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m o il IVENOVIC

LA BALCANIZZAZIONE DELLA RAGIONE

1995 manifestolibri srl via Tomacelli 146 - Roma Traduzione: M. Angelucci, A. Di Genova, K. Hppnes, M. Naja, P. Virno Prima edizione Discount manifestolibri luglio 1999 ISBN 88-7285-176-9

INDICE

Introdu 2one. D opo oltre tre anni di guerra Pluralit delle culture e democrazia Nazioni, nazionalit, nazionalismi Riflessioni in margine alla guerra europea del 1992 L a civilt della morte Nazioni e ragioni Il soggetto La nuova democrazia. Con le donne o senza di loro? Le donne, il nazionalismo e la guerra In nome di una storia pi antica Memorie cancellate

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D O PO OLTRE TRE ANNI DI GUERRA

L otto marzo del 1988, quando gi nuvole minacciose incombevano sul mio paese, divenuto nel frattempo i miei paesi, pubblicavo nel settimanale allora indipendente di Zaga bria, Danas, la mia rubrica della settimana intitolata Compa trioti transrepubblicani. La rileggo oggi come premonitrice. Vi si trovava gi langoscia e il presentimento di quello che sarebbe potuto accadere, cos come quella scelta a favore della tolleranza che non avrebbe avuto corso negli sviluppi succes sivi. Gli eventi non ci hanno sostenuto, noi non nazionalisti. La lacerazione era gi profonda. Continuo a credere che allora non fosse ancora irrepa rabile. In ogni modo non stata ricucita, ma approfondita da tutti; e oltre ai fattori interni jugoslavi del momento, lincapa cit della comunit internazionale (o delle diverse comunit internazionali) ha contributo violentemente a mantenerla e allargarla dallesterno. Oggi, la situazione la seguente: dopo oltre tre anni di guerra, la Serbia (aggressore principale) e la Croazia (aggres sore pi modesto) si fanno la guerra sul e per il territorio bosniaco. La comunit internazionale (lEuropa che attraver so questo processo si costruisce come soggetto politico e per cui questa guerra, come altre, costitutiva; le Nazioni unite; la Nato; i paesi musulmani) sembra avere accettato definiti vamente il principio di partizione della Bosnia-Erzegovina. E questo sem bra valere anche per i negoziati condotti da Jimmy Carter. I soli a non accettare questo sono gli abitanti stessi del la Bosnia-Erzegovina, la popolazione civile di cui nessuno ha domandato il parere. E a non accettarlo sono anche quei post-jugoslavi che sono stati privati del loro precedente nome collettivo (jugoslavi) e che, senza essere nazionalisti di una parte o dellaltra, si vedono usurpata la propria vecchia iden tit culturale e di cittadinanza dal grande aggressore che rivendica il nome di Jugoslavia. A non accettarlo sono, infi

ne, quelli, tra i bosniaci, che rifiutano una identificazione etnica o religiosa (che siano di origine cattolica, musulmana o ortodossa), come anche tutti quegli abitanti della ex Jugo slavia che non accettano di definirsi sul piano nazionale sebbene siano stati forzatamente definiti dal punto di vista della loro cittadinanza, senza essere consultati. Privare qualcuno del nome pesante sul piano simbo lico e materiale, che si tratti di individui o di gruppi, (si ricor da la sostituzione dei nomi coi numeri nei campi di concen tramento). qualcosa che testimonia della volont e dellagire che si prefigge lo scopo di sterminare, di eliminare, lindi viduo o la collettivit in questione. Nondimeno, la comunit internazionale ha accettato molto rapidamente questo princi pio allopera nello spazio jugoslavo. Lo ha applicato, in un primo tempo, agli jugoslavi non nazionalisti che hanno perso cos il loro nome e non sono mai stati riconosciuti come interlocutori, e poi, molto pi concre tamente e violentemente, in Bosnia-Erzegovina, collaborando con laggressore, soprattutto con quello principale, collabo rando, in sostanza, al progetto e al principio di frammentazio ne della Bosnia-Erzegovina. Durante levoluzione della guerra con i suoi diversi pia ni di pacificazione, la comunit internazionale non ha mai dato ascolto ai bosniaci trans-nazionali o trans-etnici (quanti eufemismi per non dire razza: nazionalit, etnia, religione), come non aveva prestato orecchio ai post-jugoslavi non nazio nalisti. Nello stesso tempo, mettendolo con le spalle al muro, ha contribuito ad allontanare sem pre di pi il governo bosniaco dal modello transnazionale e multiculturale (che, tuttavia, ancoroggi rappresenta d ufficio); questo attraverso una anticipazione e la creazione di sana pianta di un sedicente integralismo islamico in Bosnia-Erzegovina. In Occidente, per esempio, le forze bosmache vengono correntemente chiamate le forze musulmane. Ci appartiene ad un malessere gene rale che si traduce in un allargamento su scala mondiale della demonizzazione dellIslam. La crescita dellintegralismo (lad dove si manifesta) non ne che laltra faccia, dovuta anchessa a una risposta allOccidente, o almeno al modello di modernizzazione che esso ha imposto al pianeta. Oggi i russi bombardano Grozny in Cecenia. In occi dente, pur inquietandosene, nondimeno lo si considera un affare interno russo. E non a caso: per troppo tempo questa

ultima guerra nei Balcani stata considerata come un affare interno jugoslavo, e in seguito serbo. Una volta ammessi il principio della violenza e quello della conquista militare di territori non v pi mezzo di fer mare la violenza n loccupazione di territori. E c da scom mettere che lincendio non si limiter alla Bosnia e alla Cecenia. Bisognava fermare la violenza (la guerra) in Jugoslavia fin dalle aggressioni in Slovenia e Croazia, e probabilmente anco ra prima (tramite mezzi di sostegno economico, aiuti alla riconversione strutturale e politica). Bisognava prevenire la guerra in Bosnia-Erzegovina e, in ogni caso, fermarla, anche con la forza, ai suoi primi passi. Questo si doveva farlo non solo per conservare semplicemente la Jugoslavia o la BosniaErzegovina, ma per il principio stesso, e perch, in fin dei conti, tutto questo costa gi alla comunit internazionale assai pi di quanto non le sarebbe costato un intervento allinizio del conflitto. Poich ne va almeno dellEuropa, oltre che della Bosnia o della Cecenia (e, presto o tardi, di altri paesi lontani ed esotici). Tuttavia non c soluzione puramente militare, neanche massiccia. Ogni intervento militare che (presto o tardi - trop po tardi, purtroppo) si riveler necessario, sar insufficiente se non sar preceduto, accompagnato e seguito da una solu zione politica globale almeno per la regione balcanica. Ma oggi, pi probabilmente mentre lincendio dilaga nello spazio euroasiatico, servirebbe una soluzione globale per tutti i paesi dellEuropa dellEst. E mi spingerei addirittura oltre: ora che il processo si messo irreparabilmente in moto, non vi sar pace in Bosnia-Erzegovina, se non si risolver il problema globale del rapporto Est-Ovest. Lo si credeva estinto con la guerra fredda, ma la guerra fredda ha lasciato il posto a una guerra guerreggiata. E ancora non basta: a lungo termine non si daranno soluzioni locali (Bosnia-Erzegovina, Cecenia, ecc.) senza una ridefinizione globale dei rapporti tra loccidente e i paesi musulmani, fino al terzo mondo. Ma di un ordine mondiale che qui stiamo parlando. Non ci si pu attendere da nessun gruppo di contatto negoziale che esso risolva il problema della Bosnia e porti la pace in questo paese, vittima in molteplici forme, perch la guerra in Bosnia una guerra (almeno) europea. Iniziata come guerra daggressione locale, con le sue cause e i suoi istigatori interni a quello che era stato lo spazio jugoslavo,

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t.

divenuta una guerra europea nel momento stesso in cui lEu ropa non si assunta le sue responsabilit, rifiutando di capi re che questa guerra andava costituendone lassetto attraver so un processo pagato col sangue delle popolazioni civili bosniache e lesilio di centinaia di migliaia di ex jugoslavi. La Bosnia-Erzegovina resister alla spartizione imposta dai suoi vicini e dalla comunit internazionale. La sua popo lazione non accetter la frammentazione. E in questo sar sostenuta da tutto ci che resta, nellarea jugoslava, di opi nione pubblica e di individui democratici, antinazionalisti, oppositori della guerra (ma partigiani, per necessit, di una guerra difensiva e di liberazione). I bosniaci che si rifiutano di essere ridotti a musulmani, cattolici o ortodossi, incarna no, nel nostro paese, quel nocciolo di resistenza con il quale molti tra noi si identificano. Essi rappresentano anche ci che molti di noi hanno perso perdendo un paese comune (culturalmente, soprattutto), e che non stato necessaria mente rimpiazzato dagli stati indipendenti (con o senza vir golette), che ci sono stati dati. Non vi sono ormai che i bosniaci che ci possano riunire; tutto il resto, tutti gli altri, ci separano, noi che siamo nati in uno stesso paese e portiamo oggi passaporti diversi. Le nuove frontiere tagliano in due le famiglie e attraversano ciascuno/a di noi incidendo una profonda ferita, una piaga che affligge tanto le collettivit quanto gli individui. Tutto ci non ha niente a che vedere, n questo il mio proposito, con un qualche desiderio di ripulitura o restaurazione del regime della fu Jugoslavia. Ma, anche cos come era, (meritando delle analisi critiche che ancora manca no), la Jugoslavia crollata nel 1991 era comunque assai migliore della guerra e di ciascuno dei regimi che avrebbero preso piede sul suo territorio. Non pi sufficiente che ci si prometta un futuro migliore, come ai tempi del socialismo; in passato gi stato meglio e tutto questo stato distrutto. Allorigine della guerra jugoslava vi sono tanto cause interne che globali di crisi, e, certamente, un concorso di condizioni storiche: il crollo simbolico del muro di Berlino e, apparentemente, della dicotomia Est-Ovest (resta tutto da vedere...), lesaurirsi dei principii di legittimazione dei regimi dellEst e, in particolare per la Jugoslavia, lesaurirsi della legittimazione fondata sulle conquiste antifasciste della seconda guerra mondiale e sullideologia operaia, ecc. Sul

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piano pi specificamente interno si possono annoverare: il crollo politico strutturale e la sparizione, apparentemente improvvisa, della base economica comune (che riusciva a fronteggiare tutti i crediti internazionali, salvo, forse, quelli concessi da quanti fornivano e continuano a fornire armi e ideologia allesercito, sempre meno federale, a cominciare dallarmata che fu rossa); il partito-stato che in Serbia possie de, come bene ha mostrato la storica Latinka Perovic, radici anteriori ai comunisti, che risalgono al partito radicale (nazio nal-popolare) del diciannovesimo secolo la complicit tra un vecchio patriarcato, radicato in profondit, la paura del lOccidente accompagnata dalla necessit contraddittoria di attribuirsi una identit occidentale moderna e la perdita di valori (precedenti) dovuta al crollo generale in cui il naziona lismo si insediato per occupare il vuoto ideologico; lincon sistenza degli intellettuali e laggregazione di molti fra loro al carro del nazionalismo, offerta allettante dei nuovi dirigenti, seguita da una attiva collaborazione. Questa consiste in una sorta di rifondazione storica ottenuta tramite il rimaneggia mento delle mitologie e lelaborazione di una ideologia statalnazionale, lintento di offrire uno stato indipendente alla pro pria nazione, elemento di grande rilievo in Serbia (il sogno assassino e suicida della Grande Serbia) e in Croazia, dove in un primo momento si manifestato come semplice volont di indipendenza dalla Serbia, poi come difesa dallaggressione, infine come intento, pur camuffato, di spartire con la Serbia territori bosniaci2. Il crollo della Jugoslavia (il minore dei mali in questa storia) stato seguito quasi necessariamente dalla guerra (il peggiore dei mali). Il quasi discende dalla molteplicit di cause, fra cui quelle appena enumerate. Ma perch il quasi necessariamente prendesse effettivamente corpo ci sarebbe voluto il concorso di tutti gli elementi che attengono a quanto abbiamo chiamato la comunit internazionale, la quale non ha capito che in Bosnia-Erzegovina ne andava della propria sorte e non solamente del destino di quella terra. L Europa continua a prendere forma, a ricostituirsi e ricostruirsi nel sangue, attraverso le sue frontiere dellEst. Continua ad accettare che siano il conflitto, la violenza, la guerra a definirle, ad esserne costitutive. Bisogna davvero, una volta di pi, aspettare che le bombe ci piovano sulla testa per capirlo? Appena allinizio della guerra bosniaca, il gioraa-

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lista di Sarajevo Zlatko Dizdarevic diceva: per la BosniaErzegovina forse troppo tardi, ma ancora non troppo tardi per lEuropa. Permettendo la guerra e lo spadroneggiare dei terroristi ai suoi margini, tentando di trattenerli allesterno, lEuropa si comporta come se attendesse per s stessa la fata lit del troppo tardi. Come spiegare questo accecamento, se non con las senza stessa di un soggetto politico Europa, quel soggetto che, in effetti, si costituisce solo attraverso questa violenza e, per questo, non pu e/o non vuole giudicarla? I testi qui raccolti, pubblicati nel corso degli anni della guerra jugoslava contemporanea, registrano le tribolazioni nella riflessione di un soggetto coinvolto, non quelle di uno specialista della questione jugoslava. Essi seguono le tappe di questa guerra e alcuni dei fenomeni che vi hanno condotto o che la hanno alimentata. Nel corso del tempo, linteresse impercettibilmente scivolato verso la Bosnia-Erzegovina, focolaio della crisi attuale. In fin dei conti, questi scritti testi moniano di una impotenza che si trasforma in disperazione, poi di una disperazione che si trasforma in rabbia e in volont di resistenza e che, un giorno, grazie a molti individui e collet tivit che la manifesteranno, si trasformer, forse, in forza. La forza di sostenere una Sarajevo, libera, unita e luogo di citta dinanza, una Bosnia-Erzegovina libera, unita e luogo di citta dinanza, per rifiutare la spartizione, lapartheid, la guerra e la distruzione, ovunque esse compaiano. Parigi, dicembre 1994

NOTE

1 Vedere lintervista Modernizzazione senza modernit, rila sciata da L atinka P erovic a Olivija Rusovac in Republika, n. 103, p p . 5-6, novembre 1 9 9 4 , Belgrado. 2 Vedere a questo proposito il testo di Jo sip Z upanov pubblicato in Gospodarstvo, n. 6 3 , settembre 1994 e ripreso in Republika, n. 103. Egli vi avanza lipotesi, assai plausibile per la Croazia, della sostituzione delli dea di interesse storico della classe operaia con una ideologia statalnazionale eretta a principio di legittimazione (e mostra, in effetti come il termine radnik, operaio, sia stato oggi rimpiazzato dal termine djelatrtik, operatore).

