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I PRIMI MESI DELLA GUERRA ED IL “FRONTE INTERNO”

Fra l’Agosto e il Settembre del 1914 la guerra si combatté anche sul fronte
orientale, dove le armate tedesche ottennero importanti vittorie presso
nelle battaglie di Tannenberg e dei laghi Masuri, che misero in luce le
gravi debolezze dell’esercito russo.

Nei mesi successivi, tra l’autunno del 1914 e la primavera del 1915 il
conflitto si allargò con il coinvolgimento di altre nazioni, fra le quali la
Turchia, alleatasi con gli imperi centrali, e l’Italia, scesa in campo nel
maggio del 1915 a fianco dell’Intesa.

Grazie all’aiuto della Turchia, l’Austria costringeva (autunno 1915) la


Serbia alla resa.

La guerra mobilitò eserciti di massa, costituiti da milioni di soldati,


assorbendo tutte le energie e le risorse di ogni Paese coinvolto.

Perciò, per ciascuno dei governi dei Paesi implicati nel conflitto fu
necessario ottenere il più vasto consenso e il più ampio sostegno possibile
da parte dell’opinione pubblica nazionale, presentando la guerra come una
guerra combattuta dalla propria nazione nel nome della libertà, della
giustizia e della civiltà contro la barbarie rappresentata dalle potenze
nemiche. In Francia si parlò di “unione sacra” di tutte le forze della
società contro il brutale aggressore tedesco.
Anche i partiti socialisti e di sinistra dei diversi Paesi finirono – in genere -
con lo schierarsi con i rispettivi governi: i socialisti francesi sostennero la
guerra della Francia contro la Germania; altrettanto fecero i laburisti
inglesi; analogamente, i socialdemocratici tedeschi e austriaci
spalleggiarono i governi tedesco e austriaco nella loro scelta di dichiarare
guerra all’Intesa.

In questo modo si dissolse la seconda Internazionale socialista


un’organizzazione di coordinamento dei partiti socialisti di tutta l’Europa
(La prima Internazionale era stata fondata da Karl Marx nel 1864 ed era
durata fino al 1878; la seconda Internazionale era stata fondata nel 1889
e durò, fino al 1914).

Fino allo scoppio della guerra la seconda “Internazionale” aveva sostenuto


posizioni pacifiste, di rifiuto categorico della guerra. A partire dal 1914,
però, quasi tutti i partiti socialisti europei si pronunciarono a favore della
guerra, con l’eccezione, in Europa occidentale, del Partito Socialista
Italiano.

Poiché il conflitto assorbiva grandissima parte delle risorse economiche


dei Paesi coinvolti, divenne necessario un controllo sempre più ampio e
generalizzato delle attività produttive da parte dei governi.
I governi assunsero la gestione dell’economia, imponendo drastiche
limitazioni ai consumi della popolazione civile per favorire la produzione
di tutto ciò che serviva allo sforzo bellico: armi, divise, vettovaglie,
equipaggiamenti, mezzi di trasporto, ecc.

LA NEUTRALITÀ DELL’ITALIA

Allo scoppio della guerra l’Italia aveva proclamato la propria


neutralità, richiamandosi alle clausole della Triplice Alleanza. Infatti,
il trattato di alleanza aveva carattere difensivo, prevedeva che la coalizione
si sarebbe mobilitata solo in caso di aggressione di uno dei suoi membri. In
questo caso però era sta l’Austria dichiarare guerra alla Serbia.

Inoltre, i governi degli “Imperi centrali”, Austria-Ungheria e Germania,


non si erano consultati con il governo italiano prima di dichiarare guerra
alla Serbia e ai Paesi della Triplice Intesa.

Nonostante la scelta del governo italiano di mantenere la neutralità, fra


l’Agosto del 1914 e il Maggio del 1915 divampò nella società italiana e
nel Parlamento un dibattito sempre più intenso attorno alla scelta tra
l’intervento nella guerra, a fianco dell’Intesa (Francia, Gran Bretagna e
Russia), e l’astensione dal conflitto.

Gli schieramenti che sostenevano le due opposte posizioni furono chiamati


rispettivamente “interventisti” e “neutralisti”.
Lo schieramento interventista era minoritario sia nel Parlamento che
nella società; ciò nonostante, alla fine riuscì a imporsi.

Il fronte interventista era molto composito ed eterogeneo, al suo interno


si divideva in:

interventisti di destra: i nazionalisti, i futuristi, Gabriele D’Annunzio e i


suoi seguaci, i liberali di destra, i vertici delle forze armate, la monarchia
(il re e i suoi consiglieri più fidati), vedevano nella guerra l’opportunità
per fare dell’Italia una grande potenza imperiale, capace di imporre il
suo dominio su gran parte del mar Adriatico e dal mar Mediterraneo.

