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STASIS
La guerra civile come paradigma politico
( Unedited manuscript )
Avvertenza
1. Che una dottrina della guerra civile manchi oggi del tutto
generalmente ammesso, senza che questa lacuna sembri preoccupare
troppo giuristi e politologi. Roman Schnur, che gi negli anni 80
formulava questa diagnosi, aggiungeva tuttavia che la disattenzione nei
confronti della guerra civile andava di pari passo al progredire della
guerra civile mondiale (Schnur, pp.121 e 156= R.Schnur, Revolution und
Weltbrgerkrieg, Berlin 1983; trad.it. Rivoluzione e guerra civile, Milano
1986). A trent anni di distanza, l'osservazione non ha perso nulla della
sua attualit: mentre sembra oggi venuta meno la stessa possibilit di
distinguere guerra fra stati e guerra intestina, gli studiosi competenti
continuano a evitare con cura ogni accenno a una teoria della guerra
civile. E' vero che negli ultimi anni, di fronte alla recrudescenza di guerre
che non si potevano definire internazionali, si sono moltiplicate,
soprattutto negli Stati Uniti, le pubblicazioni concernenti le cosiddette
internal wars ; ma, anche in questi casi, l'analisi non era orientata
all'interpretazione del fenomeno, ma, secondo una prassi sempre pi
diffusa, alle condizioni che rendevano possibile un intervento
internazionale. Il paradigma del consenso, che domina oggi tanto la
prassi che la teoria politica, non sembra compatibile con la seria indagine
di un fenomeno che almeno altrettanto antico quanto la democrazia
occidentale.
## Vi sono oggi tanto "una polemologia", una teoria della guerra, che
una "irenologia" una teoria della pace, ma non esiste una "stasiologia",
una teoria della guerra civile. Abbiamo gi menzionato come, secondo
Schnur, questa lacuna possa essere messa in relazione col progredire
della guerra civile mondiale. Il concetto di "guerra civile mondiale"
stato introdotto contemporaneamente nel 1963 da Hannah Arendt nel
suo libro Sulla rivoluzione (in cui la seconda guerra mondiale viene
definita come "una specie di guerra civile scatenata su tutta la superficie
della terra" -Arendt p.10= H.Arendt, On revolution, New-York 1965; trad.
it. Sulla rivoluzione, Milano 1983) e da Carl Schmitt nella sua Theorie des
Partisanen , cio in un libro dedicato alla figura che segna la fine della
concezione della guerra dello Jus publicum Europeum , fondata sulla
possibilit di distinguere chiaramente tra guerra e pace, militari e civili,
nemici e criminali. Qualunque sia la data a cui si voglia far risalire questa
fine, certo che oggi lo stato di guerra in senso tradizionale
virtualmente scomparso. Anche la guerra del golfo -cio l'ultimo conflitto
che sembrava ancora presentarsi come una guerra fra Stati- stata
combattuta senza che gli Stati belligeranti dichiarassero lo stato di guerra
(che per alcuni stati, come l'Italia, sarebbe stato in contrasto con la
costituzione vigente). Il generalizzarsi di un modello di guerra che non
poteva essere definito come conflitto internazionale e, tuttavia, mancava
dei tradizionali caratteri della guerra civile, ha indotto alcuni studiosi a
parlare di "uncivil wars", che non sembrano dirette, come le guerre civili,
al controllo e alla trasformazione del sistema politico, ma a massimizzare
il disordine (Snow,passim ). L'attenzione che negli anni novanta gli
studiosi hanno dedicato a queste guerre non poteva evidentemente
portare a una teoria della guerra civile, ma solo a una dottrina del
management , cio della gestione, della manipolazione e
dell'internazionalizzazione dei conflitti interni.
2. Una possibile ragione del disinteresse per la guerra civile sta nella
crescente popolarit (almeno fino alla fine degli anni settanta) del
concetto di rivoluzione, che viene spesso sostituito a quello di guerra
civile, senza tuttavia mai coincidere con esso. E' stata Hannah Arendt, nel
suo libro Sulla Rivoluzione (1963), a formulare senza riserve la tesi
dell'eterogeneit fra i due fenomeni. "Le rivoluzioni" essa scrive "sono gli
unici eventi politici che ci pongono direttamente e inevitabilmente di
fronte al problema di un nuovo inizio... Le rivoluzioni moderne hanno
ben poco in comune con la mutatio rerum della storia romana o con la
stasis , la discordia civile che torment la polis greca. Non possiamo
identificarle con le metabolai di Platone, la quasi naturale
trasformazione di una forma di governo in un'altra, o con la politeion
anakyklosis di Polibio, il predeterminato ricorso ciclico cui sono soggette
le vidende umane, a causa di quel loro essere sempre spinte agli estremi.