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PLURALIT D ELLE CULTURE E DEMOCRAZIA

Sono jugoslava: una specie in via di estinzione. Le ori gini etniche, vere o immaginarie, come pure le appartenenze religiose, dimenticate o occultate per molto tempo, vengono ora esibite con fierezza. Ho sempre abitato a Zagabria, al numero 5 di Piazza delle Vittime del Fascismo. Ma il nuovo potere croato ha deciso di cambiare il nome a questa piazza, infischiandosene delle migliaia di firme raccolte in segno di protesta per la designazione prescelta: Piazza dei Sovrani Croati. Il centro della piazza occupato da un padiglione rotondo, il museo della Rivoluzione: pi che un semplice tra sferimento, su di esso incombe la minaccia di liquidazione totale. Prima che sia smantellato, andr l a cercare foto e documenti di guerra: i miei genitori e i loro familiari sono stati partigiani, qualcuno ci ha lasciato la pelle. Di fronte al mio palazzo, nel luogo in cui oggi (ironicamente) situata la casa dello studente, cera la polizia fascista. Mia madre ci passava davanti con mio fratello bambino, nel tentativo di scorgere mio padre prigioniero attraverso le finestre del seminterrato. I regimi cancellano la memoria, istituiscono per decre to unaltra storia: siamo allora zero dellanno uno. II processo di disintegrazione della Jugoslavia stato caratterizzato dai nazionalismi, dagli sciovinismi feroci e accaniti di tutte le parti in campo. Abbiamo eletto democra ticamente governi di estrema destra. Non difendo Yancien regime socialista. E morto e sepolto. Il punto un altro: sia mo preda di ideologie retrograde, aberranti, sul piano storico procediamo a marcia indietro. E necessario andare a ritroso per potere avanzare? Infine, e nonostante tutto, ha ancora un senso parlare di Storia? Idee e politiche reazionarie discriminatorie, nonch totalitarie e dogmatiche, hanno ripreso piede tra noi con tan to pi vigore, quanto meno si era sviluppata unautentica democrazia, un minimo di individualismo e di opinione pub blica. Non si tardato ad abbracciare impunemente ogni sorta di programma nazionalista, razzista, fascista, misogino:

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un fenomeno senza precedenti. Tutto questo valga a introdurre una riflessione che vorrebbe mettere in rapporto la necessit storica con un cer to nichilismo o pensiero debole contemporaneo (penso a Gianni Vattimo, ma anche ad altri). Vattimo parla della fine di quella storicit che sarebbe il nostro destino, non di fine della storia. Il fatto di detronizzare la Storia dal suo rango di regina delle scienze occidentali legato alla difficolt di sta bilire un fondamento ontologico. Occorrerebbe dunque accettare unontologia debole. Vattimo cerca di mettere a fuoco un concetto nichilista di democrazia. La democrazia sarebbe la storia del venir meno delle fondazioni. Questo venir meno coinciderebbe con lemancipazione, che passa attraverso una demitologizzazione. Il potere non pi centralizzato n concentrato in un luogo (ci che Foucault aveva gi diagnosticato), e la lotta per la nuova microdemocrazia deve adattarsi alla situazione: le lotte locali prevarranno sulla guerra totale: lobiettivo non pi centrale, ma diffuso. Viene spontaneo rimproverare a Vattimo, come del resto a Jean-Franois Lyotard, un relativismo dei valori che ci lascia nellimpossibilit di decidere chi tra i deboli meriti aiuto e perch. E questo il rimprovero rivolto dal pensiero marxista, e non lo trovo del tutto infondato: in effetti il rela tivismo suscita problemi, soprattutto in etica. Senonch, io vorrei fissare lattenzione su un nodo in qualche modo preli minare alletica: quello dellidentificazione e dellistituzione delle differenze. Ritorno al mio esempio jugoslavo: ogni nazione decide di autolegittimarsi pretendendo di non tener conto delle altre. I dirigenti croati vanno in giro per il mondo ripetendo che Serbi e Croati appartengono a civilt diffe renti! I movimenti nazionalisti, pi o meno intensamente tali a seconda che siano al potere o allopposizione, che ora riem piono quasi tutta la scena politica, si fanno concorrenza esi gendo per il loro Stato, per la loro Nazione, il massimo di sovranit possibile. Il ritornello lo stesso in Serbia, in Croazia, in Slovenia, in Macedonia: non abbiamo niente a che vedere con gli altri, che sono tutti dei primitivi e perico losi criminali di guerra, o dei sottosviluppati; il solo modo di proteggerci da loro di rientrare in quella Europa cui solo noi veramente apparteniamo e di liberarci da questo abbrac cio fraterno e di affermare la sovranit dello Stato croato

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(o serbo, o sloveno), nel quale la nazione croata (o serba, o slovena) sar sovrana richiamandosi alle sue origini millena rie: il sangue, la cultura, la tradizione dei suoi antenati (sem pre maschili, sia detto per inciso). I discorsi di questi nazio nalismi sono esattamente gli stessi, solo il segno varia. Tra luno e laltro non v connessione se non, come direbbe Lyotard, attraverso la negazione. Tutti questi discorsi suona no ugualmente assurdi, o ugualmente plausibili, ma, nel secondo caso, ciascuno a esclusione di ogni altro. Ci suscita problemi, giacch questa specie di ragionamento si fonda sulla contrapposizione esasperata. Una volta che questa si dissolvesse, cosa resterebbe? Apparentemente, tutto sarebbe andato a posto se i diversi stati jugoslavi, come amano chia marsi ora, fossero stati uninazionali. Ora chiaro che il preteso fondamento di ogni nazione jugoslava risiede nel nemico. E come dire che lidentit nazionale serba, o croata, o altra ancora, non ha svabhva (per riprendere il concetto del filosofo buddista indiano Ngrdjuna, vissuto tra il primo e il secondo secolo). Non meno di Vattimo o di Lyotard, Ngrdjuna sarebbe favorevo le a una ontologia debole. Il fatto che una (id)entit sia pri va di natura propria (svabhva), il fatto che essa debba far conto sullaltra per affermarsi, ha per risultato un niente deontologizzante, che non rientra in un nichilismo affermati vo, appartenendo piuttosto a un nichilismo contemplativo, impegnato nella riduzione noematica, che spesso pi como do chiamare relativismo. Per dirla in sanscrito, si tratta di un nichilismo la cui realizzazione o la cui coscienza (nel senso di awareness) avrebbe per esito la prajn (evidenza diretta) anzi ch la vijhna (coscienza mediata). Ecco ci che mi rallegra: anche gli sciovinismi non jugoslavi restano senza fondamento. La Storia non finita. Perch l assenza di fondazione (attraverso latto stesso di una fondazione etnica o nazionale - ma sappiamo da Michel Serres che la sola effettiva fondazio ne consiste nellassenza di fondazione) e la decomposizione della Jugoslavia non corrispondono in alcun modo a una democratizzazione. O forse bisogna pensare che ci si arriver dopo un passaggio obbligato attraverso la guerra civile? Se cos , ci sarebbero molte correzioni da apportare allo schema della democratizzazione in quanto decomposizione delle fondazioni: 1. O reintrodurre non soltanto la Storia, ma forse u

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anche la storicit. Ci equivarrebbe a dire che il caso jugosla vo, balcanico, non inscrivibile nella post-istoria. Nella pre istoria, allora, lassenza di fondazioni e la dispersione del potere non implicherebbero affatto la democrazia, quanto piuttosto una cieca repressione. 2. O affermare che il quadro concettuale proposto troppo astratto per giudicare situazioni concrete. Soluzione fin troppo semplice. 3. O pretendere che lassenza di fondazioni funzioni come democrazia solo quando consapevole e riconosciuta (riconosciuta da tutti coloro che sono della partita). Si tratta di una pluralit di voci che dovrebbero riconoscersi recipro camente, ammettendo che non vi altra fondazione che que sta. Il consenso comunicativo consisterebbe nellaccordarsi tutti sul fatto che il consenso non davvero possibile: questo ancora un metaracconto per Lyotard? Ci che qui costitui rebbe un problema per Lyotard, il metaracconto, non lo sarebbe per Ngrdjuna. A giudizio di questultimo, il metaracconto sarebbe, come ogni proposizione al livello prece dente, squalificato e di fatto eliminato dal suo contrario (e viceversa). Questo gesto ancora filosofico di Ngrdjuna non cerca di oltrepassare il pensiero, ma piuttosto di smontarlo. Evidentemente, le preoccupazioni di Ngrdjuna sono pura mente logiche e analitiche, non sociali o politiche come quel le dei nostri contemporanei. Il risultato , per, una impossi bilit di pronunciarsi sullo statuto ontologico delle cose. 4. Per qualificare il caso jugoslavo potrei anche, mi sembra, tornare a Vattimo, al suo discorso sui livelli storico umanitari di tolleranza. Suppongo che Lyotard pensi qualco sa di analogo allorch non riesce a (o rifiuta di) fondare teo ricamente la sua preferenza per i deboli. Vorrei pertanto far valere un caso di livello umanita rio di tolleranza che si potrebbe quasi rinunciare a chiamare storico (secondo una concezione pi tradizionale della Storia), tanto esso sembra immutabile e valevole in tutti i casi particolari di ingiustizia. Si tratta delle donne. A tal proposi to, ci sono differenze ben pi complicate o fondamentali di quanto non siano quelle tra Serbi e Croati. La situazione contemporanea in Jugoslavia definisce o inventa e rende assolutamente prioritarie le pretese differen ze etnico-internazionali: si reinventano barriere esteriori e interiori. In un paese in cui tutti vivono mescolati da sempre,

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la sovranit ha il suo punto di appoggio in una identit nazionale che esclude le altre (e guai a chi non ha alcuna pre tesa territoriale: al pari degli infelici zingari, costui sar dimenticato): la nazione avr la meglio sullindividuo, sul cit tadino, sul genere (la differenza sessuale) eccetera. La costitutiva pluralit delle culture non significa ancora democrazia. La democrazia non pu avere un segno distintivo nazionale. Non pu essere serba o croata o francese: semplicemente o non . La pluralit non le basta. La molteplicit di voci, racconti regionali e ragioni (Lyotard) non di per se stes sa democratica. Potrebbe essere anche lopposto. Vi poi unaltra fondamentale e pi elementare ragio ne per dire che non conosciamo unautentica democrazia: questa un concetto radicato in una tradizione che ha sem pre escluso met del genere umano, e continua a escluderlo. Come le altre minoranze, per esempio gli albanesi jugoslavi agli occhi dei nazionalisti serbi, o i serbi agli occhi dei nazionalisti croati, la donna avrebbe diritto alla democrazia (e, nel migliore dei casi, vi sarebbe rappresentata) solo se potesse provare la sua appartenenza alla specie umana secondo il modello maschile (o serbo, o...). Ma ci sempre impossibile da provare per chi, in quello stesso contesto, ammesso solo in quanto assente: in quel contesto che esclude.

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NAZIONI, NAZIONALIT, NAZIONALISMI

Ci sentiamo impotenti e sconvolti davanti allesplosio ne dei nazionalismi, soprattutto davanti alla loro ampiezza nellEuropa dellEst, che si appresta a diventare lEst del lEuropa. L Europa vi immediatamente coinvolta. E in gio co, nel nuovo risvegliarsi dei nazionalismi, brutale e minac cioso, lidentit stessa dellEuropa: essa costretta a interro garsi nuovamente su di s, tanto pi che questi avvenimenti si producono alla sua periferia, che ormai tende a volerla definire nel suo stesso centro. L Est dellEuropa rinvia al centro unimmagine di essa (dellessere stesso dellEuropa, fino a ieri occidentale) che rischia di rovesciarla. L Europa infatti messa a confronto insieme con se stessa e con lAltro. L Altro dellEuropa, cio il suo Est, mostra ora come non sia altro che lAltro dello stesso, cio dellEuropa come si dava a vedere, come essa si autorappresentava. L Europa si sdoppiava in realt in due figure comple mentari: lAltro dellEuropa e lEuropa stessa, propriamente detta '. Le guerre nazionaliste recenti o imminenti rendono trasparente, ora, il meccanismo di appropriazione del mondo che insito nei suoi processi di rappresentazione. Proponendosi al tempo stesso come identit (il se stes so) e differenza (laltro), come il se stesso e il riflesso specula re di s, lEuropa in realt propone un sistema concettuale per il mondo come lei lo vede. Un quadro in cui lei terrebbe tutte le posizioni chiave cos come il loro contrario: il centro e la periferia, il diritto e il rovescio, ma non certo nello stesso modo. Essa propone una dinamica della sperimentazione del mondo di cui essa sarebbe allorigine. Le figure dellAltro (Altro dallOccidente, Altro dal l Europa) sono molteplici, appaiono in momenti storici diversi a seconda delle circostanze, ma sono sempre, in un modo o nellaltro, soggette ad essere escluse. Questa partico lare figura dellAltro, insieme interna ed esterna, non era apparente n particolarmente visibile allEuropa (occidenta le) stessa fino a poco tempo fa. Accade dunque che lEuropa p ro d u ca in volon tariam en te una dinam ica e delle

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differenze che le sfuggono. Le conosciamo bene le figure dellAltro: la donna e lOriente, in particolare, sono volentieri sfruttate dai filosofi contemporanei. C sempre una parte di investimento dellinconscio nella figura dellal tro, c sempre in lui, in parte, un pericolo di emancipazione rispetto allo Stesso, e dunque di minaccia costante per lo stesso o per la sua chiara identit. La figura dellAltro extra europeo, orientale o altro, una figura che turba lEuropa, che la mette in discussione. Si sarebbe potuto credere, soprattutto poich numerosi filosofi contemporanei sono in preda a un nuovo orientalismo 2, che lAltro orientale avreb be scosso i fondamenti e limperialismo concettuale dellEu ropa. Ma la caduta del muro di Berlino ha messo in luce una figura dellAltro parente della stessa Europa, lAltro intraeuropeo, che era dapprima meno visibile e tenuto allesterno. E dunque perch lui pi vicino e somigliante che l Europa sar minacciata pi profondamente. In effetti, questo Altro dellEuropa che il suo Est, una figura ambigua, che mette in gioco lidentit dellintero continente: dov il confine tra Oriente e Occidente? In ogni punto (Ivo Andric ). Dov il confine tra lEuropa e lAsia in questa continuit rapprensentata dallEurasia, solo vero continente? E dov la differenza tra lEst e lOriente? Non si pi sicuri che esista. L Altro europeo solleva la questione dellAltro asiatico. Alcuni filosofi occidentali hanno spesso visto una posi tiva minaccia per l imperialismo bianco e occidentale nei nuovi soggetti politici: movimenti di liberazione del Terzo mondo, studenti del 68, donne, Jugoslavia, Cina, Cuba ecc., queste e altre sono state le speranze teoriche e politiche dei filosofi impegnati. Le nazionalit dellEuropa dellEst erano a stento previste in questo ruolo. Nondimeno esse affiorano, esplodono e si trovano a essere veri e propri soggetti politici bench in generale non siano viste con simpatia da una tradi zione della sinistra intellettuale (e ci sono a questo proposito dei buoni motivi). Ci sarebbe da fare lanalisi storica, che direbbe quanto lesplosione dei nazionalismi sia la dimostrazione di un ritar do storico (causato dalla repressione) e non rappresenti quin di storicamente nulla di nuovo (questa assenza di progresso starebbe proprio a confermare il progredire della storia). Ma lascio queste discussioni a qualcuno pi competente.

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IL NAZIONALISMO COME ASSENZA DI COMUNICAZIONE

Vorrei qui invece occuparmi daltro: dellidea stessa della dif ferenza, del carattere manicheo del pensiero europeo e, in generale, occidentale. In questo senso, i nazionalismi nemici, sempre complementari e al tempo stesso inconciliabili, sono profondamente europei. Un nazionalismo ne chiama un altro, produce il nazionalismo opposto, ne ha bisogno per alimen tarsi e sopravvivere. I nazionalismi stanno bene solo insieme, e insieme in questo caso vuol dire in conflitto. Essi si costruiscono lun laltro, lidentit di ciascuno dipende da ci che investe direttamente nellidentit dellaltro. In questo caso pi che in altri, lAltro non se non lAltro di se stesso, tanto pi che si tratta, come in questa circostanza, non solo di vicini ma di parenti stretti, che parlano la stessa lingua. Sullaltra nazionalit vengono sempre proiettati gli attributi pi negativi che la nazionalit in questione, nella nuova mitologia che si crea di sana pianta, non vuole venga no attribuiti a lei. L altro viene demonizzato, e lo stesso acca de per linverso, si tratta di un caso di controversia irriducibi le (Lyotard), dove entrambe le parti non accettano n una misura comune n un arbitraggio esterno: non ci sono metaposizioni, n posizioni neutrali praticabili. La posizione neutrale , da ciascun fronte, assimilata a quella del nemico. Il linguaggio, o meglio la lingua che non comunica nulla, spesso la stessa per le due parti, semplicemente con i nomi scambiati, il discorso degli uni appare come il positivo rispetto al negativo del discorso degli altri. Esistono solo il bianco e il nero, nessuna sfumatura sembra pi possibile. Si perde del tutto qualsiasi facolt critica e ana litica, qualsiasi spessore storico, compresa una reale com prensione di quelle che sono le differenze in questione. Per ch le differenze ostentate e rivendicate, chiaramente risento no e vivono dellimmaginario e della mitologia rimaneggiati. Disgraziatamente esse producono anche la dimensione del simbolico, che, questo s, incide sul futuro dei rapporti. Non sono pi possibili lo scambio, la comunicazione. Vorrei sapere, e mi pongo la questione a margine di questa riflessione, chi concretamente responsabile dellin terruzione della comunicazione fra Belgrado e Zagabria. Non lo sapremo mai. per evidente che ci che percepito dai nazionalismi come una delle maggiori minacce, la libera

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comunicazione, la circolazione dellinformazione. Di qui la guerra dei media, altrettanto responsabile delle atrocit che la guerra delle armi, di qui lautismo in cui ogni nazionalismo, ormai incapace di discutere, si rinchiude. Il nazionalismo pu definirsi come lassenza della comunica zione. La mancanza assoluta di comunicazione, la guerra, che anche lassenza assoluta di democrazia, lassenza asso luta di cultura. E nella guerra che lindividuo, lo voglia o no, scavalcato da questa istanza superiore che la nazione. Il pericolo del fascismo immediato e senza transizione. Nes sun accordo pi possibile, perch laccordo implicherebbe il tacito riconoscimento di una possibile metaposizione, di un sistema comune (imposto da qualcuno). O meglio, esiste un solo paradossale accordo possibile, che laccordo sullas senza di accordo: la controversia. E il parossismo dellautismo. Un accordo, se ancora fosse possibile, testimonierebbe di un potere e un giudizio unilaterale che nessuno, in questo frangente, riconosce pi. Per questo ognuna della parti propone il suo accordo, quello che le conviene ma che non pu essere accettato dallaltra parte, poich il posto che vi si propone allaltro un posto di subordinato o di schiavo. Il sedicente accordo proposto cos una falsificazione, perch non fa che giustificare in anticipo le ingiustizie pro poste. Ognuno diffida d ellaccordo proposto d allaltro, sapendo che falso. Ulteriori miglioramenti proposti nellambito di uno degli accordi non sono pi accettabili, anche se vanno incon tro allAltro - alla richiesta del quale si dovuto cedere -, perch la fiducia era gi preliminarmente perduta. Allora, nel disegno di mitizzare la storia per un uso futuro, laltra nazionalit ad essere accusata di quelle stesse atrocit di cui lei ci accusa (e il principio non cambia se luna allattacco e laltra costretta in difesa). La ragione, il criterio sono rim piazzati da formule stereotipate: di esse, una potentissima immagine continuamente ripetuta quella del sacrificio richiesto per la causa.

