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Introduzione al secolo ‘900

10 febbraio → ricorrenza che celebra la tragedia delle Foibe e dell’esodo Giuliano Dalmata
Perché questa data? Il 10 febbraio 1947 vi fu la firma del Trattato di Pace a Parigi tra l’Italia e le altre potenze
mondiali. È quindi una data simbolica.
La tragedia delle Foibe I massacri delle Foibe sono stati degli eccidi ai danni di militari e civili italiani, avvenuti
durante la seconda guerra mondiale e nell'immediato secondo dopoguerra, da parte dei partigiani e dal corpo
militare jugoslavi. Il nome deriva dalle insenature carsiche, luogo fisico dove furono gettati molti dei corpi delle
vittime.

27 gennaio → Giorno della Memoria


10 febbraio → Giorno del Ricordo

La distinzione tra memoria e storia è fondamentale: la memoria vuole ricordare, è quindi soggettiva in quanto
influenzata dalle emozioni e sensazioni. La storia è invece una ricostruzione oggettiva, prevede quindi distanza
critica.
Lo storico non è quindi un testimone o un memorialista, spesso le testimonianze sono considerate affidabili in
quanto soggettive, lo storico è alla ricerca dell’oggettività.

Lo storico tende a periodizzare → collocare un fatto personale/collettivo in un orizzonte temporale-cronologico, è


un’operazione implicita di senso comune.
L’unità di periodizzazione più utilizzata è il secolo: unità standard di 100 anni che non ha solo valore cronologico ma
anche semantico, di significato.
→ ad esempio: il ‘700 è il secolo dei lumi e delle rivoluzioni, l’800 è il secolo delle Nazioni.

Il ‘900 ha molteplici valori semantici:

• Secolo della violenza e dell’odio


Questo secolo fu caratterizzato da enormi stragi e crimini di guerra.
Shoah→ non solo un crimine di guerra ma annientamento di un popolo
Hiroshima e Nagasaki → distruzione totale di 2 città, atto che va al di là del periodo della guerra, crimine contro il
popolo.
Il ‘900 avrebbe dovuto coronare lo sviluppo e la modernizzazione, invece avvennero crimini che riportarono alla
barbarità/atrocità. Questo escalation di violenza fu dovuto soprattutto alla modernizzazione in ambito militare,
l’avvento di nuove armi distruttive: possibilità di bombardamenti aerei, massacri con bombe, mitragliatrici.
L’800 e il 900 si differenziano molto anche per il numero di vittime militari ma soprattutto civili: fino alla Prima
Guerra Mondiale le perdite di civili non incidevano molto sulle vittime totali. Nel ‘900, durante la Seconda Guerra
Mondiale, circa il 66% delle vittime furono civili.

• Secolo di guerre totali


Il ‘900 fu un secolo durante cui le guerre coinvolsero l’intera umanità, si parla quindi di guerre mondiali.
La Prima Guerra Mondiale coinvolse 36 Stati, la Seconda Guerra Mondiale coinvolse ben 60 Stati.
Le coalizioni con il maggior numero di Stati si garantivano un potenziale bellico elevato → la guerra si vince
allargando le coalizioni belligeranti e cercando supporto negli alleati per sostenere i costi e la produzione destinati
alla guerra.
Le guerre inoltre non si combattevano solo sul fronte militare: la guerra richiedeva enormi sforzi anche nel fronte
interno, ovvero la comunità/popolazione, lo Stato e le industrie. Il fronte interno doveva infatti esser in grado di
sostenere i soldati al fronte. La produzione industriale era tutta incentrata sulla guerra → lo Stato diventava quindi
sia committente che produttore e si trovava costretto ad imporre un rigido regime produttivo.

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• Secolo dell’ideologia
Le guerre del ‘900 venivano spesso combattute sulla base di ideologie e valori. Le ideologie erano imposte attraverso
partiti politici che creavano Stati Totalitari → questa tipologia di stato non si limitava a far tacere gli oppositori ma
mirava ad un’adesione spontanea in nome dell’ideologia che diventava una sorta di religione politica/collettiva.
Un esempio d’ideologia Novecentesca può essere il fascismo, che non rimase solo una concezione politica, ma una
vera e propria base per la vita quotidiana che presupponeva fede ed entusiasmo.
Il ‘900 fu quindi il secolo delle guerre ideologiche, esempi:
→ 1GM: Triplice Intesa difendeva valori democratici, Triplice Alleanza difendeva un modello autocratico.
→ 2GM: opposizione di fascismo e antifascismo.

• Secolo breve
Questa definizione di secolo breve fu data dallo storico Hobsbawn, il quale sostenne che il ‘900 fosse in realtà un
secolo più corto dei tradizionali 100 anni (e quindi complementarmente l’800 fosse un secolo più lungo): secondo lui
l’inizio risaliva al 1914 e la fine al 1991 (anni che corrispondono tra l’altro alla vita dell’Unione Sovietica).
Il secolo, oltre a ridursi temporalmente, secondo Hobsbawn è divisibile in 3 fasi:
-dal 1914 al 1945 → età della catastrofe → emergere del comunismo, scontro tra fascismo ed antifascismo.
-dal 1945 al 1973 → età del benessere → fase di sviluppo economico e materiale senza precedenti.
-dal 1973 al 1991 → età della frana → declino del comunismo, disordine mondiale, mancanza di sicurezze.

• Secolo della democrazia


La definizione del ‘900 come secolo della democrazia prende come riferimento l’anno 1917 con l’intervento in guerra
degli Stati Uniti, a fianco della Triplice Intesa, sulla base dei 14 punti di Wilson → basati su principi democratici.
Nel 1917, con l’intervento in guerra, Wilson promette la democrazia mondiale, vista come base per la pace.
Se la Germania aveva un’ideologia nazional-socialista e l’Unione Sovietica un’ideologia comunista, al contrario gli
Stati Uniti promuovevano un’ideologia democratica che non influenzò solo la politica ma anche la vita quotidiana,
dando luogo al cosiddetto “American way of life”.
L’emergere dei totalitarismi sembrerebbe quindi essere una risposta a questa posizione democratica americana.

• Secolo americano
Si iniziò a parlare di secolo americano durante la Seconda Guerra Mondiale, quando un editore americano utilizzò
per primo questa definizione. Oltre a prender parte alla Prima Guerra Mondiale, gli Stati Uniti nel ’41 fecero
nuovamente ingresso in guerra, riconfermando la propria potenza.

• Secolo della globalizzazione


Il ‘900 è definito secolo della globalizzazione per due motivazioni principali:
-fu un secolo in cui la storia non era più eurocentrica (incentrata sull’Europa) in quanto i continenti extra-europei
passarono al contrattacco: nacquero nuove super potenze non europee (USA, Russia...)
-fu un secolo caratterizzato da un processo di decolonializzazione: nacquero Stati nazional-dipendenti che furono il
risultato dell’emancipazione dal controllo coloniale europeo (in particolare di Francia e Gran Bretagna).

1914-1918

ORIGINI E CAUSE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE


Il 28 giugno 1914 fu una data che segnò la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova epoca sconosciuta.
Questa data si riferisce al giorno dell’Attentato di Sarajevo, frutto di un’iniziativa politica che puntava a rompere
un equilibrio (già poco stabile). L’attentato, compiuto da uno studente serbo, aveva come obiettivo l’arciduca
Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria.

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perché questo attentato? → il progetto politico dell’arciduca cercava di risolvere le tensioni presenti con l’impero
slavo e mirava ad ottenere una sorta di “triplice monarchia” in cui l’Impero Tedesco, quello Asburgico e quello Slavo
fossero stati in una posizione di parità. La Serbia però voleva ottenere totale indipendenza e quindi il progetto
dell’arciduca era visto come un ostacolo.
Molto importanti sono i due blocchi di alleanze, frutto di un lungo periodo di pace che caratterizzò l’Europa dal 1871
(fine della guerra franco-prussiana):
• Triplice Alleanza: Germania, Austria ed Italia
• Triplice Intesa: Francia, Russia e Gran Bretagna

Questo attentato ha un effetto a cascata che porta allo sviluppo di una guerra generalizzata
Quali tensioni già presenti portarono allo sviluppo di una guerra generalizzata in poco tempo?
→ nel 1890 Bismarck (cancelliere tedesco) venne eliminato da re Guglielmo II, questo portò ad un cambio di
strategia dell’impero Tedesco: non si cercava più di limitare i conflitti ma venne adottata una politica aggressiva.
Il primo risultato di questo cambio di strategia fu la nascita delle tensioni tra Germania e Gran Bretagna, che si
contendevano il primato di principale forza navale.
→ nel 1904 la Gran Bretagna scese a compromessi in ambito coloniale con la Francia, riconoscendole il diritto
d’espansione sul Marocco e ottenendo dalla Francia il diritto d’espansione su Egitto e Sudan (l’intesa Franco-
Britannica si cimenta).
Nel 1905 però la Francia cercò d’imporre il protettorato sul Marocco ma la Germania si oppose. Questo portò alla
costituzione di una Conferenza Internazionale a cui presero parte le potenze europee e gli Stati Uniti con Roosevelt.
La Conferenza si risolse con la ragione da parte della Francia, che ottenne quindi il diritto di protettorato sul Marocco
e alla Germania vennero riconosciute delle compensazioni territoriali.
→ la Triplice Alleanza, nata nel 1882 come alleanza difensiva, viveva un periodo di crisi a causa dell’Italia che nel
1901 aveva intrapreso una politica di riavvicinamento alla Francia, la quale avrebbe riconosciuto all’Italia espansione
in Libia. Nel 1908 vi fu un ulteriore momento di crisi nella Triplice Alleanza: l’Austro-Ungheria decide di annettere la
Bosnia in modo unilaterale, senza avvisare l’Italia delle sue intenzioni. Inoltre, secondo gli accordi, se uno Stato
appartenente alla Triplice Alleanza avesse ottenuto nuovi territori, gli altri stati alleati avrebbero dovuto ottenere
delle compensazioni territoriali, come principio d’equilibrio.
Tutto questo portò risentimento nel popolo e nel governo italiano: nasce un senso nazionalista ed antiaustriaco.
(in tutto ciò, nel 1911 la Francia ottenne ufficialmente il protettorato sul Marocco e l’Italia iniziò la conquista libica).
→nel 1912 e 1913 vi furono le due guerre balcaniche:
• prima guerra: la sconfitta dell’Impero Ottomano in Libia portò le nazionalità balcaniche a coalizzarsi nel tentativo
di sconfiggerlo a loro volta. Si formò quindi la Lega Balcanica costituita da Grecia, Montenegro e Serbia, la quale
sconfisse l’Impero Ottomano ottenendo la Macedonia.
• seconda guerra: gli Stati vincitori però non riuscirono ad accordarsi nella spartizione della Macedonia e
intraprendono un conflitto tra loro. A fine di questa guerra l’Impero Ottonano viene estromesso dalla penisola
baltica.

LE PRIME FASI DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

La risposta dell’Austria all’attentato fu feroce: decise di rispondere militarmente alla Serbia in quanto la guerra
sembrava esser l’unica soluzione contro gli slavi. L’idea dell’Austria era di intraprendere una guerra breve, mirata.
Così l’Austria ricercò alleanze e subito accorse la Germania: il 6 luglio 1914 garantisce il suo appoggio.
Il 23 luglio 1914 l’Austria impone un ultimatum alla Serbia che però venne solo parzialmente accettato: la Serbia
respinse la clausola che prevedeva la partecipazione di funzionari austriaci alle indagini sui mandanti dell’attentato di
Sarajevo. L’Austria quindi, il 28 luglio 1914, dichiarò guerra alla Serbia.
La Russia promise appoggio alla Serbia: il governo russo iniziò a mobilitare le proprie forze armate che vennero
indirizzate sia al confine con l’Austria sia a quello con la Germania, per prevenire un probabile attacco tedesco.
Così la Germania, che non vide di buon occhio questa decisione russa, il 31 luglio 1914 inviò un ultimatum alla Russia
in cui la intimava di sospendere i preparativi bellici; non ottenendo risposta, il giorno successivo la Germania dichiarò
guerra alla Russia. Lo stesso giorno, la Francia, alleata della Russia, iniziò a mobilitare le proprie forze armate.
Questo portò immediata reazione della Germania, la quale dichiarò guerra alla Francia il 3 agosto 1914.

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Il piano militare della Germania, chiamato Piano Schlieffen, prevedeva una guerra rapida divisa in due parti:
la prima fase consisteva nella rapida sconfitta della Francia, passando attraverso il Belgio in modo da velocizzare il
raggiungimento del cuore del Paese: Parigi, e successivamente un attacco alla Russia.
Il 4 agosto la Germania invase il Belgio nonostante la sua posizione di neutralità, questo innescò la reazione della
Gran Bretagna, che non poteva tollerare l’attacco ad un Paese neutrale affacciato sulle coste della Manica.
Il giorno stesso, la Gran Bretagna fece la sua dichiarazione di guerra alla Germania.
Nel luglio/agosto 1914 vi furono quindi delle strategie del rischio, in cui tutte le potenze mirarono all’ottenimento di
vantaggi e territori coloniali, pur consapevoli della possibilità di una guerra. Nacque inoltre un diffuso senso di
patriottismo vissuto come una vera e propria religione civile: numerose furono le manifestazioni pro-guerra.
Si passò inoltre da un’illusione di guerra lampo all’effettiva realizzazione di una guerra lunga e di logoramento.
La Prima Guerra Mondiale vide l’avvento di nuove armi distruttive, principalmente la mitragliatrice, che annullarono
l’efficacia di una guerra di movimento: si instaurò quindi una guerra di posizione, di difesa (grande invenzione →
trincee).
La Prima Guerra Mondiale può esser definita come:
• Guerra totale: coinvolse un elevatissimo numero di soldati e vide un ampio contributo da parte del fronte
interno e delle industrie la cui produzione fu incentrata sulla guerra. Si parla di socialismo di guerra, ovvero una
gestione organizzata e diretta dallo stato per lo sforzo bellico.
• Guerra di logoramento: per mantenere a lungo lo sforzo bellico, vennero introdotte nuove pratiche e politiche
economiche per sostenere le enormi spese militari, le cosiddette leve economiche:
- Leva fiscale: vennero applicati rialzi fiscali anche su beni di prima necessità
- Leva dei prestiti interalleati: avvenivano prestiti tra alleati di guerra
- Leva inflazionistica: incremento dello stampo di moneta, così che perda valore
• Guerra di massa: le masse diventano protagoniste della guerra, sia dal punto di vista militare (milioni di soldati)
che a livello di perdite umane.

LA SITUAZIONE ITALIANA
L’Italia in quegli anni si trovava in un periodo delicato: era nel pieno dopoguerra successivo alla vittoria, a caro
prezzo, della guerra coloniale in Libia.
Era inoltre nel pieno di una transizione politica: il Giolittismo entrò in crisi dopo le elezioni a suffragio universale
dell’ottobre 1913, le quali portarono ad emergere due nuove forze politiche opposte alla maggioranza liberale: il
partito socialista ed il mondo cattolico.
Giolitti decise quindi di ritirarsi e cedere il proprio posto a Salandra, il quale si trovò a dover decidere se fare
ingresso in guerra o dichiarare neutralità, sapendo d’esser appoggiato dai sostenitori giolittiani.
Giolitti era a favore della neutralità, in quanto riteneva la guerra uno sconvolgimento tale da metter in discussione le
istituzioni liberali, già fortemente spaventate ed instabili a causa di una sollevazione generale a carattere
rivoluzionario avvenuta nel giugno 1914.
Il 2 agosto 1914, infatti, il governo italiano presieduto da Salandra, dichiarò neutralità.
→l’Italia era legittimata a non intervenire, nonostante fosse membro della Triplice Alleanza, in quanto non era stata
consultata dall’Austria in merito all’ultimatum imposto alla Serbia ed inoltre aveva un accordo d’intervento nel caso
in cui l’Austria fosse stata attaccata, invece fu proprio quest’ultima a dichiarare guerra alla Serbia.
Questa scelta di neutralità ovviamente venne subito considerata dai membri della Triplice Alleanza come un
tradimento, segnando definitivamente la fine dell’alleanza.

Una volta definitivamente scartata l’ipotesi dell’ingresso in guerra a fianco di Germania e Austria, vide l’affacciarsi
della possibilità di un ingresso in guerra proprio contro l’Austria, che avrebbe consentito all’Italia di portare a
termine il processo risorgimentale, riunendo alla patria le terre irredente: Trentino, Venezia Giulia e Trieste (abitati
da popolazione italiana ma soggette all’Impero Austro-ungarico.
Il governo italiano quindi, dall’agosto 1914 al marzo 1915, intraprese dei negoziati segreti con le grandi potenze
europee, intavolando trattative parallele con i suoi ex alleati e con le potenze della Triplice Intesa.
L’Austria si dimostrò disponibile a cedere i territori richiesti ma solo a fine guerra (ovviamente in caso di vittoria).
Anche la Gran Bretagna e la Francia si dimostrarono disponibili a cedere questi territori e anche territori che
andavano al di là del principio di nazionalità.
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Queste trattative si conclusero con il Patto di Londra (26 aprile 1915) nel quale vennero riconosciuti all’Italia da
parte della Triplice Intesa le terre irredente, il Sud Tirolo, l’Istria e la Dalmazia Settentrionale (da questo trattato
venne esclusa la città di Fiume, non richiesta dall’Italia in quanto la prospettiva italiana non era la distruzione
dell’impero Austro-ungarico ma solo delle amputazioni territoriali → Fiume sarebbe dovuta diventare la nuova
Trieste per l’Austria).
Il Patto di Londra vincolava l’Italia ad entrare in guerra entro 30 giorni, questo rese necessario comunicare al Paese la
decisione presa, rimasta fino a quel tempo segreta.

L’opinione pubblica era divisa in interventisti e neutralisti:

Gli interventisti si opposero fin da subito alla neutralità dell’Italia, nasce come interventismo di sinistra composto
da repubblicani e liberali, i quali vedevano nella guerra dell’Italia contro l’Austria la rottura dell’ordine europeo che
impediva alle nazionalità oppresse di raggiungere l’indipendenza, erano antiaustriaci.
- interventismo ideologico rivoluzionario → obiettivo di rivoluzionare la politica europea e la situazione interna.
- interventismo nazionalista → convinzione che l’Italia, tramite la guerra, possa diventare una potenza imperialista,
logica quindi puramente espansionistica, continuare la marcia verso l’espansione.
- interventismo conservatore → anch’esso basato sulla volontà d’espansione ma più attento a preservare l’equilibrio
europeo.
- interventismo democratico → intellettuali, giovani studenti universitari che vedono nella guerra la possibilità di
riscatto, forti valori patriottici, trionfo del principio di nazionalità.

I neutralisti sostenevano il non intervento in guerra dell’Italia ed erano per lo più liberali sostenitori di Giolitti.
- neutralismo spontaneo → delle masse, popolazione che teme la guerra come qualcosa a cui sottrarsi.
- neutralismo ideologico → dettato dal pacifismo, incarnato dal partito socialista italiano che considera la guerra una
minaccia per gli interessi materiali delle classi lavoratrici, le più coinvolte nel sostenimento dello sforzo bellico.
- neutralismo condizionato → non assoluto, non del tutto contrario alla guerra, è incarnato dal mondo cattolico (se
non c’è la guerra è meglio, se c’è la guerra vabbè)
- neutralismo giolittiano → inizialmente Giolitti sostenne la neutralità e propose la possibilità di un esito
soddisfacente del negoziato italiano con l’Austria.

Dopo la firma del Patto restava da superare l’opposizione della Camera: la maggioranza della camera era giolittiana,
quindi neutralista, infatti quando Giolitti, ancora ignaro del Patto, si pronunciò a favore per il proseguimento delle
trattative con l’Austria, avvenne una manifestazione di solidarietà nei suoi confronti, in cui i deputati lasciarono
presso la casa di Giolitti il loro biglietto da visita, a simboleggiare il loro sostegno delle sue ideologie.
Il governo Salandra così si dimise ma il Re ne rifiutò le dimissioni, andando quindi contro alla volontà neutralista
della Camera. A quel punto le piazze diventarono teatro di manifestazioni interventiste che appellarono Giolitti come
oppositore della patria.
Quando il governo Salandra venne ripristinato, i senatori che avevano manifestato solidarietà a Giolitti cambiarono
decisione votando a favore di Salandra.
Il 23 maggio 1915 l’Italia comunica la propria dichiarazione di guerra all’Austria.
Il 24 maggio 1915 l’Italia entra ufficialmente in guerra a fianco dell’Intesa.

L’Italia entra quindi a far parte di questa grande guerra di logoramento, fino alla fine del 1917 l’esercito italiano
guidato da Luigi Cadorna tenta delle offensive che vengono però bloccate dall’esercito austriaco.

Il 1917 diventa un anno di svolta dal punto di vista militare e si decidono le sorti della guerra.
Nel 1917 i fronti interni degli Stati cominciano a vacillare, sostenendo con fatica lo sforzo bellico, vi è diffusa
sensazione di malessere ed avvengono i primi scioperi nelle fabbriche di produzione di armamenti bellici.
Inoltre, emersero dei tentativi di pace che si dimostrano però impossibili da concludere: la guerra si avvia ad una
fase di scontro ultimativo. È quindi in gioco l’esistenza stessa degli Stati, soprattutto dei due grandi imperi
dell’Alleanza.
È proprio l’Austria la prima che tenta degli accordi di pace con l’Intesa che vengono però rifiutati.

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Si riscontra un malessere delle truppe al fronte, che dà vita ad un senso di diserzione → scioperi militari → i soldati
si rifiutano di uscire dalle trincee ed indietreggiano.
Per far fronte a questa problematica i comandanti danno vita alle così dette decimazioni, ovvero passano alle armi
contro il proprio stesso esercito, così da intimidare chi intendeva sottrarsi allo sforzo bellico.
Viene individuato anche un nemico interno, ovvero il disfattista; l’accusa di disfattismo percorre le opinioni
pubbliche europee e giustifica forme di repressione e persecuzione condotte in nome della cosiddetta resistenza
interna → chi si sottrae alla disciplina di guerra diventa oggetto di repressione.

La propaganda di guerra giustifica lo sforzo bellico. Questi tentativi di disfattismo sia del fronte interno sia esterno,
producono il primo grande sconvolgimento rivoluzionario del 1917, in questo contesto di crisi e demoralizzazione
degli eserciti e delle opinioni pubbliche esplode la prima rivoluzione borghese, la Rivoluzione di febbraio.

Rivoluzione russa → La prima rivoluzione borghese esplode a Pietrogrado (capitale dell’impero zarista) nel marzo
1917, conosciuta come Rivoluzione di febbraio poiché secondo il calendario russo essa avviene il 27 febbraio
1917.
Fu una forma di protesta che esplose quando gli operai e i soldati si rifiutarono di proseguire lo sforzo bellico.
L’esplosione di questa sollevazione di piazza avviene quando lo zar decide di mandare qualche gruppo di soldati per
reprimere le proteste ma invece che sparare sui manifestanti solidarizzano con loro.
Questo fatto portò all’abdicazione dello Zar Nicola II, il quale cede la corona al fratello che si rifiuta però di
succedergli, segnando la fine della dinastia dei Romanov e dell’impero zarista → vuoto di potere.

Questo vuoto di potere viene colmato da un governo provvisorio che si formò all’interno del Parlamento, sostenuto
da tutte le forze politiche → governo d’unità nazionale. Esso assume l’impegno di proseguire la guerra attraverso il
passaggio ad un modello politico vicino a quello delle democrazie occidentali, portando omogeneità valoriale
all’interno dell’Intesa (la Russia era l’unico stato non democratico della Triplice Intesa fino alla caduta del regime
zarista). Le rivoluzioni sia politiche che sociali (ad esempio l’introduzione della giornata lavorativa di 8 ore) e la
difficoltà materiale di continuare la guerra, espongono anche questo governo ad una crisi.
La riforma agraria non riesce ad esser compiuta → non viene data la terra ai contadini. Nasce così un contropotere, il
potere formatosi spontaneamente dal basso attraverso la costituzione di consigli rivoluzionari (soviet) che
esprimono e rappresentano direttamente i ceti sociali che hanno dato vita alla Rivolta di febbraio (i contadini, i
soldati e gli operai) rivendicando due obiettivi fondamentali ovvero la terra e la pace.

Si parla quindi di dualismo: da un lato il governo provvisorio (potere legale) e dall’altro i soviet, i quali assumono fin
da subito il vero potere sostanziale, in grado di decidere se proseguire o terminare la guerra.

Il governo provvisorio continua a tentare offensive belliche mentre i soviet mirano ad una pace senza ne oneri
ottenimenti. La situazione si complica ulteriormente quando emerge un altro soggetto politico, il partito bolscevico
guidato dal leader ideologico Lenin, il quale dopo la Rivoluzione di febbraio torna in Russia (era stato esiliato
durante la guerra poiché aveva manifestato opposizione alla guerra).
→ Il 3 aprile 1917 Lenin pubblica un documento politico in 10 punti, le cosiddette Tesi d’aprile, con le quali
sconfessa la collaborazione socialdemocratica con il governo provvisorio e pone all’ordine del giorno la questione
della conquista del potere per via rivoluzionaria. Nei mesi successivi riesce a conquistare progressivamente la
maggioranza, e quindi il controllo politico, dei soviet. Il partito Bolscevico, da forza di minoranza, diventa il partito
guida della rivoluzione socialista. Questa risalita del partito Bolscevico all’interno dei Soviet, matura nell’estate del
1917 quando il governo provvisorio guidato dal socialrivoluzionario Karenskij, rilancia l'offensiva militare contro
Germania ed Austria ma viene ostacolato dai soviet controllati ormai dal partito bolscevico. Questo accade nel
luglio/agosto del '17. Questo segna sostanzialmente la fine della guerra per la Russia.

Il governo provvisorio che non riesce più a continuare la guerra, viene sfidato nelle piazze dai soviet ormai
Bolscevichi, i quali ottengono l’abolizione della proprietà terriera → avviene la socializzazione delle terre.
Il governo provvisorio instaura un tentativo di repressione militare contro il bolscevismo, costringendo quindi Lenin
ad espatriare nuovamente. Questo però non si rivela una definitiva soluzione, nell’agosto 1917 i generali

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dell’esercito mettono a disposizione delle truppe contro i bolscevichi, ma il governo invece che accettarne il
sostegno richiama i bolscevichi, denuncia il colpo di Stato militare, e si schiera dalla parte dei soviet.
Così anche il governo provvisorio cade sotto al vero potere, quello dei soviet.
Il 25 ottobre avviene la Rivoluzione d’ottobre, i soviet lanciano l’insurrezione contro la sede del governo di
Kerensky (palazzo d’ottobre), conquistando il potere → non esiste più il dualismo di potere, i soviet diventano
l’unico potere.
La data del 25 ottobre coincide con l’assemblea di tutti i soviet che si erano istituiti sul territorio russo, tramite cui
Lenin riesce ad imporre i due decreti che legittimano l’azione di forza rivoluzionaria:
la pace → si formalizza l’uscita della Russia dalla guerra senza annessioni e senza indennità
le terre → la fine della proprietà privata, lo Stato acquisisce le terre
Da quel momento non si parla più di governo ma di Consiglio dei commissari del popolo , guidato da Lenin.

Circa un mese dopo della presa del potere avviene un’elezione generale in cui però i bolscevichi ottengono poco
consenso, i partiti non bolscevichi vengono però successivamente sciolti.
La proposta del governo bolscevico riguardo l’uscita dalla guerra, non viene ben vista dai suoi nemici, Austria e
Germania. Lenin deve così scegliere se continuare a rivendicare la pace oppure accettare le condizioni imposte dalla
Germania e chiudere la partita della guerra. Lenin, pur di uscire dalla guerra, decide di sottoscrivere un pesantissimo
trattato di pace, la pace di Brest-Litovsk, firmato dal governo bolscevico e dalla Germania.
Questo trattato porta alla Russia grandi amputazioni territoriali (perdita di Polonia e Paesi Baltici) e perdite
economiche.

SECONDA FASE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

Con l’uscita dalla guerra della Russia, le truppe d’Austria e Germania vengono spostate interamente sui confini
occidentali. Le potenze dell’Alleanza cercano di sfruttare questo momento svantaggioso per la Triplice Intesa che
aveva appena perso un componente. La Triplice Alleanza cerca di accelerare i tempi anche perché da parte della
Triplice Intesa si schiera formalmente, non ancora militarmente, una grande potenza extraeuropea: gli Stati Uniti.
6 aprile 1917 → dichiarazione di guerra degli Stati Uniti contro la Germania.