L'antichit classica ben conosceva il mutamento politico e la violenza che
lo accompagnava; ma n la violenza n il mutamento le apparvero mai
portatori di qualcosa di completamente nuovo" (Arendt, p.15 ).
Sebbene sia probabile che la differenza fra i due concetti sia in realt
puramente nominale, certo che il concentrarsi dell'attenzione sul
concetto di rivoluzione, che, per qualche ragione, sembrava -anche a una
studiosa spregiudicata come la Arendt- pi rispettabile di quello di stasis
, ha contribuito alla marginalizzazione degli studi sulla guerra civile.
3. Una teoria della guerra civile non tra gli obiettivi possibili del nostro
seminario . Ci limiteremo, piuttosto, a esaminare come essa si presenta
nel pensiero politico occidentale in due momenti della sua storia: nelle
testimonianze dei filosofi e degli storici nella Grecia classica e nel
pensiero di Hobbes. I due esempi non sono scelti a caso: vorrei suggerire
che essi rappresentano per cos dire le due facce di uno stesso
paradigma politico , che si manifesta da una parte nellaffermazione della
necessit della guerra civile e, dallaltra, nella necessit della sua
esclusione. Che il paradigma sia, in realt, unico, significa che le due
opposte necessit intrattengono fra loro una segreta solidariet, che si
tratter di comprendere.
Unanalisi del problema della guerra civile -o stasis- nella Grecia classica
non pu non esordire con gli studi di Nicole Loraux, che ha dedicato alla
stasis una serie di articoli e saggi, raccolti nel 1997 nel volume La cit
divise , cui essa usava riferirsi come a mon livre par excellence. Anche
nella vita degli studiosi, come in quella degli artisti, ci sono dei misteri.
Cos non sono mai riuscito a spiegarmi in modo soddisfacente perch
Loraux non abbia incluso nel volume un saggio, scritto nel 1986 per una
conferenza a Roma, che sintitola La guerre dans la famille ed forse il pi
importante fra gli studi che aveva dedicato al problema della stasis. La
circostanza tanto pi inspiegabile, dal momento che essa decise di
pubblicare il saggio nello stesso anno del libro in un numero della rivista
Clio dedicato alle guerres civiles, quasi fosse consapevole ma sarebbe
un motivazione davvero singolare- che le tesi svolte nel saggio andavano
decisamente pi in l per originalit e radicalit di quelle pur acute-
avanzate nel libro. Cercher, in ogni caso, di riassumere le conclusioni del
saggio per provarmi poi a inviduare quello che Feuerbach chiamava la
Entwicklungsfhigkeit, la capacit di sviluppo che esse contengono.
(Glossa fraternit)
7. Proviamo a compendiare in forma di tesi i risultati delle analisi di
Loraux:
10. Possiamo ora provarci a rispondere alla domanda dove sta la stasis,
qual il luogo proprio della guerra civile?. La stasis questa la nostra
ipotesi- non ha luogo n nelloikos n nella polis, n nella famiglia n nella
citt: essa costituisce una zona di indifferenza tra lo spazio impolitico
della famiglia e quello politico della citt. Trasgredendo questa soglia,
loikos si politicizza e, inversamente, la polis si economizza , cio si
riduce a oikos . Ci significa che, nel sistema della politica greca, la guerra
civile funziona come una soglia di politicizzazione o di spoliticizzazione,
attraverso il quale la casa si eccede in citt e la citt si depoliticizza in
famiglia.
Esiste, nella tradizione del diritto greco, un documento singolare, che
sembra confermare al di l di ogni dubbio la situazione della guerra civile
come soglia di politicizzazione/depolicizzazione che abbiamo appena
proposto. Bench questo documento sia menzionato non solo da
Plutarco, Aulo Gellio e Cicerone, ma anche con particolare precisione da
Aristotele (Ath. Const., VIII,5), la valutazione della stasis che esso implica
apparsa cos sconcertante agli storici moderni della politica che esso
stato spesso lasciato da parte (anche la Loraux, che pure lo cita nel libro,
non lo menziona nellarticolo). Si tratta della legge di Solone che puniva
con latimia (cio con la perdita dei diritti civili) il cittadino che in una
guerra civile non avesse combattuto per una delle due parti (come
Aristotele dice con crudezza: colui che, quando la citt si trova in una
guerra civile (stasiazouses tes poleos), non prende le armi (thetai ta opla,
lett. mette lo scudo) per alcuna delle due parti sia punito con linfamia
(atimos einai) e sia escluso dalla politica (tes poleos me metechein).