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IL SACRIFICIO PER LA SALVEZZA DELLA NAZIONE

Il sacrificio chiesto per la salvezza della nazione sembra essere diverso nel caso degli uomini e delle donne. Agli uomi ni si chiede di far la guerra, di uccidere e di farsi uccidere. Alle donne, si chiede di partorire pi figli possibile, di farsi da parte e, periodicamente ma secondo tradizioni molto diverse fra loro, le donne sono sottoposte alla prova del fuoco 3. Il sacrificio (rituale e coltivato dalla tradizione, o seco larizzato e dunque non avvertito come tale, come succede in Occidente) in realt un momento di fondazione, di rifonda zione, e permette di rifarsi una verginit. Questo momento di autofondazione prezioso perch permette al soggetto in divenire (ma solo se maschio), di prendere in mano il pro prio destino, di assumere un atteggiamento attivo, di liberar si delloppressione precedente respingendola. Il sacrificio implica anche il recuperare il tempo, il padroneggiare la tem poralit, la possibilit di sfuggire al tempo storicizzato. Ecco cosa dice Georges Bataille, un Bataille notevolmente nicciano (ma sono le sue argomentazioni che ci interessano in questa sede, non una discussione su Bataille), riguardo al tempo del sacrificio: quel tempo fa entrare luomo direttamente nel movimento del mondo dellesistenza concreta A Bataille si . interessato al tempo estatico in una prospettiva di salvezza o di fuga dalle costrizioni quali che siano. La sua concezione di trasgressione delle opposizioni, che si vuole diversa dalla sin tesi hegeliana (alla quale resta comunque debitrice) ci interes sa: infatti mette in campo le due opposizioni che si propone di superare in unaltra dimensione, in un tempo estatico che implica di necessit il sacrificio. Cos, il tempo estatico pu trovarsi solo nella visione delle cose che il gusto del rischio puerile fa entrare nel campo delle apparenze: cadaveri, nudit, esplosioni, sangue versato, abissi, fulmine, sole... 5. Tutto accade come se, a partire da questa posizione, la guerra fosse un tentativo per esorcizzare il tempo che ci imprigiona, come il sacrificio che, daltra parte, affascina Bataille e con li dea del quale il filosofo gioca. Al di l della sua ambiguit al riguardo, egli evoca con precisione ci che rappresenta la guerra in termini di cultura: il sacrificio purificatore, che rimuove il tempo, e dunque necessario alla costituzione del lidentit tanatologica . Cos Bataille: La guerra, nella misu ra in cui volont di assicurare leternit di una nazione - la

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nazione che sovranit ed esigenza dinalterabilit, autorit del diritto divino e Dio stesso - rappresenta la disperata osti nazione delluomo a opporsi alla potenza esuberante del tem po e a trovare la sicurezza in una erezione immobile e vicina al pi sterile sonno. Le nazioni e i militarismi rappresentano il tentativo di negare la morte riducendola alla componente di una gloria senza angosce. 1. Ogni nazionalismo propone una teoria della salvezza, salvezza data da unistanza superiore (la nazione, letnia) con la quale identificarsi. Il meccanismo lo stesso di quello del le religioni: amarsi in Dio (o nella nazione, in un leader poli tico), identificandosi con lui. Coloro che non si conformano a questa norma sono i disadattati, le minoranze, quelli che sono davvero minacciati: la donna, lebreo, lo straniero, ecc. Essi non condividono lutopia dello stesso linguaggio, non condividono la stessa esperienza del mondo che global mente proposta e sulla quale si fonda la struttura globale del loppressione. I nazionalismi fanno appello al territorio e al sangue, allessenza delletnia in qualche modo contaminata dallAl tro, e diffondono con queste idee una sorta di ultramateriali smo e al tempo stesso di ultraspiritualismo, o pi semplicemente di essenzialismo primitivo e piatto che riduce la cultu ra a un epifenomeno, invocandola e dandole dei tratti nazio nali. (Riducendo la cultura, come daltra parte la democrazia, a delle caratteristiche etniche, il nazionalismo diviene in realt etnocida in quanto distruttore della cultura). Nella sua essenza il nazionalismo rifiuta lo scambio nel campo del materiale e dello spirituale.

IL RIFIUTO DELLA LOGICA MANICHEA

In questo scambio, se avvenisse, si potrebbe invece trovare un momento benefico e positivo: la continuit fra gli opposti, fra gli oppressori e gli oppressi, tra aggressori e aggrediti, tra serbi e croati, tra colonizzati e colonizzatori. Ma per poter prendere in considerazione la continuit, e lin teresse comune (che quello della vita), bisogna anche capi re il peso degli elementi psicologici, anche di massa. Basta far riferimento allinteriorizzazione della repressione, alla rimo zione, anche al livello delle scelte di civilizzazione, come han

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no potuto fare, ad esempio, Gandhi, Franz Fanon oppure, ai giorni nostri, Ashis Nandy 8, per rendersi conto della posta in gioco. Cos Ashis Nandy ha potuto studiare lampiezza della devastante interiorizzazione del complesso della colo nizzazione e degli atteggiamenti dei coloni attraverso gli stes si colonizzati. La letteratura della diaspora letteraria indiana lo testimonia, come ad esempio Salman Rushdie 9 che non accetta pi divisioni manichee e per il quale la speranza del mondo riposa su un terzo, e che propone una mescolanza tra il carnefice e la vittima affinch cessi lesclusione10. Un gran numero di scrittori tra i migliori parla della necessit di superare il dualismo (che riporta sempre al monologo) per favorire lintermediazione delle culture e del le strutture psichiche. uno sforzo che mira non soltanto a far rientrare i nuovi soggetti politici nel solo quadro storico e storicizzante proposto dal pensiero dominante (occidentale e, allorigine, europeo), ma anche a ristrutturare, trasformare questo quadro, proporne un altro. E non un caso se sem pre pi spesso la concezione del tempo e della storia unili neare ad essere messa in discussione e capovolta da questa letteratura, dal momento che si tratta di scrittori fra le lingue, che partecipano a due o pi codici culturali. Si tratta di una posizione (scomoda certo, ma quanto ricca!) intermedia fra due identit, di una posizione che si trova contemporanea mente nelle due facce dello specchio. Rushdie quasi lo teo rizza: vittime e carnefici, colonizzatori e colonizzati insieme rappresentano al tempo stesso la generazione dei figli di quelli che, nei paesi ex-coloniali, hanno preso il potere al momento dellindipendenza e hanno tentato di instaurare un nuovo ordine. E dunque una generazione che non ha e che non avr il potere (in questo essa si avvicina in qualche modo alla generazione che visse nel secondo dopoguerra in Euro pa, dellEst e dellOvest): era necessario che una generazione partecipe di due culture arrivasse alla scrittura. Si pu dimo strare, con i romanzi di Rushdie (e in particolare con Grimus e I figli della mezzanotte), che la struttura del racconto, lo svi luppo delle concatenazioni, seguono la struttura delle cosmogonie indiane, mentre la sua visione del mondo che struttura le storie corrisponde alla cosmologia indiana. Ma molto esplicitamente, nel libro che porta questo titolo, Rush die affronta il problema della vergogna, un complesso psico logico proprio delle culture (ex-)coloniali e oppresse, votate

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a fare il confronto fra la cultura autoctona e quella della metropoli. E allo stesso tempo un problema che attraversa il rapporto con la lingua e la scrittura. Si tratta di passare attraverso le lingue, di accettare immediatamente la lingua come traduzione. Io sono fra laltro uno nato sullaltro ver sante, dice Rushdie: ci si perde qualcosa, ma qualcosa comunque si guadagna. Si tratta di demistificare la lingua dellAltro, di esprimere in una lingua ci che a lui estraneo e insospettabile. In questa impresa, lo scrittore si d alla lingua e a ci che, in essa, resta inespresso. La scrittura e la tradu zion e si fon dano sulla stessa in sufficienza della traduzione/traslazione. Il limite dellindicibile (takallouf) non sar eliminato, sar spostato, ma ci contribuir a chiarire il nostro soggetto da pi prospettive. La scrittura incorpora la differenza, la attesta. Per comprendere una cultura, dice Rushdie, bisogna prestare attenzione a ci che di essa resta intraducibile. E tutti gli scritti di Rushdie, di Naipaul e di molti altri testimoniano questo malessere e lo incorporano. una letteratura che si dedicata a superare la vergogna e linfamia del confronto manicheo, del dualismo inculcato alle culture oppresse. A questo scopo, nei Versetti satanici, Rush die getta le basi per una cultura transcontinentale, transna zionale, nellinvenzione della tropicalizzazione di Londra. Il mondo di Rushdie non affatto manicheo e ci gli deriva dalla sua eredit indiana: noi tutti siamo attraversati dal bene e dal male. Lo scrittore e i suoi scritti incorporano questo paradosso esistenziale al quale tutti siamo votati.

DAL CONFLITTO INTERETNICO AL CONFLITTO INTERSOGGETTIVO

Vorrei citare a questo proposito Ashis Nandy: Traen do spesso ispirazione dalle tradizioni moniste delle loro reli gioni, dai miti e dalle tradizioni alternative che hanno effetti vamente saputo frenare (bench a loro volta non senza mali) la violenza fra gruppi umani e mettere dei limiti alloggettivazione degli esseri viventi, le civilt del Terzo Mondo hanno protetto con cura la concezione secondo la quale il male non pu mai essere chiaramente definito, c sempre una conti nuit tra laggressore e la vittima, liberarsi dalloppressione non soltanto liberarsi da un agente esterno di oppressione, ma , in ultima analisi, liberarsi da una parte di se stessi. Una

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tale proposta pu essere considerata come collaborazionismo o vigliaccheria; ma si pu anche vederla come una corrente pi umana del pensiero politico e sociale n. Partendo da questa analisi, lautore vede la scelta non violenta di Gandhi come unalternativa al manicheismo: Gandhi agiva come agisce chi cosciente che i sistemi sono sinergici, che si muo vono sulla base della concorrenza autodistruttrice e della sete del potere, del controllo e del maschilismo, costringendo le vittime delloppressione ad interiorizzare le norme del siste ma, in modo tale che quando esse risultano vincitrici sui loro sfruttatori, ricostruiscono un sistema allinterno del quale prevalgono le norme precedenti. Cos il suo concetto di non cooperazione diede alle vittime un nuovo scopo. Gandhi sot toline che il fine delloppresso dovrebbe essere non quello di diventare un cittadino di prima classe del mondo dellop pressione, invece che essere al secondo o al terzo posto, ma di diventare cittadino di un mondo alternativo dove avr la speranza di riconquistare lautenticit umana. Egli diventa cos uno che non partecipa al gioco degli oppressori n. Cos, dice ancora Nandy, (Gandhi) ha sempre lottato per trasformare e spostare la lotta contro loppressione dal con flitto interetnico al conflitto intersoggettivo u. Analogamente, il nazionalismo nemico non pu mai essere una soluzione a un altro nazionalismo, bench questa sia la risposta pi frequente. Insieme, non possono che pro durre la guerra. Per liberarsi dal nazionalismo, bisognerebbe poter uscire dalla sua logica, non fomentarla a cominciare da se stessi. Se siamo obbligati a difenderci, non facciamolo in nome della nazionalit, ma in nome del diritto puro e sempli ce alla difesa e aliavita. In effetti, si pu affermare che la prassi gandiana rap presenta lo sviluppo naturale e logico della critica sociale radi cale, poich insiste sul fatto che la continuit fra vittima, oppressore e osservatore deve realizzarsi nellazione e che bisogna rifiutarsi di agire come se alcuni elementi in un sistema oppressivo fossero puri o non moralmente contaminati 14, dice Ashis Nandy, continuando: Cos, nessuna di queste cate gorie pu dirsi pura. Cos, anche quando una simile cultura si sfascia, latteggiamento psicologico del vittimismo e del privi legio permane e produce una cultura seconda che solo appa rentemente indenne da violenza e oppressione. Non ricono scere questo fatto conduce ineluttabilmente a collaborare con

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la violenza e loppressione nelle loro forme pi sottili... 15. L etnocentrismo verso il proprio passato ben pi pericoloso che letnocentrismo dellantropologo occidentale, dice Nandy, poich questultimo solo un sintomo, mentre quello resta attivo ma nascosto: i morti non si ribellano, e non possono smentire nulla If, dice ancora Nandy. Si pi facilmente ciechi di fronte al nazionalismo (o al razzismo) che si annida nel nostro ambiente che non a quello degli altri rivolto contro di noi. quindi necessario prendere le distanze dal proprio nazionalismo, se non altro per non essere vittime del nazionali smo avversario, cos da poter conservare lo spirito critico e le capacit di analisi e di percezione, per non essere ridotti al manicheismo guerriero. La comunicazione e linterrelazione sono, dice ancora Nandy, ormai pi augurabili dellassenza di comunicazione, anche se rischiano di essere accusate di impe dire lindipendenza. Una comunicazione transnazionale, transculturale, transcontinentale non sar mai possibile se non si rigetta il dualismo manicheo. Questa comunicazione presuppone uno spirito critico, esercitato non solo nei confronti dellAltro, ma anche verso se stessi. Prendiamo un esempio pratico attinto dalla tragedia jugoslava: la Croazia aggredita (su questo non c dubbio) dai militari dellesercito ex-federale, i cui interessi coincidono (anche se sempre di meno) con gli interessi del governo ser bo, che coltiva lidea di una Jugoslavia mutilata o di una gran de Serbia. Di qui la guerra, che , per parte croata, una guerra di difesa. La polizia del governo croato, trasformata in eserci to croato per necessit di guerra, ha perduto la citt di Vuko var (e potrebbe perdere Osijek, da dove gli abitanti potrebbe ro essere cacciati). Questo fatto ha suscitato la protesta delle strema destra, che trova che il governo croato sia stato troppo morbido. Si profilato in quelloccasione il pericolo di un colpo di stato di estrema destra (ancora pi a destra del governo). L opposizione di sinistra, o ci che restava di essa, decideva allora che non bisognava pi criticare il governo per non fornire argomenti agli estremisti. Dunque, quello che ancora si rendeva chiaro in questa prudenza dellopposizione, era la divisione manichea della scena politica. Una critica sfu mata e al di fuori delle considerazioni tattiche e strategiche non accettata da nessuno. Cos si mette al primo posto un

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interesse nazionale, poich tutti si sono nel frattempo omolo gati a causa della guerra, invece che mettere al primo posto linteresse puro e semplice di fermare la guerra. La pace, la non-violenza, la vita, non possono essere definite in termini nazionali, o lo sono solo in modo imper fetto. L omologazione nazionale, dovuta alle atrocit, impe disce larticolarsi e lesistere stesso di una valida opposizione, appiattisce lo spirito critico e il discernimento, e fa s che la logica della guerra (della contrapposizione) sia largamente accettata. E impossibile, nel caso di una tale visione in bian co e nero, conservare lo spirito critico verso la propria parte, quando per il bene di una politica della non-violenza biso gnerebbe invece insistere su una differenza della differenza. Occorre uscire da una riduzione del problema a contrapposi zione di nazionalit, e procedere a una critica ancor pi radi cale, cio alla critica della stessa logica nazionalista, ovvero del quadro proposto. Ma lomologazione dovuta alla guerra e alle sofferenze reali delle popolazioni massacrate e delle citt distrutte ha fatto s che questo discorso non possa essere recepito nellim mediato e forse non possa esserlo per molto tempo. Essa ha ugualmente trasformato i pacifisti nel nemico numero uno di un nazionalismo esasperato, quali che ne fossero le cause. I pacifisti sono effettivamente percepiti, da entrambe le parti, come appartenenti al campo dell'Altro.

