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Studi Trentini. Storia a. 94 2015 n. 2 pp.

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Gli antichisti italiani e la Grande Guerra


Cronaca del convegno (21-22 maggio 2015)

EMANUELE PULVIRENTI, GIULIA VETTORI*

I l convegno Gli antichisti italiani e la Grande Guerra, tenutosi a Trento


presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia con il patrocinio del Corso
di Dottorato “Culture d’Europa. Ambienti, spazi, storie, arti, idee” e della
Scuola di Dottorato in Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Tren-
to (21-22 maggio 2015), si inserisce nel ricco programma di eventi realizzati
in seno al progetto strategico d’Ateneo 2014-2016 Wars and post-war: states
and societies, cultures and structures. Reflections from a centenary.
Come ha evidenziato in apertura Elvira Migliario, docente di Storia Ro-
mana dell’Università di Trento e responsabile scientifico dell’iniziativa, la ri-
correnza dei cent’anni dall’inizio della Prima Guerra Mondiale rende dove-
rosa una riflessione su uno dei fattori che ha concorso a rendere il conflitto
del 1914-1918 una “Grande Guerra”: il massiccio coinvolgimento degli in-
tellettuali. Nello specifico, scopo dei vari interventi è stato quello di definire
il profilo ideologico di una generazione di studiosi (in fin dei conti non così
lontana, trattandosi dei maestri dei maestri di molti dei relatori presenti) di
fronte a quello che costituisce uno spartiacque della storia nazionale e mon-
diale, valutandone da un lato il diretto coinvolgimento negli eventi bellici,
dall’altro l’eventuale riflesso nella produzione e nella carriera scientifica. So-
stenitori di un interventismo frutto di una pluriennale esperienza politica ir-
redentista, o fautori, al contrario, della causa neutralista, gli antichisti italia-
ni, storici, filologi, archeologi e studiosi di diritto romano si sono resi prota-
gonisti di uno scenario di guerra talvolta meno cruento ma dalle ripercussio-
ni tutt’altro che irrilevanti.

* La cronaca, redatta in stretta collaborazione, è attribuibile a Emanuele Pulvirenti nella parte


che arriva fino all’intervento di Anselmo Baroni (pp. 551-554) e a Giulia Vettori nella parte che
comincia con Ludovico Rebaudo (pp. 554-558).

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La prima relazione, intitolata Gli intellettuali europei e le loro responsabi-
lità nello scatenamento della guerra, è stata tenuta da Gustavo Corni. In un
affresco di grande respiro storico, l’intervento si è dapprima concentrato sui
mesi immediatamente antecedenti allo scoppio del conflitto, restituendo ef-
ficacemente l’immagine di un’Europa magmatica, caratterizzata da una mol-
teplicità di conflitti e tensioni su scala locale destinati presto a degenerare in
modo drammatico. Se nell’estate del 1914 a prevalere era ancora un’ingenua
ignoranza sul potenziale eversivo e sulle ripercussioni globali di tali tensio-
ni, Corni ha sottolineato lucidamente come l’assenza di funzione critica da
parte degli intellettuali europei non solo sia risultata determinante per l’av-
vio delle ostilità, ma si sia colpevolmente protratta anche successivamente,
quando le conseguenze di un conflitto di così ampie proporzioni non pote-
vano non essere note al fiore dell’intellighenzia e alla classe dirigente euro-
pea. Il miope fervore interventista di cui, pur con illustri eccezioni (si veda,
per esempio, la posizione di Benedetto Croce), nel complesso l’élite cultura-
le europea fu fautrice, sfociato talvolta anche nella militanza attiva sul fron-
te, trova la sua espressione più significativa nell’intensissima attività pamph-
lettistica e pubblicistica del biennio 1914-1915, in virtù della quale fu resa
possibile quella mobilitazione spirituale che della Grande Guerra costitui-
sce uno dei tratti distintivi.
L’intervento successivo di Leandro Polverini, La storia antica in Italia al
tempo della Grande Guerra, ha riguardato tre figure rappresentative della
storiografia sull’Antichità attive ai primi del Novecento: Karl Julius Beloch
(Petschendorf, 1854 - Roma, 1929), Ettore Pais (Borgo San Dalmazzo,1856
- Roma, 1939) e Gaetano De Sanctis (Roma, 1870 - 1957). Il contributo non
ha mancato di mettere in luce le sfumature di tre posizioni distinte, ognu-
na riflesso di un legame intimo e peculiare con la cultura e la scienza tede-
sca. Beloch, cittadino prussiano, visse la guerra fuori dalla patria naturale ma
dentro la patria d’elezione, l’Italia, e dunque come dramma personale di un
uomo due volte straniero e come spaesamento di fronte alla distruzione del
“mondo di ieri”. Pais, figlio di un funzionario sabaudo, recise nettamente le
proprie radici germaniche attraverso il suo interventismo nazionalista, vissu-
to come difesa legittima della romanità dei territori di confine contro la bar-
barie germanica, in un continuo richiamo all’eroismo delle legioni romane
che a Clastidium prostrarono gli antichi “Germani”. De Sanctis, infine, al-
lievo fedelissimo di Beloch, adottò un neutralismo modellato sulle sue idee
politiche e religiose, astenendosi da ogni manifestazione che ispirasse sco-
raggiamento o disunione. Fedeltà e distacco rispetto al modello tedesco, nel
quadro del conflitto, assunsero per ognuna delle tre figure una forma mani-
festa del tutto propria e specifica.
Gianni Santucci ha portato l’attenzione sulla figura di Pietro Bonfante
(Poggio Mirteto, 1864 - Roma, 1932) uno degli esponenti più significativi