Gli Stati Uniti non si definiscono alleati all’Intesa, ma una potenza associata all’Intesa: loro combattono la stessa
guerra ma con obiettivi totalmente distaccati.
Come mai gli Stati Uniti decidono d’intromettersi nella guerra?
Vi sono tre motivazioni principali: militari, economiche e ideologiche/valoriali.
C’è una ragione di carattere militare, ovvero la guerra sottomarina illimitata ripresa dalla Germania contro le navi
americane che rifornivano la Gran Bretagna (infatti gli Stati Uniti fino ad allora avevano solidarietà economica nei
confronti dell’Intesa). Un secondo motivo è economico, gli Stati Uniti avevano intrapreso dei prestiti alle potenze
dell’Intesa quindi con il loro ingresso in guerra volevano salvaguardare i propri crediti stanziati a favore di Francia ed
Inghilterra (se Francia ed Inghilterra perdono la guerra, non pagano i debiti agli Stati Uniti). Vi è una terza ragione,
che non ha a che fare con interessi ma con i valori degli Stati Uniti, Wilson giustifica l’intervento in guerra è quello di
rendere il mondo sicuro per la democrazia (Wilson punta a costruire un nuovo ordine internazionale, basato sul
principio della democrazia e della sicurezza collettiva).
La rivoluzione wilsoniana si basa sul concetto di democrazia universale, mentre quella bolscevica ha come obiettivo
l’esportazione del pensiero socialista in tutto il mondo: tutte e due sopravviveranno alla grande guerra e per tutto il
900 (si arriverà alla Guerra Fredda).

Alla base del Wilsonismo vi sono i 14 punti, pronunciati durante il suo discorso tenuto nel gennaio 1918
I 14 punti di Wilson trattano:
I. la fine della diplomazia segreta, la pubblicità dei trattati: il primo che è il più noto e pone la fine della diplomazia
segreta, cioè i trattati devono essere resi noti dagli stati in modo da essere controllati e governati dalle opinioni
pubbliche. L'utopia è quella che in un regime di apertura e trasparenza totale gli stati sono in qualche modo
frenati rispetto la decisione della guerra.
II. La libertà dei mari e di commercio marittimo: è un punto che costituisce la difesa di un interesse americano. Gli
usa entrano in guerra quando la Germania colpisce i convogli americani, quindi il secondo punto rivendica la
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libertà di navigazione e commercio sui mari. È al tempo stesso un ideale ma anche un interesse concreto, ma del
resto la politica usa cerca attraverso questa piattaforma universalistica di coniugare interessi ed ideali. L'idea di
Wilson è che la democrazia sia anche l'interesse degli stati, che gli stati uniti non possono difendere i loro
interessi di stato democratico e liberale in un mondo dove gli stati sono autoritari e che limitano la libertà di
commercio. L'interesse americano è quello della porta aperta, quindi gli usa cercano di difendere la possibilità di
accesso a sbuchi commerciali.
III. Soppressione di barriere economiche e uguaglianza nei commerci: i principi della libertà economica (liberismo).
IV. Il disarmo. Non basta rendere pubblici i trattati, per evitare guerre è necessario ridurre il potenziale militare e
che perdano l'interesse nel fare la guerra.
V. Gli Stati Uniti nati da una rivolta coloniale contro la GB impugnano la barriera della libertà ed emancipazione dei
territori coloniali rispetto e contro le potenze coloniali europee. È una giustificazione dell'anticolonialismo. Gli
usa si schierano dalla parte dei colonizzati, del resto è nel DNA della storia americana. (punto rivoluzionario).

Dal sesto punto in poi invece Wilson entra nel merito delle questioni che dividono la diplomazia europea ed
impediscono una pace separata. C'è la richiesta dell'evacuazione di territori russi occupati dalla Germania (si nota
che Wilson ha come obiettivo proprio quest’ultima), addirittura la Russia bolscevica rivoluzionaria non impedisce a
Wilson di prendere le difese, è la Germania che deve evacuare i territori occupati a oriente quelli russi e a occidente
evacuare l'Alsazia e Renania che devono essere riconsegnate alla Francia. Quindi la prospettiva su cui Wilson
propone: l'apertura per un negoziato della pace e quello di un rientro della Germania nei suoi confini nazionali. Non
c'è una cancellazione della Germania, ma c'è la rivendicazione del principio di nazionalità cioè il principio di
autodeterminazione dei popoli sul terreno nazionale come garanzia di pacificazione dell'ordine europeo. Questo è di
fatto una dichiarazione di guerra nei confronti degli imperi plurinazionali, secondo la sua prospettiva questi imperi
devono in qualche modo arrivare alla dissoluzione per consentire alle nazionalità che abitano nei loro confini di
risorgere come stati indipendenti. Questo messaggio che fa leva sul principio di nazionalità, Wilson lo applica
soprattutto a due grandi imperi europei: quello asburgico e ottomano, le costruzioni imperiali contro le quali Wilson
proclama i suoi 14 punti.

Prima conseguenza di questo principio di nazionalità nell'Europa occidentale e balcanica (punto 10), significa che
l'impero asburgico dev'essere sciolto. Questo è un obiettivo che sposta lentamente gli equilibri della politica
europea, è un passo avanti rispetto agli stati europei che non vedono l'obiettivo di uno scioglimento, ma solo di un
ridimensionamento o amputazione. Gli usa vanno oltre e sostengono che stati di questo genere costituiscono delle
costruzioni che sono fonte di insicurezza per la comunità nazionale quindi devono essere cancellate. Wilson non lo
dice direttamente ma riconosce il diritto degli slavi, legittima un processo di disgregazione che per altro è già in atto
durante la guerra. 20/07/1917 a Corfù viene sottoscritto un accordo tra le tre principali nazionalità slave del sud:
Serbia (già indipendente), i rappresentanti della nazionalità croata e i rappresentanti della nazionalità slovena creano
un patto in cui si impegnano a dar vita ad uno stato indipendente degli stati del sud, uno stato Jugoslavo (Jugo=sud),
quindi è un processo di disgregazione che è già in atto. Wilson con questo decimo punto di fatto se ne assume la
paternità e lo giustifica.
Così come fa con le nazionalità slave nell'undicesimo punto sostiene la restaurazione dello stato serbo indipendente,
la Serbia era stata occupata dall'Austria quindi non esisteva più come stato indipendente.
Dodicesimo punto stesso principio applicato all'impero ottomano, quindi viene confermata l'estromissione
dell'impero ottomano dall'Europa, il ritiro dell'impero turco sulla penisola anatolica.
Tredicesimo punto, lo stato polacco indipendente.
Ultimo punto è quello più noto: l'istituzione al termine della guerra di una lega delle nazioni. Questo non è altro che
una “Società delle nazioni”, un'organizzazione internazionale concepita per la risoluzione pacifica consensuale delle
controversie tra gli stati. Questa è la proposta più innovativa che viene elaborata da Wilson, l'idea che per avere la
pace non basta avere l'unità degli stati sovrani o creare condizioni per cui gli stati vadano d'accordo e non abbiano
punti d'attrito, ma occorre che venga costituita un'autorità superiore agli stati di cui gli stati dovevano essere
membri e che aveva come obiettivo quello di garantire la pace nel nuovo ordine internazionale postbellico. Per
garantire la pace, perché questa organizzazione fosse messa nelle condizioni giuste per garantire la pace, Wilson
prevedeva che le fosse attribuito il potere di sanzionare economicamente ma anche militarmente gli stati
trasgressori. In poche parole, lo stato componente della nazione che si sottrae alla risoluzione pacifica delle

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controversie internazionali stabilita dalla società delle nazioni dev'essere sanzionato non dagli altri stati, ma dalla
stessa organizzazione internazionale a cui tutti gli stati avrebbero dovuto farne parte. Era una sorta di tribunale
internazionale.

Le fasi finali della guerra videro la Germania nell’ultimo disperato tentativo di attacco sul fronte francese.
Gli austriaci tentarono di sferrare il colpo decisivo sul fronte italiano ma furono respinti.
Alla fine di luglio 1918, le forze dell’Intesa passarono al contrattacco infliggendo una dura sconfitta all’esercito
tedesco, il quale iniziò ad arretrare.
Pian piano le forze alleate iniziarono a cedere: la prima fu la Bulgaria, successivamente l’Impero Turco;
Il 3 novembre 1918 l’Austria firmò l’armistizio con l’Italia.
L’11 novembre 1918 la Germania firmò a sua volta l’armistizio.

Il dopoguerra si apre con la conferenza della Pace di Versailles che ha inizio il 18 gennaio 1919 ed ha lo scopo di
ridisegnare gli equilibri politici del mondo.
Alla luce degli eventi del 1917 si può dire che la grande guerra si conclude come guerra mondiale (prima era
europea) e come guerra ideologica (il wilsonismo introduce in questo conflitto il carattere ideologico).
I quattro grandi Paesi vincitori della guerra incarnano i valori della democrazia: a Versailles si parla quindi di un
nuovo ordine internazionale basato proprio sulla democrazia.
I quattro grandi che si siedono alla tavola sono i capi delle delegazioni diplomatiche che a Versailles hanno il
compito di negoziare la pace. Sono rispettivamente: Wilson, il primo ministro britannico Lloyd George, il presidente
del ministro francese Clemenceau e l'italiano Vittorio Emanuele Orlando.
Si partì quindi con un’idea di pace democratica ma si arrivò ad una vera e propria pace punitiva: spesso i trattati
impedivano agli stati sconfitti di rimettersi in sesto dopo la guerra → le potenze vincitrici erano infatti in parte
estranee all’idealismo wilsoniano poiché esse erano entrate in guerra per obiettivi puramente
territoriali/espansionistici. La guerra combattuta da Italia, Francia e Germania non era ideologica, questi stati si
resero quindi conto che accettare una pace democratica avrebbe significato rinunciare al “bottino di guerra”.
Wilson accetta quindi le richieste degli altri stati vincitori, delegando a loro il ridisegno dei confini europei ed
ottenendo in cambio la nascita della Società delle Nazioni.
I rappresentanti degli stati vincitori stabiliscono le condizioni della pace ed il nuovo ordine internazionale che
vennero successivamente imposti agli sconfitti, i quali non ebbero nessuna voce in capitolo nelle decisioni e vennero
obbligati a firmare i trattati imposti.
Questi trattati impongono delle clausole di diverso tipo: territoriali, militari ed economiche.
• Alla Germania viene imposto il Trattato di Versailles firmato il 28 giugno 1919
• All’Austria venne imposto il Trattato di Saint Germain il 10 settembre 1919

La Germania subisce amputazioni territoriali corrispondenti a circa 1/7 della sua superficie pre-guerra → perse la
linea di Danzica e cede alla Francia i territori che essa aveva perso durante la guerra franco-prussiana ovvero l’Alsazia
e la Lorena. La Francia voleva ottenere dalla Germania anche i territori della Valle del Reno ma Wilson e George si
opposero e si arrivò ad un compromesso di lasciarli sotto il dominio tedesco ma smilitarizzarli.
Alla Germania viene anche imposta la rinuncia coloniale, le sue colonie vengono spartite tra Francia e Gran Bretagna
(l’Italia non ottiene nulla). Per quanto riguarda le clausole militari imposte alla Germania, la principale è la rinuncia
alla coscrizione obbligatoria (esercito di leva) e l’imposizione di limiti al numero di soldati.
Le clausole economiche furono espresse in risarcimenti enormi in quanto alla Germania viene attribuita la colpa
dell’espansione del conflitto. La somma fissata nel 1921 è enorme, capace di mettere in ginocchio la Germania.
La Francia spingeva molto su queste clausole, soprattutto quella economica, in quanto la Germania a livello
industriale era rimasta forte nonostante la guerra e la somma del risarcimento così alta permetterebbe di giustificare
un eventuale intervento militare francese (se Germania non paga, Francia invade).

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Le riparazioni tedesche inoltre potevano permettere il risanamento dei debiti interalleati della Francia e della Gran
Bretagna nei confronti degli Stati Uniti.

L’Austria ha perso lo status d’impero plurinazionale ed è ridotta ad un piccolo territorio, uno stato cuscinetto tra
Germania ed Italia. L’Austria venne costretta a firmare una clausola di divieto di riunirsi con la Germania in un grande
stato tedesco che includa tutte le popolazioni di lingua tedesca. Nell’Europa dei Balcani, al posto dell’Impero
Asburgico, si costituirono degli stati indipendenti fondati sul principio di nazionalità.
Sulle ceneri dell’impero asburgico nascono quattro stati: Cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia e Romania.
Si nota che l’Europa centrale è composta da stati nazionali nuovi, ma è una fascia molto frazionata.
Il frazionamento è giustificato dalla politica del cordone sanitario, ovvero una politica di contenimento geopolitico
delle mire espansionistiche delle due grandi potenze europee sconfitte, la Germania e la Russia rivoluzionaria. Questi
stati cuscinetto devono bloccare il ritorno espansionistico della Germania e della Russia. L’assetto europeo è
complesso ed instabile. Un problema irrisolto è l’insicurezza francese soprattutto nei confronti della Germania. La
Francia ad occidente cerca di ottenere una garanzia bilaterale dagli alleati (Usa e Gran Bretagna), cioè una difesa in
caso di attacco tedesco. Cerca di tutelarsi anche ad oriente attraverso l’alleanza con gli stati dell’Europa centro-
orientale, nati dopo la guerra. Si forma la piccola intesa nel 1921 (Jugoslavia, Romania, Cecoslovacchia)
caratterizzata dall’impegno degli stati a non attaccarsi ed a soccorrersi in caso di attacco tedesco. La Francia si allea
alla piccola intesa.

La guerra partorisce la moderna società di massa, gli storici considerano il 1919 come l’anno in cui si conclude in
Europa l’Ancien Regime. Prima l’Europa era di tipo tradizionale, premoderno, con tracce dell’Ancien Regime, in cui vi
era un ordine sociale di tipo feudale, basato sulla centralità della terra, sul primato delle aristocrazie e sul ruolo
istituzionale delle monarchie.
Prima della guerra vi erano solo due stati non monarchici, dopo la guerra tutti gli stati erano repubbliche.
Già prima della guerra si notava una trasformazione della società, un sintomo, un preludio di cambiamento, che
sfocia nella nuova società di massa. L’industria aveva allargato il settore operaio, aveva comportato già prima della
guerra nuove politiche, forme di legislazione sociale, il consolidamento dei servizi pubblici, nuovi compiti di
intervento che implicano spesa sociale maggiore ì e nuove forme di tassazione a sostegno delle nuove spese.
Ci sono anche nuovi soggetti politici, i sindacati di massa ed i partiti di massa (es. socialisti), la politica si era allargata
grazie già al suffragio universale maschile. La guerra fu un’accelerazione di questi processi che portarono alla
creazione di una società di massa.

Il dopoguerra è una fase di transizione a qualcosa di nuovo: si passa dal disordine postbellico a nuovi fenomeni che
attraversano in modo differente gli Stati. Si parla quindi di casi nazionali, esperienze fortemente diversificate di stato
in stato. La questione tedesca è sicuramente uno dei fronti critici del dopoguerra, ma non è l’unico.
I trattati di pace non segnano la fine delle ostilità, vi è la prosecuzione di conflitti.
Uno dei principali casi è quello della Turchia, la quale decise di proseguire la guerra contro le potenze vincitrici
ribellandosi al Trattato di Sèvres firmato nel 1920. Questo trattato infatti mutilava la Turchia con l’assegnazione di
alcuni suoi territori alla Grecia. La rivolta della Turchia è guidata dal movimento dei Giovani Turchi, nel giro di 3 anni i
greci vengono cacciati e quindi rioccupati i territori che le erano stati tolti. Nel 1923 si ha un nuovo trattato a favore
della Turchia (la pace greco-turca).
Questo fa capire che il 1918 non segna la fine della guerra in Europa, ma si continua a combattere, ci sono conflitti
veri e propri che hanno diversa origine: occupazione territori, principi nazionali (minoranze che si trovano ad abitare
nuovi stati nazionali).

RIVOLUZIONE RUSSA POST-GUERRA: il comunismo di guerra, la NEP

Vi è inoltre un caso in cui si ricomincia a combattere a partire dal 1918, ed è il caso della Russia rivoluzionaria. È
questo il nuovo fronte di guerra combattuta militarmente, non soltanto dai russi ma combattuta indirettamente
anche dalle potenze vincitrici dell'intesa che non riconoscono il nuovo regime bolscevico.

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Non riconoscendolo cercano di rovesciarlo militarmente, intervenendo mandando corpi militari e favorendo sbarchi
di truppe nel contesto della guerra civile che si è aperta in Russia tra il regime bolscevico nato nella Rivoluzione
d'ottobre e dall'altro lato la cosiddetta Russia bianca cioè la Russia antibolscevica.
All’inizio del 1917 il regime zarista fu abbattuto dalla rivolta di Pietrogrado, venne a formarsi successivamente un
governo provvisorio che aveva come obiettivo la prosecuzione della guerra e la promozione della modernizzazione
politica ed economica del paese.
La Rivoluzione d'ottobre, l'ascesa al potere del partito bolscevico, produce resistenza all'interno della vecchia classe
dirigente zarista e dentro l'esercito, diversi ufficiali che combattevano la guerra a fianco dell'intesa si trovano
detronizzati e minacciati fisicamente dal nuovo regime quindi cercano di organizzare una nuova resistenza che
assume le forme di una vera e propria guerra civile. La guerra quindi non solo si chiude ma si riapre, diventa dal
1918 al 1921 il fronte nel quale si scontrano appunto non solo truppe russe, ma al fianco delle truppe “bianche”
anche contingenti militari inviati dalle potenze europee che cercano in qualche modo di arrestare il contagio
rivoluzionario ai confini russi. Il timore dominante è che si propaghi fuori dalla Russia. L'esperienza della guerra civile
Russa è quella in cui si costituisce e definisce in modo definitivo il regime bolscevico.

L’organizzazione dello stato e dell'economia in questa fase di guerra dà vita ad un esperimento definito dagli storici
come “Comunismo di guerra” che imprime al regime bolscevico caratteri istituzionali, economici che lo
caratterizzeranno per tutta la sua durata e perfino alla sua dissoluzione. Regime che nasce in tempi di guerra civile,
evidentemente è un regime improntato su una logica di concentrazione del potere, è un regime di emergenza,
eccezionale. Questa emergenza diventerà permanente al termine di questa fase di guerra civile, sopravviverà alla
guerra civile. Generalmente si pensa ad un movimento di popolo che si organizza ad avere un'ordinanza diretta
tramite soviet e distrugge uno stato basato sul principio gerarchico come quello zarista, è una visione ascensionale
cioè è un movimento dal basso che conquista il potere con la Rivoluzione d'ottobre e dà vita ad un esperimento di
democrazia rivoluzionaria, di democrazia consigliata (sovietica). Questa è una visione che corrisponde alla realtà solo
fino alla fine del 1917, fino alla Rivoluzione d'ottobre questa realtà è vera, di fatto il partito bolscevico
s'impadronisce dei soviet e attraverso i soviet dà vita a questa insurrezione. Con il comunismo di guerra questa
rappresentazione si capovolge completamente, cioè il comunismo di guerra capovolge questa “rivoluzione dal
basso”, e dà vita a quella che gli storici definiscono come una vera e propria rivoluzione dall'alto. Il comunismo di
guerra è una rivoluzione dall'alto. Bisogna tenere presente che il bolscevismo e la concezione leninista del potere
della rivoluzione, capovolge le tesi di aprile completamente. La dottrina marxista che considerava la rivoluzione
socialista non come il frutto di un'iniziativa rivoluzionaria ma come il prodotto di un'evoluzione graduale della
società capitalistica che avrebbe reso evidenti le contraddizioni interne al sistema capitalistico. In parole povere la
rivoluzione non era un momento e un atto temporaneo, ma era una conclusione della crisi del capitalismo. Non
poteva essere accelerata da iniziative rivoluzionarie perché sarebbe arrivata ugualmente. Il capitalismo visto da Marx
è un sistema malato che genera alienazione sociale, che crea una massa di lavoratori alienati che sarebbe
progressivamente accresciuto e moltiplicato e avrebbe inceppato il sistema di lavorazione capitalistica, quindi
secondo Marx non c'era bisogno di una rivoluzione in quanto questa è il prodotto di una storia e quindi secondo
Marx i Paesi che avrebbe interessato la rivoluzione socialista sarebbero non la Russia ma i Paesi dell'occidente
industrializzati quali in particolare la GB. Lei era il Paese della rivoluzione industriale, e dove secondo Marx per prima
sarebbe avvenuta questa trasformazione rivoluzionario.
Lenin capovolge tutto questo discorso. Tanto è vero che la rivoluzione la fa nel Paese più arretrato d'Europa, in un
Paese che non è capitalizzato ma interamente agricolo. La fa in un Paese non capitalistico. È come se mettesse il
carro davanti ai buoi. Secondo Marx la rivoluzione è il prodotto del capitalismo che si inceppa. Secondo Lenin la
rivoluzione può essere innescata dall'iniziativa di un movimento politico fatto di rivoluzionari di professione. Secondo
Lenin la rivoluzione non la fa la storia ma i rivoluzionari.
Questo salto rispetto alla dottrina marxista che consente a Lenin di fare una rivoluzione che riesce in Russia,
comporta però grandi rischi perché il partito bolscevico (minoritario che aveva solo 70mila iscritti, partito-setta) si
trova dal 1918 a governare un Paese di 150mln di abitanti. Un Paese dove si è sviluppata e organizzata una
resistenza militare contro il governo rivoluzionario. La rivoluzione dall'alto è il tentativo da parte del governo
bolscevico di gestire questa competizione, di riuscire ad imporsi ed imporre un controllo sulla società russa.

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Le due caratteristiche fondanti di questo sistema di governo bolscevico che poi diventerà il sistema di governo
dell'unione sovietica e che rimarrà invariato in tutto il Novecento. Sono due novità che definiscono questo modello
di stato comunista:
• Regime a partito unico: il monopartitismo. Ovviamente si intende che l'unico partito rimasto è quello bolscevico
che si identifica totalmente con lo stato. Non c'è una distinzione tra stato e partiti, si ha una fusione tra partito
unico e stato. Si parla quindi di stato-partito: lo stato è il partito. Non esiste un sistema di giustizia o
amministrazione fuori dal partito ma è il partito stesso che sostituisce la vecchia legalità prerivoluzionaria e dà
vita a questo nuovo regime mono partito. Le innovazioni del regime bolscevico dal punto di vista della giustizia e
polizia sono: la polizia viene chiamata Ceka ed è una polizia che si può considerare politica. È la prima polizia
politica ed ha il compito non di punire i trasgressori della legge, ma di punire gli oppositori considerati come
nemici dello stato. Quindi gli oppositori politici diventano in qualche modo banditi ed oggetto di persecuzione e
sanzione. Accanto alla polizia, la giustizia. Qua la giustizia ha come compito di garantire la cosiddetta legalità
rivoluzionaria, non la legge inteso in senso astratto ed universale. È la rivoluzione stessa a fissare i parametri
normativi. È una giustizia anche questa di carattere politico che dà vita all'istituzione di un tribunale
rivoluzionario centrale, un tribunale che ha il compito di sanzionare gli oppositori o pseudo-oppositori ritenuti
tale dal regime. Per gestire questo apparato repressivo è evidente che il partito deve esercitare un controllo
assoluto sulle opposizioni. È una “Dittatura del partito unico”. Questo non elimina solo i suoi oppositori, ma
colonizza e si insedia in modo permanente ed irreversibile al vertice di questa macchina burocratica centralizzata
di controllo sulla società eliminando ogni forma di libertà e dissenso. Libertà non solo in campo politico ma
anche in campo economico.
• Abolizione del mercato e della proprietà privata: Con la nazionalizzazione ed espropriazione della proprietà da
parte dello stato che ne diventa il proprietario universale e l'ente economico che gestisce, in forma pianificata
l'intero sistema produttivo, resta solo la libertà politica dello stato che impone ed orienta il regime produttivo.
Durante il comunismo di guerra la politica di pianificazione si traduce per la prima volta (rimarrà una costante
negli anni successivi) nell'espropriazione dei prodotti agricoli e gli ultimi vengono destinati invece coattivamente
(in modo forzato) dalle campagne alle città e soprattutto, in questa fase di guerra civile, all'esercito
rivoluzionario. La pianificazione centrale viene sperimentata come misura di emergenza per combattere le
misure bolsceviche. L'esercito rivoluzionario costituito nel 1918 che prende il nome di “armata rossa”, si trova a
combattere contro la resistenza antibolscevica, per combattere quindi ha bisogno di risorse economiche,
alimentari e materiali e queste risorse vengono prelevate dalle campagne e trasferite a disposizione dell'esercito
rivoluzionario.

Il comunismo di guerra è una politica di emergenza che verrà sperimentata fino al 1921 e che consentirà all'armata
rossa di vincere questa guerra civile. I bolscevichi grazie a questa politica sanguinosa, a questa guerra ai contadini e
socializzazione delle campagne riescono a sostenere lo sforzo militare dell'armata rossa. Il comunismo di guerra
quindi, è un esperimento che ha successo almeno dal punto di vista militare. Naturalmente la guerra civile si
conclude a favore del regime bolscevico anche perché sul fronte opposto (Russia bianca), la resistenza a regime non
trova il consenso delle masse rurali che si trovano da un lato espropriati dal nuovo regime, ma dall'altro ottengono in
caso di vittoria degli avversari dei bolscevichi temono il ritorno dei vecchi proprietari. Quindi la guerra civile viene
vinta dal regime bolscevico anche a causa di questa benevola attesa da parte dei contadini che pur di non tornare
sotto il controllo dei grandi proprietari accettano questa fase di espropriazione come una misura transitoria. Difatti
nel '21 quando la guerra civile si conclude anche la politica economica del comunismo di guerra viene sospesa.
Si ha una battuta di arresto imposta dallo stesso regime bolscevico che avverte i costi sociali di questa politica.

Allora dal 1921 il regime comunista vara la Nuova Politica Economica (NEP) che corregge in qualche modo la
precedente politica di bonificazione e reintroduce una parziale liberalizzazione del commercio e industria. È una
sorta di economia mista in cui c'è un forte controllo dello stato che espropria i beni e le proprietà private soprattutto
ai contadini, ma al tempo stesso riconosce agli ultimi la possibilità di commerciare liberamente i loro prodotti agricoli
attraverso il pagamento di un'imposta versata in natura: lo stato preleva ai contadini un ammontare di risorse oltre
al quale i contadini possono liberamente disporre delle incidenze. Quello che lo stato non incamera, il contadino può
venderlo sul mercato. Si ricostituisce un ceto contadino che vive grazie a questo commercio.
Questa seconda fase della Nuova Politica Economica (NEP) è una boccata d'ossigeno per la società contadina. Ma è

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solo una battuta d'arresto, è una ritirata momentanea e strategica perché il modello politico a cui il regime continua
a fare riferimento è quello del comunismo di guerra.

La guerra di successione di potere, guerra che si apre all'interno del partito bolscevico a partire dal 1922, vede la
lotta interna per la successione a Lenin che viene combattuta dai vari esponenti del partito bolscevico intorno
alla scelta di fondo legata alla politica economica, la politica di fondo che si decide dopo l'uscita di scena di Lenin è
quella che riguarda la prosecuzione o meno della NEP.