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NOTE

1 V. J a c q u e s D e r r id a , L A u tre Cap, su iv i de L a dm ocratie ajourne, Minuit, Paris 1991. 2 Al proposito, vedi R ada I vekovic, Critique de la raison postmo derne, Nol Blandin, Paris 1992. 3 Le streghe in Europa; sati presso i Rajputs in India; le donne assassinate dalla famiglia quando non portano la dote sperata, in alcune zone periferiche di recente urbanizzazione dellIndia del Nord; a questo proposito vedi C a th er in e C l m e n t , Le Got du miel, G rasset, Paris 1987, e La Syncope. Philosophie du ravissement, Grasset, Paris 1990. 4 G e o r g e s B a t a i l l e , Propositions sur la mort de dieu, per la rivista Acphale, in Papiers Acphale, pp. 47-76, dattiloscritto, Biblioteca Nazionale di Parigi, Mss. nouv. acq. fr. 15952. 5 G eorges B ataille , op. cit., p a r . 8. 6 Vedi K laus T hew eleit , Mnnerphantasien I-II, Frankfurt a. M. 1981. I G e o r g e s B a t a i l l e , op. cit., p a r 9. 8 The Intimate Enemy. Loss and Recovery o f Self under Coloniali sm, Oup, Delhi 1983; Tradition, Tiranny and Utopias. Essays in the Poli tics o f Awareness, Oup, Delhi 1987. 5 D i S alman R ushdie vedi Grimus, Granada, London 1977; I fig della mezzanotte, Garzanti, Milano 1984; La vergogna, Garzanti, Milano 1985; I versi satanici, Mondadori, Milano 1989. 10 Vedi M ich el S erres , da Rome. Le livre des fondations, Grasset, Paris 1983, fino a Tiers instruit, Bourin, Paris 1991. II Gandhi, Marx, Freud. Vers une utopie du Tiers monde, in Dtours d critures, n. 1/1991, Sud profond, pp. 53 sgg. 1 A. N andy , op. cit., p. 54. 2 1 Ivi, p. 55. 3 1 Ivi, p. 56. 4 1 Ivi, p. 57. 5 16 Ivi, p. 59.

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RIFLESSIONI IN MARGINE ALLA GUERRA EUROPEA DEL 1992

Sono incline a pensare che in Europa, Est incluso, sia attualmente in gioco una scelta tra la democrazia e il suo contrario. Sosterr questa tesi riferendomi a ci che accade nei paesi ex-socialisti, ma soprattutto riferendomi alla Jugo slavia. Gli esempi che proporr per illustrarla non atterranno solo al piano teorico. Vi parler dei nazionalismi e dei loro numerosi ingre dienti. Riguardo a paesi come la Jugoslavia, la Moldavia, lAl to Karabach - in cui le nazioni si fanno guerra, continuo a credere che lorigine e la posta in palio delle violenze non abbiano a che vedere con le differenze etniche, e nemmeno soltanto con leredit del comuniSmo. Il soggetto occidentale, in quanto identit definita dal lappartenenza a una comunit (Gemeinschaft), ha per princi pio costitutivo lesclusione dellAltro (dellaltra comunit). Assurta al rango di soggetto, la nazione procede da una sorta di totemismo (si cessa di nutrirsi dei membri dello stesso gruppo) e conduce a un autismo di gruppo. L esclusione (lo sfruttamento, la distruzione) dellAltro non un effetto con tingente della soggettivazione: inerente a essa Si tratta di una violenza fondatrice che non attinge allordine del razio nale. Semmai, lesclusione costruisce una nuova raziona lit. Il soggetto si forma mediante lidentificazione dellindi viduo con una istanza superiore (e in tal modo lindividuo rinuncia alla propria particolarit e specificit). Le relazioni tra individui allinterno di un gruppo siffatto passano esclusi vamente attraverso listanza superiore: amiamo il nostro vici no solamente in quanto membro dello stesso gruppo, per esempio la nazione; ovvero amiamo il nostro prossimo in Dio, come accade nel monoteismo. Questo principio supe riore, che permette lintegrazione del gruppo e nel quale sono investite tutte le identit individuali, ha pretese di uni versalit. E come dire che esso pretende, dapprincipio, di applicarsi a tutti gli individui. Questo accade nei periodi (storici) di straordinaria minaccia economica, esistenziale e

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identitaria. La nuova identit collettiva si forma mediante la negazione di tutti coloro che sono espulsi al suo margine esterno, che non corrispondono alla norma proposta. In tal modo, si rifiuta la nostra origine con e nellAltro, e lidentit ricavata da una presunta origine nello Stesso, nellUno. In un periodo di crisi acuta, questo conflitto si risolve con la guerra, che lambito specifico in cui si costituisce il sogget to (soprattutto il soggetto maschile) del mito delleroe epico. La fondazione mitologica nello Stesso (ri)formulata in un discorso di violenza contro laltro e gli altri, e per contraccol po (contraccolpo soprattutto culturale) in una violenza su di s e sul proprio gruppo. Sono aggrediti in modo particolare i luoghi in cui ha origine la commistione, cio i luoghi della cultura (giacch cultura e meticciato sono tuttuno). Ecco il motivo per cui, in Jugoslavia, sono le citt a subire per prime la distruzione. Le citt: luoghi di nascita della mescolanza, delPincrocio di differenze, della cultura. Nuove citt sorgono sulle rovine delle citt precedenti, che annientiamo man mano che si forma questa nuova identit. Come accadde a Roma. Dal punto di vista storico, non si tratta di un ritorno alla seconda guerra mondiale, o al Medioevo, come si cer cato di spiegare la guerra in corso nei paesi jugoslavi: siamo di fronte a un rigurgito della preistoria, piuttosto che a un suo ritorno. La violenza ha dimensioni impensabili durante le grandi crisi della civilt, come lattuale. Anzich come conflitto tra nazioni, questa guerra (o queste guerre) potrebbe essere descritta come una guerra contro le citt, condotta da forze retrograde ostili alle citt: ma anche come una guerra del maschile contro il femminile. O ancora: come una guerra contro la societ gestita dalle comunit. L appello alla nazione non altro che la proposta derivata e secondaria di una ideologia improvvisata, che copre un vuoto ideologico (vuoto prodotto dallesaurimento del discorso comunista o del suo effetto ipnotico sulle mas se). Sul piano psicologico, il richiamo alla nazione rappresen ta una regressione fino al luogo di una identificazione prima ria (per il bambino: il padre e la madre; per il credente: Dio, ecc.). La regressione psicologica squalifica dun colpo solo la regressione (o progressione) storica immaginata, sulla quale non conviene speculare visto il carattere sospetto del pro gresso conseguito. La stessa identit maschile collettiva si sempre formata cos: in un soggetto dominante pensato

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come neutro. (Nella societ patriarcale, lidentit maschile posta come universale; nel monoteismo si presenta come neutra dal punto di vista sessuale - a dispetto del carattere maschile di Dio - e come divina). Dopo tutto, le donne non hanno lo stesso Dio, per dirla con Luce Irigaray 2 . N lo stesso Dio tra loro, n, per ragioni differenti, lo stesso degli uomini. Ci significa che le donne non hanno mai avuto un Dio che fosse secondo il loro modello e allo stesso tempo divino per tutti, e neutro per di pi. O che fosse universale. Un essere femminile e universale non esiste nel nostro siste ma simbolico. Ci che pi conta che le donne e gli uomini non hanno la stessa genealogia (ancora Irigaray): la figlia nasce dallo stesso, il figlio dal differente. Poich non hanno avuto unistanza superiore che sia stata, al tempo stesso, fedele alla loro immagine e universale, le donne non si sono mai costituite in soggetto storico al modo degli uomini, cio come soggetto dominante. Con la conseguenza che il genere femminile resta distinto, nella grammatica e nel pensiero. Per esempio, lumanit universale della donna deve essere espli citamente sottolineata se appena la si vuole articolare. Non autoevidente. Le donne non solo non si sono costituite quali soggetti storici, ma neanche lo possono; cos, la premura e i consigli di certi filosofi a questo riguardo (con la raccoman dazione di astenersene) sono superflui. Il punto che le don ne, in questo, non sono sostenute n confermate dalla storia. Il soggetto (maschile, dominante) sorretto nella sua costitu zione dalla storia universale in quanto storia sua propria. Non dunque questione di scelta. Allo stesso modo che il regime ecologico proposto e imposto dai paesi detti svilup pati implica che i sottosviluppati, se occorre, rinuncino allo sviluppo. Nella loro portata storica, il nazionalismo e la guerra devono essere collegati alla storia della soggettivazione occi dentale e al soggetto storicamente dominante (quello maschi le). Ma ci non esclude affatto che, con apparente contraddi zione, delle donne o perfino delle femministe divengano nazionaliste. Quando si schierano a favore del nazionalismo, si ha una identificazione degli individui-donne con la stessa istanza superiore (violenta nella sua struttura e maschile soltanto a causa delle circostanze storiche). In qualche modo, lidentificazione femminile con la nazione falsa, in quanto

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lidentificazione con il Padre (simbolico), il Leader politico, ossia con YAltro genealogico, mentre lidentificazione delluo mo con quello una identificazione con lo Stesso genealogico che esige la negazione dellAltro. L identificazione femminile con un principio superiore universale (e maschile) non impli ca, strutturalmente, lesclusione, ma linclusione dellAltro, mentre lidentificazione maschile la esige. E per questo che le donne si identificano meno degli uomini con la nazione, e, quando nondimeno vi si identificano, esse accettano meno degli uomini la violenza. (Daltronde, le donne sono da sem pre inclini allautodistruzione piuttosto che a esternare la vio lenza). Infine: la violenza in guerra dovrebbe esser messa in rapporto con le altre forme di violenza tradizionalmente maschili nei confronti dei deboli o dei diversi. E addirittura strabiliante che il confronto sia tanto raro. necessario cogliere la guerra e la distruzione nella loro naturale conti nuit con la violenza inflitta alle donne e ai bambini3. Ci facilitato dallanalisi dei conflitti in quanto con flitti tra citt e non-citt (campagne, montagne, popolazioni non urbanizzate e non acculturate, refrattarie e nemiche del le citt). Questo consente parimenti di percepire nello stesso contesto il disagio delle periferie e il vandalismo urbano. In queste violenze il razzismo e il nazionalismo sono secondari, la vera questione economica e culturale. Il vero conflitto di tipo comunitario. Il nazionalismo, o meglio, la nazionalit, sempre stato anche il veicolo di un desiderio di cittadinanza. Pertanto, in paesi misti come la Jugoslavia, difficile pensare tanti Statinazione quante sono, o saranno, le nazioni, se non si vuole pensarli della grandezza di un distretto come quello di Pari gi, con deportazioni, migrazioni e massacri. Dopo la catastro fe del socialismo e la conseguente disfatta dello Stato, il con flitto, visto nella prospettiva della nazione, consiste nel fatto che, numericamente, ci sono molte pi nazioni che Stati. La cristallizzazione delle nuove forme di convivialit, che richie der anni se non decenni, ci obbligher probabilmente, se una scelta di democrazia compiuta, a rinunciare alla cittadi nanza basata sulla nazionalit a favore di una cittadinanza basata sullindividuo. La guerra dei nazionalismi il caos del la violenza cieca. Lo Stato, che (tra laltro) pur esso violen za, codifica questultima, la controlla, la contiene, fa anchesso uso dellesclusione, sia sul confine esterno che su quello

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interno. Mantiene bene o male un equilibrio precario tra comunit e societ. Passo ora al mio esempio pratico: dopo la seconda guerra mondiale ci fu, in Jugoslavia, un flusso spettacolare e precipitoso, mal calcolato e non frenato, dalle campagne ver so le citt, dalle province verso la metropoli. Belgrado fu par ticolarmente investita da queste ondate di immigranti disa dattati e infelici, accorsi soprattutto dalle provincie limitrofe, e spesso alimentate dai serbi di Croazia, di Bosnia Erzegovi na e del Montenegro, insomma delle regioni povere. Accad de lo stesso, in minor misura, negli altri centri urbani e nelle altre repubbliche. E sempre esistita, via via accrescendosi, una ostilit tra la minoranza di cittadini (e borghesi) originari e i nuovi venuti che riuscirono a prendere dassalto le istitu zioni e lamministrazione, come pure le cariche direttive. Soprattutto Belgrado, ma anche gli altri centri, continu a fomentare per anni questo conflitto latente. Al principio e alla radice, tale conflitto era chiaramente economico e cultu rale. (Anche coloro che arrivavano a Zagabria provenivano dalle regioni povere della Dalmazia e dellErzegovina, ugual mente limitrofe). Dovunque, la componente che sarebbe divenuta la pi bellicosa, in crisi di identit, e che ben presto non ebbe altro con cui identificarsi se non la nazione, era formata da questi nuovi venuti dalle regioni limitrofe, dalla periferia e dai paesi misti. Ciascuno accolse i suoi (serbi o croati), i suoi esterni in qualche modo; da questi provin ciali provennero in seguito i nazionalisti pi accaniti delle due parti. Essi furono spinti a ci naturalmente dalla loro inadattabilit alla citt, che non fece alcuno sforzo per socia lizzarli. Spesso furono indotti a scegliere come occupazione lesercito, per ragioni economiche ma anche psicologiche. cos che Belgrado (comprese le strutture dello Stato federale) fu dominata in gran parte dai serbi provenienti da altre regioni, sentiti come un corpo estraneo: costoro (non i serbi di Serbia) rappresentarono la maggior parte dei quadri supe riori dellarmata federale al tempo della Jugoslavia socialista. Anche in Croazia, la guerra difensiva reclut sempre pi croati delle regioni limitrofe; e la guerra non dichiarata con dotta in Bosnia Erzegovina contro i serbi mobilit soprattut to croati erzegovini, in buona misura volontari. dunque soprattutto questa armata - federale, ma ali mentata da quella specifica componente che sono gli immi

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grati appena giunti in citt dalle regioni di frontiera - che dichiar la guerra, o che vi si accan dopo che la Slovenia e la Croazia ebbero manifestato una volont secessionista. Il con flitto citt/campagne, cio delle campagne e delle periferie contro la secolare cultura delle citt (Dubrovnik, Sarajevo, Mostar, Vukovar e tante altre), principalmente un conflitto economico e culturale. La prima generazione dei disadattati venuti in citt, a un basso livello di vita urbana, desiderosi di ricchezza e di rapidi aiuti, spesso non aveva altra soluzione che lesercito. E cos che si giunge allautismo delle nazioni, che omicida e suicida a un tempo. La nazione un concetto a cui ci si aggrappa allorch il centro andato in pezzi, non appena si mette in moto la violenza. Distruggere le citt, senza alcuna logica anche solo militare, significa per questa gente prendere definitivamente il potere (abbattendo lassetto precedente); significa distrug gere la minaccia rappresentata dallAltro (urbano, misto, col to, impuro). Non hanno niente da perdere e andranno fino in fondo. Come dice Zivojin Karapesic: Nulla pi sempli ce della distruzione (non richiede alcuna conoscenza prelimi nare), e nulla pi impressionante (trasforma limmagine). Non si deve dimenticare che il nuovo venuto dalle campagne era gi stato vittima della divisione delle terre e del fantasma della povert, dei raccolti perduti e degli anni di penuria E il risultato di una industrializzazione affrettata e poco meditata, di una negligenza nei confronti delle campagne (sebbene questultima fu minore in Jugoslavia che negli altri paesi socialisti). Una volta attizzata la violenza (ed essa lo stata verbal mente), a ogni tappa sono stati scelti i peggiori scenari: ha preso piede una specie di estetica negativa del terribile e del linsostenibile. Trasmessa in diretta dalla televisione, limma gine ha giocato un ruolo centrale nellistigazione alla vendet ta. Si sono viste persone apparentemente pacifiche che, dal loggi al domani, invocavano vendetta. E troppo semplice imputare, come ora si fa spesso, il nazionalismo e i suoi conflitti soltanto agli errori ideologici del regime socialista. Il nazionalismo , almeno in pari misu ra, il risultato del confronto di questo stato di cose con il modello occidentale: incarnazione del desiderio socialista come pure del brutale colpo che lintroduzione delleconomia di mercato ha sferrato al livello di vita. Al contrario, si

