3, 3 ristampa: marzo 1988 La nuova Italia Copertina di Mario Mariotti Notizie biografiche su Calvino, almeno fino alla Resistenza, si trovano nell'int ervista concessa dallo scrittore a "Paradosso", n. 23, 24, 1960, circa il bagagl io di idee con cui cresciuto, le reazioni suscitate in lui dalla guerra, i modi del suo impegno politico, i valori in cui ha creduto e crede: impossibile stralc iare e riassumere fatti, sentimenti, idee, dal fitto tessuto morale e psicologic o che lo scrittore ha ricostruito pazientemente. Del resto, poich molto delle sue esperienze personali trasposto nella narrativa, e poich egli crocianamente convi nto che sia l'opera a contare, il suo ritratto pi vivo, per ora, va cercato nei l ibri e nell'attivit editoriale presso Giulio Einaudi, dove lavora dal '45, da qua ndo cio Vittorini e Pavese scopersero la bellezza e il dolore del Sentiero dei ni di di ragno: poi il successo di critica e di pubblico che ha accompagnato regola rmente la pubblicazione dei libri che Calvino ha con altrettanta regolarit scritt o, a intervalli di due-tre anni al massimo, se l'ha aiutato a trovare la sua str ada, gli ha reso pi arduo, avendo i riflettori puntati addosso, dire con sincerit ci che gli premeva dire. Tuttavia non ha mai mancato a questo impegno, anche a co sto di sacrificare qualcosa della sua brillante posizione nel mondo letterario, come accaduto con La giornata di uno scrutatore, che , soprattutto, la pubblica d enuncia di una crisi da superare, e poi superata; e indica - insieme alle discus sioni, spesso polemiche, coi suoi critici - il costante rapporto in cui si tiene con la cultura e la societ. Rapporto essenziale, che ci riconduce alla larga com ponente autobiografica delle sue opere: ma il solo autobiografismo che oggi pu co ntare quello delle idee, che illuminano l'esperienza di una luce generale, quand o questa coincide, o pu coincidere, con gli interessi di tutti. In questo senso i n ogni libro di Calvino ci sono, pi o meno sensibili, momenti autobiografici, com prese le Cosmicomiche dove essi sono anche meno contingenti e pi profondi, o pi al ti, dichiaratamente intellettuali e ideali. perci comprensibile la barriera di ri servatezza che Calvino mette tra il mondo e quella parte della sua esperienza ch e non di interesse generale o poetabile (barriera che pu essere anche simile, per quanto mi risulta, ad un ironico sberleffo...). Ma, oltre che negli episodi che sono diventati poesia - la guerra e la morte, l' infanzia, l'adolescenza che cerca se stessa, la piet per chi non trova posto in u na societ disumana, il disagio del mondo industriale dove la scoperta di un lembo di natura verde e azzurra pu costituire un miracolo, l'avventura edilizia e l'es perienza politica culminata col distacco dal partito comunista, e quella di scru tatore al Cottolengo - un pi puntuale ritratto di Calvino nel suo stile: nella ga iezza, mobilit, irriverenza, candore, rabbia, rigore e abbandono che si alternano e fondono nelle sue pagine; e soprattutto nell'ironia, fantastica eppure indica tiva del suo atteggiamento morale verso la vita e la societ, che di odio e di amo re, quindi di partecipazione, quindi di sofferenza e di lotta e conquista che si rinnova perennemente: "Dal raccontare al passato, e dal presente che mi prendev a la mano nei tratti concitati, ecco, o futuro, sono salito in sella al tuo cava llo. Quali nuovi stendardi mi levi incontro dai pennoni delle torri di citt non a ncora fondate? quali fumi di devastazioni dai castelli e dai giardini che amavo? quali impreviste et dell'oro prepari, tu malpadroneggiato, tu foriero di tesori pagati a caro prezzo, tu mio regno da conquistare, futuro...". Si rinnova perennemente nella forza morale e razionale con cui, lasciando indiet ro fumi e devastazioni, tende direttamente al futuro e a sempre nuove immagini, a una sempre nuova poesia: "E in fondo a ognuno di quegli occhi abitavo io, ossi
a abitava un altro me, una delle immagini di me, e s'incontrava con l'immagine d i lei, la pi fedele immagine di lei, nell'ultramondo che s'apre attraverso la sfe ra semiliquida delle iridi, il buio delle pupille, il palazzo di specchi delle r etine, nel vero nostro elemento che si estende senza rive n confini." Italo Calvino nato all'Avana nel 1923. Tornato bambino in Italia, ha vissuto a Sanremo finch si trasferito a Torino nel dopoguerra, lavorando presso la casa editrice Einaudi. Ha viaggiato in Russia, in America ed ora abita a Parigi. 1 Un profilo di Calvino, oggi, deve forse incominciare dalla prefazione (giugno 19 64) alla ristampa del Sentiero dei nidi di ragno: un umanissimo capitolo di "aut obiografia intellettuale" con cui l'autore ci introduce alla sua prima esperienz a di vita, cio la lotta partigiana, a vent'anni, nelle brigate Garibaldi sui mont i della Riviera di Ponente: Ero stato, prima d'andare coi partigiani, un giovane borghese sempre vissuto in famiglia; iI mio tranquillo antifascismo era prima di tutto opposizione al culto della forza guerresca, una questione di stile, di sense of humour, e tutt'a un tratto la coerenza colle mie opinioni mi portava in mezzo alla violenza partigia na, a misurarmi su quel metro. Fu un trauma, il primo... La Resistenza, che fu il primo momento della storia nazionale in cui agirono an che gli strati sociali rimasti esclusi dal Risorgimento, fu dunque per Calvino l a scuola pratica di lotte e di sangue uguali per tutti in cui maturava la sua ed ucazione politica, perch nella ribellione di tante Italie sconosciute l'antifasci smo ag capillarmente dove ottant'anni di faticoso assestamento nazionale erano ri usciti a un'unificazione pi geografica e burocratica che morale e popolare. Calvino visse questo momento irripetibile con fede appassionata e con la fondam entale certezza che la storia italiana entrava cos nel suo corso progressivo. Quando, a guerra finita, torn alla vita civile, portava con s un patrimonio morale fatto di fede, l'esperienza di una realt aspra e vitale, e la capacit di vivere g enerosamente "lo strazio e lo sbaraglio" che il dopoguerra chiedeva al rinnovame nto politico. Il clima che trov a Torino, dove si stabil nell'autunno del 1945 e dove tuttora ri siede, era "una carica amorosa... (che) elettrizzava l'aria" e un'"intesa che er a il nuovo regalo di quei primi mesi di pace". Anche la cultura doveva rinnovarsi, rinascere; era di vitale importanza testimon iare di quell'esperienza. Nell'autunno del 1945 usciva a Milano il "Politecnico" diretto da Vittorini che, raccogliendo la lezione di Cattaneo, tentava di realizzare su molteplici piani culturali un dialogo diretto col lettore, saltando generosamente il fosso secola re che in Italia aveva sempre separato gli intellettuali dalla massa; e che s'ar enava (Fortini, Che cosa stato il Politecnico, "Nuovi Argomenti", I, 1953) sul p roblema di fondo dei rapporti tra dirigenti politici ed lite culturale, e che imp licava soprattutto la necessit di rapportare concretamente il pensiero marxista a lla specifica situazione italiana. Calvino collabor al "Politecnico" settimanale, con un breve racconto e due artico li. La vita della rivista, che succedette nel 1946 al settimanale, fu tormentata anc he quando tent di sostituire al dialogo diretto coi lettori la revisione critica della cultura rivoluzionaria; cess le pubblicazioni nel dicembre del '47. C' da aggiungere ancora con Fortini che le difficolt in cui la rivista navigava er ano la mancanza di chiarezza teoretica, la confusione di linguaggio politico e c ulturale, e forse anche la quantit stessa delle sollecitazioni a cui solo a poco a poco si sarebbe potuto dare concretezza e prospettiva. Che erano dunque le difficolt stesse di creare, quasi dal niente, una nuova cultu ra. Se la lezione del "Politecnico" fu positiva pi a distanza di tempo che al momento
, (come suggerisce Fortini nell'affermare che scrittori e studiosi lavorano anco r oggi sulla traccia della problematica gramsciana impostata dal "Politecnico" , anche se isolati rispetto ai partiti politici), ogni scrittore pot attingere dal "Politecnico" alcune direttive fondamentali che poi elabor nell'isolamento. Calvino acquist in questa esperienza la capacit di vivere fino in fondo la propria condizione di uomo di cultura; la convinzione che si deve agire hic et nunc; la certezza che la propria presenza in una situazione deve seguire inevitabilmente la vittoriniana "via di fuori" che la storia indica, sacrificandole l'orgoglios a "via di dentro" della salvazione individuale, e la consapevolezza, che maturer nel giro di qualche anno, che solo un'attenzione ben critica alla realt quotidian a poteva garantire la validit del suo impegno. Testimoniare della Resistenza nel '46 fu per lo scrittore ventitreenne un grosso impegno che il fatto di non avere alle spalle una cultura letteraria gi in qualc he modo definita gli agevol, togliendogli possibili impacci teorici e lasciandogl i invece intatta l'urgenza di "esprimere" la sua presenza con adolescente e pole mica protesta sia nei confronti delle pressioni politiche che il Partito avrebbe fatto a Vittorini, sia davanti alla riscossa della "mentalit benpensante medio e piccolo borghese"; e di cercare direttamente in Babel e Fadeev (cfr. op. cit.) l'epica della rivoluzione socialista, in Per chi suona la campana i modi con cui gli intellettuali di ogni paese avevano preso coscienza di quella rivoluzione, come pure il principio settecentesco della fede nella libert, nell'uguaglianza, n ella fraternit e l'aspirazione alla felicit (aspirazione che aveva proprio allora trovato in Uomini e no una primordiale dialettica con la morte nell'esaltazione di un prorompente vitalismo individuale miracolosamente innestato sull'epica dei Gap milanesi): ma per Calvino la citazione da Donne che Hemingway premette al r omanzo ("nessun uomo un'isola") deve essere soprattutto rovesciata in concetto d i vita. pi difficile fu costruire gli strumenti stilistici atti a restituire "l'aspro sap ore, il ritmo" della realt vissuta. C'erano gli esempi di Verga, Pavese e Vittori ni: il triangolo sul cui schema la nostra letteratura sembrava rompere l'accadem ismo ed avviarsi verso esiti nazional-popolari; ma tutto ci restava un punto di p artenza oltre il quale si doveva proseguire con mezzi propri: sia I Malavoglia c he Paesi tuoi e Conversazione in Sicilia, nati in contesti culturali diversi ma sostanzialmente affini, (l'involuzione social-politica in cui visse Verga fu por tata alle ultime conseguenze dal fascismo) erano tre aspetti della mitizzazione di un mondo primitivo che veniva acquistando tutta la sua forza di denuncia dall 'essere ai limiti della storia e dall'arcaico isolamento in cui vivevano le sue passioni umane. Se dunque Pavese e Vittorini ricuperavano attualizzandolo il fil one del verismo verghiano, bisognava, ora che la loro polemica antiermetica non aveva pi ragione d'essere, smitizzare quell'isolamento ed allacciarne i primi fil i con la storia; bisognava arricchire quel linguaggio con un apporto ideologico, perch esso era entrato a far parte ormai della vita italiana. La rottura del linguaggio in questo senso era difficoltosa, ma ci nonostante Calv ino non volle sacrificare alle ragioni letterarie il nucleo ideologico: e lo svi lupp in quel nono capitolo che esce in parte dall'unit stilistica (unico fermo cri terio a cui si attenessero i giovani scrittori) e nel quale Ferriera e Kim, il c ommissario di brigata, esaminano la situazione del distaccamento del Dritto, com posto di relitti sociali che Kim ha volutamente riuniti insieme per porli davant i alle loro individuali responsabilit. Non si tratta di eroi socialisti, ma polemicamente di lingere; non di chi la cos cienza politica ce l'ha gi, ma di chi sta facendosela, o se la far, o forse non se la far mai. Quello che allora premeva a Calvino di indicare era un'umanit negativ a che, al vaglio della vicenda storica, rivelava tensioni e fermenti potenzialme nte positivi. L'apparente esilit ideologica, gi portava in s quella carica tutta realistica di vi talit che resta una delle componenti fondamentali di Calvino Ma Kim e Ferriera esprimono rispettivamente due posizioni sociali diverse ed ind irizzate tuttavia allo stesso fine. Ferriera l'operaio che ha dietro di s un secolo di lotta per i salari e il progre ssivo movimento proletario nella rivoluzione industriale e che agisce in base al
l'istinto di classe e non ha bisogno di rivedere criticamente nulla; Kim invece, che stato un bambino ricco, poi un ragazzo timido, che discende dai "grandi (e sereni) padri borghesi che creavano la ricchezza", non sereno perch il ciclo dell a civilt borghese ricca di due secoli di valori e contraddizioni sta per conclude rsi sotto la spinta delle nuove forze popolari; e tuttavia non pu respingerne in blocco la cultura perch i suoi valori pi alti hanno ancora la possibilit di saldarl o razionalmente e dialetticamente, cio criticamente, al nuovo corso. Kim e Ferrie ra sono non il punto di scontro, ma di incontro dei due filoni della stessa civi lt davanti a quella "grande macchina delle classi che avanzano, la macchina spint a dai piccoli gesti quotidiani, la macchina dove altri gesti bruciano senza lasc iare traccia" che la storia. Tra gli uomini e i non uomini vittoriniani Calvino pone il formarsi dell'autocos cienza in un mondo ai margini della societ, il cui furore, le cui frustrazioni di ventano l'"elementare spinta di riscatto umano" che deve utilizzare la miseria c ontro se stessa. Si pu dire con Calvino che il linguaggio del Sentiero composito; l'avventuroso, l a deformazione grottesca, le crude macchie dialettali, qualche sprazzo surreale, coesistono col favoloso, con l'aspro realismo popolare in una composizione dove tutti gli elementi si fondono nel calore di una viva emozione fantastica. Il nono capitolo, pur uscendo dall'unit complessiva per un eccesso di passione mo rale, offre, proprio attraverso un aspetto di Kim, che rappresenta la posizione culturale di Calvino, il ponte col nucleo fantastico vero e proprio del racconto , il ragazzetto dei vicoli, Pin: "Kim logico, quando analizza coi commissari la situazione dei distaccamenti, ma quando ragiona andando da solo per i sentieri, le cose ritornano misteriose e magiche, la vita degli uomini piena di miracoli.. .". L'invenzione di Pin nasce di qui, dalle suggestioni irrazionali della favola e d el miracolo che sono nel borghese Kim; e anche, come dice Calvino, da una condiz ione di regressione psichica determinatasi in lui quando la violenza partigiana urt il suo mondo adolescente e sereno: che fu il prezzo umano dell'esperienza, ta nto pi alto quanto pi la fantasia corre via libera e felice, con le impennate impr evedibili e mutevoli di un moderno Ariosto, passando in mezzo al sangue ed al do lore, alla miseria e alla frustrazione. Pin la prospettiva fantastica da cui Calvino guarda il suo pezzetto di mondo in lotta, e nella quale immette, implicitamente, un calore di infanzia borghese e s tupita, il ricordo delle letture di allora (Kipling, Dichens, Mevo), cio gli occh i della fantasia con cui aveva scoperto il mondo; ma soprattutto una carica di u manit dolorante, la ricerca vitale dell'amico, l'insicurezza, il vizio e la miser ia appena conosciuti: dal contrasto tra questi elementi, la fede nei miracoli ri affiora tanto pi prepotente, quanto pi aspra e terribile si presenta la realt; ed i nfine compie il suo personaggio con un'intensa coloritura dialettale ligure. Ma Pin non tutto qui, diventa tante altre cose ancora via via che Calvino lo las cia correre per i beudi, sui monti, all'osteria, tra partigiani e tedeschi, semp re rinnovandone il rapporto straziante con il mondo dei grandi. Dal condizionamento reciproco di Pin e del mondo, nasce il composito che dice C alvino: se la parte del leone la fa Pin che il filone lirico conduttore cui l'au tore partecipa, ora pi intensamente, ora staccandosene nel favoloso quando il gru ppo di carne e sangue sta per metterlo in scacco - ne segno il graffiante riliev o psicologico dato alle figure e alle situazioni, - anche vero che si tratta di una parte cosi ampia ed elastica da assumere gli altri motivi e lasciarli svilup pare con un'autonomia di immagini visive e una libert di ritmo che danno la misur a della spavalda originalit di Calvino, e della sicurezza con cui rifiuta la trap pola di un realismo documentario. cos l'incontro di Pin con Lupo Rosso e la fuga dal comando tedesco, che restituis ce l'avventuroso stevensoniano, integrato con un barlume di sorriso da un alone di incosciente eroismo, passa dall'ambientazione nel paesaggio sanremese - il pa esaggio consueto che Calvino attraverso la guerra rivedeva con occhi nuovi - al campo di garofani dove Lupo Rosso vuol far propaganda politica, mentre Pin gli t ien dietro disegnando sconcezze; e di qui al riso schietto che alleggerisce la v olgarit e subito dopo ricupera la favola di Puccettino nei noccioli di ciliegia c
he Pin semina a terra per farsi ritrovare. Una riutilizzazione della fiaba, come apporto originale di Calvino, nella segret a intenzione di ricalcare l'incontro di Carlino con lo Spaccafumo nelle Confessi oni del Nievo, anche l'incontro di Pin col Cugino la cui umana realt si manifesta nella tristezza di uccidere le spie che appare sul suo rosso faccione camuso ch e viene deformato nei lineamenti favolosi di un orco buono, per quel suo cammina re da sette anni sui monti sempre portando con s il marchio di un amore infelice. La deformazione grottesca, resa necessaria dalla mancanza di prospettiva storica e dalla ripugnanza dello scrittore per tutto ci che potesse apparire agiografico , e i lineamenti espressionistici scelti per restituire il fermento in atto di q uesti uomini al di qua di un qualsiasi giudizio critico, toccano Pelle il tradit ore in misura diversa dalle altre figure, e indicano come una suggestione letter aria - probabilmente l'Afongka Bid dell'Armata a cavallo epicamente grandioso nel la folle ricerca dell'animale - venga da Calvino rielaborata: la passione per il cavallo reinventata in quella mostruosa e sanguinosa per le armi automatiche, r agione di vita del debosciato pieno di odio e di astio, indotto a tradire per av erne di pi; che ruba la pistola a Pin nel sentiero dove i ragni fanno il nido, e che sar ucciso dai Gap nella sua soffitta in un episodio che sviluppa con sfumatu re surreali un nucleo inizialmente vittoriniano. Ebbene, proprio Pelle, cos disum ano nei suoi lineamenti miserabili, diventa alla fine portatore di una delle tro vate pi umane e favolose, quando, consegnando alla Nera la pistola di Pin, le dic e misteriosamente: "cos resta in famiglia": che una specie di testamento morale p er mezzo del quale Pin ritorna in possesso dell'agognato oggetto magico in cui r ealizza, almeno in parte, la sua sicurezza psicologica di fronte al mondo dei gr andi. C' nel Sentiero qualche violenta pennellata psicanalitica di cui non troveremo pi traccia in seguito: oltre a quanto se ne pu vedere in Pelle, svolta nel Dritto in modo pi ampio, e tale da subordinare la deformazione grottesca a una pena profon damente umana. Nel Dritto si concreta l'idea di Kim, secondo il quale le ragioni collettive hanno radice nelle ragioni individuali: nell'uomo che sa essere buon comandante, la larvale volont di riscatto che lo ha portato tra i partigiani vie ne frustrata dall'esterno; e la frustrazione si aggiunge alle umiliazioni di tut ta la vita impedendogli di resistere all'autolesionismo. La ferma dignit con cui va a farsi fucilare il riscatto di un'insostenibile condizione umana. Per il res to la psicologia diventa la vivacit tipicamente calviniana delle reazioni di Pin e il realismo delle sue rispostacce; ma viene ridotta a macchia di colore o a ma schera tipica e stilizzata o anche a battuta dialettale nelle figure di contorno (i fascisti e i Calabresi, Miscel Francese e Berretta di Legno, la Giglia come ossessione del sesso e Pietromagro) tra le quali sguscia mobilissimo Pin in un t empo fantastico tutto interiore e in uno spazio che trasfigura in modi violentem ente soggettivi il paesaggio (le gobbe ventose dei monti liguri, l'"urlo azzurro del mare", i vicoli della Citt Vecchia). A un risultato popolare e regionale, nel senso che intende Calvino nell'affermar e che la Resistenza fu anche la fusione di paesaggi e dialetti diversi, giunge l 'episodio dell'incendio nel casone del bosco, quando l'attrazione violenta del D ritto e della Giglia, che affonda nell'attesa degli uomini che vedono o nel sile nzio di quelli che dormono, viene drammatizzata dal crescendo isterico, maligno e sguaiato del canto di Pin: qui il ruolo lirico e favoloso del bambino rinnovat o dal realismo viscerale della canzone, carica di un greve sapore di Liguria. un motivo popolare assai felice, mentre gli interventi del dialetto, frequenti nei dialoghi, hanno valore quasi esclusivamente polemico e spavaldo; questo ricuper o, e quell'altro ugualmente popolare, anche se non sempre ligure, che la fiaba, seguono l'uno un processo letterariamente consapevole, l'altro ancora istintivo. L'unit stilistica raggiunta grazie alla mobilit da "scoiattolo" con cui Calvino pa ssa da un modulo espressivo all'altro, contaminandoli e reinventandoli: qualche squilibrio si pu vedere nelle variazioni della partecipazione dell'autore al suo personaggio; ci sono dei momenti (come nell'episodio vagamente dichensiano di Pi n solo di notte nel beudo), in cui la sua partecipazione viene frenata con un ba rlume di preziosismo stilistico:
cos crede di tenere indietro le lacrime che gi gli pesano nella voluta delle orbi te. Ma il pianto gi lo raggiunge, e annuvula le pupille e inzuppa le vele delle p alpebre; prima pioviggina silenzioso, poi scroscia dirotto con un martellare di singhiozzi su per la gola. Quando invece il personaggio si identifica con l'autore, la lingua ha un altra s pontaneit e le immagini sono tutte realistiche, come nel gioco con la pistola: Ma a un certo punto Pin non resiste pi alla tentazione e si punta la pistola cont ro la tempia: una cosa che d le vertigini. Avanti, fino a toccare la pelle e sent ire il freddo del ferro. Si potrebbe posare il dito sul grilletto, adesso no, me glio premere la bocca della canna contro lo zigomo fino a farsi male e sentire i l cerchio di ferro con dentro il vuoto dove nascono gli spari. A staccare arma d alla tempia, di botto, forse il risucchio dell'aria far esplodere un colpo: no, n on esplode. Ora si pu mettere la canna in bocca e sentire il sapore sotto la ling ua. Poi, cosa pi paurosa di tutte, portarla agli occhi e guardarci entro, nella c anna buia che sembra fonda come un pozzo. Una volta Pin ha visto un ragazzo che s'era sparato in un occhio con un fucile da caccia, mentre lo portavano all'ospe dale: aveva un gran grumo di sangue su mezza faccia e l'altra mezza tutta puntin i neri della polvere. Del resto l'uso dei presenti verbali, che restituiscono l'impressione di un espe rienza contemporaneamente vissuta e detta, senza il filtro della memoria, ristab ilisce rapidamente l'equilibrio: il secondo e ultimo incontro Pin col Cugino (ch e esce dalla meccanicistica ripetizione delle favole, grazie ai semplici doni um ani che i due si fanno), approdando a una situazione realistica, vede finalmente placarsi in un sorriso di consolazione e nell'armonia di un rapporto umano l'ag gressivit, 1a sofferenza e la crudelt di tutta la storia. Non necessario citare ancora la commossa presentazione che Pavese fece del Senti ero, punto di partenza sempre valido per ogni lettura di Calvino. Pavese conobbe pochi degli altri suoi scritti, ma ne intu la direzione fondamentale e la possib ilit di originali sviluppi nel rapporto vario e mosso di realt e favola. Il Sentiero, infatti, sviluppa quella che stata la prima intuizione poetica di C alvino, espressa in uno dei primissimi racconti scritto nel '45, Ultimo viene il corvo, dove i lineamenti estremamente semplificati della realt colta alla radice (un ragazzo partigiano ruba un fucile e uccide molti nemici) coincidono senza r esidui con quelli simbolici di una situazione tipica della fiaba: un ragazzo dal la faccia di mela ha la virt di vincere le prove con l'oggetto magico che lo stru mento capace di distruggere il nemico e liberarlo liberando gli altri. Il Corvo trae la sua perfezione poetica dalla totale coincidenza di realt e favol a, cos limpida da esprimere dalla realt della lotta partigiana il senso ultimo di un rito imperniato sulla dialettica vita-morte. Sappiamo che si tratta di un epi sodio della lotta contro i fascisti e i tedeschi, ma esso immerso in un'atmosfer a e in un paesaggio tanto limpidi, precisi e ariosi quanto indeterminati: ed que sta indeterminatezza a dare il senso di favola vera al racconto. Col Corvo Calvino aveva gi scoperto il suo proprio linguaggio: uno strumento ling uistico capace di fondere fermamente ma senza stridori per il momento due dei mo tivi fondamentali della sua poetica, di ridurre severamente all'essenziale la su a materia senza niente sacrificare della realt all'evasione o senza far prevalere quella sulla libert fantastica. Tutto ci che viene dopo il Corvo, cio gli altri racconti partigiani e soprattutto il Sentiero, rottura e arricchimento, anche rischioso, di questa perfetta armoni a. L'impegno culturale, la fede di operare sulla realt, l'esigenza di immettere nell a pagina quanto pi possibile della vita degli uomini, la volont appassionata di te stimoniare degli avvenimenti, (tutti momenti della poetica del realismo), costri ngono Calvino a spezzare la sua tensione verso la fantasia pura, anche affrontan do uno stile composito e spurio, pena il rischio di inaridire moralmente e di re stare tagliato fuori del suo tempo. Di qui le due direttive che i racconti seguono fino al '50 circa, che grosso mod