Si continua in questo regime misto (un po’ di stato e un po’ di mercato) oppure si torna al comunismo di guerra
(collettivizzazione campagne, creazione di fattorie collettive)?
Questo è il bivio che si pone dopo l'uscita di Lenin, e le imposizioni da questo punto di vista sono diverse, non tutti la
pensano allo stesso modo: si apre una dialettica interna al partito bolscevico che schematicamente può essere
ricostruita facendo riferimento a 3 posizioni che si differenziano sulla questione della politica economica e del ruolo
del partito-stato nell'economia:
• Bolscevismo internazionale: tesi di sinistra; considera come modello di riferimento la politica del comunismo di
guerra, quindi l'espropriazione dei contadini. Esponente principale di questa tendenza è Trotskij che è anche il
capo dell'Armata rossa, incarna quindi il potere militare. Secondo Trotskij bisogna interrompere la NEP, riaprire
la guerra ai contadini, trasferire di nuovo i prodotti dalle campagne alle città. Questo perché il regime bolscevico
deve favorire attraverso la centralizzazione del potere deve favorire l'industrializzazione, il passaggio della Russia
bolscevica da un'economia agricola ad un sistema economico industrialmente avanzato. Motivo aggiuntivo è il
fatto che secondo Trotskij la rivoluzione che ha vinto in Russia non deve arrestarsi ai confini ma dev'essere
esportata intanto ai paesi dell'Europa occidentale, ma in prospettiva, dev'essere esportata a livello mondiale. La
prospettiva è una rivoluzione permanente che si irradia continuamente dalla Russia che è diventata il padre del
socialismo. Per Trotskij l'unico modo che ha il regime bolscevico per sopravvivere è quello di trovare sostegno e
alleanze esterne internazionali con nuovi stati rivoluzionari. Trotskij voleva rompere il cordone sanitario fatto
attorno alla Russia, stracciarlo e ricostruire sul confine occidentale russo una serie di stati in cui la rivoluzione
socialista con modello bolscevico avrebbe trionfato rompendo l'isolamento russo e creandosi una rete di stati
vicini ed alleati dal punto di vista ideologico. Questa è la tesi massimalista, più estrema. La Rivoluzione russa si
salva solo se si espande in altri Paesi, se no è destinata a morire.
• Bolscevismo nazionale: tesi di destra contrapposta quindi a quella di sinistra; è contraria alla tesi della
rivoluzione permanente e sostiene che la rivoluzione deve rafforzarsi in primo luogo in Russia, senza
preoccuparsi dell'Europa. Se la rivoluzione deve rafforzarsi in Russia deve costruirsi una rete sociale tramite la
quale legittimarsi. La posizione del bolscevismo nazionale sostiene la prosecuzione della NEP opponendosi al
ritorno del comunismo di guerra. Cerca di prolungare questo esperimento e di trovare un consenso in campagne
riconoscendo loro una quota di libertà economica e commerciale.
• Bolscevismo: posizione vincente, che eredita il potere; ha una posizione centrista e fa riferimento ad una
leadership di Stalin. L'ultimo sosteneva che così come Trotskij che la rivoluzione doveva effettivamente
propagarsi fuori dai confini Russi, che l'orizzonte fosse quello mondiale, quindi credeva all'espansione della
rivoluzione. Credeva però che in quella fase storica il regime bolscevico dovesse concentrarsi sulla stabilizzazione
della rivoluzione dentro i confini russi, senza guardare al di fuori dei confini. Questa è la tesi del socialismo di un
solo Paese (staliniana). In futuro la rivoluzione potrà essere esportata ma per il momento dev'essere salvata
nell'unico contesto in cui è riuscita a prendere potere.

Questa lotta al potere si conclude con la successione di Stalin. Tutta questa ricetta bisogna vederla non solo in una
prospettiva russo-centrica ma al contrario la prospettiva rivoluzionaria che ha avuto successo in Russia diventa
modello per molti partiti e movimenti che nascono negli Stati dell'Europa occidentale e che fanno riferimento alla
Russia rivoluzionaria. Quest’ultima cerca di creare una rete di partiti “satellite” dando vita ad un'organizzazione
internazionale, la cosiddetta “Terza Internazionale” che sostituisce la II Internazionale formata dai partiti
socialisti, è morta dal 1914.
Questa terza internazionale dei partiti comunisti nasce a Mosca nel marzo del 1919, si organizza l'anno successivo,
nel luglio del 1920, con il primo consiglio costituente a cui partecipano i rappresentanti dei partiti comunisti
occidentali e tramite questa rete ed organizzazione il modello comunista viene in qualche modo importato in

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occidente. Diventa una realtà politica, una presenza diffusa che rimette all'ordine del giorno dopo la fine della IGM,
la prospettiva della rivoluzione. Quindi anche in Europa occidentale lo sbocco rivoluzionario secondo il modello
bolscevico diventa una concreta opzione politica che spaventa le classi dirigenti europee. Quest'ondata comporta
l'emergere di una grande paura rivoluzionaria, la rivoluzione diventa un incubo per i dirigenti europei. Soprattutto
dal 1919 al 1920, il periodo in cui si diffonde in Europa un'ondata di scioperi e proteste sociali, di mobilitazioni che
hanno come obiettivo non solo rivendicazioni salariali e sindacali (richieste economiche), vi sono iniziative
potenzialmente rivoluzionarie che puntano a produrre un mutamento politico di carattere rivoluzionario, che
puntano a fare la rivoluzione come in Russia.

Esportazione del modello rivoluzionario russo in Germania

Il primo caso nazionale in cui la prospettiva rivoluzionaria sembra concretizzarsi è il caso della Germania sconfitta.
La rivoluzione rappresenta anche una sorta di rivincita e reazione alla sconfitta di guerra, tutti gli stati vinti sono
attraversati da fermenti di carattere rivoluzionario. La Germania, dopo l'armistizio a seguito dell'abdicazione dello
zar, ha un vuoto di potere e questo viene raccolto dal governo provvisorio (di transizione) che prende il nome di
“Consiglio dei commissari del popolo” che è lo stesso nome del governo bolscevico dopo la Rivoluzione
d'ottobre. Anche in Germania la sconfitta sembra aprire le porte alla rivoluzione. Nascono i Soviet allo stesso modo
in cui erano nati in Russia. Si ricrea lo stesso dualismo di potere nato in Russia dopo la rivoluzione di febbraio, cioè da
un lato il governo provvisorio e dall'altro i Soviet, i consigli degli operai e soldati. Sono due poteri opposti che si
contendono la successione dopo l'abdicazione dell'imperatore.
La differenza tra il caso tedesco e quello russo è legata all'atteggiamento assunto in Germania dal partito
socialdemocratico. In Russia il partito bolscevico (frazione minoritaria rispetto al partito socialdemocratico) aveva
accettato la rivoluzione. In Germania accade l'opposto: la socialdemocrazia si oppone militarmente alla prospettiva
rivoluzionaria, diventa la garante del passaggio ad un nuovo ordine democratico. Nel gennaio del 1919 anche in
Germania vi sono tentativi di insurrezione, basta guardare a Berlino con la Lega di Spartaco che tenta di replicare
l'esempio bolscevico ma si trova di fronte lo stesso partito socialista tedesco che stringe un accordo con l'esercito e il
potere militare e stronza all'istante l'insurrezione spartachista.
La prospettiva della socialdemocrazia era una democrazia parlamentare, non una rivoluzione spartachista, tanto che
nel gennaio del '19 si tengono in Germania le prime elezioni del dopoguerra, elezioni per l'Assemblea costituente
quindi un parlamento che ha il compito di scrivere una costituzione repubblicana.
In queste elezioni la socialdemocrazia tedesca conquista la maggioranza relativa (è il partito maggiore della nuova
Germania), è il partito che fonda la democrazia e repubblica in Germania. La democrazia tedesca nasce con
l'approvazione di una nuova costituzione democratica che prevede il riconoscimento dei diritti di libertà politica,
civile, religiosa, ma anche dei diritti sociali. Naturalmente la socialdemocrazia è una costituzione attenta al
riconoscimento del ruolo delle forze sociali (come i sindacati) ed è una costituzione innovativa anche dal punto di
vista costituzionale, cioè crea un modello di stato che prevede l'elezione non solo del parlamento ma anche del
presidente della Repubblica, quindi è una democrazia presidenziale in cui sia il parlamento che il presidente della
repubblica sono eletti ovviamente a suffragio universale. È una democrazia fortemente legittimata dal punto di vista
delle istituzioni, questo comporterà anche problemi perché il presidente della repubblica in parlamento sovra elenca
maggioranze diverse, quindi sono potenzialmente concorrenziali, sono due istituzioni forti.
La democrazia tedesca nella Repubblica di Weimar (chiamata così perché l'Assemblea costituente aveva luogo
nella città di Weimar) viene indebolita e destabilizzata a causa delle questioni delle riparazioni.
La repubblica di Weimar si trova a dover sostenere il peso economico delle riparazioni imposte dal trattato di
Versailles, e questo delegittima la repubblica che viene considerata la “repubblica nata dalla sconfitta militare”, una
repubblica in cui vi sono forze democratiche, forze leali alla Repubblica (socialdemocrazia, partito cattolico,
formazioni liberali), ma una repubblica in cui vi sono ed emergono anche forze antidemocratiche e antirepubblicane.
Sulla sinistra le formazioni rivoluzionarie tra cui la Lega di Spartaco che è artefice di tentativi di colpo di stato. Sulla
destra invece le leghe paramilitare che contestano la repubblica e contestano ai partiti repubblicani la responsabilità
militare del 1918. È una tesi popolare quella che i partiti repubblicani che hanno ereditato il controllo dello stato
dopo la caduta dell'impero hanno contribuito alla sconfitta militare.
È una repubblica quindi che è pesantemente condizionata sia dalla sconfitta militare, sia dal peso della pace. Il fatto
che la pace è stata così onerosa per la Germania impedisce la ricostruzione economica in Germania condizionandola
pesantemente.
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Questa crisi esplode per la prima volta nel 1923 con l'occupazione della Ruhr da parte della Francia. La Germania
non solo è stata sconfitta e vessata nel trattato di pace, ma nel '23 deve subire anche un'occupazione militare
francese. Un'occupazione giustificata dal mancato pagamento delle riparazioni, la Francia occupa la Ruhr per
riscuotere direttamente le riparazioni tramite un prelievo di risorse industriali, tramite il controllo diretto. La risposta
del governo tedesco all'occupazione francese è inizialmente la resistenza passiva. Il governo tedesco ordina agli
operai tedeschi di non collaborare con l'occupante francese. Naturalmente la difesa passiva ha un costo, perché gli
operai devono essere retribuiti senza lavorare e per sostenere le spese della resistenza passiva, lo stato tedesco è
costretto a fare ricorso alla leva monetaria (stampare moneta), ad attivare una spirale inflazionistica che da gennaio
a settembre vede la distruzione del valore d'acquisto del marco tedesco.
L'iperinflazione del 1923 è il precedente che giustifica le politiche monetarie restrittive (come ad esempio la BCE –
Banca Centrale Europea), questo precedente così drammatico ha dato vita ad una dottrina economica deflazionista
che ha origine in questo precedente: ossia il marco si è totalmente deprezzato. Questi nove mesi mettono in
ginocchio l'economia tedesca e quindi si cambia strategia.
Dalla resistenza passiva si arriva a settembre dove si accetta di smettere di porre resistenza, di riaprire un negoziato
con gli occupanti che porta nell'ottobre del 1923 alla sostituzione della moneta tedesca: si abbandona il marco e si
conia un marco di rendita che è una moneta sostitutiva, emessa dalla stessa banca centrale che però acquista valore
e riesce a bloccare il processo inflazionistico. L'elemento che riesce a risolvere questa crisi delle riparazioni del 1923
non ha a che fare con la politica europea o con la fine della resistenza passiva, ma ha a che fare con l'intervento
economico e finanziario degli USA.
L'America ha un isolazionismo a metà in quanto è un isolazionismo politico: gli USA si rifiutano di impegnarsi nella
politica europea attraverso alleanze o con la Società delle nazioni, ma non si rifiutano di investire capitali sui mercati
finanziari europei. Il mercato tedesco rappresenta per gli USA un'occasione di investimento che non si fanno
sfuggire. Naturalmente in questo non vi è solo ideologia o wilsonismo o il tentativo di riformare la politica
internazionale secondo principi wilsoniani ma vi è un interesse di trovare uno sbocco in termini di investimento ai
capitali americani (gli anni '20 per l'America sono anni del boom economico e decollo industriale che sono preludio
di una crisi di sovrapproduzione) e la necessità di riattivare il circuito di pagamento tra riparazioni e pagamenti tra
interalleati.
In parole povere, gli USA dovevano ancora riscuotere i pagamenti di guerra da Francia, Gran Bretagna e Italia le quali
dovevano loro volta riscuotere le riparazioni dalla Germania. Quindi se l'ultima non paga, le altre tre non pagavano
l'America. Gli USA quindi per riattivare questo circuito e rientrare e riacquistare i crediti di guerra, decide di
finanziare direttamente la Germania per far ripartire la catena di pagamenti. C'è quindi un interesse della riscossione
dei debiti interalleati.
Gli USA intervengono in Germania non con trasferimenti del governo federale, ma con trasferimenti bancari: è il
capitale privato che viene mobilitato. Non c'è un coinvolgimento diretto del governo americano, ma c'è un
coinvolgimento indiretto della finanza americana in Europa e sarà proprio da questo coinvolgimento che esploderà la
crisi del '29. I capitali investiti dagli USA dal '24 verranno sistematicamente ritirati dopo il '29: è questa l'origine della
grande crisi in Europa. Questa stabilizzazione economica sotto guida americana produce effetti anche a livello
internazionale, effetti distensivi: la Germania è stabilizzata economicamente ed è messa in grado di pagare le
riparazioni.
Sottoscrive nell'aprile del 1924 il “Piano Dawes” (nome del finanziere americano che aveva congegnato questo
piano di finanziamento) con il quale si impegna a pagare le riparazioni alla Francia in cambio della concessione a
prestiti americani. È un accordo economico che risolve il contenzioso franco tedesco, un accordo economico al quale
seguirà l'anno successivo (1925) anche un accordo diplomatico che prende il nome di “Patto di Locarno” nel quale
la Germania si impegna a riconoscere i confini territoriali a occidente fissati dal trattato di Versailles. In questo modo
la Francia ottiene una rassicurazione, a garantire questo patto vi è anche la firma delle altre potenze europee che
garantiscono l'indipendenza e l’indennità della Francia. La stessa Germania si impegna a riconoscere i confini
francesi.
Nel 1926 la Germania viene annessa alla Società delle Nazioni, ne diventa membro dell'organizzazione voluta da
Wilson da cui era rimasta esclusa a Versailles.

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La politica europea sembra entrata in una fase di pacificazione ed accettazione dei trattati, viene risolta la questione
franco-tedesca, la Germania è diventata democrazia, si impegna a pagare le riparazioni che vengono dilazionate in
rate annuali, è un pagamento previsto in 42 anni.
Rende precaria questa stabilizzazione la parzialità del trattato di Locarno. È un accordo parziale perché la Germania
si impegna a rispettare il limite solo con la Francia, non si dice nulla riguardo al confine orientale tedesco, la
Germania non si impegna a riconoscere l'integrità dei nuovi stati centro-orientali. La Germania non si impegna e la
Francia sostanzialmente fa uno scambio: in cambio della sicurezza del confine tedesco, implicitamente riconosce alla
Germania un diritto di espansione ad est. Le vittime del trattato di Locarno che si sentono tradite dalla Francia sono
gli stati della Piccola Intesa che sono alleati della Francia ma che a partire dal 1925 si rendono conto di non godere
più della protezione francese, si rendono conto che la Francia ha spinto la Germania contro di loro. A questi stati
rimane la possibilità di trovare un accordo diretto con la Germania. Non a caso negli anni '30 la prima a siglare un
accordo con la Germania sarà la Polonia, è un accordo difensivo. Tutti gli stati ad est si devono difendere da una
possibile minaccia tedesca che ancora non si vede negli anni '20 ma che è implicita e tale si manifesterà negli anni '30
e che dovranno cercare di difendersi tramite accordi bilaterali con la Germania.

Che tipo di risposta si dà ai tentativi d’esportare la rivoluzione anche al di fuori della Russia?
Il primo tipo di risposta è quello della stabilizzazione democratica, la democrazia diventa nel primo dopoguerra il
modello politico prevalente, non solo in Europa ma in tutto il mondo grazie al ruolo decisivo degli Stati Uniti che
incarnano il ruolo di superpoten0za democratica che combatte per l’affermazione dei valori democratici.
La democrazia entra però in crisi, andando incontro ad un processo di autodissoluzione: le democrazie cadono in
questo dopoguerra, dimostrando la propria debolezza.
Perché proprio in questo momento la democrazia cade? Viene spesso sconfitta da forze e movimenti
antidemocratici. È importante dare una definizione alla democrazia, è quindi una forma di governo che necessita di
una serie di diritti individuali, collettivi, religiosi, civili riconosciuti a livello costituzionale.
La democrazia è soprattutto un costume, una cultura democratica: la democrazia non sopravvive senza democratici.
nel primo dopoguerra manca proprio la presenza dei democratici, insorgono numerosi movimenti/forze/partiti
antidemocratici (ad esempio nella Germania di Weimar si parla di repubblica democratica ma senza repubblicani).
Quando in una democrazia attraverso il voto emerge un favoritismo verso le forze antidemocratiche, se ne
evidenziano le debolezze.
Le variabili che determinano il successo o meno della stabilizzazione democratica sono:
• Stati vincitori e sconfitti
La democrazia fatica a stabilizzarsi negli stati che hanno perso la guerra poiché essi devono affrontare difficili
condizioni e duri trattati postbellici.
Vi sono però dei casi di democrazie forti e solide che riescono a salvarsi e resistere come ad esempio la Francia e la
Gran Bretagna, stati vincitori della guerra, che nel dopoguerra riescono ad adottare una serie di riforme politiche e
sociali che consentono alla democrazia di stabilizzarsi.
• Occidente ed oriente
Le democrazie che si stabilizzano sono prevalentemente le democrazie dell’Europa occidentale, quelle storiche che
già esistevano prima della guerra e che quindi hanno forti modelli a cui riagganciarsi. Entrano invece in crisi
nell’Europa orientale poiché la democrazia è una vera e propria novità; qui mancano le precondizioni culturali,
politiche, sociali ed economiche per far sì che la democrazia regga. Nel contesto dell’Europa orientale solo la
Cecoslovacchia mantiene uno stampo democratico. Negli altri stati invece la democrazia viene vista come
un’imposizione basata sui Trattati di pace. Il primo regime di stampo autoritario che nasce in questo periodo è quello
dell’Ungheria. Emergono dittature e governi antidemocratici; in Bulgaria ed in Spagna nel 1923, in Polonia ed in
Portogallo nel 1926, nel 1929 in Jugoslavia, nel 1934 in Austria.
Si può quindi dire che gli anni tra le due guerre rappresentano il periodo in cui la democrazia fallisce e nascono
regimi autoritari e nazionalisti → sono regimi di tipo reazionario, tradizionale, senza puntare alla modernizzazione ed
alla trasformazione come invece succede con i totalitarismi.

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L’ITALIA VERSO IL FASCISMO

L’Italia ha un caso anomalo: fa parte degli stati vincitori, è uno stato dell’Europa occidentale, ed è uno stato che già
in passato aveva un modello costituzionale.
Tutti queste caratteristiche dovrebbero far sì che la democrazia si stabilizzi, invece qui la democrazia crolla fin dal
1922 lasciando spazio al fascismo. Si fa riferimento a tre crisi che permettono la caduta della democrazia/stato
liberale in Italia: la crisi è frutto della gestione politica che vi è nel dopoguerra durante cui si assiste alla fine della
classe dirigente liberale, la quale perde consenso e legittimazione.
• La prima crisi è quella morale, fenomeno diffuso nel dopoguerra e che caratterizza soprattutto gli stati che
hanno perso la guerra: è una sorta di depressione che caratterizza i popoli sconfitti. In Italia la crisi morale è il
frutto della cosiddetta vittoria mutilata: per il popolo e per la classe dirigente, la vittoria non consente
comunque di ottenere gli obiettivi ed i frutti che sperava, soprattutto in riferimento ai territori adriatici che le
erano stati riconosciuti con il Patto di Londra. L’Italia sente d’esser stata abbandonata dalle altre potenze
vincitrici a causa di conflitti durante le trattative per la Pace, la causa principale era la città di Fiume che non era
stato incluso dal governo italiano nel Patto di Londra poiché intendeva lasciarla all’impero austro ungarico. La
questione di Fiume però si apre alla caduta dell’impero austroungarico e che quindi vede il governo italiano
rilanciare per il suo ottenimento. L’Italia si trova di fronte all’opposizione delle altre potenze vincitrici e quindi
deve decidere se puntare sul principio di nazionalità ottenendo quindi Fiume ma rinunciando quindi ai territori di
nazionalità non italiana che erano inclusi nel Patto di Londra (Dalmazia). L’Italia decide invece di chiedere tutti i
territori presenti nel Patto di Londra ma con l’aggiunta di Fiume. Questo non viene visto di buon occhio,
soprattutto da Wilson, il quale chiede all’Italia di rinunciare alla Dalmazia basandosi sul principio di nazionalità.
Qui Sonnino ed Orlando decidono per protesta di rientrare in Italia, ma successivamente fanno ritorno a
Versailles per evitare che la Pace venga siglata senza di loro con il rischio di perdere qualunque territorio. La
Questione di Fiume rimane un contenzioso aperto che favorisce un sentimento nazionalistico di protesta,
rispetto sia agli alleati di guerra dell’Italia, sia al governo italiano che non era riuscito ad ottenere i territori
stabiliti. Nel 1919 con l’impresa di Fiume di D’Annunzio, la città viene occupata in nome dell’Italia (senza che
però il governo riconosca ufficialmente quest’impresa). L’Italia esce da questa situazione di crisi con un
negoziato diretto con lo stato jugoslavo, cercando di arrivare ad un compromesso sui territori adriatici contesi. A
novembre 1920 viene firmato il Trattato di Rapallo, con cui l’Italia rinuncia alla Dalmazia che viene conferita alla
Jugoslavia e dà vita allo stato libero di Fiume, collegato all’Italia per motivi territoriali (solo nel 1924, lo stato di
Fiume si annetterà totalmente all’Italia). Questo successo democratico del Trattato del 1920 arriva però troppo
tardi, ormai il sentimento nazionale era ampiamente diffuso.
• La seconda crisi è quella sociale: agitazioni, conflitti sindacali, insubordinazioni, aumento di scioperi,
inflazionismo. Tutto questo compromette la tenuta dell’ordine interno. La crisi sociale ha come epicentri le
fabbriche ma soprattutto le campagne.
• La terza crisi è quella politica che nasce dalla difficoltà di governare la crisi morale e la crisi sociale. La crisi
politica nasce dalla difficoltà di comporre maggioranze parlamentari omogenee.

In questa fase di crisi e di profonde trasformazioni, la classe dirigente liberale si trovò sempre più contestata ed
isolata in quanto non si dimostrò in grado di gestire la situazione.
Nel momento in cui si cerca un governo in grado di fronteggiare questa crisi, il governo rimane debole e l'elemento
di debolezza è appunto l'eterogeneità delle forze politiche che non riescono a trovare un accordo. La debolezza
dovuta alla diversità ed alla difficoltà nella creazione di coalizioni è la conseguenza di un passaggio storico nella storia
politica italiana e cioè le elezioni del 16 novembre 1919 → elezioni storiche, segnano una rottura da una
tradizione di governo liberale che si era basata fino a questo momento sull'esistenza di una maggioranza assoluta,
hanno mantenuto sempre una maggioranza assoluta. Con queste elezioni si affermano i nuovi partiti di massa che
sottraggono alle forze liberali la maggioranza.
Emergono principalmente due forze, oltre ai liberali, nel corso di queste elezioni:
• La prima è il partito socialista, il quale mira alla rivoluzione su stampo russo, alle elezioni triplica i suoi seggi
passando da 52 a 156; è però un partito che si autoesclude dal gioco politico, in quanto non agisce ma attende,
attuando atteggiamenti di autoesclusione dalla politica italiana.

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• Il secondo partito di massa che si afferma è il partito popolare italiano, primo partito di ispirazione cattolica
fondato nel gennaio del '19 da Don Luigi Sturzo che beneficia della fine dell'astensionismo politico dei cattolici
che non avevano potuto partecipare a causa del divieto pontificio nella politica italiana. Il divieto era già stato
sospeso, i cattolici potevano votare. Fin dal 1919 i cattolici partecipano e ciò consente l'affermazione di questo
partito che ottiene 100 deputati alla camera.

Quindi la camera è composta da tre forze politiche: liberali (mantengono nonostante le divisioni almeno 200
deputati), 156 socialisti e 100 deputati del PPI. In questo caso l'unica maggioranza di governo possibile è quella che
coalizza i liberali e popolari. È una maggioranza forzata ed è debole nel senso che i governi del I dopoguerra
risentono della difficoltà di comporre una piattaforma comune e condivisa di governo, sono governi temporanei che
vanno incontro a crisi in rapida successione e che non riescono a fronteggiare la crisi sociale aperta in Italia durante il
biennio rosso → periodo tra il 1919 ed il 1920 caratterizzato da una serie di lotte operaie e contadine che ebbero il
loro culmine con l’occupazione delle fabbriche nel settembre 1920.

L'apice della crisi sociale l'abbiamo nell'estate del 1920 con il movimento di occupazione delle fabbriche che nasce
da un'avvertenza sindacale nel settore metalmeccanico aperta da un sindacato socialista (fiom), avvertenza aperta
contro i licenziamenti che le industrie metalmeccaniche hanno cominciato a fare durante la riconversione
postbellica. Le industrie al termine della guerra sono costrette a rallentare. Il sindacato si oppone a questa politica di
licenziamento portando così a proteste che durano tutta estate, fino al momento in cui gli industriali decidono di
fare la serrata, impedire agli operai di scioperare negli stabilimenti. In risposta il sindacato metalmeccanico e altri
organismi che nascono in questa nuova lotta sociale decidono l'occupazione delle fabbriche. A questo punto il
conflitto è prerivoluzionario, la strategia adottata dagli operai richiama l'iniziativa messa in campo in Russia, non a
caso i protagonisti si chiamano "consigli di fabbrica", una sorta di “soviet italiani”.
Il più significativo dei consigli è quello che nasce a Torino intorno all'"ordine nuovo" di Gramsci che ruota intorno al
consigliarismo, cioè alla creazione di consigli di operai, organismi rivoluzionari.

In quest'agitazione sociale il governo italiano che è guidato dal giugno 1920 da Giolitti, si rapporta con una strategia
d’accordo, non repressiva, sottoscrivendo il 19 settembre 1920 un accordo tra la Fiom e gli industriali che
interrompe la rivolta e riconosce agli operai sia pure simbolicamente un diritto di controllo sindacale sulla gestione
delle fabbriche metalmeccaniche.
Questo accordo portò a due conseguenze:
• Nella classe operaia vi è grande delusione: il sindacato sembra aver tradito la prospettiva della rivoluzione per
accontentarsi di un accordo rinunciatario. Vi è quindi una radicalizzazione ulteriore nel mondo socialista che
porterà ad una scissione nel gennaio 1921 durante il congresso del partito socialista:
a sinistra vi è la nascita del partito comunista in Italia, ancora in assoluta minoranza e formato dai dirigenti
protagonisti dell’occupazione delle fabbriche.
Le aspettative di Giolitti furono tradite: Giolitti era convinto che dall’accordo avrebbe potuto una scissione
riformista che avrebbe favorito un governo di collaborazione tra liberali e socialisti.
• Vi è una reazione di grande paura che pervade l’opinione pubblica che comincia a temere lo spettro di una
rivoluzione socialista italiana. Inizia quindi una fase di reazione in senso antisocialista che si traduce nei termini
di squadrismo. È la costituzione di gruppi paramilitari, organizzazioni che assumono l’obiettivo di distruggere il
monopolio socialista nelle campagne. Questo spostamento dalle città alle campagne è il fattore che favorisce
l'emergere di un movimento sociale di massa che prende il nome appunto di squadrismo agrario. S

Lo squadrismo agrario si sviluppa nella Padana, in una realtà relativamente circoscritta quindi Emilia-Romagna,
Lombardia, in parte la Toscana. Il fascismo nasce per distruggere il sistema costruito dal socialismo tramite il
movimento contadino.
Il sistema di potere socialista si basava su tre elementi:
- sindacati socialisti → amministrazioni comunali
- leghe contadine → braccianti e turnazione dei lavori, controllo di manodopera
- camera del lavoro → organismi di rappresentanza sindacale

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Questi tre elementi si collegano e danno vita ad un sistema chiuso che ghettizza chiunque non ne faccia parte quindi
i contadini, piccoli proprietari che non sono inquadrati nel sistema vengono esclusi e subiscono una discriminazione
che li spinge a cercare di rovesciare il sistema. Sono proprio gli esclusi (giovani che tornano da guerra) che decidono
di usare la violenza per dare vita ad operazioni squadristiche che nel giro di pochi mesi (primo semestre 1921)
sradicano il potere socialista nelle campagne.