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potrebbe sostenere che la Jugoslavia aveva rispettato in larga m isura le differenze nazionali, traducendole anche in organizzazione politica, territoriale e, di riflesso, economica. Cos i comunisti hanno di volta in volta condannato, repres so e alimentato i nazionalismi - scrive Michel Roux -. Con questa attitudine ambivalente, sono stati essi stessi, in parte, a preparare la crisi attuale 5. Non c dubbio che le questio ni nazionali non erano risolte in modo soddisfacente, ma questo vale per tutte le nazionalit. Pertanto, il sentimento nazionale non era n represso n tab; a venire repressa era lespressione del nazionalismo che inclinava al separatismo (a partire dal 1981 nel Kossovo), o allo sciovinismo, alla discri minazione, al sollevamento di massa (in Croazia, nel 1971). Ma il nazionalismo conduce alle guerre di fondazione, alla violenza fondatrice e senza legge. Se non mi sbaglio, lan tagonismo nazionale , oggi, ci attorno a cui si cristallizzano identit allo scopo di giustificare a posteriori la violenza. La nazione non la causa n la ragione della guerra: la storia contiene sia esempi di ostilit tra le etnie che esempi di coesi stenza secolare. Per quanto una nuova mitologia nazionale faccia appello alla storia, questultima, come tale, non pu provare niente. La nazione il modo con cui si articola un conflitto pi profondo.. Nella disintegrazione politica e soprattutto economica del paese, gli interessi particolari di ciascun gruppo hanno guadagnato terreno rispetto agli interessi comuni. Per esem pio, linteresse comune a tutti nella ex-Jugoslavia, il pi evi dente e il meno riconosciuto, sarebbe fermare la guerra. Sarebbe la pace. Siamo di fronte a una guerra stile Poi Pot, o stile rivoluzione culturale cinese (le campagne contro le citt). Il mito nazionale di fondazione o rifondazione va di pari passo con il desiderio di distruggere laltro. La fondazio ne un divenire soggetti nel senso occidentale del termine, e tende a darsi una identit mediante lannientamento dellAl tro. Le violenze cui assistiamo sono forse il segno di un gran de mutamento depoca. E del tutto possibile che il movimen to contagi in qualche modo lOccidente. Se ne vedono i segni non solo nei nazionalismi e separatismi occidentali, ma anche nella ripresa dellestrema destra e nelleredit dellimperiali smo e del colonialismo occidentali, passando attraverso lor dinamento economico nord-occidentale. La Jugoslavia non una eccezione: facciamo tutti parte di una civilizzazione omi

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cida e autodistruttrice, di una civilizzazione mortifera. Pu sembrare un paradosso dire che uno scacco eco nomico stato alla base dei conflitti nazionali in Jugoslavia, perch questultima era il pi aperto di tutti i paesi socialisti e, per la sua struttura e i suoi scambi economici, il pi vicino, almeno sembrava, a una integrazione europea. Ma, come ha detto Grard Raulet, lesclusione diventata bisogno din tegrazione. Pi facilmente che in altri casi, la Jugoslavia, grazie alle sue istituzioni e alla sua economia, avrebbe potuto collegarsi rapidamente alla costruzione dellEuropa, se il gesto prevalente di questultima non fosse stato quello delle sclusione. Da pi di venti anni, dal 1948 se si vuole, la Jugo slavia aveva avviato il processo di avvicinamento: indipen denza dal blocco dellEst, non allineamento, tentativi di autogestione e, soprattutto, precoce decentralizzazione politi ca ed economica. D altronde, questo ci su cui poggiava il prestigio della Jugoslavia, e io non rinnegher la speranza in quella via alternativa intermedia, che essa rappresent. Ma questa grande arme federale, di cui ho gi sottoli neato lorigine economica e culturale, fu trasformata, al tem po di Tito, in un piedistallo personale dellautocrate. Una volta morto il capo, ci che era stato solo il suo piedistallo acquis la forza di un agente indipendente, scrive Latinka Perovic 6. Solo dopo il colpo, e a conflitto gi iniziato, lar mata identificher i propri interessi con quelli della politica ufficiale serba. Essi non corrisponderanno mai agli interessi dello stesso popolo serbo, sicch vi il pericolo di una immi nente guerra civile nella stessa Serbia. Il ritorno dellarmata (che ha perso la guerra in Slovenia, in Croazia, in BosniaErzegovina) in Serbia, il suo peso come quello dei rifugiati, delle sanzioni e della catastrofe economica inducono a pen sare alleventualit di una guerra civile. Vi un pericolo ana logo anche in Croazia, allorch ci sar stata una smobilitazio ne, e soprattutto dopo la guerra in Erzegovina. Questi distruttori di citt si rivolgeranno contro le loro capitali non appena non avranno pi niente da conquistare. D al tronde non sanno fare altro che la guerra 1. Tutto ci lascia pensare che i 45 anni di pace che abbiamo vissuto (era la mia et al momento dellesplosione) sono stati alquanto eccezio nali nelle nostre condizioni. La distruzione delle citt acquista in effetti un caratte re rituale, giacch essa fonda questa nuova identit. E cos

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che un comandante militare tra quelli che attaccarono Dubrovnik, un certo Vucurevic, ha potuto proclamare che i Serbi avrebbero costruito una Dubrovnik ancora pi bella e pi antica. Il fatto che il rituale di fondazione in questione (la distruzione di Dubrovnik) ha il potere di invertire il corso del tempo, di ricominciare il tempo da zero o di farlo avanza re nel senso opposto, come avviene assurdamente in questa guerra devastatrice. La violenza fondatrice contro le citt, per quanto poco civile possa sembrare, in realt un atto di rifondazione, di ristrutturazione culturale. E visibilmente una trasgressione, ma si conferma in quanto cultura (cultura guerriera, certo) mediante il rapporto che intrattiene anzitut to con la cultura stessa. Nella sua autoconferma, annulla la trasgressione che commette. Conferma il tradizionale gesto occidentale: la creazione umana, cio la cultura, viene alla luce a prezzo di un sacrificio. Il sacrificio vissuto ogni volta come il sacrificio dello Stesso (di noi stessi), anche quando con ogni evidenza laltro a esserne la vittima. L annienta mento dellAltro si trasforma necessariamente, in un secondo tempo, in una autodistruzione. In questo vi qualcosa che si presenta come spettacolo teatrale e passa attraverso limma gine e la rappresentazione, qualcosa che proviene dallesteti ca del sacrificio. La tradizionale convinzione occidentale che occorra pagare il pi alto prezzo per larte, poggia su una logica di prostituzione, o sulla logica perversa del capitalismo (uso ora questo termine nel senso di Lyotard pi che in quel lo di Marx). In base a questa logica, latto creativo, o anche lesperienza estetica, qualcosa di quasi demoniaco, di dia bolico, ed esige la redenzione. L estetica sconfina in qualche modo nelletica. L artista, o anche colui che prova piacere, deve giustificarsi, cosa che non pu fare in modo soddisfa cente nelleconomia del sacrificio estetico. Questultima sta bilisce il canone e il valore dellopera, normalizzando cos larte e lartista. Ormai, bisogner mettersi fuori dalla legge (estetica) per scuotere; ma, in parallelo, sorger una estetica del relativo, ovvero, come ha detto Lyotard, non c pi cul to, soltanto cultura 8. Uapriori dellestetica (il gusto, il bello, il sublime), ossia ci che .fuori dalla legge del sacrificio, sor ge in maniera paradossale dal soggetto. Per listituzione e le sistenza di una comunit, anche in estetica, cos come per la costituzione del soggetto che partecipa allo stesso processo, occorre investire insieme, e investire s medesimi, in una

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istanza superiore e unificatrice. L apriori, epicentro delle vio lenze future, figura come un centro vuoto, sottraendosi alla legge nel momento stesso in cui la fonda, o ne fonda una nuova. Il soggetto in divenire sostenuto dalla propria assen za di e dal potere, e dal suo difetto di forza costitutiva. Per questo sostengo che tale soggetto si identificher con la nazione soltanto in un secondo tempo. La logica dellestetica (in quanto campo isolato), o Inestetica della guerra, la medesima logica che presiede alleconomia platonica dellE ros come mancanza; in amore, vi trasporto per ci che assente: immortalit, oggetto di desiderio, oggetto d arte. Quando manca, ci che desiderato deve venir prodotto, e proprio questo si paga. Il difetto non fa che collegarsi allec cesso. Bisogna offrire qualcosa in cambio di ci che deside rato, e questo qualcosa (simbolicamente o realmente) il corpo umano, il cui sacrificio, occultato, rimane invisibile nel risultato. E in qualche modo ci che precede (ma forse il termine temporale non il pi indicato, qui) e consente il sacrificio, cio la spartizione (la differenziazione), mai appa rendovi (il semiotico o lignobile di Kristeva). C minaccia. Il creatore, il nuovo soggetto in formazione, ha modo di proclamarsi martire della propria impresa, mentre rende gli altri sue vittime. Egli sposta il soggetto/oggetto del sacrifi cio poich ne lautore esterno alla scena: nel senso che, apparentemente, non riproduce se stesso come proprio pro dotto. Da qui la possibilit di manipolare e di riciclare le mitologie. Il soggetto lautore di questa scena di esclusione alla seconda potenza (identificazione con la nazione), ma pu esserlo soltanto perch stato gi deciso in suo favore. Una decisione con la quale si sente solidale: egli amministra la disposizione che lo privilegia. Cos, il mito di rifondazione serba poggia sul culto della sconfitta degli stessi Serbi in Kossovo, nel 1389. Non sono pi in questione, in questa estetica del sacrificio, il tragico e la trasgressione (come in Bataille). A differenza che in questultimo, la posta in gioco non il piacere, il godimento prodotto dalla trasgressione di una legge. Qui tutto avviene allinterno di un ordine, anche loltrepassamento della norma. E lautismo. Il quadro gene rale, il limite della legge, sospinto allindietro, verso un punto lontano sul limitare del pensabile. La violenza contro le altre comunit impensabile, insostenibile, e, proprio per questo, fondatrice. L estetica del sacrificio molto pi per

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versa e complicata, filosoficamente anche pi esigente, per ch essa conduce il pensiero a misurarsi con la propria assen za, con il proprio niente (in presenza del corpo). La logica del sacrificio poggia sul gesto dellesclusione forzata, che invoca e interdice lAltro nel momento stesso in cui lo nomi na (nominando il nemico). La fondazione assente sosti tuita da una rifondazione volontarista che assolve esattamen te il medesimo ruolo (si tratta di una ontologia sbarrata), e funge da foglia di fico a questa stessa assenza di fondazione. Essa livella le differenze (radendo al suolo le citt, epurando etnicamente alcune regioni) dopo averle esasperate. I miti di fondazione che giustificano la violenza e sor gono dallo spazio estetico del terribile non servono soltanto da foglia di fico. Servono parimenti a dissimulare lautentica posta in gioco, economica ed esistenziale, del conflitto. Il tra gico circolo vizioso che induce lautodistruzione si manifesta in azioni visibili, dunque esteriorizzate. Tutti possono vedere limmagine della citt rasa al suolo, prova tangibile che noi esistiamo: noi, che la distruzione abbiamo eseguito. Mentre la tragedia di Sarajevo diviene un oggetto mediatico, ossia tradotta in estetica negativa, passa sotto silenzio il fatto che laggressore serbo riuscito ad aprirsi un corridoio verso le Krajina in Croazia e in Bosnia; che i croati hanno conquistato e proclamato, in Erzegovina, una repubblica croata erzobosniaca, che ha per capitale Mostar, a nord di Dubrovnik. L immagine della distruzione ha la funzione di velare la realt. Ci che la rappresentazione mediatica degli avveni menti di Sarajevo dissimula la spartizione di fatto della Bosnia-Erzegovina. concepibile una ontologia della violenza, anche l dove la violenza fa le veci dellontologia? Sebbene non si trat ti di una ontologia in senso stretto, tentare di tratteggiarla significa mettere in crisi ogni strumentalizzazione della rela zione di violenza. Allo stesso modo, scrive Genevive Tancelin-Clancy in Estetica della violenza 9, non si pu, a rigore, costituire una estetica della violenza, poich la violenza si sottrae fin da principio allo spazio che la sua estetica deter mina. Ma tratteggiarla, permette di rendersene conto. II fat to che il senso della storia una metafora dellesistenza. La violenza primordiale, giacch in essa si annida un disperato tentativo di riannodare, ricucire, ricostituire il Tutto. Al tem po stesso, osserva Tancelin-Clancy, la violenza restituisce

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alluomo lincertezza dei suoi fini, l'indiscernibilit dei suoi vissuti e delle sue istanze. Egli diventa poeta nella violenza che dispiega contro la storia moderata e non inquietante. La relazione di violenza, dice lautrice pi oltre, fa s che in lui si liberi lenergia, e che egli riconosca il carattere inaffer rabile della propria finalit. L uomo cessa cos di essere inter prete, divenendo intransigente. La violenza il perno tra due dimensioni, lintermedia rio tra lordine antico e lordine nuovo: essa stessa il punto zero, ossia la presenza in quanto assenza (del corpo). La vio lenza si autocostituisce come eccezione in tema di violenza: infatti, oltre quella fondatrice, nessunaltra violenza per messa; da qui il conflitto con chi oppone resistenza. Essa propone unaltra rappresentazione, che precede (struttural mente e temporalmente) il cogito e la soggettivazione, in qualche modo fondandoli. Da qui scaturisce il ruolo inaggi rabile che limmagine televisiva ha in questa guerra. Certo, si tratta di una stravagante immortalit realizzata nella morte. Essa fa apparire limpensabile e il mostruoso ,0. Questultimo diviene cos un elemento costitutivo dellumanit, e mette lessere umano di fronte alla distruzione implicata fin da subito dalla produzione (compresa la sua stessa produzione). La violenza prodotta dal mostruoso non pu essere interrot ta, dice Kamper, ma, nel migliore dei casi, dimenticata. L o blio pu diventare cos (al di fuori di qualsiasi prospettiva etica) una strategia. A liberarci dal mostruoso non pu essere che unetica della singolarit (Kamper), ossia, come dicevo, la futura cittadinanza in un paese misto non potr poggiare sulla nazionalit, tanto che la si intenda nel senso originario della nazione-etnia 1 della questione nazionale (narod, in 1 serbocroato), quanto nel senso di un secondo nazionalismo [...] legato allidea (nuova) di democrazia. In questultimo caso, la cittadinanza non potr poggiare sul secondo nazio nalismo dellEuropa dellEst, perch la democrazia non pu venir definita in termini nazionali. Non pu esserci democra zia nazionale. Certo, il concetto di democrazia deve essere ripensato nel corso di questo grande rivolgimento europeo. Non soltanto essa non pu venir definita in termini naziona li, o sessuali, ma, probabilmente, non potr essere concepita in termini di genere (umano). (Non vi alcuna buona ragio ne, a parte il fatto che vi apparteniamo, che non in s una buona ragione, di preferire il genere umano ad altre specie.)

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dalla ragione stessa, sostiene ancora Kamper, che proviene il disconoscimento della ragione umana. Dunque, dalla ragione stessa che trae origine la violenza. La democrazia, pertanto, deve contentarsi (ma gi pi di quanto non fac cia) di proteggere e di assecondare gli interessi e le libert delle diverse minoranze, ovvero di tutti coloro che non si conformano al modello umano. In qualche modo, nello svi luppo di unetica del singolare e di una cittadinanza dellin dividuo (e non della nazione), lumanit deve rinunciare allimperialismo del suo genere. Va da s che, in tal senso, la nuova democrazia comporta unecologia; in stretto rapporto tra loro, democrazia ed ecologia si oppongono invece al pro cesso di soggettivazione (comunitario) e di individuazione. Il m alessere dei nostri paesi scaturisce da un pi profondo conflitto tra lantico concetto di democrazia (occi dentale) e limmediato bisogno di un altro, nuovo, tipo di democrazia, che corrisponda alle necessit della transizione e della trasformazione. L introduzione brusca e brutale delle conomia di mercato (vagheggiata dalla classe dirigente dellE st, che sta trasformandosi in classe possidente, al pari della classe dirigente occidentale) si dimostrata impossibile, ed proprio questo tentativo abortito che ha condotto alla situa zione ben nota. Nello svolgimento degli eventi, il nazionali smo irrompe in un secondo tempo, nel momento della disin tegrazione economica, per riempire il vuoto di istanze supe riori, riempimento che permette di ricompattare una comu nit priva di coesione dacch pi non funzionano Stato e societ. Il prezzo da pagare molto elevato, e non porta alla democrazia, perch, in seno alla comunit ricompattata, lindi viduo avr rinunciato in una misura maggiore che nel passato (quando la rappresentazione era differente) proprio a ci di cui avrebbe bisogno per contribuire a una democrazia: la sua identit. L identit, e la differenza, che potrebbero essere (e in Jugoslavia lo sono state, per 45 anni) una fonte di ricchezza culturale, e non solo culturale, sono abbandonate a vantaggio della sola dimensione comune (lidentit nazionale). La nazio ne (nel senso etnico) si libera mediante la violenza, si costitui sce in antagonismo con le altre nazioni. Essa porta a credere (e una parte della storia europea, presa fin troppo a esempio, porta a crederci) alla possibilit/necessit di creare Stati-nazio ne etnicamente puri in territori caratterizzati da millenari meticciati: mentre evidente che questo non possibile.