(Cicerone -Epist. Ad Att., X,1,2- traducendo capite sanxit , evoca
opportunamente la capitis diminutio, che corrisponde allatimia greca).
Non prendere parte alla guerra civile equivale a a essere espulso dalla
polis e confinato nelloikos, a uscire dalla cittadinanza per essere ridotto
alla condizione impolitica del privato. Ci non significa, ovviamente, che i
Greci considerassero la guerra civile come un bene: ma la stasis funziona
come un reagente che rivela lelemento politico nel caso estremo, come
una soglia di politicizzazione che determina di per s il carattere politico
o impolitico di un certo essere.
11. Christian Meier ha mostrato come nella Grecia del V secolo avviene
una trasformazione della concettualit costituzionale, che si realizza
attraverso quella che egli chiama una politicizzazione (Politisierung)
della cittadinanza. Dove prima lappartenenza sociale era definita
innanzitutto da condizioni e status di varia specie (nobili e membri di
comunit cultuali, contadini e mercanti, padri di famiglia e parenti,
abitanti della citt e delle campagne, signori e clienti) e solo in un
secondo momento dalla cittadinanza con i diritti e i doveri che essa
implicava, ora la cittadinanza diventa come tale il criterio politico
dellidentit sociale. Nacque cos egli scrive una identit politica
specificamente greca della cittadinanza. Laspettativa che i cittadini si
comportassero come cittadini (brgerlich), cio, in senso greco,
politicamente, trov una forma istituzionale. Questa identit non aveva
concorrenti degni di nota, ad esempio nellappartenenza a gruppi
costituiti a partire da comunit economiche, professionali, di lavoro o di
religione o di altra specieNella misura in cui nelle democrazie i cittadini
si dedicavano alla vita politica, essi comprendevano primariamente se
stessi come partecipi della polis; e la polis si costituiva a partire da ci in
cui essi erano essenzialmente solidali, cio dagli interessi
originariamente condivisibili allordine e alla giustiziaPolis e politeia in
questo senso si definivano a vicenda. La politica divenne cos per un
gruppo relativamente molto ampio di cittadini un contenuto vitale
(Lebensinhalt) e un interesse proprio La polis divenne un ambito tra i
cittadini chiaramente distinto dalla casa e la politica una sfera distinta dal
regno della necessit (anankaia) (Meier, p.204).
Secondo Meier, questo processo di politicizzazione della cittadinanza
specificatamente greco e dalla Grecia si trasmesso, con alterazioni e
tradimenti di vario genere, alla politica occidentale. Nella prospettiva che
qui ci interessa, occorre precisare che la politicizzazione di cui parla
Meier va situata nel campo di tensioni fra oikos e polis, definito da
processi polarmente opposti di politicizzazione e depoliticizzazione. In
questo campo di tensioni, la stasis costituisce una soglia, transitando
attraverso la quale lappartenenza domestica si politicizza in cittadinanza
e, inversamente, la cittadinanza si depoliticizza in solidariet familiare.
Poich le tensioni sono, come abbiamo visto, contemporanee , decisiva
diventa la soglia in cui esse si trasformano e si invertono, si congiungono
o disgiungono.
Ci significa che, nella Grecia classica come oggi, non esiste qualcosa
comme una sostanza politica: la politica un campo incessantemente
percorso dalle correnti tensionali della politicizzazione e della
depoliticizzazione, della famiglia e della citt. Tra queste opposte
polarit, disgiunte e intimamente legate, la tensione -per parafrasare la
diagnosi di Loraux- non risolvibile. Quando prevale la tensione verso
loikos e la citt sembre volersi risolvere in una famiglia (sia pure di un
tipo speciale), la guerra civile funziona allora come la soglia in cui i
rapporti familiari si ripoliticizzano; quando a prevalere invece la
tensione verso la polis e il vincolo familiare sembra allentarsi, allora la
stasis interviene a ricodificare in termini politici i rapporti familiari.
La Grecia classica forse il luogo in cui questa tensione ha trovato per un
momento un incerto, precario equilibrio. Nel corso della storia politica
successiva dell occidente, la tendenza a depoliticizzare la citt
trasformandola in una casa o in una famiglia, retta da rapporti di sangue
e da operazioni meramente economiche, si alterner invece a fasi
simmetricamente opposte , in cui tutto limpolitico deve essere
mobilitato e politicizzato. Secondo il prevalere delluna o dellaltra
tendenza, muter anche la funzione, la dislocazione e la forma della
guerra civile; ma probabile che finch le parole famiglia e citt, privato
e pubblico, economia e politica avranno un sia pur labile senso , essa non
potr essere cancellata dalla scena politica delloccidente.
