di Virgilio Ilari
La celebre classificazione dei tre “tipi” di storiografia che compare nella seconda
1
Unzeitgemass , sembra bene attagliarsi alla storiografia sulla Resistenza italiana: si può
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infatti sostenere che la Storia della Resistenza italiana di Roberto Battaglia (1953 ) e
3
Una guerra civile di Claudio Pavone (1991) segnano rispettivamente la prima
4
consacrazione della fase “monumentale” intesa come superamento della memorialistica ,
5
e il culmine della fase “critica”, esplicitamente ispirata all’“esempio” di Henri Michel .
6
Una fase peraltro aperta nel 1977 da Sergio Cotta con Quale Resistenza? : “una proposta
di interpretazione per trarla fuori dal mito in cui rimane tenacemente involta”, oggetto,
anche da parte di Pavone, di un perdurante ostracismo “di sinistra” che rende involontario
7
omaggio alla sua importanza ermeneutica . Fra queste due opere si colloca poi la fioritura
“antiquaria”, promossa dall'Istituto nazionale per la storia del Movimento di Liberazione
in Italia (MLI) e dalla rete dei circa 60 istituti regionali e locali.
Prevalgono nel libro di Pavone gli elementi di continuità con la storiografia
precedente: l’autore riconosce del resto il proprio debito nei confronti del libro di
Battaglia, definito “pionieristico”, e della successiva fioritura “antiquaria”, cui lo stesso
Pavone ha dato contributi fondamentali, e che considera l'indispensabile “retroterra” della
propria opera. Eppure l’interpretazione di Pavone contraddice quella dominante in due
punti essenziali, riconoscendo nella Resistenza italiana sia il carattere “anche” di vera
“guerra civile” tra fascisti e antifascisti, sia l'intreccio di “tre guerre” diverse, “patriottica,
civile e di classe”. In questo modo, pur respingendone le inferenze etico-politiche,
Pavone rivaluta almeno in parte i punti qualificanti delle interpretazioni minoritarie ed
“eterodosse”. Infatti la formula della “guerra civile” corrisponde sia alla visione
8
filo-fascista (implicando il riconoscimento di una relativa “rappresentatività” della RSI) ,
9
sia a quella “azionista” (implicando il primato morale e politico dell'antifascismo storico
e della guerra combattuta al Nord sugli altri protagonisti e sugli altri fronti della guerra di
Liberazione). La formula delle “tre guerre” rivaluta invece, almeno in parte, le opposte
interpretazioni, rivoluzionaria e anticomunista, della Resistenza come prodromo di una
successiva “guerra civile virtuale” fra le diverse componenti della Resistenza, che
10
negavano significato strategico e permanente alla collaborazione “ciellenista” basata sul
“patto di unità antifascista”.
Ovviamente Una guerra civile, malgrado il titolo possa richiamare
11
apparentemente quello del libro pubblicato da Ernst Nolte nel 1988 , non rientra affatto
nella tendenza al “revisionismo” storiografico, che del resto in Italia ha riguardato finora
più il fascismo regime che la RSI e la stessa Resistenza. Come ha rilevato Otto
Kallscheuer, il capitolo italiano del più generale dibattito che si è avuto in Europa sulla
“demitizzazione” della Resistenza appare concentrato esclusivamente sulla sua valenza
politica interna, come fondamento della “Repubblica dei partiti” ora messa in questione
dalla cosiddetta “rivoluzione italiana”. In una prospettiva non italiana, e in particolare
tedesca, può apparire sorprendente (e, ad essere giusti, quasi irritante) che in Italia si sia
tranquillamente ignorata la questione posta da Tony Judt nella sua “provokative Aufsatz
über ‘Mythos, Gedaechtnis und nationale Identität im 0achkriegseuropa’”, e cioè la
rottura delle “offiziellen Versionen der nationale 0achkriegsgeschichte, ihr
12
‘Gründungsmythos’ vom nationalen Befreiiungskampf gegen die Deutschen” . La
questione del “nemico” nazionale, del rapporto con la Germania, è stata in Italia del tutto
disgiunta dalla questione della Resistenza e del suo rapporto con l’identità nazionale.
Dissimulate entrambe dietro una sempre più stanca e sterile riproposizione rituale della
polemica antinazista e antifascista, segnalando anche a questo proposito
quell’esaurimento della cultura storico-politica nazionale che costituisce uno dei sintomi
della crisi italiana di fine secolo.
Certo la formula della “guerra civile” non ha mancato di suscitare “sconcerto” e
“contrasto di opinioni molto animato”: ma Norberto Bobbio l’ha condivisa, osservando
che essa ha in Pavone “un significato descrittivo molto preciso, e come tale à un
significato emozionalmente neutro, né negativo né positivo”, tale da consentire una
valutazione non “emozionale”, bensì politologica e giuridica del dato storiografico.