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Ecco dove, tra laltro, il socialismo ha fallito: ha perso loccasione di trasformare la mescolanza etnica e culturale in un vantaggio, cio in una ricchezza e in uno strumento di integrazione. Il meticciato era uneredit culturale in quei ter ritori, prima del socialismo, ma questultimo non lha elabora ta n sviluppata. L appiattimento culturale socialista, lantiintellettualismo, latteggiamento avverso alla cultura, come la messa in mora della religione, mortificarono la ricchezza delle differenze. In questo egualitarismo culturale immiserente, le differenze furono considerate secondarie o riprovevoli. Non dimeno, questo gesto del socialismo , in se stesso, profonda mente europeo: il risultato di un atteggiamento ostile nei confronti della differenza. Sua origine la patologica passione per lidentit dellEuropa. Esso va di pari passo con unaltra attitudine europea, quella di definirsi ogni volta tracciando le frontiere con lEst. (Con lEst, perch lEuropa priva di una frontiera geografica con lAsia: da qui la sua inquietudine circa lidentit.) Un solo movimento spinge la Slovenia e la Croazia a separarsi, la Ser bia a demonizzare lIslam o gli albanesi, e lEuropa a volersi costituire in una identit sovranazionale e a chiudere le sue frontiere a noialtri. Mentre si fa appello alla nazione, confon dendo questultima con la democrazia e la libert, ci si richia ma alla saggezza transnazionale dellunit europea, come se non si trattasse di una sola e medesima inclinazione. Pertanto, lunit transnazionale dellEuropa che traccia le proprie frontiere un po troppo a Ovest per i nostri gusti (noi vorremmo tutti essere inclusi...). L identit europea gi fun ziona, e sempre pi funzioner (in rapporto al Terzo mondo e ai paesi ex-socialisti), come un nazionalismo; e come tale si costituisce (e si costituir). L Europa stenta a vedere, e noi a immaginare, quale forma prender la nuova statuizione delle frontiere, e quale sar leffetto delle molteplici guerre dellEst, che continueranno a propagarsi e ben presto minacceranno lOccidente. Giacch lEuropa occidentale, se non lOcciden te, entra poco alla volta in guerra tramite la Jugoslavia. difficile pensare limpensabile. Questepoca segna finalmente la fine di un ordine, lordine socialista. Ma poich esso, bisogna pur dirlo, non altro che un prodotto dellor dine occidentale e capitalistico, vi sempre complementarit tra luno e laltro. Siamo di fronte alla morte lenta e globale dei due ordini presi insieme? O allassimilazione, dolorosa e

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pi lenta ancora, delluno allaltro? Bisognerebbe riuscire a pensare, ora, una ristrutturazione globale e complementare dei due sistemi-fratelli. L Occidente non potr erigere un muro attorno a s, tentando di ristrutturare il solo Est. Lo attesta la fallita ristrutturazione del Terzo mondo allinterno di un nuovo ordine economico. E per questo che la defini zione di Adam Michnik, secondo la quale il nazionalismo sorge come stadio supremo del comuniSmo, sembra trop po sbrigativa. Una analisi pi approfondita mostra che il nazionalismo trae origine dallincontro tra socialismo e capi talismo, nellera del postcomunismo e di fronte alla diffi colt (o impossibilit? Come saperlo?) di occidentalizzare lEst. A fomentare il conflitto sono, insieme, la volont di tra sformare il socialismo in capitalismo e limpossibilit di rea lizzare subito questa trasformazione. L affermazione secondo la quale la Jugoslavia non mai esistita, se non come mero artificio, non basta a spiegare il nazionalismo: una falsa verit. Come dice Edgar Morin, nei fatti, la Jugoslavia esistita [...] 12. Parimenti, la Jugo slavia socialista si costruita sullantifascismo e lunit. Secondo Michel Roux, tra i due movimenti di resistenza, ha avuto la meglio quello dei comunisti perch esso non faceva direttamente leva su alcun nazionalismo e perch poteva di fatto unificare tutti i popoli jugoslavi in un movimento di lot ta antifascista di liberazione nazionale 13. Bisogner tener conto di una causalit multipla e circolare nellingranaggio delle violenze jugoslave. La scomparsa del nome Jugoslavia, e di jugoslavo (quando non un appellativo per designare laggressore), mostra che il problema non , in se stesso, etnico-nazionale. Il silenzio sul nome Jugoslavia, lassenza dal corrente lin guaggio guerresco e politico di una gran parte della popola zione ex-jugoslava che non pu definirsi in termini nazionali, indicano assai bene langustia dellanalisi manichea che divi de il mondo in bianco e nero (serbo e croato). Coloro che, per scelta o essendo di famiglie miste (tra i due e i quettro milioni sul totale di ventidue milioni di abitanti della ex-Jugo slavia), non possono dirsi serbi o croati o ... ma non possono neanche pi dirsi jugoslavi, perch questa denominazione li identificherebbe con laggressore, sono spariti dalla scena. Non avendo pi nome, essi hanno perso la voce, non esisto no pi in questa rifondazione ontologica attuata tramite

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la violenza. E non un caso se essi sono le vittime silenziose (la popolazione civile) della guerra in corso. A chi non ha pi nome n identit riconosciuta (dato che a essere riconosciute sono ormai soltanto le identit nazionali), non resta che la distruzione del proprio corpo; e tale distruzione non far rumore. Per questo, nonostante la rappresentazione mediatica della distruzione di Sarajevo, non sempre si ode la voce dei suoi abitanti. Sia chiaro: la violenza discende dalla soggettivazione operatasi nella e grazie alla guerra; in un eccesso, non in difet to di soggetto collettivo e soggettivazione. insensato dire, come spesso si sente, che queste nazionalit (e questi Stati) non sono mai stati soggetti, e ora questo fatto viene in luce. La Jugoslavia stata, eccome, un soggetto al tempo di Tito e del non allineamento terzomondista; cos come soggetti sono state le sue nazionalit in base alla decentralizzazione sancita dalla costituzione. Ma, in quel caso, si trattava di un tipo par ticolare di rappresentazione della soggettivit, che ha fatto il suo tempo, sconquassato dagli avvenimenti di cui stiamo par lando. Ci non implica affatto che un altro tipo di rappresen tazione porterebbe di per se stessa alla democrazia. In qual che modo, la rappresentazione resta sempre un genere infeli ce di mediazione, che reprime limmediatezza della singola rit personale. E per questo che non bisogna aspettarsi una soluzione della trasformazione dellEst in base al modello occidentale (si passerebbe soltanto a un altro tipo di rappre sentazione); n daltronde, bisogna credere che tale trasfor mazione sia possibile. Se lo fosse, non ci sarebbe stata la guerra.

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NOTE

1 A questo riguardo cfr. R en G ir a r d , La violence et le sacr, Grasset, Paris 1992, e M ic h e l S e rr e s, Rome. Le livre des fondations, Grasset, Paris 1991. 2 Cfr. L u c e I r i g a r a y , Fem m es divines, in Sexes et Parents, Minuit, Paris 1987. 5 Su questo cfr. Arms and the Woman. War, Gender and Literary Representation, ed. by H. M. Cooper, A. Auslnder, S. Merrill Squier, The Uncp, Chapel Hill and London 1989. 4 Republika. List gradjanskog samooslobodjenja, Beograd, IV (1992), 45 (1-16 giugno), p. 32. 5 M ic h e l R o u x , Guerre vile et enjeux territoriaux en Yugoslavie, in Hrodote, n. 63, ottobre-dicembre 1991, p. 23. 6 Neslavni jubilej, in Republika..., cit., p. 2. 7 Cfr. il magnifico testo di B o g d a n B o g d a n o v ic , Il massacro ritua le delle citt, pubblicato in italiano su il manifesto, 16.6.1992. 8 J e a n - F r a n o is L y o t a r d , Des dispositifs pulsioneis. Bourgois, Paris 1973,2 ed. 1980, p. 112. 5 Tesi di dottorato inedita. Sar pubblicata presso le edizioni Nol Blandin. 10 Monstre, m o stro : ci ch e m o strato . D ietm ar Kam per, Der ein gebildete Mensch. A u f dem Wege zu einer singulren Ethik. " A proposito di questa distinzione cfr. Je a n -F ra n o is G o ssiau x , Yugoslavie: thnies ou nationalisme?, in Libration, 2.7.1992. 1 In Le Monde, 6.2.1992. 2 13 M ic h e l R ou x, op. cit.

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LA CIVILT D ELLA MORTE

Allinterno della civilt della valle dellIndo, il grande fiume dellovest del subcontinente indiano che si trova attual mente in Pakistan, un tempo, prima dellarrivo delle trib indoeuropee guerriere e distruttrici, erano fiorenti le citt degli autoctoni, certam ente Dravidi. Erano citt-stato, costruite in mattoni, dallurbanistica invidiabile e lorganizza zione sociale apparentemente complessa, i cui abitanti, stru tturati su un modello matrilineare, si dedicavano al commer cio e lagricoltura. Gli scavi indicano che raggiunsero lapo geo del loro sviluppo probabilmente tra il 4000 e il 2000 a.C. I quartieri della citt corrispondevano alla struttura socio-eco nomica della popolazione, strade particolari ospitavano deter minate categorie di artigiani, e gli abitanti, gi allepoca, pos sedevano un sistema fognario sotterraneo e un sistema d irri gazione per innaffiare i campi vicini. Queste citt cessarono di prosperare dopo che furono rapidamente distrutte dallondata di trib nomadi e pastorali indoeuropee di tipo patrilineare che le sottomisero, e dettero il proprio nome (Bharat) e la loro impronta allIndia attuale. I nuovi arrivati erano guerrieri, militarmente molto potenti, dediti al pascolo del bestiame, soprattutto bovini. Dal punto di vista storico, non affatto certo che furono loro a distrug gere le ricche citt di Mohenjo Dar, Harappa, e le altre. Ma anche se non fossero stati loro, si trovavano a un livello mol to basso di sviluppo della cultura materiale ed erano privi di tradizioni urbane. Portavano con s soltanto beni mobili: parte del nucleo degli inni vedici (tradizione orale), armi, vacche e unorganizzazione sociale tra le pi potenti. Non sapevano costruire e non si stabilirono allinterno delle citt. Si accampavano sulle loro rovine e, come fanno oggi i libe ratori (i distruttori) di Vukovar, Mostar o Sarajevo, fabbri cavano allaperto ripari provvisori in legno, materiali di for tuna, mattoni dargilla e cespugli, quando non avevano un posto dove insediarsi. La nuova civilt, di cui essi erano i padri fondatori, gli autoctoni allinterno di questa non erano ammessi se non

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di mala voglia e in quanto individui assoggettati - avr le sue radici nel rito del sacrificio della vita. Il sacrificio sar tuttavia rappresentato simbolicamente sempre come il sacrificio di noi stessi, nascondendo il sacrificio reale dellAltro, degli altri. Per un popolo di guerrieri e soldati, la cosa va da s. Il sacrifi cio fonda e rinnova il mondo, riconduce il momento presente in ilio tempore, cio riporta il tempo al suo inizio. Il tempo e la storia iniziano con noi. Le rovine delle case straniere sono seppellite, dimenticate, lerba le ricopre. Era prima del linizio del tempo, prima di noi. La nuova civilt comincia con la violenza, supera il vuoto in direzione dellaldil, delli nizio cosmico. La distruzione delle citt seguita, o meglio preceduta, rispettivamente, dai miti cosmogonici della fonda zione e dalla retorica collegati entrambi al ruolo privilegiato della nostra trib, quindi dei nobili, miti che giustificano la distruzione. Anche gli antichi avevano le loro guerre mediatiche descritte nei miti della creazione e dellorigine (oggi, abbiamo la televisione). Questi rappresentando il lega me con laldil, una sorta di trascendenza collettiva in quanto supporto immaginario, sono la garanzia dellesistenza cos come della negazione dellAltro. Proprio come la genealogia (maschile, la sola che conti) nega necessariamente la discen denza materna. Perch tale discendenza - pi evidente di quella maschile - si congiunge a questultima ma non si riesce pi a decifrare nel codice dominante. Se noi potessimo farlo, la nostra origine ci apparirebbe nellAltro (uomo o donna), si scoprirebbe la discontinuit della discendenza maschile. Si scoprirebbe infatti che la cultura innanzitutto frutto di un incrocio, di un mtissage. Le citt sono, proprio in quanto tali, la sede della cultura e, necessariamente, un incrocio. Il sistema simbolico trova qui il suo ruolo chiave e loccasione per definire i rapporti di forza e di potere. La proclamazione di un fondamento e di un inizio, nel sacrificio, ha il compito di nascondere il fatto che non c nessun fondamento (eccetto nellAltro e dunque al di fuori di noi), e di attutire la con statazione che la violenza non ha giustificazioni, tranne che nel desiderio delloppressore. La guerra il sacrificio per eccellenza. Se il ruolo degli Altri nella nostra cultura ci fos se chiaro, ci risulterebbe comprensibile anche che questAltro, e non noi, ad essere offerto in sacrificio. I miti della fon dazione, tuttavia, presentano sempre il sacrificio dellAltro come il sacrificio di noi stessi.

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Stabilendosi nel subcontinente indiano e espandendosi sempre pi lontano verso sud-est, i nuovi arrivati sono pro gressivamente passati dallo stato nomade a quello sedentario. Ma non hanno imparato n a fabbricare i mattoni n a costruire (e questo, per secoli). H anno continuato ad improvvisare i loro effimeri ripari con materiali deperibili e casuali. Soltanto i luoghi destinati ai sacrifici, fondamentali non nel senso fisico del termine, ma metafisico, dovevano essere edificati con materiali solidi, secondo le regole della nuova geometria teologica, planimetrie e progetti sacri del mondo, concentrati attorno all 'axis mundi che attraversa lo spazio sacrificale rappresentante luniverso. Questi ripari venivano costruiti con i mattoni dissotterrati dalle rovine delle citt antiche ed cos che, pur senza volerlo riconoscere, essi stessi entravano a far parte del mtissage e traevano la loro origine dalla negazione dellAltro '. La nuova civilt si nutriva anche fisicamente della vecchia. I selvaggi sono arrivati, hanno cac ciato i civilizzati, e sopra le tombe di questultimi, hanno innalzato le loro dimore con lorgoglio dellignoranza. Poco importa che questa sia storia indiana e non nostra. Le nazioni eroiche e bellicose non hanno mai tratto nulla dalla propria storia, e ancor meno da quella altrui. Come tutti gli jugoslavi, sapevo che la guerra era immi nente, lavevo vista prepararsi nei media, nel corso degli ulti mi quattro o cinque anni. Ma come tutti gli jugoslavi, non volevo credere al suo accadere. Ora, penso che proseguir fino allo sterminio finale, e anche oltre. In questi quattro o cinque ultimi anni, siamo stati preparati alla guerra attraver so la manipolazione dei miti della fondazione e dellorigine. Ognuno lha fatto per la sua parte, ma soprattutto, fin dalli nizio, lha fatto la parte serba (metto il termine tra virgolette perch credo che in nessun caso un popolo come tale sia responsabile della guerra: dopo lOttava sessione del comitato centrale del partito comunista della Serbia, questo colpo di stato speciale del Partito tramite cui Slobodan Milosevic giunto al potere, sono i dirigenti e i mezzi dinformazione da loro controllati ad avere la responsabilit di tutto, in particolare la televisione ufficiale e Politica). Lo scenario era tipicamente fascista: si parlato del pericolo corso dal popolo (serbo), della sua bont, della sua illustre antichit e del valore dei suoi monuiBfflfsfcifttenzioni di

genocidio che avevano le altre nazioni. cos che nato il pericolo corso dal popolo (serbo), in na terribile profezia di autorealizzazione. I miti della fondazione e dellomogeneiz zazione nazionale, degli uni, hanno innescato lo stesso pro cesso negli altri, i nemici, che sono stati creati in questo modo. Si sono spaventate le popolazioni, abbrutito ognuno con la pretesa supremazia della propria cultura in rapporto a quella del vicino. Si cominciato a parlare di Stati e di primi re, le ossa di questi re hanno circolato nei paesi o si favoleg giato intorno ai mitici primi eroi e codici di leggi, le chiese e le storiografie apocrife si sono mescolate, c stato un rilancio delle pubblicazioni sulla storia nazionale (in tutti i campi). La dimensione nazionale divenuta la pi importante e pro gressivamente lunica, ed ha nascosto tutte le altre differenze, in modo pardcolare quelle individuali. Ha messo fuori gioco e completamente allontanato il cittadino, la cittadina, le dif ferenze di sesso, di classe e ogni altra. I capi hanno cominciato a interessarsi allo stupro su una base nazionale (affermando che i loro violentano le nostre donne), quando lo stupro come tale e allinterno d un medesimo popolo - crimine da tempo molto diffuso non li aveva mai interessati. La retorica del Focolare, in accordo con la civilt della morte, era partita: i nostri focolari si spengono, gli altri popoli si moltiplicano alleccesso pro prio mentre il nostro muore di peste bianca: le nostre donne non fanno abbastanza figli, e quelle degli altri ne hanno troppi. Ho passato tutta la mia vita tra Belgrado, dove sono andata a scuola e dove mio marito lavorava, e Zagabria, dove ho terminato gli studi e lavorato. Durante la guerra di una settimana in Slovenia, ero a Zagabria, poi, nel luglio 91 sono partita per le vacanze e per motivi di lavoro, alla volta di Bel grado e, da l, ho seguito la guerra in Croazia. Allorch la situazione si inasprita al punto che non potevo pi viaggia re n in aereo n in treno, il 15 agosto 1991, ho preso uno degli ultimi autobus per Zagabria. Quando la guerra inizia ta per davvero, io non ho mai potuto credere che stesse pren dendo quelle dimensioni distruttrici, bench lavessi vista accadere. A partire dallinsopportabile propaganda condotta dal regime serbo contro i Croati, e da quella, inqualificabile, del regime croato contro i Serbi, avrei dovuto comprendere che la guerra si era insinuata profondamente fra noi e che J2