## Un sipario esiteva gi nei teatri del mondo classico, esso non cadeva,
per, dallalto, ma era sollevato dal basso, come nel sipario detto oggi
alla tedesca, ed era alloggiato in un cavo fra la scena e lorchestra. Non
so quando si cominci a far cadere invece il sipario anche dallalto, come
se ci che deve nascondere la scena teatrale e separarla dalla realt
provenisse dal cielo e non dalla terra, come nei teatri antichi. Oggi, come
sapete, il sipario si apre per lo pi orizzontalmente a partire dal centro,
come una doppia tenda. Non sicuro che sia lecito attribuire un
significato a questi mutamenti del movimento del sipario sul boccascena.
In ogni caso, il sipario o il velo, che nel frontespizio del Leviatano,
nasconde il centro simbolico del potere, retto da due nodi in alto e
cadrebbe pertanto dal cielo e non dalla terra.
2. Non cinteressa qui il problema dellartista -secondo la maggioranza
degli studiosi, Abraham Bosse- che, seguendo le istruzioni di Hobbes, ha
realizzato limmagine. Pi interessante lesistenza di una copia
manoscritta su pergamena, che Hobbes aveva fatto preparare per Carlo
II, in cui limmagine del frontespizio presenta alcune differenze non
trascurabili, la pi significativa delle quali certamente che qui i piccoli
uomini che formano il corpo del Leviatano non guardano verso la testa
del sovrano, come nel libro, ma verso il lettore, cio il sovrano a cui il
manoscritto era destinato (fig.2).
Non vi , in questo senso, un vero contrasto fra i due frontespizi, perch
nei due casi i sudditi dirigono il loro sguardo verso il sovrano (in
immagine luno, realmente presente laltro). Nella parte alta
dellemblema, dove la spada e il pastorale che il Leviatano tiene nelle
mani si incontrano, si legge una citazione in latino da Giobbe 41,24: Non
est potestas super terram quae comparetur ei. Si tratta dellultima parte
del libro, quando Dio, per tacitare ogni rimostranza da parte di Giobbe,
gli descrive le due terribili bestie primordiali, Behemot (nella tradizione
ebraica rappresentato come un gigantesco toro) e il mostro marino
Leviathan. La descrizione del Leviatano insiste sulla sua forza
terrificante: Puoi tu pescare il Leviatano con lamo/ e tener ferma la sua
lingua con una cordaNel suo collo risiede la forza/ e innanzi a lui corre
la paurail suo cuore duro come la pietra,/duro come la pietra
inferiore della macina./ Quando si alza, si atterriscono i forti/e per lo
sgomento restano smarriti./La spada che lo raggiunge non si infigge/n
lancia n freccia n giavellotto:/ stima il ferro come paglia, il bronzo
come legno tarlatoFa ribollire come pentola il gorgo,/ fa del mare un
vaso di unguenti./Dietro a s produce una bianca scia/ e labisso appare
canuto/. Nessuno sulla terra si pu comparare a lui,/che fatto per non
temere nessuno./Egli vede ogni cosa eccelsa,/ egli il re di tutti i figli
dellorgoglio (nel latino della vulgata, che Hobbes sembra seguire: Non
est super terram potestas, quae comparetur ei, qui factus est ut nullum
timeret./ Omne sublime videt, ipse est rex super universos filios superbiae.
(Nel cap. XXVIII del libro, Hobbes si riferisce esplicitamente a questo
passo biblico, scrivendo di aver paragonato il grande potere del sovrano,
a cui lorgoglio e le altre passioni hanno forzato gli uomini a
sottomettersi, al Leviatano, togliendo tale comparazione dai due ultimi
versi del XVI di Giobbe, dove Dio, mostrato il grande potere del Leviatano,
lo chiama re della superbia: Non vi nulla sulla terra, egli dice, che si
possa comparare a lui, il quale fu fatto per non temere nessuno. Egli
guarda ogni cosa eccelsa ed re di tutti i figli della superbia Hobbes 1,
p.221= T.Hobbes, Leviathan, ed. R.Tuck, Cambridge 1991). Sul particolare
significato escatologico di questi animali, tanto nella tradizione ebraica
che in quella cristiana, avremo modo di tornare.