Tuttavia, decisivo per l’interpretazione della guerra antifascista e di classe del 194345
come “guerra civile” appare a Bobbio il fatto che Pavone vi riscontri quella
“criminalizzazione” del nemico da cui Carl Schmitt e poi la storiografia revisionista
hanno ricavato la tesi del carattere “civile”, più che “interstatuale”, della stessa seconda
13
guerra mondiale .
2. La visione azionista: la "guerra civile" come legittimazione del nesso
Resistenza-antifascismo storico
14
L'altra formula, quella delle “tre guerre”, è passata invece quasi inosservata , a
15
parte le riserve di Luciano Canfora e l’esplicita adesione di Bobbio , entrambe coerenti
con le rispettive matrici culturali, “togliattiana” e azionista. Eppure essa merita un
approfondimento particolare.
Com’è noto, sotto il profilo giuridico la legislazione italiana (del Regno, del
16
CLNAI riconosciuto come “autorità di Governo” nel 1944, e della Repubblica)
qualifica ufficialmente la Resistenza talora come sinonimo, e più spesso come aspetto
particolare della guerra “di Liberazione nazionale” condotta dall’Italia in situazione di
“cobelligeranza” con gli Alleati nel periodo 9 settembre 1943 - 1° maggio1945. In
quest’ultima vengono ricomprese sia le operazioni delle forze regolari inserite nelle
Armate alleate, sia quattro diverse “resistenze”: quella delle forze regolari nei
combattimenti del settembre 1943; quella dei militari passati successivamente con gli
eserciti partigiani in Francia e nei Balcani: quella degli “internati militari italiani” (IMI)
in Germania: infine la Resistenza per antonomasia, cioè quella delle forze partigiane e
delle organizzazioni clandestine (“autonome” ovvero “di partito”) nel territorio
nazionale occupato.
La distinzione fra le “tre guerre” riguarda esclusivamente quest'ultima, cioè la
“Resistenza in senso proprio e forte, combattuta nel Nord, politicamente e militarmente,
17
da una cospicua minoranza” . Soltanto questa può essere propriamente giudicata
“anche” una “guerra civile”: ed è proprio questo che ne giustifica il “primato” morale e
18
politico rispetto alle altre , in quanto condotta prevalentemente da volontari civili e sotto
la direzione non solo politica, ma anche militare dell'antifascismo storico. Inoltre essa
sottolinea la diversità qualitativa della Resistenza italiana rispetto a quelle del resto
dell’Europa Occidentale e Settentrionale, collegandola con un “fenomeno tipicamente
19
italiano, di politica interna”, quale l’antifascismo .
La formula di Pavone assevera la visione “azionista” della guerra partigiana,
teorizzata da Ferruccio Parri, presidente del CLNAI e capo del primo Governo del
dopoguerra: al tempo stesso “patriottica” e “civile” (in quanto “antifascista”), ma proprio
per questo “unitaria” e “nazionale”, un “Secondo Risorgimento” caratterizzato rispetto al
20
Primo dal primato politico-militare della “guerra di popolo” sulla “guerra regia” . La
visione azionista ampliava il concetto di “Liberazione nazionale”: non solo
dall’occupante e dai fascisti di Salò, ma dal “fascismo” (inteso in senso traslato, come
21
“rivelazione” di vecchie tare nazionali ). Non solo essa innestava la Resistenza italiana
22
sull’antifascismo , ma comprendeva entrambi, insieme alle lotte passate e future per
l’emancipazione sociale, in un “Movimento di Liberazione” liberal-socialista a carattere
23
transnazionale . L'autoscioglimento del Partito d’Azione nel 1947 non indicava che i
suoi esponenti (confluiti nei partiti laici e socialisti) considerassero concluso il compito
che si erano prefissi. Anzi fu proprio la cultura azionista a sollevare per prima, nel
24
dopoguerra, il tema della “desistenza” , ovvero della “Resistenza tradita” dal prevalere
delle componenti reazionarie e cattolico-moderate.
Ma questa interpretazione cozzava con la presenza sotterranea di una “terza”
guerra, quella rivoluzionaria e “di classe”. Anche se il PCI respingeva le sollecitazioni
25
che in questo senso provenivano soprattutto dai socialisti , subordinandola all’obiettivo
immediato della liberazione nazionale, essa restava l’elemento fondamentale di divisione
all’interno della Resistenza. Del resto fu poi su questo ostacolo che naufragò il progetto
26
liberal-socialista perseguito dal Partito d’Azione .
Se l'eterodossia delle due formule di Pavone non basta a inscrivere il saggio nella
letteratura revisionista, l'approccio "apolitico" e lo stesso tema prescelto (la "moralità"
57
della Resistenza) significativamente suggerito all'autore da Parri costituiscono
comunque una novità nella letteratura sulla Resistenza italiana. Lo stesso Bobbio osserva
come l'indagine politologico-giuridica sul tipo di guerra, "non sia stat(a) quasi mai pres(a)
58
in considerazione nel dibattito sulla guerra civile italiana" .