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della romanistica italiana, allievo di un rinnovatore degli studi giuridici in
Italia nella seconda metà dell’Ottocento, Vittorio Scialoja. Uomo dai sen-
timenti nazionalistici, Bonfante non esitò a esprimere apertamente le pro-
prie convinzioni attraverso una produzione pubblicistica a marcato caratte-
re interventista. Proprio un’attenta lettura di Le ragioni politiche della nostra
Guerra, pamphlet di cui Bonfante fu autore nel 1915, rivela tuttavia come
nel pensiero dell’illustre romanista sia ravvisabile un superamento del mero
nazionalismo: “La nazione (…) dovrà dal punto di vista politico subordinar-
si ad un ideale più vasto: la comune civiltà”. Dall’analisi di Santucci emerge
quindi il profilo sorprendente di un europeista ante-litteram, che nel primo
conflitto mondiale vide una vera e propria guerra civile, nella prospettiva di
un’identità spirituale dell’Europa.
Al termine della prima giornata Maurizio Harari ha esposto le sue rifles-
sioni su La Grande Guerra nella storiografia dell’archeologia italiana. Premes-
sa la scarsità di studi storiografici relativi all’archeologia italiana, tra cui si ri-
corda un pressoché isolato contributo di Marcello Barbanera (L’archeolo-
gia degli italiani. Storia, metodi e orientamenti dell’archeologia classica in Ita-
lia, Roma 1998), l’intervento ha sottolineato come sia mancata, all’archeolo-
gia italiana stessa, una fase identificabile con la Grande Guerra. Spicca però
la personalità di Emanuel Löwy (Vienna, 1857 - 1938), titolare della prima
cattedra di Archeologia e Storia dell’Arte Antica in Italia, presso l’università
“La Sapienza” di Roma, la cui influenza si protrasse ben dopo la fine del suo
incarico romano, avvenuta proprio alla vigilia dell’ingresso dell’Italia nella
Prima Guerra Mondiale, attraverso l’opera dei suoi allievi. Molto più inci-
siva risultò invece, nell’arco cronologico in esame, la presenza archeologica
italiana nel Mediterraneo orientale, dove si condussero scavi di enorme ri-
levanza destinati ad ampliare in modo consistente il panorama delle cono-
scenze sul mondo antico.
La seconda giornata del convegno ha inteso declinare e approfondire
in chiave locale le tematiche esposte secondo linee più generali nei contri-
buti della prima parte del convegno. Ad aprire la sessione mattutina è sta-
to Alessandro Maranesi, che ha proposto un intervento sugli storici dell’an-
tichità afferenti a tre diversi contesti regionali: il Trentino, la Venezia Giu-
lia e l’Istria. L’ampia casistica citata, comprensiva di personalità altamente
rappresentative degli studi antichistici locali quali per esempio Pietro Kan-
dler (Trieste, 1804 - 1872), Scipio Slataper (Trieste, 1888 - Monte Calvario,
1915), Bernardo Benussi (Rovigno 1846 - Trieste 1928), Tommaso Luciani
(Albona d’Istria 1818 - Venezia 1894) ha dimostrato da un lato come l’inda-
gine scientifica in quei contesti non potesse prescindere dai legami con l’Im-
pero, connotandosi altresì per dei contenuti altamente politicizzati, riguar-
danti le questioni dei “confini naturali” dell’Italia e dell’“identità etnica”;
dall’altro ha rilevato come a tali affinità si affiancassero parimenti delle acce-

