronte di ciò il comitato sfidava di respingerli apertamente, che
significherebbe negazione di solidarietà alla propaganda per la difesa nazionale e provocherebbe
così le determinazioni del caso.
La mobilitazione civile diede vita a moltissime iniziative, in gran parte sostenute dalla Cassa di
Risparmio: per aiutare i soldati al fronte(confezione di maschere antigas, raccolta indumenti di
lana), e la popolazione in difficoltà(cucine economiche per offrire pane e minestre alle famiglie dei
richiamati, asili per gli orfani di guerra). Particolare attenzione venne data alla corrispondenza, fu
istituita una sala di scrittura per i militari di passaggio, un Ufficio corrispondenza per gestire la
posta delle famiglie dei militari in guerra. Fu costituito un Comitato d’assistenza, riconosciuto
dalla Croce Rossa, per la questione dei prigionieri, per i quali i fratelli Barilla confezionavano il
pane.
L’inizio della guerra comportò contraccolpi sul sistema economico cittadino. La chiusura dei
mercati e l’impossibilità di esportare ebbero ripercussioni sul commercio. Con l’avanzare del
conflitto l’aumento dei costi e la scarsità di materie prime resero la situazione dei piccoli commerci
estremamente difficile. Il problema della disoccupazione col blocco dell’emigrazione si aggravò
ulteriormente, che faceva da valvola di sfogo e quindi soluzione al problema, e ancor più grave la
situazione era in provincia, nella zona appenninica. La preoccupazione per le tensioni sociali che
ne potevano scaturire spinse il prefetto ad inviare operai al fronte a svolgere lavori militari.
Dal punto di vista industriale nei primi del Novecento Parma iniziava i primi passi, soprattutto con
l’industria delle conserve alimentari, della pasta(Barilla) e lo zucchero, il settore meccanico e del
vetro, i busti da donna e le calzature. Il Comitato di preparazione civile si era già preparato per
sostituire i lavoratori mandati al fronte. Nel corso della guerra le crescenti difficoltà
nell’approvvigionamento del carbone e la latta crearono forti problemi al settore. Venne discussa
la possibilità di dar vita alla produzione di munizioni da guerra, anche in provincia, presentata
come dovere patriottico e anche come occasione per alleviare la crisi dell’industria meccanica. La
Barilla fin dall’inizio fu chiamata dall’autorità militare ad un’eccezionale produzione di gallette, la
Rizzoli-Emanuelli fu tra le principali fornitrici di alici, in variopinte confezioni, furono creati in città
vari laboratori di produzione data la forte richiesta di indumenti e calzature militari.
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Nel corso del conflitto la vita sociale era militarizzata a tal punto da contrastare ogni forma di
protesta, la convergenza delle forze politiche cittadine a sostegno della guerra impedì che un
dissenso di natura esplicitamente politica assumesse forme organizzate, anche se le tensioni
soprattutto relative al settore produttivo aumentarono portando all’estate ’17 a serie di scioperi,
e in provincia le proteste non mancarono. La protesta portò al riconoscimento dei miglioramenti
richiesti, ma restò confinata nell’ambito salariale, senza assumere connotati di esplicita
opposizione alla realtà e alle logiche del conflitto. Ci fu una grande ribellione in città quando un
centinaio di reclute del distretto di Parma, dirette in stazione si allontanò dai plotoni e quelle
rimaste si accasciarono a terra per non partire fino all’intervento delle guardie. Ci fu un clima di
sospetto anticlericale, rappresentato anche dalla polemica natalizia a dicembre ’17 sul presepe e
la sua effettiva necessità in un momento in cui ogni segnale di pace assumeva connotazione di
tradimento. I sindacalisti non mancarono di ribadire accanto ad una posizione nazionale e
patriottica, la connotazione prettamente proletaria e rivoluzionaria della guerra: un esempio fu la
commemorazione di Filippo Corridoni, figura di spicco del sindacalismo rivoluzionario,
protagonista durante lo sciopero parmense del 1908, volontario morto nel ’15. Il partito socialista
era al centro degli attacchi per via della sua posizione, anche se nell’immediato dopoguerra
primeggiò sia in provincia che in città.