o proseguono l'esperienza del Corvo per il rapporto realt-favola nei racconti par tigiani; e del Sentiero nella stilizzazione espressionistica e grottesca, che mu ove ancora dal dolore verso il sorriso, dell'occhiata calda al sottobosco umano formicolante per le vie delle citt: stilizzazione con cui Calvino stravolge in mo di soggettivi e rinnova superandolo il fondo naturalistico che si pu intravedere nelle figure, tipi e macchiette di Si dorme come cani o Va cos che vai bene o Fur to in una pasticceria; conferma della sua originalit la comicit, la lucidit che non mai cinismo, il sorriso e il distacco con cui guarda questi sconfitti e in fond o al quale vibra la sua umana simpatia e piet. Distinguere tra racconti partigiani e racconti della miseria del dopoguerra arbi trario, perch se nei primi i due momenti della realt e della fiaba vengono articol andosi con altre componenti (una crudelt primordiale in Uno dei tre ancora vivo, il mostro della paura e l'amore in Paura sul sentiero), nei racconti del dopogue rra la dilatazione espressionistica della figura viene riducendosi a una stilizz azione pi misurata: l'atmosfera immemoriale del Corvo viene umanizzandosi mentre l'aggressivit polemica del linguaggio del Sentiero si attenua a favore di modi es pressivi pi elastici e capaci di sostenere senza squilibri troppo forti i nuovi c ontenuti, sulla disponibilit di una lingua assai pi libera da suggestioni letterar ie (che anzi non rifugge neanche dalla riutilizzazione di una formula vieta del gergo sportivo come quel Forza, Binda che nel contesto riacquista un nuovo profo ndo significato morale) Il percorso stilistico di Calvino in questi anni dimostra alcune direzioni disco rdi nei racconti di Ultimo viene il corvo (Einaudi 1949), di cui esaurita l'ediz ione e alcuni dei quali sono rimasti esclusi dal volume del 1958, c' un'incandesc ente direzione faulkneriana nella Casa degli alveari rimasta allo stadio di espe rimento, c' qualche sensibile influsso pavesiano in Di padre in figlio, e una pi f orte presenza della lezione di Vittorini ne La stessa cosa del sangue, presenza anche pi profonda nell'austera e dolente moralit di Attesa della morte in albergo e Angoscia in caserma; e ci sono infine quegli apologhi politici (Impiccagione d i un giudice, Visti alla mensa, Chi ha messo la mina nel mare?) che anticipano, ad un livello di satira mordente ma particolare, la direzione ideale che si alla rgher nel Visconte, come pure Desiderio in novembre sembra anticipare in qualche tratto Marcovaldo. Non questa la sede per rilevare varianti o per far posto a no te filologiche, ma quei lontani racconti sono indubbiamente esperienze assai imp ortanti per il giovane scrittore, esperienze in cui assai pi sensibile che nel vo lume del 1958 l'opera di ricerca espressiva e contaminazione e rimanipolazione d i influssi diversi da parte dello scrittore, che tende ad un realistico allargam ento di tematica. Del resto, due racconti diversi come Il bosco degli animali e Dollari e vecchie mondane mi sembrano indicare per la comune vivezza di colori, il ritmo di ballet to, l'estrosa felicit dell'avventura, la capacit di raggiungere una stessa ridutti vit stilistica con timbri completamente diversi Il tema infantile inaugurato da Pin, sporadicamente presente in questi racconti, prosegue pi a lungo degli altri portando con s il puro filone della fiaba: e fors e pi degli altri racconti sono questi, di Giovannino e Serenella e di Zeffirino, a rivelare come la problematica dei rapporti bambino-mondo, gi presente nel Senti ero, si faccia pi acuta e sottile all'interno della perfetta armonia di queste, c he sono tra le pi poetiche creazioni di Calvino, con la natura: nel Giardino inca ntato Giovannino e Serenella avvertono appena il fastidio della realt nella merav igliosa avventura che vivono; in Pesci grossi, pesci piccoli, Zeffirino risolve la sofferenza della donna, incomprensibile per lui, ma partecipata, attirandola verso la consolazione del mare stupendo; ma Un bel gioco dura poco rivela come i l mondo dei grandi pu violentare quello candido e ignaro dei bambini. C' solo l'in fanzia che pu realizzare, per Calvino, una perfetta armonia con la natura: su que sta linea si pone anche il nipotino del Visconte, che per soffre della crudelt del mondo adulto. La natura di questo primo tempo dell'opera di Calvino buona e accessibile e favo losa; ma , appunto, legata leopardianamente all'integrit dell'infanzia. Fuori di q ui, i rapporti dell'uomo con la natura entrano in crisi: l'ultimo grande momento di armonia sar affermato nel Barone, ma non pi a livello favoloso, bens a livello
etico-razionale. La fede di Calvino nella natura uscir per esclusione dall'esame dei rapporti sempre pi precari che essa ha con l'uomo; come elemento di crisi e f attore alienante entrer il mondo della civilt industriale con le sue strutture eco nomiche, sociologiche e politiche. 2 Calvino scrisse il racconto lungo I giovani del Po tra il 1950 e il 1951, lo pub blic nel 1958 per le edizioni di "Officina", e non lo mise in circolazione perch i nsoddisfatto del risultato. Lo scrisse dunque in quel periodo che non si poteva pi chiamare dell'immediato dopoguerra e del quale l'autore nel Sentiero dice che la realt andava sfocandosi, le storie di ognuno non erano pi le storie di tutti da cui sono nati i racconti partigiani la calda tensione rinnovatrice rientrava ne ll'ordinario e nel conformismo. Il racconto la storia di Nino Torre, che dalla Riviera viene a Torino per lavora re nell'industria e inserirsi quindi nella lotta politica; attraverso il suo amo re con una ragazza della ricca borghesia scopre il Po, e si scontra con le velle it reazionarie degli studenti compagni di Giovanna; finch, raggiunta la solidariet nell'ambiente di lavoro, e affermatosi nella lotta sindacale, dirige una manifes tazione operaia durante la quale Giovanna rimane uccisa. Alla base del racconto c' un motivo ideologico o meglio sociale che assume uno sv iluppo tematico assai maggiore che nel Sentiero; ma questo filone conduttore con tinuamente interrotto dall'amore avventuroso di Nino e Giovanna, dai loro proble matici rapporti che l'operaio cerca di conoscere e capire per dominare la mental it borghese e lo scontro di forze sociali che essi implicano; dalla corrispondenz a con Nanin, l'amico rimasto in Riviera, che rappresenta l'alter ego, naturalist ico e pessimista, di Nino che tutto teso verso prospettive umane pi ampie e verso l'impossibile integrazione della vita di fabbrica col proprio passato di pesca, caccia e libera natura. Prevale l'amore difficile per Giovanna che si apre in alcuni episodi ricchi d'in venzioni, come la gita in barca sul Po, con l'aggressione degli studenti fascist i, e il temporale che coglie i due ragazzi sul fiume costringendoli a rifugiarsi in un capannone dove scoprono un sabbiatore che nella sua misoginia ripete la b uona figura del Cugino; o la ricerca di Giovanna da parte di Nino nel cortile de l palazzo alle cui finestre si affacciano tante vecchie domestiche. Da questi ep isodi ora avventurosi, ora favolosi, verso la fine Calvino arriva a vicende di c ontenuto realistico e politico, come la nuova aggressione studentesca agli opera i che affiggono manifesti, e infine la manifestazione sindacale durante la quale la topolino di Giovanna viene agganciata da un'auto della polizia. In questo racconto Calvino riutilizza motivi gi visti nel Sentiero, ma disperdend oli in varie direzioni, senza cio ridurli ad un unico centro: le avventure, che n ella storia di Pin corrispondevano in chiave picaresca a situazioni reali, e si potevano gi interpretare come "prove" umane, qui non hanno questa necessit e appai ono fine a se stesse. Il motivo dell'avventurosa ricerca di Giovanna finisce in una sconfitta di Nino, e stilisticamente offre momenti meno incalzanti e nitidi di quanto avviene di solito a in Calvino, prolissit, slabbrature e soprattutto un 'insistenza sul mistero della ragazza che disperde la tensione favolosa: Quel palazzo aveva qualcosa di diverso dagli altri, un'aria che non ci si sarebb e aspettata in quella via. Forse perch il cortile, oltrepassato quel portone a ve tri, appariva non un vero cortile, ma un giardinetto, con un'aiuola verde una sp ecie di vialetto con la ghiaia di fiume tutt'intorno, ed una vasca rotonda in me zzo. Era deserto, con un'aria quasi abbandonata: erba stenta nella aiuola senza piante, acqua verde piena di foglie morte, ma di dove venute nella vasca? Eppure qualche segno recente di vita c'era: una sdraio sfilacciata, (forse la sua?), c on dei guanciali (proprio guanciali, non cuscini), e un giornale di cinema cadut o in terra, e un annaffiatoio con la rosetta, per innaffiare cosa? Rientr e sal la scala. Anch'essa era diversa dalle solite; chiara per un lucernaio in cima, (s'accorse che erano solo quattro piani), ma con un'aria pi bianca che pulita, un po come una scala d'ospedale. Al primo piano trov tre porte chiuse, ug uali, senza zerbino, senza targa. Sal al secondo piano: due porte sole, qui, senz
a un nome n una scritta; e un finestrone che d sul ballatoio. A affacciarsi, sempr e quella vasca verde e la goccia del rubinetto mal chiuso. pi felice, ma appunto come episodio a s che avrebbe potuto costituire un racconto breve, l'incontro col renaiolo della baracca, che ha una conclusione tutta propr ia di Calvino: Sotto la pioggia c'era un albero di gelso e Giovanna ci si arrampic con una svelt ezza che Nino non avrebbe sospettato. Ma continu a gridarle: - Prendi tutta quell a pioggia! Cosa ci siamo asciugati a fare, allora? Diede anche lui la scalata all'albero, e Giovanna seduta su un ramo alto gli scr ollava addosso tutte le foglie, cos che tra la pioggia e quella doccia dai rami N ino quasi non ci vedeva pi. Lei smise tutt'a un tratto: - lass, guarda lass! - e in dicava in alto. Al di l della pioggia che ora veniva gi sottile e limpida, si vede va il cielo sgombro con una striscia d'arcobaleno. Il senso del racconto nella lenta scoperta da parte di Nino della propria aspira zione a un'umana completezza che spera di raggiungere, oltre che nel lavoro e ne ll'attivit politica, soprattutto nei rapporti con Giovanna. Ma Giovanna che ricor da per met la Linda del compagno e che per l'altra met anticipa acerbamente gli es tri e i capricci, ma non la vivezza femminile, di Viola nel Barone, rappresenta la sconfitta umana di Nino che non riesce ad intuirne che una generica saggezza; il mistero della donna e della borghese coincidono, e il rapporto umano impossi bile. Lo spunto letterario, che di solito Calvino accetta per ridurlo ai fini su oi, questa volta resta quasi inerte. Anche Nino ricorda il Pablo di Pavese, e cos pure alcuni episodi, ambienti e l'im postazione stessa del racconto, cosicch anche se rivela un nocciolo di idee socio logiche e degli sviluppi riconoscibilmente calviniani, resta in fondo qualcosa d i troppo simile al Compagno; resta una cosa debole che stilisticamente non raggi unge l'abituale asciuttezza calviniana; ed anche priva di una personale necessit. Credo che sia un errore iniziale a pregiudicare I giovani del Po, e che questo v ada ricercato proprio nel Compagno: in entrambi i libri il protagonista una figu ra positiva, non negativa nel senso che dichiari una crisi, come sono invece i p ersonaggi del Sentiero e di quasi tutte le opere pavesiane. Sia Pablo che Nino s i affermano positivamente nell'azione di gruppo o di classe. Il Compagno un bell issimo libro, ma rappresenta il moralismo di Pavese, non la sua moralit, che quel la della non-speranza e della rinuncia del Carcere e della Casa in collina; I gi ovani del Po un libro piacevole e anche divertente, ma abbandona quello spunto p oetico sempre felice in Calvino che la condizione umana negativa, motivo che ric orre costantemente in quasi tutte le sue opere. Moralismo di Pavese, moralismo di Calvino: se l'ideologia dei due scrittori era affine, diversi dovevano essere i risultati poetici, raggiungibili per vie diver se. Gi prima che il suicidio di Pavese, avvenuto mentre Calvino scriveva questo roman zo, lo sconvolgesse fino a fargli dubitare di poter scrivere ancora (cfr. interv ista a De Monticelli, "Il giorno", 18 agosto 1959: nei cinque anni di assiduit co n lui presso l'editore Einaudi non aveva mai intuito il dramma privato sotto la stoica e tranquilla difesa con cui Pavese nascondeva al mondo la propria vulnera bilit), la situazione culturale e politica italiana era mutata: le premesse rinno vatrici sembravano rientrate mentre la politica degasperiana cominciava a ridare al paese benessere e ricostruzione; Vittorini, maestro della nuova letteratura, si chiudeva in un silenzio d'opposizione in seguito alle vicende del "Politecni co" e Moravia acquistava lineamenti non pi esistenziali ma naturalistici: il suic idio di Pavese fu forse determinato per Calvino dall'impossibile tentativo, viss uto fino alle estreme conseguenze, di conciliare la salvezza individuale schiacc iata dal peso del destino, con quella che Vittorini ha chiamato "via di fuori". Pavese, partito dal mito decadente, era approdato alla storia, ma di fronte alla crisi di valori si ritirava sconfitto; Calvino, partito dall'esperienza viva de lla Resistenza e dall'appassionata volont di farne letteratura, non trovava pi il mordente, il contatto con la realt e la tensione a interpretarla: l'accettazione
di un personaggio positivo era lo sfalsamento conseguente a una visione della re alt fluida, alla quale Calvino tentava di reagire forse con una sorta di volontar ismo ottimistico, non ancora dialettizzato o inconsapevole. Tutto ci dovette dargli la certezza che la generazione letteraria a cui appartene va doveva battersi proprio sul difficile terreno dove Pavese era caduto, senza g ratuiti ottimismi, ma anzi con la coscienza che, ristagnando la situazione gener ale, le premesse di qualche anno prima dovevano essere proseguite, malgrado tutt o, nella quotidiana aderenza e verifica della realt multiforme e diversa, con le armi del razionalismo, della dialettica, dello stoicismo. Che furono, queste s, m utuate dalla grande lezione pavesiana: il razionalismo avrebbe guidato la dialet tica dei rapporti, sempre presente in Calvino, impostata sul "pessimismo dell'in telligenza" e sull'"ottimismo della volont", e lo stoicismo gli avrebbe permesso di vivere coerentemente fino in fondo la sua condizione di uomo di cultura. Alla fede spontanea nella realt del primo periodo subentra ora una visione pi arti colata di ci che la realt concretamente, non nella fase della speranza costruttiva , ma in quella critica; la "presenza" istintiva del Sentiero viene corretta da u n atteggiamento ideale e da un supplementare intervento soggettivo. L'hic et nun c di Calvino acquister dopo i Giovani un significato pi completo e sofferto quando il giovane scrittore riuscir a isolare e a riconoscere la propria moralit: in que sto senso intenderei quanto dice a proposito del Sentiero (ibid.), che forse il primo libro che conta, che "di l in poi i giochi sono fatti, non tornerai che a f are il verso agli altri o a te stesso": che, cio, l'atto di presenza testimoniato nel primo libro ha determinato e condizionato tutto il resto in un atto di pres enza continuativo che diventer lucidamente razionale. Le opere successive che nascono da una realt non pi accolta con fede spontanea, m a criticamente riflessa, attesteranno nuove dimensioni, pi vaste e comprensive, m a sempre sotto il segno di questo imperativo. Dall'esperienza che accusava il fallimento dell'aspirazione a un'umana integrazi one con la natura e la storia, si sarebbe salvata proprio questa aspirazione, or mai intellettualmente intesa come prematura e quindi fantasticata nei suoi aspet ti negativi e ossessivi: di qui nasce a pochi mesi di distanza Il visconte dimez zato. 3 Nell'assumere una condizione negativa a oggetto di poetica, nell'esigenza di lib erarsi dal corrodente fastidio di una realt che stava diventando "istituzionale" (Antenati) e che doveva acuire la sua aspirazione alla felicit, all'armonia, alla compiutezza, Calvino trova nel 1951 la via per esprimere la sua protesta in iro nia e parodia; e liberarne cos la sofferenza e l'urgenza fantasticamente. La calda tensione ideale del Sentiero, che cadeva nei Giovani, subisce una diver sione razionalistica tanto pi asciutta e mordente quanto pi sofferta dallo scritto re la condizione esistenziale e storica. cos, mentre nei Racconti lo vediamo oper are sulla realt nel senso di un possesso razionale sempre pi essenziale (tanto che negli Amori difficili potr escludere perfino le determinazioni e i rapporti soci ali e darci una galleria di tipi che ne sono il prodotto puro e semplice), senza tuttavia escludere il lievito favoloso, alle tre storie degli Antenati Calvino affida i momenti pi liberi del suo atteggiamento critico, che riflettono nella ta ngente simbolica l'approdo poeticamente pi ampio del suo impegno morale e la sua personale scoperta del senso ultimo della realt. I Racconti e gli Antenati sono complementari perch, mentre quelli partono dalla r ealt, in questi l'origine un simbolo di forte tensione immaginosa che coincide co n l'intuizione della realt, con la quale si ritrova a contatto in virt dell'ironia o della satira, e non rappresentano svolte successive e imprevedibili dell'oper a di Calvino, la quale oltremodo unitaria e, a voler semplificare, muove tutta t ra il momento umano e culturale del "male di vivere" o della realt offesa, e il m omento della fantasia pura. Di qui la perfezione del Corvo per la coincidenza de lle due componenti. Ma nelle storie dei nostri antenati la fiaba, che nel Sentie ro era la compensazione e il riscatto dal dolore della realt, diventa simbolo che vive della propria legge, anche se assorbe una sempre pi vasta gamma di implicaz ioni realistiche.
Del primo momento passionale e polemico resta lo stile, riduttivo all'essenziale , il piglio spavaldo e ironico con cui Calvino si batte contro l'alienazione nel Visconte, contro una societ che non riconosce il suo tempo nel Barone, e, nel Ca valiere, contro un'umanit nel punto estremo di crisi e rottura. Il visconte dimezzato, nato da un momento di tedio e di sconforto, la pi esile d elle tre favole, quella che trae il suo fascino dalla struttura tutta razionalis tica del racconto, di chiarezza voltairiana, tanto pi asciutta quanto pi intensa l a partecipazione di Calvino alla condizione simboleggiata nei mezzi visconti; da l ritmo tanto pi teso ed elegante e dalla parola tanto pi concisa quanto pi comprim e la misteriosa suggestione dell'immagine che governa la legge del racconto: "In vece gli spararono una cannonata in pieno petto. Medardo di Terralba salt in aria "; "Adesso era vivo e dimezzato". La stessa volont riduttiva opera sulla simmetrica economia del racconto: il visco nte intero che va alla guerra, la parte del Gramo, gli Ugonotti, i lebbrosi, la parte del Buono, gli apologhi, il duello e il ricongiungimento, sono episodi app ena collegati da figurette di contorno (il dottor Trelawney, il nipotino, Pamela , Pietrochiodo) senza che peraltro i rapporti tra le varie figure modifichino l' autonomia dell'immagine dei dimezzati: servono a variare e a muovere lo stimolo fantastico o a ricalzarlo, arricchirlo in episodi nettissimi. Il Gramo invenzione di pura crudelt che, in crescendo drammatico, assomma gli asp etti pi spietati della nostra epoca: la perfezione della tecnica come strumento d i morte e distruzione, la violenza sulla natura e sul prossimo, l'inconciliabili t dei rapporti politico-religiosi: come certe figure mostruose di Bosch, li conti ene tutti all'interno della tensione simbolica e fantastica da cui nato, ma, al contrario di Bosch, l'immagine non prolifera mostri, bens li chiarisce razionalme nte. La favolosit di questa parodia dell'uomo contemporaneo, che predomina come atmosf era d'incubo, di assurdo incantesimo, e che ha i suoi momenti pi lirici nell'epis odio dello stagno e nelle cavalcate solitarie del Gramo, investe il gioco di rap porti col mondo, li rende tutti negativi in episodi che si susseguono secondo un calcolo razionale, che assorbono qualcosa della favola e si concludono con la l ucida civilissima stoccata dell'ironia che ci riporta alla realt: l'incendio appi ccato dal Gramo al paese dei lebbrosi, che simboleggiano l'estetismo, si conclud e cos: "I lebbrosi hanno la virt che abbruciacchiati non patiscono dolore... anche le loro case, forse perch iniettate pur esse di lebbra, patiscono pochi danni da lle fiamme". cos per la forca coi cadaveri e le carogne di gatto costruita da Pie trochiodo e che supera le reali necessit d'impiego: "Presto ci si accorse della v ista imponente che davano, e anche il nostro giudizio si smembrava in disparati sentimenti, cos che dispiacque persino decidersi a staccarli e a disfare la gran macchina". Tutta la parte del Gramo ha una freschezza d'immagini e d'invenzione straordinar ia, tanto lievemente indicata la morale della favola e tanta l'agillt con cui Cal vino passa, attraverso l'ironia, dalla favola alla realt, senza mai abbandonare l a concisione stilistica da cui esplode una divertente paradossalit. Idea e immagi ne, simbolo e paradosso, incubo e avventura coincidono spontaneamente nel ritorn o alla realt attraverso l'ironizzazione e la riduzione a chiarezza dello snaturam ento. Gli episodi degli Ugonotti e dei lebbrosi mostrano invece nella complessiva fres chezza del racconto una pi sensibile preoccupazione intellettualistica e simbolic a. Calvino resta nell'ambito della sua fantasia, ma questi episodi hanno origine a livello dell'idea, non dell'immagine e perci comportano un infittirsi della tr ama di significati. Non c' soluzione di continuit stilistica, ma la monotonalit di colori e la pi lunga dimensione di ciascun episodio ha qualcosa di volontaristico che li isola un po dal resto del libro. Si direbbe che, nella fantasia di Calvi no, la libert inventiva subisca un leggerissimo intoppo, o un salto, nel momento in cui si impegna in un preciso simbolo culturale: se i lebbrosi rappresentano l 'estetismo-malattia, l'Arcadia e l'evasione dalla realt, a un momento particolare della cultura che lo scrittore si riferisce, ed un momento che egli soffre, sen tendo ad un tempo il fascino dell'immagine pura e l'urgenza d'un impegno civile. Nella Sfida al labirinto ("Menab" 5) leggiamo:
Di fronte allo scandalo della prima rivoluzione industriale, antiumanistica e im poetica, le risposte della cultura potevano essere due: accettarla per restituir la alla storia umana, rifiutarla per contrapporre ad essa un altro mondo di valo ri su di un altro piano. La cultura filosofica trova subito la prima via, con Ma rx: l'estrema alienazione e reificazione si rovescer in una nuova libert per il ge nere umano; la cultura poetica trova subito la seconda via con l'estetismo... la religione della bellezza fuori dallo spazio e dal tempo... Compito dell'estetis mo solo quello di creare delle immagini che siano "fuori" , che siano "altre"; [ quello] del socialismo dare prospettiva storica ai gesti dell'oggi e quindi una dimensione etico-teleologica. questo il nocciolo della poetica degli Antenati: sintetizzare i due momenti per il tramite dell'ironia, salvare l'autonomia dell'immagine e salvare egualmente l a funzione dell'uomo nel mondo. Calvino di origine e formazione culturale borghese; questa sua cultura, diventat a progressista per coerenza interna, trae sia dalla moderna prospettiva marxista e lukacsiana, sia da quella razionale e illuministica, intrinseca alla cultura borghese, una tensione critica che esprime in parodia. Gli Ugonotti, neri, legnosi, stilizzati, esemplificano secondo l'autore (Antenat i), le origini del capitalismo borghese secondo la teoria weberiana, bonariament e parodiate (e pervase anche, mi sembra, di uno spirito prettamente ligure che s i esprime nell'inversa proporzione tra stoico rigore e mentale limitatezza), i l ebbrosi la critica ben pi amara (e forse un pochino perplessa: vedi la rosea, qua si surreale inconsistenza delle immagini) a ci che nella cultura borghese ha perd uto l'originario rapporto con la vita; entrambi questi momenti rischiano di fals are le relazioni tra vita e cultura. La stessa dialettica di pensiero che governa Ugonotti e lebbrosi nel Buono, simm etrico per avventurosit al Gramo, ma trattato in tono minore, fatto agire in una serie di trovate gaie e affastellate con un gusto minuziosamente pittorico; e ir onizzato per quella sua acefala carit con cui si ostina a ricomporre le lacerazio ni operate dal Gramo (le sue invenzioni tecniche, per voler essere troppo utili, non riescono che ad un'inconcludente confusione) Bastano questi episodi a indic are che le invenzioni fantastiche di Calvino non sono evasioni nell'estetismo pu ro, perch coincidono sempre con la realt offesa, anche se nascono da un momento di tedio e anche se il divario tra passione e idea, appena visibile nel Visconte, maturer lentamente in razionale possesso della realt. Per ora, quanto pi sofferto i l sentimento della realt, tanto pi suggestiva la favolosit che lo esprime, che si v ale di un naturalismo pittorico di evidenza fiamminga (la natura, le bestie, i f iori, i frutti), di una stilizzazione goticheggiante che si apre ancora in tratt i grotteschi ed espressionistici (la figura del Gramo a cavallo, il suo sorriso a forbice), di un senso del macabro (il viaggio nella campagna boema e l'arrivo al campo imperiale di Medardo intero) o di suggestioni bibliche (il mistero del cielo e della terra, la folgore sulla quercia degli Ugonotti, lo sbigottimento d ella natura al duello dei dimezzati), dei motivi dell'innocenza e del1a crudelt d ell'infanzia (Esa, un Pin tutto furfante, che ricorda Pulci; e il nipotino che ra cconta, che di Pin ha solo il candore) e di suggestioni tratte da Stevenson e da Rabelais nella figura della gran balia Sebastiana. E ormai esclusivamente - quasi gratuitamente, rispetto alla logica del pensiero - favoloso, voluto dalla logica dell'immagine, il ricongiungimento finale dei me zzi visconti, anche se paradossale e ironizzato con un preciso ritorno alla real t: " chiaro che non basta un visconte completo perch diventi completo tutto il mon do... alle volte uno si crede incompleto ed soltanto giovane"; ritorno che viene ribadito nelle parole finali: "e io rimasi qui, in questo nostro mondo pieno di responsabilit e di fuochi fatui". Queste battute finali smentiscono il carattere voltairiano che si voluto vedere nell'ironia di Calvino e ne indicano il tormentato sottofondo culturale e person ale, la difficolt di inserirsi in una cultura che sia, gramscianamente, funzione sociale di guida e chiarimento senza avvilire le ragioni della libert e della fan tasia. Calvino non intende coltivare il proprio giardino, anche se conosce le di
fficolt di conciliare poesia e impegno sociale: il Visconte nasce proprio da ques ta consapevolezza, ed infatti lo scrittore ironizza su se stesso e sulla diffico lt in atto della propria poetica. Nel Visconte questa difficolt e perplessit di creare una nuova cultura di esserne parte attiva, trova la sua verit in quelle apologie del dimezzamento che costitui scono l'exploit paradossale dell'ironia: voltairiane nella loro paradossalit, riv elano soprattutto la difficolt dell'impegno. Dice il Gramo: cos si potesse dimezzare ogni cosa intera; cos ognuno potesse uscire dalla sua ott usa e ignorante interezza. Ero intero e tutte le cose erano per me naturali e co nfuse, stupide come l'aria, credevo di veder tutto e non era che la scorza. Se m ai diventerai la met di te stesso... capirai cose al di l della comune intelligenz a dei cervelli interi. Avrai perso met di te e del mondo, ma la met rimasta sar mil le volte pi profonda e preziosa. E tu pure vorrai che tutto sia dimezzato e straz iato a tua immagine, perch bellezza e sapienza e giustizia ci sono solo in ci che fatto a brani. Il momento individualistico dell'accettazione della condizione imperfetta, il mo mento "verticale" della disperazione, della lucidit critica, cio del pessimismo de ll'intelligenza, controbilanciato, nell'altra apologia, dal momento della frater nit. E tuttavia non lo compensa, resta a s: infatti il moralismo del Buono pi bersaglia to dall'ironia, cos che anche il finale della sua tirata diventa parodia ("Se ver rai con me, Pamela, imparerai a soffrire dei mali di ciascuno e a curare i tuoi curando i loro"); non c' possibilit di accordo pratico n ideologico tra i due momen ti, nonostante che ognuno di essi abbia, in fondo, una sua ragion d'essere ed es ista, in realt: n l'uno n l'altro possono bastare oggi all'uomo: Pamela, questo il bene dell'essere dimezzato: il capire d'ogni persona e cosa al mondo la pena che ognuno e ognuna ha per la propria incompletezza. Io ero inter o e non capivo, e mi muovevo sordo e incomunicabile tra i dolori e le ferite sem inate dovunque, l dove meno da intero uno osa credere. Non io solo, Pamela, sono un essere spaccato e divelto, ma tu pure e tutti. Ecco io ora ho una fraternit ch e prima, da intero, non conoscevo: quella con tutte le mutilazioni e mancanze de l mondo... Sono due moralit, due culture che divergono; una conciliazione possibile solo ne l sogno, nella speranza, come nel lieto fine della favola; oppure in un'altra pr ospettiva: quella dell'affermazione di una moralit individuale, libera di trovare i suoi fondamenti in tutta la cultura disponibile, non incasellata nella propri a "nicchia" (Sentiero) ed evasiva, ma neanche intruppata nell'anonimato conformi sta; una moralit fondata sul consentimento con i problemi della vita di tutti, ma ben critica e desta nell'individuarli e svilupparli. Qui nasce il razionalismo stilistico di Calvino. Nell'apologo del Buono c', forse, un'ipoteca, un impegno a risolvere l'attrito. Q uando il rapporto individuo-societ sar maturato fino a diventare moralit autentica, e i due termini non seguiranno pi direzioni diverse, nascer Il barone rampante. I l Visconte il momento lirico di rivelazione di Calvino a se stesso. Scritto come per "passatempo privato", ha pi, sostanzialmente, della confessione, sia pure fa ntastica e volta a divertire il lettore, che del romanzo, che invece prender form a quando un pi facile e completo rapporto individuo-societ, qui delineato in fieri , sar diventato attiva convinzione proiettata nel vagheggiamento di una possibile armonia con la natura e la storia. Il Visconte esaurisce l'ossessione della crudelt, che nel Sentiero proveniva dall e vicende della guerra e marchiava a sangue un'umanit gi provata dalla miseria e d al vizio. Il dopoguerra non porta la prospettiva di un tempo pi sereno, ma a un "dilaniamen to sordo" che la diffusione di quella crudelt, ed il mostro da affrontare e vince re per ricuperare il senso completo, non pi abnorme, della natura umana che pare essersi rifugiata nell'infantile candore di Giovannino e Serenella, del nipotino