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se rivalità locali (per esempio quella fra trentini e triestini), rendendo gli an-
tichisti trentini, giuliani e istriani al contempo così uguali, così diversi.
Gino Bandelli ha dedicato invece il proprio contributo alla figura dello
storico trentino Giovanni Oberziner (Trento, 1857 - 1930). Nello specifico,
si è trattato di una minuziosa disamina dell’intera produzione dello studio-
so, dal giovanile volumetto sui Reti tratto dalla tesi di laurea, all’ultima pub-
blicazione, il romanzo Canto di Femio. Sogno. Storia ciclica. Bandelli, in par-
ticolare, ha illustrato come – al di là degli scritti a carattere eminentemente
pubblicistico pubblicati nel corso del conflitto – lo stretto legame con la co-
eva temperie politica e culturale irredentista, con particolare attenzione al-
le rivendicazioni territoriali italiane verso il Trentino e l’Alto Adige, rappre-
senti una cifra connotativa dell’intera opera dello studioso, progressivamen-
te sempre più convinto della necessità per l’Italia del raggiungimento dei
“confini naturali”, coincidenti, se non con il Brennero, quantomeno con l’al-
to bacino dell’Adige. Particolarmente significativa, a questo proposito, risul-
ta la decisione di Oberziner di dedicare il corso di storia romana dell’anno
accademico 1914/15 proprio alla conquista romana del confine settentrio-
nale dell’Italia.
Anselmo Baroni ha proposto un intervento intitolato Plinio Fraccaro va
alla guerra, ricostruendo un profilo vivo e parlante dello studioso in questio-
ne (Bassano del Grappa, 1883 - Pavia, 1959) che le testimonianze descrivo-
no come socialista, ateo e non interventista, posizione che attirò il sospetto
dei suoi studenti pavesi. Baroni, in particolare, ha saputo cogliere non sol-
tanto la ricchezza culturale e la molteplicità di interessi scientifici dell’anti-
chista bassanese, ma anche gli aspetti della vita quotidiana, opportunamen-
te contestualizzata in seno all’importante sede universitaria di Pavia, nella
quale Fraccaro rappresentò senz’altro una personalità centrale. Nel suo in-
tervento, inoltre, Baroni si è avvalso di un ricco dossier fotografico dedicato
all’“amato Grappa”, punto di riferimento costante nella biografia dello sto-
rico (Fraccaro era il più illustre socio del Club Alpino Bassanese, firma del
Bollettino annuale ad esso afferente e autore di una Guida alpina del Bassa-
nese e delle montagne limitrofe, Bassano 1903) e teatro di scontri decisivi nel
corso del primo conflitto mondiale.
Ludovico Rebaudo ha presentato una relazione riguardante L’archeolo-
gia di guerra ad Aquileia e dintorni, evidenziando sia come la tutela e la risco-
perta del sito aquileiese fossero intimamente legate all’ambiente asburgico,
sia come queste fossero debitrici nei confronti di privati, impegnati in modo
decisivo a sostegno delle istituzioni. Nominati gli importanti scavi condotti
negli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento dai baroni von Ritter-Zahony,
protagonisti della storia economica e politica del territorio aquileiese per
buona parte del diciannovesimo secolo, Rebaudo ha insistito sulla centrali-
tà della figura del conte Karl Lanckoroński (Vienna, 1848 - 1933), una del-