Le squadre d'azione nascono appunto come movimento sociale, non hanno rappresentanza politica ma devono il
loro potere alla violenza nelle campagne, ottengono una rappresentanza di tipo politico grazie a Benito Mussolini.
L’incontro tra Mussolini e lo squadrismo determina la nascita di un nuovo movimento politico, i "fasci d'azione".
È un movimento dal punto di vista ideologico che si collega all'interventismo di sinistra, quello che Mussolini aveva
fondato dal novembre 1914 con i "fasci d'azione rivoluzionaria", con il "popolo d'Italia".
Mussolini, nel maggio 1921, stringe un accordo politico con lo stesso Giolitti che permetterà ad un gruppo di 35
deputati fascisti d’entrare nelle liste elettorali che prendono il nome di blocchi nazionali (liste unitarie che
uniscono i liberali nazionalisti ed un gruppo di fascisti.
Giolitti accetta il compromesso perché continua a considerare innaturale l'alleanza con il partito popolare in quanto
partito politico difficilmente manovrabile e vede quindi in Mussolini e nella destra nazionalista una forza moderabile
per la difesa dell’ordine sociale.
Mussolini ovviamente rifiuta questo punto di vista ma decide di sfruttare l’offerta in modo da entrare in Parlamento
presentandosi come leader politico indipendente, che gioca una partita in proprio.

Nel novembre 1919 si vota con il sistema elettorale proporzionale, l’elettore non vota la singola persona, ma vota la
lista di un partito.
Nell’agosto 1921 viene firmato un accordo politico con il partito socialista, il quale prevede la sospensione della
guerra civile nelle campagne. Questo accordo porta alla reazione dei capi delle squadre che non accettano la
prospettiva di un accordo con i nemici. Minacciano quindi di sfiduciare Mussolini che a quel punto, per evitare di
ritrovarsi isolato, lascia l’accordo e nel novembre 1921 fonda il Partito Nazional-fascista.
Esso nasce come partito politico con una struttura basata sullo squadrismo che diventa l'infrastruttura organizzativa
del Partito Nazionale Fascista, è un partito milizia, armato che pratica violenza politica.

A questo punto, l’obiettivo finale del fascismo è la conquista del potere.


Mussolini nel 1922 lancia l’offensiva politica e militare che porterà alla conquista del potere nell’ottobre novembre
1922.
La strategia seguita da Mussolini per la conquista del potere, fa leva su:
• la mobilitazione squadristica che porta il fascismo a conquistare Cremona, Ferrara e Bologna (piena affermazione
dello squadrismo).
• Vede la priorità nella conquista legale del potere, senza ricorrere ad una rivoluzione come in Russia, ma
ricorrendo alla pressione dello squadrismo.

Mussolini inizia una trattativa con le forze liberali per ottenere riconoscimento politico ed ingresso al governo,
ottenendo la presidenza del consiglio grazie alla debolezza della classe liberale che riconosce in lui e nella classe
fascista un fattore di stabilizzazione e restaurazione dell’ordine sociale.
Mussolini ottiene la presidenza del consiglio minacciando con l’insurrezione militare: la marcia su Roma, tentativo
riuscito di pressione armata che Mussolini mette in campo contro le istituzioni.
Il Re deve decidere se firmare lo stato di assedio o se credere alla promessa di normalizzazione del fascismo e quindi
dare una chance a Mussolini, evitando così lo sconto tra l’esercito e le squadre.
Il Re decide di non firmare lo stato di assedio: il 31 ottobre 1922 Mussolini diventa il nuovo presidente del
consiglio.

FASCISMO: DA MOVIMENTO POLITICO A DITTATURA

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La marcia su Roma è un tentativo riuscito di pressione armata che il fascismo mette in campo contro le istituzioni che
si piegano a questa minaccia e il sovrano Vittorio Emanuele III concede la possibilità di organizzare il Governo a
Mussolini.
La nascita del governo Mussolini non segna l’inizio del regime, il quale è il punto di arrivo di una trasformazione che
ha come punto di inizio la marcia su Roma.
Il fascismo non va al potere con le elezioni, ma come partito di minoranza, Mussolini diviene Presidente del consiglio
di un governo di coalizione.

Per quale motivo queste forze politiche maggioritarie affidano la guida del Governo di un partito ai limiti della
legalità e che non aveva i numeri per diventare presidente del Consiglio?

Il fascismo viene normalizzato, gli vengono tolti quei tratti extra – legali come per esempio la violenza politica,
disarmare lo squadrismo, facendo del partito fascista un partito a tutti gli effetti.

La prospettiva di Mussolini ovviamente è l’opposta, e raggiunge il potere con una serie di rassicurazioni.
Deve quindi fronteggiare:
• Una prospettiva di normalizzazione
• Una prospettiva di “seconda ondata rivoluzionaria”, fronteggiare lo squadrismo armato

Mussolini cerca di mediare attraverso alcuni provvedimenti:


1) Istituzione del Gran Consiglio del Fascismo (dicembre 1922) , un organismo di compensazione tra il fascismo
– movimento di cui ne è l’espressione politica, e il Governo.
Una sorta di Governo parallelo che non ha riconoscimento giuridico, lo otterrà nel 1928. Il fascismo, al di là del
Governo legale, cerca di indirizzare la politica del Governo.

2) Istituzione della milizia volontaria per la sicurezza nazionale , organismo dove sono rappresentate le
squadre fasciste, diventando parte di un organismo politico che rappresenta al vertice il potere militare. Affianca
l’esercito ed è un organismo giuridicamente riconosciuto.

→ utilizzati per tacitare la possibilità di una seconda ondata rivoluzionaria, legalizza lo squadrismo.

In prospettiva degli altri partiti questo dovrebbe significare la smilitarizzazione dello squadrismo, che essendo
diventato organismo legale, dovrebbe abbandonare le armi.
Questo ovviamente non avverrà, e le offensive squadristiche continueranno come prima della marcia su Roma.
Lo squadrismo sarà un elemento di forza per Mussolini negli anni in cui dovrà fronteggiare la crisi.

Successivamente Mussolini vuole creare un partito di maggioranza, liberandosi degli altri partiti. Per farlo propone
una riforma sulle leggi elettorali, per controllare l’esito delle elezioni attraverso la violenza, l’illegalità e un
meccanismo elettorale che assicuri una maggioranza assoluta allo stesso fascismo.
Il meccanismo adottato è la legge di riforma Acerbo, dal nome del deputato fascista che elabora questa riforma
che garantisce al partito che raggiungerà almeno il 25% dei voti, il 65% dei seggi della camera, prevede quindi
l’assegnazione del 65% dei seggi alla camera alla lista che avrà superato il quorum del 25% dei voti → premio di
maggioranza.
Un meccanismo elettorale ipermaggioritario, propone quindi l’abolizione della legge elettorale proporzionale (1919).
Con questa legge elettorale, Mussolini mette alla prova i suoi alleati che hanno di fronte a sé la prospettiva di:
a) Votare questa legge, andando incontro ad un netto ridimensionamento
b) Opporsi all’approvazione della legge e uscire dal Governo

La prima vittima di questa strategia di emancipazione è il Partito Popolare che nell’aprile 1923 tiene il suo quarto
congresso a Torino in cui con il suo segretario Sturzo denuncia le violenze del Fascismo senza però rompere la
propria collaborazione di governo con il fascismo ma rivendicando la propria autonomia. Dopo queste critiche

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Mussolini decide di licenziare i ministri del partito popolare e di porre questo partito di fronte all’alternativa di
appoggiare il partito fascista senza condizionarlo o di abbandonare la maggioranza (cosa che il Partito Popolare
decide di non fare, continuando a sostenere il partito fascista).
A questo punto la legge Acerbo giunge al Governo, il partito si spacca, ma viene approvata soprattutto grazie al
consenso dei liberali.

Il calcolo politico alla base di questa legge è ancora quello della normalizzazione, ma in realtà i liberali si consegnano
a Mussolini così facendo.

Si arriva con questa legge alle nuove elezioni del 1924:


→ Il fascismo si presenta da solo e include nelle proprie liste elettorali gran parte delle personalità delle
forze liberali che hanno approvato in Parlamento la Legge Acerbo. Le liste in queste elezioni prendono il
nome di listone proprio perché vi è questo mix.
È la medesima situazione che si era verificata nel 1921, quando i liberali avevano “ospitato” nelle loro liste i 35
deputati fascisti, ora si è nella situazione opposta.
Questo listone ottiene quasi il 65% dei voti, superando abbondantemente il quorum del 25% previsto dalla legge
Acerbo.

6 aprile 1924 elezioni.


Precedute da una campagna violentissima, dove il partito filofascista impedisce la propaganda ai partiti di
opposizione. Alla riapertura della camera per la fiducia al governo Mussolini, il deputato Giacomo Matteotti
denuncia le violenze fasciste.
Dopo questa denuncia pubblica nei confronti del Governo Mussolini, il suo destino è segnato: viene rapito il 10
giugno 1924 ed assassinato, il suo corpo viene ritrovato più di due mesi dopo.
In questo frangente si apre la crisi del fascismo, una crisi interna perché le forze liberali che hanno sostenuto finora
Mussolini, si decidono a prendere le distanze.

La maggiore reazione politica che il delitto Matteotti avvia è la secessione parlamentare dell’Aventino : i partiti
di opposizione che sono tornati alla camera in posizione di minoranza, decidono di astenersi dai lavori parlamentari,
per protesta. La loro astensione è giustificata dalla “questione morale”: c’è un’incompatibilità tra governo fascista e
opposizione democratica.
L’opposizione è però un fallimento con Mussolini che ricompatta la propria maggioranza, ottenendo nel Giugno del
1924, la Fiducia dal Senato e per 6 mesi i lavori parlamentari sono chiusi e la crisi si supera col sostegno dello
squadrismo che assicura il proprio appoggio a Mussolini e gli impone una svolta.

3 gennaio 1925: Mussolini rivendica la Responsabilità Politica e Morale del delitto Matteotti. Le opposizioni sono
messe fuori gioco.

A questo punto Mussolini cerca di fascistizzare le istituzioni con provvedimenti legislativi che vanno verso una
drastica riduzione dei diritti di libertà.
Questi provvedimenti che limitano le libertà politiche, d’opinione e di stampa prendono il nome di leggi
fascistissime: complesso di provvedimenti, normative che il Governo adotta per consolidare istituzionalmente il
proprio dominio politico indiscusso.
Tra questi:
• Legge sulle associazioni, che limita la libertà delle associazioni segrete (soprattutto massoneria) e le obbliga a
presentare i loro statuti nelle varie strutture prefettizie.
• Legge del dicembre 1925, sulle attribuzioni del capo del Governo e che trasforma il presidente del Consiglio in
Capo del Governo, concentrando nel potere esecutivo il potere legislativo, espropria il Parlamento della funzione
legislativa.
• Legge dell’aprile 1926 che vieta il diritto di sciopero.

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• Legge del novembre 1926, emana una serie di disposizioni eccezionali per la sicurezza dello Stato. Tra queste ci
sono le disposizioni che dichiarano la decadenza dei deputati dei partiti Aventiniani che istituiscono il tribunale
per la difesa dello Stato e decretano, anche dal punto di vista legislativo, la nascita del regime a partito unico.
• Legge sulla stampa, del 31 dicembre 1925: sequestro dei giornali
• Legge sulla rappresentanza politica, 1928: trasforma nuovamente il sistema di voto, una riforma che istituisce il
sistema di voto su lista unica, da approvare o respingere su base plebiscitaria.
• Legge che costituzionalizza il Gran Consiglio del Fascismo, Novembre 1928: viene elevato a organo istituzionale
dello Stato, che ha tra i suoi poteri quello di (1) comporre la lista unica, plebiscitaria, predisporre le candidature
nella lista, (2) gestire la successione a Mussolini, (3) sindacare la successione dinastica al trono. Elemento che
compromette i rapporti tra fascismo (regime) e monarchia. La monarchia rimane al potere per tutto il ventennio
fascista, Mussolini ne limita soltanto i poteri. Tuttavia, sarà proprio la monarchia, nella crisi finale del fascismo
nel 1943, a destituire Mussolini, la sua posizione rimarrà quindi inalterata: si parla per questo di diarchia (tra
Mussolini e Vittorio Emanuele III).

Tra il 1925 e il 1929 è il periodo dell’organizzazione dello stato fascista.


Viene introdotto quindi il concetto di totalitarismo: il concetto di totalitarismo nasce proprio con il fascismo, il
totalitarismo si differenzia dai regimi autoritari poiché non ha solo senso politico, non si limita a controllare in modo
coercitivo i comportamenti ma cerca di plasmare le masse.
Altri esempi di totalitarismi sono il nazismo e lo stalinismo.
I requisiti essenziali che devono essere presenti per definire un regime come totalitario sono:
• Ideologia → i regimi totalitari adottano infatti una visione del mondo per criticare la situazione esistente ed
orientano la trasformazione politica, offrendo uno sguardo verso il futuro.
• Partito unico → cerca di mettere in discussione il potere esistente, cerca di distinguersi dagli altri partiti per
emergere come partito unico. Si mira alla fusione tra partito e stato.
• Dittatore → capo carismatico, leader dello stato partito. Esso incarna il sentire profondo di una comunità
intesa in senso totalitario.
• Terrore → il regime si afferma attraverso la violenza, il terrore serve da repressione nei confronti degli
oppositori.
• Propaganda → costante ricerca di consenso attivo, di supporto dell’ideologia. Questa adesione attiva nasce
dal terrore. Si parla quasi di “fede” nei confronti dell’ideologia, si fanno riti e cerimonie per coinvolgere la
massa → indottrinamento delle masse.

Il fascismo è stato considerato a lungo dagli storici come un regime autoritario tradizionale e non totalitario. Questo
poiché accanto al fascismo in Italia sono sopravvissute delle istituzioni non fasciste che hanno mantenuto un
rapporto concorrenziale con il fascismo, istituzioni che il fascismo non è riuscito ad assorbire. Queste istituzioni sono
la monarchia e la chiesa cattolica.
Per quanto riguarda la monarchia, lo stesso Mussolini ha imputato alle resistenze del Re come causa
dell’impedimento di realizzare del tutto un totalitarismo → Mussolini era costretto a condividere decisioni anche con
il sovrano, nonostante la monarchia mantenga la sua posizione di contro potere debole, ma pur sempre presente.
Per quanto riguarda la chiesa cattolica, il fascismo cerca fin da subito di arrivare con essa ad un compromesso, per
limitarne lo spazio nella società e nell’educazione. Si arriva a questo compromesso nel 1929 con i Patti
Lateranensi composti da tre documenti distinti.
Il primo documento è il trattato che segna la fine della questione romana (conquista dello stato pontificio da parte
dello stato italiano) ed istituisce lo stato della Città del Vaticano con a capo il Papa.
In cambio di questo riconoscimento, lo stato italiano ottiene il riconoscimento formale da parte della chiesa
dell’esistenza del Regno d’Italia.
Il secondo documento è quello più significativo ovvero il concordato, un accordo che disciplina le materie comuni fra
stato e chiesa: istruzione, matrimonio, famiglia.
Viene riconosciuta alla chiesa un una serie di vantaggi quali l’istruzione religiosa obbligatoria alle scuole elementari e
medie, il riconoscimento degli effetti giuridici e civili al matrimonio religioso.

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L’articolo principale è il 43, che riguarda l’azione cattolica che viene riconosciuta ufficialmente ma a condizione che
non abbia a che fare con la politica.
Il terzo documento è la convenzione finanziaria con cui lo stato italiano versa le indennità alla Santa Sede.
Nonostante questi limiti il fascismo viene comunque considerato come un totalitarismo soprattutto per il suo
rapporto con le masse, è un regime che infatti non si limita a disciplinare le masse ma cerca di cambiarle e di
promuovere la partecipazione di tutti nell’ideologia.
Le organizzazioni di massa che garantiscono l’inclusione delle masse sono due: l’Opera Nazionale Balilla che
diventa l’organizzazione della gioventù italiana e che garantisce l’educazione fisica e morale in senso fascista
garantendo l’indottrinamento fascista fin dai 6 anni d’età e l’organizzazione nazionale del dopo lavoro che
garantisce presenza massiccia del regime fascista anche nella vita quotidiana degli italiani.
Nel 1937 viene istituita una nuova organizzazione che sostituirà l’opera nazionale Balilla, ovvero la Gioventù del
littorio, apparato burocratico al servizio dell’educazione giovanile.
Nello stesso anno viene inoltre istituito inoltre un Ministero della Cultura Popolare che ha il compito di centralizzare
la propaganda di regime e controllare tutti i mezzi di comunicazione di massa.
Altro elemento decisivo sono le Leggi Razziali del 1938 che si basano sulla politica nazista antisemita, contro quindi
la minoranza ebraica, già in vigore dal 1935.

GRANDE CRISI ECONOMICA DEL 1929

Ha segnato uno spartiacque tra le due guerre ed è stato un evento senza precedenti, che ha segnato la storia del
900. Questa crisi mette in difficoltà il modello di capitalismo consolidato nel contesto nazionale degli Stati Uniti
d’America, ne segna il fallimento. Gli anni ’20 sono una fase di boom economico, il PIL cresce di oltre il 20% con il
taylorismo e la catena di montaggio, c’è un incremento del volume della produzione che si concentra in nuovi tipi di
consumi (es. beni prodotti nuovi che invadono il mercato americano: l’automobile, realizzata a partire dal modello
fordista, e gli elettrodomestici che facilitano la vita quotidiana). Tutto ciò segna una decisa modernizzazione, che
deve la sua solidità ad un nuovo tipo di economia finanziaria basata sugli investimenti azionari, in cui partecipano
anche medi e piccoli consumatori e risparmiatori (le banche prestano loro denaro per permettere acquisti rateizzati).
Questo decennio segna una trasformazione, che si caratterizza anche per alcuni elementi critici, come:
• Sistema economico fortemente monopolistico, dal lato delle offerte troviamo le grandi corporation, cioè i
grandi complessi industriali che dettano legge. Questo dà il via a dinamiche che incentivano fenomeni di
speculazione in borsa e sui mercati azionari.
• Compressione dei salari legata a questo sistema economico, ci sono lavoratori comuni che sono in sofferenza
economica rispetto ai profitti dei professionisti. Questo divario genera la crisi perché essa nasce come una crisi di
sovrapproduzione, il mercato diventa saturo e gli operai non hanno livelli di reddito sufficienti a garantire il loro
assorbimento. L’economia americana ha il problema di smaltire e trovare sbocchi commerciali su un mercato
non americano, perché quello americano inizia ad assorbire faticosamente i prodotti. Lo sbocco della produzione
diventano i mercati europei, si crea un’interdipendenza tra USA e Europa, in quanto entrambi hanno bisogno
dell’altro reciprocamente (es. le banche statunitensi finanziano la ricostruzione in Germania). Gli Stati Uniti
diventano di fatto i banchieri del mondo, con flussi finanziari che non passano attraverso il governo, ma
attraverso la finanza privata (banche); questa responsabilità è l’elemento che spiega la diffusione in Europa della
grande crisi, gli USA sono impegnati in Europa già prima della crisi.

Nell’ottobre del ’29 la borsa di Wall Street subisce un crollo, il valore dei titoli si deprezza e questi rimangono
invenduti; la crisi diventa una crisi del sistema economico in primo luogo americano. Il crollo del mercato azionario
colpisce le banche, che sono costrette ad interrompere l’erogazione del credito alle industrie, le quali sono costrette
a ridimensionare le produzioni. Il fenomeno più inedito ed evidente è quello della disoccupazione, effetto e
conseguenza più negativa, che comporta un crollo della possibilità di acquisto di beni. Il governo americano dà una
risposta tradizionale, all’insegna dell’ortodossia economica basata su un pareggio di bilancio e su politiche
deflazionistiche (politica di austerità economica). Questa reazione iniziale perdura per almeno quattro anni. La crisi si
diffonde anche nelle potenze europee legate economicamente agli Stati Uniti, si propaga a livello mondiale ed è
conseguenza della prima globalizzazione economica attorno alla leadership statunitense. La mancata risposta in
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termini di politica economica da parte degli USA, fa sì che questa crisi diventi strutturale e coinvolga il sistema
capitalistico. Questa è la prova che il capitalismo liberale implode, la crisi diventa cronica e colpisce tutti gli stati
europei e rilancia a livello dell’opinione pubblica le alternative al sistema capitalistico.

La disoccupazione di massa anche in Europa raggiunge cifre esorbitanti (15 milioni di persone), ma la risposta che
viene data anche qui è deflazionistica, si attuano misure di rigore ed austerità economica per la gestione della crisi.
La rottura dei vincoli di interdipendenza ha consentito di riequilibrare la distribuzione del reddito e di attuare sussidi
di disoccupazione. I partiti si oppongono al sistema e, fino a questo momento, sono rimaste forze di minoranza ed
hanno ruoli subalterni.

La prima nazione a subire una fortissima crisi è la Germania: salta la democrazia tedesca che fino a quel momento si
era stabilita grazie al finanziamento degli Stati Uniti, si assiste al fallimento delle banche, alla chiusura delle industrie
ed ovviamente alla disoccupazione di massa.
Questa crisi apre le porte ad una nuova forza politica in grado di capitalizzare il consenso delle classi popolari: il
partito rivoluzionario nazionalsocialista sostenuto da Adolf Hitler.
Questo partito ha un programma ben definito, soprattutto in politica estera; durante la detenzione Hitler abbandona
la strategia rivoluzionaria e capisce che il partito socialista deve muoversi attraverso vie legali, parlamentari.
Questo fa abbandonare i tratti più rivoluzionari del programma iniziale e Hitler può giocare una partita politica che lo
porterà a diventare cancelliere del Reich.
Come riesce a conquistare il potere Hitler? Il partito nazista mantiene una linea di forte opposizione nei confronti
dei repubblicani, si legittima attraverso la contestazione dei trattati di pace e attraverso la critica delle forze politiche
che li hanno sottoscritti. Adotta una linea che si legittima nelle piazze anche attraverso la violenza politica, così come
il fascismo, ha un’infrastruttura squadrista che dà vita a scontri violenti soprattutto con i comunisti.
Nel 1932 Hitler riesce ad ottenere il 37% dei voti, compiendo un salto in avanti, che si conferma nelle elezioni
seguenti (il partito nazista è di gran lunga il partito di maggioranza nel parlamento). Nel ’33 si designa Hitler come
cancelliere del Reich, che però rimane un governo di coalizione, che ha l’appoggio anche di forze liberali e cattoliche.
A differenza di Mussolini, Hitler impiegherà solo pochi mesi ad istituire uno stato autoritario e a concentrare i poteri
nelle mani del proprio governo, eliminando le forze di opposizione. Il primo passaggio è l’incendio del Reichstag, di
cui viene accusato un comunista e ciò giustifica delle azioni violente e repressive nei confronti dei comunisti. Una
volta liberatosi delle opposizioni, Hitler si ripresenta in parlamento e ottiene oltre il 90% dei voti, in dieci mesi
ottiene il potere che Mussolini ha ottenuto il sette/otto anni. La classe dirigente tradizionale (vecchia destra tedesca)
considera necessaria la smilitarizzazione dello squadrismo, preme Hitler insieme alle squadre d’assalto dall’altra
parte, che rivendicano un’altra ondata rivoluzionaria. Come capo Hitler si impone attraverso una teoria che impone
una gerarchia, in cui chi ha la leadership può stroncare il dissenso attraverso un apparato poliziesco e costruendo un
consenso generale e collettivo del popolo (forzato).
A partire dal 1933 gli Stati Uniti abbandonano la risposta deflazionistica e varano una nuova politica economica,
il New Deal che si traduce in una serie di misure che ridisegnano il rapporto tra Stato e mercato, rifacendosi ad una
maggiore presenza dello Stato nell’ambito economico. Tutto ciò viene introdotto dal presidente
democratico Roosvelt, che dà il segno di una discontinuità rispetto alle politiche anticrisi precedenti. Vengono varati
provvedimenti che nei primi 100 giorni contribuiscono ad invertire la politica economica, nella direzione di un
maggior intervento dello Stato. Il primo tra questi è quello di chiusura delle banche e degli sportelli bancari e
consente al governo di riordinare il sistema di credito, risolvendo i problemi legati al sistema bancario. L’offensiva
roosveltiana dà vita ad un provvedimento anche in campo agricolo, che cerca di risolvere la crisi di produzione, la
quale si è ripercossa negativamente soprattutto sull’agricoltura, determinando un crollo dei prezzi. Ci sono poi
interventi più strutturali, non legati all’economia, che si traducono nella creazione di agenzie federali di organismi
attraverso i quali lo Stato si assume il compito di intervenire, diventando titolare ed imprenditore di attività
economiche che danno lavoro. Tra le varie agenzie costituite ce n’è una che anticipa il secondo New Deal, National
Industrial Recovery Act, che ha il compito di favorire la relazione tra industriali, sindacati e datori di lavoro, che
possono emanare codici di comportamento che limitino la concorrenza tra le industrie e garantiscano salari adeguati
ai lavoratori e una serie di garanzie sociali (es. fissazione dell’orario di lavoro massimo). Nel 1935 la Corte Suprema
rimane l’unico contropotere rispetto all’amministrazione di Roosvelt, la quale cerca di contrastare l’intervento varato
dal governo federale. Nel secondo New Deal vengono varati due provvedimenti:

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a) Social security act, che prevede il sistema di pensioni e introduce misure di assistenza sociale per i disoccupati e le
fasce che restano ancora escluse dalle politiche di occupazione varate da Roosvelt.
b) Wagner act, che riconosce la libertà di organizzazione dei lavoratori e il ruolo dei sindacati.
In termini economici negli anni ’30 i provvedimenti non garantiscono l’uscita dalla crisi, che avverrà nella Seconda
Guerra mondiale; il New Deal segna uno spartiacque e legittima l’intervento dello Stato nell’economia, anche in un
contesto democratico. Si va nella direzione di una politica economica basata sulla spesa pubblica, che si afferma a
partire dal ’33 e che viene teorizzata da un economista inglese Keynes (egli teorizza l’intervento economico dello
Stato come elemento decisivo soprattutto in momenti di crisi). Il corporativismo si presente come una sorta di
terza via tra capitalismo e il socialismo di stato; il fascismo italiano si presenta come un regime di tipo corporativo
nelle intenzioni. Il corporativismo ha origini nel Medioevo ed è basato sul controllo diretto nella produzione da parte
delle forze politiche; lavoratori e datori di lavoro, riuniti nelle corporazioni, condividono la gestione di un certo
settore della produzione e ciascuna di esse ha il compito di governare il settore produttivo a cui fa riferimento. Le
corporazioni in Italia rimangono sulla carta, vengono istituite nel 1934, ma l’economia fascista continua ad essere
basata sulla libertà di iniziativa economica, in cui non ci sono vincoli corporativi.

ORIGINI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

A livello ideologico, la Seconda Guerra Mondiale è la contrapposizione tra politica fascista e non fascista. La
responsabilità della Seconda Guerra Mondiale è da attribuire ad un unico soggetto: la Germania nazista.
Anche se una storiografia revisionista, ha messo in luce un’altra responsabilità, quella delle democrazie occidentali
eccessivamente arrendevoli, ovvero Francia e Gran Bretagna.
Un’altra questione messa in luce è il programma di Hitler, un’escalation di iniziative di espansione che mettono in
crisi gli equilibri internazionali. Il piano di Hitler prevede tre passaggi:
• Smantellamento del trattato di Versailles: obiettivo di liberarsi dalle clausole economiche e militari, ritiro del
riarmo dalla Conferenza, nell’Ottobre del 1933; ed il ritorno della coscrizione obbligatoria nel 1935
→ interruzione del pagamento delle riparazioni
• Annessione allo stato tedesco di quelle minoranze tedesche che il trattato di Versailles aveva affidato ad altri
Stati; strategia di ingrandimento giustificata dal principio di nazionalità, logica irredentistica
• Conquista di uno spazio vitale nell’Europa Orientale, non più di carattere nazionale. Di questo nuovo ordine
europeo fanno parte gruppi etnici slavi, quindi la prospettiva è quella di una conquista militare dell’Europa Slava.
→ logica imperialistica.
Questo disegno riesce a realizzarsi in tempi rapidi anche per una serie di errori delle altre potenze europee,
permettendo ad Hitler di non incontrare resistenza.
Hitler, appena divenuto cancelliere, per quanto riguarda la politica estera decide di prendere le distanze dalla
conferenza di Versailles e far uscire la Germania dalla Società delle Nazioni;
Successivamente avanza una proposta di disarmo delle altre nazioni, questa domanda viene però rifiutata.
Le clausole economiche vengono liquidate.
Nel 1933 vi è il Patto a quattro (Germania, Italia, Francia e Gran Bretagna): esso viene proposto da Mussolini e
riguarda un’intesa permanente che ha come obiettivo quello di rivedere i trattati di Versailles ed il reciproco
impegno alla non belligeranza.
Questo patto però non entrerà mai in vigore, la proposta viene infatti bocciata dalla Francia e dai suoi alleati che
vedono in questo patto un via libera alla Germania della modifica dei trattati e della conquista dei territori.
Ma cos’è che allontana l’Italia dalla Germania in questo periodo?
La questione austriaca → questo perché l’Italia garantisce e difende l’indipendenza dell’Austria proprio poichè teme
la riunificazione di Germania e Austria e di essere accerchiata.
Nel 1934 si apre una vera e propria crisi tra Germania e Italia, subito dopo la Conferenza di Stresa dove Hitler
chiede a Mussolini che venga fatto un plebiscito in Austria per decidere riguardo all’annessione e il Duce si rifiuta;

Nel luglio 1934, si ha un tentativo di colpo di stato da parte dei nazisti contro il Cancelliere austriaco.
Questo colpo di stato però fallisce e vi è un’immediata reazione dell’Italia che decide di schierare l’esercito sulla
frontiera del Brennero.