non avrei pi visto Goran nel nostro paese comune. Gli attacchi dellesercito un tempo federale sono cominciati (in Croazia), prima di tutto in Slavonia. A Zagabria gli abitanti sono stati preparati alla guerra facendo salire la temperatura: propaganda, istigazione allisteria collettiva, istruzioni per organizzare i rifugi e vivere in tempo di guerra. Spinta dalla paura, la gente ha accettato con una fretta sorprendente di collaborare e, con ci, ha acconsentito alla guerra. C erano poche teste fredde (da qualsiasi parte ci si trovasse). Ho disapprovato questi preparativi di guerra e, pi tardi, la follia che spingeva gli zagrebini nelle cantine o nei rifugi ogni volta che sentivano le sirene, quando Zagabria non mai stata bombardata. Non sono mai scesa al rifugio (in molti non lhanno fatto), pensando che bisognava conservare un mini mo di dignit umana. Qualche settimana fa, quando a Saraje vo la psicosi collettiva della guerra e le prime esplosioni era no appena cominciate, il mio amico, lo scrittore Dzevad Karahasan, mi ha assicurato che non sarebbe pi sceso nel rifugio per le stesse ragioni, che avrebbe continuato a scrive re al suo tavolo, e mi ha invitata a riparare a Sarajevo, dove la gente non voleva la guerra, e dunque non sarebbe scoppiata. E vivo Dzevad? Non sappiamo cosa sia successo a quelli che amiamo in Bosnia, chi vivo, chi morto. A Mostar, la casa della madre di Goran stata distrutta. Mostar stata rasa al suolo come Vukovar, ci dicono ora. Sarajevo anche, racconta qualche raro testimone.... Dzevad, sarei scesa al rifugio se le bombe fossero cadu te intorno a me, se mi avessero bombardato, ma a Zagabria la situazione era differente da quella attuale di Sarajevo, face vano ululare le sirene per spaventarci e seminare il panico, ma tutto era calmo. Non credevo neanche che stessero per attaccare Zaga bria. Oggi, sono stupita che non labbiano fatto, quando vedo con quale facilit radono al suolo le citt della Croazia e della Bosnia-Erzegovina. Quando hanno iniziato a bombar dare sistematicamente Osijek e le altre citt, ho capito che niente avrebbe impedito che bombardassero anche Zagabria, poich non esiste nessuna barriera morale. Certo, si potreb bero dire molte cose sugli altri partecipanti alle guerre balca niche; qui, non ci sono innocenti. In Croazia come in Bosnia, si riprodotto il medesimo scenario. La difesa nazionale ha preteso che lesercito, un tempo federale e via via sempre pi

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serbo, si ritirasse, ma nello stesso tempo bloccava le caserme e sparava sullesercito appena faceva un gesto perch aveva lintenzione di portar fuori le armi e il materiale. C era molto malcontento sia da una parte che dallaltra. Ma la responsa bilit e lerrore sono tuttavia proporzionali alla roz2ezza del larmamento e lesercito aveva larmamento pi rozzo e lha utilizzato. L dove tutti sono colpevoli, il pi colpevole colui che aggredisce, e che possiede e manovra la forza pi grande. La citt si involgarita, militarizzata, chiusa da barrica te di metallo e di cemento; un grosso nastro adesivo bruno stato incollato sulle vetrine durante la notte per non farle rompere in caso desplosione, sacchi di sabbia di produzione cinese (la guerra simporta) sono stati gettati davanti alle por te, alle finestre. Alcuni spaventapasseri in camicia nera e in tuta m im etica hanno invaso le strad e, si parlato di ripulire il territorio (eliminando gli altri), profughi scon volti e senza tetto hanno cominciato ad affluire con il loro fagotto striminzito, le finestre si sono oscurate, la notte, la luce stata spenta, al tramonto abbiamo smesso di uscire, e le sirene che risuonavano pi volte al giorno ci hanno impe dito di condurre una vita normale, di approvvigionarci e di lavorare. Non si poteva fare pi niente, comprare niente, del resto, non cerano pi i soldi, anche le banche non ne conse gnavano pi. Tutto diventato nero, ci siamo arresi, e siamo divenuti dei lombrichi, la notte. Non era il caso di dire, come faceva la propaganda ufficiale, che lunico colpevole era lal tro schieramento. Chi avesse voluto, avrebbe potuto vedere come contribuivamo alla guerra, fossanche difensiva. (Senza contare la provocazione, lodio, lo sciovinismo, il separati smo che si accanivano anche da questa parte). Ogni parte del conflitto incarnava il diavolo per l altra, che a sua volta proiettava su quella tutto ci che cera di pi spregevole in lei. A causa delle sirene e dellinterruzione della circolazione, come per gli obblighi militari recentemente instaurati per gli uomini, non si poteva n uscire dalla citt, n telefonare tra Serbia e Croazia. Ancora non si pu. Ho potuto sentire di nuovo la voce di Goran soltanto una volta giunta allestero, da dove posso chiamarlo, e non ci siamo potuti vedere fino a quando ci siamo ritrovati tutti e due a Parigi. Qualsiasi cosa meglio della guerra. E sebbene in Bosnia il rapporto di forze sia molto pi chiaro che in Croa

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zia, sebbene sia evidente che i nostri cento anni comuni di futura vergogna e la nostra tragedia attuale provengano dal lesercito e dagli imbrogli di Milosevic, non posso n con dannare n odiare i Serbi in generale, e sono allergica a ogni odio generale e di principio nei confronti di qualsiasi popolo, come del resto a ogni generalizzazione. Sono daccordo con Pascal Bruckner quando dice: Penso che sia un errore iden tificare un intero popolo con il suo regime (...). La condanna del regime che attraverso la sua politica dostinazione e di terrore ha generato non soltanto Vukovar, ma anche molte altre distruzioni, non pu essere messa in relazione con la condanna di tutto un popolo 2. Bruckner dice anche che la distruzione di Vukovar gli ha aperto gli occhi (l ha potuto vedere chi era laggressore e chi la vittima). Da parte nostra, lo si sapeva da tempo. Ma almeno chi era aperto alle informazioni provenienti da fonti diverse, abituato a leggere tra le righe e pronto ad ascoltare i racconti dei testimoni, riusciva a fare alcune distinzioni: si sapeva che con Vukovar si giocavano almeno due sporchi giochi al momento della distruzione della citt da parte dei Serbi. E che, purtroppo, gli uni come gli altri avevano le loro ragioni perch tutto si svolgesse cos come si svolto. La parte serba aveva la sua logica di distruttrice di citt; quella croata, la logica della vittima che avrebbe avuto finalmente una prova pubblica per attirare la protezione mondiale (come sperava invano) e arrivare alla sovranit, il sogno autistico delle nazioni di recente costituzione, dei politici e profittatori di guerra. Tutto questo agisce come un male radi cale secondo linterpretazione lacaniana3 che Slavoj Zizek d del nazionalismo, cio come un male che precede la scelta fra ci che bene e ci che male. Si tratta in effetti di un para dosso che nasce dalla confusione dei livelli tra i quali si svi luppa lintreccio. Il soggetto (politico) non sidentifica qui con la Legge ma con la sua trasgressione. Non si basa sulla legge ma la rimette in questione e gode della sua trasgressio ne preliminare, del suo rigetto, identificandosi con il Grande Altro. Minare lidentificazione fondamentale in un gruppo (per il tramite della legge) una vera sovversione, un piacere speciale. Il nazionalismo appare cos come un difetto di fun zionamento inerente al sistema, e come tale, ne diventa la condizione imprescindibile. Con questo procedimento, si distrugge dunque la fondazione esistente e se ne pone una

nuova come postulato. Cos il luogo pi in alto un luogo vuoto di potere. Questo spazio vuoto viene occupato - dal nazionalismo, male nazionale radicale. In tal modo, il male precede il bene come pulsione di morte. La scelta tra il bene e il male non primaria. La scelta primaria si svolge tra male radicale e subordinazione (al gruppo, alla Legge). La scelta del male radicale rende possibile la soggettivit. Noi abbia mo gi scelto il male nella misura in cui siamo soggetti. Il risultato qui non 0 (zero, niente), ma una nuova Legge. Quindi, il potere legale si fonda sullassolutezza del crimine. La nazione resta cos pre-moderna, come necessaria condi zione per listituzione della nuova Legge. Purtroppo, la logica serba, nel caso della distruzione delle citt durante la guerra, s e mostrata pi efficace, nes suno ha aiutato la Croazia n Vukovar. Le vittime sono state molto pi numerose di quanto fosse necessario perch la logica croata non ha lasciato che la popolazione partisse, mentre la gente serba era gi stata trasferita prima che le citt venissero rase al suolo. Vukovar non mi ha aperto gli occhi (come a Bruckner) circa i colpevoli e le vittime (queste non si trovano mai unicamente dove le cerchiamo), ma, in modo del tutto pragmatico, mi ha aperto gli occhi sul fatto che niente pu fermare gli aggressori e che quindi non c nessu na ragione per non bombardare anche Zagabria, essendo ovvio che le categorie morali non entrano affatto in gioco. Ancor oggi, guardando al passat, mi meraviglio che non abbiamo bombardato Zagabria. Non era pericoloso. Zagabria, come d altronde Belgrado, si distrugger da sola, dal suo interno, il terrorismo evidentemente iniziato. Prenden do Sarajevo per bersaglio, ovvio, essi attualmente mirano al cuore della Jugoslavia, al suo nucleo caldo, il pi vulnerabile, il punto dove la Jugoslavia pi vicina a se stessa, pi somi gliante a se stessa nel senso del mtissage. La Bosnia era un luogo dincrocio e di mescolanza di culture, per questo che coloro che appartengono ad una cultura, ad una (sola) nazione vogliono distruggerla. Azzerano cos le differenze e la mescolanza. Con la distruzione delle citt, si nega la cultura che ovunque, soprattutto in regioni con popolazione mista come le nostre, frutto di un incrocio e del reciproco e fecondo sc am b io di d ifferen ze. E cco l obiettivo dei nuovi purificatori. Non si tratta soltanto di distruggere le citt,

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ma le citt in quanto gigantesco pentolone (bosniaco) della cultura in cui sono mescolati ingredienti e spezie tra i pi vari. Non posso non citare un brano del discorso che Bogdan Bogdanovic ha tenuto alla tavola rotonda di Belgrado il 25 aprile 1992:
Coloro che compiono orrori e distruggono le citt non sono pi sol tanto dei fantasmi che sincontrano nei libri; essi sono vivi e vegeti e si trovano tra noi. N on ci resta che dom andarci da quale abisso d el lanima popolare sono nati e dove vanno. Su quali false prem esse si fonda la loro rappresentazione del m ondo? Q uali sono le immagini che li ossessionano e di che natura sono? Qual il m orbido album che sfogliano? chiaro che non il libro idilliaco che custodisce la memoria della citt. H primitivo non accet ta che qualcosa abbia potuto esistere prim a di lui, la sua eziologia semplice, esclusiva, unica, soprattutto quando stata elaborata in m odo sistematico, grazie agli slogan pronunciati nei caff. Riconosco che difficile descrivere i fenomeni che qui si stanno evocando. Per ch essi si situano senza dubbio oltre ogni descrizione. per tale motivo che bisogna considerare queste riflessioni come una sorta di cupa diagnosi personale che mi permette, con il soccorso dellintui zione, di cercare nellanim o dei prim itivi qu alcosa che assom igli allantica e archetipica paura della citt, cos come la si riscontra nel le epoche passate che riferiscono delle loro conquiste. Soltanto... un tempo, molto tem po fa, si trattava di una specie di santa paura che veniva quindi sottoposta a regole, soffocata. O ggi si pu parlare uni camente di sfrenate rivendicazioni di bassissim o livello. M i sem bra di individuare nellanimo im pazzito dei distruttori di citt una sinistra preoccupazione nei confronti di tutto ci che urbano, e dunque nei confronti delle complicate serie semantiche dello sp irito, della m orale, d el linguaggio, del gusto, dello stile. Voglio ricordare che la parola urbanit dal X IV secolo ha lo stes so significato nella m aggior parte delle lingue europee: leducazione, la coerenza, laccordo tra il pensiero e la parola, la parola e i senti menti, i sentimenti e i gesti, ecc. P er qualcuno che non in grado di sottostare alla legge dellurbanit, la cosa pi facile da fare liqui darla, molto semplicemente. L a sorte che hanno subito Vukovar, Mostar, Bascarsija, la citt vec chia di Sarajevo, mi ricorda in m odo funesto quello che ha gi corso il rischio di essere Belgrado. N on penso che nuovi invasori appariran no sotto le mura di Kalamegdan, per distruggerla. Tem o i nostri capi come distruttori. Poich le citt non si annientano solo dallesterno, fisicamente; si possono distruggere anche spiritualmente, dallinter no. questa la variante pi certa. Con la forza delle armi, linvasore

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ci costringer ad accettarlo come concittadino. Nelle nostre condizio ni e nelle regioni balcaniche dove le migrazioni non sono un fenome no raro, il pericolo si configura in m odo netto. L e analogie sono ine sorabili. Se consideriam o, ad esem pio, che la lotta di liberazione nazionale, durante la Seconda Guerra mondiale, rappresent anches sa un grande esodo, una migrazione armi alla mano, una specie di contributo coatto della popolazione non urbana alle citt, possiamo im m aginare in tutta tranquillit le conseguenze della ripresa di un medesimo scenario. C chi fra noi certamente ricorda fin nei minimi dettagli a cosa assomigli questa salutare rigenerazione delle citt4.

D altronde, non solo in questo testo che Bogdanovic parla, post festum se si pu dire, del fenomeno della distru zione delle citt. Egli ha dedicato la sua vita alla riflessione sulla distruzione e la costruzione di citt, ma richiamando qui il loro annientamento rituale, come tutti noi, con impo tenza, guarda da vicino i distruttori allinizio dellopera. Tutto ci molto normale, diranno Ren Girard, Michel Serres e le teoriche del femminismo, ma la prima volta che la nostra generazione si confronta con questo pro blema. In Bosnia-Erzegovina, coloro che detestano le citt sono i papani (papa), e coloro che le amano rappresentano la raja. La raja (termine che indicava il popolo durante la domi nazione turca), per il momento annientata, le citt rase al suolo: Mostar, Sarajevo, Foca, Doboj, e molte altre, anche in Croazia. Gli abitanti che rimangono, quelli sfuggiti miracolo samente alla morte e alle migrazioni di massa, scontano la carestia, le ultime ortiche sono state mangiate, i bambini muoiono, stipati negli scantinati, per mancanza di cibo, Sarajevo bloccata, laeroporto fuori servizio, le forze ser be di Karadzic acquartierate sulle colline vicine tengono la citt in pugno. La gente lascia la citt a piedi, si spara sulle colonne di civili. Quando lIndia e il Pakistan si sono divisi nel 1948, durante una sanguinosa guerra fratricida, i treni che traspor tavano gli sfortunati profughi partivano in tutte e due le dire zioni. I musulmani andavano verso il Pakistan e gli abitanti del Sind verso lIndia. I convogli arrivavano a destinazione, colmi di gente sgozzata....(Fu altrettanto sanguinoso anche il pi recente distacco del Bangladesh). Khunshwant Singh descrive in modo magistrale quei terribili avvenimenti nel suo libro, A train to Pakistan.