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le personalità più brillanti nel mondo culturale dell’epoca. Il mecenate po-
lacco, coadiuvato da George Niemann e Heinrich Swoboda, oltre a prender
parte a spedizioni in Egitto, Licia, Cilicia e Panfilia, fu il principale promoto-
re degli scavi che, a partire dal 1893, condussero all’eccezionale scoperta del
Duomo di Aquileia, Dopo la dispersione della comunità scientifica multina-
zionale facente capo al funzionario imperial-regio Enrico Maionica (Trieste,
1853 -1916) e ai suoi collaboratori, il boemo Gnirs e il croato Abramich, do-
vuta all’inizio della guerra, la difesa e la valorizzazione del patrimonio stori-
co della città furono opera di Celso Costantini (Castions di Zoppola, 1876 -
Roma, 1958) e Ugo Ojetti (Roma, 1871 - Firenze, 1946), ferventi sostenito-
ri dell’italicità (e quindi dell’italianità) dell’intera storia della metropoli ro-
mana e patriarcale che gli archeologi austriaci tentavano invece di offusca-
re anche attraverso opportune asportazioni. Ripercorsa attraverso un riesa-
me critico, la parabola aquileiese si configura quindi quale la storia dell’uso
e dell’abuso della responsabilità nella gestione di un sito archeologico attra-
verso vari stadi e vari orientamenti ideologici.
Cristina Bassi ha sottolineato invece nella propria relazione come, nel
contesto dell’irredentismo trentino, l’indagine archeologica sia divenuta uno
strumento funzionale alla conoscenza delle proprie origini. Oltre alla cele-
berrima Tabula Clesiana, scoperta nel 1869 e divenuta un vero e proprio
Leitmotiv nelle argomentazioni a sostegno dell’originaria italianità del Tren-
tino all’interno del dibattito storiografico di fine Ottocento, la studiosa ha
citato numerosi casi di studiosi che dimostrano come quello della romani-
tà citata a scopi irredentistici sia stato a più riprese un vessillo degli studi ar-
cheologici trentini. È noto, ad esempio, che Benedetto Giovanelli (Trento,
1776 - 1846) si impegnò in prima persona nella salvaguardia di lapidi e re-
sti comprovanti l’origine romana di Trento o utili alla conoscenza delle varie
genti che per prime occuparono le valli trentine. Giovanelli fu inoltre auto-
re di un lavoro di storia patria intitolato Trento città d’Italia per origine, lin-
gua, costume e di studi specifici come Trento città dei Rezi e colonia romana
e Antichità rezio-etrusche. A sua volta, Vigilio Inama (Trento, 1835 - Milano,
1912), esperto di lingua e letteratura greca, dedicò alle antiche iscrizioni ro-
mane della val di Non e della val di Sole importanti ricerche. Fondamentale,
all’interno del ricco repertorio di studiosi citati dalla Bassi (tra i quali anche
Luigi de Campi: Cles, 1846 - Losanna, 1917), anche le figura di Paolo Or-
si (Rovereto, 1859 - 1935), nella cui produzione l’utilizzo della preistoria era
propagandistico per concretizzare scientificamente le teorie a favore di un’I-
talia unita; l’Orsi, non a caso, fu tra i più entusiasti sostenitori del progetto
di erigere a Trento un monumento dedicato a Dante, simbolo della cultura
italiana e allegoria dello spirito irredentista.
La sessione pomeridiana si è aperta con la relazione di Federico Santan-
gelo, il quale si è occupato della figura di Ettore Ciccotti (Potenza, 1863 -