Ma l'importanza di un libro che indipendentemente dagli intenti dell'autore rivaluta
l'interpretazione "azionista" della Resistenza, non poteva essere solo storiografica. Infatti
È comparso in un momento in cui il giudizio sulla Resistenza tornava ad assumere un
rilievo politico attuale.
Nell'estate 1990 c'erano state campagne di stampa e roventi polemiche sulla guerra
civile fra comunisti e anticomunisti che avrebbe potuto seguire alla "guerra civile"
antifascista. Una inchiesta giudiziaria sui collegamenti fra servizi segreti e terrorismo
nero aveva reso nota l'esistenza di una organizzazione paramilitare segreta predisposta
dal Governo per la resistenza in caso di invasione sovietica, innestata su formazioni di
partigiani "bianchi" mantenute in armi dopo il 1945 con compiti sia di difesa dei confini
orientali sia di difesa interna anti-insurrezionale: e in agosto la stampa e l'opposizione di
sinistra ne avevano fatto un "caso" politico (il cosiddetto "caso Gladio"), da un lato
sostenendo l'illegittimità di tali provvedimenti, e dall'altro accusando il sistema di potere
democristiano di aver creato il clima di guerra civile rompendo l'unità antifascista.
Scavalcando le cautele del presidente del Consiglio Andreotti e degli altri leaders storici
della DC, il Presidente della Repubblica Cossiga aveva non solo difeso la legittimità delle
misure, ma addirittura alzato il tiro, rivendicando poi con orgoglio (nel gennaio 1992) di
aver personalmente fatto parte di formazioni mobilitate dalla DC alla vigilia delle
elezioni del 1948, con armi fornite dai Carabinieri e tenute nascoste in parrocchia.
Nel settembre 1990 un ex-partigiano comunista, Otello Montanari, aveva innescato
un'ondata di polemiche (e perfino di indagini giudiziarie) asserendo il coinvolgimento, o
almeno la connivenza del PCI nelle fucilazioni di prigionieri, sbandati o sospetti fascisti
(e perfino di semplici avversari politici o "di classe") verificatesi dopo la Liberazione nel
59
tristemente famoso "triangolo della morte" in EmiliaRomagna . Un ex-brigatista rosso
emiliano, Franceschini, aveva ricordato come ancora alla fine degli anni '60, in Emilia,
gruppi di ex-partigiani comunisti custodissero e tenessero in efficienza armi poi
60
simbolicamente consegnate ai terroristi rossi . Infine nel marzo 1991, per la prima volta,
gli stessi antichi dirigenti della Commissione Nazionale Vigilanza del PCI ammettevano
apertamente il carattere militare e clandestino dell'organizzazione guidata da Pietro
61
Secchia e Giulio Seniga .
Nel PCI si stava allora completando il processo di "detogliattizzazione" funzionale alla
strategia "gorbacioviana" di transizione al "postcomunismo", e ai più immediati obiettivi
62
interni della destra "migliorista" . Nel settembre 1990 Massimo Caprara, che ne fu per
nove anni segretario, accusava Togliatti di aver "coperto" i responsabili degli eccidi per
63
non dare argomenti alla propaganda anticomunista . Nel febbraio 1992 Panorama
pubblicava stralci di una lettera del 1943 pescata negli archivi ex-sovietici, facendone
risultare falsamente che Togliatti si augurasse lo sterminio dei prigionieri italiani in
64
Russia . Più in generale, la componente occidentalista del Partito, ormai prevalente,
sferrava una requisitoria durissima contro i resti della componente "nazionalpopolare",
censurandone i "vizi" ideologici (antiamericanismo, antimperialismo, "terzomondismo",
anti-sionimo) e accusandola di "stalinismo" e "nazionalcomunismo". Questa campagna
ridava spazio, tra l'altro, anche alle vecchie accuse di "opportunismo burocratico" e di
"tradimento della Resistenza" mosse a Togliatti dall'ala rivoluzionaria del Partito, che non
gli aveva mai perdonato di esser rimasto fedele alla formula dell'"unità antifascista"
anche dopo il 1948. Vista nell'ottica interna di un Partito abituato al settarismo e all'odio
teologico, la polemica contro l'interpretazione "unitaria" e "nazionale" della Resistenza
era un tassello della tardiva "vendetta" della sinistra rivoluzionaria contro Togliatti: ma
anche della più attuale campagna della destra "postcomunista" per delegittimare la
componente "nazionalpopolare" del Partito e i residui della politica di "compromesso
storico" con la DC.
Tendeva cos ad accreditarsi nuovamente l'immagine della Resistenza prevalente negli
anni della "guerra fredda": non solo come guerra "civile", ma come guerra "di parte"; non
già compimento del Risorgimento, bens rottura dell'unità nazionale; matrice non tanto
della Repubblica e della Costituzione, quanto della partitocrazia e di un
"consociativismo" che aveva alterato il corretto rapporto maggioranza-opposizione; e
foriera nel dopoguerra di una "guerra civile virtuale" che avrebbe poi finito per sfociare
"naturalmente" nel terrorismo di sinistra.