del visconte, di Zeffirino di Pesci grossi, pesci piccoli. Con Marcovaldo e i r acconti, (dalla Formica fino allo Smog) Calvino estende l'indagine sulla natura umana a quella sulla natura oggettiva e sui rapporti di entrambe con la societ e il mondo industriale. Il significato di umanesimo integrale emerger implicitamente dalla critica ai rap porti negativi dell'uomo col mondo, ostinatamente e umilmente cercati a tutti i livelli. Nell'intervista concessa a "Ulisse" (Le sorti del romanzo, n. 24-25) Calvino dic e che, nonostante la sua fiducia nel rinnovamento del romanzo condivisa dai giov ani scrittori del dopoguerra, i suoi tentativi non riuscirono a "farne stare in piedi uno"; ma la rinuncia al romanzo non doveva essere neanche un ripiegamento sull'autobiografismo puro e semplice. Dall'impasse Calvino uscito filtrando attraverso la razionalit critica dello stil e (l'ironia) la soggettivit di un'immagine che esprime il soggettivo sentimento d ella realt, filtrandola cio attraverso un momento intellettuale capace di creare u n rappotto attivo tra soggetto e mondo. Il Visconte , dopo che la perfetta coinci denza realt-favola del Corvo era stata spezzata nel Sentiero e nei Giovani, la co nquista da parte di Calvino di uno stile a livello razionale, che avviene all'in fuori del modello romanzesco e che perci pu utilizzare momenti narrativi diversi, la satira, l'apologo, l'avventura fantastica, il surrealismo, l'espressionismo, componendoli in rigorosa costruzione intellettuale. La scoperta dell'ironia gli permette di acquistare quel distacco dalle proprie p ersonali esperienze, che anche scelta morale consapevole e che d nuova dimensione morale e poetica alla memoria autobiografica dell'Entrata in guerra che costitu isce un'esperienza fondamentale anche per comprendere Il barone rampante. 4 L'esperienza del Visconte porta Calvino a riflettere se "vera integrazione non u n miraggio d'indeterminata totalit o disponibilit o universalit ma un approfondimen to ostinato di ci che si , del proprio dato naturale e storico" (Antenati): con qu este parole l'autore definisce il terreno in cui nascer Il barone rampante, ma es se sembrano valide anche per comprendere come nei tre raccont dell'Entrata in gue rra la sua ricerca, gi impostata con una certa autoironia tra "responsabilit e fuo chi fatui", muova esplicitamente verso la memoria lirica autobiografica al ricup ero delle prime manifestazioni della sua personalit adolescente. Sebbene questo processo di ricostruzione avvenga con un rigore e una fermezza qu asi pavesiani, la memoria di Calvino assume dimensioni e significati nuovi nel c ondizionamento determinato dagli avvenimenti storici dell'ultima guerra, dall'am biente ligure con la sua forte carica di moralismo, dall'antifascismo come frutt o dell'educazione familiare e al tempo stesso come prima manifestazione personal e dell'adolescente. I tre racconti armonizzano tra loro, in un crescendo che va dall'avventuroso muo versi della memoria fermamente storicizzata, non mitica verso l'inserimento del soggetto in una realt ancora sconosciuta. Nessuna ombra di polemica: Calvino, ris pondendo all'inchiesta di Paradosso (settembre-dicembre 1960) sul bagaglio d'ide e con cui giunto alla Resistenza, si guarda bene dal rischio di attribuire al ra gazzo di allora le idee politiche dell'adulto e di dare soverchia importanza a q uelle, incerte e confuse, che aveva a quel tempo, e parla a lungo della sua fami glia, dei genitori anticlericali, antifascisti e filosovietici, dell'educazione laica che differenziandolo dai coetanei, lo costrinse a superare il disagio con la formazione di un senso critico che trov il terreno naturale nell'ambiente cosm opolita di Sanremo anteguerra - un arco di moralit diverse, affiancate ma non con trapposte - cos da indurlo a concludere che si ricava pi insegnamento dall'eccezio ne che dalla regola. Queste dichiarazioni ci portano direttamente nel clima dei tre racconti, sopratt utto quando Calvino sostiene che il suo atteggiamento mentale, dalla guerra di S pagna fino al 1940, era di ironico pessimismo appartato, e che, con la dichiaraz ione del 10 giugno, Sanremo cess di essere la cittadina brillante per lasciare af fiorare il suo carattere di vecchia provincia, la sua umanit rude e scontrosa, l' etica locale e il dialetto. Nel complesso un autoritratto di Calvino ragazzo che ne mette in luce la stessa intatta disponibilit che nei racconti gli avvenimenti
mettono a reazione, rivelando quelli che saranno i dati fondamentali dell'uomo e dell'intellettuale. La "sperequazione" del borghese (cfr. l'introduzione al Sentiero) di fronte alla violenza e al sangue della lotta partigiana, rivela nei racconti le sue radici intimamente umane, non ideali, la prima forma di coscienza che si esprime nel ge sto, nella riflessione, nella scoperta di valori morali. L'Entrata in guerra la rievocazione ferma e distaccata dell'aggressione che la v ista delle popolazioni evacuate dalla povera montagna ligure opera sulla ignara disponibilit del bambino, che la rifiuta sentendosene offeso e disgustato fino a che, vivendoci in mezzo per una giornata e dandole d'istinto la sua piet e il suo aiuto, si trova ad averla accettata: Ma il dato caratteristico di questa umanit, il tema discontinuo ma sempre ricorre nte e che per primo veniva allo sguardo... era la presenza in mezzo a loro degli storpi, degli scemi gozzuti, delle donne barbute, delle nane, erano le labbra e i nasi deformati dai lupus, era l'inerme sguardo degli ammalati di delirium tre mens: era questo volto buio dei paesi montanari, ora obbligati a svelarsi, a sfi lare in parata, il vecchio segreto delle famiglie contadine attorno a cui le cas e dei paesi si stringono una all'altra come le scaglie di una pigna. Ora, stanat i dal loro buio, ritentavano in quel burocratico biancore edilizio di trovare un rifugio, un equilibrio. In quest'atmosfera, il togliersi la divisa di avanguardista prima di tornare tra i profughi, acquista un profondo valore di libert e autonomia morale. Lo stacco oggettivo della memoria ricupera interamente risonanze primordiali e a ncestrali che, appena evocate come suggestione fantastica negli episodi degli Ug onotti e dei lebbrosi nel Visconte, illuminano la scoperta di una realt sociologi ca umiliata e offesa e rassegnata alle calamit, aprono al ragazzo una condizione umana sconosciuta anche se annidata appena dietro la fascia costiera della sua c itt. Il brano assai simile a quello ("Era un'Italia nascosta...") che dieci anni dopo sar nello Scrutatore (opera nata dall'esperienza di Calvino alle elezioni po litiche del 1953), e che qui ha valore di coralit. Ma, come nello Scrutatore, una realt che assorbe lo spettatore o il ragazzo, che attira in una prospettiva nuov a: "la guerra aveva quel colore e quell'odore; era un continente grigio, formico lante, in cui ormai c'eravamo addentrati, una specie di Cina desolata, infinita come un mare". E da questa prospettiva che affermazione morale, Mussolini, che si dirige al fro nte, e la guerra acquistano una dimensione tragicamente misera e infantile: Io l'avevo appena visto. Mi colp quant'era giovane: un ragazzo, un ragazzo pareva , sano come un pesce, con quella collottola rapata, la pelle tesa e abbronzata, lo sguardo scintillante di gioia ansiosa: c'era la guerra, la guerra fatta da lu i, e lui era in macchina coi generali, aveva una divisa nuova, passava le giorna te pi attive e trafelate, traversava in corsa i paesi riconosciuto dalla gente, i n quelle sere estive. E come in un gioco, cercava solo la complicit degli altri, poca cosa, tanto che quasi s'era tentati di concedergliela, per non guastargli l a festa, tanto che quasi si sentiva una punta di rimorso, a sapersi pi adulti di lui, a non stare al gioco. La solitudine in cui immerso il ragazo, vuota di presenze umane che non siano le sussiegose dame della Croce Rossa o il formicolare anonimo dei profughi, che po i l'atmosfera lirica che la memoria ricrea attorno a lui, si apre nel giudizio m orale e obiettivo in cui la piramide sociale appare compresa tra il vertice e la sua base affondata in un silenzio senza tempo n speranza. La disponibilit del rag azzo, sconvolta dalla realt e stupita dal gioco irresponsabile della guerra, non pi ignara: l'apparir del vero l'ha ormai iniziata alla crudelt della vita attraver so la "prova" che lo ha posto davanti ai mostri. La liricit corale che in questo racconto acquista risonanze profonde, negli Avang uardisti a Mentone si alleggerisce in avventurosa scoperta: dall'amicizia con Bi ancone, ancora assoluta come una fede e indispensabile intellettualmente ("ad an
dare insieme anche le circostanze pi tediose Si trasformavano in un continuo eser cizio di osservazione e di umorismo"), nasce il tono avventuroso, ora scanzonato e picaresco, ora intimidito ed elegiaco, per le cose che la guerra ha toccato c he si arricchisce di fatti di costume (il vandalismo dei soldati penetrati nelle stesse case italiane, e degli avanguardisti in quelle nemiche, sollecitato e qu asi richiesto dai capi), fatti che pi d'ogni altra cosa turbano nel ragazzo la ri cerca del segreto della citt e gli impediscono di ritrovare i ricordi delle gite passate: gran parte del racconto, al di l dei momenti pi schiettamente avventurosi , animati dall'inesauribile Biancone e dall'incontro coi premilitari e con la gi ovent del Caudillo, costituita dall'avventura morale pi sottile e pregnante del mo ndo interiore del ragazzo che cerca qualcosa di vero in tutte le direzioni, e ne ritrae un disagio, un disgusto, un'acrimonia aristocratica che coinvolge tutte le cose del fascismo e che sbocca in ferma resistenza: gli insulti del centurion e ai premilitari di diverso livello sociale fanno riaffiorare nel ragazzo "la mo rale in cui ero stato educato, contraria a chi dispreza i poveri e la gente che lavora" E la ricerca di qualcosa di vero e umano approda alla scoperta favolosa della stanza dell'artigiano abbandonata: E alla luce del tramonto che veniva dalla finestrella io guardavo una scansia su lla quale erano ordinati in fila certi busti di fantocci da tiro a segno, credo, o per un teatrino meccanico, le teste di legno intagliate con una ingenua vena di caricatura solo accennata, alcune dipinte, le pi ancora grezze. Di queste test e, solamente poche avevano seguito la sorte d'ogni altra cosa nella stanza ed er ano state fatte rotolar via dai propri colli; la pi gran parte era l ancora, con l e labbra arcuate in un inespressivo sorriso e con gli occhi rotondi spalancati, e qualcuna anzi mi parve si muovesse, dondolando sul piolo che le faceva da coll o, forse scossa dall'aria della finestrella, forse dalla mia entrata improvvisa. L'avventura morale confluisce spontaneamente nella suggestione magica della mora lit della fiaba, e il ragazzo ritrova la pace in un'atmosfera pulita e congeniale , umana e fantastica; subito dopo ritrover delle lettere d'amore, un ricordo di c asa e famiglia che si inserisce nel filone castigatissimo ma ricorrente del conf ronto tra il proprio ambiente familiare e quello sociale - gli estremi tra i qua li corrono le avventure e le prove in cui realizza la sua moralit - in un momento elegiaco. La libert del ragazzo si afferma, tra le luci delle scoperte e le ombr e di un pudore che lo fa vergognare di non saper rubare come gli altri, picaresc he cavallette, quando il centurione Bizantini, prima della partenza, eccita i ra gazzi a portar via quanto trovano, pena la figura di passar da fessi: quando cio il protagonista risolve quel pudore e rispetto di s in beffa, in ironia e stile r ubando le chiavi della Casa del Fascio e passando, fiero ed eccitato, sotto lo s guardo di compatimento del centurione. C' in questo episodio anche la scoperta, via via perseguita attraverso l'avventur a giovanile che s'intreccia all'avventura morale, che Calvino ha fatto della pro pria iniziazione civile, che si affianca a quella umana dell'Entrata: nel gesto con cui il ragazzo afferma al tempo stesso un insopprimibile e necessario rappor to con la societ perch non se ne apparta, e nel ribellarsi dalla propria natura ed educazione a ci che essa gli chiede, c' il nocciolo della sua personalit di uomo e di intellettuale, la radice lontana dell'ironia che salva la purezza dell'adole scente e dell'uomo nella battaglia quotidiana. Il suo stile di vita e di scritto re, insomma, impegnato nella ricerca della libert morale attraverso prove che il suo tempo storico gli presenta nell'incivilt e arroganza polverosa, nel culto del la forza guerresca del fascismo e nel tedio sordo per l'intelligenza. Le ragioni del suo antifascismo e il significato della sua lotta politica, lo stoicismo ch e verr poi corroborato dalla lezione di Gramsci, Gobetti, Pintor, Pavese, hanno r adice in questa avventurosa rivelazione dell'intelligenza e testardaggine e stil e con cui l'adolescente si oppone a ci che gli ripugna. Il ristagno della guerra contro la Francia della stessa estate del 1940 dopo l'o ccupazione di Mentone, il momento in cui l'avventura dell'adolescente prevale su gli avvenimenti storici: nelle Notti dell'Unpa la guerra presente, ma in secondo piano, ed pretesto alla scoperta cauta e precisa del mondo notturno in una Sanr
emo quieta e provinciale che, al di l dell'abituale facciata turistica, si apre s ulla campagna. C' un nocciolo romantico nell'attesa della notte, che spunta qua e l tra i momenti gai o picareschi degli scherzi del protagonista e dell'amico Biancone, tra gli incontri banali o misteriosi, nel vagabondaggio che li porta tra i vicoli e le c ase della citt vecchia addormentata e che inevitabilmente finisce, almeno per il pi disinvolto Biancone, nel sesso. Intrecciato a queste avventure che riempiono la notte di un ritmo pacato e di un senso di rivelazione precisa, c' il ricupero di malinconie ancora infantili, che la disponibilit e curiosit del ragazzo verso tutto lascia a tratti affiorare: la notte lo attrae e lo spinge inconsapevolmente alla ricerca di un valore sicuro. Il rifiuto di accontentarsi di Meri-Meri per raccogliersi nella rievocazione del padre, lo scavo pi profondo che Calvino opera nell'intimo della memoria, in una linea simile alla beffa degli Avanguardisti, ma con un valore pi squisitamente um ano, profondo, al livello morale in cui accettava i profughi della montagna nell 'Entrata. Non il rifiuto del sesso per timidezza o inibizione di adolescente, o per lo meno lo molto poco invece il bisogno di un punto di riferimento morale so lido e concreto nel momento in cui il "modello" di Biancone (che, ironico e auto sufficiente, avventuroso e spaccone, alla fine del racconto precedente gi cominci ava sottilmente a deludere il ragazzo) qui viene definitivamente smitizzato, las ciandolo alla sua raccolta solitudine. Tra l'episodio di Biancone che corre spav aldamente la sua avventura e il rifugiarsi del protagonista nell'immagine patern a, c' una pausa elegiaca che assorbe la malinconia del ragazzo e ne illumina il f aticoso chiarirsi della scelta tra un non-valore e un valore. Ogni episodio rientra nell'avida e cauta scoperta della notte con una nettezza d i disegno e spontaneit che esprimono l'avventurosa ricerca di qualcosa di vero. Non sempre la realt risponde a quest'ansia, talvolta esprime solo una misteriosa suggestione fiabesca non afferrata intellettualmente, come il comunista che pass a e svanisce nel buio o i soldati che cantano Ma questo adolescente ha una caric a di vitalit che, non pi oppressa dal fastidio dell'ambiente che era negli Avangua rdisti, tende nel vuoto della notte le sue curiosit, come valenze che integrano c ol paesaggio e il mondo addormentato la sua richiesta. C' una coralit paesistica ampia e diffusa che vive liricamente all'interno del fil one autobiografico: la memoria privata, personale, inscindibile dalla presenza d el mondo esterno, come negli altri due racconti non era separabile dagli avvenim enti della guerra. Il "riposo precario", affaticato che si intuisce attraverso l e finestre aperte sulle vecchie strade della citt, o "la notte fuori [che] era il rovescio della notte in casa: noi eravamo il passo sconosciuto che risuona per strada, il fischio della canzonetta che chi ancora non dorme cerca di seguire me ntre s'allontana e si perde", sono paesaggio non pi naturalistico ma investito da lla stessa carica morale che pervade la contemplazione del mare all'alba e la mu ta presenza delle case della citt: "Il mare non luccicava...". Quasi alacre e fat tiva incarnazione del paesaggio, il ritratto del padre chiude il racconto: A quell'ora mio padre s'era gi a]zato, s'era affibbiato ansando i gambali, e infi lato la cacciatora gonfia d'arnesi. Mi pareva di sentirlo muovere per la casa an cora addormentata e buia, svegliare il cane, chetare i suoi latrati, e parlargli e rispondergli. Scaldava la colazione al gas, per il cane e per s; mangiavano in sieme, nella fredda cucina; poi si caricava una cesta a tracolla, un'altra in ma no, e usciva, a lunghi passi, la bianca barba caprina avvolta nella sciarpa. Per le mulattiere della campagna il suo passo pesante, accompagnato dal sonaglio de l cane, e il suo continuo tossire e scatarrare erano come il segno dell'ora, e c hi abitava lungo la sua strada sentendolo mezzo nel sonno capiva che era tempo d i levarsi. Giunto col primo sole al suo podere, dava la sveglia ai contadini, e prima che fossero sul lavoro aveva gi girato fascia per fascia e visto il lavoro fatto e da fare e cominciato a gridare e imprecare riempiendo della sua voce la vallata. pi s'inoltrava nella sua vecchiaia, pi la sua polemica col mondo si concr etava in quell'alzarsi presto, in quell'essere il primo in piedi in tutta la cam pagna, in quella perpetua accusa verso tutti: figli, amici nemici d'essere un br anco d'inutili infingardi. E forse i soli momenti suoi felici erano questi dell'
alba, quando passava col suo cane per le note strade, liberandosi i bronchi del catarro che l'opprimeva la notte, e guardando pian piano dal grigio indistinto n ascere i colori nei filari delle vigne, tra i rami degli olivi, e riconoscendo i l fischio degli uccelli mattinieri uno per uno. cos, seguendo col pensiero i passi di mio padre per la campagna, m'addormentai; e lui non seppe mai d'avermi avuto tanto vicino. Il paesino aspro e la scontrosa rudezza ligure che erano in alcuni brevi raccont i amari e paradossali di qualche anno prima (I fratelli Bagnasco, L'occhio del p adrone), escono ora dallo stretto ambito di letteratura regionale per entrare, a ttraverso l'autobiografismo lirico, nel mondo del ragazzo che, mentre il padre c omincia la sua giornata di lavoro, resta a vivere nel clima della guerra, sia pu re in un momento di sosta. La storicizzazione, che non toccava nell'Occhio del p adrone l'abisso d'incomprensione tra padri e figli, lambisce o sfiora ora quest' uomo che il figlio sente vicino come non mai. La storicizzazione il dato nuovo della memoria di Calvino, che, muovendo su un t erreno vergine, ha saputo conciliare i rapporti tra soggettivit autobiografica e realt esteriore risolvendo in oggettivit corale e paesistica la disponibilit del ra gazzo, innestando un'etica di vita sul terreno naturalistico della memoria e ris olvendo ci che nella memoria pu essere silenzio o ambiguit in rigorosa costruzione umana e intellettuale, in funzione e integrazione esistenziale. Piero Citati (Fine dello Stoicismo, "Paragone" agosto 1955) esprime il dubbio ch e, all'interno della maturit ferma e lucida con cui Calvino costruisce stendhalia namente l'ingranaggio funzionale dell'avventura, sussista una riserva di "pateti ca ambiguit", di "pensosa non partecipazione", che il volontarismo stoico non riu scirebbe a ridurre. Se Citati si riferisce alle zone di racconto puramente ogget tivo, non raccordato ai significati che il protagonista va scoprendo liberamente intorno a s (come, per esempio, nel primo racconto, la descrizione del giorno de lla dichiarazione di guerra, il passaggio dei soldati che non alzano la testa), cio non autobiografico, mi sembra che zone di questo genere abbiano la funzione d i creare un'atmosfera favolosa di silenzio alle spalle del ragazzo, la sua magic a entrata nell'avventura: se la realt soltanto registrata e la memoria non scopre ancora in essa una funzione, perch il ragazzo comincia di l a muoversi ignaro ver so ci che lo condizioner e determiner - i profughi, l'arroganza degli avanguardisti , il riposo affaticato e la levata mattutina del padre -; se l'autobiografismo t ace e non oppone resistenza allo stoicismo, alla volont di costruzione intellettu ale, ci avviene nell'operazione di progressivo ricupero dell'ambiente "geografico " o dell'episodio documentario verso la creazione di rapporti vitali tra soggett ivit, realt esterna e storia. Se invece Citati si riferisce alla generale disponibilit di Calvino verso il real e e in questa disponibilit teme che l'irrazionale autobiografico si attenui bruci andosi insieme allo stoicismo che lo deve formare, si pu dire innanzi tutto che C alvino non rinuncia, a giudicare dalle molteplici sfaccettature che la realt, sog gettiva o oggettiva, ha nella sua opera, a nessuna delle valenze che lo aggancia no ad essa (si detto che Calvino non ha mai sciupato nessuna delle sue disponibi lit; e il fatto che in ogni nuova opera la critica veda una svolta lo conferma) Le sue dimensioni di intellettuale non sono quelle di Pavese, che, imperniate su lla dialettica mito-storia, restavano al limite di questa, non riuscendo lo stoi cismo a salvarlo: le dimensioni di Calvino si realizzano sul terreno della lotta quotidiana, minuta, dell'illuminazione critica della realt, della societ, della c ultura, portato ad essa da un vitalismo non vergine e irriflesso ma intellettual mente controllato e disciplinato nell'attenzione ai rapporti vitali. L'intellett uale Calvino prosegue la lezione pavesiana dove il maestro falliva. In Calvino non c' un abisso tra soggettivit e oggettivit, ma un rapporto di consent imento, certamente arduo e doloroso, ("Tutto zuppa!" dir Gurdul nel Cavaliere) che riesce a un'interpretazione lineare ma non superficiale. I tre racconti dell'Entrata in guerra dimostrano sul difficile terreno della mem oria lirica questo consentimento naturale in cui l'intellettuale perde i lineame nti metastorici, in negativo rapporto col mondo, che ha avuto nell'ermetismo fin o a Vittorini e Pavese e Moravia (cfr. Il midollo del leone, "Paragone" marzo 19
55) per conquistarsi un campo d'azione storicamente pi vasto. In questo senso ogni opera di Calvino autobiografica, in misura pi o meno sensibi le perch sempre incentrata sui rapporti vitali di nutrimento che come intellettua le raccoglie dalla societ e porta, come oggetto di poetica, a chiarezza, cio a liv ello conoscitivo. Il suo rigore stilistico - sia spavaldo ed espressionistico, che ironico o razio nale o, come in questi racconti, limpidamente severo - assolve questo compito ch iarificatore ed il mezzo per rendere una la molteplicit dei suoi rapporti col mon do e raggiungere il fine che gli interessa: la costruzione della societ di domani . Nel Midollo del leone Calvino difende la condizione d'intellettuale, che sente come necessit oggi naturale, priva di quel marchio negativo che ne impedisce l'i ntegrazione con la societ e ne pregiudica l'intervento attivo nella storia futura , che deve essere costruzione intellettualmente guidata. Anche la compromissione politica una necessit naturale, perch "non la nostra un'ep oca che si possa comprendere stando au-dessus de la mele, ma al contrario la si c omprende quanto pi la si vive, quanto pi avanti ci si situa sulla linea del fuoco" , al di qua della "mistica comunione con le forze collettive", sempre lavorando sulla base di tutta la problematica e situandosi "nel punto nodale" di una cultu ra e di un'epoca, definita tra i campi di sterminio e la prospettiva di una cata strofe nucleare, denunciando la decadenza di valori non pi attuali e condannando l'irrazionale tendenza a immergersi nel flusso dell'oggettivit. Ma dagli scrittori decadenti, al cui mondo ideale si sente estraneo, trae comunq ue gli strumenti razionali, il "midollo" di leone con cui Kafka, Mann, Camus, Sa rtre, Picasso hanno lottato contro i mostri, il momento della sconfitta o della vittoria con cui affermano il "nucleo della loro umanit", in questo senso corrobo rato dallo stoicismo piemontese, da Gramsci a Gobetti, da Pintor a Pavese. Suo impegno guardare il negativo con il pessimismo dell'intelligenza, l'estrema freddezza di giudizio e, nella "volont tranquilla di difendere la propria natura e di non rinunciare alla minima parte di s", riaffermare l'altro polo umano nell' ottimismo della volont, a sostegno dell'azione che pu fare della letteratura lo st rumento cosciente e immunizzante dai mostri, la "trincea morale in cui difenderc i" 5 Dal 1954 al 1956 Calvino lavora alla versione in lingua di duecento fiabe popola ri italiane per l'editore Einaudi, organizzando e sviluppando le sporadiche racc olte di fiabe e leggende regionali dell'800, arricchendole con un minuzioso lavo ro di ricerca, completandole di note filologiche, dando cos alla luce un patrimon io umano, fantastico e morale di una civilt prevalentemente contadina, troppo poc o conosciuto e mai affiorato integralmente al livello culturale. Questa immersione in un materiale cos riccamente fantastico sembra aver dato a Ca lvino, che gi dal Sentiero e dal Corvo era istintivamente portato verso il favolo so, da una parte una pi realistica consapevolezza di ci che nella fiaba simbolo-im magine di destini umani o allegoria, e dall'altra di ci che prova reale, situazio ne attraverso la quale il protagonista si afferma. Io credo questo: le fiabe sono vere. Sono, prese tutte insieme, nella loro sempr e ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale d ella vita; nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze cont adine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi ad un uomo e ad una donna, soprattutto per la parte di vita che appunto il farsi di un destino: la giovinezza, dalla nascita che sovente porta in s un auspicio o una condanna, al distacco dalla casa, alle prove per diventare adulto e poi maturo, per confer marsi come essere umano. E in questo sommario disegno... l'amore incontrato prim a di conoscerlo e poi... perduto; la comune sorte di soggiacere a incantesimi, c io di esser determinato da forze complesse e sconosciute, e lo sforzo di liberars i e autodeterminarsi inteso come un dovere elementare, insieme a quello di liber are gli altri, anzi il non potersi liberare da soli, il liberarsi liberando; la fedelt a un impegno e la purezza di cuore. (Introduzione a Fiabe italiane, Einaud i 1956).
