Sei sulla pagina 1di 7

«Difendete le mie verità».

Che significa ereditare l’opera di Franco Fortini


(25 marzo 2022, Seminari ANPI)

1. Saluti
Saluti e ringraziamenti.
Lapsus per il titolo.

2. Premesse: metodo

Intervento polemico nella stima e nell’affetto che si riallaccia a quanto


detto da Tonino Conte il 18 marzo qui.
Intervento divisivo e immagino urticante per molti perché volutamente
politico e in un crinale della storia in cui abbiamo sperimentato quanto
illusoria fosse la speranza (chiamiamola così) che la storia fosse di per sé
dotata di una razionalità capace di sintesi, quasi automaticamente, che il
progresso lineare potesse garantire a tutti benessere e libertà. Che,
insomma, fosse finito il conflitto, che polemos fosse il motore non della
storia ma della preistoria che oramai era alle spalle. Il 2001 ha sepolto
sotto le macerie delle Torri questa speranza, questa fola vana, prodotto di
un errore teorico e pratico inescusabile, da cui pochi di noi sono esenti. La
“grande recessione” del 2008 ha mostrato come il capitalismo fosse
tutt’altro che retto da una miracolosa mano invisibile, la pandemia ha
polarizzato conflitti e mostrato le crepe di una società fondata sul profitto
privato, incapace di farsi pubblico benessere, la guerra ai confini
dell’Europa ha dato il colpo di grazie all’illusione di una pacificazione
globale, senza guerra (se non marginali e invisibili), dove tutti si sarebbero
arricchiti. Insomma, non che la storia si fosse fermata: è che noi abbiamo
voluto illuderci che così fosse e abbiamo plasmato strumenti teorici,
soggetti politici e azioni coerenti con questa illusione. È suonata la sveglia.
Cerchiamo di attrezzarci con nuovi strumenti all’altezza della sfida.
Anti-Conte.
Lettura “dialettica” e pacificatrice del rapporto tra Pasolini e, attraverso
l’esperienza stessa di Tonino Conte, prima sessantottino e poi entrato nel
grande partito, e ciò che gli è sopravvissuto. Però, oltre il momento bello e
suggestivo del funerale, in cui, secondo Tonino, c’è stato il passaggio di
testimone tra un Pasolini disperato ma segretamente pieno di speranza, e
gli eredi di tale speranza, che cosa è accaduto? Non è forse accaduto che la
“rivoluzione”, di cui parla nella famosa Lettera su cui Tonino si è
«Difendete le mie verità»
magistralmente soffermato lo scorso venerdì, è stata gradualmente rimossa
dall’orizzonte teorico del grande partito, vittima di quella che in altro
contesto (la Germania guglielmina) si chiamò “integrazione negativa”,
fino a stingere perfino istanze radicali o realmente riformatrici in un
liberalismo tutto ideologicamente dentro le logiche del capitalismo
tardonovecentesco che si apriva alle mirabilie della globalizzazione? Mi
chiedo, dunque, un redivivo Pasolini cosa avrebbe detto a quei giovani cui
avrebbe affidato il testimone o, per parafrasare Guccini, la fiaccola della
rivoluzione, trovandosi in un mondo, annunziato dagli anni Ottanta e
definitivamente plasmato nel decennio successivo che recideva ogni
residua memoria di “passato” e “tradizione” (Pasolini era indubitabilmente
un reazionario) e mercificava selvaggiamente ogni aspetto dell’esistenza,
facendo della ragione economica l’unica possibile razionalità accettabile.
Allora, io non sarò né dialettico né pacificatore. Anzi, darò di Fortini
una lettura non dialettica, al limite di dialettica negativa, stante
insegnamento di uno dei suoi maestri, Theodor Adorno, e “tragica”
(anche qui un’eco filosofica importante: Lucien Goldman). Fortini è uno
sconfitto, rimosso. Non ci lascia alcuna eredità. O, meglio, se essa
sopravvive, lo fa in maniera catacombale, presso una cerchia ristretta di
adepti, senza alcuna incidenza sulla società e sulla società letteraria. Potrei
fare un esperimento doloroso per scoprire che tra i presenti pochissimi
hanno letto qualche saggio o conoscono l’opera poetica di Fortini.
Quindi, il mio obiettivo, da una parte è invitarvi a recuperarla, nella sua
complessità irriducibile. Dall’altra offrirvi un approccio alternativo a
quello di Tonino. Che presuppone, dunque, non un ottimismo hegeliano,
che credo sia la cifra complessiva della straordinaria struttura intellettuale
di Conte, ma una tensione al futuro a là Benjamin, che potrebbe (badate:
potrebbe, non potrà) riscattare i dimenticati e gli sconfitti della storia.