La valenza politica di queste polemiche È stata letta da molti ex-partigiani come un
"attacco", alla Resistenza: e, da molti comunisti, all'eredità politica di Togliatti. Ma
ovviamente, se di attacco si trattava, Togliatti e la Resistenza ne costituivano solo gli
"obiettivi tattici", quelli che Clausewitz definiva gli Zielen. Gli scopi politici Zwecken
erano necessariamente altri. La destra parlamentare, incoraggiata da Cossiga e da un
atteggiamento meno ostile dei media, ha salutato queste polemiche come la fine della
"pregiudiziale antifascista" e della "ghettizzazione" del MSI-DN. Ma questo appare al
massimo un effetto collaterale, non certo l'intento vero, o almeno principale, della
campagna. La si poteva "leggere" all'interno della vicenda che ha portato alla
trasformazione del PCI in Partito Democratico della Sinistra, come parte di una
rilegittimazione della sinistra dopo la fine del comunismo. Ma anche come un nuovo
tentativo di delegittimazione etico-politica della "prima" Repubblica "nata dalla
Resistenza" e fondata sul patto di "unità antifascista".
NOTE
4 R. Battaglia, “La storiografia della Resistenza. Dalla memorialistica al saggio storico”, in Il Movimento di
Liberazione in Italia, 1959, n. 57, pp. 80131.
5 H. Michel, Les courants de pensée de la Résistance, PUF, Paris, 1962; La guerre de l'Ombre. La
Résistance en Europe, Grasset, Paris, 1970 (ed. it., Mursia, Milano, 1973).
7 Di Cotta Pavone cita solo, marginalmente e polemicamente, un intervento a un convegno del 1966
(“Lineamenti di storia della Resistenza italiana nel periodo dell’occupazione”, in Rassegna del Lazio, XII,
1965): op. cit., pp. 52, 615, 679, 790.
8 Cfr. Giorgio Pisanò, Storia della guerra civile in Italia, FPE, Milano, 1965.
10 L'aggettivo deriva dalla pronuncia italiana della sigla “CLN” (Comitato di Liberazione Nazionale,
composto dai sei partiti antifascisti, DC, PLI, PRI, “d'Azione”, PSIUP e PCI).
12 Otto Kallscheuer, “Zerfall der Erinnerung. Italienische Debatten ueber Widerstand und Nation”,
Frankfurter Allgemeine Zeitung, 2 Juni 1993, p. N5.
13 Norberto Bobbio, “Guerra civile?”, in Teoria politica, VIII, n. 12, 1992, pp. 297307.
14 Cfr. però Eugenio Tassini, “1943-1945. Perchè fu una guerra civile”, in Europeo, 25 ottobre 1991, pp.
116-122 (con interventi di Giordano Bruno Guerri, Nicola Tranfaglia, Giose Rimanelli e Vittorio Foa).
15 Luciano Canfora, “Perchè tre guerre?”, in Il Manifesto, 24 novembre 1991. Cfr. Bobbio, op. cit., pp. 298
e 3067 (nt.2); Id., “le tre guerre. La polemica sui delitti del ’45”, in La Stampa, 9 settembre 1990.
16 Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia.
18 Pavone, op. cit., p. 225: “Fu proprioànella tensione insita nel carattere 'civile' che trovarono modo di
riscattarsi gli elementi negativi tipici della guerra in quanto tale. Franco Venturi ha detto una volta che le
guerre civili sono le sole che meritano di essere combattute”.
20 De Luna, Storia del Partito d’Azione, Feltrinelli, Milano. 1982, pp. 99 ss., 156 ss.
22 Cotta (op. cit., pp. 41 ss.) sottolinea per· tre “differenze di ordine strutturale” fra l’antifascismo e la
Resistenza. Il primo fu un fenomeno “essenzialmente politico”, “tipicamente italiano” e “di élite”. La
seconda fu invece “politico-militare”, con “una netta dimensione internazionale” e un “movimento di
massa”. Anche per questo la mappa delle diverse componenti dell’antifascismo non corrisponde
meccanicamente a quella delle diverse componenti della Resistenza, dove non tutti gli “antifascismi” storici
vennero rappresentati, e dove furono presenti, oltre tutto in modo politicamente e strategicamente decisivo,
non solo singoli personaggi, ma vere e proprie componenti politiche che in precedenza avevano colluso con
il fascismo, quali i militari, i monarchici, i nazionalisti, gli industriali, il clero.
23 Questa espressione non ha tuttavia avuto molta “fortuna”. Essa sopravvive nel nome dell'Istituto
Nazionale per la storia del Movimento di Liberazione in Italia (MLI).
25 Cotta, op. cit., p. 105. Cfr. Luigi Longo, Sulla via dell'insurrezione nazionale, Edizioni di cultura
sociale, Roma, 1954, p. xiii: “si noti ... che, ogni qualvolta abbiamo invitato gli operai a battersi contro i
padroni sfruttatori e collaborazionisti con i tedeschi, abbiamo sempre sottolineato che anche le lotte operaie
dovevano svilupparsi sul piano politico, patriottico e unitario proprio del C.L.N.”.