Il motivo dell'avventura e della prova, cio della situazione, si trovava gi nei ra cconti precedenti, ma limitato e implicito: nel Barone rampante, scritto in tre mesi nel 1957, essi appaiono collegati consapevolmente non a livello dell'intuiz ione ma a quello razionale; sparisce cos l'immagine favolosa e misteriosa che gi d a sola esprime l'incubo che condiziona l'aspirazione alla libert. Il Barone narra l'arco della vita di Cosimo Piovasco di Rond, il suo destino, che si realizza e si compie, con irrazionale simbolismo, sugli alberi; all'interno e lungo lo sviluppo di questa linea che l'unica grossa trovata favolosa del racc onto, considerata fino alla morte in cielo del barone, l'avventura-prova acquist a espressione pi realistica che favolosa. Il Barone , tutto considerato, il meno favoloso degli Antenati: meno del Visconte che, nato dall'intuizione di un'immagine, identificava simbolicamentc pi la cond izione che il destino del dimezzato con le sue stesse avventure; e meno ancora d el Cavaliere che in gran parte simmetricamente e intellettualisticamentc allegor ico. Del resto nel racconto di questo destino vissuto sugli alberi entrano delle comp onenti ideali gi dal momento in cui Cosimo rifiuta le lumache: una ribellione del l'istinto alle coercizioni che la vita sociale impone per affermare la propria i ndividuale libert, che di origine rousseauiana, ed in parte romantica, irrazional e; e subito dopo, la correzione di ci che pu essere arbitrio e anarchia ad opera d i uno stoicismo alfieriano (cfr. l'edizione scolastica del Barone, Einaudi 1965) che disciplina ben pi rigorosa di quella alla quale si sfugge, e che stabilisce quindi subito il rapporto tra natura e volont, protesta e ragione, individuo e so ciet. Gi di qui si vede come una precisa dialettica ideale entri a sostenere l'imm agine favolosa che Calvino dichiara punto di partenza. Tra questi poli si realiz za la vita di Cosimo, completa vita di uomo, nutrita di sentimenti, arricchita d a un'esperienza culturale d'avanguardia, dialettizzata dai positivi rapporti con la societ, dall'adattamento alla sua condizione di vita nella natura, che conosc e l'amore (e addirittura la follia), la solitudine e la morte. Tutto normale, insomma, tranne quella piccola, ma invalicabile differenza che da ta dal vivere sugli alberi. Anche la precisa ambientazione storica, la Liguria tra la fine del 1700 e la Res taurazione, riduce il margine pi schiettamente favoloso (come non avviene nelle a ltre due favole) a vantaggio di un'esperienza di vita storicamente verosimile: , quella del libro, un'epoca di passaggio dalla civilt aristocratica-contadina a qu ella borghese-industriale, dalla Rivoluzione del 1789 alla Restaurazione, in cui Calvino avverte alcuni rapporti con la nostra che le ultime pagine scoprono pal esemente. In questo arco simbolico di un destino Calvino immette esperienza, idee, cultura , memoria di un'infanzia vissuta o fantasticata, avventure lette e sognate, e so prattutto il senso di un individualismo che si realizza con spontanea libert nell 'impegno sociale di origine protestante in cui entra anche la componente dello s toicismo piemontese: la vita, insomma, circola liberamente, spezzando ogni momen to quanto di rigido, prevedibile e meccanico potrebbe essere nell'allegoria iniz iale, approfondendo la condizione umana di chi vuol essere se stesso, inseguendo costantemente il miraggio di un'armonia tra uomo, natura e storia e raggiungend olo col restare sempre fedele al proprio impegno iniziale: una prima ampia somma della maturit di cui lo scrittore acquista coscienza, una piena e raccolta medit azione che per non dimentica l'imperativo di essere storicamente presente, solo n e allontana un po l'urgenza mimetizzandolo sotto panni d'altra epoca: in sostanz a l'autobiografismo dell'Entrata in guerra che viene dilatato fantasticamente fi no ai limiti dell'irrazionale. Se nel Barone mancano gli stilemi che indicano il passaggio dal reale al fiabesc o, questo libro non pu tuttavia neanche essere ricondotto esclusivamente al model lo di Candide o di Jacques le fatatiste, se non per quanto riguarda il calcolo p reciso imposto al libero svolgersi degli episodi e la costruzione di una moralit. Non secchezza n satira corrosiva, ma blanda ironia, fantasticheria e abbandono l irico ammorbidiscono l'aggressivit che era nel Visconte. Difatti la condizione umana di Cosimo Piovasco di Rond positiva, i suoi rapporti col mondo sono quasi sempre positivi: si afferma nella natura accordando ad essa
le sue esigenze, si afferma nella societ dando agli altri le proprie idee, quand o ne ha, partecipe, interessato e al tempo stesso individualisticamente indipend ente dalla capziosit delle istituzioni sociali. in questa trama di rapporti che s i realizza la sua libert morale, su un fondo di protestantesimo laico che si espr ime in alacre lavoro, pratico e intellettuale, attento alle esigenze della comun it in cui opera; un protestantesimo che ignora il pessimismo della colpa e della predestinazione, ma che, al contrario, si apre all'illuministica fiducia nella n atura umana e nella ragione, con cui l'individuo viene determinandosi nel mondo e liberandosi Cosimo vive in una dimensione terrena, non metafisica, naturalment e razionalistica, che si identifica perfettamente con la moralit della fiaba attr averso il superamento delle avventure-prove che via via la societ gli offre. Solo i racconti di Marcovaldo a suggerire la ragione per cui Calvino ha inventato qu el verde mondo naturale in cui Cosimo vive, cos paradossale: Io non so se sia vero quello che si legge sui libri, che in antichi tempi una sc immia che fosse partita da Roma saltando da un albero a l'altro poteva a rivare in Spagna senza mai toccare terra. Ai miei tempi di luoghi cos fitti aberi c'era solo il golfo d'Ombrosa da un capo all'altro e la sua valle fin sulle creste dei monti... Calvino, per dire la sua fede nell'armonia che l'uomo pu realizzare con la natura e la societ, deve proiettarla in un'altra epoca perch oggi inficiata dall'impossi bilit di accedervi; la natura il mito che sfugge continuamente a Marcovaldo; e, n egli altri racconti fino al '58, Calvino non fa che sondare, all'interno stesso dell'uomo, ormai prodotto puro e semplice della civilt tecnologica, l'assenza di natura soggettiva e quindi di attrito con quella oggettiva e l'impossibilit di un rapporto vero con gli altri. La condizione paradossale e irrazionale di Cosimo e il modo giusto per trasferir e in fantasia un impegno etico che sia cos netto e inderogabile da moralizzare ci che alterit attraverso la lotta e il superamento della difficolt. Calvino fa vivere il suo Cosimo in una natura moralizzata da presenze umane che alludono a rapporti sociali ed economici (Viola, i ladruncoli, i contadini, i br iganti), culturali e storici (l'avanguardia illuminista e Napoleone), tecnici (o ltre l'adattamento alla vita arborea, la tipografia le invenzioni, l'organizzazi one della comunit) e che sviluppano serenamente, su una vasta scala di trovate fa ntastiche che dilatano e reinventano il momento realistico, quella moralit del pa esaggio che era la novit dell'Entrata in guerra. Anche qui la presenza di una soc iet con esigenze, miserie, aspirazioni frustrate (i ladruncoli di frutta diventan o briganti) si anima di significati storicistici: il vagheggiamento di un mondo perduto e sognato acquista venature realistiche, perch realistico l'impegno di Ca lvino, anche quando sembra pi immerso nell'evasione fantastica. infatti, sotto la tenue allegoria, il sentimento del mutare dell'epoca attuale a dare alla contemplazione della natura un sottile struggimento che era totalment e assente nel mondo intatto di mare e di alberi dove si muovevano Zeffirino, Gio vannino e Serenella. L'ignaro contatto con la natura, possibile solo nell'infanz ia, qui riaffermato al limite tra vagheggiamento e memoria e presume appunto un momento di lacerazione e sofferenza (e di questo indice la narrazione affidata a Biagio, figura che perde rilievo, nei confronti di Pin o del nipotino del visco nte o dei bambini dei racconti, quanto pi ne acquista Cosimo); il raffinato, tene rissimo cesello della natura che partecipa alla follia di Cosimo dopo che Viola se n' andata, il momento pi evidente dell'immagine consolatoria della natura: un'i nvenzione squisita e totale, come del resto tutta la vicenda. Nonostante l'estrema freschezza di tante pagine, questo racconto resta forse il pi ricco di suggestioni letterarie che Calvino abbia scritto, come del resto egli stesso dichiara; e per afferrare la freschezza, l'originalit inventiva, l'abband ono lirico e il senso di vita che circola in ogni pagina, conviene forse rifarsi proprio agli esempi letterari che Calvino cita, individuandone cos quel dinamism o fantastico che li scioglie e li elabora proseguendo per vie tutte sue. In Viola, che la pi felice creazione femminile di Calvino, si pu seguire, meglio c he in altri episodi, questo processo di personalizzazione di uno spunto letterar
io. Viola bambina e poi donna ricorda in parte la Pisana. Gi nella figura del Cug ino Calvino ne riprendeva una del Nievo per liberarla in un'atmosfera favolosa, sia pur venata di apporti realistici. In Viola il processo si inquadra in una di mensione stilizzante razionale: anche bambina, non ha gli abbandoni affettuosi d ella Pisana; ne ha in parte gli estri, i capricci portati a un significato fanta stico che ingloba con estrema leggerezza anche il motivo del contrasto sociale c oi ladruncoli di frutta. Viola ne capeggia, avventurosa e piena di grazia, la ba nda, pur restando all'oscuro della loro miseria, per femminile e aristocratico d esiderio di supremazia. Neanche adulta acquista quella dimensione umana che indu ce la Pisana a mendicare per Carlino: Viola, "civetta, vedova e duchessa", non c onosce altra sconfitta che quella dell'amore per Cosimo, troppo totale e assolut o per non rasentare la distruzione. L'urto tra Viola, piena di ombre e di luci e di tensione spirituale, e Cosimo, che vive secondo una legge non cerebrale ma n atural-razionale e quindi lineare, viene trattenuto da Calvino al di sopra del d ramma sentimentale e interiore, viene ridotto all'essenziale e stilizzato con ta nta pi lieve grazia quanto pi profonda l'inconciliabilit tra i due: la follia di Co simo appunto la diversione verso l'alto, verso la libert fantastica, di una soffe renza tenuta a livello razionale. La Pisana e l'Eloisa rousseauiana sono ormai l ontane dalla grazia scattante con cui il fondo romantico di Viola viene spontane amente ad assumere la vivezza ariosa, penetrante e delicata di certi ritratti de l '700 francese e, sostanzialmente, tutta la verit di una creatura reale. Come nel Visconte erano soprattutto le suggestioni della pittura fiamminga ad al imentare la vita fantastica dell'immagine, qui il XVIII secolo a dare il tono al le immagini, al pensiero, alla moralit del racconto. La poesia del Visconte nasce va dal contrasto tra l'immagine bosciana, gi di per s ricca di implicazioni cultur ali divaricanti, razional-irrazionali, e lo stile asciutto e riduttivo; la poesi a del Barone, che si pu esemplificare negli episodi legati a Viola bambina e donn a, nasce dalla spontanea armonizzazione che su molteplici piani (quello del pens iero, dell'arte figurativa, narrativa, e della cultura generale) il '700 offre a l mondo morale e poetico di Calvino. Ne deriva uno stile che, senza perdere nulla in mordente ed essenzialit, si allar ga notevolmente in fatto di respiro e di possibilit espressive, cos come nella cap acit di riutilizzare anche momenti della cultura posteriore al '700: il Barone si sviluppa stilisticamente, perci, secondo una linearit dove avviene un'osmosi cont inua tra il momento della realt - culturale o umana che sia - e quello della fant asia. Nell'autobiografismo del Barone la memoria lirica dell'Entrata in guerra segue n uove direzioni, e, pur accogliendo dal grande tema moderno dell'infanzia sopratt utto il momento morale e quello della fantasticheria, ne respinge quanto di dete rministico e soggettivo comporta questo in Pavese e in Proust, per realizzarsi i n avventura, riducendo la psicologia al gesto o, tutt'al pi, ad osservazione liri ca del paesaggio: si vedano gli esempi, rispettivamente, della lotta contro il g atto selvatico, modello di concisione nell'esprimere il calore dell'emozione del bambino nell'atto della lotta, la vittoria, il sorriso, e ancora l'emozione del la vittoria; il primo sguardo di Cosimo dal leccio sul mondo sottostante, che tu tta una riscoperta del mondo abituale attraverso occhi nuovi. Sono episodi che v issuti o sognati, esprimono la realistica estroversione dell'infanzia in Calvino e una memoria lirica che non si stacca mai dalla realt, anche nella situazione p i fantastica. La lotta contro il gatto selvatico la prima delle prove di adattamento tecnico e morale del barone alla vita sugli alberi: prove che non hanno nulla o ben poco di fiabesco, e che ricordano invece Verne, Stevenson, Defoe soprattutto per affi nit di situazioni. Sembra che ci sia, tra Calvino e i suoi autori, un civilissimo e confidente disc orrere, un prenderne lo stimolo alla tensione fantastica per poi concluderla per conto suo, operando costantemente una rottura del modulo: una scoiattolesca gar a di invenzioni e variazioni sul tema di fondo tra giocoso e moralistico dell'av ventura-prova. cos, per esempio tocca punte originali nella satira che smitizza t emi obbligati nei romanzi d'avventure del passato, i briganti e i pirati: come n ella figura di Gian dei Brughi, che, corrotta la sua forza terribile con le lett
ure, finisce paradossalmente impiccato, come un personaggio di Fielding, per amo re della moraleggiante Clarissa. la stessa sottile ironia con cui Calvino smitiz za, si pu credere, un episodio piratesco di Lesage, a dare origine all'episodio d ei pirati a Ombrosa, il cui tesoro costituito da formaggi e stoccafisso, ma sopr attutto dai rapporti economici clandestini con la piccola repubblica, interessat a al contrabbando. Ma ad arricchirlo e deviarlo, interviene il motivo patetico d ella morte dell'enigmatico Cavalier Avvocato (ricuperato dal Nievo) e si riapre all'avventura dell'imprevisto viaggio di Cosimo sull'albero della feluca pirates ca. Non poco della suggestione di questo libro dovuta alla gioia schietta e festosa con cui Calvino accoglie voci poetiche d'altri tempi, che tanta parte hanno avut o nella costruzione del suo mondo ideale, di cui risente, sorridendo, il fascino e che abbandona per la propria invenzione. Se una suggestione di origine letteraria c' a colorare e a dar sapore al motivo d ella prova di autodeterminazione appena scoperto attraverso le Fiabe, riconoscib ile nel movimento di fantastiche avventure, Calvino ne rompe l'astrazione e l'at tualizza con il suo contributo personale (il mistero umano del Cavaliere) o stor ico-culturale (i rapporti tra Ombrosa e i pirati) dando luogo ad una risonanza p i sottile e pensosa. Oppure, sempre smitizzando, opera direttamente su personaggi storici, come Napoleone, creando una figura grottesca per vacuit e retorica, con un'irriverenza meno controllata, meno sottile e raffinata, pi rumorosa. La stessa cosa accade per le avventure ideali di Cosimo, i rapporti con l'avangu ardia illuminista, Voltaire, Diderot, D'Alembert, Rousseau, che Calvino porta in scena direttamente o per corrispondenza. Il piglio smitizzante e irriverente co lpisce Rousseau e non Voltaire n Diderot, ma colpisce soprattutto il genere lette rario dell'utopia, nell'invenzione paradossale del trattato della Repubblica d'A rborea, in cui Cosimo, dopo aver convinto tutti gli abitanti della terra a viver e sugli alberi, ne discenderebbe per riaffermare ancora una volta il proprio iso lamento. Circola in queste pagine, che dell'illuminismo riprendono gli attuali rapporti t ra intellettuali, tecnica e societ, una satira pi divertita, ma direi di ritmo pi b lando e intermittente: negli arborei rapporti di Cosimo con la natura e i paesan i, nella positiva capacit di rendersi utile potando alberi e vigne e organizzando la comunit, c' il sogno di un'armonia tra individuo, natura e prossimo che scopre la poetica di Calvino e d a queste pagine cos lievi un sottile senso di malinconi a, come di chi sia l per accorgersi che la sua pi segreta aspirazione sarebbe quas i realizzabile ma invece non lo . Sono le pagine in cui comincia a insinuarsi il confronto con la nostra epoca, pervadendo di una pi intensa pensosit la satira ed imbrigliando l'invenzione pi libera. Don Sulpicio, i gesuiti e la massoneria calano di tono, non lievitano fantastica mente. Ma, prima, c' l'episodio degli spagnoli a indicare come il tema dei rappor ti tra colui che vuol restare fedele a se stesso e gli occasionali compagni di v ita (o di idee, o di partito: c' qui un probabile riferimento agli avvenimenti po litici del '56, in seguito ai quali Calvino, come molti altri intellettuali, si stacc dal PC, cfr. "Paradosso" n. 29-30) sia risolto in perfetta serenit di spirit o e in una fantasia simbolica e paradossale, in immagini turgide, appena illeggi adrite dal gentile amore tra Cosimo e Ursula. Poi - a parte le avventure che Cos imo narra ai compaesani e che costituiscono come dei medaglioni dal disegno pi es pressivo che accurato, e ricordano quelle del Barone di Munchasen - al declino de lla vita di Cosimo corrisponde un meno sereno rapporto di Calvino col proprio te mpo. Le riflessioni di Biagio sulla Restaurazione sembrano proseguire, sul tono dell'amarezza e della delusione presente e ricorrente, le riflessioni calde di f ede e di speranza di Kim nel Sentiero. La risposta effettiva nella Speculazione edilizia, ma qui le idee gravano sulla satira e le impediscono di liberarsi in f antasia (si veda l'apparizione del principe Andrej: Calvino ne ha ripresa la per plessit e la malinconia con cui Tolstoj l'ha creato, senza rompere il circuito le tterario per una creazione personale). Ed ancora questa meno serena atmosfera id eale a dare all'ultima grande invenzione fantastica, la morte di Cosimo in ciclo , un sapore appena meno fresco, e un colore un po meno verde dell'inizio della s ua arborea vicenda: il paradosso della mongolfiera a cui si aggrappa il moribond
o asciuttamente intellettualistico, l'immagine di una volont ribelle fino all'imp ossibile, razionalmente voluta da Calvino per simmetrica conclusione della preme ssa. C' qui appena il sospetto, o la capacit in nuce, di quella allegoria fortemente in tellettualistica che dar origine al Cavaliere inesistente. Ma per ora la trama di idee, che pian piano penetrata nelle pagine del Barone, non ancora matura per p rendere la forma critica della satira allegorica di ampia portata. E anche di questo si dovr tener conto prima di definire il Barone un'opera satiri ca: nella condanna del modo di vivere sbagliato perch fuori tempo e fuori luogo, che hanno tutti tranne Cosimo, non c' niente di acre o di amaro, ma un sorriso in dulgente, una saggezza che conosce il fondo sempre doloroso dei rapporti umani; tipica in questo senso la figura del vecchio barone, non giocosa come quella del la Generalessa, n grottesca come quella sbilanciata tra nirvana e rigore gianseni sta dell'Abate. Sotto panni settecenteschi, il barone Arminio assai simile al pa dre delle Notti dell'Unpa e delle Memorie difficili e porta certamente con s una precisa memoria familiare. Del resto il motivo satirico si scioglie spesso nel t ono conservativo dell'operetta morale, la ribellione si smorza disciplinandosi n ella costruzione di una moralit attiva e subendo l'azione catalizzatrice della ri cerca dell'armonia. Mai come nel Barone Calvino ha saputo equilibrare con tanta serenit le sue propri e interiori ragioni, la realt e la vita che riluttano e sfuggono, la fede nell'ar monia, creando la favola di una vita: e viene da citare un altro passo della pre fazione alle Fiabe popolari: ". Chi sa quanto raro nella poesia popolare (e non popolare) costruire un sogno senza rifugiarsi nell'evasione, apprezzer... questa forza di realt che interamente esplode in fantasia. Miglior lezione, poetica e mo rale, le fiabe non potrebbero darci", che si potrebbe sottoscrivere al Barone. Nella prefazione all'edizione del Barone per le scuole medie, ridotta e accurata mente commentata sotto il profilo linguistico, estetico, storico, dall'autore co n lo pseudonimo di Tonio Cavilla, da notare la sua preoccupazione nell'indicare che non si tratta di un "racconto filosofico" alla maniera illuminista, perch nel Barone non c' una tesi ideologica particolare da sostenere; n di un romanzo stori co, perch "l'albero della letteratura mal sopporta i frutti fuori stagione"; n tan tomeno della sua parodia - il romanzo storico un suo "amore continuamente dichia rato" -: queste dichiarazioni da parte dell'autore non fanno che confermare quan to stato acutamente intuito dal Themerson ("Il Caff" aprile 1964) che attribuisce la scelta, da parte di Calvino, di personaggi araldici d'altri tempi, alla volo nt di impedire uno schematico incasellamento delle figure: "Noi viviamo in tempi cos paradossali che necessario, sia in scienze che in letteratura, inventare situ azioni irreali per esprimere la verit, creare fantastici modelli per dimostrare u n pensiero razionale" Ancora ne Le sorti del romanzo ("Ulisse" n. 24-25), Calvino sostiene che i gener i letterari settecenteschi, "il saggio, il viaggio, l'utopia, il racconto filoso fico o satirico, il dialogo, l'operetta morale" possono penetrare pi agilmente ne ll'intelligenza storica e nella battaglia sociale di quanto lo possa il romanzo realista. Nel Barone rampante Calvino raccoglie alcuni di questi moduli letterari per la p ossibilit che gli offrirono di realizzare la sua poetica, contaminando l'uno con l'altro, rompendone agilmente gli schemi come, ma in modo embrionale e pi limitat o, gi avveniva nel Sentiero; e operando su di essi con una volont lucidamente orga nizzatrice e una raffinata educazione del gusto, raggiunge sempre l'unit e quasi sempre la propria originalit. Ogni episodio ha una straordinaria visibilit pittori ca, una luminosa compattezza, che solo in un secondo tempo rivela la pennellata che stilizza (i ladruncoli che tendono l'imboscata a Cosimo), il tratto deformat o espressionisticamente in misura nuova (Gian dei Brughi), il particolare che es prime la comicit all'interno dell'episodio tra serio e paradossale (la consegna d ella spada a Cosimo), l'atmosfera elegiaca che di tante pagine e di alcune figur e e che dice la coscienza del sogno. E il suo limite appunto in quell'ultima pag ina di stile puro ("Ombrosa non c' pi...") dove Calvino vede la pienezza e l'armon ia, fantasticata come vera e quasi raggiunta, nel segno grafico della parola:
questo filo d'inchiostro, come l'ho lasciato correre per pagine e pagine, zeppo di cancellature, di rimandi, di sgorbi nervosi, di macchie, di lacune, che a mo menti si sgrana in grossi acini chiari, a momenti infittisce in segni minuscoli come semi puntiformi, ora si ritorce su se stesso, ora si biforca, ora collega g rumi di frasi con contorni di foglie o di nuvole, e poi s'intoppa e poi ripiglia a attorcigliarsi, e corre e corre e si sdipana e avvolge un ultimo grappolo ins ensato di parole idee sogni ed finito. Gli estri, gli umori, vibrano in questa fantasia e Calvino li organizza fino a d ar loro significato insostituibile e necessario. Il rischio di una caduta nel co mposito e nel frammentario assai lontano da questo racconto, diventato quasi rom anzo via via che l'autore prendeva gusto alla rappresentazione di una vita: fors e l'ultima parte a far notare che il rischio si manifesta se mai in direzione de l romanzo, in cui Calvino aveva poca fiducia nel '57, se subito dopo lo ironizza nella Speculazione edilizia; e a tutt'oggi le sue idee non sono mutate. Piuttosto mi sembra importante notare la spregiudicatezza con cui l'autore si se rve appunto di moduli letterari diversi che risponde ad una scelta funzionale e obbiettivamente feconda di personalizzazione: nella coerenza del linguaggio con cui Calvino organizza discorsi diversi, egli realizza la sua libert fantastica da i modelli stessi, con una complessit linguistica tale da rendere ardua la definiz ione che si volesse tentare dei generi di cui lo scrittore si serve: la lingua d el Barone un ampio mosaico variopinto e orchestrato su un'infinit di toni. Oltre all'osservanza di una sintassi tradizionale, logica e rapida, che si stacc a dall'ufficiale correttezza grammaticale solo per rifutarne la freddezza a favo re di una spontaneit corrente e familiare (".che ora non me ne viene in mente nes suna...") e che ha le sue punte pi comunicative nei dialoghi vivissimi, si pu nota re in via generale un tessuto lessicale che utilizza con criterio estroso, ma se mpre netto, nitido, essenziale, dimensioni opposte: voci o espressioni dialettal i spesso ironizzanti (come mangiagelati, o i nomi propri Gian dei Brughi, Ugasso e Bel-Lor, o "Cieve! Cieve! L'aiga va pe eve!"), o voci greco-latine, francesi, ted esche, inglesi, spagnole, portoghesi, nelle canzoncine mistilingui di Cosimo che spesso rasentano il divertimento, o un pastoso gusto rabelaisiano nella lingua dei calderai bergamaschi ("Hura! Hota!") o una musicale comicit (Sinforosa): talv olta frasi straniere hanno valore puramente espressivo, aristocratico (quelle fr ancesi), militaresco-ironizzante (quelle tedesche), barocco-ironizzanti (quelle spagnole). Queste sono le tessere del mosaico pi vistose e colorate; ma tra un to no e l'altro di colore c' una vasta gamma di sfumature, che mettono in forse una definizione globale perch nascono dal movimento imprevedibile dell'estro fantasti co. Ovviamente pi vasto l'uso della nostra lingua, e pi arduo racchiuderlo in una form ula, ammesso che sia questo un lavoro proficuo su un autore che, come Calvino, s i batte polemicamente contro la burocraticit e non comunicativit della lingua ital iana ("Contemporaneo" gennaio 1965; "Il giorno" 3 febbraio 1965) e che comunque proprio col Barone dimostra come, operando razionalmente e criticamente su tutta la fredda disponibilit linguistica e sul linguaggio di tradizione poetica e lett eraria, si possano raggiungere singolari esiti formali. Schematizzando, inevitab ilmente, appaiono almeno due direzioni linguistiche fondamentali, che peraltro s 'incrociano, si compenetrano, si rapportano l'una all'altra: quella comunicativa , funzionante da struttura narrativa, che prevalentemente corrente, familiare, " comune", ma che investe moderatamente con l'ironia alcune zone usurate della lin gua (i rapporti cerimoniosi e convenzionali, in parte i ragionamenti sull'amore di Cosimo e Viola, certe espressioni colte e antiquate); e quella di tradizione poetica leopardiana-dannunziana-ermetica cui sono affidati i momenti pi lirici. L 'inizio del decimo capitolo, due delle pagine stilisticamente pi mature di Calvin o, dove Cosimo acquista coscienza della sua amicizia col mondo degli alberi, un esempio della moralizzazione del paesaggio ("la forza e la certezza" del castagn o) che, gi avanzata nelle Notti dell'Unpa, si assottiglia e ramifica in una direz ione analitica, minuta, che riutilizza voci poetiche dannunziane ora dilatandole ("il velario di foglie pi fitte o pi rade"), ora disciplinandone la musicalit in p resenza morale, come in Montale ("un gracchio, uno squittio, un fruscio velociss
imo tra l'erba, uno schiocco nell'acqua, uno zampettio tra terra e sassi e lo st ridio della cicala alto su tutto", "Le rane intanto continuano il gracidio che r esta nello sfondo e non muta il flusso dei suoni, come la luce non varia per il continuo ammicco delle stelle"). La natura di Calvino non la natura di Alcyone, ma certo tiene conto anche della parola dannunziana per rinnovarla in una dimens ione razionalmente inglobante un preciso rapporto soggettivit-oggettivit. C', complessivamente, nella lingua del Barone, una fresca cordialit che sembra de rivare da un vertice di umana compiutezza incentrata sul momento intellettual-ra zionale della personalit di Calvino, dal quale deriva anche la componente "aristo cratica" dello stile, nell'ordine e nella chiarezza con cui si serve dei valori linguistici a tutti i livelli e in tutte le sfumature, limitando per ora a poche zone la contestazione dell'usura di un lessico la cui comunicativit giudica grav emente compromessa. E tuttavia l'autore ne fa lo strumento docile e lucido dell' estro pi imprevedibile e inafferrabilmente fantastico. La lingua del Barone non nasce pi da uno spontaneo stato di grazia, ma da una fre schezza riconquistata attraverso un'assidua operazione critica-intellettuale che talvolta affiora anche sulla pagina (l'uso ironico di "elce" e "leccio"), che t uttavia per lo pi ne resta all'interno, come presenza vivificante. Se un limite il Barone pu avere nel fatto che soprattutto un vagheggiamento dell' armonia uomo-natura-storia, c' tuttavia da dire che questo vagheggiamento porta c on s, oltre alla felicit dell'immagine poetica, una tale pienezza di umana moralit da spezzare quel limite, per affermarsi come opera umanamente e poeticaniente vi tale. 6 Nei due anni che passano tra Il barone rampante e l'ultima favola araldica, nel mondo ideale di Calvino matura un nuovo, pi pregnante possesso intellettuale dell a realt. Non solo gli Amori difficili danno la misura di un'umanit che va sempre pi perden do il contatto con se stessa e l'aspirazione a un'integrale felicit e compiutezza ma la Speculazione edilizia e lo Smog ce ne danno due diverse storicizzazioni, l'una intesa a contestare una Situazione social-politica involuta e passiva, l'a ltra a delineare la precaria condizione umana nel cuore della civilt tccnologicaindustriale Tra il '57 e il '59 infatti matura anche la materia dei pi importanti saggi di Ca lvino dopo il Midollo, e cio Il mare dell'oggettivit ("Menab" 2) e La sfida al labi rinto ("Menab" 5), in cui lo scrittore esamina il quadro della cultura contempora nea in rapporto allo sviluppo industriale che va cambiando la faccia al mondo e la condizione umana e, necessariamente il concetto di uomo nei suoi rapporti col mondo stesso e con la letteratura. "Uno stato d'antica armonia perduto" (ed que llo fantasticato nel Barone, dove la "tecnica" di affermazione di Cosimo sulla n atura era ancora umanistica), ad un'altra armonia si aspira, che l'assillante pr esenza del mondo industriale rende ardua per l'alienazione o reificazione a cui l'uomo sottoposto; chi crede di poter affermarsi sulle cose con un equilibrio di tipo classico un bugiardo, dice Calvino (La sfida al labirinto): solo col cerca re nuovi rapporti con le cose che l'uomo pu trovare la sua nuova libert e sfuggire alla massificazione che lo soffoca come individuo e all'ingranaggio capillare c he ne fa cosa tra le cose. E nell'introduzione agli Antenati aggiunge: Dall'uomo primitivo che, essendo tutt'uno con l'universo, poteva esser detto anc ora inesistente perch indifferenziato dalla materia organica, siamo lentamente ar rivati all'uomo artificiale che, essendo tutt'uno coi prodotti e con le situazio ni inesistente perch non fa pi attrito con nulla, non ha pi rapporto (lotta e attra verso la lotta armonia) con ci che (natura o storia) gli sta attorno, ma solo ast rattamente funziona Da questa esperienza intellettuale, dalla poetica dei rapporti uomo-mondo e dall 'attrito della soggettivit, come presenza razionale e morale, con la realt oggetti va, nasce la favola del cavaliere che non esiste. Agilulfo la sintesi per immagine fantastica della pi ampia riflessione di Calvino sul tema dell'essere: esiste solo come geometrica e candida armatura, mossa dal
la forza di volont e dalla coscienza di essere, privato com' di ogni altra compone nte umana: il simbolo paradossale, il prodotto della civilt industriale e delle i stituzioni social-politiche fossilizzate in una burocratica astrazione, senza pi rapporto col momento umano che le ha originate; diventate, cio, inattive. L'idea dell'essere ne prolifera altre: Gurdul, che esiste fisicamente ma non ne h a coscienza e si confonde con la natura bruta, Bradamante, Rambaldo e Torrismond o che esistono ad uno stadio approssimativo e in fieri, nella tensione verso un assoluto: la donna verso l'assoluta perfezione dei rapporti umani; il secondo ve rso l'assoluto possesso della realt, sia l'amore, sia la gloria, sia l'agire; il terzo infine muove, dal disprezzo del mondo, verso l'assoluto delle sue origini e dell'infanzia. Ogni figura un'idea che pu avere una o pi valenze: e ogni valenza la possibilit di un rapporto con quelle delle altre idee. Questa la trama del racconto, che non sembra molto lontana dal netto rigore stru tturale degli episodi dello Smog; e che certamente subordina il colore, il sapor e, il movimento avventuroso mutuato dai poemi cavallereschi (dalla Chanson de Ro land smitizzata e reinventata, sino al Pulci, al Boiardo, all'Ariosto) alla sua propria tensione intellettuale: una tensione al calor bianco, che governa anche la creazione di Agilulfo come immagine e come concetto. L'originalit di Agilulfo consiste nel nascere come parodia dell'uomo contemporane o alienato e ridotto ad identificarsi, senza alcun attrito, con la propria funzi one (cfr. i Racconti: Gli amori difficili); vive tutta la sua avventura sotto qu esto segno, investendo del proprio significato ideale e della propria sostanza f antastica le figure che vengono a contatto con lui. cos nasce l'episodio insupera bile della sua notte d'amore con la maliarda e lasciva Priscilla, che esplode in un simbolo ricco di paradossale verit, di invenzione fantastica, di satira punge nte e liberissimo divertimento. La sua esistenza legata, anzi identificata, con il titolo di cavaliere, e questo titolo dipende burocraticamente dalla dimostraz ione della verginit di Sofronia: la parodia satirica sostiene dall'interno la vic enda di Agilulfo nei momenti fantasticamente pi esplosivi; mentre in quelli pi som messi, in cui non riesce a fare attrito con le cose che sfumano nel buio della n otte, fino al suicidio per errore ai piedi della quercia, cede al patetico. L'im magine del cavaliere dalla bianca armatura sente la suggestione della pittura me tafisica reinventata con spirito parodistico: con la nitida invenzione concettua le coincide la nitida razionalit dei lineamenti pittorici extranaturali, e i suoi momenti di malinconia ne riecheggiano certe stilizzate atmosfere morali: il rap porto idea-immagine perfetto come quello del Barone, ma assunto ad un livello ex tranaturale del tutto nuovo. Non c' pi niente della fresca e misteriosa suggestion e della prima favola, n del pieno vigore razional-naturalistico della seconda. Se si eccettua Gurdul, l'uomo pera-anatra-minestra, (che l'estrema deformazione gro ttesca di un filone sostanzialmente naturalistico cominciato nel Cugino e passat o attraverso il Caisotti della Speculazione, e che indica l'immersione acritica nel mare delle cose, restando comunque una valenza cieca e passiva alquanto debo le poeticamente), tutto ci che viene a trovarsi investito dalla presenza di Agilu lfo ne subisce la legge fantasticamente paradossale, come per esempio l'esercito di Carlo, che nasconde sotto i ferrei e capillari regolamenti burocratici stanc hezza e confusione; la pianificazione astratta e inconcludente della battaglia c he trova mordente satirico e geometrismo d'immagine; o il duello stilizzato del cavaliere contro i pipistrelli. Rambaldo, essendo un momento dell'effflorescenza simbolica proliferata da Agilul fo e tesa all'assoluto, non tanto immagine, quanto disponibilit esistenziale poli valente: ha bisogno delle dimensioni della realt, che sono rappresentate da Brada mante, la donna che gli d la certezza di esistere perch lo fa soffrire; da Agilulf o che, razionale e privo di emotivit, gli d sicurezza; e da Gurdul che, confondendo si con la zuppa, gli d la dimensione bruta del reale. Agilulfo, Rambaldo e lo scudiero sono legati da rapporti che solo esteriormente possono sembrare simili all'intreccio del poema cavalleresco. In realt Agilulfo e Gurdul sono simboli di una situazione culturale ed esistenziale dai piani divari canti e parziali rispetto ad una costruzione umana completa che sar raggiunta da Rambaldo: come negli apologhi del Visconte, la verit di Agilulfo, Rambaldo e Gurd