Subito sotto la citazione latina, che costituisce in qualche modo limpresa
dellemblema (nella tradizione della letteratura embematica, in cui anche
questo frontespizio si iscrive, limmagine sempre accompagnata da un
motto o impresa), vediamo una figura gigantesca, il cui torso la sola
parte visibile del suo corpo- formato da una moltitudine di piccole
figure umane, secondo la dottrina hobbesiana del patto che unifica la
moltitudine in una sola e medesima persona (cap.XVII). Il gigante porta
sulla testa una corona e tiene nella mano destra una spada, simbolo del
potere temporale, e nella sinistra un pastorale, simbolo del potere
spirituale o ecclesiatico, come Hobbes preferisce dire. Barion ha
osservato che la figura simmetricamente inversa alle rappresentazioni
medievali della Chiesa, in cui la mano destra tiene il pastorale e la sinistra
la spada.
In primo piano, in modo da coprire il resto del corpo del gigante, un
paesaggio collinoso, cosparso di villaggi, sfocia nellimmagine di una citt,
in cui si riconoscono con chiarezza la cattedrale (nella parte sinistra,
corrispondente al pastorale) e la fortezza (nella parte destra,
corrispondente alla spada).
La parte inferiore del frontespizio, che una sorta di cornice divide dalla
superiore, contiene, in corrispondenza di ciascuno dei bracci del gigante,
una serie di piccoli emblemi, cinque per lato, che si riferiscono al potere
temporale (una fortezza, una corona, un cannone, una panoplia di
stendardi e una battaglia) e a quello ecclesiastico (una chiesa, una mitra,
il fulmine della scomunica, i simboli dei sillogismi logici e un a sorta di
concilio). Tra di essi, sta il sipario con il titolo del libro.
3. Una interpretazione dell emblema deve esordire dalla figura del
gigante-Leviatano. Gli studiosi si sono cos costantemente soffermati sul
suo significato come simbolo dello stato, che hanno omesso di porre
alcune ovvie domande, concernenti, ad esempio, la sua posizione. Dove
si situa il Leviatano rispetto agli altri elementi che compongono
limmagine?
In uno studio esemplare, Reinhard Brandt ha provato a disegnare la
parte del corpo del gigante nascosta allo sguardo, seguendo le
proporzioni del canone vitruviano (immaginando che la testa
corrisponda, cio, a un ottavo dellintero corpo) (Brandt, passim= R.
Brandt, Das Titelblatt des Leviathan und Goyas el gigante, in U. Bermbach
u. K.Kodalle edd.: Furcht und Freiheit. Leviathan-Discussion 300 Jahre
nach T,Hobbes, Opladen 1982) (fig.3). Il risultato una figura umana, i cui
piedi sembrano fluttuare esattamente sul punto del frontespizio in cui sta
scritto il nome di Thomas Hobbes of Malmesbury. Ho detto fluttuare,
perch non chiaro su che cosa essi poggino, se sulla terra o sullacqua.
Se supponiamo, come sembra verisimile, che al di l del paesaggio
collinoso vi sia il mare, questo si accorderebbe perfettamente col fatto
che, nella tradizione biblica, mentre Behemot un animale terrestre,
Leviatano un animale marino, una sorta di enorme pesce o una balena,
anche se non possibile pescarlo con lamo.(Bramhall, che nella sua
malevola polemica con Hobbes suggerisce che il Leviatano del libro, n
carne n pesce miscuglio di un Dio di un uomo e di un pesce sia lo
stesso Hobbes, afferma che il vero Leviatano una balena Bramhall,
passim= J.Bramhall, The catching of Leviathan or the great Whale, in
Castigations of Mr Hobbes, London 1658). Lipotesi di Schmitt, secondo
cui lopposizione Behemot-Leviatano corrisponderebbe alla
fondamentale opposizione geopolitica fra terra e mare, troverebbe cos
una conferma nel frontespizio.
Decisivo , in ogni caso -al di l dellopposizione fra terra e mare- il fatto
sorprendente che il Dio mortale, luomo artificiale chiamato
Commowealth o stato (come Hobbes lo definisce nellintroduzione) non
dimora nella citt, ma al di fuori di essa. Il suo luogo esterno non solo
rispetto alle mura della citt, ma anche rispetto al suo territorio, in una
terra di nessuna o nel mare in ogni caso non nella citt. Il
Commonwealth, il body political non coincide col corpo fisico della citt.
E questa anomala situazione che dovremo cercare di capire.
6. Lenigma che lemblema pone al lettore quello di una citt vuota dei
suoi abitanti e di uno stato situato al di fuori dei suoi confini geografici.
Che cosa pu corrispondere, nel pensiero politico di Hobbes, a questo
apparente rompicapo?