29 Giovanni Frignano, Teoria della guerra di popolo, Collettivo Editoriale Librirossi, Milano, 1977. Cfr.
Ilari, “Riflessioni critiche sulla teoria politica della guerra di popolo”, in Memorie storiche militari, 1982,
pp. 107-172.
30 Ferruccio Botti e V. Ilari, Il pensiero militare italiano dal primo al secondo dopoguerra, USSME,
Roma, 1985, pp. 339403 (“Le Forze Armate di fronte alla guerra partigiana”).
31 Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. I “bianchi” e gli “autonomi”, guidati da Enrico Mattei (DC)
e dal generale Raffaele Cadorna, formarono la Federazione Italiana Volontari della Libertà (FIVL). Nel
1949 Parri guid· la scissione di una parte degli azionisti, fondando la Federazione Italiana Autonoma
Partigiani (FIAP).
32 Edgardo Sogno, Il golpe bianco, Edizioni dello Scorpione, Modena 1978, pp. 61 ss.
33 Appellativo che i partigiani davano ai soldati e funzionari della Repubblica Sociale Italiana.
34 Dino Messina, “Di chi era la Resistenza. Bobbio contro i revisionisti”, in Il Corriere della Sera, 9
ottobre 1992.
35 G. E. Rusconi, “Patriottismo della Costituzione”, in Il Mulino, XL, n. 334, marzoaprile 1991, p. 327.
39 Longo definiva l’attesismo “la posizione di coloro che aspettavano che gli alleati, con le loro divisioni,
venissero a liquidare il risorto fascismo e l’occupazione tedesca e a investirli del governo della nazione”
(op. cit., p. x).
41 Ilari, “Pacifismo e interventismo nella cultura politica italiana”, in Limes, I, n. 23, 1993, pp.
42 Ilari, Le Forze Armate tra politica e potere (1943-1978), Vallecchi, Firenze, 1979, pp. 176 ss.
43 Ilari, Storia del servizio militare in Italia, vol. V (“La difesa della patria”), CeMiSS, ed. Rivista
Militare, Roma, 1992, I, pp. 244 ss., 253 ss., 286 ss., 290 ss.
45 Donatella Della Porta, Il terrorismo di sinistra, Istituto Cattaneo. Il Mulino, Bologna, 1990, pp. 51 ss.
46 Giovanni Pesce, Quando cessarono gli spari, prefazione di Luigi Longo, Feltrinelli, Milano, 1977.
47 Il primo autore di rilievo ad asserire una “continuità” tra la Resistenza e la “contestazione” del
Sessantotto (e a felicitarsene, ignorandone allora il futuro esito terrorista), è stato Giorgio Bocca, Storia
dell’Italia partigiana, Laterza, Bari, 1966 (4a ed. 1977, p. viii-ix). Più tardi Bocca ha sottolineato le
analogie organizzative fra Gruppi d'Azione Partigiana e Brigate Rosse ma senza sostenere dirette
derivazioni (Il terrorismo italiano 1970-1978, Milano, 1978). La continuità col terrorismo di sinistra è
invece asserita da Giorgio Galli, Storia del Partito Armato 19681982. Rizzoli, Milano, 1986, pp. 910, e
indagata nella sua genealogia (in riferimento al legame tra Pietro Secchia e Giangiacomo Feltrinelli) da
Miriam Mafai, L’uomo che sognava la lotta armata. La storia di Pietro Secchia, Rizzoli, Milano, 1984, pp.
160 ss.. Cfr. Angelo Ventura, “il problema delle origini del terrorismo di sinistra”, in Donatella Della Porta
(cur.), Terrorismi in Italia, Il Mulino, Bologna, 1984, pp. 80 ss.; Luigi Manconi, “Il nemico assoluto.
Antifascismo e contropotere nella fase aurorale del terrorismo di sinistra”, in Raimondo Catanzaro, La
politica della violenza, Istituto Cattaneo. Il Mulino, Bologna, 1990, pp. 4792.
48 Pietro Di Loreto, Togliatti e la “doppiezza”. Il PCI tra democrazia e insurrezione 1944-49, Il Mulino
Bologna, 1991.
49 Cfr. Nando Dalla Chiesa, Milano-Palermo, la nuova resistenza, Baldini & Castoldi, Milano, 1992;
Giancarlo Caselli, “Dalla lotta al nazifascismo alla lotta alla mafia per la cultura della democrazia”, in
Patria indipendente, XLII, n. 2, 31 gennaio 1993, pp. 49. Alla fine la formula si è inflazionata. Alludendo a
Craxi, divenuto il politico corrotto per antonomasia, e ai progetti di amnistia per tutti gli altri inquisiti, una
vignetta del disegnatore satirico Forattini mostra Andreotti col fazzoletto rosso, il mitra e la cartuccera che
dice furbescamente in “romanesco”: “è la nova Resistenza! Fucilamo er tiranno, famo n'amnistia generale e
magnamo per artri 50 anni!” (La Repubblica, 8 febbraio 1993).