3. Premesse: io e l’opera di Fortini

Questo incontro è anche occasione per tornarci tanti anni dopo. Dentro
un percorso di recupero “adulto” di un bagaglio giovanile dettato dalle
urgenze politiche del presente e del futuro, dal disastro che attraversiamo,
nel trionfo apparentemente senza avversario di un neoliberismo quanto
mai rapace e totalmente pervasivo nelle esistenze materiali e nelle
coscienze. Personalmente dopo l’illusione e la disillusione “populista”, se
volete, per utilizzare una categoria analizzata proprio qui due anni fa, di
2
«Difendete le mie verità»
cui pure è necessario ereditare ampie componenti. Non per ritornare ad una
categoria oramai per me inutilizzabile, quella di “sinistra”, nel suo
continuo slittamento di significato, ma tornare a parole, cariche di
contraddizioni, “tragiche”, ma esse sì portatrici di un significato, certo non
univoco ma inquadrabile: per esempio, socialismo o, meglio, comunismo.
Per altro, mi rendo conto, appena uscito il mio secondo libro saggistico,
che si è aperta una nuova fase di riflessione (me ne rendo conto dalle mie
reazioni anche rispetto alla guerra ucraina) che segna un nuovo transito
tutto da esplorare. E credo che il recupero dell’opera di Fortini per me,
“maestro” del tutto assente nei due libri che ho scritto, oserei dire
“rimosso”, significhi tanto. Probabilmente, giunto anche ad una tappa di
maturazione biografica, familiare, esistenziale, l’approdo ad un realismo
che dismette ogni tentazione angelica, irenica, che c’è sempre stata nel
fondo del mio animo, del mio carattere. È come se, mediata dalla
riflessione su Eraclito, dalla breve ma intesa esperienza politica diretta,
fosse finito il tempo di sognare, di auspicare. Dell’anelito che salva
l’anima. Che sia venuto il tempo di accettare “il movimento reale” senza
però cadere nel giustificazionismo dell’esistente, mettendo l’accento,
dunque, non tanto sul “reale” ma sul “movimento”. Ma anche senza cedere
alla (fortissima, credetemi) tentazione di credere che tale movimento
prescinda dall’azione dei soggetti storici.
Che cosa mi allontana da Fortini: l’incapacità di amare, di cui era
perfettamente consapevole: «Ho saputo soltanto una parte, / ho inteso
soltanto la vita che m’era nemica, / e non l’amore, che esiste».
Turbamento mi suscita il rapporto con la figlia adottiva Livia,
convinta sionista, su cui è difficilissimo trovare materiale critico.
Nicchia di “fedeli”, irrisioni del mainstream (Fortini e il pane del poeta,
“Il Foglio”, dicembre 2021).
Sicuramente non è un classico né un santino buono per tutte le
occasioni.
Ansia di assoluto e quiete piccolo-borghese. “Rivoluzione” e
“sopravvivenza”. Religione e politica.
Chi conosce Fortini tra i presenti? Storia di una “rimozione”. Sua
sopravvivenza “carsica”. Ma, in generale, saremmo in grado di stilare un
“canone” di “auctores” di riferimento? Il PCI funzionava da “ortodossia”
che rendeva possibile, secondo una celebre affermazione di Bloch”, le
feconde “eresie” (tra cui quella fortiniana). Venuta giù la Chiesa, anche le
eresie si sono dissolte, lasciando spazio ad una indistinta melassa liberal-
3
«Difendete le mie verità»
riformista, rapidamente declinata in individualismo dei diritti, capitalismo
ben temperato, gestione dell’esistente.
Questo è un invito, un “tolle, lege” articolato in quattro quadri

4. Nodi biografici

1917-1994: tra la rivoluzione russa e l’ascesa di Berlusconi. Muore con


un senso spaventosa sconfitta storica.
Laureato in lettere, ebreo (il padre viene anche arrestato), valdese
(Giorgio Spini), resistenza, socialista (fino al 1958) e poi comunista
“eretico” contro lo stalinismo e contro il PCI, poi contro lo
“pseudolaburismo” della sinistra succeduta al PCI.
I fondamenti della sua formazione: da giovane Noventa, poi Marx,
Gramsci, i francofortesi, Benjamin, Lukács.
Muro, Tangentopoli e guerra del Golfo: crollo e apocalisse. Cesura nella
storia: “frattura”. Fortini diventa totalmente inattuale e postumo.
Maggiori esperienze intellettuali: Il Politecnico, Officina, Olivetti,
Quaderni rossi, Quaderni piacentini.
Il rapporto con Pasolini: «aveva torto e io non avevo ragione». Rottura
avvenuta proprio nel 1968 per la celebre poesia di Pasolini.

5. Fortini poeta

Ha scritto Luca Lenzini, maggiore studioso probabilmente del Fortini


poeta: «l’attenzione per Fortini, nell’ambito degli studi universitari, è
sicuramente aumentata, sia qualitativamente sia quantitativamente; e
soprattutto, da questa nuova attenzione è venuto sempre più a fuoco il
profilo di un poeta tra i maggiori del suo tempo (tempo che di poeti
importanti, in Italia, ne ha avuti pur molti)».
Non è un poeta “impegnato” se non in alcuni passaggi della sua carriera
di poeta, vissuta sempre come un tradimento dell’obbedienza dovuto ai
doveri etico-politici. Grande traduttore di Goethe, Brecht, Eluard.