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Sempre nel 1934, vi è l’iniziativa del ministro degli esteri francese Bartheau che propone un accordo che punta ad
ingabbiare la Germania su entrambi I fronti; questo progetto, che ha un riscontro positivo, si interrompe
bruscamente con un attentato (Marsiglia, novembre 1934) che costa la vita al re di Jugoslavia e a Bartheau;
ciò determina quindi il fallimento di questo accordo.
→ Intanto, nel marzo 1935, la Germania reintroduce l’esercito di leva e fa un accordo navale con la Gran Bretagna.

Nel gennaio 1935, Mussolini fa un accordo con la Francia che prevede la difesa dell’indipendenza dell’Austria e dà
carta bianca all’Italia per la conquista dell’Etiopia.
Mussolini nell’ottobre 1935 dà il via alle operazioni militari per l’occupazione etiope.
Questa iniziativa suscita la reazione della Gran Bretagna che denuncia l’Italia di questa aggressione visto che l’Etiopia
fa parte a sua volta della Società delle Nazioni.
In nome di questo principio, la Gran Bretagna propone di imporre all’Italia delle sanzioni economiche e quindi l’Italia
si trova isolata dalla Gran Bretagna e dalla Francia, la quale aderisce al fronte sanzionista anti-italiano;
La conseguenza è quindi quella dell’allontanamento dell’Italia dalle altre potenze della Società delle Nazioni.
Stati Uniti e Germania invece mantengono i loro rapporti con l’Italia fornendole petrolio e beni primari.

Il 5 maggio 1936 l’esercito militare entra nella capitale etiope Addis Abeba.

Nel novembre 1936, il governo britannico propone un accordo con l’Italia che prevede una spartizione dell’Etiopia
(due terzi del territorio); questo accordo viene bloccato dalle manifestazioni pacifiste in Gran Bretagna e propone di
trovare una soluzione diplomatica.
Quindi l’Italia insiste con la campagna militare e costringe Mussolini ad una campagna di opinione che fa leva sulla
congiura internazionale contro l’Italia da parte di Gran Bretagna e Francia e che riscuote consenso non solo in campo
fascista, ma anche antifascista che riconoscono nel regime il rappresentante degli interessi degli italiani.
L’Italia riesce quindi a condurre a termine con successo la guerra fino al maggio 1936, anno in cui proclama agli
italiani la nascita dell’impero e la sua ricchezza segna internamente l’apice del consenso popolare.

Cosa comporta questo strappo consumatosi con la guerra di Etiopia? Sono conseguenze enormi, è una sorta di
spartiacque che segna, a partire dal 1936, l’abbandono da parte dell’Italia di tutte le prospettive di intesa in funzione
antitedesca con Francia e Gran Bretagna producendo un riavvicinamento dell’Italia alla Germania nazista che si
concretizza nell’ottobre 1936 con la firma di un accordo generico non vincolante, l’Asse Roma-Berlino, che segna
una vicinanza ideologica tra i due regimi. Questo ha un prezzo per l’Italia e cioè la rinuncia alla difesa
dell’indipendenza austriaca: Mussolini dà il via libera ad un protettorato tedesco sull’Austria la quale perde
l’indipendenza per quanto riguarda gli accordi diplomatici.

Questo spartiacque indebolisce il fronte antitedesco e la prima dimostrazione è l’episodio della rimilitarizzazione
della Renania (con 36000 soldati) da parte della Germania nel marzo 1936, fascia di territorio al confine con la
Francia.
La Francia accetta senza porre contrasto, né militarmente né diplomaticamente, perché:
a) Sul piano internazionale avverte la disponibilità della Gran Bretagna ad una possibilità di riarmo tedesco. Quindi
una risposta l’avrebbe allontanata dalla Gran Bretagna.
b) Sentimento pacifista che pervadeva l’opinione pubblica francese, che aveva ancora di fronte agli occhi il massacro
della grande Guerra. Quindi ha un sentimento di riluttanza, evitando una reazione che possa riaprire il rischio di una
nuova guerra.

La potenza che più si sente minacciata dall’espansionismo Hitleriano ed anche l’unica in grado di resistere
militarmente e ideologicamente è l’Unione Sovietica, che intraprende una svolta radicale nella sua politica estera.
• Settembre 1936 → URSS entra nella Società delle Nazioni
• Maggio 1935 → firma un’alleanza con la Francia e con la Cecoslovacchia → La ragione di fondo di queste
alleanze è la difesa contro la Germania. La URSS si propone come potenza garante di una politica di sicurezza

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collettiva che coinvolga tutti gli stati europei nella difesa della pace. Questa politica è debole perché deboli sono
gli stati che la devono sostenere, è una strategia che fallisce.

Al settimo congresso del COMINTERN nel 1935, viene varata la politica dei “fronti popolari” : prevede l’alleanza
e quindi l’ingresso nella politica dei partiti comunisti, rimasti finora isolati, con i vari partiti socialisti europei, ma
anche un’alleanza coi partiti progressisti che vogliono un accordo con i comunisti in funzione antifascista.
Il primo significativo caso di fronte popolare lo si ha in Francia nel 1936 (fino al 1937) dove il partito comunista riesce
ad entrare in parlamento. Questo esperimento in Francia ha solo un valore simbolico, ma anche dal punto di vista
interno le politiche proposte sono politiche che si muovono nell’ambito delle collaborazioni che richiamano il New
Deal (Accordi di palazzo Martignon).
Anche in Spagna nel 1936 si forma un governo di fronte popolare → GUERRA CIVILE SPAGNOLA → che si
presenta con contratti radicali, adotta misure economiche incisive ed eversive, politiche di espropriazione e
collettivizzazione di terreni, una politica simile a quella sovietica che scatena una grande paura nell’opinione
pubblica. Al tempo stesso è anche una politica anticlericale, di massacro fisico dei religiosi e sacerdoti.
Tutto ciò mette in crisi la democrazia in Spagna (anche se già precedentemente c’erano state esperienze dittatoriali,
nel 1923 e nel 1931). Nel luglio 1936 avviene un colpo di stato militare quando in Marocco le truppe del generale
Francisco Franco si ribellano e disconoscono il governo frontista e danno vita ad una ribellione popolare che porta
alla guerra civile.
Non è solo una guerra civile combattuta dagli spagnoli, ma che coinvolge l’intera opinione pubblica e l’intera politica
europea, visto che obbliga i vari stati a prendere posizione.
La prima misura delle forze europee è quella di non impegno: nell’agosto 1936, Francia, Gran Bretagna, Italia e
Germania formano un comitato di non intervento.
Ma questo comitato non viene rispettato visto l’Italia e la Germania intervengono militarmente a fianco di Franco e
quindi della Spagna Franchista.
Il loro sostegno è “giustificato” da:
Motivazione ideologica tra Franchismo (di carattere militare) e Fascismo e Nazismo.
Motivazione geo – politica, politica estera dell’Italia: la ragione del sostegno italiano a Franco è il timore che una
Spagna Repubblicana (governata dal fronte popolare) possa fare blocco con la Francia popolare e compromettere la
posizione dell’Italia nel Mar Mediterraneo.

A favore della Spagna Repubblicana interviene l’Unione Sovietica, in virtù della sua nuova politica di sicurezza
collettiva “anti – fascista”.
Organizza, attraverso il COMINTERN, le “brigate internazionali”, volontari non solo comunisti, ma anche di altri
gruppi politici (anche antifascisti italiani).
Gli italiani si trovano a combattere in Spagna su due fronti opposti:
1) Gli antifascisti per la spagna Repubblicana, nelle brigate internazionali
2) I fascisti nei reparti che affiancano le truppe di Franco

Questa guerra civile non vede il coinvolgimento di Francia e Gran Bretagna:


la Francia, seppur vicina, non interviene e fa sì che sia la URSS ad aiutare la Spagna democratica.
La Gran Bretagna in questo momento è più vicina alla Germania di quanto lo fosse l’Italia, cerca un compromesso
rifiutando di far parte di questo schieramento internazionale ideologicamente fondato sull’antifascismo/nazismo.
Nel frattempo, l’Unione Sovietica ha ritirato l’appoggio alla Spagna Repubblicana.

La guerra civile si conclude nel 1939 con la vittoria di Francisco Franco e si istituisce così un regime autoritario che
conclude l’esperienza del fronte popolare.

La guerra civile ha delle conseguenze anche in Europa visto che aumenta la solidarietà tra Italia e Germania.
A questo punto diventa inevitabile l’alleanza tra di loro che già avvenne nel 1936;

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Ottobre 1937 → l’Italia esce dalla Società delle Nazioni
1940 → Giappone entrerà a far parte del patto tripartito → Asse Roma-Tokyo-Berlino
L’ideologia viene richiamata come collante di quest’alleanza.

Gli obiettivi del revisionismo tedesco si concentrano in tre tappe :

Prima tappa: Austria - marzo 1938


Viene pianificata da Berlino una rivolta interna in Austria, condotta dai nazisti austriaci, che giustifica l’occupazione
militare tedesca e che porta all’annessione (Anschluss) austriaca nel Reich Tedesco.
L’Italia si trova ad essere l’unica alleata della Germania e quindi deve accettare l’occupazione austriaca.
La Gran Bretagna, di fronte all’annessione, fa la medesima cosa: il ministro degli esteri britannico accetta questa
espansione tedesca, in nome della pace; giustifica l’azione tedesca perché era stata penalizzata dai trattati di
Versailles, quindi rivendica ciò che gli avevano tolto.
Il vero spettro della Gran Bretagna è l’Unione Sovietica, quindi l’espansione tedesca rappresenta uno sbarramento
rispetto al pericolo di un’espansione Sovietica.
Ciò che la Gran Bretagna non calcola sono le motivazioni ideologiche dell’espansione, che deve condurre la
Germania a ridurre ad una posizione di vassallaggio tutta l’Europa Slava, è una vera e propria occupazione militare.

Seconda tappa: Cecoslovacchia


In particolare, Hitler avanza la richiesta d’annessione sulla regione dello Stato Cecoslovacco abitata dalla minoranza
di nazionalità tedesca dei Sudeti (circa 3 milioni), che sembrano giustificare un’ottica di rivendicazione nazionale.
Hitler impone l’annessione di questi territori.

Reazione da parte della altre potenze: inizialmente è una reazione più intransigente, in realtà, di fronte al rischio di
una guerra che Hitler minaccia, si consuma la rea finale della Francia e della Gran Bretagna che accettano la proposta
di Mussolini di convocare una conferenza internazionale a Monaco (30 settembre 1938), per evitare lo scoppio di
una guerra, sancisce la fine della Cecoslovacchia come Stato indipendente e l’annessione del territorio abitato dai
Sudeti da parte della Germania.
Questa conferenza nell’immediato sembra salvare la pace in Europa, ma si trasformerà nel momento di resa finale,
in cui le potenze europee capiscono che non è più possibile limitare l’espansionismo Hitleriano con concessioni
territoriali.
È quindi necessario passare ad una politica di resistenza, con il rischio di una guerra.

Porta ad una sorta di fallimento di Mussolini che finora aveva cercato di presentarsi (agli italiani) come il leader di
una nazione guerriera, una nazione di “italiani nuovi”, non arrendevoli, deboli, bensì capaci di vincere la guerra.
Il Mussolini di Monaco invece si arrende a Hitler, e viene accolto da un’ondata di appoggio degli italiani che gli fa
capire che non sono diventati ciò che egli sperava fossero.
Si trova ad aver ceduto il controllo della politica europea ad Hitler e di una conseguente alleanza inevitabile con la
Germania, è costretta a giocare di rimessa.
Non gli resta che accettare un accordo, un patto, come alleato secondario.
-Aprile 1939 cerca di condurre un’operazione militare in Albania, come diversivo alla condizione di subalternità alla
Germania, ma non modifica i rapporti di forza.
-Maggio 1939, viene firmato un accordo diplomatico – militare, PATTO D’ACCIAIO, che vincola l’Italia a
partecipare ad una guerra affianco al suo nuovo alleato anche in caso di guerra offensiva.
La Germania non ha nessuna intenzione di legarsi all’Italia con un’alleanza paritaria, perché in quei mesi si apre la
crisi che condurrà alla Seconda Guerra Mondiale. La crisi scoppia in Polonia.

Terza tappa: Polonia


Terza richiesta della Germania, riconquistare la sovranità su quei territori polacchi che la dividevano territorialmente,
cioè il corridoio di Danzica che separavano la Germania dai territori dell’Antica Prussia Orientale.
La Francia e la Gran Bretagna pongono un rifiuto che si traduce nella concessione di una garanzia rispetto
all’indipendenza della Polonia.

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Non garantiscono l’integrità ma l’indipendenza, cioè la sopravvivenza dello stato Polacco. Viene garantita
l’indipendenza perché fanno capire ad Hitler di essere disposte ad accettare una revisione dei confini.
La soluzione diplomatica della crisi si infrange sul rifiuto dell’Unione Sovietica d’entrare a far parte di questo blocco
di Stati a garanzia dell’indipendenza polacca.

L’Unione Sovietica sceglie di arrivare ad un negoziato direttamente con la Germania, nemico storico.
Conduce un negoziato parallelo (marzo 1939 – agosto 1939) negozia:
a) Francia e Gran Bretagna: fallisce perché l’Unione Sovietica chiede, in cambio dell’alleanza, il diritto di transito del
proprio esercito sul territorio polacco.
Questa richiesta provoca da parte della Polonia un rifiuto, perché la credono una premessa per un’occupazione
Sovietica, non accetta di farsi difendere militarmente dall’Unione Sovietica.
b) Segretamente con Germania: è un trattato firmato il 23 agosto del 1939, tra i due ministri trattato Molotov –
Ribbentrop che si compone di un accordo ufficiale di non aggressione (formalmente), si impegnano di non farsi
guerra. In realtà alla base dell’accordo c’è un protocollo segreto (reso noto solo dopo la caduta dell’Unione Sovietica
– anni ‘90) in cui si stabilisce la spartizione dell’Europa Orientale:
1) Polonia
2) Dalle Repubbliche del Mar Baltico fino alla Romania

Questo accordo assicura alla Germania le spalle coperte sul fronte orientale.
Hitler nel 1° settembre 1939 inizia le operazioni militari con l’occupazione della Polonia, con una guerra lampo che
concluderà il 28 settembre, con l’occupazione totale della Polonia, che verrà spartita militarmente tra Germania e
Unione Sovietica.

SECONDA GUERRA MONDIALE

1939-1945

L’1 settembre 1939 la Germania e l’URSS occupano la Polonia se la spartiscono e nel giro di 2 settimane la Polonia
cessa di esistere. All’inizio è una guerra limitata. L’URSS nel novembre 1939 apre le ostilità contro la Finlandia, sul
fronte settentrionale. la Germania propone alla GB un compromesso, una pace basata sul riconoscimento
dell’occupazione tedesca della Polonia, ma la Francia e la GB rifiutano. La Germania apre un nuovo fronte di guerra,
sul confine nord-occidentale, nell’aprile del 1940 occupa la Danimarca. Poi dirige le sue mire espansionistiche contro
la Norvegia. Queste azioni rappresentano una strategia di pressione militare indirizzata contro la GB, sono chiamati i
mesi della drôle de guerre (guerra strana, per finta) fino al maggio 1940, perché la guerra non è ancora scoppiata
in occidente, Francia e GB restano sulla difensiva aspettando un attacco. La guerra si riprende con l’iniziativa militare
della Germania che sposta la guerra sul fronte occidentale, non ottenendo un riconoscimento diplomatico delle sue
mire ripete la stessa operazione che aveva tentato nell’agosto del 1914, ovvero l’invasone della Francia passando
dal Belgio e questa volta anche l’Olanda e il Lussemburgo, aggirando la Linea Maginot, passando per il confine
settentrionale che era stato lasciato scoperto. L’attacco tedesco inizia il 10 maggio 1940.
Questa iniziativa pone la Francia e la GB davanti alla necessità di organizzare una difesa militare, ciò determina la
fine della politica dell’appeasement, Chamberlain dà le dimissioni: si dà il via ad una svolta politica che consentirà
alla GB di passare da una linea di difesa diplomatica, a una vera e propria resistenza militare, alla cui guida Giorgio VI
decide di chiamare un esponente del partito conservatore che era stato un anti-appeasement, ovvero Churchill. Il
governo Churchill rappresenta la nuova strategia militare della GB, ovvero la resistenza assoluta contro la Germania
nazista.
Nel maggio del 1940, quando le truppe britanniche si sono coalizzate con l’esercito francese in Francia, Churchill
considera l’ipotesi di un accordo con la Germania che avrebbe potuto tenere fuori la GB dalla guerra, pressato dagli
esponenti del partito conservatore pro-appeasement, soprattutto da Alifax. Churchill sembra piegarsi a questa
richiesta, ma in definitiva mantiene la sua strategia originaria, dimostra la sua posizione anti-appeasement. Churchill
considera la proposta tedesca della spartizione dell’Europa che assicuri alla GB il riconoscimento sul dominio sui mari
(Germania potenza continentale e GB potenza marittima) proposta da Hitler, ma Churchill con una decisione solitaria
rifiuta l’offerta e nel celebre discorso 4 giugno 1940 alla Camera dei comuni chiama alle armi l’intero popolo inglese
e anche il popolo coloniale inglese. Gli consente di ottenere una maggioranza nazionale, non solo i conservatori, ma
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anche i laboristi, che dà a Churchill i pieni poteri, anche grazie al suo talento retorico. Churchill non promette un
avvenire luminoso, ma sono promesse realistiche, sanguinose, promette la vittoria ad ogni costo ed anticipa il
coinvolgimento delle colonie britanniche, ma anche degli USA. Ciò non è sufficiente a difendere la Francia
dall’avanzata tedesca, infatti il 14 giugno del 1940 i tedeschi entrano a Parigi e la Francia capitola. Le truppe
britanniche sono riuscite a salvarsi e tornare in patria via mare attraverso il porto di Dunkerque. Il 22 giugno viene
firmato l’armistizio e la Francia risulta divisa in due: a nord una zona occupata dal controllo militare nazista e a sud
viene instaurato il regime di Vichy, con a capo del governo il maresciallo Petain. Con Petain finisce la terza
repubblica ed egli propone un ritorno all’ancien regime. Il regime di Vichy presto perse la sua autonomia e passò
anch’esso sotto il dominio dei nazisti, i quali temevano un attacco degli anglo-americani nella Francia meridionale.
Nel giugno del 1940 quindi diventa una guerra europea che coinvolgerà anche la popolazione civile.

Entrata in guerra dell’Italia

C’è un’altra novità che contribuisce all’allargamento della guerra in Europa, il 10 giugno 1940 l’Italia entra in guerra.
La politica italiana era stata una politica di avvicinamento alla Germania nazista. L’accordo che sancisce l’alleanza
militare vera e propria è sottoscritto il 22 maggio del 1939 e ha preso il nome di “Patto d’acciaio”. L’Italia lo fa per
farsi coinvolgere e consultare dalla Germania per quanto riguarda la politica estera. È un accordo che non ha
precedenti perché prevede, l’articolo 3, l’impegno reciproco a intervenire militarmente l’una a sostegno dell’altra,
senza però la specificazione che si tratti di una guerra difensiva, quindi alla carta l’Italia è obbligata ad intervenire al
fianco della Germania anche in caso di una guerra offensiva scatenata dai nazisti, che non coincide con il piano di
Mussolini. È stato un elemento di superficialità da parte del governo italiano. La Germania si impegnava
(informalmente) a non aprire le ostilità prima del 1942, quindi l’Italia aveva il tempo di equipaggiarsi. Il mancato
rispetto di questa clausola informale legittima l’Italia fascista a non entrare in guerra subito nel 1939, si definisce
“non belligerante”. L’Italia durante la drôle de guerre, cerca di favorire una pacificazione tra la Germania e le
potenze occidentali, questa mediazione trova l’appoggio della Santa Sede. L’Italia decide di entrare in guerra a
partire dal maggio 1940, quando la guerra sembra destinata a concludersi in modo vittorioso per la Germania con la
conquista della Francia, quindi l’Italia teme di restare esclusa dall’assetto europeo post-bellico. L’ingresso in guerra è
tardivo, i francesi accusano l’Italia di aver dichiarato guerra alla Francia quando ormai era già sconfitta. Mussolini
apre un’offensiva militare sulle alpi occidentali che dura pochi giorni e che dimostra l’impreparazione militare
italiana, perché fatica a combattere contro un esercito già sconfitto, però ciò gli permette di sedere durante
l’armistizio dalla parte dei vincitori. La Germania si trova a combattere con la GB sul fronte occidentale e al tempo
stesso costretta a fiancheggiare le operazioni militari italiane. L’Italia ha interessi sul Mediterraneo e in Africa
orientale/settentrionale e ciò allarga i fronti della guerra. l’Italia all’inizio presenta la propria guerra come
una guerra “parallela”, autonoma a quella tedesca, vuole recuperare un’autonomia militare, ha obiettivi diversi
da quelli tedeschi, però per condurre una guerra parallela occorrono i mezzi per farlo, ma l’Italia non riesce. La prima
iniziativa autonoma dell’Italia si apre il 18 ottobre 1940 contro la Grecia, che è uno stato autoritario, quindi non c’è
una spiegazione ideologica, ma lo fa per favorire l’espansione nella regione balcanica (l’Italia aveva già annesso il
territorio albanese). Ma questa guerra mette in evidenza i limiti delle forze militari italiane, non dispone di portaerei,
che mette in crisi la guerra parallela di Mussolini. Ciò suscitò nel paese una crisi di sfiducia. Sia in Africa
settentrionale che in Grecia, l’Italia è costretta a chiedere l’intervento delle forze tedesche e questo fa impegnare la
Germania su fronti di guerra secondari. Nel 1941 sia la Grecia che la Jugoslavia capitolano ed entrano sotto il
controllo della Germania, perché è l’esercito tedesco che è stato decisivo.
Il primo obiettivo che la Germania cerca di conquistare è la GB, dove Churchill prepara una resistenza militare e
civile. Il progetto iniziale prevede l’uso dell’aviazione (Luftwaffe) e poi l’occupazione via terra, l’operazione Leone
Marino, ma non etra in funzione, l’unica guerra che si svolge è quella aerea (la battaglia d’Inghilterra), che doveva
essere una guerra di preparazione per poi permettere all’esercito di terra di occupare il territorio. Prendono di mira i
centri industriali, ma anche le città. Questa guerra si rivela insufficiente perché la GB schiera una contraerea efficace,
la Royal Air Force, anche grazie all’uso dei radar che localizzano il nemico. La Germania quindi è costretta a
sospendere l’operazione e la guerra tedesca incontra un primo insuccesso. Questo la costringe a cambiare il fronte di
guerra. Primavera-estate 1941: Hitler vuole infrangere l’accordo con l’URSS e aprire un fronte militare contro l’URSS,
il 22 giugno 1941 inizia l’operazione Barbarossa. L’esercito nazista subisce una seconda battuta d’arresto e nel
dicembre 1941 è costretto ad arrendersi poco prima della capitale, perché l’armata rossa adotta una strategia di
arretramento, ma anche a causa del clima rigido. Segna l’inizio di un rovesciamento delle sorti della guerra.
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1941: data spartiacque

1941, data spartiacque: l’URSS è costretta a schierarsi di nuovo contro la Germania nazista, le alleanze si
capovolgono. È a partire dal giugno 1941 che si apre una ridefinizione delle alleanze che permette alle potenze
antifasciste di dare alla guerra una valenza ideologica, è da questo momento che la guerra diventa ideologica
(fascismo vs antifascismo). l’URSS è costretta a ritornare alla politica di sicurezza collettiva precedente. La coalizione
antifascista è però eterogenea, ne fanno parti stati democratici e stati totalitari (alleanza strana e innaturale) che
però hanno l’obiettivo in comune di fermare la Germania.
Nel 1941 gli USA escono dall’isolamento e intervengono nella guerra. La prima tappa è l’approvazione della legge
degli affitti e dei prestiti che autorizza la fornitura di risorse economiche e materiale bellico da parte del
governo degli USA alla GB. Ruolo di arsenale delle democrazie, come lo definisce Roosevelt. Gli USA intensificano la
collaborazione, il 14 agosto 1941 (dopo l’offensiva tedesca contro l’URSS) si tiene una conferenza bilaterale tra la
delegazione americana e britannica che porta alla promulgazione della Carta Atlantica in cui USA e GB concordano
le condizioni per il nuovo ordine democratico post-bellico che segnano la premessa di un’alleanza di guerra.
Ricalcano i 14 punti di Wilson, autodeterminazione dei popoli, rinuncia di conquiste territoriali, in più ci sono dei
riferimenti nuovi al miglioramento delle condizioni di lavoro, sicurezza sociale, creazione di un nuovo ordine che
garantisca la libertà dalla paura e dal bisogno. Gli USA però non entrano in guerra dopo la firma della carta in difesa
dell’Europa, ma a causa del fronte del Pacifico e il Giappone (alleato con l’Asse con il patto tripartito dal 1940). La
Germania lo aveva sottoscritto in preparazione della futura offensiva contro l’URSS, ma il problema è che
il Giappone invece di impegnare l’URSS sul fronte asiatico, firma nell’aprile 1941 un patto di non aggressione con
l’URSS. Il Giappone occupa sul Pacifico i territori coloniali francesi (Indocina, il Vietnam), per costruirsi un’area di
influenza sul Pacifico. Gli USA cercano di imporre un ultimatum al Giappone, ma non accetta ed utilizza i territori
occupati per procurarsi le materie prime per la propria politica di guerra che si attua il 7 dicembre 1941 con l’attacco
a sorpresa ai danni della flotta americana a Pearl Harbour, nelle isole Hawaii. Gli USA sono costretti ad entrare in
guerra e la guerra diventa mondiale. 11 dicembre 1941 segue la dichiarazione di guerra della Germania e dell’Italia
agli USA.
La grande alleanza anti-nazista (GB, URSS, USA) resta comunque innaturale, quindi il problema è quello di trovare
una base comune: ciascun membro ha interessi diversi anche dal punto di vista militare e si apre una negoziazione.
Gli USA decidono di estendere anche all’URSS gli aiuti economici. Si riuniscono a Washington si riuniscono tutti gli
stati in guerra contro il nazismo che concordano le strategie di guerra contro la Germania sulla base della Carta
Atlantica, dando vita al Patto delle Nazioni Unite. L’URSS chiede l’apertura di un secondo fronte di guerra
settentrionale, c’è una divergenza però tra l’URSS e la GB, perché la GB chiede l’apertura di un secondo fronte
Mediterraneo. Si comincia a prefigurare un fronte militare contro l’Italia nel Mediterraneo. Riescono a stabilire un
coordinamento della guerra antinazista, cosa che non riesce a fare l’Asse, perché la Germania non riesce a
coordinare il Giappone. La Germania si trova in condizioni di inferiorità strategica, overstretching. Però la Germania
rimane comunque la potenza imperiale per eccellenza in Europa, è riuscita ad acquisire un dominio europeo che le
consente di trasformare l’Europa in una colonia agricola, utilizzare i cittadini dei territori occupati che vengono
deportati in campi di concentramento impiegati come forza lavoro per la produzione bellica, c’è uno sfruttamento
schiavistico delle popolazioni, soprattutto slave. Questa politica espone la Germania ad una resistenza da parte delle
popolazioni civili che si oppongono e questa reazione si traduce nella nascita di un movimento antinazista. All’inizio i
rappresentanti antinazisti espatriati decidono di mantenere in vita un governo democratico dall’estero, però dal
1942 questa organizzazione si rafforza, nasce un esercito popolare a guida comunista in Jugoslavia, si ripropone la
vecchia politica dei fronti popolari, la resistenza antifascista di rafforza. Però non sempre il movimento antifascista fu
eterogeneo, perché i democratici e i conservatori sospettavano dei comunisti. In questo contesto assume un ruolo
importante la politica finale nazista di sterminio nei confronti degli ebrei, che presenta un elemento di novità
assoluta che non è giustificata dalla politica di guerra, anzi distrae l’esercito dagli obiettivi militari, si lega ad un
programma ideologico che prescinde dalla guerra.