50 Pietro Secchia, voce “Gap”, in Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza, Milano, La Pietra, II,
1971, pp. 475-476.
51 In una grande manifestazione di lavoratori contro il terrorismo promossa dal sindacato “unitario”
(CGIL-CISL-UIL) dopo il sequestro di Aldo Moro da parte della Brigate Rosse (1978), un esponente
dell’ANPI ritorse contro i gruppuscoli di sinistra uno dei loro simboli, quello della pistola “P.38”,
osservando che durante la guerra partigiana quella era l'arma individuale degli ufficiali nazisti.
52 Pavone, op. cit., p. 733, nt. 106, lo menziona di sfuggita, in una nota di sei righe dedicata ai distintivi
usati dalla Brigata responsabile dell'eccidio. Minore reticenza in Battaglia, op. cit., p. 442 e Bocca, op. cit.,
p. 453-454 (che peraltro giustifica l'episodio in modo disgustoso, accusando il comandante dell'Osoppo,
decorato di medaglia d'oro al V.M., di "attesismo" e "grafomania", e di essere l'"uomo sbagliato nel posto
sbagliato”, sordo alle esigenze della politica internazionale che avrebbero imposto “di sacrificare in parte
gli interessi nazionali”).
53 Gli interventi di Pannella e i commenti di numerosi intelluali, tra cui BagetBozzo, Bobbio, Bocca, Galli
della Loggia e Settembrini furono pubblicati nei nn. 56, 7, 89 e 10 di Quaderni radicali 1979, e riuniti
assieme ad altri a cura di Angiolo Bandinelli e Valter Vecellio (Una “inutile strage”? Da Via Rasella alle
Fosse Ardeatine, Tullio Pironti editore, Roma, 1982). Pochi mesi più tardi Pannella avrebbe incalzato il
PCI anche sulla questione del movimento contro l'installazione degli Euromissili, contrapponendo un
pacifismo “vero” a quello comunista, accusato di fare il gioco dell'URSS. Cfr. Ilari, “Storia politica del
movimentoi pacifista in Italia (1949-1985)”, in Carlo Jean (cur.), Sicurezza e difesa, Angeli, Milano, 1986,
pp. 26065; Id., “Pacifismo e interventismo”, cit., pp. .
54 Luciano Canfora, La sentenza. Concetto Marchesi e Giovanni Gentile, Sellerio, Palermo, 1985. Pavone,
che sostanzialmente giustifica l’uccisione, tace non solo il ruolo di Marchesi, ma anche la ragione specifica
dell’attentato, e cioè l’appello del filosofo alla conciliazione: il che è quanto meno singolare in un libro
dedicato al tema della guerra civile (op. cit., pp. 503-505).
55 Vittorio Foa, Il cavallo e la torre. Riflessioni di una vita, Einaudi, Torino, 1991.
56 Nuto Revelli, “Fucilavamo i fascisti e non me ne pento”, intervista ad Antonio Gnoli, in La Repubblica,
16 ottobre 1991.
58 Bobbio, op. cit., p. 302; Id., “La morale della Resistenza”, in La Stampa, 27 ottobre 1991.
59 Miriam Mafai, “La verità su quel triangolo rosso”, in La Repubblica, 31 agosto 1990; Bocca, “Fischia il
vento urla la bufera ...”, ibidem.
60 Intervista del 4 settembre 1990 al gruppo dei “Quotidiani Veneti”. Su Franceschini cfr. Liano Fanti,
S’avanza uno strano soldato. Genesi del brigatismo rosso reggiano, Sugarco, Milano, 1985, pp. 115-141.
61 Romano Cantore, “Quando il PCI era pronto per il golpe” (intervista a Salvatore Sechi), in Europeo,
1117 marzo 1991, pp. 821; R. Cantore e Vittorio Scutti, “Di Gladio ne esisteva un’altra, quella rossa”,
ibidem, 22-31 maggio 1991, pp. 6-11 (intervista a Luciano Canfora alle pp. 10-11). Cfr. Bocca, “La vera
storia di Gladio rosso”, in La Repubblica, 13 settembre 1991.
62 Benchè prima delle elezioni del 5 aprile 1992 il segretario del PDS avesse ventilato una candidatura di
Nilde Jotti alla Presidenza della Repubblica, la vedova di Togliatti venne sostituita nell'ufficio di presidente
della Camera (terza carica costituzionale dello Stato) dal leader della destra "migliorista", Giorgio
Napolitano.