E Hobbes stesso a suggerirci una risposta quando, nel De cive,
distinguendo tra popolo (populus) e moltitudine (multitudo),
definisce paradosso (paradoxum) uno dei suoi teoremi fondamentali.
Il popolo egli scrive qualcosa di uno (unum quid), che ha una sola
volont e a cui si pu perci attribuire una azione propria. Lo stesso non
si pu dire della moltitudine. Il popolo regna in ogni citt (populus in
omni civitate regnat): esso regna anche nella monarchia, perch il popolo
vuole attraverso la volont di un solo uomo. I cittadini, cio i sudditi,
sono la moltitudine. Nella democrazie e nellaristocrazia, i cittadini sono
la moltitudine e lassemblea il popolo (curia est populus). Anche nella
monarchia i sudditi sono la moltitudine e, bench questo sia un
paradosso (quamquam paradoxum sit), il re il popolo (rex est populus).
Gli ignoranti e tutti coloro che non comprendono questo punto, parlano
della moltitudine come se essa fosse il popolo e dicono che la citt
(civitas) si ribellata contro il re, il che impossibile, o che il popolo
vuole o non vuole ci che vogliono o non vogliono i sudditi ribelli. In
questo modo, col pretesto del popolo, eccitano i cittadini contro la citt e
la moltitudine contro il popolo (De cive, cap.XII, 8).
Cerchiamo di riflettere su questo paradosso. Esso implica, insieme, una
cesura (multitudo/populus : la moltitudine dei cittadini non il popolo) e
una coincidenza (rex est populus). Il popolo sovrano, a condizione di
dividersi da se stesso, scindendosi in una moltitudine e in un popolo.
Ma come pu la sola cosa reale la moltitudine dei corpi naturali, che
tanto interessava Hobbes: il 15 aprile 1651, dopo aver appena terminato
il Leviatano, egli scrive: ora posso tornare alla mia interrotta
speculazione sui corpi naturali- diventare una sola persona? E che ne
della moltitudine dei corpi una volta che essa si unificata nel re?
## Che lassioma hobbesiano sia un paradosso sottolineato da
Pufendorf nel suo commento: Il popolo , infatti, un che di uno (unum
quid), che ha una sola volont e al qual pu essere attribuita una azione
unitaria, cosa che non si pu dire della moltitudine dei sudditi anche se
la frase che segue (populus in omni civitate regnat) finisce per essere una
vuota affettazione. Infatti popolo significa o tutta la citt o la moltitudine
dei sudditi. Nel primo senso, la frase risulta tautologica: il popolo, cio
la citt regna in ogni citt; nel secondo, falsa: il popolo, cio i cittadini
distinti dal re regnano in ogni citt. In luogo di ci che segue (il popolo
regna anche nella monarchia, perch il popolo vuole attraverso la volont
di un siolo uomo) sarebbe stato pi chiaro dire: in una citt
monarchica, la citt si ritiene aver voluto ci che ha voluto il monarca . Il
paradosso il re il popolo (Illud paradoxum: rex est populus) non va
inteso altrimenti (Pufendorf, p.651-52=S.Pufendorf, De iure naturae et
gentium , in Gesammelte Werke, b.4, Berlin 2011 ).
Nella prospettiva di un giurista qual Pufendorf, il paradosso si risolve,
cio, interpretandolo come una fictio iuris. In Hobbes esso conserva
invece tutta la sua crudezza: il sovrano veramente il popolo, perch
esso costituito anche se per un artificio ottico- dai corpi dei sudditi.
7. La risposta a queste domande nel cap. VII del De cive, dove Hobbes
afferma senza mezzi termini che nello stesso istante in cui il popolo
sceglie il sovrano, esso si dissolve in una moltitudine confusa. Ci avviene
non solo in una monarchia, in cui non appena il re stato scelto, il
popolo non pi una sola persona, ma una moltitudine dissolta (populus
non amplius est persona una, sed dissoluta multitudo), perch era una
persona solo in virt del potere sovrano (summi imperii), che ora ha
trasferito al re (VII, 11); ma anche in una democrazia o in una
aristocrazia, in cui non appena lassemblea stata costituita, nello stesso
istante il popolo si dissolve ( ea electa, populus simul dissolvitur) (VII,
9).