Le battaglie finali

Nel 1942 si invertono i rapporti di forza. Il Giappone continua a realizzare il proprio disegno espansionistico sul
Pacifico e nel 1942 riesce a consolidarlo nei primi mesi, però subisce un’inversione di tendenza perché gli USA

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dominano sulla guerra aero-navale, fa la sua prima comparsa il portaerei. Gli USA infliggono al Giappone due grandi
sconfitte (isole Midway e mar dei Coralli) e riescono anche a conquistare l’isola di Guadalcanal. Gli USA iniziano una
progressiva riconquista delle terre perdute sul Pacifico.
Una seconda svolta del 1942 è la battaglia di Stalingrado : l’armata rossa blocca ancora l’avanzata tedesca e
lancia una controffensiva, l’esercito tedesco deve andare in contro ad una ritirata ed arrendersi.
In Africa settentrionale l’Italia aveva scatenato un’offensiva contro l’Egitto, grazie anche all’Afrikakorps, ma nel 1942
il generale Montgomery lancia una controffensiva e le truppe naziste sono costrette ad una ritirata e nel maggio
1943 ad una definitiva resa, poiché accerchiate dalle truppe nemiche. L’Italia è costretta a ritirarsi dall’Africa, poiché
aveva già perso la colonia Etiopia, ha perso i suoi possedimenti coloniali.
Quindi ora la guerra si concentra in Europa, nella conferenza degli alleati di Casablanca viene decisa l’apertura
di un nuovo fronte militare in Italia e si ufficializza il principio della resa incondizionata, cioè le potenze si impegnano
a combattere la Germania fino alla sua sconfitta definitiva e a non intraprendere negoziati. Il 12 giugno 1943 gli
alleati conquistano l’isola di Pantelleria e a luglio sbarcano in Sicilia, operazione Husky, che determinerà la caduta
del fascismo e l’occupazione nazista dell’Italia centro-settentrionale. 3 settembre 1943 l’Italia firma l’armistizio.
L’URSS rivendica l’apertura di un fronte contro la Germania a nord e lo ottiene nella conferenza di Teheran, dove
i 3 grandi decidono di aprire questo secondo fronte entro la primavera del 1944. Si concretizza il 6 giugno 1944 con
lo sbarco in Normandia, con a capo il generale americano Eisenhower, rinominata operazione Overlord, che
consente di arrivare alla liberazione di Parigi e della Francia. A capo della resistenza francese c’era De Gaulle che
aveva guidato il movimento France Libre, che consente alla Francia di farsi ammettere nel club delle potenze
vincitrici. L’esercito alleato dà il via all’ultima offensiva all’inizio del 1945 contro la Germania, anche attraverso i
bombardamenti aerei anche con lo scopo di demoralizzare le popolazioni civili. L’armata rossa inizia un’avanzata
verso la Germania che si concluderà nell’aprile del 1945 con la conquista di Berlino e il suicidio di Hitler. Anche le
forze alleate occidentali avevano cominciato una penetrazione nel territorio tedesco, ricongiungendosi con l’esercito
sovietico. Il 7 maggio 1945 la Germania capitola.
La guerra prosegue sul Pacifico, dove il Giappone non si arrende e fa un ampio uso dei kamikaze, piloti suicidi. Il 6
agosto 1945 Truman per stroncare la resistenza giapponese decide di utilizzare una nuova arma, la bomba atomica,
sulle città di Hiroshima e Nagasaki. Questa è stata interpretata anche come una dimostrazione della potenza
militare americana. 2 settembre 1945 il Giappone capitola e la guerra finisce.

La guerra si conclude, ma è l’inizio di uno scontro tra gli USA e l’URSS, confronto basato sulla supremazia e sul
possesso di arsenale atomico. Dalla rottura della Grande coalizione antinazista avrà origine un nuovo conflitto nel
periodo post-bellico che si dilagherà nella guerra fredda. È un conflitto di tipo nuovo, non combattuto militarmente,
combattuto sul piano ideologico, sociale, si basa sulla supremazia nella detenzione di armi nucleari, ma non porterà
ad una guerra combattuta, ridefinisce l’ordine mondiale post-bellico e ha delle ricadute anche sulla vita politica
interna agli stati europei.

Gli elementi di novità assoluta che differenziarono la Seconda Guerra Mondiale rispetto al precedente conflitto
riguardano soprattutto l’intensificazione della componente tecnologica. È una guerra combattuta ed alla fine vinta
grazie al controllo di risorse ed armamenti strategico-militare che vengono per la prima volta sperimentati.
Un grande elemento di novità riguarda i bombardamenti aerei, nuove armi più disastrose, in grado di aumentare il
numero delle vittime e di creare scompiglio con attacchi direttamente alla popolazione civile.
Questi bombardamenti sui civili rendono ancora meglio l’idea di guerra totale, guerra che mobilita e sconvolge sia il
fronte militare che il fronte interno → oltre 50MLN di vittime di cui i 2/3 riguardano la popolazione civile.
Sempre sul piano strategico, bisogna sottolineare il fatto che la Seconda Guerra Mondiale torna ad essere una guerra
di movimento in cui gli eserciti riescono a spostarsi e a rompere le resistenze militari del nemico.
La guerra ha diversi fronti di combattimento: aereo, navale e di terra.
È una guerra totale combattuta non solo sul piano militare, ma anche attraverso politiche di occupazione militare dei
territori che instaurano un regime militare tale da imporre nuovi sistemi di disciplina che costringono le popolazioni
conquistate ad una scelta, o la resistenza o la sottomissione.
Sempre analizzando il numero delle vittime, il rapporto tra le vittime dell’Europa occidentale e quello dell’Europa
orientale è quello di 1 a 10; questo rapporto si può spiegare facendo riferimento alle politiche di occupazione della

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Germania e dell’URSS. Essi applicano sui territori occupati gli stessi metodi che regolano i propri territori, ovvero
metodi di terrore, di violenza.
È proprio nel contesto dell’Europa Orientale che si colloca la vicenda drammatica della Shoah, la politica di
annientamento nei confronti degli ebrei, deportati nei campi di concentramento costruiti a partire dal 1941.
In realtà, lo sterminio degli ebrei matura da premesse ideologiche e idee antisemite che precedono il secondo
conflitto mondiale e che iniziano già nella metà degli anni ’30. Le prime misure vengono infatti adottate nel
settembre 1935 con le Leggi di Norimberga che discriminavano gli ebrei i quali venivano privati di diritti civili e
politici.
Il passo successivo sono le misure del 1938 che introducevano la “arianizzazione” delle attività economiche, in
sostanza provvedimenti che avevano dato il via all’espropriazione delle attività appartenenti ad ebrei (già c’era stato
un precedente con il quale il governo spingeva affinché gli ebrei vendessero le proprie attività ai tedeschi).
Dal 1938, tutte le attività vengono prese di mira e assaltate. Famosa è la Notte dei cristalli del novembre 1938.
La politica di sterminio non era ancora considerata, permaneva finora ancora l’idea di imporre una migrazione
forzata degli ebrei in altri paesi, come la Palestina. È un’idea però fallimentare, che secondo la classe dirigente
nazista non risolve la questione ebraica.
La questione ebraica assume una nuova dimensione a partire dal 1939 con la conquista territoriale tedesca dei primi
stati dell’Europa dell’est che comporta l’ingresso nei confini dello stato tedesco di milioni di ebrei (Austria,
Cecoslovacchia, Polonia).
Nel 1941 l’esercito tedesco annette l’Europa balcanica, così si arriva a circa 11MLN di ebrei che abitano dentro i
confini dello stato tedesco.
La prima tecnica adottata dalla macchina di sterminio a partire dal giugno 1941 non è basata sui campi di sterminio:
l’esercito tedesco costituisce dei reparti mobili che hanno il compito di eliminare fisicamente centinaia di migliaia di
ebrei. Questa politica comporta dei costi umani, soprattutto per gli stessi esecutori che sono costretti ad uccidere
queste persone. Quindi si cerca di passare ad un massacro diverso che consente di fare a meno di esecutori fisici.

Tra la fine del 1941 e l’inizio del 1942, la politica di sterminio si evolve: lo stato maggiore nazista si riunisce a Berlino
e si comunica la decisione della soluzione finale, ovvero lo sterminio totale degli ebrei nei campi di concentramento.
La soluzione finale viene applicata negli ultimi tre anni della guerra, portando all’uccisione di circa 5-6MLN di ebrei in
tutta Europa. Questa iniziativa rappresenta il simbolo del carattere distruttivo di questa guerra, ma è soltanto una di
queste dimostrazioni di distruttività, dato che abbiamo anche gli episodi di utilizzo della bomba atomica da parte
degli USA sul Giappone.

Questi eventi causano delle reazioni nel dopoguerra: le popolazioni civili sopravvissute alla guerra e i leader mondiali
vogliono impedire il ritorno ad un simile massacro. L’enormità della tragedia segna una presa di coscienza e giustifica
una risposta politica basata sulla rifondazione di un ordine mondiale pacifico con obiettivo l’esportazione della
democrazia in tutto il mondo.
Questa guerra si conclude con l’eliminazione della coalizione degli stati dell’asse, stati che si riconoscevano in
un’ideologia fascista/totalitaria. Nella coalizione vincitrice della Seconda Guerra Mondiale, continua però ad essere
presente la URSS che presenta delle affinità ideologiche con la Germania nazista (se la Germania non avesse
aggredito l’URSS, probabilmente quest’ultima sarebbe rimasta dalla parte del campo guidato dalla Germania nazista,
tanto che, alla fine del 1940 Stalin ed Hitler negoziano la possibile adesione dell’Unione Sovietica al Patto Tripartito).

GUERRA FREDDA: ORIGINI

Il passaggio dall’alleanza alla sua crisi e successiva rottura con la Guerra Fredda si può ricostruire con le conferenze
interalleate (USA, GB E URSS) che si tengono durante la Seconda Guerra Mondiale. Queste conferenze sono il
simbolo di un coordinamento e collaborazione militare, ma al tempo stesso segnano l’emergere delle prime tensioni
tra gli alleati.
Queste conferenze sono il tentativo di superare le divergenze politiche e ideologiche attraverso la collaborazione
militare. Nella storia di queste conferenze vi è un progressivo allontanamento fra gli stati.

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Alla conferenza di Teheran del novembre-dicembre 1943, l’alleanza sembra tenere: si decide l’apertura del secondo
fronte militare in Normandia.
Nella conferenza bilaterale a Mosca dell’ottobre 1944 (GB e URSS), si decide la spartizione delle sfere di influenza
nell’Europa Balcanica che vede l’URSS come forza dominante in questa zona.

La conferenza più decisiva riguardo al riassetto europeo postbellico è quella di Yalta (4 – 11 febbraio 1945) a cui
partecipano Roosevelt, Stalin e Churchill e nella quale si concentrano sul dopoguerra; la decisione significativa che
viene presa è l’impegno dell’URSS ad entrare in guerra nel Pacifico contro il Giappone 3 mesi dopo la resa della
Germania. Gli Stati Uniti con la bomba atomica precedono l’attacco dell’URSS per impedirle d’intestarsi la vittoria
contro il Giappone e quindi d’allargare verso l’Estremo Oriente la sua influenza. Qui viene inoltre riconosciuta
all’URSS una sfera di influenza nell’Europa centro-orientale e che segna quindi la divisione del continente europeo in
due sfere d’influenza. Yalta è quindi considerata come la conferenza che portò all’inizio della guerra fredda, anche se
in realtà l’Europa era già divisa in due; a Yalta viene solo ufficialmente riconosciuta questa divisione:
• territori occupati dall’esercito sovietico nell’Europa centro-orientale fino a Berlino
• territori occupati dalle truppe anglo americane nell’Europa occidentale
A Yalta c’è un confronto tra Roosevelt e Stalin sulle condizioni politiche che devono regolare i regimi di occupazione
di questi territori dal punto di vista delle garanzie democratiche (Churchill cerca di imporre a Stalin alcune garanzie
come ad esempio le libere elezioni). Stalin formalmente acconsente riservandosi i tempi di applicazione di queste
garanzie. Il disegno di Roosevelt prevede il riconoscimento della presenza sovietica nell’Europa orientale, viene
approvata una dichiarazione sull’Europa liberata che include la richiesta di queste garanzie, soprattutto riguardo la
Polonia.
Ad esempio, la Gran Bretagna vuole che venga ricostituito lo stato polacco in forma democratica, si arriverà ad un
compromesso che prevede l’instaurazione di un governo democratico provvisorio. A Yalta si matura la
consapevolezza che il nuovo ordine potrà essere difficilmente ricostruito grazie al consenso ed alla partecipazione
nella politica dell’Unione Sovietica in guerra. L’illusione di Roosevelt è quella di continuare ad avere la solidarietà
sovietica riconoscendole i territori dell’Europa centro-orientale, territori che verranno trasformati in regimi identici a
quello sovietico.
Il tentativo di Roosevelt è quello di ripristinare la sicurezza collettiva con un nuovo ordine mondiale che elimini la
guerra come soluzione delle controversie tra i vari paesi e di stabilizzare il sistema capitalistico nel mondo, politica
che riesce in parte grazie all’istituzione di agenzie mondiali che coinvolgono anche l’URSS.

Nell’aprile-maggio 1945, Roosevelt promuove la creazione delle Nazioni Unite (ONU), istituita nella conferenza di
San Francisco che elimina la vecchia Società delle nazioni (di cui gli USA non avevano fatto parte nonostante
l’avessero proposta).
Dopo l’istituzione dell’ONU, gli USA non possono più applicare la vecchia politica di isolazionismo visto che si devono
assumere una responsabilità globale economica e politica. La prima dimostrazione di questa assunzione di
responsabilità è proprio l’iniziativa di creazione dell’ONU, organizzazione che introduce anche elementi tradizionali.
Lo stesso Roosevelt propone di organizzare questa istituzione coniugando l’universalismo wilsoniano (uguaglianza
delle nazioni, apertura economica, disarmo, principio d’autodeterminazione…) e dei meccanismi che consentano a
questa organizzazione di trascinare le grandi potenze mondiali verso il mantenimento della pace.

Secondo lo statuto dell’ONU, vi sono due organismi decisionali che governano l’ONU stessa:
• il primo è l’Assemblea generale che rappresenta i principi d’uguaglianza ed in cui sono rappresentati tutti gli
stati. Questa ha poteri di decisione a maggioranza semplice, consente un diritto di tribuna a tutti gli stati
membri;
• il secondo è il Consiglio di sicurezza, il vero e proprio organo decisionale, risultato di quella logica realistica che
Roosevelt cerca di coniugare all’universalismo di Wilson; il consiglio è formato da 15 stati, 5 permanenti (USA,
URSS, Gran Bretagna, Cina e Francia → il dissenso di uno di questi membri invalida le deliberazioni, le decisioni
devono esser unanimi) e altri 10 eletti a rotazione. È un ordine mondiale che ha il potere di decidere le misure da
adottare per il mantenimento della pace.

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Il secondo punto della politica rooseveltiana è la stabilizzazione economica, punto cruciale vista l’esperienza della
grande crisi economica che ha segnato pochi anni prima gli USA; Roosevelt decide di creare istituzioni
economiche internazionali che consentano eventualmente di superare il ripetersi di una crisi del capitalismo.
Le istituzioni sono tre e vengono discusse in una conferenza economica a cui partecipano i vari ministri economici nel
luglio 1944 a Bretton Woods:
• istituzione del Fondo Monetario Internazionale finalizzato alla stabilità valutaria e che garantisce la stabilità dei
rapporti di cambio tra le monete, i quali vengono stabilizzati con la fissazione di una parità tra oro e dollaro che
funge da garanzia ultima; le altre monete devono fissare il loro tasso di cambio confrontandosi col dollaro e
questo consacra la centralità economica e finanziaria degli USA. Nel secondo dopoguerra gli USA si assumono la
responsabilità di governare economicamente il sistema mondiale degli scambi.
• Viene fondata la Banca Mondiale che concede prestiti agli stati e che permette di favorire la ricostruzione
economica dei paesi.
• Viene istituito nel 1947 il GAT, l’accordo generale sulle tariffe e sul commercio, che ha il compito di favorire un
abbassamento dei dazi doganali e la liberalizzazione dei commerci.

Dove si interrompe la collaborazione mondiale?


La questione che determina il deterioramento dei rapporti tra i vincitori è la questione tedesca, la Germania
diventa infatti il punto di discordia.
I vincitori devono decidere come deve essere riorganizzato lo stato tedesco a livello territoriale ed economico.
Tutto ciò viene deciso con la conferenza di Potsdam nel luglio 1945, l’ultima conferenza di guerra dove troviamo
gli stati vincitori.
Tutti sono d’accordo sulla divisione della Germania e che ciascuna zona debba essere gestita dallo stato che ne ha
occupato il territorio: la parte orientale occupata dall’URSS, la parte occidentale viene divisa in tre zone, americana,
britannica e francese. A ciascuna potenza occupante viene consentito di governare secondo i propri principi.
Si decide però di mantenere diviso il governo della ricostruzione economica tedesca, che deve essere cogestita da
tutte e quattro le potenze occupanti ed è su questo che matura il conflitto che dà origine alla rottura insanabile.

L’URSS decide di imporre una politica di espropriazione e prelievo di risorse che impedisce la collaborazione con le
altre potenze che cercano di ricostruire la Germania secondo i propri principi economici che cercano di favorire un
ritorno della Germania occidentale per riportarla ad una libertà economica.
Sono queste due politiche molto diverse e quindi inconciliabili: la Germania diventa nel giro di pochi anni il punto in
cui si rompe la collaborazione tra gli stati.
Le tensioni vengono denunciate immediatamente fin dagli inizi del 1946 da una serie di dichiarazioni da parte dei
principali leader politici degli stati vincitori che rendono evidente il passaggio al conflitto.
Vi sono almeno tre documenti che mostrano la consapevolezza di una rottura imminente :
• il primo è il discorso di Stalin tiene il 9 febbraio a Mosca dove rilancia la tesi bolscevica della inevitabilità dello
scontro tra capitalismo e comunismo, messaggio che prelude alla fine della grande alleanza.
• Una risposta immediata a questo discorso arriva dagli USA con un celebre telegramma di George Kennan,
diplomatico americano a Mosca, che invia a Washington un documento che viene intercettato dalla diplomazia
sovietica. In questo documento viene esortata l’amministrazione americana Truman a prendere atto della
rottura e dell’ostilità sovietica nei confronti dell’occidente, ostilità che è il risultato del sistema sovietico e della
sua ideologia che vede l’URSS come uno stato ideologico che si sente accerchiato dagli stati capitalisti. Questo
quindi porterebbe alla ricerca di uno scontro esterno per mantenere intatto il proprio sistema basato sul terrore
e sulla repressione: non è quindi più possibile una collaborazione tra URSS e USA, dato che l’URSS si considera
come al primo posto dello sviluppo del socialismo mondiale e si potrà considerare al sicuro solo quando il
socialismo verrà esportato in tutto il mondo.
• Il terzo discorso importante è pronunciato da Churchill (ormai ex premier britannico) nel marzo 1946 che fa
riferimento alla cortina di ferro che dividerebbe il continente europeo in due campi opposti ed esorta gli USA a
guidare un fronte comune antisovietico in grado di contenere la minaccia sovietica.
Quindi la guerra fredda non nasce solo per il punto di vista della rivalità territoriale e democratico, ma nasce come
una competizione di tipo ideologico che contrappone le due superpotenze mondiali, superpotenze non solo militari

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ed economiche ma anche ideologiche visto che entrambe incarnano un messaggio ideologico con una visione
globale.

Questo ci porta a dire che la vera sconfitta della Seconda Guerra Mondiale è l’Europa, dato che sono sconfitte tutte
le nazioni e soprattutto le democrazie vincitrici Francia e Gran Bretagna che diventano attori di secondo piano e che
sono costrette a fiancheggiare gli USA al quale cedono il controllo dell’ordine postbellico; esse inoltre si avviano a
smantellare poi i propri imperi coloniali.
La questione tedesca innesca la rottura tra gli USA (blocco occidentale) e l’URSS (blocco centro-orientale) che viene
sancita simbolicamente e politicamente nel corso del 1947, anno durante cui viene dichiarato l’antagonismo
ideologico dalla stessa amministrazione americana Truman in due passaggi:
• il primo è la dichiarazione che Truman fa al congresso americano il 12 marzo 1947 annunciando la dottrina del
contenimento, un impegno politico e militare che gli USA assumono per sostituire la Gran Bretagna che due
settimane prima si era disimpegnata rispetto alla tutela dell’indipendenza e difesa della Turchia rispetto alla
pressione dell’esercito sovietico.
• Il secondo passaggio che certifica e offre una risposta alla minaccia sovietica dal punto di vista economico è la
predisposizione del Piano Marshall, nel quale si promettono agli stati europei senza distinzione (tra Europa
d’occidente ed oriente) aiuti economici necessari alla ricostruzione europea. L’obiettivo che gli USA cercano di
realizzare è quello di impedire il contagio della minaccia comunista verso l’Europa occidentale e salvare quindi la
democrazia.
Questa iniziativa ha anche una motivazione che si lega alla situazione economica degli USA che hanno azzerato la
disoccupazione, quindi fa fatica a trovare uno sbocco delle merci sul mercato interno e ha bisogno
dell’esportazione. L’idea è quella di consentire all’Europa di integrarsi in un sistema di economia capitalistica
aperto. Dal 1947 fino ai primi anni ’50 gli USA verseranno oltre 13 miliardi di dollari all’Europa sottoforma di
denaro/investimenti ma anche macchinari.

Queste due iniziative americane impongono all’URSS una risposta.


L’URSS vede nel Piano Marshall vede un’iniziativa volta al salvataggio del capitalismo e quindi vede una minaccia per
la propria sfera d’influenza e la sua espansione. L’URSS impone agli stati dell’Europa centro-orientale il rifiuto del
piano Marshall ed adotta una serie di iniziative che rilanciano la tensione.
Due mesi dopo l’ufficializzazione del piano Marshall alla conferenza di Parigi nel luglio del 1947, l’URSS impone la
ricostruzione di un ufficio di coordinamento dei partiti comunisti (COMINFORM), una sorta di centrale che
consente all’Unione Sovietica di contrastare la ricostruzione economica basata sul Piano Marshall, per sostituire la
Terza Internazionale (COMINTERN) che era stata sciolta nel maggio del 1943 nel quadro della politica di
collaborazione con gli stati occidentali.
Nella seconda metà del 1947, la tensione è irreversibile e scoppia intorno al governo della Germania perché, forti del
piano Marshall, i rappresentati statunitensi, britannici e francesi che governano le zone della Germania occidentale
decidono di integrare in unico territorio la Germania occidentale (Germania Ovest), la si dota di una moneta e si
rinuncia a collaborare con l’URSS nella definizione delle politiche economiche di ricostruzione della Germania viste le
grandi differenze che creano incompatibilità tra le politiche orientali ed occidentali.

La reazione sovietica a questa iniziativa è il blocco militare di Berlino che si trova nella zona d’occupazione
sovietica, ma era stata divisa in quattro zone di amministrazione in base alle 4 potenze vincitrici. Berlino viene isolata
e viene impedito agli occidentali di accedervi. Nel giugno 1948, arriva la reazione degli occidentali, una reazione
plateale che dimostra la capacità degli stati occidentali di far fronte alla pressione sovietica poiché mettono in atto
un enorme ponte aereo grazie al trasporto di merci e risorse che consentono alle potenze occidentali di mantenere il
contatto con Berlino. La misura di Stalin dura fino al maggio 1949 ed al momento della sua revoca porta alla
separazione della Germania in due parti indipendenti: una Repubblica federale tedesca nella Germania Ovest e una
Repubblica democratica tedesca nella Germania Est sotto l’influenza sovietica.

Questo pone le basi della creazione di un’alleanza tra gli stati occidentali e che coinvolge gli USA, ovvero il Patto
atlantico firmato nell’aprile 1949 e che prevede l’impegno militare degli USA a garantire la difesa e la sicurezza

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degli stati europei in caso di aggressione da parte dell’URSS. A questo punto, la Guerra fredda si stabilizza in Europa
e con il 1949 si crea un equilibrio inalterato fino alla fine della guerra fredda nel 1990 → si passa dalla collaborazione
alla divisione, ma viene garantita stabilità in termini geopolitici.

Gli storici hanno cercato di interpretare le origini e le responsabilità della Guerra Fredda, sono tre gli approcci che si
sono succeduti nel corso degli anni:
• Approccio ortodosso: attribuisce la responsabilità della Guerra Fredda all’espansionismo sovietico e della sua
politica estera; Viene anche criticata la diplomazia di Roosevelt considerata troppo arrendevole. Viene messa in
evidenza l’incompatibilità ideologica delle due potenze che hanno dato vita a sistemi imperiali, contestando a
Roosevelt di aver sottovalutato questa incompatibilità. La Guerra Fredda era inevitabile.
• Approccio revisionista: la colpa è attribuibile “all’imperialismo economico” degli Stati Uniti. Interpretazione
critica che nasce negli anni ’60-70, critica il tentativo riuscito degli Stati uniti di imporre il sistema economico
capitalistico all’Europa Liberata. Sarebbe stato il tentativo di espandere il piano Marshall a scatenare la reazione
sovietica che avrebbe consolidato il proprio dominio in forma autoritaria. Si rovescia l’ordine delle
responsabilità.
• Approccio post-revisionista: sposta l’origine sul piano della sicurezza. La Guerra Fredda non ha una responsabile
chiaro, sia Stati Uniti che Unione Sovietica sono stati trascinati nella Guerra Fredda dalle rispettive percezioni di
insicurezza e paura che entrambe vivevano nei confronti dell’altra, un gioco di azione – reazione in cui non si
capisce di chi sia la colpa originaria.

ITALIA: CADUTA DEL FASCISMO E SECONDO DOPOGUERRA

L’Italia, nel secondo dopoguerra, è uno stato sconfitto fin dal momento, dal 25 luglio all’8 settembre 1943 (i
cosiddetti 45 giorni), cambia alleanza staccandosi dall’Asse e passando nel campo degli alleati.
Tuttavia, questo cambiamento d’alleanza non consente all’Italia di uscire dalla guerra in posizione di uno stato che
collabora alla vittoria dell’alleanza. È uno stato sconfitto e così viene trattato.
L’8 settembre si arrende firmando l’armistizio con gli alleati senza condizioni (come stabilito nella Conferenza di
Casablanca del 1943) ed è il primo stato a cui si applica questa legge di resa incondizionata.
L’Italia non diventa però uno stato riconosciuto a pieno diritto nel campo alleato, diventerà nell’ottobre 1943 uno
stato cobelligerante, che fiancheggia gli alleati in una posizione secondaria.
Il fascismo cade il 25 luglio, ma la caduta di esso avviene all’interno del contesto dello stato monarchico.
Il fascismo non cade per mano dell’antifascismo, non sono gli antifascisti con un colpo di stato a provocarne la
caduta ma una congiura interna. Avviene per una iniziativa congiunta che passa attraverso il Gran Consiglio del
fascismo che il 25 luglio si riunisce e viene votata la sfiducia a Mussolini con il supporto della monarchia.
Mussolini si reca dal sovrano che lo fa arrestare. Come successore, viene nominato il generale Badoglio.
L’antifascismo non viene coinvolto all’interno del governo: il sovrano Vittorio Emanuele III e Badoglio decidono di
non coinvolgere immediatamente i partiti antifascisti, che non sono quindi protagonisti del cambio di regime
italiano, il controllo del governo resta in mano al sovrano ed a Badoglio.