64 La pubblicazione incompleta della “lettera” da parte dello storico excomunista Franco Andreucci offrì
occasione ad un polemico intervento del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga e perfino ad un
espostodenuncia dell’avvocato Augusto Sinagra per i reati di “favoreggiamento bellico” e “attività
antinazionale di cittadino all'estero” contro dirigenti e funzionari dell’ex-PCI. Cfr. Carlo Rossella, “Quale
Palmiro”, in Panorama, 16 febbraio 1992, pp. 3847; Pansa, “Quel Togliatti che ammazzava gli alpini”, in
L'Espresso, 11 ottobre 1992, pp. 152159 (= Id., I bugiardi, Sperrling & Kupfer, Milano, 1992). In realtà il
giudizio di Togliatti sulla sorte, eventualmente tragica, dei prigionieri italiani in Russia era analogo a quello
da lui espresso sui bombardamenti alleati al Nord, che nel periodo della “cobelligeranza” fecero il doppio
di vittime civili che durante la guerra 1940-43 (41.000 contro 18.000: le vittime civili delle rappresaglie
nazifasciste furono 14.000): “noi ci sentiamo stringere il cuore a vedere le nostre città e i poveri nostri
villaggi distrutti. Ma chi potrà impedire al cittadino di altri paesi di ricordarci (i bombardamenti italiani su
Londra e in Spagna o l’iprite usata contro le popolazioni abissine?)” (Canfora, op. cit., p. 269).
66 Cotta, op. cit., p. 4 di copertina: “la celebrazione del CLN serve a sostenere il sistema degli organismi di
massa e dei loro comitati unitari, ai quali si attribuisce una rappresentatività non formale ma organica (cioè
non elettiva!) che annulla la distinzione fra maggioranza e opposizione. Ne esce così svuotato il sistema di
democrazia maggioritaria ed elettiva, basata sulla dialettica partitica ... Viene riproposto, nei medesimi
termini di allora, un disegno respinto negli ultimi mesi della guerra di liberazione, e infine dal voto
plebiscitario del 18 aprile 1948” (cfr. pp. 142 ss.).
67 Cfr. le opinioni di Vittorio Foa, Claudio Pavone e Gaetano Arfé raccolte da Simonetta Fiori,
“Spazzatura d’autore!”, in La Repubblica, 29 agosto 1992. Polemiche ha suscitato l’adozione del libro di
Gobbi quale testo di “educazione civica” nel prestigioso liceo classico “D'Azeglio” di Torino, dove studi·
da ragazzo lo stesso Bobbio, su proposta di un docente, Francesco Coppellotti, traduttore di Ernst Nolte
(Massimo Novelli, “Il libro sulla Resistenza divide il liceo antifascista”, in La Repubblica, 28 febbraio 1°
marzo 1993). Rusconi definisce il pamphlet “una anacronistica resa dei conti interna alla sinistra” (Se
cessiamo di essere una nazione, Il Mulino, Bologna, 1993, p. 47).
69 Cfr. Piero Ostellino, “Che fare di un mito cinquant’anni dopo”, in Il Corriere della Sera, 2 novembre
1992.
71 La svalutazione della guerra partigiana all’estero e in montagna (in quanto maggiormente “militare” e
maggiormente “unitaria” dell'azione clandestina e del terrorismo urbano) è un tratto caratteristico delle
interpretazioni “rivoluzionarie” della Resistenza (cfr. Cotta, op. cit., p. 31). Altro tratto caratteristico è la
tendenza a ipervalutare il peso delle formazioni politicomilitari di sinistra non aderenti al CLN, come
“Stella Rossa” (Torino), “Prometeo” (Milano) e “Bandiera Rossa” (Roma: cfr. Silverio Corvisieri,
“Bandiera Rossa” nella Resistenza romana, Samonà e Savelli, Roma, 1968).
72 Anche così sottostimata la cifra rappresenta pur sempre il doppio di tutti i volontari che presero parte
alle guerre del Risorgimento: e senza tener conto del fatto che la guerra partigiana interess· solo le regioni
Centrosettentrionali, e della particolare difficoltà psicologica e pratica della scelta di unirsi alla guerriglia.
Sull’entità assoluta e relativa delle forze partigiane, cfr. V. Ilari, Storia del servizio militare in Italia, vol.
IV (“soldati e partigiani”), CeMiSS, ed. Rivista Militare, Roma, 1991, pp. 109-123 e 232-243.
73 Aldo Garosci, “I risultati politici della guerra partigiana”, in Quaderni di Giustizia e Libertà, n. 56,
1945, pp. 512. Tesi contestata già nel 1948 dalla storiografia moderata e filofascista (cfr. Attilio Tamaro,
Due anni di storia 1943-45, Tosi editore, Roma, III, pp. 17475) quasi negli stessi termini di Gobbi.
74 David Kertzer, Riti e simboli del potere, Laterza, Bari, 1989, p. 99.
75 Antonio Cassese, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Laterza, RomaBari, 1988, pp. 105 ss.
76 Mario Pirani, Il fascino del nazismo. Il caso Jenninger: una polemica sulla storia, Il Mulino, Bologna,
1989.