Non si comprende il senso del paradosso se non si riflette sullo statuto di
questa dissoluta multitudo, che obbliga a ripensare da capo il sistema
politico hobbesiano. Il popolo il body political- esiste solo
istantaneamente nel punto in cui nomina un uomo o una assemblea per
portare la sua persona (Hobbes, cap.XVII, p.120); ma questo punto
coincide con il suo svanire in una moltitudine dissolta. Il corpo politico
, cio, un concetto impossibile, che vive solo nella tensione fra la
moltitudine e il populus-rex : esso sempre gi in atto di dissolversi nella
costituzione del sovrano; questi, daltra parte, solo una artificiall
person (cap.XVI, p.111), la cui unit leffetto di un congegno ottico o di
una maschera.
Forse il concetto fondamentale del pensiero di Hobbes quello di corpo
(body), tutta la sua filosofia una meditazione de corpore (e questo fa di
lui un pensatore barocco, se il barocco pu essere definito come lunione
di un corpo e di un velo): ma a condizione di precisare, come fa Hobbes
negli Elements of law (II,27,9), che il popolo non ha un corpo proprio:
che il popolo sia un corpo distinto ( a distinct body) da colui o coloro che
hanno la sovranit su di esso un errore.
Nel Leviatano, Hobbes non evoca esplicitamente il paradosso del De cive,
ma proprio una lettura attenta del cap. XVIII Dei diritti dei sovrani per
istituzione permette di precisare lo statuto paradossale della moltitudine.
Qui Hobbes scrive che i membri di una moltitudine che si obbligata con
un patto a conferire il potere sovrano a una persona, non possono, senza
il suo permesso, fare legalmente un nuovo patto fra di loro per obbedire
ad un altro in una qualunque questione. Perci coloro che sono soggetti
ad un monarca, non possono, senza il suo permesso, liberarsi della
monarchia e ritornare alla confusione di una moltitudine disunita (and
return to the confusion of a disunited multitude) n trasferire la propria
persona da lui, che li rappresenta, ad un altro uomo o assemblea
(Hobbes 1, p.122).
Lapparente contraddizione con il dettato del De cive si risolve
facilmente se si distingue, come fa Hobbes, fra la moltitudine disunita
(disunited multitude) che precede il patto e la moltitudine dissolta
(dissoluta multitudo) che lo segue. La costituzione del paradosso populus-
rex un processo che va da una moltitudine e torna ad una moltitudine:
ma la multitudo dissoluta, in cui il popolo si dissolto, non pu coincidere
con la disunited multitude e pretendere di poter nominare un nuovo
sovrano . Il circolo moltitudine disunita popolo/re moltitudine dissoluta
spezzato in un punto e il tentativo di tornare allo stato iniziale coincide
con la guerra civile:
(figura)
13. Nel passo che abbiamo appena citato, Schmitt evoca la tradizionale
interpetrazione ebraica del Leviatano. Nel corso del suo studio, egli
precisa questallusione. Secondo la tradizione ebraico-cabalistica, egli
scrive, il Leviatano rappresenta la bestia del salmo 50.10, cio le nazioni
pagane. La storia del mondo appare qui come una lotta delle nazioni
pagane luna contro laltra. In particolare, la lotta ha luogo fra il Leviatano
le potenze del mare- e Behemoth le potenze della terraGli ebrei
stanno a guardare come le nazioni del mondo si sterminano a vicenda:
per essi, gli ebrei, il loro reciproco macello legale e kosher : essi
mangeranno le carni delle nazioni uccise e trarrano vita da esse.
(Schmitt, pp.17-18)
Si tratta, con ogni evidenza, di una falsificazione antisemita di una
tradizione talmudica (non cabalistica!) sul Leviatano, che Schmitt
distorce intenzionalmente. Secondo questa tradizione, che si trova in
numerosi passi del Talmud e del Midrash, nei giorni del messia Leviatano
e Behemoth, i due mostri delle origini, combatteranno luno contro
laltro e periranno entrambi nella lotta. Allora i giusti apparecchieranno
un banchetto messianico, nel corso del quale essi mangeranno le carni
delle due bestie. E probabile che Schmitt conoscesse questa tradizione
escatologica , cui si riferisce in un articolo pi tardo (Il compimento della
riforma: su alcune interpretazioni del Leviatano, 1965), evocando
lattesa cabalistica del banchetto messianico, in cui i giusti si nutriranno
con le carni del Leviatano morto (Schmitt, p142).