ul emerge dai tre lirici coretti sulla morte, che aggiungono al mondo di Calvino una dimensione pi fonda, mai sperimentata prima in termini cos complessi (la morte della Generalessa e del visconte Aiolfo nelle due favole precedenti era una squ isita favoletta naturalistica) e necessari. L'episodio del Gral un altro centro di idee polivalenti, rivestito di lussureggi anti e fastose immagini bianche e oro, immerse in una selva pi emblematicamente m isteriosa che naturalistica, tra cigni, ruscelli ed arpe. Ancora, come nel Visconte, tornano le immagrini estetistiche e rarefatte, prezio se ma assai pi coerentemente rifuse nella narrazione per la pi ricca gamma di allu sioni simboliche. Nel Gral confluiscono alcuni temi propri del Calvino favoloso, con un processo a ssai simile al ricorrere di certi temi ossessivi e soggettivi in Fellini, sebben e in Calvino ci avvenga a livello oggettivo e razionale: l'episodio del Gral inte rpretabile diversamente, a seconda della valenza che lo scrittore mette in luce, finalizzandola alla sua intenzione costruttiva. Per quanto riguarda i rapporti con Torrismondo, la valenza illuminata quella del l'esperienza mistica dell'esistere, avulsa dalla realt: un'esperienza cio cultural -filosofica che prosegue, portando ad una ben pi vasta (e ironizzata) pregnanza i l precedente dei lebbrosi, che nel Visconte restava un gradino pi su del tono gen erale del racconto; e che qui rientra invece spontaneamente nella forte tensione intellettuale che muove l'avventura. L'idea-immagine dei Cavalieri del Gral, flaccidi, dissoluti, imbambolati, esatta mente l'opposto dei neri e legnosi Ugonotti, e difatti essi sono ironizzati anch e per quanto riguarda i rapporti di soggezione e rapacit in cui tengono i Curvald i (in cui sono facilmente leggibili recenti movimenti nazionalistici di popoli c oloniali); lo svariare dei significati di questo episodio, e la diversa posizion e che in questo svariare (dal significato culturale a quello politico) viene ad assumere Torrismondo, sembra ricuperare anche la vicenda di Cosimo e degli Spagn oli - occasionali compagni di vita (o di idea, o di partito) - nel Barone, ma co n un sottofondo culturale ben pi fermamente posseduto e meditato Percorsi da tutti questi significati, i Cavalieri del Gral assumono il senso ult imo del disimpegno a qualunque livello nei confronti del reale e poeticamente il valore di simbolo aperto ancora interpretabile in altre direzioni. Con Agilulfo e i tre giovani, l'episodio del Gral costituisce un complesso di si mboli aperti della realt contemporanea: a tratti s'accende una valenza, si apre i l circuito con un'altra idea-immagine, e la trama ideale dei rapporti poetici ri prende la sua corsa per costruire l'avventura favolosa dell'uomo in una realt con oscitivamente ambigua e sfuggente, animata da una tensione fortissima che, baroc camente, ora lampeggia ora si acquieta, come in un gioco di specchi che rifletta moltiplicate luci e ombre, pieni e vuoti. E la giravolta finale, che identifica Bradamante con suor Teodora che scrive il libro, appunto un altro sprazzo di una fantasia barocca e surriscaldata, che si sbizzarrita a disciplinare simboli e divertimento, paradosso e satira, parodia e fantasia, in un rigore formale che talvolta s'infittisce in uno stile minuto, a volte s'allarga e dilata in modo pi avvertibile di quanto non accadesse nel Baro ne, del quale un critico straniero ha detto che Calvino fa vivere un verde pensi ero in una verde ombra. qui non c' niente di verde, niente di fresco e arioso; se mai, c' un "calor bianco". L'aggettivazione ridottissima fa corpo col sostantivo (il "polverone infedele" e la "tosse saracina") con un'evidenza di significato pi ardita e pregnante; pi fit ta la presenza dei verbi a concentrare la tensione ideale; ridotti gli inserimen ti linguistici a qualche zona di puro divertimento (gli insulti degli interpreti ); e infine assai estesa la componente del linguaggio burocratico usato ironicam ente a far parte integrante dell'invenzione parodistica dell'uomo che non c' e di quella vacua istituzione che l'esercito di Carlo Magno. Anche l'uso ironico di qualche arcaismo ("villici", "contestar loro il passo", "infanti", nell'episodio dei Curvaldi) viene inserito emblematicamente in un contesto che ne assorbe la funzione ironica, disciplinandola in una rigorosa, apparente, impassibilit. Ma c' suor Teodora-Bradamante a indicare come la cordialit moraleggiante del lingu aggio del Barone si sia in parte attenuata, quasi scomparendo dalla narrazione o
ggettiva per concentrarsi, riducendosi a funzione prevalentemente lirica, nel fi lone della poetica in atto, dello sforzo di scrivere, della perplessit dei rappor ti tra scrittore e opera. Nel momento in cui le avventure dei paladini si avvian o verso un moralistico ed emblematico lieto fine, la moralit autentica viene tras posta nel filone autobiografico. Questa estrapolazione comincia nel quarto capitolo, in cui la partecipazione di Calvino al racconto, finora tenuto su un piano oggettivo, improvvisamente si tra sforma in aperto monologo, grazie ad un espediente letterario i cui esempi pi ill ustri vanno da Manzoni a Mann e che qui suona dialogo con l'opera come alterit, s uo faticoso realizzarsi attraverso la scrittura, nonostante che il male di viver e frapponga fra lo scrittore e la poesia le dure scorie che rendono difficile da re un senso ultimo a ci che ha capito della vita, e nonostante che la ricerca del la verit possa avvenire solo rintuzzando "a colpi di penna" l'astio, l'accidia, l e insoddisfazioni private. Questo normale, si pu credere, scotto della serenit, qu esta catarsi di cui Calvino ci dice la dinamica in atto, sembra cedere a un mome nto di dubbio, che non riguarda tanto il perduto stato di grazia degli anni giov anili o la stanchezza del divertimento avventuroso, quanto piuttosto esprime, tu tt'insieme, un'aggressione dell'irrazionale alla costanza con cui Calvino sempre afferma il valore della razionalizzazione del reale. Quasi una tentazione di ce dere, che viene, s, smentita nella coscienza razionale della parola, ma che umana mente incrina la fiducia di aprire nella pagina un nuovo mondo, perch "la vita tu tta fuori", e il rapporto scrittore-mondo appare interrotto. Ma proprio qui si riafferma pi forte che mai la volont soggettiva di proseguire la lotta per la forma. Ed qui che il monologo esistenziale si apre in una delle in venzioni pi nuove di Calvino: l'estrapolazione dello sforzo di scrivere impersona to da suor Teodora, diventa l'immagine fortemente intellettualistica della pagin a, l'idea che governa la creazione di Agilulfo e la struttura di questa storia: se gi l'apporto prevalentemente intellettualistico era leggibile nella definizion e del tempo medievale in cui Calvino parodiava allegoricamente il nostro, (cfr. cap. IV: "Ancora confuso era lo stato delle cose...") in cui nasce Agilulfo, e s e anche lo spazio in cui deve muovere il cavaliere perde quanto di naturalistico in altri rari e brevissimi paesaggi del racconto, per diventare a volte violent emente soggettivo (IX cap.), qui che il rapporto soggettivit-oggettivit diventa fi gurazione visibile, senz'altro intermediario che la parola. Ogni cosa si muove nella liscia pagina senza che nulla se ne veda, senza che nul la cambi sulla sua superficie, come in fondo tutto si muove e nulla cambia nella rugosa crosta del mondo, perch c' solo una distesa della medesima materia, propri o come il foglio su cui scrivo, una distesa che si contrae e si raggruma in form e e consistenze diverse e in varie sfumature di colori, ma che pu pur tuttavia fi gurarsi spalmata su di una superficie piana, anche nei suoi agglomerati pelosi e pennuti o nocchieruti come un guscio di tartaruga, e una tale pelosit o pennutez za o nocchierutaggine alle volte pare che si muova, ossia ci sono dei cambiament i di rapporti tra le varie qualit distribuite nella distesa di materia uniforme i ntorno, senza che nulla sostanzialmente si sposti Possiamo dire che l'unico che certamente compie uno spostamento qua in mezzo Agi lulfo, non dico il suo cavallo, non dico la sua armatura, ma quel qualcosa di so lo, di preoccupato di s, d'impaziente, che sta viaggiando a cavallo dentro l'arma tura. Intorno a lui le pigne cadono dal ramo, i rii scorrono tra i ciottoli, i p esci nuotano nei rii, i bruchi rodono le foglie, le tartarughe arrancano col dur o ventre al suolo, ma soltanto un'illusione di movimento un perpetuo volgersi e rivolgersi come l'acqua delle onde. E in quest'onda si volge e si rivolge Gurdul, prigioniero del tappeto delle cose, spalmato anche lui nella stessa pasta con l e pigne i pesci i bruchi i sassi e le foglie, mera escrescenza della crosta del mondo. pi avanti la pagina diventa graffito: il solco sottile dello spillo sotto il fogl io che deve esprimere la "pasta del mondo", - il suo senso, bellezza, dolore, at trito e movimento - attraverso una forte prova di stile, ribadisce la validit del lo stoicismo con cui Calvino forma e razionalizza il momento autobiografico e qu
ello oggettivo della realt delle cose e della cultura nei loro rapporti. L'armoni a del suo rapporto con la realt riconquistata nella splendida chiusa della favola : Dal raccontare al passato, e dal presente che mi prendeva la mano nei tratti con citati ecco o futuro, sono salita in sella al tuo cavallo. Quali nuovi stendardi mi levi incontro dai pennoni delle torri di citt non ancora fondate? quali fumi di devastazioni dai castelli e dai giardini che amavo? quali impreviste et dell'o ro prepari, tu malpadroneggiato, tu foriero di tesori pagati a caro prezzo, tu m io regno da conquistare, futuro... 7 Al momento dell'occhiata calda che Calvino dava alla realt informe e brulicante d el dopoguerra, subentra, dopo l'esperienza del Visconte dimezzato, il momento de llo sguardo pi sottile e critico ai rapporti dell'uomo con la societ e la natura. Dove il Visconte colpiva parodiandola una condizione generale dell'uomo contempo raneo, il ciclo di Marcovaldo sviluppa il non inserimento dell'individuo intelle ttualmente indifeso nelle strutture sociali, che s'intravedeva in un racconto de l 1918, Il gatto e il poliziotto. Il consentimento di Calvino con questo tipo d'uomo esiste sempre, ma nel coglier ne la sconfitta o la precaria e momentanea affermazione, cio il gioco di rapporti con una realt pi potente di lui, egl crea un pi complesso movimento di situazioni p aradossali, comiche, favolose e avventurose; solo che qui l'avventura amara e qu asi sempre porta il marchio della sconfitta. In quest'epopea comica e amara, Calvino coglie subito il punto critico del manov ale Marcovaldo, in quel suo occhio cos poco adatto a vedere semafori, indicazioni stradali, cartelloni, i simboli che popolano la giungla della citt, mentre una b uccia di fico spiaccicata sulla strada, o una foglia morta lo attirano irresisti bilmente. Il clou della figura il dramma di chi, non pi campagnolo e non inurbato , stritolato dallo spietato ingranaggio della vita associata: la fame, la miseri a, i figli numerosi, l'astio della moglie, ne sono conseguenze. Marcovaldo vive poeticamente tra un lontano ricordo della natura, duro a morire, e la ricerca ap passionata della natura stessa, il sole, il verde, l'aria buona, che, nella citt, costano denaro. Saranno le sofferenze pi elementari della vita sua e dei figli la fame nel Piccione e nella Pietanziera, il freddo nel Bosco, il caldo e la st anchezza nella Panchina, il linfatismo e i reumi nell'Aria buona e nella Cura de lle vespe - a muovere la sua avventurosa ricerca della natura, alla quale la cit t, presenza massiccia e oppressiva, oppone come un mostro favoloso e proteiforme le sue innumerevoli capacit di frustrazione. Ma invano, perch Marcovaldo ignora to talmente il diaframma in cui urta continuamente e subisce la frustrazione senza comprenderla, nell'ostinazione con cui s'illude di piegare il mondo della citt al le sue aspirazioni, di scavalcarlo e, talvolta furbescamente, di raggiungere la sua meta. cos la terra delle aiuole cittadine d funghi, s, ma velenosi; la sana libert della c accia ha per campo d'azione un tetto e per selvaggina un misero piccione comunal e; l'aria buona e le ciliege sugli alberi esistono, s, anche in citt, ma apparteng ono a un sanatorio, e anche il veleno delle vespe, che dovrebbero dargli benesse re e ricchezza, si ritorce sui suoi figli. Fin qui la presenza della citt e del consorzio civile colta di stralcio pi che alt ro in manifestazioni marginali. Ma nella Panchina la presenza della citt diventa ossessiva, turba ininterrottamente coll'occhio giallo dei semafori, con il rumor e dei lavori stradali, con le sue varie presenze che popolano di notte i giardin i, con il puzzo di immondizie che emana dai carri della nettezza urbana, la rice rca di un fresco riposo da parte di Marcovaldo. E nel Coniglio velenoso, nel Bosco sull'autostrada e in Luna e Gnac diventa bene visibile; i suoi rapporti con Marcovaldo si stringono e si rifrangono in avvent ure di pi larga suggestione favolosa, stravolgendo fino al paradosso il momento r ealistico che all'origine degli episodi. cos nel Coniglio, che si svolge tra l'uscita di Marcovaldo dall'ospedale e il su o ritorno, con tutta la famiglia, in osservazione, l'animale su cui egli riversa un'attenzione interessata (perch pensa al pranzo di Natale), che la corruzione d
el suo amore per la natura operata dalla miseria, cavia di una terribile malatti a: tra Marcovaldo e il pranzo di Natale c' addirittura la scienza biologica, ma t ra gli estremi corre l'avventura dei bambini che portano a passeggio il coniglio e poi, pi apertamente favoloso, l'"a solo" dell'animale braccato dagli abitanti dei tetti e dalla polizia e dai pompieri, al quale Calvino d pensiero e sentiment o umano, diffidenza e generosit, e una saggezza triste e rassegnata che sbocca ne l fallito tentativo di suicidio. Nella pura fiaba del coniglio, che si presenta come un episodio autonomo rispetto all'epopea di Marcovaldo, c' per un'amarezza ch e sembra oltrepassare i limiti della mitologia naturalistica del manovale, per r ivelare una pi fonda meditazione sulla natura e sulla possibilit che ha l'uomo di accedervi. Nel Bosco, nella Panchina e in Luna e Gnac, la natura cos perseguita e irridente a Marcovaldo sostituita dai simboli pi vistosi della civilt della produzione e del consumo, dalla selva favolosa dei cartelloni pubblicitari e dalla magia luminos a e assillante delle insegne al neon. I figli di Marcovaldo, che non hanno mai v isto un albero e che, spinti dal freddo, vanno di notte a tagliare i cartelloni pubblicitari ai lati dell'autostrada, riproducono fedelmente nei tratti pi simbol ici la situazione di tante fiabe (un esempio notissimo quella di Hnsel und Gretel ), la solitudine, la prova, gli incontri magici. Ma il pathos, la partecipazione di Calvino all'odissea di questa famiglia, si ca povolge in paradosso e si libera in immagini stilizzate di favola nuovissima: ai margini della strada, su cui l'acciaio corre veloce e che simbolo della solitud ine dei bambini come il tipico sentiero di bosco, gli alberi hanno sembianze inc antate: "Avevano i tronchi fini fini, diritti o obliqui; e chiome piatte e estes e, dalle pi strane forme e dai pi strani colori, quando un'auto passando le illumi nava coi fanali. Rami a forma di dentifricio, di faccia, di formaggio, di rasoio , di bottiglia, di mucca, di pneumatico, costellate da un fogliame di lettere de ll'alfabeto". La paradossalit della situazione prosegue nell'episodio dell'agente stradale Astolfo, tra comico e favoloso, per ritornare dolcemente assai vicino al punto di partenza, cio alla necessit di Marcovaldo e famiglia di ripararsi dal freddo. Il momento di perfetta identificazione fiaba-realt, come avveniva nel Cor vo, gi trascorso, superato in un sorriso dolente. Ed proprio questo sorriso, che ad un tempo partecipazione e distacco dell'autore, ad indicare la fine del candi do naturalismo infantile con cui Giovannino e Serenella vivevano le loro avventu re. La fiaba di questo racconto la sintesi per immagine di un mondo che va morendo quello della natura - e di un altro che va acquistando sempre pi estensione nell a nostra vita e nei nostri occhi, quello dell'industria. La situazione base dell a fiaba dimostra di reggere benissimo questo delicatissimo rapporto, grazie al p aradosso e grazie alla ricchezza di idee e di umano sentimento di Calvino, ricch ezza che era ancora estranea al Corvo cos assolutamente fuori del tempo e dello s pazio definito. E la pubblicit luminosa sul tetto di una casa, meta ambita e causa di sleale conc orrenza di due ditte produttrici di cognac, l'ultimo smisurato ostacolo che la c itt oppone alla contemplazione del cielo notturno di Marcovaldo e della sua famig lia, che, lasciato il triste seminterrato degli altri racconti, dall'alto del lo ro abbaino contemplano incantati le luci del cielo e della citt. Il sapore asprig no che la creazione di Marcovaldo aveva negli altri racconti si ammorbidisce, mo glie e figli coltivano umani sogni, un po puerili, un po favolosi, sempre interr otti dalla luce intermittente dell'insegna di un cognac, sempre ripresi al suo s pegnersi. Anche qui, come in altri racconti, c' per la beffa e la frustrazione: l'inserirsi, del tutto fortuito, di Marcovaldo, nello spietato ingranaggio commerciale, il s uo ricavarne un guadagno, si ritorce ancora una volta a suo danno quando l'inseg na luminosa di una nuova marca di cognac ritorna a violentare pi aggressiva della precedente, l'intimit dei sogni suoi e della famiglia: se prima potevano durare ben venti secondi, ora vivono solo due. Luna e Gnac l'ultimo racconto del ciclo, scritto nel '56: nel rapporto pi drammat ico e lacerante tra l'intimit spirituale di Marcovaldo e famiglia (intimit che fin ora avevamo letto solo nella sua ossessiva ricerca della natura) e la spietata p
resenza della citt, Calvino tocca toni pi fondi e scopre, nella contemplazione del cielo, risonanze pi personali. Marcovaldo, cos com' stato creato, stilizzato donch isciotte della felicit naturale e vittima ignara della metropoli, muore nei venti secondi in cui la scritta luminosa si spegne, per lasciare il posto a una delle pi liriche riflessioni di Calvino. Non c' pi posto sulla terra per una felicit natu rale, per una libera armonia che l'uomo possa realizzare con la natura. Dalla te rra su cui Calvino sempre si muove, frugandone con lucida piet i rapporti diffici li, le condizioni precarie e sempre mutevoli in cui l'uomo si viene ad ora ad or a determinando, lo scrittore sale sul tetto di Marcovaldo e di l contempla lo spa zio: Marcovaldo, interrotto a mano alzata nello scapaccione che voleva dare a Micheli no, si sent come proiettato nello spazio. Il buio che ora regnava all'altezza dei tetti faceva come una barriera oscura che escludeva laggi il mondo dove continua vano a vorticare geroglifici gialli e verdi e rossi, e ammiccanti occhi di semaf ori, e il luminoso navigare dei tram vuoti; e le auto invisibili che spingono da vanti a s il cono di luce dei fanali. Da questo mondo non saliva lass che una diff usa fosforescenza, vaga come un fumo. E ad alzare lo sguardo non pi abbarbagliato , s'apriva la prospettiva degli spazi, le costellazioni si dilatavano in profond it, il firmamento ruotava per ogni dove, sfera che contiene tutto e non la contie ne nessun limite, e solo uno sfittire della sua trama, come una breccia, apriva verso Venere, per farla risaltare sola sopra la cornice della terra, con la sua ferma trafittura di luce esplosa e concentrata in un punto. un trasalimento lirico che sfugge dal fondo anche leopardiano, di pessimismo e a nsia d'infinito, che in Calvino: un momento leopardiano rapportato all'era spazi ale, alla conquista del cosmo, dal quale nasce un'altra immagine nuovissima. La citt ossessiva guardata da chi pi vicino al cielo, e il cielo guardato dalla citt b rulicante di vita danno luogo a un silenzio cosmico, spaziale. Del resto il mito naturalistico preso a s, cio privo di quei significati storici e morali che sono nell'Entrata in guerra, era gi stato intuito nel 1952 nella Form ica argentina dove, alla natura leopardianamente matrigna, i protagonisti si opp onevano con le pi ingegnose e cerebrali risorse, fino a che, per stanchezza e per caso, non per un fiducioso e sereno rapporto con essa, ne scoprivano il sereno splendore nella contemplazione e male, cos da far sospettare, nel blocco dell'int uizione allusivamente leopardiana, l'inettitudine dell'uomo ad accedere alla nat ura. Cos appare visibile che, intorno al '52, Calvino lavora alla ricerca e verifica d ella validit del mito naturalistico: nel Visconte la natura oggetto, cio, della cr udelt e della piet, delle lacerazioni-ricomposizioni dei due dimezzati; nei Funghi di Marcovaldo ricorre come mito di una felicit tanto pi appassionatamente persegu ita quanto pi sfugge (e non mi sembra un caso che Calvino abbia fatto oggetto del l'amore di Marcovaldo in pi racconti, funghi, boschi, ciliege, vespe, conigli, ci o quelle presenze naturali che ricorrevano frequentemente nel Visconte); nella Fo rmica infine la natura arbitra di sofferenze e pace con cui agisce sull'uomo sen za che egli possa trasformarne l'oppressiva necessit del rapporto in libert. La ri cerca di Calvino si muove prevalentemente nella seconda direzione per la possibi lit che offre di pi fitti rapporti sociali e storici e pratici mentre le altre due offrono possibilit di ordine pi generale. il rapporto dell'uomo con la natura che vien messo in crisi e che rivela tutta a sua precariet. cos nella Formica, strutt urata con geometrico rigore i rapporti dei protagonisti, di Brauni e di Reginaud o tra loro, e di tutti con l'invasione delle formiche, si sviluppano in un cresc endo di trovate esasperatamente cerebrali - le invenzioni anti-formica, i sacchi di formiche morte - che culminano nella favolosa apparizione del formichesco si gnor Baudino. L'aspirazione di Calvino alla fantasia pura sfrutta in questo racconto, con estr ema leggerezza, un nucleo leopardiano che per viene integrato dall'allusione a un a problematica pi attuale, kafkiana, nell'impotenza dei protagonisti di fronte al l'incubo. Ma nel rigoroso nitore kafkiano, nell'assorto impegno con cui Calvino sviluppa l
a lotta paradossale contro la formica, ribalenano a tratti la favola e il sorris o per aprirsi nell'immagine finale del mare, riaffermando cos l'altra faccia, que lla buona, della natura-mostro, e riaffermandone la pienezza del rapporto, sebbe ne casuale: il mare andava su e gi contro gli scogli del molo, muovendo quelle barche dette " gozzi", e uomini dalla pelle oscura le riempivano di rosse reti e nasse per la p esca serale. L'acqua era calma, con appena uno scambiarsi continuo di colori, az zurro e nero, sempre pi fitto quanto pi lontano. Io pensavo alle distanze d'acqua cos, agli infiniti granelli di sabbia sottile gi nel fondo, dove la corrente posa gusci bianchi di conchiglie puliti dalle onde. L'armonia dell'uomo con la natura dunque assai precaria: possibile solo nel Baro ne, ma restando la natura un'antitesi, un oggetto da strumentalizzare nell'affer mazione dell'uomo, e comunque vagheggiandola e proiettandola nel passato. Il sos tituirsi alla natura del mondo meccanico come antitesi, l'inserimento dell'uomo nella nuova condizione dopo l'esperimento dei Giovani del Po, sar ripreso nello S mog del '58: ma contemporaneamente ai racconti gi visti, che vedono il decadere e lo sbriciolarsi del mito della natura oggettiva, dal '53 al '58, negli Amori di fficili, Calvino sviluppa quella che era stata la scoperta del Visconte; non dim idiati, ma alienati e via via sempre pi estranei alla propria umana natura, i pro tagonisti dei Racconti formano una galleria di fratelli minori di Agilulfo, e lo preparano. Il possesso critico e razionale della realt precaria, avviene per mezzo di illumi nazioni intermittenti che colpiscono il vuoto della natura umana proprio l dove d ovrebbe manifestarsi la sua forza vitale, cio nell'amore. Gi nel '49, nell'Avventura di un soldato, Calvino stravolgeva questo istinto in u na paradossale questione di principio; nell'Impiegato dilata le dimensioni di un 'avventura, piacevole e banale, fino all'inverosimile, fino a far risultare preg iudicato il lavoro quotidiano del giovanotto; frappone tra il miope e il suo pri mo amore gli occhiali, coi quali non riconosciuto, senza i quali non ne riconosc e il volto; e tocca infine una situazione pi estesamente paradossale, sia pur sem pre nel breve giro dell'avventura e dell'episodio apparentemente qualunque, nell 'attaccamento al libro che taglia il Lettore fuori dal mondo umano e naturale: Amedeo, pur sempre nel trasporto dei suoi abbracci, cerc d'avere una mano libera per mettere il segnalibro alla pagina giusta: non c' nulla di pi noioso, volendosi rimettere a leggere in fretta, che dover star 1 a sfogliare senza ritrovare il f ilo. L'intesa amorosa era perfetta. Poteva forse essere protratta pi a lungo ma n on era forse stato tutto fulmineo, in questo loro incontro? Imbruniva. gi gli sco gli s'aprivano, a scivolo, in una piccola cala. Adesso lei era discesa l e stava a mezz'acqua. - Vieni anche tu, facciamo un ultimo bagno... - Amedeo, mordendosi un labbro, contava quante pagine mancavano alla fine. L'avventura del Viaggiatore tutta un sottile succedersi di piccoli gesti parados sali: nel lungo viaggio in treno verso la fidanzata, il minuzioso rituale di ges ti pignoli la gioia stessa pregustata in anticipo, dell'amore, che lo isola dal fastidio delle presenze esterne e che esaurisce nell'attesa tutta la sua tension e: ".e capiva che non sarebbe riuscito a dirle nulla di quel che era stata per l ui quella notte, che gi sentiva svanire, come ogni notte d'amore, al dirompere cr udele dei giorni". Se l'Avventura di due sposi ammette, in un istante di ottimismo, la possibilit di un sentimento vero e sano, la realt dell'amore svanisce continuamente nei discor danti turni di lavoro dei due giovani; e la Paulatim bolla definitivamente, nel gesto vuoto di movente umano, stilizzato alla Ionesco, la non-esistenza di quest e figure. Amedeo il lettore, Federico il viaggiatore, Ottavio, Paulatim, sono i presuppost i di Agilulfo, del quale manca loro pure la consapevolezza: si realizzano al di fuori di ogni rapporto autentico, esprimono se stessi in un rituale meccanismo i n cui tutt'al pi l'eco di un momento passionale e spontaneo ormai inaridito, s'in
tensificano con uno o pi oggetti - occhiali, libro, confort ferroviario - che fra ppongono tra s e il mondo e al quale restano tenacemente attaccati. Se Marcovaldo il diseredato ignorava il mostro tentacolare e irridente della citt nell'ostinat a ricerca della natura, queste figure ignorano molto di pi, ignorano s, il prossim o e la natura, che vive splendida ed estranea nella limpidezza del mare, nel vol o festoso e favoloso degli uccelli liberati dalla voliera. Il contrasto patetico e drammatico citt-natura non esiste pi; l'ultima sua voce, del '54, era La gallin a di reparto, dove l'animale era l'ancora di salvezza dell'operaio, violentato d alla macchina fin nel ritmo del pensiero. Qui c' solo il prodotto dell'alienazion e nell'uomo, che ignora tutto di s all'infuori di quell'oggetto o situazione con cui si identifica. La piet, il sorriso, la tristezza, l'umorismo, il senso di mod ernissima favola con cui Calvino costruiva l'epopea di Marcovaldo, lasciano il p osto all'ironia lucida e ingentilita nel divertimento, ma impietosa nel bollare la non-coscienza di s, la solitudine di queste figure che muovono nel vuoto moral e, nella non-libert. Ma c' una figura che "vede" il mondo perch un poeta, che riconosce i doni della v ita nell'attimo stesso in cui cadono sotto i suoi occhi: e tuttavia l'immagine s uperba di armonia della donna che nuota nel mare, degli isolani al lavoro e del grappolo di vecchie case arroccate sul monte e pullulanti di vita, gli ispirano angoscia: Questa angoscia del mondo umano era il contrario di quella che gli comunicava po co prima la bellezza della natura: come l ogni parola veniva meno, cos qua era una ressa di parole che gli si affollavano alla mente... Parole e parole, fitte, in trecciate le une sulle altre, senza spazio fra le righe, finch a poco a poco non si distingueva pi, era un groviglio da cui andavano sparendo anche i minimi occhi elli bianchi e restava solo il nero, il nero pi totale, impenetrabile, disperato come un urlo. Il silenzio e l'urlo sono gli estremi allucinanti di una condizione paradossale di non libert e incomunicabilit, anche pi amara che nelle altre avventure; il senso doloroso della realt la spinta segreta che muove Calvino in questa ricerca, e ch e si rifrange criticamente in ironia e paradosso, per indicare l'incubo della re alt che fugge dal poeta. 8 La serenit di spirito con cui Cosimo, nell'episodio degli Spagnoli, restava fedel e al proprio impegno, costituiva, insieme alla generale capacit di affermarsi del barone nell'attivit sociale, un momento positivo, al tempo stesso ideologico e p ratico, dei rapporti uomo-mondo. La speculazione edilizia invece il momento negativo, non pi vagheggiato ma realis tico, dei rapporti tra intellettuale, cultura ed economia, in un ben definito mo mento storico, che quello del boom edilizio Italiano degli anni 1950-1960. Elena Craveri Croce ("Tempo presente" agosto 1957) indicava nelle ultime pagine del Barone rampante una "malinconia" riflessa dall'allontanarsi della Rivoluzion e francese e l'affacciarsi di una riserva antistoricistica e antiilluministica, che dava al romanzo il senso di un discorso aperto: infatti quel meno sereno rap porto di Calvino col nostro tempo continua nella Speculazione, trasformando la s ua indagine, volta ad illuminare i punti critici della societ, in un atteggiament o ben pi radicale, in cui si pu forse individuare una sorta di anarchismo e che pr ende forma decisa appunto dopo il Barone, sostenendo con nuovo vigore polemico i l Cavaliere, lo Smog e lo Scrutatore. Nell'intervista concessa a "Paradosso" (n. 24-25, 1960), Calvino definisce la su a posizione ideologica nei termini dell'anarchismo come "esigenza che la verit de lla vita si sviluppi in tutta la sua ricchezza, al di l delle necrosi imposte dal le istituzioni e come volont di infrangere tutti i valori che si sono solidificat i fin qui e che portano il marchio dell'ingiustizia, e ricominciare da zero"; de l comunismo come "esigenza che la ricchezza del mondo non venga sperperata e com e spirito pratico al servizio della moralit storica" ("Paradosso" n. 29-30, 1962) . La Speculazione dunque la contestazione che Calvino muove al compito dell'intell
ettuale nella societ, all'economia in disorganico sviluppo, e ad una cultura insu fficiente, per difetto di dialettica, ad agire nella storia: nel Labirinto Calvi no afferma che la classe operaia dell'Ovest non pi sicura d'esser l'antitesi fondamentale del ca pitalismo perch ora le forze decisive sembrano altre... il capitalismo sente fina lmente d'esser vecchio... il socialismo sente pi che mai d'esser giovane.. e la c ultura in questa situazione cos complessa e cangiante si dispone su tanti piani c he la critica storicistica, lineare e semplificatrice, non basta pi e deve chiede re il soccorso... dell'etnografo e del sociologo. Creando il personaggio di Quinto Anfossi, borghese deluso dal comunismo, Calvino immerge decisamente l'intellettuale in una condizione socioeconomica precisa, s uperandone cos la metastoricit che denunciava nel Midollo del leone; gli d una chia ra consapevolezza critica e una capacit di discussione ideologica che attualizza e rinnova l'impianto sveviano della figura (impianto avvertibile nei protagonist i dei lontani racconti L'occhio del padrone e I fratelli Bagnasco di cui gli Anf ossi sviluppano l'accidiosa e compiaciuta inettitudine) La struttura del racconto narrativa; di saggistico ci sono appunto le zone di di scussione ideologica inserite nella figura del protagonista via via che Calvino ne definisce la dimensione intellettuale: imperniate sul momento liberistico del l'iniziativa privata e sulla simpatia per l'uomo nuovo Caisotti, in cui Quinto v ede il "termine dell'antitesi", costituiscono non la sintesi storica che Quinto crede, compiaciuto, di realizzare nell'impresa edilizia, ma una pretesa assurda, che le vicende smentiranno implacabilmente. Idee progressiste e liberalismo borghese coesistono s, ma in una dimensione che, ben lontana dall'essere organica, resta moralmente ambigua (".e lui, Quinto, era appunto un borghese, come gli era potuto venire in mente d'esser altro?"), cos c ome le idee stesse sono mozze velleit: questa ambiguit morale, questa incapacit di Quinto di esser fino in fondo uno spregiudicato imprenditore, un nuovo Felix Kru ll perch troppo onesto e perch il suo liberismo un ripiegamento borghese, il lievi to fantastico del racconto. l'ambivalenza ideologica dell'intellettuale ripiegat o sulle sue origini borghesi a determinare sistematicamente il suo scacco. Non s i afferma nell'ambiente culturale di sinistra di ronte al quale ha bisogno di se ntirsi anche un realizzatore in campo economico. Un tempo solo chi godeva d'una rendita agricola poteva fare l'intellettuale... l a cultura paga ben caro d'essersi liberata da una base economica. Prima viveva n el privilegio, per aveva radici solide. Ora gli intellettuali non sono borghesi e non sono proletari... Noi... stacchiamo le prospettive storiche dagli interessi , e cos perdiamo ogni sapore della vita, e ci disfiamo, non significhiamo pi nulla . Non si afferma nell'affare edilizio, perch quella che dovrebbe essere azione davv ero individualistica, gravata di remore e scrupoli ideologici, si disperde nell' esperienza moralmente ed intellettualmente caotica del cinema; fallisce nell'avv entura erotica, perch anche la sua consistenza umana e rarefatta; e fallisce anch e, degradandosi moralmente a livello infimo, nell'avventura con la signora Hofer , che lo beffa come uomo e come proprietario, nel tentativo che egli compie di r ivalersi su di lei degli altri scacchi. L'estrema padronanza stilistica, permette a Calvino di scivolare senza stridori, quasi insensibilmente, dal momento della discussione, smussata e controllata co n assidua attenzione, nella situazione narrativa realistica sottilmente paradoss ale: la disponibilit morale e ideologica di Quinto investe Caisotti di un rifless o di simpatia-antipatia, da cui il personaggio acquista uno straordinario riliev o fantastico che ricorda certe epiche figure di Balzac. In realt il romanzo dell' 800 francese presente in pi modi: essendo la Speculazione impostata essenzialment e sui rapporti tra Quinto e Caisotti, nel primo individuabile qualcosa dell'avve ntura intellettuale, accentrata su momenti ideologici antitetici, di Julien Sore l risucchiato in senso conservatore; e pertanto viene lucidamente ironizzata.