Altissimo senso della forma contrapposta a qualunque “vitalismo”.


Amore per il manierismo. «Oggi vorrei che il mio fosse un pallore ancor
più innaturale, procurato – e impreciso» (1989).

«Non imiterò che me stesso, Pasolini.


4
«Difendete le mie verità»
Più morta di un inno sacro
la sublime lingua borghese è la mia lingua.
Non conoscerò che me stesso
ma tutti in me stesso. La mia prigione
vede più della tua libertà».

«La sua assoluta non complicità con una storia inadempiente quanto a
giustizia, eguaglianza, verità, si è infatti determinata in una poesia non solo
estranea a ogni sorta di novecentismo poetico, ma, anche più
profondamente, cioè a partire dalle particelle costitutive del discorso
poetico, in un sentimento della lingua e in una pratica del verso ostili a
ogni immediatezza, comunicazione diretta, naturalezza espressiva»
(Roberto Galaverni).
Consiglio la lettura della sua opera integrale da Foglio di via (vedi
edizione critica) a Composita solvantur e alle poesie postume.
Lettura e commento di La gronda.

6. Saggista e critico letterario

Docente. La critica del surrealismo e delle neo-avanguardie. Evoluzione


della sua posizione. Saggio di Balicco: «tutte le ipotesi di liberazione dalla
realtà borghese, che erano state formulate dai militanti surrealisti mezzo
secolo fa, sono diventate pratica di massa (questa la «vittoria» del
surrealismo) ma, in definitiva, strumenti di schiavitù per le masse: dalla
abolizione dei nessi spazio-temporali all’automatismo verbale, dall’uso
della droga e dell’erotismo in funzione di perdita dell’identità e di estasi
fino alla scomparsa – almeno apparente – di ogni distinzione fra arte e non
arte». Surrealismo di massa.
«L’ethos dei surrealisti, come voleva Benjamin, va criticato anche
perché ora, nella sua metamorfosi, appare chiaro il suo errore di partenza.
L’idea di una soggettività libertaria che sovranamente goda dell’assenza di
vincoli, limiti e costrizioni è un progetto in opposizione alle forme della
società borghese liberale, ma non certo a quelle pure sognate e conquistate
dal capitalismo avanzato». Centralità della forma video. Consonanze con
Debord e Jameson.
«La “verità” dell’universo tecnologico (di prodotti, profitti e merci) non
consiste, oggi è chiarissimo, nella massificazione temuta dai pensatori e
dagli utopisti della prima metà del secolo ma etico-politica man mano che
5
«Difendete le mie verità»
si introducevano nella percezione spazio-temporale del quotidiano nel suo
contrario, nell’onirismo e nell’immediatismo, che sono stati rivestiti di
dignità».
Il 1977 come spartiacque politico-culturale: «La più recente
opposizione, area autonoma (erede di tutto un decennio «situazionista»), si
fonda sul rifiuto di distinguere fra la sfera del sociale come immediatezza e
del politico come mediazione-organizzazione. Ha compreso che da più di
un secolo il volontarismo politico (giacobino, poi delle sètte) ha
contraddetto quel consiglio di prudenza ai rivoluzionari che è il marxismo;
che il genio di Lenin, il suo «tanto peggio per i fatti» ha avuto torto. Sa che
l’organizzazione è una trappola. Vi ha veduto cadere tutte le formazioni
nuove. Non vuole farsi identificare con un programma, un comitato, una
sede. Vuole coincidere con il “movimento”: come se la vita fosse
l’informe. È il suo tributo alle tragiche coglionerie delle avanguardie. È
il sogno dell’illimitata adolescenza che torna a proporsi; come nel 1968 e
con i medesimi pessimi maestri, i surrealisti che non volevano diventare
adulti e sono solo invecchiati».

7. Fortini oggi

Centenario della nascita. Occasione per molti “avversari” di


denigrazione. Caso di scuola: ex discepolo passato dall’altra parte della
barricata. Alfonso Berardinelli. Lettura di alcuni passaggi dell’articolo
per il “Corriere della Sera”.
«Fortini era un conservatore letterario e, secondo me, anche politico: era
un anticomunista viscerale, odiava il partito furibondamente e aveva
costruito una sua metafisica della rivoluzione che è una faccenda tutta
idealistica e conservativa […]. Fortini ha sempre difeso la forma dell’alta
poesia borghese e da sottomontaliano com’era in partenza poi è restato
sempre tale» (Sanguineti).

Che cos’è il comunismo. Lettura integrale. Da… “Cuore”! (1989)

«Non si può compiere nessuna giustizia storica se non si impegna il


futuro. Non ci può essere nessuna responsabilità altrui e passata verso il
nostro presente se non nella misura in cui ve n’è una nostra verso
l’avvenire. Scegliere una discendenza vuol dire scegliere una tradizione.»

6
«Difendete le mie verità»

Potrebbero piacerti anche