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Roma, 1939) antichista di grande rilievo (autore, per esempio, della mono-
grafia Il tramonto della schiavitù nel mondo antico, Torino 1899, destinata a
influenzare profondamente il pensiero dello stesso Finley) che affiancò al la-
voro di storico un intenso impegno politico, dapprima come esponente del
Partito socialista italiano, poi in qualità di deputato delle liste del Blocco Na-
zionale e infine di senatore. Proprio le sue posizioni interventiste, volte a in-
dividuare nella partecipazione al conflitto un “sacrifizio” indispensabile per
arrestare le illegittime pretese tedesche, nonché l’unica via all’autoafferma-
zione dell’Italia, Ciccotti venne progressivamente emarginato dai compagni
socialisti, dai quali dovette subire aspre contestazioni. Nel 1920, in un arti-
colo comparso su “Nuova Rivista Storica”, Corrado Barbagallo apostrofò
Ciccotti come “un solitario della coltura italiana”; se le vicende biografiche
dello studioso conducono a fare di Ciccotti un “isolato” sia da un punto di
vista accademico (le iniziali posizioni socialiste avevano determinato l’allon-
tanamento da Pavia, dove aveva ottenuto la cattedra, e il suo esilio in Svizze-
ra) sia in senso politico, Santangelo ha sottolineato d’altro canto come la vo-
ce dell’illustre studioso sia stata a lungo ascoltata con attenzione sia nell’au-
la parlamentare, dove ancora nel 1918 intervenne su questioni di primaria
rilevanza relative ai risvolti pratici della gestione del conflitto, sia all’inter-
no della comunità scientifica. La guerra e la pace nel mondo antico (Torino
1901) rappresenta un riuscitissimo e pionieristico tentativo di pensare alla
guerra non da storico antico, ma semplicemente come storico, adottando un
approccio di più ampie vedute teso al superamento dei confini disciplinari,
e in particolare del rigore filologico invalso all’epoca, in un confronto dialet-
tico tra passato e presente. Questa monografia e la profonda influenza da es-
sa esercitata nel dibattito critico dell’epoca e nel panorama degli studi, fan-
no di Ciccotti tutt’altro che un isolato.
L’intervento di Augusto Guida, Giorgio Pasquali, un filologo classico fra
Berlino e Roma, ripercorre con dovizia di particolari le vicende dell’illustre
antichista (Roma, 1885 - Belluno, 1952) cercando di evidenziarne, oltre che
la difficile posizione tra Italia e Germania, la progressiva metamorfosi in at-
tivista e pubblicista politico. Vincitore di una borsa di studio ministeriale a
Göttingen, decise anche più tardi di effettuare la specializzazione proprio in
Germania, con ripercussioni di non poco conto sulla propria carriera acca-
demica, viziata da pesanti pregiudizi in Italia e da una mancata integrazio-
ne in Germania (complici anche alcuni dissidi con il Wilamowitz, del qua-
le fu assistente a Berlino). Che la venerazione per le istituzioni culturali te-
desche si fosse tramutata in ammirazione per il mondo germanico tout court
fu evidente con lo scoppio della guerra, quando, superato l’iniziale disorien-
tamento, Pasquali non esitò a esprimersi prima in senso neutralista, poi ad
aperto sostegno dell’amata Germania, considerata la sola nazione “civilis-
sima”. L’attivismo politico di Pasquali ne fece, oltre che membro di “Italia