C', nelle zone "saggistiche", un coincidere di Calvino col suo protagonista, che si esprime in un linguaggio prevalentemente colto-critico, nel quale avviene l'o ggettivazione di figure e vicende: ed il piano che assorbe qua e l, oggettivandol o, il linguaggio mimetico-dialettale di Caisotti, di Angerin, della Lina, o quel lo familiare e dimesso, corrente, che parlano i personaggi e dal quale Calvino e sce nell'ironia quando attacca l'intellettuale, servendosi del discorso indirett o o dell'indiretto 1ibero ("Era uomo storicista, rifiutante malinconie, uomo che ha viaggiato, ecc., insomma non gliene importava niente"), o stravolgendo le es pressioni pi usurate del gergo politico ("La mia superiorit su di loro - pensava Q uinto - che io ho ancora l'istinto del borghese che loro hanno perduto nel logor io delle dinastie intellettuali. M'attaccher a quello e mi salver, mentre loro and ranno in briciole"); oppure immaginosamente parodiando il linguaggio letterario stesso ("Quinto rincas come portasse sulle spalle un cadavere: strangolato dalla bonaria parlantina di Masera, l'individualismo del libero avventuroso imprendito re stralunava i suoi romantici occhi al sole del meriggio"). Ed lo stesso lingua ggio che si sofferma minuziosamente a deformare i lineamenti del filosofo bens e del poeta Cerveteri (cfr. cap. VI) che discutono le origini hegeliane di Marx: d ue ritratti cos paradossali e burattineschi, da rasentare quasi il divertimento. Ma Caisotti non ironizzato: oggetto dell'attrazione-repulsione di Quinto, vive a tutto tondo in una dimensione che, sfumando miticamente a livello premorale (il sospetto dei suoi torbidi rapporti con la Lina, la violenza cieca su Angerin, l 'origine montanara), si sviluppa su un piano naturalistico, dove Calvino analizz a, con un'insistenza insolita, ogni sua fibra fisica e morale per ridurla ad imm agini sensibilmente favolose, che esprimono ora l'immobile attesa del granchio, ora la contenuta voracit dello squalo, ora la bruta violenza del toro. In queste immagini favolose assorbito il momento morale del personaggio, cio quella premora lit che tende all'affermazione cieca ed assoluta, essenzialmente astorica, asocia le, grezza e perci tanto pi potente. La figura di Caisotti vive di un'autonomia fantastica tra naturalistica e favolo sa, che per non esclude il momento o la venatura storica, ma la subordina al suo cieco istinto di affermazione: il ricordo della Resistenza, durante la quale ha combattuto come Quinto sulle stesse montagne liguri, per lui l'astuzia con cui c onvince questi a rinunciare al pagamento di una cambiale, mentre per l'intellett uale il momento da cui poteva nascere la nuova, sana, societ italiana, che invece , proprio attraverso Caisotti, dimostra di aver seguito un processo involutivo: " Bella curva aveva fatto la societ italiana!"; "La squallida invasione del cemen to armato aveva il volto camuso e informe dell'uomo nuovo Caisotti..."; e ancora "... capiva che ogni sua mossa non faceva che favorire l'ascesa dei Caisotti, u n'equivoca e antiestetica borghesia di nuovo conio, come antiestetico e amorale era il vero volto dei tempi". La speculazione edilizia ha, perci, anche il valore di una verifica negativa, co ndotta sul binario culturale ed economico, delle premesse rinnovatrici che Kim e sprimeva nel Sentiero; la non fusione organica di societ e cultura, la decadenza di un'etica che, pur essendo consapevole delle ragioni storiche com' quella di Qu into, non pu assorbire e moralizzare quanto premorale ed estraneo a una vera cosc ienza civile: Caisotti a vivere la realt dei tempi, non il candido e fiducioso co munista Masera e Quinto, donchisciotte della libera iniziativa, non vuole accett arla L'ultimo scacco dell'intellettuale, coincide con il ritorno alla dimensione real istica di Caisotti, ormai strafottente per la vittoria conseguita e simbolo di u na realt autonoma in via di incontrollata espansione. E qui finisce la favola avv enturosa di Caisotti, "eroe disarmato di un mondo ostile", che supera tutte le p rove grazie all'attitudine che gli rimasta "a considerare come lotte sociali tut te le difficolt che gli si presentavano". Il motivo favoloso dell'avventura-prova, trasferito nel flaccido e premorale Cai sotti, trova qui la storicizzazione pi amara che Calvino abbia mai detto: l'integ razione con la realt avviene in Caisotti, non nell'intellettuale critico e consap evole. Ancora una volta la condanna tocca l'intellettuale, figura non pi metastorica, ma paradossalmente antistorica, per quel ripiegamento sulle proprie origini borghe
si, e per quella sua impotenza a fare attrito con la realt fattuale e ad assolver e positivamente la sua funzione nella societ. La rigorosa oggettivazione flaubertiana (cfr. intervista di Roberto De Monticell i a Calvino, "Il giorno" 18 agosto 1959) di questo fallimento, il critico e avve nturoso ingranaggio funzionale degli episodi e delle figure, che richiama lo Ste ndhal de Il Rosso e il Nero, l'attrazione-repulsione, accentrata sulla figura di Caisotti, che riprende l'atteggiamento di Balzac, legato ideologicamente all'ar istocrazia, verso la nascente societ borghese, sono momenti del grande romanzo bo rghese dell'800 che Calvino, che non crede alla validit attuale di questo tipo di narrativa, riutilizza per inquadrarlo in un superamento ironico. Il romanzo leg ato alla societ borghese; la crisi della societ investe necessariamente la sua tip ica espressione letteraria. L'interesse di Calvino (cfr. Midollo) converge verso la crisi della societ e della cultura: di qui nasce la necessit di inserire momen ti di discussione criticai , momenti saggistici - nel rimanipolamento degli elem enti del romanzo borghese, momenti di anarchica contestazione e rifiuto del nega tivo che portano La speculazione edilizia nell'ambito di una poetica di rapporti vivi che trovano il terreno pi fecondo nell'adesione continua alla realt storica, dove assumono forma poetica grazie allo stoico razionalismo dello stile, che Ca lvino ribadisce qui con nuova e pi virile fermezza e inglobante pregnanza. Lo stile stoico-razionalistico la moralit della Speculazione, come, poi, anche de llo Scrutatore, il suo autentico contenuto, che appare evidente dal fatto che Ca lvino, che vive "naturalmente" la propria condizione di intellettuale, opera su un terreno sostanzialmente autobiografico: trattando una figura con cui, almeno in parte, consente, gli strumenti di cui pu servirsi per darle forma poetica sono appunto la discussione (suscettibile di chiarimento razionale) e l'ironia (stru mento altrettanto razionale) che condanna i rapporti inerti e le zone morte (l'i ngegner Travaglia, l'avvocato Canal, il notaio Bardissone, lo stesso fratello sc ienziato di Quinto, Ampelio, condividono la sorte del protagonista) Le riserve che Pietro Citati (op. cit.) avanzava sullo stoicismo di Calvino semb rano totalmente smentite dall'attrito, fecondo di poeticit, con l'autobiografismo di questo ironico e breve romanzo. Al quadro amaro e critico della societ italia na degli anni '50-'60 tracciato in questo racconto, fanno riscontro le due canzo ni composte da Calvino, musicate da Sergio Liberovici ed interpretate con fresca sensibilit da Piero Buttarelli, incise per "Cantacronache" (dischi n. 1 e n. 3), ed intitolate Dove vola l'avvoltoio? e Oltre il ponte. Delle canzoni di questa collezione discografica scrive Franco Antonicelli (disco n. 1): "Sono nate nell'inverno e nella primavera del 1958, furono cantate in ca sa di amici, in sedi di associazioni, dai loro stessi autori. Questo movente e q uesti espedienti giullareschi sono stati insieme una necessit e una trovata genui na, una ragione della loro freschezza, della realizzazione "non mediata"". Nel complesso di queste canzoni, nelle quali Antonicelli sente uno spirito popol are e che "per forza... diverranno popolari", alcune delle quali sono animate da un'ironia sferzante e polemica, come Patria mia di Fortini-Liberovici e Viva la pace di Straniero-Liberovici, direttamente rivolta alle condizioni economiche e politiche di oggi - come del resto La speculazione edilizia -, mentre altre son o epiche e dolenti rievocazioni della vita partigiana, dei rastrellamenti e degl i stermini, Dove vola l'avvoltoio? certamente una delle pi poetiche. Poetica alla maniera di Calvino: l'immagine dell'avvoltoio che, rimasto privo di cibo perch l a guerra finita, va a cercarne al fiume, ai tedeschi, alla madre e all'uranio e da tutti viene respinto finch riuscir a divorare coloro che complottano una nuova guerra, un'immagine cupa e drammatica che ricorda certe figurazioni del Visconte dimezzato, e simboleggia favolosamente, su un ritmo misto di recitato e cantato , tra di cantastorie e ballata, lo spettro di un nuovo conflitto; ma, giusto il discorso di Antonicelli che vede in queste canzoni la cultura scesa in campo sul l'esempio di Bert Brecht, il simbolo favoloso, scontrandosi con le figure realis tiche, rivela nel modo pi diretto la realt umana che nel suo vivere quotidiano sof fre e si ribella alla prospettiva di un'altra guerra. La polemica e l'ironia Cal vino l'ha affidata al racconto; nella canzone ha riversato il momento favoloso-m oralistico davvero popolare che lascia sul fondo la polemica. Se per trasfigurazione lirica l'Avvoltoio si pu quasi collocare accanto alla stup
enda Zolfara di Straniero-Amodei, Oltre il ponte una rievocazione tra elegiaca e picaresca dello stato d'animo con cui lo scrittore affront, insieme ai compagni, la lotta partigiana. Di nuovo gli "uomini" vittoriniani, colti in gesti e pensieri e speranze vive e nette, scavalcano l'amarezza e la delusione per riallacciarsi alle speranze dell a nuova generazione, ricuperando con grande freschezza le memorie di quasi quind ici anni prima: Avevamo vent'anni. E oltre il ponte / - oltre il ponte ch' in mano nemica - / ved evam l'altra riva, la vita, / tutto il bene del mondo oltre il ponte. / Tutto il male avevamo di fronte, / tutto il bene avevamo nel cuore. / A vent'anni la vit a oltre il ponte, / oltre il fuoco comincia l'amore. 9 Nella Nuvola di smog del 1959, Calvino ci introduce direttamente nella condizion e alienante della grande citt industriale: un protagonista accidioso e una citt do ve ogni cosa nera di polvere ed estranea, costituiscono la situazione negativa c he il sottofondo, o meglio l'atmosfera, di una serie di episodi realistici e pur e sottilmente fantastici, talvolta magici, talvolta paradossali. Calvino, in risposta all'analisi strutturale operata da Mario Boselli (Il lingua ggio dell'attesa, "Nuova Corrente" n. 28-29,1963) sul linguaggio di questo racco nto, parla di una struttura saggistica del racconto stesso, ma continuamente abr asa dall'intervento narrativo vero e proprio. In realt la perfetta organizzazione geometrica dello Smog, pu dare l'idea di un so ndaggio d'opinione, dove il protagonista sia un anonimo intervistatore, e le alt re figure i campioni rappresentativi di livelli e mentalit diverse, sull'argoment o dei loro rapporti con lo smog. L'importanza che, nella Speculazione edilizia, aveva la discussione critica all' interno del protagonista, qui castigatissima e ridotta a stato d'animo grigio e tediato; una disponibilit negativa e monovalente, non dialettica e critica come q uella di Quinto Anfossi, che perci investir di questa sua negativit i rapporti del protagonista con lo smog e con gli altri personaggi. La lontana aspirazione di N ino Torre ad integrare la sua umanit col mondo industriale e con la natura qui to talmente rovesciata: nello Smog Calvino assomma le "verit" scoperte nella pazient e indagine dell'umanit dei racconti; la presenza frustrante della citt nella quale Marcovaldo cercava la natura sfuggente, diventata la smisurata barriera morale che si alza tra il protagonista e la campagna, l'alienazione dei tipi degli Amor i, diventata l'isolamento spirituale cronico in cui sono incasellati i protagoni sti dello Smog; ognuno pare chiuso nel suo mondo, nella sua funzione. Nonostante tra i vari episodi ci siano dei racconti narrativi capaci di fonderli e collegarli agilmente, a ogni figura corrisponde, con estrema nettezza, il pro prio episodio, come se ognuno fosse chiuso in una scatola: e in ogni scatola Cal vino indaga alla ricerca di un significato e di un valore e libera questa indagi ne in invenzioni fantastiche assai sottili e castigate, ma non lontane dalla sua propria estrosit. Prendiamo la signorina Margariti, affittacamere: vecchia, sord a, piccolo-borghese, ignora completamente la presenza dello smog, perch ignora il mondo nuovo che la circonda, e vive in una sporca cucina, felice di tirare a lu cido una fila interminabile di salotti buoni dove non entra mai nessuno; ma la s ua solitudine riscattata fantasticamente dai soliloqui notturni col gatto Prendiamo Avandero: aggira con malizia il problema della polvere nera sul propri o tavolo d'ufficio, deponendo i suoi incartamenti su quello del collega, ed evad endo ogni fine settimana verso la pesca, lo sci, le escursioni. Per lui la citt f atta proprio per andarsene. Sussiegoso, sornione, falso zelante, mani candide, i l suo rapporto con la citt industriale ironizzato perch evasivo. Omar Basaluzzi, il sindacalista comunista, prende invece sul serio il suo rappor to con la citt: cerca di trasformare tutto il grigio fumoso in valore morale, in norma interiore. Basaluzzi ironizzato per il suo severo impegno politico, ma viv e soprattutto in un solitario vagheggiamento ideale del mondo socialista: e la n ebbia e il fumo avvolgono la riunione di partito, dove gli uomini incappottati s embrano orsi. La "norma interiore", il rigore morale, sfumano cos in un'immagine favolosa e lievemente grottesca.
Claudia bella, ricca, elegante: anche lei, come l'affittacamere, ignora il mondo industriale, ma perch appartiene all'alta borghesia e non condizionata in nessun momento della sua vita dalla realt problematica che pure la circonda. cos, quando il protagonista le mostra la grande nube "tra bituminosa e marrone" che, senza spiccicarsi da terra, scorre sulla citt cancellando nuovi quartieri mentre ne ris copre altri, Claudia si distrae guardando un volo di uccelli: niente che sia "br utto" pu sfiorarla, e meno ancora il pensiero che l'antica bellezza del parco e d el fiume possano consolare di una bruttezza nuova; non pu condividere l'angoscios a ricerca, in cui si viene attenuando e rischiarando l'accidia del protagonista, di "una nuova immagine del mondo che desse un senso a questo nostro grigiore e valesse tutta la bellezza che si perdeva, salvandola...". E la polvere nera non pu nulla sul suo corpo, quando, nella camera d'affitto, l'uomo si getta su di lei , non spinto da uno spontaneo atto d'amore, ma dall'ossessivo timore che la polv ere possa sfiorarla: lo smog diventato il simbolo tangibile del mondo industrial e, l'elemento di crisi e alienante che Calvino taceva negli Amori difficili, e c he qui tradotto in immagine e atmosfera morale. L'ingegner Cord la figura pi ricca di significati realistici e favolosi, per i suo i ambivalenti rapporti con il mondo industriale: in lui coesistono, come momenti complementari, l'abile uomo d'industria e il visionario, che sogna, intorno agl i stabilimenti, citt-giardino e razzi antismog, il dirigente sicuro della propria efficacia e fiero della carica onorifica di presidente dell'EPAUCI, perch la lot ta per la purificazione dell'atmosfera dalle scorie dei prodotti siderurgici "un a battaglia per motivi ideali" L'ironia balenante a tratti dai colloqui del protagonista con Cord - due mondi op posti, il primo tutto riserve mentali, l'altro tutto impegnato nella sua attivit - sbocca nella scoperta favolosa di ci che Cord ambiguamente : ".era l'ingegner Cor d il padrone dello smog, era lui che lo soffiava ininterrottamente sulla citt, e l 'EPAUCI era una creatura dello smog, nata dal bisogno di dare a chi lavorava per lo smog, la speranza di una vita che non fosse solo di smog, ma nello stesso te mpo per celebrarne la potenza". L'ossessione dello smog, pian piano, acquista altre risonanze, un'allusivit che si viene concretando nell'idea della nube atomica, anche quando ormai quel mostr o a due facce che Cord vien riconosciuto e smitizzato dal protagonista. Ma non vi ene smitizzato l'incubo che avvolge il mondo e accentra l'angoscia dell'uomo che ne cerca una nuova faccia, una nuova immagine. Il nodo ideale che muove questo racconto , appunto, la ricerca dell'immagine nuov a che la citt non gli offre, se non, forse, in quella quasi astrale, ma estranea - non per caso guardata attraverso il diaframma del vetro, che anche diaframma m orale - della fabbrica: D'improvviso contro il buio di fuori la vetrata apparve ricoperta d'un rninuto s meriglio, certo fatto di polvere di ghisa, luccicante come il pulviscolo una gal assia. Il disegno delle ombre l fuori si scompose; pi nette risultarono in fondo l e sagome delle ciminiere, incappucciate ciascuna da uno sbuffo rosso, e sopra qu este fiamme per contrasto s'accentrava l'ala nera come d'inchiostro che invadeva tutto il cielo e vi si scorgevano salire e vorticare punti incandescenti. Ma il protagonista guarda e non si placa, non accetta quest'immagine come non ac cetta il mondo dello smog nonostante la pervicace volont d'immergercisi, per cerc are la libert toccando il fondo della disperazione. Il trapasso da una concezione estetica naturalistica ad un'altra, dove la natura sar respinta ai margini del n uovo paesaggio geometrico degli stabilimenti e delle fabbriche, l'incubo vero, c he la prospettiva del fungo atomico sottolinea drammaticamente, che tiene l'uomo sospeso, disadattato, alienato. L'allusivit kafkiana che era nella Formica, ritorna nello Smog con ben altra preg nanza: e il surrealismo pi realismo che mai: ci che nella storia delle formiche te ndeva al divertimento paradossale e alla fantasia pura, in quest'ultimo racconto rapportato ad un'autentica problematica dell'esistenza umana. cos la scoperta favolosa delle lavanderie di Barca Bertulla, sulla magica scorta dei carri trainati da cavalli che appaiono nelle vie della citt, non ha p nulla del
la casualit che aveva la scoperta del mare nella Formica: la visione di acque, di alberi e lenzuoli stesi al sole e di risa di lavandaie, appare come la riscoper ta mitica della natura da parte di chi, vivendo in un mondo innaturale perch prev alentemente industriale, si trova ad essere proiettato verso il futuro: ".i camp i dove le donne come vendemmiassero passavano coi cesti a staccare la biancheria asciutta dai fili, e la campagna nel sole dava fuori il suo verde tra quel bian co, e l'acqua correva via gonfia di bolle azzurrine. Non era molto, ma a me che non cercavo altro che immagini da tenere negli occhi, forse bastava"; la logica dell'immagine - la presenza della nuvola di smog - e la logica realistica del ra cconto - tutta la citt si libera dal fumo a Barca Bertulla - a rendere necessaria la riscoperta della natura-mito. Se lo smog un mostro, la natura dunque diventata un mito: siamo presi tra due ir razionali che sacrificano la condizione umana: i rapporti dei vari personaggi co n lo smog difettano, in un modo o nell'altro, di umanit, e il protagonista stesso , riscoprendo la natura, pu dire soltanto che forse quell'immagine gli basta: il che non d nulla per definitivo, anzi apre un altro circuito di problemi. Sostanzialmente questo forse la spia dell'enigmatica tensione poetica del racco nto espressa anche da alcune immagini: quella della nuvola di smog - che strisci a, terrificante, sulla citt -; quella della fabbrica notturna - magica e gelida, estranea -; e quella delle lavanderie; vecchiotta e confortante immagine di un p ezzetto di mondo sopravvissuio ma ancora estranea perch quel mondo insufficiente a sopportare il peso di una moderna e complessa problematica morale. cos tra ques te immagini estreme e disparate che coesistono, carica ognuna di implicazioni cu lturali divaricanti, si stabilisce e permane una sospesa perplessit che denuncia i molteplici fattori concorrenti a creare una condizione di vita disumana e irra zionale e che pertanto va rifiutata o razionalizzata. Mario Boselli, analizzando la struttura linguistica dello Smog, propone alcune d efinizioni dello stile di Calvino assai lucide e convincenti, nonostante che il suo strumento critico lo costringa a non poche riserve e limitazioni e ulteriori specificazioni. Nell'"orizzontalit stilistica", nello squallore e grigiore della storia c' in effe tti il senso di provvisoriet che dice Boselli, ma non l'attribuirei ad una realt n aturale in via di distruzione e all'incapacit del protagonista di possederne l'al tro aspetto, in formazione: nell'insistenza ossessiva sul grigio, lo squallido, lo sporco (da p. 527 a p. 532 ci sono ben 11 capoversi che tornano ininterrottam ente sull'argomento) vedrei piuttosto l'immersione favolosa in questo simbolico labirinto della realt industriale, l'orgia paradossale e intellettualistica della polvere o disagio morale: e mentre l'avventura dello sporco viene assumendo pi v aste e appunto ossessive dimensioni, aumenta anche il rifiuto morale di questa r ealt, fino a culminare nell'incontro con Claudia e nella smitizzazione di Cord. Ri fiuto, dunque, pi che impotenza; e del resto Boselli lo intuisce quando dice che Calvino non tenta neanche di raggiungere un'armonia morale e culturale ancora as sai lontana (cfr. La tematica industriale, "Menab" 5); ma ci non vuol dire passivi t al peso oggettivo del reale, perch il critico stesso riconosce che Calvino non o ltrepassa mai la linea di demarcazione tra soggettivit ed oggettivit. solo il caso di aggiungere che nel prevalere della lingua oggettiva lo Smog sembra segnare i l massimo avvicinamento all'oggettualit del linguaggio ma, al tempo stesso, segna il ripresentarsi pi netto e fermo dello stoicismo (l'insistenza e il rifiuto): e infatti Boselli affermando che il linguaggio di Calvino uno dei pi adatti a espr imere la contraddittoriet della nostra epoca, legge nello Smog il risultato estet icamente positivo della poetica dell'attrito e della razionalit (cfr. Mare dell'o ggettivit). Qualche riserva si deve avanzare sul limite che il critico attribuisce allo scri ttore nel fatto che non riconoscerebbe nello sviluppo industriale e scientifico la causa della consunzione dei linguaggi; nascerebbe un ripiegamento ironizzante di Calvino sul proprio linguaggio allo scopo di attenuarne la funzione oggettiv a. Ma, a prescindere dagli interventi di Calvino sulla dibattuta questione della li ngua, oggi (cfr. il dibattito del "Contemporaneo", gennaio-febbraio-marzo 1965), la funzione oggettiva del linguaggio viene attenuata, oltre che dal ripiegament
o ironizzante, anche da toni espressivi pi o meno calcati - il rifiuto, il sorris o, lo stupore, il disagio, l'angoscia - che costituiscono altrettanti misuratiss imi contributi soggettivi, e perci umani, a quella che Boselli ha ben definito "o rizzontalit stilistica": contributi che assolvono al compito preciso di riportare a livello dell'intelligenza, cio dell'uomo, un discorso nudamente oggettivo su u na realt cos caotica e difforme da rivelarsi, al di l dell'abbagliante rigorosa chi arezza della parola, del tutto irrazionale. Nello stile di questo racconto ha certamente pi posto il linguaggio oggettivo, di cose, che quello soggettivo; ma la funzione di quest'ultimo qui, pi che in qualu nque altra pagina di Calvino, essenziale per indicare come la riduttivit razional istica del suo stile raggiunga un nuovo vertice nel momento in cui fa oggetto de l racconto una condizione di vita irrazionale. 10 La discussione ideologica, che aveva larga parte nella Speculazione, raggiunge n ello Scrutatore una dimensione preponderante; non pi, come nel romanzo precedente , inserita nella narrazione dei fatti avventurosi, o abrasa dalle vicende dello Smog, ma, diventata la struttura stessa del racconto, lambisce, circonda e d sign ificato alle zone descrittivo-narrative, come l'apparizione degli internati nel Cottolengo, o delle poche figure di contorno. La situazione base, cio lo scontro tra Ormea, cittadino cosciente, che crede nell a razionalit del progresso e della storia, e il Cottolengo, la cui umanit va dal l ivello del non-essere a quello di individui completamente avulsi dalla vita dell a nostra societ, il dramma della coscienza davanti al vuoto, al caos, alla mancan za d'attrito. La struttura saggistica, cio di discussione e verifica dei signific ati sia del mondo di Ormea sia dell'altro sia dei loro possibili rapporti, acqui sta valore di letteratura della coscienza, perch, in Ormea, la lotta tra soggetti vit e oggettivit tutta interiore. Del resto, molte pagine di questo libro ci riman dano, pi o meno direttamente, ai grandi saggi del "Menab". Qui meno che mai Calvino crea un personaggio; ma d forma, piuttosto, alla sua vol ont di porsi in un punto nodale dei rapporti tra cultura e vita, per verificarne quelli pi sfuggenti e difficili. Le ragioni letterarie dei saggi sono accantonate o secondarie rispetto ai problemi che ne sono alla base; il Cottolengo non tant o una condizione umana paradossale (come quella del dimidiamento o dell'alienazi one nel Visconte e nel Cavaliere), quanto una prospettiva-limite, che Calvino sc eglie per inquadrare il concetto di umano nella tensione verso il futuro, che il momento moralistico della sua poetica (Midollo), sul quale la possibilit di un c ataclisma nucleare e di mutazioni genetiche agisce come alternativa negativa. Ma , all'interno della divaricante prospettiva creata dal progressista e dal Cottol engo, c' tutta una problematica relativa alla societ, alla classe politica dirigen te, alle istituzioni attuali, su cui Calvino opera in senso fortemente critico e che appunto il corpo del saggio. Le parti narrative sono brevissime e servono a collegare i momenti successivi del monologo. Distinguere tra parte saggistica e parte narrativa non agevole, sia per la serra ta spontaneit del monologo interiore, che passa senza sosta dalla riflessione all a visione-interpretazione della realt, sia perch gli scarsi episodi che hanno riso nanza poetica affiorano appunto qua e l dalle zone stilisticamente sostenutissime ma neutre in fatto di poesia: ci che prevale il processo intellettuale, che, inc entrato dalla parte di Ormea sulla fede e sulla lotta attiva per un mondo miglio re e sulla razionalit con cui deve essere costruito, viene a conflitto col Cottol engo, citt di dolore affondata in un silenzio astorico e atemporale; processo che scatena il dramma interiore che si agita secondo una dialettica illuministica, ma nutrita di storicismo, tanto pi stringente e furiosa quanto meno recuperabile al livello dei valori e significati abituali l'oggetto di critica. cos la vacuit di quel mondo annulla il valore del suffragio, e d significato parado ssale alle istituzioni democratiche, sottolinea l'involuzione social-politica de l dopoguerra e in definitiva proprio questa vacuit ha la funzione di mettere in c risi il marxismo e il razionalismo progressista. Ma il processo dialettico scatta senza tregua: dalla sua posizione di condanna ( la Chiesa e la polemica ugualitaria), Ormea passa a cercare le ragioni opposte, l'antitesi concettuale, che sfocia nella perplessit e nel dubbio di ci che umano,