Il governo Badoglio inizialmente rassicura la Germania nazista sulla continuazione della guerra.
Questa però è una finzione: infatti, i tedeschi preparano un piano d’invasione dell’Italia nel caso in cui avesse
cambiato alleanza.
Contemporaneamente, Badoglio vuole iniziare una trattativa con gli alleati, i quali però vogliono una resa
incondizionata. A questo punto dopo la pubblicazione dell’armistizio, la Germania invade l’Italia.
Dall’8 settembre l’Italia cessa di esistere come entità statale unitaria e sopravvive solo nelle regioni liberate (dopo lo
sbarco del 10 luglio 1943) dagli anglo-americani dove continua la monarchia: si rompe quindi lo stato nazionale.
Il Re e Badoglio abbandonano Roma lasciandola alla merce’ dei tedeschi e si rifugiano a Brindisi, garantendo una
continuità dello stato monarchico che prende il nome di Regno del Sud.
La linea che divide lo stato del sud dall’Italia invasa coincide con il confine tra Campania e Lazio fino all’Adriatico.
Nell’Italia centro-settentrionale, tra 1943 e 1945, si scatena la guerra tra l’esercito tedesco che ha occupato
quest’area e l’esercito anglo-americano che si muove progressivamente verso nord cercando di liberare territori.

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Gli stessi italiani della zona settentrionale sono trascinati in questa guerra che li costringe a prendere una posizione
tra il fronte angloamericano e quello tedesco.

In questa fase di guerra di liberazione, si forma il movimento della resistenza che non si era sviluppato nell’Italia
meridionale in quanto gli angloamericani avevano liberato immediatamente i territori del sud.
Il movimento, formato dai partigiani, fiancheggia l’avanzata degli alleati, ha funzione militare ma la sua funzione più
significativa è quella di segnare il riscatto dell’Italia in senso antifascista.
La guerra combattuta dai partigiani è sia di liberazione nazionale ma anche una guerra civile, combattuta contro i
connazionali, poiché al nord si è costituito un regime repubblicano guidato da Mussolini (liberato dai tedeschi)
chiamato Repubblica Sociale Italiana il quale rappresenta il volto italiano delle forze di occupazione tedesche
che ne detengono il controllo;
Contro questa repubblica si schierano quindi le forze di resistenza, per questo si parla di guerra civile italiana, in
quanto vi è lo scontro tra partigiani e soldati della Repubblica Sociale Italiana (RSI).
L’esercito dei partigiani è popolare, formatosi spontaneamente, e si occupa prevalentemente di sabotaggio contro i
tedeschi: si combatte con tecniche di disturbo che favoriscono l’avanzata anglo-americana ma anche con vere e
proprie battaglie, come a Firenze, la prima città liberata autonomamente dai partigiani.

La conseguenza di questa divisione territoriale è il fatto che l’Italia vive questa fase in modo diverso, vi sono due
esperienze completamente distinte tra centro-nord e sud, che separano il vissuto degli italiani.
L’Italia del sud non è soggetta a guerre di liberazione eccetto quella brevissima conclusasi con la liberazione da parte
degli Alleati, mentre quella del nord è caratterizzata da battaglie che rendono questa fase della guerra un’esperienza
tragica caratterizzata da eventi tragici e massacri, ma è anche la zona in cui si sviluppa una resistenza, una
partecipazione attiva della popolazione civile in senso democratico, in cui matura un’aspettativa di rinnovamento
politico, che al termine della guerra troverà dei rappresentanti politici.
Queste due esperienze nettamente distinte sono anche realtà istituzionali e di governo nettamente separate:
l’Italia perde la propria unità di governo e si formano due diversi regimi che governano indipendentemente l’uno
dall’altro e che non si riconoscono. Al nord la RSI eredita la continuità del fascismo, al Sud il fascismo è
definitivamente scomparso ed il governo è gestito dalla monarchia e da Badoglio; qui rinascono però ufficialmente i
partiti antifascisti che pretendono un ruolo di governo e diventano progressivamente i protagonisti della lotta
politica in Italia (al nord sono incarnati dalla resistenza), anche se al nord rimangono clandestini in quanto non
vengono riconosciuti dal governo fascista.
I partiti antifascisti al centro-nord si organizzano attraverso i cosiddetti Comitati di Liberazione Nazionale
(CLN), organismi che rappresentano la volontà dei partiti antifascisti che ne sono i componenti.

I partiti antifascisti che compongono il CLN sono sei (esarchia) e sono gli eredi dei vecchi partiti del prefascismo
(primo dopoguerra): alcuni di essi sono sopravvissuti grazie all’esilio, altri sono stati ricreati partendo dalle ceneri dei
vecchi partiti mentre altri sono sopravvissuti silenziosamente durante il periodo fascista.
Questi partiti sono forze di tipo diverso:
• alcune forze si candidano a diventare forze di massa; abbiamo il Partito Socialista d’unità proletaria ed il Partito
Comunista Italiano che sono legate da un patto di unità d’azione (sono quindi due forze alleate); altro partito
che si candida allo stesso modo è la Democrazia Cristiana, erede del Partito Popolare ed è un partito che cerca il
supporto da parte della Chiesa.
• Gli altri tre partiti sono partiti minoritari ma hanno comunque un ruolo significativo: Partito Liberale, formato
dagli eredi del liberalismo prefascista e antifascista e che ha esponenti politici di rilievo (Croce ed Einaudi); il
Partito d’Azione, che si lega alla memoria delle forze democratiche risorgimentali, è un partito nuovo formato
prevalentemente da intellettuali antifascisti più radicali e che sostiene la lotta per la repubblica e ha esponenti
che nel nord guidano il movimento della resistenza; la Democrazia del Lavoro, formato da notabili e ex politici
prefascisti e che ha come elemento significativo il fatto che è guidato da Bonomi, presidente del consiglio tra
1921 e 1922 e che diventa il presidente del CLN di Roma, diventerà il primo presidente del consiglio dopo
Badoglio.

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Particolare è il Partito Comunista Italiano che è diverso da quello nato nel 1921: nella fase postfascista abbandona
infatti la vocazione rivoluzionaria d’ispirazione bolscevica con cui era nato. Il PCI guidato da Togliatti abbandona il
riferimento a questo programma e si ripresenta come un partito nuovo che si riorganizza come partito di massa,
radicato in tutta la società italiana; altra novità programmatica del PCI è il riconoscimento delle istituzioni
parlamentari e della democrazia borghese come luogo politico vitale per questo partito, accetta quindi di collaborare
con gli altri partiti e di presentarsi alle elezioni.

Questa conversione del comunismo italiano ha delle conseguenze immediate anche nella lotta politica che si apre
nel Regno del Sud nei rapporti con la monarchia: i partiti antifascisti del CLN adottano una linea fortemente
antimonarchica, dato che la monarchia è stata corresponsabile di tutto ciò che è accaduto durante il periodo
fascista. Il CLN chiede che la monarchia si faccia da parte e che consegni il governo ai partiti.
La Monarchia mantiene in carica Badoglio e rifiuta di parlare coi partiti antifascisti che si ritrovano isolati.
Questa divisione resta irrisolta fino all’aprile 1944 quando il PCI propone una soluzione di compromesso e
collaborazione con la monarchia in nome della lotta al fascismo; questa proposta prende il nome di Svolta di
Salerno. Il comunismo diventa quindi una forza responsabile e percepita dagli altri partiti come interlocutore
affidabile. La stessa monarchia, dopo questa apertura, decide di concordare un accordo con le forze antifasciste;
la condizione che consente questo accordo si basa sul fatto che il Re si impegna formalmente a lasciare il trono dopo
la liberazione di Roma nelle mani del figlio Umberto II → i partiti antifascisti quindi entrano a far parte del secondo
governo Badoglio.

Il 4 giugno 1944, Roma viene liberata e scatta l’impegno assicurato dal Re che cede i propri poteri al figlio.
A questo punto gli antifascisti, che acquistano un ruolo significativo, concordano con Umberto II un decreto dove
sono segnati gli accordi di collaborazione tra antifascisti e monarchia e viene creata un’Assemblea costituente che
deve comporre la nuova costituzione e deve decidere la continuità o meno della monarchia.
Il presidente del consiglio diventa Bonomi, che è anche il presidente del CLN → si riunificano i poteri: il CLN diventa
governo ufficiale nominato dalla monarchia.
In questa fase di intesa tra CLN e monarchia, vengono decise e gestite le condizioni materiali dell’Italia in guerra e
vengono poste le premesse per la ricostruzione postbellica sia economica che sociale.
Inizialmente, il governo resta nelle mani di Bonomi fino al giugno 1945. Con il 25 aprile (liberazione totale
d’Italia) il governo di Roma torna ad esercitare la propria sovranità sull’intero territorio; la guida del governo passa
nelle mani di Ferruccio Parri, rappresentante del Partito d’Azione ed esponente della resistenza nel centro-nord, ma
è un governo che dura solo 7 mesi; è il momento in cui l’antifascismo resistenziale si confronta col governo e cerca di
attuare una politica di rinnovamento, una purificazione della burocrazia compromessa a causa del fascismo.
Questo tipo di governo spaventa quelle realtà territoriali che non hanno vissuto la resistenza e il Sud pensa che vi
possa esserci una radicalizzazione dello scontro sociale: il governo Parri viene sfiduciato e al suo posto come
presidente del Consiglio nel dicembre 1945 viene nominato Alcide De Gasperi, segretario della Democrazia
Cristiana.

Il governo De Gasperi ha il compito di liquidare l’esperienza della guerra (disarmare le bande partigiane che
rivendicano una continuazione della resistenza) e quello di traghettare il Paese verso le prime elezioni del
dopoguerra durante cui si dovrà eleggere l’Assemblea costituente.
La questione che si apre nel febbraio 1946 e che divide i partiti antifascisti è quella relativa alla modalità di soluzione
della questione istituzionale, chi deve decidere se l’Italia dovrà mantenere la monarchia o diventare una repubblica.
Secondo il decreto del giugno 1944, la scelta doveva spettare all’Assemblea costituente.
Il governo De Gasperi propone di affidare questa scelta ad un referendum popolare: sono gli italiani che devono
decidere. Questa proposta trova l’opposizione di socialisti e comunisti che invece volevano che fosse l’Assemblea
costituente a farlo, ma questa posizione viene superata dal governo che riesce ad imporre la sua proposta.
Con un nuovo decreto (Seconda costituzione provvisoria), il governo disciplina questa diversa modalità di soluzione.

Il 2 giugno 1946 uomini e donne (prima elezione a suffragio universale) avranno due schede di votazione: in una si
scelgono i partiti che comporranno l’Assemblea costituente, nell’altra si sceglie se continuare con la monarchia o se
istituire una repubblica. Con la vittoria della repubblica (circa 12MLN di voti contro 10MLN), la monarchia finisce.

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La nuova Assemblea costituente è formata prevalentemente dai partiti di massa: DC, PSI e PCI; diventano quindi i tre
assi su cui passa in questa fase l’equilibrio politico e che sovrastano gli altri partiti del CLN, i quali subiscono una
netta sconfitta. Il governo continua ad essere guidato da De Gasperi che forma un nuovo governo formato dai tre
grandi partiti, si parla quindi di governo tripartito.
In questa fase, si può osservare che questo equilibrio politico tra partiti di sinistra e la DC (partito moderato quindi
centro-destra), riflette la collaborazione internazionale tra i grandi vincitori della Seconda Guerra Mondiale, ne
condivide le debolezze poiché quella tra i partiti è un’alleanza fragile composta da forze diverse ed è per questo che
si parla di coabitazione forzata.

Perché sopravvive questa coalizione nonostante le differenze? Le ragioni che giustificano questa sopravvivenza
sono due:
• La stesura della Costituzione → l’Assemblea costituente (formata da rappresentanti dei vari partiti) è stata
eletta per scrivere la Costituzione, quindi i partiti devono collaborare. L’Assemblea costituente non ha in questa
fase il potere legislativo ordinario, ma ha il compito solo di creare la nuova Costituzione.
• La condivisione della firma del trattato di pace → prevede delle clausole durissime, sia militari che economiche
ma anche e soprattutto amputazioni territoriali (perdite delle colonie in Libia, Etiopia, Eritrea, Somalia poi l’Istria,
Dalmazia, Zara; le perdite più pesanti sono però relative ai territori entro i propri confini che l’Italia ha rischiato
di perdere, ovvero, l’Alto-Adige e Trieste, ma che recupererà solo nel 1954; prima di quella data vi era un
accordo bilaterale: la città di Trieste era divisa in due zone, l’area A occupata dagli anglo-americani e l’area B
governata dalla Jugoslavia). I partiti devono quindi condividere il peso della firma di queste clausole e questo
trattato deve esser approvato dall’Assemblea costituente.

La Costituzione, firmata nel 1947, nella prima parte contiene le linee programmatiche del rinnovamento statale:
riflette il tentativo dei partiti antifascisti di rinnovare lo stato, le istituzioni e i diritti di libertà garantiti per tutti i
cittadini. Negli articoli, viene riconosciuta una nuova categoria di diritti, quelli sociali ed economici che riflettono la
cultura politica delle forze antifasciste.
La seconda parte riguarda l’organizzazione dei poteri dello stato, tratta quindi il rapporto tra istituzioni; questa parte
risente del timore di una nuova concentrazione del potere e spinge le forze antifasciste ad organizzare i poteri dello
stato secondo una logica d’equilibrio.
Il parlamento è fondamentale in quanto riflette i partiti ed ha il potere di dare la fiducia o sfiduciare il governo.
Vengono creati nuovi istituti e leggi:
• viene istituita la Corte costituzionale, una magistratura che controlla conformità delle leggi alla costituzione;
• viene previsto il referendum abrogativo, la possibilità di votare per abroga una legge;
• viene introdotto l’assetto regionalistico dello Stato, sono la garanzia del decentramento dei poteri dello stato;
• viene istituito il Consiglio superiore della magistratura.

Queste novità verranno introdotte solo molti anni dopo la Costituzione, come le regioni che vengono introdotte solo
nel 1970 o il consiglio superiore della magistratura nel 1958, vi è quindi un’applicazione graduale.
Un articolo importante è il 7 che prevede che i rapporti tra stato e chiesa continuino ad esser regolati dal concordato
firmato nel 1929.
Dopo la creazione della nuova Costituzione, l’alleanza tra i tre partiti si rompe proprio nel periodo in cui si rompe
anche l’alleanza tra USA e URSS, tra il 1946 e il 1947. Le forze del PCI e quelle della DC si contrappongono soprattutto
quando quelle cristiane si dichiarano apertamente anticomuniste e appoggiano gli USA in merito alla Guerra Fredda,
soprattutto dopo il viaggio di De Gasperi a Washington mentre il PCI vuole la neutralità italiana rispetto alla Guerra.

Nel gennaio 1947 vi è una crisi di governo, si forma un secondo governo De Gasperi, ma il governo cade. Dopo
questa caduta, il nuovo governo si forma nel maggio 1947, ma senza il PCI, solo formato dalla DC e si crea un
equilibrio ancora precario, il cui presupposto ideologico fondamentale è l’anticomunismo, un pensiero che giunge
anche all’interno delle forze antifasciste (antifascisti comunisti e antifascisti anticomunisti).
Questo è anche il periodo in cui l’Italia accetta gli aiuti del Piano Marshall appena dopo la firma del trattato di pace
e quindi si lega all’occidente e alla ricostruzione economica dettata dagli USA.

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Nel settembre del 1947 i rappresentanti del PCI, riavvicinatisi ai sovietici, ricevono durante la riunione del
COMINFORM la direttiva di intensificare l’opposizione al governo De Gasperi, attraverso scioperi, proteste,
occupazioni che fanno temere il ritorno di una visione bolscevica e si preparano alle prime elezioni politiche che
portano alla formazione del primo parlamento repubblicano, il 16 aprile 1948.
Queste elezioni vedono contrapposte le forze di sinistra socialisti e comunisti (le quali si presentano con una lista
unica, il Fronte Democratico Popolare) e, dall’altra parte, la DC e i suoi partiti alleati (Partito Liberale, Partito
Repubblicano, Partito Social-Democratico, formatosi da una scissione dei socialisti).
Quest’ultimo gruppo (DC+alleati) dà vita ad una forma politica chiamata centrismo perché sono formati non solo
dalla DC ma anche da questi tre partiti alleati di centro che danno vita a una maggioranza omogenea che ha come
base ideologica l’appartenenza dell’Italia al campo occidentale.
Questa contrapposizione si risolve con le elezioni del 18 aprile 1948 che assegnano una netta maggioranza della DC
e dei suoi alleati e quindi una netta sconfitta della sinistra.

Questo risultato è uno spartiacque che segna la scelta definitiva legata alla collocazione internazionale dell’Italia che
si inserisce definitivamente nel campo occidentale.

Il risultato delle elezioni è influenzato proprio dal contesto internazionale di quel periodo perché, nei primi mesi del
1948, in Cecoslovacchia si assiste ad un colpo di stato comunista che esclude le forze anticomuniste e trasforma la
Cecoslovacchia in una dittatura, in un regime legato all’URSS. Questo colpo di stato diventa la prova concreta
dell’inaffidabilità delle forze comuniste e sposta i consensi in Italia verso le forze anticomuniste. Questa vittoria
elettorale pone le premesse della ricostruzione economica dell’Italia che aderisce al patto atlantico. Il tipo di politica
economica adottata da De Gasperi è basata su una ricostruzione che si avvale degli aiuti americani del Piano
Marshall e che comporta anche l’aumento delle uscite delle merci, ma è una ricostruzione che non rinuncia allo stato
come ruolo decisivo a livello economico, dà vita ad un sistema di economia mista che, da una parte, è organizzata dal
governo De Gasperi e, dall’altra, riutilizza istituzioni ed enti pubblici del fascismo, come l’IRI fondato nel 1933 da
Mussolini e che aiuta tantissimo le industrie, le banche e le imprese nel secondo dopoguerra.
Altre agenzie che vengono istituite sono la Cassa del Mezzogiorno che ha il compito di finanziare opere pubbliche
e infrastrutture al sud. Nel 1953 viene istituito l’ENI che diventa il pilastro della politica energetica in Italia, sia nella
estrazione del gas e del petrolio in Italia ma anche nei paesi produttori. Altra misura significativa che viene adottata
è la riforma agraria, la ridistribuzione della proprietà fondiaria e la costituzione di un sistema di piccola proprietà
contadina in grado di allargare la produttività del settore agricolo e di fondare un ceto di contadini proprietari; è un
disegno economico che si concretizza tardivamente visto che le campagne del sud non risponderanno positivamente
a questa opportunità soprattutto perché le campagne si spopolano (migrazione sia all’estero che al nord). Altra legge
significativa varata dal governo è il piano straordinario della costruzione delle case popolari, un piano in cui lo stato
si assume la responsabilità di edificare case destinate a ceti che sono privi della proprietà delle loro abitazioni e della
possibilità di costruirne una; costruisce un meccanismo virtuoso che lega I contributi versati dai lavoratori alla
edificazione di queste case; lo stato fa da banchiere per il finanziamento di queste abitazioni.

SECONDO DOPOGUERRA IN EUROPA

Riprendendo il discorso a partire dalla fine degli anni 40, dopo la firma del Patto Atlantico, nel quinquennio che
segue la fine della Seconda guerra mondiale vede una fase in cui si consolida il dominio sovietico sull’Europa
Orientale. Questo dominio era stato concesso da parte degli stati occidentale durante la conferenza dell’Yalta, con
dei vincoli di rispetto di alcune linee guida.
L’armata rossa continua a permanere in quei territori oltre la fine della guerra e ciò favorisce l’instaurazione di regimi
politici completamente sovietizzati.
Questi stati dell’Europa orientale diventano quindi stati satellite della potenza sovietica che possiedono
caratteristiche in comune:

•La presenza delle autorità sovietiche attraverso canali militari, diplomatici e soprattutto attraverso la presenza di
partiti comunisti totalmente subordinati all’unione sovietica. Alla fine della guerra i partiti comunisti non erano
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maggioritari ed erano quindi costretti ad una politica di collaborazione con altri partiti maggioritari. Questo però non
impedisce ai partiti comunisti di entrare al governo tramite coalizioni con partiti non comunisti (contadini,
borghesi…).

•Si passa da regimi di unità nazionale apparentemente democratici a regimi sovietizzati grazie appunto alle forze
comuniste che proseguono con l’onda rivoluzionaria che parte dall’alto, grazie alla partecipazione a questi governi
d’unità nazionale. Il passaggio che consente il successo di questo processo di sovietizzazione dell’Europa orientale è il
controllo e l’occupazione di alcuni posti di governo all’interno del Ministero dell’interno e del Ministero della
giustizia. Questo consente quindi la messa in atto di una strategia detta “del salame” ovvero il taglio delle forze non
comuniste fin quando sarebbero rimaste solo le forze comuniste.

Tra il 1948 ed il 1949 le forze comuniste ottengono il controllo di quasi tutta l’Europa orientale (dopo la caduta della
democrazia Cecoslovacca per mano sovietica).
L’Unione Sovietica decide di fondare una forma di coordinamento e controllo delle politiche economiche che prende
il nome di COMECON, ovvero l’istituto che detta le politiche economiche agli stati che fanno parte dell’Europa
orientale (collettivizzazione forzata dell’agricoltura, liquidazione del ceto contadino, industrializzazione forzata,
nazionalizzazione di imprese ed industrie). Si crea un’area di moneta unica, il Rullo.

Nel blocco orientale si arriva quindi ad un modello d’integrazione molto differente dal blocco occidentale. Infatti,
parallelamente a questo processo di sovietizzazione forzata del blocco orientale, in Europa occidentale vi sono
esperienze politiche di ricostruzione molto differenti, che tengono conto della diversa filosofia di sviluppo dettata
dalla superpotenza egemone del blocco occidentale: gli Stati Uniti. La ricostruzione occidentale è sostenuta
economicamente dal Piano Marshall.

In Europa orientale il rapporto tra gli stati satelliti e l’Unione sovietica è del tutto subordinato, vi è un controllo
forzato; in Europa occidentale invece il rapporto tra gli stati e gli Stati Uniti è accettato spontaneamente, il modello
americano è visto come un traguardo da raggiungere, non una forzatura ed imposizione, in quanto sinonimo di
sviluppo economico.

L’esperienza più significativa della ricostruzione economica occidentale nel campo occidentale è quella vissuta dalla
Gran Bretagna.
La Gran Bretagna è una delle grandi potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale ma esce dalla guerra
economicamente in difficoltà, necessita quindi di sostegni ed aiuti.
L’esperienza britannica è particolare in quanto nel 1945 viene avviata un’esperienza politica di rinnovamento che
segna un precedente: con le elezioni del 26 luglio 1945 vi è un cambio di maggioranza politica; La Gran Bretagna
viene quindi governata dal partito laburista e diventa un modello politico d’ispirazione per tutta l’Europa
occidentale. La svolta laburista si lega alla costruzione di uno stato sociale, di un modello di stato che cerca di
garantire la sicurezza sociale del popolo.
Lo Stato diventa quindi il garante del benessere dei cittadini, garante dell’uguaglianza sociale dei cittadini ed attore
economico.
Le elaborazioni programmatiche che stanno dietro a questa esperienza di governo sono due:
• il modello keynesiano, modello di politica economica che sostiene l’intervento pubblico a sostegno della
domanda interna, soprattutto in fase di crisi. Lo stato deve quindi garantire l’occupazione ed iniettare liquidità in
modo da favorire l’economia interna.
• il piano Beveridge che prevedeva un riordinamento della legislazione sociale inglese che garantisse politiche e
servizi sociali in grado di garantire al cittadino la protezione.

I laburisti si presentano quindi alle elezioni con questi programmi ed ottengono il favore degli elettori britannici (che
congedano quindi Churchill nonostante abbia portato alla vittoria della guerra) poiché la Gran Bretagna era stata
abituata ad una politica economica molto restrittiva a causa dello sforzo bellico ed al termine della guerra questa
disciplina economica viene riconfermata in funzione della ricostruzione, quindi lo Stato mantiene queste politiche
restrittive e con il partito laburista il popolo britannico vede una possibilità di svolta.
Il partito laburista procede alla nazionalizzazione della Banca d’Inghilterra, dei trasporti, dell’aviazione, dell’industria
siderurgica e del servizio sanitario nazionale.
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Questa trasformazione politica necessita di ampi sostegni economici. Gli Stati Uniti diventano i finanziatori di queste
nuove politiche, ancora prima del Piano Marshall la Gran Bretagna ottiene ingenti prestiti con un tasso d’interesse
del 2% e che prevede la restituzione in 50 annualità.
Da questo momento l’economia britannica passa sotto il controllo di Washington: la sterlina è sostituita dal dollaro
che diventa la moneta di riferimento e l’unica a poter esser convertita in oro.
Tramite questo prestito, il governo laburista ottiene i fondi per varare le proprie politiche sociali, ma sarà comunque
costretto a varare una politica di rigore monetario a causa dell’impossibilità di sostenere i costi.
I governi conservatori che subentreranno al partito laburista nel 1951 manterranno le politiche sociali attuate dai
laburisti.

Anche la Francia nel secondo dopoguerra si trova in condizioni economiche critiche.


Viene sostenuta la necessità di un massiccio intervento dello Stato nell’economia, vengono nazionalizzate molte
imprese tra cui quelle automobilistiche. La politica economica francese non è però così marcata come quella
britannica, è una linea che prevede politiche che coniugano l’iniziativa pubblica alla permanenza di una prevalenza
privata. Il caso francese e quello italiano sono piuttosto simili, hanno numerosi elementi comuni fra loro.
Il governo francese, come quello italiano, rinasce con diversi partiti: quello comunista, quello socialista e un partito
d’ispirazione cattolica. Questi 3 partiti gestiscono la transizione post-bellica.
Un altro elemento comune è l’elezione di un’Assemblea costituente.
L’elemento che differenzia la Francia dall’Italia è la figura del generale De Gaulle, il quale ha incarnato la resistenza
francese contribuendo alla liberazione della Francia. De Gaulle contende con i partiti la gestione del gioco politico, lui
infatti rivendica la propria legittimazione al controllo del governo e la guida della vita politica francese. Nel 1946 De
Gaulle decide di farsi da parte, rimane un governo tripartito guidato da esponenti socialisti. Nell’aprile del 1947 vi è
una rottura che porta all’estromissione del partito comunista dal governo, stessa cosa che succederà in Italia un
mese dopo, con la differenza che in Francia sono gli stessi socialisti a liquidare i comunisti mentre in Italia questo non
accadde.
Il fronte popolare in Francia è rotto dalla Guerra Fredda.
A partire dal 1947 in Francia si instaura il centrismo ovvero un’esclusione della destra (comunisti) e della sinistra
(movimento politico di De Gaulle, RPS). In Francia il sistema politico è quindi governato dalle forze centriste, con
all’opposizione i comunisti ed i gaullisti.

In questa fase l’ulteriore elemento che contribuisce alla ricostruzione economica dell’Europa occidentale è la nascita
delle Istituzioni europee. Inizialmente sono gli stessi governi francesi che lanciano la proposta d’integrazione
economica degli stati dell’Europa occidentale, a partire dalla creazione di un mercato comune del carbone e
dell’acciaio. La proposta di creare una comunità economica viene lanciata il 9 maggio 1950 dal ministro degli esteri
francese Schuman, si tratterebbe quindi di condividere le regole di produzione e di commercio di carbone ed acciaio
in tutta l’Europa occidentale. Le ragioni politiche che spingono la Francia a fare questa proposta nascono dal
tentativo di controllo e contenimento della ripresa economica tedesca. Si propone di creare inoltre altre istituzioni
sempre in ambito della produzione: un Consiglio dei ministri, una Corte di giustizia ed una sorta di Parlamento
comune.
A questa proposta aderiscono sei stati: Francia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo ed Italia.
Viene formata così la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA).

La prospettiva che ispira la CECA è quello dell’integrazione funzionalistica economica che cerca di partire dalle
politiche economiche comuni, per realizzare una solidarietà d’interessi che dovrà porre le basi per il passaggio ad
un’integrazione anche politica. L’integrazione politica dovrà però avvenire gradualmente partendo quindi da alcuni
settori dell’economia. → si parla di approccio funzionalistico
Questo modello viene replicato anche in un altro settore decisivo ovvero quello della difesa militare, si cerca di
creare una difesa militare comune (CED), proposta nel 1950 e lanciata come risposta europea ad una crisi in Corea
dovuta alla Guerra Fredda.