apparivano i nomi delle “veneri da strapazzo” e pregiudicate erano le donne lavoratrici. Le autorità
erano preoccupate per le malattie sessualmente trasmissibili legate alla prostituzione clandestina,
fuori delle “case chiuse”, e per il gioco d’azzardo, che portava le persone alla rovina dissipando
patrimoni considerati utili a sostenere lo sforzo bellico, così specificatamente per queste ultime
persone furono attivate iniziative, in particolare in ambito cattolico, per offrire spazi per “onesto
convegno”. Quasi a fine guerra venne aperta in collaborazione con gli alleati statunitensi una casa
del soldato della YMCA, associazione che proponeva l’opportunità di stabilire relazioni sociali con
giovani seri vogliosi di una vita sana. Paure, ansia, depressione, suicidi erano sempre più in
crescita. Ci furono fenomeni come le catene di sant’Antonio, come preghiere che promettevano
protezione se diffuse e disgrazie se interrotte, o pubblicizzazione di pillole per chi “ha paura pure
della propria ombra”. Si cercava così conforto nella religione, molto sentito era il culto mariano,
ravvivato dalle apparizioni di Fatima.
La situazione igienico-sanitaria era problematica, soprattutto in Oltretorrente, dove alcolismo,
tubercolosi e carenza alimentare erano ampiamente gravi e più diffusi. In agosto ’18 anche Parma
fu colpita dall’influenza spagnola, che fece più morti di quelli di guerra.
La figura della donna in guerra era incentrata sul modello della mater: prolifica, consolatrice,
curatrice, dolorosa (modello rispecchiato soprattutto nell’infermiera). Le attività femminili si
ampliarono in zone prima escluse, come la gestione diretta delle risorse finanziarie. La Croce Rossa
sollecitava le donne a far parte del Corpo delle Infermiere Volontarie iscrivendosi ai corsi, più di un
centinaio aderirono, spinte dal senso di avventura, il desiderio di indipendenza e la volontà di
affrancarsi da ruoli prestabiliti. Importanti furono le associazioni femminili, le principali erano
l’Unione femminile italiana e il Consiglio nazionale delle donne italiane: esse si mobilitarono a
favore dello sforzo bellico e la loro richiesta prioritaria era il diritto di voto.
Si distinse sul piano dell’azione politica Maria Rygier, esponente dell’interventismo sindacalista,
attiva anche in provincia, proveniente da posizioni antimilitariste che la portarono in carcere più
volte. Nel ’14 si schierò con De Ambris e Corridoni a favore dell’intervento in aiuto della
Francia(interesse primo del proletariato), nel ’18 adottò una nuova identità nazionalista, costruita
attorno al mito del dolore e del sacrificio, per agire oltre la fine della guerra, che trovò forma nella
creazione della sezione parmense del Fascio nazionale femminile di Roma, il cui scopo era essere
fiduciosi alla patria resistendo a tutto ciò che necessario per conseguire la vittoria, combattendo
ogni tipo di disfattismo, dubbi, stanchezza e svegliando nuove energie nei soldati. Vi era una nuova
visione di donna combattente e audace, pronta a guardare in faccia il dolore. Veniva proposta
anche una rielaborazione sulla parità di genere, invitando uomini a rimuovere elementi come le
“femminette”, non lusingandole, e donne i buoni a nulla, spregiandoli.
Venne aperta una scuola di calzature e le donne iniziarono a sostituire gli uomini mandati al
fronte, per cui iniziarono a lavorare in massa in campi, fabbriche, ospedali, uffici, stazioni, banche,
botteghe… Le maestre si distinsero nella mobilitazione civile e nella propaganda di guerra,
l’intreccio di motivazioni patriottiche e rivendicazioni sociali portò così alla marginalizzazione delle
rivendicazioni sui diritti a fronte di una celebrazione del tema del dovere. Gli uomini al ritorno
pretendevano i loro posti di lavoro liberi, da qui iniziò la polemica in città sulla degenerazione
morale comportata dal nuovo status della donna, di cui dava segnale il lusso smodato sfoggiato
dalle donne emancipate, soprattutto per via dell’abbigliamento. Si temeva e soprattutto le
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Uno studio statistico sulle classi di leva 1895/96 presenta che il 45% delle reclute proveniva dal
settore dell’agricoltura, il 24,5% dall’artigianato, il 5% da operai. Al termine del conflitto il
conteggio ufficiale dei soldati originari di Parma e provincia coinvolti nella guerra parlò di 42600
uomini, di questi 5700 non tornarono.