davanti prima al broglio elettorale, poi al caso dell'esistenza dei minorati, ch e inevitabilmente suscita il ricordo di Sparta e di Hitler: la dialettica non tr ova possibilit di sintesi, e neanche, per il momento, una risposta soddisfacente e tale da rispettare, nell'atteggiamento razionale, tutti i livelli umani. Un pr oblema irrisolto ne genera altri, e la dialettica di Ormea segue un processo a s pirale, attratta com' dalla problematica senza fine e dalle difficolt di impedire alla ragione di abiurare. Il fatto che Ormea non sappia opporsi al broglio assai indicativo in questo senso: la tentazione di cedere all'irrazionale rischia ad ogni pagina, nella prima parte del libro, di risucchiare nella "vanit del tutto" gli strumenti razionali. Certo, le prime pagine dello Scrutatore sono animate e pervase dal furore della ragione impotente che condanna le insufficienze e le inadeguatezze culturali, so ciali, politiche, alle quali tutto l'ottimismo dello scrittore non trova rimedio e si ribella. Ma, data la direzione a spirale e pensiero, e in profondit che avv iene il ricupero di alcuni significati a o stato puro, clo privati, dalla precede nte furiosa condanna, delle stratificazioni istituzionali, o psicologiche, o sto riche che li hanno oscurati nel gioco dei rapporti sociali: si veda il secondo c apitolo, tutto impostato sul significato originario dell'istituto religioso, nat o liberamente dalla privata iniziativa di carit di un prete campagnolo, in un tem po in cui "la miseria era ancora senza speranza"; e sul modo di essere comunista di Ormea, che, nonostante certe riserve, al di sotto delle istituzioni rigide ( il blocco di ghisa), ricupera e sintetizza in s le ideologie nate con la rivoluzi one industriale, cio il razionalismo illuministico, il liberalismo borghese e inf ine, per coerenza storicistica, l'utopia del comunismo: ebbene, gi questo capitol o indica la volont di illuminare ideologia e realt al di l di tutte le stratificazi oni (nell'animo del comunista militante coesistono il rivoluzionario e il libera le olimpico); di tenerne presente l'arco evolutivo tutt'insieme e di demistifica re ideologie e realt portandone in luce, prima di tutto, ci che del momento origin ario , o pu essere, ancora attivo e valido. Il comunismo di Ormea e il mondo morto del Cottolengo sono i poli di un impossib ile rapporto, di un assurdo tentativo di sintetizzare entit inconciabili, fino a che Ormea, nella strenua attenzione alla realt, non ne scopre il cordone ombelica le che li nutre entrambi, l'amore, proprio all'interno dell'istituto fermo stori camente e divenuto passivo strumento politico. In questo senso i rapporti tra i due mondi si capovolgono: il mondo di Ormea, sano, spiritualmente ricco, dove es istono ragione, bellezza, progresso, dialogo, diventa, nell'episodio di Lia, gro ttesco e vacuo, provvisorio e ridicolo; mentre l'istituto che vegeta ai margini del tempo e della coscienza porta in s un solo, alto valore, la capacit di umanizz are con l'amore ci che non umano: "l'umano arriva dove arriva l'amore; non ha alt ri confini se non quelli che gli diamo". Nell'irta problematica che nasce dal franare dei consueti valori e nella perples sit, nel dubbio in cui sfociano le poche risposte del razionalista Ormea, affiora a tratti un'inquietudine pensosa che, partendo dalla ripugnanza e condanna del passato pi oscuro ("Era un'Italia nascosta...") investe il tempo umano, ragionand o dell'attuale significato della bellezza per una generazione che uscisse da un cataclisma nucleare con sembianze deformi rispetto alle nostre; dalla sofferenza e dalla ribellione all'inadeguatezza della cultura odierna, che spesso perde i contatti con l'uomo e la societ che le chiedono la sua funzione, Ormea si alza ad un livello di pi pensosa sollecitudine per il destino dell'uomo, che non dimenti ca le ragioni particolari di sconforto e di pessimismo, ma le supera in una visi one pi serena e distaccata, proiettata sul futuro e capace di sintetizzare anche valori antichi: cos la riflessione sul marxiano concetto di una morte e rigeneraz ione della natura, il fare della natura il corpo inorganico dell'uomo, il sostit uirsi a questa, imperfetta e affidata al caso, di quella nuova razionale natura che sar il progresso tecnologico industriale, che dar antenne ai ciechi e gambe ag li zoppi, schiarisce l'orizzonte ideale dello scrutatore, ma la scoperta dell'am ore che gli d il senso della compiutezza umana e del "fuoco" spirituale originari o: l'artigiano privo di mani che deve l'autosufficienza alle suore, l'immagine d ell'homo faber che, nella peggiore delle ipotesi - quella delle mutazioni geneti che - domina la natura, ricominciando da zero il suo ciclo di civilt, fidando in
s e consapevole dell'amore, anche se, come Ormea riflette, rischia di scambiare l e istituzioni per il fuoco sacro, ideale, che le informa. L'hic et nunc di Calvino si arricchisce di una nuova dimensione: l'odio-amore pe r la realt e per la vita si apre al ricupero di un valore che il Cristianesimo ha affermato duemila anni fa, e che ancora attivo oggi che non tutte le profezie d i Marx si sono avverate e con le quali, in una futura prospettiva storica, forse si ricongiunger ("figure come la madre non saranno pi sante eccezioni, ma la norm a") In questa faticosa liberazione del pensiero da ci che ripugna e dal peso del destino che lo sopraffaceva, Ormea scopre, nella riflessione sul futuro, e lasci andosi guidare dall'ansia di armonia e compiutezza, un doppio rapporto, di razio nalit e amore, quindi di libert, tra l'oggi oscuro e perplesso, e un futuro che, n onostante tutti i possibili cambiamenti (Labirinto), "sar" Questa l'intelaiatura dello Scrutatore, che nell'ardua lotta tra una soggettivit cosciente e razionale e l'oggettivit astorica e irrazionale, sembra esemplificare il contenuto dei saggi, cio la posizione culturale di Calvino rivelando la ragio ne della struttura saggistica di quest'opera e i suoi limiti, oltre ai quali si pu parlare di racconto o romanzo breve. Innanzi tutto non un caso che le ultime p agine siano intellettualisticamente dialettiche e pi aperte ad immagini che racch iudono, nel rigore della costruzione, un nucleo poetico-fiabesco; poi l'esame cr itico della societ o della cultura si distacca nettamente dal metodo saggistico v ero e proprio, imperniato su premesse, confutazioni, e conclusioni: qui non ci s ono conclusioni scientifiche, ma la riconquista di un terreno puramente umano l'amore, l'ora perfetta delle nane e delle gigantesse - dove l'homo politicus un isce al rigore razionale ci che acquista in fatto di sentimento. La lezione di Gr amsci, per il quale il letterato o il poeta devono arretrare ad un momento ben d efinito della realt, essendo compito invece del politico vederla tutta e in movim ento e fino in fondo, sembra accettata in una formula nuova, dove la funzione or ganica, politica dell'intellettuale nella societ stringe al massimo il legame con lo scrittore. Nel riflettere certi rapporti dell'esistenza, sembra a tratti che il politico prevalga sullo scrittore nella sfiducia verso la "sopravvivenza ind ividuale", a tratti (nella ricerca della sapienza di un'epoca, o del nocciolo im maginoso di una lettura), sembra che prevalga il poeta. In questo senso La giornata d'uno scrutatore indica che prima di tutto crisi uma na, di idee, una crisi di poetica dichiarata e fermamente controllata nel rigore stilistico. In realt, politico e poeta a un certo punto coincidono e si potenzia no reciprocamente nella costruzione rigorosa delle immagini dei "mostri", dalla cui pienezza realistica trapela una suggestione di fiaba. Quasi tutto lo Scrutatore una forte prova di stile, tanto pi evidente quanto pi ac cidentato e sfuggente l'oggetto di poetica, ottenuta proprio con quello stoico r azionalismo volontaristico che la situazione base mette in crisi: la densit stili stica, la complessit della sintassi che si vale, soprattutto nella prima parte, d i innumerevoli parentesi che riflettono l'incessante dialettica del pensiero nel l'illuminazione della tesi e dell'antitesi, la lunghezza inusitata dei periodi m assicci che non danno quasi respiro - e per converso la densa brevit delle parti oggettivo-descrittive - stanno a significare l'ardua lotta della ragione ad ogni momento insidiata dalla disperazione, lo sforzo virile di impadronirsi di ci che ambiguo, di nominare il nulla, di portare a logos il caos, col rimartellare del le stesse parole: "il caso che governa la generazione umana che si dice umana pr oprio perch avviene a caso"; "se questo mondo fosse l'unico mondo al mondo"; "com 'era lontano dal vivere come va vissuto quello che cercava di vivere" Il linguaggio, pur conservando qualcosa della chiarezza argomentante dei saggi, si stacca da questi per una partecipazione pi fonda e dolorosa di Calvino alla re alt, che tocca toni di orrorc severamente contenuto ("Era un'Italia nascosta...") o una spavalda ribellione che ricorda qualche tratto stilistico delle fiabe, ma ripreso in chiave di ironia nera e amara: La trappola era scattata da cso in parola l'eguaglianza to d'uomo come protagonista misera e infetta e che pur un pezzo. La Chiesa, dopo un lungo rifiuto, aveva pr dei diritti civili di tutti gli uomini, ma al concet della Storia aeva sostituito quella di carne d'Adamo sempre Dio pu salvare con la Grazia. L'idiota e il "c
ittadino cosciente" erano eguali in faccia all'onniscienza e all'eterno, la Stor ia era restituita nelle mani di Dio, il sogno illuminista messo in scacco quando pareva che vincesse. Lo scrutatore Amerigo Ormea si sentiva un ostaggio cattura to dall'esercito nemico. Lo scrutatore "prigioniero dell'esercito nemico" ricorda vagamente i fulmini imm aginosi con cui si chiudevano certi capoversi del Visconte: "Adesso era vivo e d imezzato" In questo rigore stilistico la donna col panchetto rivela la difficolt di esprime re la realt oggettiva, di passare dalla discussione ideologica ad un terreno scon osciuto e abnorme: E ci fu una pausa nel flusso dei votanti, e si sent un passo, come un arrancare, anzi un battere d'assi, e tutti quelli del seggio guardarono alla porta. Sulla p orta apparve una donnetta, bassa bassa, seduta su uno sgabello ossia non propria mente seduta, perch non posava le gambe per terra, n le penzolava, n le teneva ripi egate. Non c'erano, le gambe. Questo sgabello, basso, quadrato, un panchetto, era coperto dalla gonna e sotto - sotto alla vita, alle anche della donna - non pareva che ci fosse pi niente: sp untavano solo le gambe del panchetto, due assi verticali, come le gambe d'un ucc ello. - Avanti! - disse il presidente del seggio e la donnetta comincio ad avanz are, ossia spingeva avanti una spalla e un'anca e il panchetto si spostava di sb ieco da quella parte, e poi spingeva l'altra spalla e l'altra anca, e il panchet to descriveva un altro quarto di giro di compasso e cos saldata al suo panchetto arrancava per la lunga sala verso il tavolo, protendendo il certificato elettora le. La donna ha la ferma consistenza di certi mendicanti di Bruegel e una pienezza r ealistica e morale totale, che l'allusione alle conquiste civili sottolinea in m odo nuovo. pi scorrevole, sintatticamente, perch il mondo del Cottolengo ormai accettato dall o scrutatore, pi naturale nella massiccia immobilit e atonia delle figure, il ritr atto del vecchio contadino col figlio: che patiscono il peso di un destino oscur o e di una necessit ineluttabile: Il figlio era lungo di membra e di faccia, peloso in viso e attonito, forse mezz o impedito da una paralisi. Il padre era un campagnolo vestito anche lui a festa ; e in qualche modo, specie nella lunghezza del viso e delle mani, assomigliava al figlio. Non negli occhi: il figlio aveva l'occhio animale e disarmato mentre quello del padre era socchiuso e sospettoso, come nei vecchi agricoltori. Erano voltati di sbieco, sulle loro seggiole ai due lati del letto, in modo da guardar si fissi in viso, e non badavano a niente che era intorno... Ora che il giovane idiota aveva terminato la sua lenta merenda, padre e figlio, seduti sempre ai la ti del letto, tenevano tutti e due appoggiate sulle ginocchia le mani pesanti d' ossa e di vene, e le teste chinate per storto - sotto il cappello calato il padr e, e il figlio a testa rapata come un coscritto - in modo da continuare a guarda rsi con l'angolo dell'occhio. Il loro disegno nutrito della pienezza umana che nasce in Ormea non solo dalla c onsapevolezza culturale, ma dalla coscienza che carne sofferente. L'idea che sos tiene queste due figure quella dell'amore-necessit, ma ci che d risonanza poetica a questo padre e a questo figlio, alla donna col panchetto e, pi avanti, ai ragazz i-pianta-pesce o al gigante dalla smisurata testa di neonato, il senso opaco di destino che li ha impietriti, quale pi quale meno, nell'infelicit: a questo destin o Calvino d un nome, dice che Storia incagliata, stravolta contro se stessa. Stor ia, si potrebbe aggiungere, che ha subito un incantesimo, e lo patisce. Mi sembra questo il nucleo fantastico del libro pi difficile di Calvino, nucleo c he alimenta qua e l alcune figure e situazioni poetiche e che, ancora una volta, deriva dall'esperienza delle fiabe popolari italiane. Quanti cattivi incantesimi sono spezzati, nelle fiabe, da un atto d'amore? Questa risonanza favolosa, che
non pi l'esplicita avventurosit delle fiabe dal Sentiero fino al Barone, ma approf ondimento morale e ideale della condizione umana, mi sembra presente anche negli "occhi chiari e lieti" della Madre, che, scelta la missione d'amore, dimentica se stessa e con la sua opera umanizza il subumano, spiritualizzando la bruta mat eria . La forza di queste figure, come anche, sebbene in misura minore, perch lambito da lla riflessione saggistica, dell'artigiano senza mani, nasce dalla fusione nella parola (dove ormai il furore della ragione offesa si placato in una severa e au stera serenit) di una fede razionale nel progresso, anche se ancora incompleto e lontano, e della fede, non razionalmente programmata ma connaturata all'animo um ano come forza dello spirito, nell'amore. Il gigante impietrito in un'attonita t ristezza, i ragazzi-pianta-pesce, la bambina incuffiettata, il vecchio contadino con le mani pesanti d'ossa e di vene, anche il nano che fa segni misteriosi all 'onorevole, partecipano ugualmente, anche se in misura diversa, di quel realismo che ingloba consapevolezza politica, sociologica, tecnico-scientifica, fatalism o e libert, sentimento dell'uomo e del non-umano, storia e antistoria, progresso e immobilit, ragione e fantasia. I fili scoperti della cultura, che Ormea agita n el suo monologo nella parte saggistica del libro, conducono alla sintesi poetica di queste figure, sono la pienezza del suo sguardo sulle cose, la conquista est rema della realt che sfugge. E quando Ormea guarda, al tramonto, le gigantesse so ccorrere le piccole forze delle nane, nel cortile dell'istituto, gli si rivela a ddirittura un'insospettata armonia in questa realt cos ardua da accettare: anche l a citt del dolore e "dell'imperfezione ha la sua ora perfetta". La vicenda morale dello scrutatore Ormea, cos problematica per gli strumenti razi onali che l'esperienza del Cottolengo metteva in crisi, si conclude con la riaff ermazione della validit di questi strumenti ad un livello pi integralmente umano: ricuperato cio in foro interiore il senso di un'umanit completa che la cultura non gli offre, non solo Ormea ritrova la capacit di opporsi al broglio, ma ritorna i n grado di vedere il rischio che il momento spiritualmente attivo venga oscurato dallo stratificarsi delle istituzioni: l'artigiano, fiero della propria autosuf ficienza, ha in s un principio vitale innegabile, da cui potrebbe nascere un'epop ea, ed guardato da Ormea con lo sguardo di chi cerca la verit in qualsiasi direzi one. 1 1 Leggendo le Cosmicomiche si ha l'impressione di ritrovare, fusi in un nuovo ling uaggio, molti tratti stilistici delle opere precedenti e tra i pi salienti quelli tesi ed enigmatici dello Smog e quelli, pregnanti e capaci di definire una real t ardua e difficile, che erano nello Scrutatore; un discorrere, meglio un monolog are, tenuto costantemente a livello mentale e di idea (come nel Cavaliere inesis tente), dove l'inserimento di frasi o situazioni tra le pi banali della vita quot idiana acquista un senso surreale e ironico che ci riporta a certi momenti della Speculazione edilizia e alla Formica argentina e forse ancora pi indietro. Ma sono rilevanti, stranamente, certe affinit con lo Scrutatore, non solo per cer ti stilemi, ma anche per alcuni temi, gli uni e gli altri sviluppati in clima nu ovo ma certamente riconducibili a quella esperienza pi morale e intellettuale che poetica: c'era l, infatti, un uscire dalle dimensioni con cui l'uomo sempre stat o concepito, e dal tempo - il tempo storico - in cui si realizzato, che erano il segno dell'esaurirsi di una visione sostanzialmente naturalistica, sociologica e allegorica dell'uomo. Ora, Calvino ha oltrepassato l'ultimo confine dell'uomo al limite della storia e se n' andato sulla luna e nel cosmo. Evasione? Abiura dall'impegno? Nella polemica risposta ad Angelo Guglielmi (cfr. la conclusione) Calvino ribadisce il proprio razionalismo e la fede nel process o storico nei confronti del reale pi consunto e usurato, e il valore dell'impegno soggettivo nei confronti dell'universo, sia pure astorico e asemantico quale so stiene Guglielmi, anche a costo di ricominciare da capo a distinguere e a differ enziarsene. Poi, pubblicando le prime quattro cosmicomiche sul "Caff" nell'aprile del '64, di ceva:
La scienza contemporanea non ci d pi immagini da rappresentare; il mondo che ci ap re al di l d'ogni possibile immagine. Eppure, al profano che legge libri scientif ici (o scritti di divulgazione non volgare, o voci di enciclopedia, come a me ch e mi appassiono di cosmogonia e cosmologia), ogni tanto una frase risveglia un'i mmagine. Ho provato a segnarne qualcuna, e a svilupparla in un racconto: in uno speciale tipo di racconto "comicosmico" (o "cosmicomico"). Le Cosmicomiche hanno dietro di s soprattutto Leopardi, i comics di Popeye (Braccio di ferro), Samuel Bechett, Giordano Bruno, Lewis Carroll, la pittura di Matta e in certi casi Land olfi, Immanuel Kant, Borges, le incisioni di Grandville. Colpisce la reversibilit del neologismo che d il titolo alla raccolta, l'ambiguit s emiseria e il doppio percorso mentale tra un termine e l'altro, assonante e sema nticamente diverso, che ci introduce in un nuovo clima culturale e morale. Mentre l'uno rimanda al noto atteggiamento ironico e deformante di Calvino verso il nostro tempo, in "cosmico" implicita una ricerca lirica che pu avere origine da un'inquieta dolorosa ansia d'infinito 1eopardiana, ma che partecipa anche di un significato modernissimo, legato alla concezione einsteiniana dell'universo, alle conquiste spaziali, all'interrelazione, sottintendendo inoltre i due grandi filoni della cultura otto-novecentesca, quello romantico-irrazionalistico e que llo scientiico-positivista (ne escluso, data la particolare struttura della racco lta, il filone del romanzo, di cui gi la Speculazione edilizia indicava l'esaurim ento) Questi mi sembrano gli estremi da cui nascono i nuovi racconti, ognuno dei quali sviluppa un proprio tema - - e tra i temi pi nuovi ci sono quelli concettu ali del segno, del gesto, della possibilit e del caso, dell'incomunicabilita e de lla relazione - come altrettante illuminazioni liriche improvvise e intermittent i intorno alle quali sono il buio e il silenzio; ogni racconto isolato, senza ra pporti con gli altri che non siano, genericamente il cosmo e il protagonista Qfw fq, ed perfettamente concluso e bloccato nel proprio rigore stilistico e in una peculiare ricerca tematica, diversissima, spesso divergente da quella degli altr i, cosicch si verifica il fatto che, quanto pi compiuto ogni racconto, tanto pi ape rto e sperimentale appare il loro insieme. Ma c' un'armonia sostanziale, nel disordine e nella mancanza di relazione tra un racconto e l'altro, che appare proprio dal drammatico contrasto tra il buio e il silenzio, l'immobilit della mancanza di rapporti, e la ferma, rigorosa, razional issima costruzione di ogni racconto. Suggerendo il nulla tra un monologo e l'altro, Calvino d la misura poetica della condizione umana che sta uscendo da confini millenari per affrontare l'ignoto, i l mistero di una nuova epoca con la sola illuminazione della ragione, nutrita di nuove prospettive culturali che tuttavia non sono ancora del tutto certe e dete rminano nell'uomo qualche perplessit di fondo. Qfwfq, il protagonista, incarna di volta in volta entit diverse, che nello stato di sospensione tra terra e cosmo a l quale allude l'ambiguit del titolo, corrispondono ad altrettante possibilit o fo rme di esistenza nell'evolversi dell'universo colte, ognuna, in una situazione, dove le nostre abituali coordinate o categorie spaziotemporali sono sostituite d a quelle einsteiniane, sgomentanti e mostruose se prese a palametro della nostra esperienza: si vedano le vicende ossessive del segno e del gesto nel "Segno nel lo spazio" e negli "Anni-luce", in cui filtrano anche venature esistenzialistich e di angoscia e incomunicabilit, paradossalmente deformate, situazioni ed espress ioni usurate, da teatro dell'assurdo ("Tralalal", "Hai la maglia di lana" ); e, a ncora nel primo racconto, una fittissima elencazione di "segni" oggettuali dove il segno soggettivo perde il suo regno per confondersi in quella pasta di segni che riempie l'universo: ebbene, il linguaggio mentale, che si snoda da una perif rasi pseudofilosofica o pseudomatematica ("Avevo l'intenzione di fare un segno.. .", p. 42; e a p. 157: "Chi era riuscito a vedermi nel momento x...") dove il se gno e il gesto in questione non vengono mai nominati ma dei quali, al contrario, viene messo in luce il reale contenuto prelogico di idee e sentimenti, si sciog lie in un ritmo chiuso, martellato, insistente, simile a certi momenti neri dell o Scrutatore, ma con il sapore di un'ironia sottile, che gi fantasia, e che si pr esenta ambigua, enigmatica, tale da rivelare che la vanit del tutto presente insi eme all'amor sui, o meglio alla concreta realt del pensiero soggettivo, autobiogr
afico, quale unico criterio di certezza; e, creando immagini a cui la nuova conc ezione dello spazio e del tempo d uno stravolgimento da incubo, schiude nuove pos sibilit espressive. Scavalcando il nome del gesto e del segno, forse usurato e co munque limitato, per aggirarsi sul suo terreno semantico e prestorico, Calvino c rea le premesse per introdurre nel racconto nuove e diverse componenti di lingua ggio che in generale sono quelle tratte dalla cosmologia, ma che ne assorbono an che di matematico-geometriche, evoluzionistiche, filosofiche, biologiche ecc., c ol valore determinante di attenuare l'affabulazione per illuminare una realt cult urale nuova che spesso innerva la pagina pi inventata e immaginosa. E la trattien e nell'ambito di una cultura extraletteraria, scientifico-positivista, senza che tuttavia cada nella fantascienza o neghi interesse all'uomo: anzi, proprio Qfwf q, minerale o dinosauro, riconferma che oggetto dell'interesse di Calvino sempre l'idea, il pensiero, l'essere, insomma l'uomo nei suoi rapporti con ci che lo ci rconda, nel suo molteplice divenire, nel suo creare la realt del momento, senza a ssoluti cui puntellarsi, legato sempre alla propria responsabilit e libert anche a d un prezzo d'angoscia che lo scotto della situazione vissuta nello scorrere inc essante della vita ("le galassie... mi pareva portassero con loro l'unica verit p ossibile su me stesso..."). Anche questo mi sembra contribuire alla pregnante co mpattezza delle Cosmiconiche. E in questo senso intenderei anche il tuIo abissale -lucifcresco dal paradiso dell'io, che esplora e nomina il suo regno, al mare as torico e congelato delle cose ("una concrezione calcarea sul basalto...") senza relazioni e senza libert . La moralit di quest'opera nell'accettazione della sfida irrazionalistlca per domi narla, sul suo stesso terreno, con la convergenza di molteplici piani di cultura , anche quando l'autore mostra di parteciparne, sia per dialettica di pensiero, sia per un parziale, intimo consentimento che oggi mette in piena luce: le molte plici "anime" di Calvino che la critica ha puntualmente individuato nelle opere precedenti si rivelano ora decantate nel momento romantico e in quello razionale (il silenzio e il racconto, l'io e il mondo) saldamente fusi, avvinghiati in un linguaggio aperto a nuove esperienze e a nuovi esiti; ecco perch la moralit e poe sia delle Cosmicomiche risentono di esperienze come lo Smog e lo Scrutatore, pur ponendosi come opera nuova: l'enigmaticit e sospensione poetica segno di una vol ont che non si stacca dal campo di battaglia al tempo stesso che lo giudica e def inisce con pi vibrante chiarezza. Tutto ci che implicito nell'enigmaticit di questi e degli altri racconti sciolto e orchestrato nei tre tempi della "Spirale": che non il lieto fine dell'avventura cosmicomica, ma il regno delle relazioni, dove si inseriscono naturalmente i te mi del segno, come istinto, comunicazione ed espressione; del tempo, che diventa l'aurora della storia, e dello spazio determinato dai rapporti con gli altri; d ella volont e dell'azione, della soggettivit, della molteplicit, dell'oggettualit (l 'io ritorna, a differenza di quanto avviene nel brano che ho citato prima, a cos tituire l'origine, la causa, l'effetto e il significato di ci che esiste: " vedo tutto questo e non provo nessuna meraviglia perch il fare la conchiglia implicava anche fare il miele nel favo di cera..."; dell'amore, del flusso continuo delle cose. il regno della forma, dell'interrelazione universale, della storia. Nell'ultimo passo del volume la creata immagine del mondo torna all'uomo: "E in fondo a ognuno di quegli occhi abitavo io, ossia abitava un altro me, una delle immagini di me, e s'incontrava con l'immagine di lei, la pi fedele immagine di le i, nell'ultramondo che s'apre attraversando la sfera semiliquida delle iridi, il buio delle pupille, il palazzo di specchi delle retine, nel vero nostro element o che si estende senza rive n confini" Mai Calvino ha usato un vocabolo cos rischioso come "ultramondo", e tuttavia cos e sauriente, per nominare l'insieme dei rapporti ("nostro elemento") essenziali (" vero") che confluiscono spontaneamente in una forma nuova, altra, irripetibile, che la realt della poesia: l'antica favolosit e l'illuminismo di Calvino si sono c ongiunti ormai apertamente al pensiero contemporaneo. Insomma, una specie di De rerum natura del 2000. 12 Con Ti con zero Calvino si svegliato, si pu credere, giulivo come preannunciava a Guglielmi, ed ripartito dalle Cosmicomiche, pi sofferte, per nuovi spazi, nuove
ere, nuove forme di vita, nuove avventure, anche se i primi tre racconti hanno a ncora per protagonista Qfwfq; giulivo perch era ormai sicuro di un linguaggio e d i un contenuto razionali senza pi possibilit di dubbio o di enigmaticit. Oltre a ci, oltre cio al lessico biologico, geologico, matematico, geometrico, fisico, una v olta rotta la narrativa tradizionale con una sintassi ora limpidissima, ora fitt a di risvolti estremamente complessi (Gli Uccelli), ci sono anche gli apporti de lla letteratura di massa: fantascienza, strips e il recupero - ma in subordine e sporadico - del rimpianto-memoria-fiaba dell'umanit (meglio sarebbe dire di ci ch e vive). Recupero che un ponte gettato tra i tre bellissimi racconti che aprono la raccolta, La molle luna, L'origine degli Uccelli, I cristalli, e le opere pre cedenti e che ha funzione, oltrech poetica, anche di costituire, grazie ad un dos atissimo razionalismo linguistico, il passaggio ai tre pi difficili e centrali. Certo, questi primi sono pi ricchi di immagini nuove, fascinose, struggenti talvo lta: monti e vallate di cristalli, o la bellezza cattivante, gli abissi sanguign i del mare dove pullula una vita che non pi la nostra (Il sangue, il mare) Ma in questo sottomesso stupore c' anche in piccola parte il linguaggio del sistema att uale, ben serrato, isolato nella diastole-sistole del tempo, ora guardato al ral lentatore, ora accelerato all'impazzata, tempo che Calvino tratta con estremo ri gore ed estrema libert; questo linguaggio una necessit antitetica, ma anche il sup eramento e l'allontanamento dal finto ordine del sistema e dalla crisi delle ide e e da ci che ci sommerge nei nostri giorni come "il rischio", "il sorpasso", "la sopraffazione", "l'autodistruzione" Del resto la funzione di Calvino nella letteratura, funzione che fino alle Cosmi comiche si poteva concentrare nell'hic et nunc, cio nel mediare gli aspetti pi pro blematici del nostro tempo in immagini, doveva rompere con la narrativa tradizio nale magari, ma in modo tale da contenere possibilit inedite che riflettessero la fluidit attuale delle estetiche, gli sperimentalismi delle arti figurative, e, p i solido di tutto, pi proiettato verso il futuro, il terreno in cui tutto le scien ze convergono. Ed su questo terreno che si muove: sul terreno razionale, trattan do contenuti razionali, con un linguaggio estremamente razionale. Perch linguaggi o tutto ci che in senso lato l'evoluzione della vita ha creato sulla terra: Il ci rcuito dell'informazione vitale che corre dagli acidi nucleici alla scrittura si prolunga nei nastri perforati degli automi figli di altri automi. E qui siamo ai tre racconti Mitosi, Meiosi, Morte che sono certamente i pi diffic ili non perch trattino del passaggio dell'oggettivit alla soggettivit della coscien za e del ricordo, dell'istinto di riproduzione, della transizione alla pluralit e d ai rapporti, ai messaggi incrociati e al differenziarsi degli individui mortal i e sessuati e a cicli del tempo pi distesi, ma perch sono cristallinamente asetti ci, tali da rasentare il virtuosismo. Ora i casi sono due: o il contatto con il lettore tradizionale uno sforzo, e poc o divertente rispetto a quello che offriva il Calvino passato; o di fiducia e di coerenza e di attesa e soprattutto di riflessione sui nuovi strumenti che la cu ltura, per confusa e divaricante che appaia, si prospetta. Gli ultimi quattro racconti potrebbero essere detti matematici o delle ipotesi p ure. Situazioni di partenza sono, nell'Inseguimento, il protagonista che deve essere ucciso da un killer, entrambi fermi in un ingorgo stradale; ed un banale bisticc io telefonico tra due innamorati che vivono in citt diverse unite dall'autostrada , nel Guidatore notturno. Ebbene, si tratta di avventure tutte mentali raccontat e per tesi, ipotesi, dimostrazioni per assurdo e soluzioni aperte: infatti l'ins eguito si salva grazie alle due ipotesi assurde di possedere una rivoltella e di una propriet commutativa che trasforma l'inseguimento da fatto soggettivo in sis tema oggettivo in virt del quale egli diventa il killer di tutti coloro che lo pr ecedono; mentre l'innamorato e l'innamorata e un possibile rivale si riducono a punti e linee luminosi e si muovono nell'incomunicabilit indifferenziata di un'au tostrada, cio tra un punto ed un altro, senza mai incontrarsi; insomma, come pian i paralleli. La realt anche se si presenta nei suoi tratti sommari vivisezionata, scomposta e ricomposta e comunque svalutata e oggettivata nel processo matemati co. Ma ci che importa rilevare qui la problematica delle possibilit che trova le sue e