77 Edgar Morin, Per uscire dal ventesimo secolo, Lubrina, Bergamo, 1989, p. 7677.
80 Nello Ajello, “La Resistenza, un mito da buttare”, in La Repubblica, 29 agosto 1992, p. 31.
81 Gobbi, op. cit., p. 105: “Non fu Berlinguer a inventare il ‘compromesso storico’; questa scelta politica fu
fatta da Togliatti fin dalla ‘svolta di Salerno’ nel 1944 ... Da allora non ci fu vera opposizione in Italia, ma
una spartizione del potere tra i partiti dell’arco costituzionale”.
82 “Pentiti” vengono pudicamente definiti dalla legge italiana i condannati per reati di terrorismo o di
mafia che lucrano un regime carcerario attenuato, sconti di pena, riabilitazioni e sussidi di reinserimento
sociale mediante la delazione dei complici.
83 Giorgio Galli, Storia del PCI (1a ed. 1957), Bompiani, Milano, 1976, p. iiiiv. Richiamandosi ad una
raccolta di scritti di Luigi Longo comparsa nel 1975 e intitolata significativamente Chi ha tradito la
Resistenza, Galli scriveva: “l’ipotesi di partenza è quella indicata nel mio libro di quasi venti anni fa: il Pci
ha mobilitato meno di quanto sarebbe stato possibile le energie rinnovatrici presenti nella classe operaia e
nella società italiana”.
84 Andrea Manzella, “Quel patto che nacque in montagna”, in La Repubblica, 12 settembre 1990.
85 Gian Enrico Rusconi, “Per una revisione storica della Resistenza”, in Micromega, n. 5/1991, pp. 2534.
87 Giorgio Fabre, “Alla lettera”, in Panorama, 21 giugno 1992; Bobbio, “Quella lettera al Duce”, in La
Stampa, 16 giugno 1992.
88 Rusconi, “Bobbio, l’ultimo azionismo”, in Il Mulino, XLI, n. 342, luglio-agosto 1992, pp. 575-586.
90 Era questo l’appellativo sarcastico che gli anticomunisti davano negli anni '50 e '60 agli esponenti della
sinistra democratica, ai socialisti e perfino ai “nazionalneutralisti” che accettavano la collaborazione con il
PCI o si opponevano alla discriminazione nei suoi confronti.
91 P. Battista, “Buttiglione al MSI: ‘Dopo l’addio al mito fascista riabilitate la Resistenza”, in La Stampa,
17 settembre 1992; Buttiglione, “Riconciliarsi su una parola”, in Il Tempo, 19 settembre 1992.
92 G. Bosetti, “Le due storie della Resistenza”, in L'Unità, 4 ottobre 1992; Bobbio, “La Resistenza
appartiene a chi ha combattuto”, in La Stampa, 11 ottobre 1992. Cfr. Dino Messina, “Di chi era
la Resistenza. Bobbio contro i revisionisti”, in Il Corriere della Sera, 9 ottobre 1992.
93 Pavone, “Chi sono i veri fondatori della Repubblica”, in L’Unità, 8 ottobre 1992.
94 Rusconi, “La zona grigia della Resistenza”, in L'Unità, 6 ottobre 1992; Id., “Non ci furono ‘abusivi’”, in
La Stampa, 14 ottobre 1992.
95 Buttiglione, “Ma dalla Resistenza passiva è nata la convivenza civile”, in Avvenire, 8 ottobre 1992.
96 “Lettere sull’azionismo”, in Il Mulino, XLI, n. 344, novembre-dicembre 1992: Bobbio a Rusconi, pp.
1021-1026; Rusconi a Bobbio, pp. 1027-1029.
97 Augusto Del Noce, “Dal dibattito sull'antifascismo alla malattia mortale”, in Il Tempo, 3 febbraio 1988.
98 Rusconi, “Alle radici della legittimazione della Repubblica”, in Il Mulino, XLI, n. 344,
novembre/dicembre 1992, pp. 1033-1034.
99 Rusconi, “La Resistenza? Non era un Sogno”, L'Espresso, 4 luglio 1993, pp. 114-117: “Partigiano. E
anticomunista. Lo capite adesso, dice Edgardo Sogno, che ero nel giusto io e nel torto Pci e azionisti? Uno
studioso di sinistra prova a vedere se gli si può dare ragione. La sua conclusione ...”. Cfr. Id., Se cessiamo
di essere una nazione, cit., p. 46-47.
100 Rusconi, “Le radici della legittimazione della Repubblica. Senso e mito della Resistenza”, in Se
cessiamo di essere una nazione, Il Mulino, Bologna, 1993, pp. 45-100. Alle pp. 86-91 sono riportate le due
Lettere sull'azionismo scambiate tra l’autore e Bobbio e già apparse ne Il Mulino, n. 6, 1992.
102 Ibidem, pp. 123 ss. La differenza più apprezzabile dalla sottigliezza politologica che dall'incolta
concretezza dei comuni membri della “Staatbuergerschaft” consisterebbe nel fatto che Juergen Habermas
considera la formula un surrogato della identificazione nazionale tradizionale, mentre Rusconi come
“inveramento di quest'ultima nella norma democratica” (cfr. p. 85).