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nostra”, organo di associazione di netta posizione filotriplicista, anche tra i
più attivi protagonisti del serrato dibattito politico sul “Giornale d’Italia”,
e autore, infine, nel 1920, del documentatissimo volume Socialisti tedeschi,
nel quale la sopravvivenza dei valori culturali della Germania appare intima-
mente connessa alla salvaguardia dell’assetto sociale e delle istituzioni politi-
che tedesche. Un legame profondo, quello di Pasquali con l’ambiente tede-
sco, di natura autobiografica, culturale e affettiva che ha lasciato tracce signi-
ficative nel suo profilo politico non meno che in quello scientifico.
Alessandro Parenti ha concentrato la propria attenzione sulla figura di
Giacomo Devoto (Genova, 1897 - Firenze, 1974), noto linguista il cui cursus
studiorum fu bruscamente interrotto dall’entrata dell’Italia in guerra, guerra
cui peraltro prese parte in prima persona in veste di sottufficiale degli alpi-
ni appena diciottenne, quando ancora il suo percorso intellettuale non ave-
va raggiunto una dimensione pubblica. Se il diretto coinvolgimento nelle vi-
cende belliche, secondo Parenti, non costituisce un elemento probante di un
suo presunto interventismo (sembra anzi che il futuro fondatore del Circo-
lo Linguistico Fiorentino dimostrasse una certa indifferenza rispetto alle po-
sizioni dei compagni del Liceo Parini, desiderosi di riscossa e insoddisfatti
della situazione politica esistente), va altresì rimarcato che la memoria della
Grande Guerra ricorre a più riprese in vari scritti del glottologo, quali, per
esempio, Per una critica di me stesso (in Scritti minori 1, Firenze 1958) e Ri-
tratto di una società (in Pensieri sul mio tempo, Firenze 1945). La relazione
di Parenti ha ampliato poi le proprie prospettive con una ricostruzione del
panorama degli studi linguistici in Italia al tempo della Grande Guerra: da
Ascoli a Stussi, passando per Gaetano De Sanctis, Clemente Merlo, Luigi
Ceci, Francesco d’Ovidio, Ernesto Giacomo Parodi, Carlo Battisti. Quegli
anni, per alcuni versi drammatici, sembrano sancire un vero e proprio floru-
it per la linguistica del nostro paese, offrendo talvolta esempi di aperta mili-
tanza, come nel caso di Francesco Lorenzo Pullè, arruolatosi volontariamen-
te a sessantacinque anni, o come nel caso di Salvioni, Cian e Bartoli, ferven-
ti sostenitori, nei loro scritti, della causa irredentista.
L’intervento conclusivo è stato affidato infine a Paolo Pombeni, storico
delle strutture politiche, il quale, con un contributo dal titolo Paralleli im-
probabili: i rinvii alla classicità per la creazione del consenso politico agli scopi
di guerra, ha passato in rassegna alcuni topoi polemici relativi all’evoluzione
politica del XIX secolo, quando il declino dell’Impero romano era un para-
gone che aleggiava frequentemente nei discorsi politici che precedettero la
guerra. L’intervento del contemporaneista, a chiusura del convegno, in una
sorta di Ringkomposition rispetto all’intervento di apertura di Corni, con-
tribuisce anch’esso a inquadrare tutte le relazioni all’interno di uno sfondo
storico nel quale il paragone tra l’antico modello greco-latino e il modello
germanico nel contesto della gestione pubblica era, indipendentemente dal-

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le forme attraverso le quali veniva invocato, un pilastro portante della que-
relle politica.
A chiusura di ognuna delle tre sezioni del convegno si sono intavolati dei
proficui dibattiti. Oltre ad ampliare gli orizzonti delle singole ricerche, es-
si hanno fatto emergere un quadro molto complesso, nel quale si traccia-
no chiaramente sfumature e contraddizioni di una classe intellettuale che si
confrontò con l’evento dirompente della Grande Guerra, in un intreccio di
legami che non solo conferisce a ogni personalità trattata un’attualità storica
ma le dona un profilo quanto mai vivo e attuale.
A conclusione dei lavori, infine, i relatori hanno potuto partecipare alla
serata-concerto del coro della SAT dal titolo ‘Miserere’ sentivo cantar, tenu-
tasi presso l’Auditorium Santa Chiara. L’evento, offerto alla cittadinanza dal
Dipartimento di Lettere e Filosofia, è stato il suggello ideale di un percor-
so scientifico in cui l’esperienza civico-politica e il piano intellettuale sono
risultati tutt’altro che rigorosamente separati. Lungi dal rimanere confinati
nella loro turris eburnea gli antichisti di fronte alla Grande Guerra rivelano
come in talune circostanze sia la vita a esser magistra historiae; di questo gli
interventi del convegno hanno offerto a più riprese testimonianza.

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