spressioni pi nuove e sconcertanti in Ti con zero e nel Conte di Montecristo. Nel primo, che il pi lucido e complesso, la problematica si accentra in un istant e zero di sospensione in cui un arciere sul punto di scagliare una freccia contr o un leone che sta piombandogli addosso: in questo istante in cui il tempo e lo spazio si immobilizzano, l'arciere riflette sulla consistenza del tempo e dello spazio. Il tempo-spazio reversibile o no? se s ci sono infinite possibilit di futu ro; se no, anche; solo che una parte di noi resta invischiata nell'intersezione spaziotempo ed in questo istante converge una sventagliata di possibilit future c he immediatamente dopo diverge da un'altra sventagliata di possibilit future, sen za per che mai il gioco dei rapporti tra arciere, freccia e leone cambi anche se diventa oggettivo. Nel Conte di Montecristo, il feuilleton commerciale scritto da Dumas con collabo ratori che gli proponevano successioni di avventure diverse poi ricucite insieme , ci che Calvino esamina sono i diversi tentativi di fuga dal castello d'If di Fa ria e Dantes; anzi, divergenti: poich "la fortezza ripete nello spazio e nel temp o sempre la stessa combinazione di figure", mentre l'abate procede empiricamente e complica all'infinito la pianta della fortezza, Dantes parte teoricamente da una fortezza perfetta, vede in ogni ostacolo un perfetto sistema di ostacoli che chiude in figure geometriche solide, istituendo poi un rapporto algebrico fra d i esse; la conclusione sar perfettamente logica con due sole possibilit di soluzio ne. Ma questo racconto fitto, con un certo cerebrale barocchismo, di colpi di scena e mirabolanti dati assurdi grazie ai quali, se per uscire bisogna risalire il te mpo, le linee di scavo si intersecano con quelle del tempo e If si identifica co n l'Isola di Montecristo e l'Elba con Sant'Elena e Dantes con Napoleone, ed ecco che Faria sbuca infine nello studio del romanziere, sempre alla ricerca della s oluzione utile per sfuggire. Finch "le intersezioni fra le varie linee ipotetiche definiscono una serie di piani che si dispongono come le pagine di un manoscrit to sulla scrivania di un romanziere", ovviamente, invece, Dantes, intrecciate du e storie che si possono definire una vera e l'altra falsa, anche se identiche, s cartando tutte le soluzioni inutili, conclude lucidamente: "Se riuscir con il pen siero a costruire una fortezza da cui impossibile fuggire, questa fortezza... o sar uguale alla vera - e in questo caso certo che non fuggiremo mai... - o sar una fortezza dalla quale la fuga ancora pi impossibile che di qui - e allora segno c he qui una possibilit di fuga esiste: baster individuare il punto in cui la fortez za pensata non coincide con quella vera per trovarla": perch "per progettare un l ibro - o un'evasione - la prima cosa sapere cosa escludere". E per progettare una societ, che "non sappiamo come sar, ma che "sar" (Midollo)? po ssibile che a Calvino non importi pi nulla del rapporto letteratura-societ? In Ti con zero ci sono anche momenti di satira al sistema che ribolle di fermenti info rmi ancora, ma in movimento verso qualcosa che dovr pur decantarsi o coagularsi, cos come il magma caotico della terra e del cosmo ha assunto un ordine. Quale giudizio dare dunque di questo libro cos nuovo ma prevalentemente freddo e lucidissimo, dove vibra, talvolta e da lontano l'eco di una umanit estranea ed al ienata? Non certo un'opera di passaggio: qui ci sono dei punti di arrivo e sopra ttutto infinite possibilit di ricominciare altri discorsi; ma il punto d'arrivo p i importante sembra proprio quella immagine cos decisamente razionale con cui - pa gando lo scotto di una perdita di simpatia e calore umani - Calvino si presenta al ribollire caotico dei nostri giorni. Ma nel suo pessimismo crescente verso la possibilit che si realizzi un migliore d estino per l'uomo, Calvino prosegue nella ricerca di un linguaggio che assorba g li aspetti pi razionali della cultura contemporanea, come nel Castello dei destin i incrociati (che completa, in modo essenziale, l'edizione delle carte dei Taroc chi della raccolta viscontea, Parma 1969), dove il ritorno alla favola e il niti do oscillare tra realt e sogno sono sostenuti dalla semiologia di Barthes, dal fo rmalismo del Propp, dallo strutturalismo di levy-Strauss (cfr. E. Falqui, Schede , "Nuova Antologia" giugno 1970), dai miti, dal cristianesimo, dalla grande poes ia epica compreso l'epos cosmogonico lucreziano, con tutta la carica di gioco e tragedia che una manipolazione del genere porta con s. Impossibile riassumere l'a pertura e il rigore formale di questa manipolazione di destini che viene a porsi
, almeno in parte, sulla linea delle ultime due raccolte di racconti. Forse si p u dire che Calvino ha giocato a fare l'alchimista di destini, ma nella presentazi one in Italia di Charles Fourier, di cui ha curato una scelta dalla Teoria dei Q uattro Movimenti e dal Nuovo Mondo Amoroso di un utopista, cio, contemporaneo di Saint-Simon, visionario e razionale, che nell'inventare la societ di Armonia semb ra cerchi la formula alchemica per cambiare la vita e che nell'accostarsi per af finit o contrasto a Marx e a Sade e a Freud pu offrire spunti innovatori per una s ociet antirepressiva (la fortuna di Fourier, notevole nel secolo scorso, rinnovat a nell'interesse dei critici dal 1945 fino alla contestazione del maggio '68). E perci sembra interessante osservare che Calvino legge in questo utopista-poeta una visione del mondo meccanicistica e razionale (per esempio, l'organizzazione della falange fourieriana presupporrebbe il lavoro di un computer, e potrebbe re alizzare l'alleanza dell'eros con la cibernetica), capace, forse, di attenuare i l disagio della condizione umana nel prevaricare di uno sviluppo tecnologico fin ora malpadroneggiato, e parallelamente ne indica l'importanza anche a livello di linguaggio, condividendo il giudizio di Barthes (per il quale il valore di Four ier consiste nell'opposizione tra "forma chiusa" e "linguaggio aperto") e conclu dendo che l'attualit di quel discorso "ambiguo" e "composito" sta non nella norma tivit - che sarebbe moralismo - ma nella trasmissibilit di significati circolanti e suscettibili di essere deformati dal lettore: pertanto, attraverso l'opera di Fourier, "si pu definire l'esperienza che il discorso letterario ha fatto su di s. .. per la propria utilit pubblica... per l'utilit di ogni altro tipo di discorso". Questa di Fourier vale dunque come ricerca, ancora nell'ambito della cultura bo rghese, di nuove prospettive e di un nuovo tipo di saldatura nei rapporti tra le tteratura e societ: rapporti diversi da quelli prevalentemente demistificanti che abbiamo visto fino alla svolta delle Cosmicomiche, forse pi sicuri ma anche pi in sidiosi per la suggestione di razionalizzare un'utopia e perch muovono alla ricer ca di valori nuovi troppo facilmente sfuggenti. Il rischio comunque calcolato, e se il significato di questa ricerca dovr essere valutato sulla pagina (pu essere che il brano Dall'opaco, uscito in Adelphiana '7 1, preannunci un'opera prossima a vedere la luce), tale ricerca varr ugualmente p er lo spirito non archeologico con cui viene condotta. Che poi lo spirito con cu i Calvino presenta in questi giorni i primi volumi di "Centopagine", la nuova co llana di Einaudi dedicata ad autori italiani e stranieri dell'Otto e Novecento, di cui i primi - i cosiddetti minori - riempiranno una grossa lacuna della lette ratura italiana. 13 I saggi del "Menab", troppo noti per parlarne diffusamente qui, costituiscono il tessuto connettivo culturale di prospettiva sopranazionale ed extraletteraria da cui l'opera di Calvino acquista una pi ampia chiarezza di ragioni storiche. Se n elle opere narrative lo scrittore dice le cose che gli impossibile non dire, nei saggi dice le molte altre che riempiono il suo orizzonte intellettuale, e ricon ferma la sua fedelt all'impegno razionalistico dello stile con cui opera sul real e pi multiforme e problematico; e soprattutto la sua consapevolezza che i moltepl ici piani di conoscenza (scientifico, sociologico, storico, politico, economico) , oggi offerti dalla situazione culturale, non convergono verso un'immagine cosm ica del mondo (Labirinto) ma seguono strade per ora divaricanti. Nella crisi del la storia, che non abbastanza una costruzione cosciente guidata dall'intelletto per difetto di tensione ideale, Calvino dichiara la sua posizione, critica sia n ei confronti del flusso della pura soggettivit come dell'immersione nel mare dell e cose (Il mare dell'oggettivit) e aggiunge: Rivoluzionario chi non accetta il dato naturale e storico e vuole cambiarlo. La resa all'oggettivit, fenomeno storico di questo dopoguerra, nasce in un periodo i n cui all'uomo viene meno la fiducia nell'indirizzare il corso delle cose... per ch vede che le "cose" (la grande politica dei due contrapposti sistemi di forze, lo sviluppo della tecnica e del dominio delle forze naturali) "vanno avanti da s ole", fanno parte d'un insieme cos complesso che lo sforzo pi eroico puo essere ap plicato solo al cercare di avere un'idea di come fatto, al comprenderlo, all'acc ettarlo.
Qui il nucleo della poetica della negativit di Calvino, del suo atteggiamento cri tico verso la situazione culturale e letteraria che non pu accettare ma che non p u neanche ignorare; che denuncia e condanna per le contraddizioni e insufficienze che offre, ma all'interno della quale cerca i momenti positivi da cui pu rinasce re "lo scatto attivo e cosciente" con cui l'uomo prenda il suo nuovo posto nel m ondo. E qui riappare quella che la sua peculiare caratteristica di scrittore: il razionalismo dialettico, come strumento valido a discriminare assiduamente il p ositivo nel negativo e viceversa, cio lo strumento dialettico con cui pu far luce nella situazione. Nelle risposte ad Angelo Guglielmi (riportate in Avanguardia e sperimentalismo, dopo il saggio Contro il labirinto Don Chisctotte combatte l'u ltima battaglia, Milano 1964) che sostiene la posizione astorica, aideologica, d isimpegnata e di svalutazione del reale dell'avanguardia letteraria, e che accus a Calvino di respingere in teoria ci che accetta in pratica, cio la resa al labiri nto o all'oggettivit, impegnando le ultime energie della sua vecchia anima razion al-moralistica in questa contraddizione, Calvino replica che, se la realt non ha senso e se la letteratura d'avanguardia arriva all'estrema abrasione della sogge ttivit, l'indomani mattina [potr] mettersi - in questo universo completamente oggettivo e asemantico - a reinventare una prospettiva di significati, con la stessa giuliv a aderenza alle cose dell'uomo preistorico che, di fronte al caos di ombre e sen sazioni che gli baluginava davanti, a poco a poco riusciva a distinguere e defin ire: questo un mammuth, questa mia moglie, questo un fico d'India; e dava inizio cos al processo irreversibile della storia. Nominare e razionalizzare il reale "a cui vale la pena dedicarsi proprio perch il reale non di per s razionale", non "attendere in pace la fine di tutti i vecchi valori e... la rivelazione di valori nuovi" ma operare criticamente lo sgretolam ento dei valori vecchi, sono le pi recenti e lucide dichiarazioni di poetica del Calvino maturo, che cos raccoglie il succo dell'esperienza passata e rivela pi for te che mai la sua tensione verso il futuro e la fiducia nell'importanza della "r eciproca influenza tra progettazione poetica e progettazione politica o tecnica o scientifica". L'attenzione al reale e all'uomo, la linea ideale, la costante di Calvino fin da i racconti della Resistenza e del dopoguerra e dal Sentiero: una realt umana rein ventata favolosamente coi lineamenti grotteschi-espressionistici che davano, gi a llora, la misura della sua decisa volont critica di non lasciarsi prendere dal do cumentarismo nei confronti del reale, anche a costo di cercare e tentare linguag gi diversi che esprimessero il suo impegno civile e poetico. Impegno non facile da realizzare direttamente: la tematica industriale-socialist a cade con la fiducia nel romanzo oggettivo (I giovani del Po): dell'esperienza narrativa dal 1945 al 1951, si salvano alcuni temi - la favola, l'infanzia - e s i irrobustisce l'atteggiamento critico che aveva dato i primi guizzi negli apolo ghi satirici, ancora particolaristici ma gi indicativi della moralit dello scritto re, e che riconfermano la sua vocazione a interpretarla e a formarla con critica razionalit. Il visconte dimezzato chiarisce il nuovo e originale momento consapevole della poetica di Calvino: l'aspirazione all'immagine pura e l'impegno civile. L'immagi ne nasce come intuizione fantastica e sintesi della realt e si carica di signific ati realistici via via che viene razionalizzata (secondo un processo non dissimi le da quello pavesiano di riduzione a chiarezza storica e morale del mito) attra verso lo stile asciutto e mordente in cui Calvino ricupera la lezione illuminist ica, la cultura cio del momento iniziale della civilt capitalistica moderna per gl i strumenti che offre, ideali e stilistici, di critica sociale: Voltaire, e Dide rot soprattutto, per quanto concerne la dialettica attiva tra immagine e parola e i nessi vitali tra poesia e realt, che confluiscono nella denuncia di una condi zione negativa e - implicitamente - nell'affermazione della speranza storica del marxismo. Il riferimento a Pavese solo indicativo dell'atteggiamento ideale di Calvino ver
so la realt oggettiva - verso la quale sempre estremamente ricettivo -: in sostan za per l'immagine di Calvino, proprio perch favolosa e non mitica, rivela come mom ento principale quello pratico-pedagogico e di derivazione popolaresca; e certam ente ingloba anche il tentativo di trasformare, secondo la morale tipica della f iaba, il destino in libert tentativo che nel Visconte appunto affidato esclusivam ente all'immagine (il duello finale) Ogni favola araldica di Calvino nasce come intuizione e sintesi immaginosa di un a condizione umana, e, nel processo di riduzione, d origine alla scoperta di nuov e direzioni di ricerca. Dal Visconte ne nascono tre, che seguono stilisticamente il processo inverso: la realt che, minuziosamente indagata, pian piano lievita e si trasfigura in immagi ne (Formica), anche lirica e paesistica (i tre racconti dell'Entrata in guerra), e che esplode nei racconti del ciclo di Marcovaldo in una forma assai spesso fa volosa, alla libert della quale affidata la consolazione della non trovata libert umana: questo processo si fa pi sensibile in alcuni racconti dello stesso ciclo s critti tra il 1958 e il 1963 (Marcovaldo, Torino 1963), come La pioggia e le fog lie, Marcovaldo al supermarket e Fumo, vento e bolle di sapone; queste tre direz ioni indicano l'allargamento della tematica realistica di Calvino: il rapporto t ra l'uomo e la natura, tra l'uomo e la civilt della produzione industriale e tra l'autore e la propria memoria, rapporto, questo, in cui l'autobiografismo viene accuratamente controllato per evitare il rischio di un eccessivo soggettivismo e acquistando cos quel significato in parti uguali tipico e personale, che resta u na costante di tutta l'opera di Calvino. La libert umana, legata al tema favoloso, denunciata come fatto casuale nella For mica, viene schiacciata in Marcovaldo, per rifugiarsi nel filone soggettivo, cio in foro interiore. Il rapporto tra immagine favolosa e libert, surreale, divertito e ironizzato nel primo racconto, rivela nel ciclo di Marcovaldo una pi articolata e profonda diale ttica - l'immagine tanto pi magica e fantastica quanto pi intensa la partecipazion e di Calvino alla condizione del suo protagonista: sulla scala del racconto brev e, avviene esattamente il contrario che nel Viscontee ; infine nei racconti auto biografici questo rapporto appare rigorosamente contenuto in una risonanza moral e tanto pi pregnante quanto pi ricco di implicazioni (di costume, storiche, paesis tiche) il realismo della tematica. In questo processo dall'immagine alla realt, o da questa all'immagine, sembra trovare conferma l'esigenza di Calvino, indicata da Claudio Varese ("Nuova Antologia" agosto 1960), di saggiare sperimentalmente "la molteplicit e la pluralit inquieta del mondo moderno" senza mai cedere allo s perimentalismo unidirezionale e abbozzato, ma anzi conservando sempre il senso c oncluso della struttura del racconto, struttura che viene sentita dall'autore gi come fatto poetico. Nel Barone le due direzioni confluiscono: il processo di riduzione dall'immagine alla realt - affidata alla storia di Cosimo - costituisce quella poetica struttu ra di vagheggiamento di un'armonia uomo-natura-storia che viene continuamente in tersecandosi coi singoli episodi in cui l'origine - realistica o culturale - vie ne reinventata in senso ora smitizzante, ora ironico, ora fantastico: questo din amismo come un'osmosi di realt continuamente liberata in fantasia, e di fantasia ricca di implicazioni realistiche: Il barone rampante brucia sul filo di questo vagheggiamento - che non evasione dalla realt, ma il modo di reinventarla assidua mente ad un livello paradossale e quindi critico - un complesso di suggestioni c ulturali comprese tra la narrativa inglese e francese del '700, l'illuminismo e Nievo e Tolstoj: il Barone l'opera di Calvino che esibisce con maggior splendore l'etichetta illuministica, ma anche quella in cui brucia fino in fondo la parte pi suggestiva di una civilt umanistica oggi in crisi. Non si tratta, come dice Ba rilli ("Il mulino" n. 90), di una cromatura o di un equivoco pseudoilluministico , ma di un intimo rivivere da parte dell'autore i valori di quella cultura, che in questo riviverli li verifica e supera: e l'opera assume cos un duplice aspetto : quello di addio e liquidamento a memorie letterarie e pittoriche e filosofiche ancora capaci di stimolare l'avventurosit della fantasia e dell'intelligenza; e, servendosi l'autore ora della fantasia ora dell'ironia per rompere assiduamente le forme narrative nette e chiuse di quella cultura - la satira, il racconto av
venturoso, il viaggio, l'utopia (si veda l'ironizzazione del trattato arboreo di Cosimo) - quello di costruire un'opera aperta (Antenati) sotto il profilo strut turale, appunto perch quelle forme, prese una per una, subiscono un processo di s valutazione - cos che il Barone potrebbe anche essere letto come un razionalissim o pastiche; e sotto il profilo ideale, perch la verifica e il liquidamento delle occasioni offerte da quella cultura lascia sedimentare una sostanza morale pi luc ida e nervosa, intellettualmente pi robusta, che si ritrova nella funzionalit degl i episodi nello stoicismo che corregge lo stato di natura inizialmente rousseaui ano di Cosimo, nella critica razionalit del linguaggio, di cui sono indici estrem i l'ironia e l'uso della lingua lirica fino all'ermetismo. Guglielmi e Barilli sostanzialmente concordano nel sostenere, per strade diverse , un difetto di ideologia e un'incertezza di poetica in Calvino; mi sembra che p roprio Il barone rampante possa chiarire il fondamento della questione: l'ideolo gia e la poetica di Calvino sono nel suo atteggiamento critico verso il reale a qualunque livello, atteggiamento in cui la verifica-rievocazione nostalgica di u na civilt ancora umanistica si scontra continuamente con la coscienza della sua f ine, implicando, cio, una consapevolezza del momento storico attuale, che demisti fica in larga parte a validit di quella civilt. In larga parte, non del tutto: lo sgretolamento ella crosta dei valori vecchi nell'assidua ricerca di valori nuovi (Avanguardta e sperimentalismo), la ricerca di un nuovo equilibrio che non sia pi soltanto quello umanistico (Il mare dell'oggettivit) e quella della liberta uma na che nel Barone comincia ad innestarsi anche in una situazione nuova per gli a spetti politici e tecnologici, rivela che l'ideologia di Calvino e tentativo di stabilire una continuit di strumenti realisticamente e sostanzialmente validi nel passaggio da un'epoca all'altra, senza sganciarsi dalla realta umana e storica di oggi, come vorrebbe Guglielmi che sostiene lo sganciamento totale dal reale u surato. E gli strumenti ideali e stilistici che restano dell'esperienza del Baro ne sono appunto il razionalismo critico, lo stoicismo, il senso della storia e l a difesa della natura umana e della sua libert in una situazione che la riduce e mortifica. Renato Barilli, accusando la precariet e provvisoriet della sintesi tra componente analitica ("lo sguardo lenticolare"alla Butor) e struttura, osserva come nei ra cconti di Calvino le cose assumano talvolta l'iniziativa, cos da far prevedere un a catastrofe liberatoria che invece non si verificherebbe. Infatti non si verifica; e l'osservazione di Barilli permette di leggere nelle o pere successive al Barone una linea anche pi coerente di svolgimento delle idee d i Calvino; linea che si potrebbe definire come parafrasi dell'atteggiamento crit ico dell'avanguardia pi spinta verso il reale, ma condotta assiduamente e raziona lmente su terreno realistico. Calvino non ignora n crisi dei valori n crisi della cultura; solo contesta (Avanguardia e sperimentalismo) che, sganciandosi da tutt o, svalutando acriticamente tutto, si possa costruire qualcosa, e riafferma di n on credere allo "scacco del razionalismo e del positivismo". Dopo il Barone, insomma, quello che si poteva chiamare, con Varese, sperimentali smo in molteplici direzioni non appare pi tale: Calvino muove in una direzione pr ecisa, elaborando una tematica sostanzialmente unitaria: i rapporti critici o me glio la mancanza d'attrito tra l'uomo e un preciso momento storico - economia, c risi ideologica, mondo industriale, istituzioni -; e in questa elaborazione non solo prosegue la linea dell'autobiografismo tipico e la intensifica, ma, introdu cendo in questo filone la discussione ideologica, viene a dare cos alla Speculazi one, alla Nuvola di smog e allo Scrutatore, un pi sensibile valore di contestazio ne e demistificazione. La Speculazione edilizia il rovescio, dichiaratamente storicistico e realistico, del Barone rampante: sono opere complementari, legate intimamente dal cordone o mbelicale dell'autobiografismo e della coscienza storica che, in questo, aggirat o; e presume appunto quella lacerazione che nella prima viene affrontata diretta mente; e sono complementari anche nel senso che mentre il Barone nasce struttura lmente dalla razionalizzazione dell'immagine, la storia di Quinto Anfossi e di C aisotti nasce da un momento realistico, cio l'affare edilizio, per trasformarsi i n immagine ricca di implicazioni. Nella Speculazione c' struttura e c' lo sguardo "lenticolare" alle cose: il senso favoloso della libert del destino umano, che si
affermava nell'Entrata e nella storia di Cosimo, si afferma ora nel bestione Ca isotti, cio ad un livello intermedio con le cose. Che vanno appunto assumendo l'i niziativa: Caisotti a fare attrito con le cose, non intettuale progressista, ed lui a vincere, non Quinto Anfossi, che viene cosi a significare l'impotenza dell a ragione ad agire sulle cose. Nella Speculazione acquista perci rilievo critico la denuncia della mancanza d'at trito tra un tipo d'uomo e le cose; ed un motivo che s'intensifica nello Smog, n el Cavaliere e nello Scrutatore. Nella Speculazione avviene la stessa operazione di liquidamento di una certa cul tura, che il grande romanzo borghese dell'800 francese: l'inettua e progressista condanna la figura dell'intellettuale borghese suoi addentellati economico-poli tico-culturali, servendosi ironicamente dell'avventurosa discussione interna con cui Stendhal preparava la sconfitta di Julien Sorel, preso nel conflitto tra Ri voluzione e Restaurazione, per condannare l'involuzione antistorica dell'intelle ttuale ripiegato sulle sue origini borghesi; si serve della rigorosa oggettivazi one flaubertiana per delineare una situazione sociopolitica in cui si verifica l a decadenza dell'individuo umanisticamente concepito; e si serve infine di Balza c per impostare l'epica del bestione o di un aspetto del neocapitalismo. E infin e si serve di un linguaggio politico usurato e vieto, morto, per delineare suo s toico distacco - oltre il quale prende forma poetica questo complesso gioco di r apporti dall'autobiografismo reale. Il liquidamento della cultura borghese avviene, questa volta, sul filo e a conte stazione ironica che, denunciando le insufficienze culturali, imposta il tema de ll'essere gi illuminato nei brevi racconti degli Amori difficili (dove l'uomo con temporaneo appare imprigionato in un'invisibile e ironica rete d'impotenza a far attrito con le cose, che si trovano allo stesso livello del pensiero) E il problema dell'essere si impone in tutta la sua precariet nel quadro del mond o industriale - la nuvola che abitavo e che m'abitava - in cui uomo e situazione si identificano: lo Smog identifica immagine e racconto, condizione interiore e d esterna, in un unico atteggiamento di stoico rifiuto e di ironica condanna del l'immersione nel mare delle cose da parte dell'uomo (il racconto precede di poco il Mare dell'oggettivit): l'atteggiamento critico e demistificante di Calvino no n investe pi direttamente la crisi del reale, cio la posizione dell'uomo verso di esso, ma investe questa crisi riflessa nella letteratura d'avanguardia (cfr. l'i nizio del Mare dell'oggettivit), e in particolare il nouveau roman: c' un'estrema coerenza tra questo racconto, le idee che Calvino teorizza nei saggi, la sua att ivit di lettore di opere inglesi e francesi presso l'editore Einaudi, e di dirett ore del "Menab" accanto a Vittorini: opera un po isolata rispetto a quella dell'e x-maestro (che volto a programmare e sperimentare una nuova letteratura, di cui un momento capitale quello che riguarda i rapporti tra industria e letteratura), ma che appare, sebbene pi cauta e battente altre vie, anch'essa profondamente im pegnata in quel rinnovamento culturale che gi si avvertiva ai tempi del Sentiero e del "Politecnico". Lo Smog la linea del fuoco sulla quale Calvino s impegnava a combattere nel Midollo ed l'opera in cui la poesia esce pi limpida ed ariosa da lla riduzione al dato elementare della poetica delle cose e del non-attrito, cio dall'estrema abrasione della soggettivit (cfr. la risposta a Boselli, "Nuova Corr ente" 32-33) espressa con un linguaggio grigio di cose, tenuto al pi basso livell o razionale, oltre il quale appunto il loro regno e al di sopra del quale l'iron ia, cio la mente umana. Lo Smog rappresenta forse il momento pi arduo della critic a invenzione del reale da parte di Calvino, perch si batte sul terreno che moralm ente rifiuta - oggettivit o labirinto - ma che accetta per superarlo razionalment e mentre i riferimenti politico-culturali, economici, industriali, rientrano spo ntaneamente nell'incubo kafkiano che nella condizione spirituale e materiale del protagonista. Il progressivo possesso intellettuale della realt da parte di Calvino, che ha avu to gli esiti pi lucidi negli Amori difficili e nella Nuvola di smog, sbocca natur almente nell'immagine dell'alienazione, del non-attrito del Cavaliere inesistent e: un'immagine che nasce a livello intellettuale e che perci ingloba simbolicamen te, qua da sola, i significati conoscitivi che fin qui Calvino venuto scoprendo attraverso le esperienze precedenti: Agilulfo l'estrema sintesi oggettiva dalla
perfetta pregnanza realistica: la natura di quest'immagine perci tale da non esig ere la puntuale razionalizzazione che richiedeva l'immagine del dimezzato e anch e, in parte, dell'uomo rampante. Pu vivere, cio, pi liberamente, grazie all'illumin azione intermittente dei significati che rientrano nell'allegoria e che i rappor ti con le altre figure scoprono via via che l'avventura si snoda. C' in Agilulfo una pregnanza poetica pi robusta che negli altri personaggi simbolici di Calvino; ma questa pregnanza, che anche di significati critici - in quanto parodia di un a condizione umana reificata - implica la coscienza e l'esigenza dell'attrito, c he esce infatti dal filone autobiografico dei rapporti scrittore-pagina. Il filone autobiografico, che affiorava alla fine del Visconte per distendersi n ei racconti dell'Entrata in guerra, che aveva una parte essenziale nel Barone pe r esplodere subito dopo nella Speculazione e che restava quasi implicito nello S mog, acquista qui tutto il suo intatto valore di centro morale da cui parte cost antemente l'indagine del mondo da parte di Calvino; e che, proprio perch sede di coscienza critica, attiva, discriminante, resta sempre il punto di partenza del realismo dello scrittore. Anche quando s'impegna in quella specie di diario al tempo stesso privato e pubb lico che lo Scrutatore: soprattutto qui, dove la discussione ideologica assume u n pi aspro valore di contestazione, e di demistificazione di valori vecchi e di v erifica del concetto di uomo. Tutta la discussione dello Scrutatore la parafrasi realistica - operata secondo il metodo dell'analisi strutturale e della critica semantica - su terreno politico di ci che l'avanguardia respinge in blocco o qua si; ed , nelle poche zone poetiche, la visione dell'ultima immagine dell'uomo al limite della storia. Con le Cosmicomiche infatti Calvino oltrepassa questo limite per rientrarci dopo aver esplorato l'universo oggettivo, astorico, asemantico di cui parlava a Gugl ielmi: e lo fa con un nuovo linguaggio realistico - se il mondo del pensiero e d ei segni e dell'evoluzione dell'universo e del tempo e dello spazio e della rela zione costituiscono il reale da razionalizzare - dove confluiscono alcune delle pi importanti esperienze stilistiche passate, immagini concettuali colte nell'amb ito di una cultura filosofico-scientifica che sta convergendo nel relazionismo che poi un moderno enciclopedismo razionale -, nella sperimentazione lirica di una nuova immagine dell'universo e di un pi ampio concetto di storia. 121