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Il 25 giugno 1950 in Corea le forze dello stato comunista nordcoreano invadono la linea di confine del 38° parallelo
che divide la corea del nord e la corea del sud, a danno quindi del sud Corea appartenente al campo americano.
Questa invasione aprirà le ostilità in Corea, aprendo una crisi internazionale della Guerra Fredda che porterà il
mondo alla soglia di un nuovo conflitto mondiale.
Questa minaccia ha delle conseguenze di militarizzazione soprattutto del blocco occidentale.
L’Unione sovietica è sostenitrice dell’invasione nordcoreana mentre gli Stati Uniti sostengono il sud.
Gli Stati Uniti intervengono in Corea e nel giro di pochi mesi l’offensiva nordcoreana viene respinta, ripristinando
l’equilibrio iniziale. Questa controffensiva scatena l’intervento della Cina comunista.
Vi è quindi lo scontro tra forze militari cinesi ed americane.
A questo punto si aprono due opzioni per gli Stati Uniti: quella militare che rivendica la necessità di una guerra alla
riconquista della Corea del nord oppure limitarsi a ristabilire il confine tra Corea del nord e del sud lungo il
38°parallelo → prevale questa seconda linea.
Nel luglio 1953 si arriva ad un armistizio che non produce una pace ma che ristabilisce il confine tra corea nord e
sud.
Quella che sembra essere una guerra limitata porta invece a conseguenze militari anche in Europa.
È proprio la guerra coreana a trasformare il Patto Atlantico (patto diplomatico) in un patto militare, la NATO.
La conseguenza di questa politica di militarizzazione è la necessità del riarmo tedesco, la quale era tornata ad esser
una potenza economica ma totalmente disarmata. Questo poiché la difesa militare europea deve comprendere la
Germania occidentale.
Il riarmo tedesco è una questione che suscita delle reazioni soprattutto in Francia, dove il pericolo principale è una
temuta rivincita tedesca. Bisogna quindi riarmare la Germania in modo controllato, così da tranquillizzare la Francia.
Si apre quindi la questione sulla gestione del riarmo tedesco, il timore degli Stati Uniti era quello che dopo la guerra
coreana l’armata rossa cercasse di attaccare la Germania che non avrebbe potuto difendersi in quanto non armata.
Per questo si decide di includere la Germania nella militarizzazione.
Vi sono numerose proposte: il riarmo tedesco deve avvenire all’interno della NATO quindi sotto il controllo
americano, la Francia invece propone di inserire l’esercito tedesco all’interno di un esercito europeo comune, in
modo da militarizzare la Germania senza però lasciarle in mano la gestione dell’esercito.
Inizialmente la proposta francese viene giudicata negativamente, successivamente però si riesce ad ottenere un
ampio consenso che porta nel maggio del 1952 alla firma di un secondo trattato europeo: la comunità europea di
difesa (CED).
A questo punto diviene necessario proporre di legare l’integrazione della difesa europea anche dal punto di vista
politico, quindi la creazione di istituzioni europee (governo, parlamento…); questa proposta arriva da parte
dell’Italia. L’obiettivo è quindi creare una vera e propria comunità politica europea (CPE).
Nell’agosto del 1954 la Francia respinge però la CED spinta dalla paura di perdere il proprio controllo politico. Resta
però il problema del riarmo della Germania, si decide di riarmarla in modo da poter fornire le proprie forze militari
alla NATO.

ANNI 1950-1960
Il clima di tensione conosce una fase di distensione a partire dal 1953, questo anno segna uno spartiacque nella
storia della guerra fredda e dei rapporti fra le due superpotenze ed i relativi blocchi. Nel 1953 si ha questa
distensione con la morte di Stalin che non si era sottratto alla sfida della guerra fredda e non escludeva l’ipotesi di
una guerra contro gli USA utilizzando anche l’arma nucleare.

Si può dire quindi che i primi tre anni del decennio 1950 sono gli anni in cui si arriva quasi ad una terza guerra
mondiale. Questa distensione è dovuta anche all’emergere di nuove figure e nuove linee politiche in URSS le quali
portano al superamento dell’idea della guerra inevitabile. Tra 1953 e 1955 non emerge una leadership unitaria o un
successore di Stalin, ma emerge una direzione collegiale: si ha una distribuzione delle cariche fra vari dirigenti;
questa fase però nasconde una lotta per la successione al potere, le varie figure si contendono la successione di
Stalin. Inizialmente la figura prevalente è quella di Malenkov che ha posizioni più favorevoli ad un dialogo con
l’occidente e incarna un tentativo di superamento dello stalinismo. Altre figure che ambiscono alla leadership sono,
Beria, il capo della polizia politica, ma è il primo ad essere liquidato in quanto custode di segreti scomodi

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(condannato a morte dal collegio sovietico), Molotov, storico ministro degli esteri che aveva firmato l’accordo con la
Germania nel 1939;
La figura che inizialmente appare più marginale, ma che riesce ad ottenere una posizione di potere più alta è quella
di Krushov che nel 1955 diventa segretario del partito comunista e capo assoluto, sostituendo quindi Stalin. Egli
riesce ad estromettere dal potere le altre figure che lo avevano accompagnato nella direzione collegiale.
Con questa successione, inizia la fase di distensione dei rapporti internazionali che è testimoniata dai primi incontri
internazionali tra i dirigenti delle potenze mondiali, dove partecipa anche l’URSS.
A partire dal 1954 la consultazione diplomatica viene ripresa e vi sono molte conferenze che rappresentano l’inizio
del dialogo, anche se queste conferenze non portano a nulla di fatto.
La questione principale di questi incontri è la necessità di dare un assetto definitivo alla Germania divisa, resta
sempre in sospeso la questione di Berlino che resta divisa tra le due parti, Berlino ovest occupata dagli occidentali e
Berlino est dai sovietici.

Vengono trattate anche altre questioni: in primo luogo, il Vietnam;


Durante la conferenza di Ginevra del luglio 1954, si discute dello stato vietnamita che, insieme alla regione Indocina,
era stato oggetto di guerre coloniali, soprattutto da parte della Francia (potenza colonizzatrice di questi territori) che
si scontrava con le forze indipendentistiche di Ho Chi Minh che volevano instaurare un regime comunista. Questo
porta a far diventare il Vietnam non solo il centro di una guerra coloniale, ma anche l’epicentro della Guerra Fredda
in quanto gli USA interverranno per frenare l’esercito nordvietnamita. La conferenza di Ginevra avviene subito dopo
la sconfitta della Francia che accetta di discutere l’assetto politico dell’Indocina: si concorda la divisione del Vietnam
in due regimi politici, uno stato nordvietnamita comunista e uno del sud che resta nelle mani dei francesi e
americani.

Per quanto riguarda i rapporti tra URSS e USA la conferenza che segna il tentativo di dialogo è la seconda
conferenza di Ginevra del 1955 alla quale partecipano i rappresentanti di URSS, UK, FRA e USA. In questa
conferenza, il ministro degli esteri sovietico per la prima volta sconfessa la linea staliniana dello scontro necessario e
lancia il tema della coesistenza pacifica tra i due blocchi; si va quindi verso un riconoscimento reciproco delle
rispettive sfere di influenza, soprattutto in Europa.
A questo punto, la Germania Ovest entra nella NATO e l’URSS fa sottoscrivere agli stati satellite il patto di
Varsavia, patto politico militare tra URSS e stati satelliti.
In parallelo, oltre alla ripresa dei rapporti internazionali, si va verso una revisione ideologica in Unione Sovietica,
dove si compie un processo di autocritica rispetto alle linee staliniane; la figura che incarna questa d’autocritica è
quella di Krushov che, nel maggio 1955, fa una visita a Belgrado che segna il riavvicinamento dell’URSS alla
Jugoslavia, dopo che Stalin nel 1948 aveva accusato il suo leader politico Tito di aver infranto la disciplina sovietica
(Tito poteva permetterselo visto che il suo esercito aveva liberato la Jugoslavia autonomamente, senza l’intervento
dell’armata rossa).
Krushov quindi nel maggio 1955 capovolge questa linea di condanna, riconoscendo a Tito l’appartenenza al campo
socialista; Il leader sovietico liquida il COMINFORM che verrà smantellato nel 1956, in questo modo Krushov apre la
strada a una presa di distanza rispetto all’esperienza staliniana.
Sempre nel maggio 1955, l’URSS fa un altro gesto distensivo nei confronti dell’occidente, si arriva alla firma di un
trattato di pace con l’Austria che gli USA e le altre potenze accettano di firmare con l’URSS; questo trattato consiste
nel fatto che la diplomazia sovietica e quella occidentale concordano l’abbandono dell’Austria da parte dell’esercito
sovietico ed americano, in cambio del riconoscimento della neutralità austriaca, questo offre una soluzione che verrà
riproposta per risolvere anche la questione tedesca.
La differenza è che gli occidentali rifiuteranno di accettare il trattato proposto per la Germania.
La smilitarizzazione dell’Austria porta lo spostamento della linea di confine tra sovietici e occidentali dal Brennero
alla Baviera.

Il momento in cui si manifesta questa revisione ideologica in modo pubblico è durante il Ventesimo congresso
del partito comunista sovietico nel febbraio 1956: Krushov è ormai leader incontrastato dell’URSS e, in questo
congresso, si conclude il processo di superamento dello stalinismo;

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Krushov pronuncia un discorso nel quale riconosce la possibilità per il comunismo mondiale di diverse esperienze
politiche e vie diverse di comunismo (si evince quindi una linea favorevole alla liberazione interna, una certa
autonomia ai regimi comunisti dell’Europa orientale).
Il congresso però passa alla storia non per questo, ma per una conferenza ristretta tenuta alla fine del congresso
dove non si limita a riconoscere quanto detto prima, ma compie un atto di accusa contro lo stesso Stalin e il culto
della sua personalità. Stalin quindi viene parificato ad un mostro da Krushov.
I limiti di questa accusa però sono:
• questa critica si rivolge solo ad una persona negando una possibile co responsabilità del gruppo dirigente
sovietico.
• Krushov, facendo questa critica, evita di affrontare il problema del potere e si limita a contestare la
degenerazione di un sistema, non mettendo in luce il fatto che il vero problema sia lo stesso sistema che impone
quel modello di potere, indipendentemente dal leader che lo attua; è un modo per scaricare la colpa su una sola
persona.

L’effetto di questa conferenza segreta sono dirompenti perché ne vengono a conoscenza anche gli esponenti
comunisti degli altri stati e, pochi mesi dopo, viene resa pubblica dal New York Times.
Gli effetti di questa conferenza sono immediati visto che negli altri stati la stalinizzazione aveva avuto delle
conseguenze, portando al comando figure che criticavano Stalin. La critica a Stalin provoca una corsa verso le vie
nazionali del socialismo ed ogni stato cerca di essere autonomo , con regimi distinti dall’URSS.

Questa tendenza all’autonomia è evidente principalmente in due stati: Polonia e Ungheria.


In Polonia viene richiamato al potere Gomulka, imprigionato da Stalin e scarcerato nel 1954; egli è un’alternativa alla
leadership sovietica (vi erano stati ampi dissensi interni antisovietici), continua però a confermare la presenza
polacca nel patto di Varsavia e questo rassicura la supremazia sovietica.
La stessa soluzione interna viene tentata anche in Ungheria dove viene ripescato Imre Nagy, un esponente
comunista imprigionato da Stalin, e si va verso l’autonomia; Imre Nagy crea consigli operai e cerca di staccarsi
dall’URSS. Ma compie l’errore di dichiarare l’uscita dell’Ungheria dal patto di Varsavia; è una richiesta inaccettabile
per l’URSS che finge di ritirarsi dall’Ungheria, ma il 4 novembre 1956 reprime l’esperimento comunista nazionale
tentato da Imre Nagy che viene catturato, processato e giustiziato,
ripristinando l’ordine in Ungheria. → questo evidenzia che le promesse d’autonomia interna di Krushov sono in
realtà condizionate dal mantenimento del controllo ferreo dell’Unione sovietica sui suoi stati satellite.
Il nesso tra questa repressione e la guerra fredda comporta la mancata reazione da parte degli USA che danno la
libertà d’azione nell’Europa orientale all’URSS. Quindi ciascuna potenza è comandante nelle proprie sfere
d’influenza.

Negli stessi giorni in cui si consuma questa repressione ungherese, vi è un’altra crisi internazionale che esplode
in Egitto a seguito della seconda guerra arabo-israeliana esplosa per iniziativa di Francia e Gran Bretagna che
organizzano un’operazione militare insieme ad Israele contro l’Egitto. L’Egitto era stato fino al 1922 colonia
britannica, ma dopo essersi emancipato era indipendente anche se la Gran Bretagna lo controllava
economicamente.
A partire dal 1952, le cose sono cambiate con l’instaurazione di un regime nazionalistico arabo comandato da Nasser
che aveva varato una politica estera autonoma rispetto alla Gran Bretagna e aveva stretto rapporti con l’URSS
(ottenendo da quest’ultima aiuti economici e militari). Questa politica indipendentista aveva determinato nel luglio
1956 l’interruzione del finanziamento di un’opera pubblica intrapresa per incrementare lo sviluppo economico del
paese, la diga di Assuan che avrebbe dovuto fornire energia idroelettrica grazie al fiume Nilo; gli USA interrompono il
finanziamento indispettiti dai rapporti dell’Egitto con l’URSS e Nasser decide di nazionalizzare la società che gestiva
gli utili derivati dal transito delle navi lungo il canale di Suez, ciò comporta reazioni da parte di Gran Bretagna e
Francia che ne detenevano le quote azionarie, un danno economico enorme. In conseguenza, Francia e Gran
Bretagna decidono di coordinare un intervento militare per ripristinare l’ordine in Egitto . Per arrivare a
questo intervento, stringono un patto segreto con Israele che attacca unilateralmente l’Egitto che subisce uno
sconfinamento che giustifica l’intervento congiunto della Francia e della Gran Bretagna (la Gran Bretagna poteva
attaccare l’Egitto se il canale fosse stato messo in pericolo da un attacco grazie a questo accordo con Israele, quindi
con la scusa di dividere l’esercito egiziano ed israeliano poteva intervenire per riassettare l’ordine in Egitto).
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A livello internazionale, il consiglio di sicurezza dell’ONU, approva una mozione che condanna l’intervento anglo-
francese in Egitto e che costringe ad entrambe ad interrompere le ostilità. Quindi viene sancito il principio per il
quale spetta esclusivamente alle due superpotenze (USA e URSS) la decisione ultima di intervento nelle zone calde
del mondo, gli altri stati si devono rassegnare ad un ruolo di comparse. Questa conclusione umiliante riafferma il
dominio delle superpotenze, ma produce delle reazioni nazionaliste che portano all’antiamericanismo in Francia e
Gran Bretagna. La conclusione di questo intervento porta all’interruzione dei dialoghi tra Francia e Gran Bretagna,
quest’ultima diventa una potenza vassalla degli USA, causando la decolonizzazione britannica;
La Francia pochi mesi dopo sottoscrive i trattati di Roma che istituiscono la CEE (Comunità Economica Europea),
avviene così la nascita di un mercato comune europeo che garantisce la libera circolazione non solo del carbone e
dell’acciaio, ma di tutte le merci, dei capitali e delle persone e che dà origine a istituzioni comuni; Nasce nel 1957
una Commissione europea che governa l’integrazione economica. Si pongono quindi le premesse di un governo che
sta sopra gli stati.
La seconda conseguenza della sconfitta francese ha a che fare con un altro scenario coloniale che riguarda Marocco,
Tunisia e Algeria; nel 1956 la Francia riconosce l’indipendenza di Tunisia e Marocco, nell’Algeria la Francia decide di
non riconoscere l’indipendenza e piuttosto di combattere gli algerini con una guerra che subisce a partire dal 1956
una tremenda escalation. La Francia non ha le forze né per vincere la guerra ma nemmeno per interromperla e
questo causa la crisi del governo francese; nel maggio 1958 i coloni francesi in Algeria decidono di organizzarsi in un
comitato di salute pubblica, guidato dai militari che rischia di diventare la premessa di un colpo di stato militare
per difendere l’Algeria francese. Il comitato viene governato dal generale Massou e il movimento si rivolge a De
Gaulle che viene richiamato dai coloni algerini; egli si rifiuta di tornare al governo con un colpo di stato e usa questa
minaccia per riaprire delle trattative coi partiti francesi, si presenta come uomo di mediazione e riesce a strappare
dai partiti la designazione. Il 1 giugno 1958 De Gaulle ottiene i pieni poteri (quindi può gestire la crisi algerina) e
l’approvazione di una nuova costituzione, si avvia quindi una transizione che pone fine alla quarta repubblica
francese e inizia la quinta repubblica francese. La costituzione riconosce pieni poteri a De Gaulle con un regime
semipresidenziale, dove il presidente sceglie il ministro che però deve essere approvato dal parlamento. De Gaulle
successivamente nel 1962 riesce a far introdurre una legge che permette al popolo di eleggere direttamente il
presidente della repubblica grazie alla quale De Gaulle diventa presidente.

Per quanto riguarda l’Algeria, De Gaulle riconosce nel 1962 la sua indipendenza. A questo punto De Gaulle diventa
un uomo che incarna l’alternativa al disegno della strategia americana in Europa.
Tra gli anni ’50 e ’60, il rapporto tra USA e URSS rimane sempre pacifico, ma devono affrontare alcune crisi a causa
propri alleati e stati vassalli.
La prima tensione che esplode nel campo sovietico è quella che accade a partire dall’ascesa della Cina comunista che
nel 1957 con Mao diventa una potenza concorrenziale (si tiene a Mosca la celebrazione del 40° anniversario della
rivoluzione durante la quale Mao interviene facendo riemergere la tesi della guerra inevitabile tra i due blocchi,
dicendo che gli USA hanno delle debolezze e che l’URSS dovrebbe confrontarsi anche dal punto di vista militare con
gli USA); Mao vede nella guerra fredda una gara il cui obiettivo è quello di superare le società occidentali in tutti i
punti di vista, ma è una visione che divide URSS e Cina.

Tra la fine degli anni ’50 e anni ’60, Krushov fa delle dichiarazioni e realizza iniziative che rilanciano la competizione
con gli USA, ma sono iniziative più simboliche che sostanziali e che creano un dissenso all’interno del partito
comunista.
Krushov per rispondere alla critica interna compie due iniziative:

• la prima riguarda l’assetto di Berlino → Alla fine degli anni ’50, Berlino è divisa; la questione che motiva
l’iniziativa di Krushov è l’emorragia continua di popolazione che abbandona Berlino est per andare dalla parte
Ovest, questa è la dimostrazione della superiorità del modello occidentale. Krushov s’interroga su come
arrestare questa continua fuga; nel novembre 1958 tiene un discorso lanciando un ultimatum agli occidentali,
imponendogli l’abbandono di Berlino Ovest in cambio dell’abbandono di Berlino Est da parte dell’esercito
sovietico, quindi una neutralizzazione della città. È un ultimatum che incrementa la tensione e pone la minaccia
della restituzione della città di Berlino alla Germania Est, infrangendo gli equilibri che hanno consentito una
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soluzione pacifica alla questione berlinese. Gli occidentali rifiutano l’ultimatum e sono disponibili a riconoscere
diplomaticamente la Germania Est; si apre quindi un negoziato che porta al primo vertice tra capi di stato tra
Eisenhower (presidente americano) e Krushov nel settembre 1959. La conferenza internazionale che si doveva
tenere a Parigi non avviene a causa dell’abbattimento di un aereo spia americano in territorio sovietico, Krushov
prende tempo per non arrivare ad un accordo riguardo Berlino e, intanto, Kennedy diventa il nuovo presidente
e si rifiuta di abbandonare Berlino ovest. Questo costringe l’URSS ad accettare la proposta che viene dal governo
della Germania Est dell’edificazione di un muro che circonda la città per evitare la fuoriuscita della popolazione
da est verso ovest; questa idea risolve la questione di Berlino e diventa il simbolo della guerra fredda in Europa.
• la seconda iniziativa riguarda l’installazione di basi missilistiche a Cuba → iniziativa lanciata da Krushov
per recuperare la propria credibilità è l’installazione di basi missilistiche a Cuba, a poche centinaia di km dalle
coste degli USA aprendo una sfida che impone all’amministrazione Kennedy un bivio, o accettare la sfida oppure
incassare il colpo sovietico. Kennedy decide di non accettare le basi, stringe un blocco navale che impedisce
all’URSS di raggiungere Cuba. La crisi arriva ad un punto di non ritorno e il mondo sembra proiettato alle soglie di
un conflitto mondiale. La tensione si scioglie con la resa sovietica; Krushov ritira le basi missilistiche in cambio di
una garanzia simbolica rispetto all’integrità di Cuba. L’accordo che consente la pace riguarda principalmente
l’installazione di basi missilistiche americane in Europa (Italia e Turchia) che vengono ritirate. Questa seconda
parte dell’accordo viene però segretata e contribuisce a far vedere Krushov come il vero sconfitto.

Il primo accordo del disarmo nucleare viene firmato nel 1963 con il trattato per la messa al bando parziale degli
esperimenti nucleari. Nel corso degli anni ’60 e ’70 vi saranno altri accordi che segnano il passaggio di un’ulteriore
distensione tra le due super potenze, tra questi importante è il trattato per la non proliferazione nucleare del 1968
che impedisce alle forze nucleari di fornire armi nucleari agli stati che non le possiedono. Tutto questo perché l’arma
nucleare potrebbe causare danni enormi anche per l’intera popolazione mondiale, quindi inutilizzabile e da limitarne
più possibile l’utilizzo.

In questo periodo, la Guerra Fredda si sposta in altre zone, soprattutto in quelle dove si svolge la decolonizzazione,
coinvolgendo gli stati che si emancipano dal controllo. Si va verso un ordine internazionale in cui aumentano gli stati
facenti parte dell’ONU (si arriva a 135 nei primi anni del decennio 1960). I nuovi soggetti che emergono possono
contrastare e confrontarsi con le superpotenze e si apre una fase di tensione spinta da influenze centrifughe che
riguardano sia la parte comunista (Cina) sia l’occidente (Francia). Con il cambio presidenziale in USA, abbiamo un
presidente, Kennedy, che supporta la creazione della CEE e che propone di dotare i vari stati europei di testate
nucleare. La prima strategia che elabora per coinvolgerli prende il nome di dottrina della risposta flessibile che
supera la dottrina della risposta nucleare a qualsiasi intervento sovietico in Europa. La dottrina di Kennedy cerca di
limitare l’utilizzo di questa arma di distruzione e che impone agli stati europei di partecipare al sistema di sicurezza
americano; è una dottrina costosa che porta gli stati europei a spendere molto per il riarmo. La proposta prende il
nome di difesa multilaterale (con vari mezzi), ma è una proposta che non viene applicata.

La Francia con De Gaulle si oppone a questo sistema e decide di riprendere a livello nazionale una politica di riarmo,
dotandosi anche della bomba nucleare, quindi un’indipendenza nucleare che non condivide con nessuno. Gli USA
sostengono la CEE e spingono per l’entrata della Gran Bretagna nella CEE, ma De Gaulle si oppone perché vede nella
Gran Bretagna come il “burattino” degli USA e propone un sistema di integrazione europea alternativo in una
prospettiva non comunitaria ma confederata. L’Europa secondo De Gaulle deve avere come protagonisti gli stati
nazionali, ma De Gaulle non riesce a ed evitare l’integrazione comunitaria. La sua idea non viene accolta dagli altri
stati, ma comunque l’idea americana non viene accettata.
Nel 1966, la Francia esce dalla NATO e recupererà un’indipendenza piena dal punto di vista militare diventando
anch’essa una potenza nucleare insieme alla Cina, USA e URSS. Gli anni ’60 sono anche quelli del boom economico,
la grande crescita economica da parte di entrambi blocchi e che sembra inarrestabile; è una crescita senza
precedenti per continuità e sembra non conoscere crisi, trasforma radicalmente le società. Questa crescita però è
frutto della politica di ricostruzione americana del Piano Marshall, almeno, per quanto riguarda l’occidente. È la fase
dei cosiddetti 30 anni gloriosi che va dalla seconda metà deli anni ’40 fino agli anni ’70 e in cui nasce la società del
benessere e dei consumi che fuoriesce da una condizione di miseria ed arretratezza, spesso plurisecolare.

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Le industrie e le occupazioni superano il settore e il lavoro agricolo. Il rovesciamento degli equilibri economici
determina un miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini che hanno la possibilità di accedere a beni di
consumo durevoli, si passa dal settore alimentare a prodotti superflui che trasformano le condizioni di vita delle
popolazioni, come gli elettrodomestici e le automobili che beneficia del boom della motorizzazione privata. I
consumi diventano quindi di massa e non più solo per pochi; si arriva ad un livellamento sociale, con la scomparsa di
un ceto sociale povero e di quello contadino che subisce l’urbanizzazione ed è protagonista di una migrazione verso
le città e che livella verso l’alto le condizioni di vita.
Questo livellamento ha delle conseguenze sociopolitiche: le prime vittime di questa rivoluzione sono le forze
politiche della sinistra marxista legate alla tesi secondo la quale il capitalismo non sarebbe sopravvissuto, quando in
realtà non solo sopravvive, ma entra in una fase di crescita e sviluppo enorme. Il consumatore quindi diventa il
protagonista. Questo ciclo arriva ad un punto di saturazione già negli anni ’60 causato dalla forte domanda e che
conosce fasi di recessione temporanea e un’interruzione di questa fase di crescita. Questo tipo di contraddizione si
avrà anche dal punto di vista politico con l’emersione di una critica nei confronti di questo sviluppo e si avranno le
prime esperienze di protesta giovanile, caratterizzate dalla critica verso uno sviluppo basato solo sul consumo e che
sopprime i rapporti sociali.

Questa critica al modello capitalista, che scoppia nel 1968, troverà come epicentro la contestazione nella guerra
postcoloniale condotta dagli USA in Vietnam, momento che segna la fine di questa espansione economica. Gli USA
perdono l’immagine di garante di sviluppo economico e vengono visti come degli imperialisti, le cui idee vengono
giustificate dalla guerra fredda (in nome della Guerra Fredda si combatte anche la guerra in Vietnam). Gli USA sono
perciò l’esempio di una società corrotta e decadente e sono gli stessi studenti, che beneficiano di questo sviluppo,
che denunciano la natura imperialistica della guerra in Vietnam, utilizzata per sostituire la Francia in Indocina. Con
questa giustificazione, l’amministrazione Kennedy invia 30mila soldati, un impegno militare prima indiretto e poi
subisce un’escalation per contrastare l’esercito nordvietnamita. A questo punto, la guerra diventa un conflitto
sanguinoso che costa agli USA enormi perdite umane e che comporta numerosi bombardamenti. Nel 1968, gli USA
sono sconfitti dai vietcong. Quindi, il presidente Johnson ritira le truppe e interrompe la guerra. Con Nixon si troverà
una soluzione diplomatica, con il riconoscimento dello stato nordvietnamita che porterà l’intera Indocina (Cambogia
e Laos) nel 1975 a entrare a far parte del campo comunista.
Primavera di Praga → Anche nel blocco orientale avvengono le stesse tensioni che esplodono nel 1968: il campo
sovietico diventa campo di dissenso che ha come epicentro la Cecoslovacchia dove si ha un esperimento con un
regime in grado di garantire libertà civili ed economiche con Dubvcek, ma che si infrange con l’opposizione sovietica.
Dopo mesi di fermenti che risvegliano la società cecoslovacca, l’URSS decide di intervenire militarmente e di
stroncare questo esperimento come fece in Ungheria 12 anni prima. L’armata rossa interviene ma c’è una respinta
dalla popolazione cecoslovacca che costringe l’URSS a richiamare Dubvcek al governo dello stato. L’armata rossa
però riesce a reprimere la rivolta e ripristina un regime filosovietico che garantisce la piena lealtà della
Cecoslovacchia all’URSS. Il nuovo leader sovietico Breivcek dichiara quindi la sovranità illimitata dell’URSS in Europa
orientale, non è consentito sganciarsi dal campo sovietico. Fino alla fine degli anni ’60 riesce a controllare la propria
sfera di influenza, anche se dovette utilizzare il fuoco e fu anche soggetta a costi economici molto alti per continuare
questa politica.

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