14. Che Hobbes conoscesse o no questa tradizione talmudica, certo che
la prospettiva escatologica gli era perfettamente familiare. Essa era, del
resto, gi implicita nella tradizione cristiana, nella quale il Leviatano era
associato allAnticristo, che, a partire da Ireneo, era stato identificato dai
Padri con lUomo dellanomia del celebre excursus escatologico nella
seconda lettera di Paolo ai Tessalonicesi (2 Tess., 2,1-12). La miniatura
del Liber floridus non che licastica rappresentazione di questa
convergenza fra il Leviatano e lAnticristo, fra il mostro delle origini e la
fine dei tempi. Ma un tema escatologico percorre tutto il libro terzo del
Leviatano, che, sotto la rubrica Of a Christian Commonwealth, contiene un
vero e proprio trattato sul Regno di Dio, cos imbarazzante per i lettori
moderni di Hobbes, che essi lo hanno spesso semplicemente rimosso.
Contrariamente alla dottrina prevalente, che tendeva a interpretare il
concetto neotestamentario di Basileia theou in senso metaforico, Hobbes
afferma con forza che il Regno di Dio significa, tanto nel Vecchio che nel
Nuovo Testamento, un regno politico reale, che, interrotto in Israele dopo
lelezione di Saul, sar restaurato da Cristo alla fine dei tempi:
Lastly, seeing it hath been already proved out of divers evident places of
Scripture in the 35 chapter of this book, that the Kingdom of God is a civil
Common-wealth, where God himself is Soveraign, by vertue first of the Old,
and since of the New Covenant, wherein he reigneth by his Vicar or
Lieutenant;the same places do also therefore prove that after the coming
again of our Saviour in his majesty and glory to reign actually and
eternally, the Kingdom is to be on Earth (ivi,p.241).
15. E in questa prospettiva teologica che gli enigmi del frontispizio del
libro possono trovare la loro soluzione. Se guardiamo nuovamente
allimmagine del Leviatano, notiamo che curiosamente i piccoli corpi che
costituiscono il corpo del gigante sono assenti dalla sua testa, il che
contrasta con i paralleli iconografici antichi e moderni che Horst
Bredekamp ha suggerito nella sua indagine sul frontespizio, dove le
piccole figure si concentrano proprio sul capo (Bredekamp, passim=
H.Bredekamp,Thomas Hobbes der Leviathan, Das Urbild des modernen
Staates und seine Gegenbilder, Berlin 2003) (fig.6). Ci sembra implicare
che il Leviatano letteralmente il capo di un body political che
formato dal popolo dei sudditi, che, come abbiamo visto, non hanno un
corpo proprio, ma esistono puntualmente solo nel corpo del sovrano. Ma
questimmagine deriva direttamente dalla concezione paolina, presente
in pi passi delle sue lettere, secondo cui Cristo il capo (kephal, la
testa) dellekklesia, cio dellassemblea dei fedeli: Egli (Cristo) il capo
del corpo dellassemblea (he kefal tou somatos tes ekklesias- Col.1, 18);
Cristo il capo, dal quale tutto il corpo, congiunto insieme e unito
mediante ogni articolazione secondo lattivit di ogni membro, riceve
crescita e edificazione (Ef., 4,15-16); Il marito il capo della moglie,
come Cristo il capo dellassemblea e salvatore del corpo (Ef.5,2); e,
infine, Rm 12.5, dove limmagine della testa manca, ma della moltitudine
dei membri della comunit si dice che noi i molti siamo in Cristo un solo
corpo, ma uno per uno siamo membra gli uni degli altri.
Se la nostra ipotesi corretta, limmagine del frontespizio presenta la
relazione fra il Leviatano e i sudditi come la controparte profana della
relazione fra Cristo e lekklesia. E, tuttavia, questa immagine cefalica
della relazione fra Cristo e la Chiesa non pu essere separata dalla tesi
dellescatologia paolina secondo cui, alla fine dei tempi, quando il Figlio
sar sottomesso a colui che gli ha sottomesso ogni cosa Dio sar tutto in
tutti (panta en pasin- 1 Cor. 15,28). La tesi in apparenza panteistica
acquista il suo senso propriamente politico se la si legge insieme alla
concezione cefalica del rapporto fra Cristo e lekklesia. Nello stato attuale,
Cristo il capo del corpo dellassemblea, ma, alla fine dei tempi, nel
Regno dei cieli, non vi sar pi distinzione fra la testa e il corpo, perch
Dio sar tutto in tutti.
BIBLIOGRAFIA cap.2
N. Malcolm, The Titlepage of Leviathan Seen in a Curious Perspective in
The Seventeenth century , XIII, n.2, 1998
C. Schmitt, Der Leviathan in der Staatslehre des Thomas Hobbes. Sinn und
Fehlschlag eines politischen Symbols, Kln 1982
J. Poesch, The Beasts from Job in the Liber Floridus manuscripts, Journal
of the Warburg and Courtauld institute XXXIII, 1970