Gabriele D’Annunzio durante un comizio “interventista” (maggio 1915)


L’interventismo di destra era sostenuto dai rappresentanti delle
grandi banche e delle grandi industrie, che consideravano la guerra
un’opportunità imperdibile di realizzare enormi profitti;

interventisti di sinistra, o interventisti democratici (che comprendevano


gli irredentisti) auspicavano l’intervento in guerra per far trionfare i
valori della democrazia, della libertà e della giustizia sociale contro
l’autoritarismo degli Imperi centrali. Inoltre, gli interventisti democratici si
aspettavano dalla vittoria la conquista delle terre “irredente” di Trento e
Trieste.

Il principale esponente dell’interventismo democratico e irredentista era il


trentino Cesare Battisti, che nel 1916 sarebbe stato impiccato dagli
austriaci come traditore.

Cesare Battisti
Una particolare corrente all’interno dell’interventismo di sinistra era
rappresentata dall’interventismo rivoluzionario, che vedeva nella
guerra la possibilità di innescare una rivoluzione sociale.

Infatti, a loro giudizio, la guerra avrebbe esasperato gli animi delle


masse popolari al punto da indurle a ribellarsi e a promuovere un
cambiamento radicale della società.

Benito Mussolini, all’epoca direttore dell’”Avanti!”, abbandonò la sua


iniziale posizione neutralista e si schierò con gli interventisti
rivoluzionari (nel novembre 1914) e fu per questo espulso dal partito
socialista. Col tempo, però, l’interventismo di Mussolini si sarebbe
sempre più allineato con le posizioni dei nazionalisti (interventismo di
destra).

I neutralisti (o pacifisti)

Il fronte neutralista comprendeva tre componenti principali: quella


socialista, quella liberale giolittiana e quella cattolica.

I socialisti italiani erano in grande maggioranza contrari alla guerra. Il


PSI, fu uno dei pochi partiti socialisti aderenti alla seconda
Internazionale socialista a mantenere le posizioni pacifiste dopo lo
scoppio della guerra.
Il PSI riteneva che la guerra avrebbe comportato il sacrificio di milioni di
appartenenti alle classi lavoratrici, operai e contadini in particolare, per
favorire gli interessi delle classi dominanti (la ricca borghesia, gli
industriali, le caste militari).

Solo una piccola parte del mondo socialista italiano ( i socialisti più
moderati e i seguaci di Mussolini), si pronunciò a favore dell’intervento
italiano in guerra.

La Chiesa cattolica guidata, dall’agosto del 1914, da papa Benedetto XV


era contraria, per ragioni di principio, al conflitto; inoltre, l’Italia avrebbe
combattuto contro un altro Paese cattolico, cioè l’Austria.

Giolitti e i liberali a lui politicamente vicini, infine, erano contrari alla


guerra perché avevano compreso che sarebbe stata molto più lunga del
previsto e avrebbe comportato una gravissima perdita di vite umane ed un
enorme dispendio di risorse materiali.

Inoltre, Giolitti era convinto che l’Austria, pur di non dover combattere
anche contro l’Italia, avrebbe accolto una parte consistente delle richieste
italiane relative alle terre irredente.

In quei mesi, il governo italiano era guidato dal liberale di destra


Antonio Salandra e dal suo braccio destro, il ministro degli Esteri Sidney
Sonnino.
Salandra e Sonnino, con l’appoggio di Vittorio Emanuele III, erano
decisi interventisti.

A. Salandra S. Sonnino Vitt. Em. III

Mentre nella società e nel Parlamento italiani si svolgeva il confronto tra


interventisti e neutralisti, Salandra e Sonnino, con l’approvazione del re,
sottoscrissero in segreto il patto di Londra (26 aprile 1915), che
impegnava l’Italia a entrare in guerra nel giro di un mese a fianco
dell’Intesa.

In caso di vittoria, l’Italia avrebbe ottenuto, oltre a Trento e Trieste (con


le loro province), molti altri importanti territori: l’Alto-Adige fino al
Brennero, l’Istria (tranne la città di Fiume), la Dalmazia, qualche
avamposto in Albania e in Turchia, un ampliamento dei suoi
possedimenti coloniali in Africa orientale.
Il patto di Londra, firmato segretamente, scavalcava il Parlamento,
assomigliava ad un colpo di Stato.

Nelle settimane successive al patto di Londra, il governo incoraggiò


manifestazioni di piazza sempre più aggressive a favore della guerra
(Gabriele D’Annunzio ne fu il principale protagonista), per dare
l’impressione che la guerra fosse voluta a furor di popolo.
Alla fine il Parlamento, anche se in maggioranza neutralista, fu costretto
ad approvare la dichiarazione di guerra all’Austria (quella alla Germania
sarebbe giunta nell’agosto del 1916).

Il 24 maggio 1915 per l’Italia cominciava la guerra.

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