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di questo genere di urbanit, di civilt, che si parla oggi nei paesi jugoslavi, in India, nellex Unione sovietica, ovunque si rinnovi lo zelo nazionale o religioso e la politica della pulizia (che del resto vanno di pari passo). Ci si verifi ca ovunque la matrice di base, etnica e culturale, sia mista. Le differenze, invece di trasformarsi in vantaggi, cosa che potenzialmente sono - perch arricchiscono -, vengono di nuovo negate - in nome della differenza specifica (di un gruppo). Si accetta la differenza, questidea uscita dal 1968, bella certo, ma imprecisa, senza mettere per in rapporto tutte le diversit con la propria, anzi, al contrario, la differen za trionfa come principio di discriminazione nei confronti dellAltro e di ci che diverso. Quando nel 1968 e pi tardi negli anni 70, in pieno movimento femminista, si lev la parola dordine viva la differenza!, ne ho presentito tutta l ambiguit e ho attirato lattenzione su questo. Perch avrebbe potuto aspirare alla democrazia cos come essere una parola dordine dell 'apartheid, e lapartheid generalizza to, pi che tra i bantustan, infierisce su di noi. Non cos certo che la disgregazione del socialismo sia solo questo e nientaltro. Senza addentrarsi in analisi che indubbiamente mostrerebbero le molteplici cause di questi drammatici avvenimenti, temo che lo scenario pi probabile sia quello dellinselvaggimento totale e della vampata di disor dini razziali, etnici, nazionali, di destra (tendenze politiche e livelli di sviluppo tutti confusi) sia nellEuropa dellovest che negli Stati Uniti. L incendio potrebbe ben allargarsi. Alla disgregazione del socialismo come forma particolare del capi talismo succede forse quella del capitalismo come origine del socialismo. Si tratterebbe esattamente dello stesso fenomeno. Le rivolte razziali a Los Angeles erano un fenomeno cos radi calmente diverso da quello prodottosi nella Jugoslavia di oggi e che minaccia di espandersi ai Balcani e allEuropa? Direi che lunica differenza risiede forse nella potenza economica grazie alla quale lOccidente pu difendere il suo arroccamento pi a lungo del socialismo, che ha fallito. E, naturalmente, rinforzar lo con la repressione. E, nonostante ci sembri paradossale, questa difesa, questa scelta contro lincrocio e la mescolanza si realizzer malgrado lunione europea. Quando si render necessario per difendersi dalle orde selvagge dellEst (in apparenza non cambiato niente storicamente per quanto riguarda questa paura immaginaria duna invasione dallEst), il

nazionalismo europeo sovra-nazionale (a cui tende lEuropa con la sua unificazione), si esprimer con la difesa dei valori della nostra civilt, quindi della civilt europea. Del resto, lEuropa ha unesperienza di molti secoli in questo campo e non innocente. La storia del colonialismo, e leurocentrismo culturale in cui ci troviamo tuttora, non erano nientaltro che questo. L unica soluzione non sperimentata dalla civilt e quindi (chiss) la sola con un senso, potrebbe essere la scelta cosciente dellincrocio, ma in nessun caso quella della cultura nazionale. Anche il regime socialista in Jugoslavia stato cieco per quanto riguarda questa scelta e non vi ha riflettuto. La scelta dellincrocio delle culture maturata senza che se ne accorgesse, come un dono che non meritava, che il regime non ha coltivato n sviluppato in vista d una nuova possibi lit di preservare la comunit. E questo perch non possiede n teoria n linguaggi. In un certo senso, sempre involonta riamente, stato rafforzato dalla politica di non-allineamento e dal legame con il Terzo mondo, detestato allepoca del nazionalismo per le stesse ragioni di purismo nazionale. Il calderone jugobosniaco ignorava cosa si stesse tramando alle sue spalle, nel bene e nel male. La raja, in Bosnia-Erzegovina, rappresenta la semplice popolazione di citt, quella che costituisce la citt, nel senso positivo e senza presunzione. E la massa, ovvero quella che viene considerata come tale, ma che si oppone al gregarismo, poich il concetto di raja prodotto dallinterno della stessa e porta con s la giusta resistenza alla massificazione e allomogeneizzazione. La raja ha una naturale e innata coscienza di classe, che non marxista, ma legata alla vita reale, la raja guarda con humor e disprezzo, forse con un filo di fatalismo, al potere, la raja, prudentemente, non partecipa al governo. La raja non ha etichette nazionali e non appartiene ad un gruppo ideologico e determinato in senso nazionale. Vicina al proletariato o in parte simile ad esso, tuttavia non vi si identifica completamente perch la sua esistenza non si gioca soltanto nella componente dei rapporti di produzione, ma anche nella vita locale e urbana, quella dei caff (che qui la principale forma di vita pubblica). In parte, la raja schiva e si preserva cos, mediante la solidariet, conservando nel suo insieme uno spazio per lindividualit di fronte allesterno, per il concetto e il nome. Ma essere la raja non un atteggia-

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mento politico, la raja non un soggetto politico, perch (a differenza del proletariato) essa sempre composta da indivi dui e non pretende luniversalit. La raja una popolazione civilizzata, con una cultura urbana, che viene tormentata dalla vita e/o dal potere, e sulla quale ora cadono le bombe. La raja composta da Serbi, Musulmani, Croati, Ebrei, tutti insieme. I loro interessi (salvare la vita stessa) sono comuni, si assomi gliano. I papd (o papam), nel linguaggio offensivo della raja, sono i selvaggi delle montagne che non conoscono la citt e che non vi hanno mai vissuto (come noi indo-europei prima dellattacco al subcontinente indiano). I papd sono papd (per la raja), indipendentemente dalla loro nazionalit. Perch la nozione di papak appartiene anche allapparato concettuale della raja. Ma i papd vengono dai villaggi che molto pi delle citt (con popolazione mista per definizione) sono etnica mente puri o pi puri e, cosa ancora peggiore e pi evi dente in questa guerra, i papd si sono divisi, secondo tale principio, in unit militari e paramilitari, per distruggere una volta per tutte la mescolanza e lincrocio delle culture che erano lunica chance del territorio. Chiamati collettivamente papd dalla raja, i papani appaiono spesso (ma non sempre) divisi secondo il principio etnico e nazionale. Questo nome collettivo ha tuttavia un senso per loro, a dispetto delle diffe renze: essi condividono (in questo caso) lostilit nei confron ti della civilt urbana e ci a prescindere dalle diverse nazio nalit. La popolazione delle citt troppo mista, infatti, per ch si possano bombardare solo i Musulmani o altri, allora si bombardano tutti quelli che ci vivono. E interessante notare che i papd sono considerati allinizio come individui e non come unorda (bench si rischi presto di associarli al calpe stio degli zoccoli di un bestiame devastatore - in serbocroa to, la parola papak indica gli zoccoli dei ruminanti), e questo, nelle attuali circostanze, un modo di vederli molto cavalle resco. La raja capace di dimostrare una tale magnanimit poich le sue fila sono da sempre rinforzate e ingrossate dai papani e la raja accetta di primo acchito la mescolanza. La raja, mai sottomessa al gregarismo, non accusa laltro, nono stante gli eventi dimostrino che lavrebbe meritato. La Bosnia-Erzegovina distrutta, schiacciata, i dirigen ti serbi (jugoslavi) e croati se la contendono e se la sparti scono. Le formazioni paramilitari, gli estremisti di una parte

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e dellaltra, devastano il paese, si combattono per i loro terri tori e li purificano sul piano nazionale, cacciando con invi sibili e impossibili migrazioni, perlopi a piedi, i gruppi di sventurati profughi che hanno perduto la loro famiglia, la casa e i beni. Queste colonne di persone vengono massacrate lungo la strada, difficile oggi fuggire dalla Bosnia per rag giungere un luogo sicuro. Sembra che lEuropa e le Nazioni Unite per il momento abbiano abbandonato la Jugoslavia al suo destino, e la stessa cosa hanno fatto gli Stati Uniti. Que sto paese povero, che ha perduto la sua importanza strategi ca (nel senso in cui la si intendeva una volta) con il crollo dellUrss, non ha alcun interesse per loro. Ma non sono abbastanza lungimiranti. Perch, se oggi si tratta delle nostre frontiere, probabile che domani sia il turno delle vostre, la cosa certa. Se oggi le trib guerriere hanno dilagato qui, domani saranno tra voi. Che ne sar delle nostre migrazioni in Occidente (chi fermer questo flusso? Ricordiamoci le immagini dei boat-people albanesi, lanno scorso, e il modo in cui le autorit italiane li hanno accolti!), della vostra estre ma destra e dei suoi discorsi xenofobi, del vostro marciume interno, degli schiavi della miseria e della povert, della gente di colore e degli altri esclusi che nascondete nelle periferie sotto le spoglie della finta prosperit e della libera concor renza? Sar sufficiente che qualcuno sollevi il coperchio della pentola, come accaduto recentemente a Los Angeles, affin ch anche voi abbiate la vostra Bosnia, la libanizzazione e la balcanizzazione oppure la jugoslavizzazione. L unica cosa che vi venuta in mente fino a questo momento stata di chiudere e difendere le vostre frontiere, creare un cordone sanitario tra voi e noi. In questo modo non fate che ripetere il secolare gesto che ha condotto a tutto ci. Niente di nuovo stato inventato. Nessuno ha osato coscientemente e su gran de scala, coltivare, curare e sviluppare la mescolanza rispet tando le differenze, poich i confini e i muri non si trovano soltanto nelle geografie politiche, ma anche nelle teste. I paesi jugoslavi sono devastati, si prepara la guerra civile in Serbia. Le trincee sono scavate, le armi ripartite e il popolo che non si nutrito coi miti della fondazione e dellorigine, soffre. Coloro che disprezzano le citt vietano la memoria, la continuit al di fuori di essi. Come nella guerra descritta nel Mahbhrata, la vittima una sostituzione. La vittima viene sostituita, quelli che vengono sacrificati ci rimpiazzano per

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non farci inserire nella continuit dellaltro, o per farci rubare e usurpare un posto. La vittima muore al nostro posto, e noi cerchiamo (con il mito della fondazione, con la nazione) di dimostrare una trascendenza e di sfuggire cos alla morte. L origine quindi il punto oltre il quale non si risale. L ori gine la scatola nera verso cui nulla ritorna scrive Michel Serres 5. Roma una citt eretta sulla lapidazione, sulla distruzione delle antiche colonie, sulle tombe e sulla sofferen za delle vittime (la cui lingua non ha senso, non viene compre sa, nel discorso dominante), sul massacro. questa la fonda zione. Non si tratta di una rinnovata offensiva del Medioevo, un fenomeno preistorico integrato nella storia dellumanit, e perci anche il segno della modernit.
Gli omicidi, dapprima, formano una serie, la famiglia fondatrice ha inizio, essa fornisce unimmagine globale: la m adre seppellita, un gemello linciato, laltro fatto a pezzi. Q uesta serie continua, fino a Giulio Cesare, fino alla nascita del cristianesimo, e oltre. la fonda zione corrente, che ritorna nel tempo e potrebbe servire per la delimi tazione delle ere e delle epoche. Difficilmente viene evidenziata. L ar roganza della nostra cultura risente del suo barbaro fondam ento6.

L Europa costruisce, rinforza, definisce e ridefinisce invano la sua frontiera orientale. L Eurasia fisicamente un continente, e lAsia si estende fino a una Londra tropicalizza ta (Salman Rushdie). La macchina dellodio, della fondazio ne e della scrittura della storia nazionale ovunque la stessa e semina la morte. Ogni anno, a Ahmedabad divampano nuovi incendi di negozi e di baracche, quando il corteo induista chiamato rathyatra scende in strada. Sui grandi carri antichi, vengono condotte le statue del dio Jagannath e della sua corte, sono gli stessi fedeli a drarle con le corde, scortati da una folla esultan te. Ma la processione passa per il quartiere musulmano, vicina alle botteghe dei sarti, degli artigiani, in gran numero poveri, ai quali si aggiungono anche alcune donne. Basta il lancio di un sasso, eterno atto di provocazione, affinch scoppi la vio lenza e le botteghe e le case sinfiammino, mentre si d il via allinvasione delle case, al saccheggio, allo stupro, allassassi nio, alla tortura. I poliziotti guardano i combattimenti selvaggi da una distanza rispettabile e per la maggior parte del tempo non intervengono, i camion che hanno scortato il dio dalla sua

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uscita hanno fatto preliminarmente il pieno di pietre, benzina e armi, nel caso che. Restano le macerie fumanti, poveri incapaci di rialzarsi, che hanno perduto i loro attrezzi e le loro botteghe, senza pi mezzi di sostentamento n case, senza pi la merce comprata e le materie prime che devono pagare, sen za sostegni. Ogni anno, levento si ripete, i sopravvissuti o coloro che sono sfuggiti alla battaglia capitolano e vengono spediti in campi provvisori e malsani (anche le case lo sono generalmente, ma nei campi peggio e pi pericoloso, a causa delle epidemie). Numerosi sono quelli che non vogliono ritor nare nelle loro case, pur se ne resta ancora qualcosa. A volte, i campi medesimi diventano il bersaglio degli attacchi, alcune famiglie li hanno subiti durante gli anni. Lo Stato organizza qualche volta campi per i profughi o assegna loro un contribu to, un piccolo aiuto e un riparo - questo fomenta la gelosia dei poveri dei villaggi circostanti o di quelli dappartenenza nazio nale e religiosa opposta, e la violenza continua... Come nel quartiere di Tilak-Vihar, a Delhi, dove gli appartamenti sono stati assegnati alle famiglie delle vedove Sik, dopo le grandi violenze perpetrate ai loro danni in seguito allassassinio di Indira Gandhi nel 1984 per mano di due Sik. Le rappresaglie trascinano altre rappresaglie che trascinano altre rappresaglie ancora ecc... la triste monotonia del massacro si ripete allinfi nito. Le famiglie colpite hanno ottenuto le abitazioni (e le vedove, la promessa mai mantenuta di un impiego) nei dintor ni dei tuguri della miserabile colonia di Hariana, che non han no mai ricevuto il minimo aiuto e che per questo motivo scari cano la loro rabbia contro gli usurpatori che si sono appena insediati. Dallaltro lato della colonia, molto vicino, sono state sistemate senza riflettere (o intenzionalmente?) le abitazioni per i profughi induisti del Punjab sfuggiti alle violenze dei Sik. Queste colonie non possono coabitare. Dopo il massacro di passeggeri induisti su un autobus a Muktsar, in Punjab, nel 1986, da parte di presunti terroristi, si assistito, a Delhi, a nuovi pogrom contro i Sik e i musulmani. Ci sono stati scontri tra gli abitanti di Tikar Vihar e un gruppo di Hariana giunto dai tuguri vicini. Due abitanti sono rimasti uccisi nel corso di una sparatoria della polizia. Una donna dice, impotente: Uno dei miei figli Sik, laltro, induista, dimmi, figlia mia, con quale devo vivere?. La tradizione vuole che, nelle buo ne famiglie induiste, almeno un figlio diventi Sik, che si con verta. Attualmente, in Punjab, diventata una cosa impossi

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bile, il sangue viene versato da tutte le parti. Furibondi, i gio vani integralisti Sik minacciano, uccidono, attaccano, bracca no i venditori di alcool e carne. Con lintimidazione, sono riusciti a far scomparire in un batter docchio questi negozi cos come le edicole di giornali (non Sik) da tutto il Punjab. Il tempio doro di Amritsar il rifugio di pericolosi assassini armati. Vogliono il Kalistan, uno stato sovrano, puro dal punto di vista nazionale e religioso. Vista la piega che pren dono gli avvenimenti, essi possono spuntarla. NellIndia non-violenta, gruppi politici di ogni parte, piccoli e grandi, avvelenati dalla religione e dal nazionalismo, seminano il ter rore, chiedono la separazione, uccidono. La situazione la stessa nei paesi circostanti: il governo dello Sri-Lanka ha bombardato per due giorni Jaffna e il suo ospedale, lunico della regione, nella sua provincia del nord. L ospedale colpi to per otto volte, ha dovuto chiudere. Gli autonomisti tamil hanno piazzato bombe nei luoghi pubblici, massacrato bus interi di civili che viaggiavano verso Trincomalee o verso altrove. Quando la violenza scoppia, non ci sono domande, n spiegazioni, n salvezza, n niente che provi chi ha comin ciato ( sempre laltro), n accordi. Non c che laccecamen to, la follia, la crudelt, la sete di sangue, il fanatismo. La logica del gruppo, quale esso sia, determinata dallapparte nenza e dalla nazionalit d origine, e si fonda sul sacrificio di innocenti: pi ci sono nemici e meglio , perch cos che si giunge alla fondazione e la loro morte la prova della loro colpevolezza. L aggressore lascia volentieri la sua firma sul luogo del crimine, siscrive nel luogo del massacro ed entra in tal modo in un luogo vuoto rimuovendo il ricordo di chi stato ucciso. La morte, come segno o traccia, come surplus di violenza (perch inutile e superflua), garantisce la sua iscri zione. Ecco come laggressore, o il suo gruppo, si autolegitti ma. L omicidio per il suo autore una elevazione sulla sca la ontologica: senza violenza, egli non esiste - dal momento che esiste solo in quanto bruto. Ogni identit passa attraver so lAltro, ma diventa paradossale quando distrugge questo Altro - che sempre lAltro da noi. Da qui, la logica della morte. Io - al posto di chi stato ucciso. Le vittime inno centi non sono errori dovuti alla mancanza di precisione del la violenza; sono, al contrario, indispensabili e previste dal procedimento. L aggressore vive nel presente, d un senso alla sua vita (d un senso alla guerra, secondo le afferma

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zioni nazionaliste serbe) nellimmediato, e non neUawenire, non lascia la valutazione del senso della vita e dei suoi intri ghi a un domani o a un altro. Anzi, si tratta di qualcosa di completamente staccato dal tempo e dal contesto, un fatto che il contesto stesso definisce con un grande zero. Il carnefi ce interiorizza la sua vittima, si nutre del suo sangue, assorbe il senso della sua vita scoperto con la sua morte. L aggressore si sforza di dare alla sua vita un senso pi alto, non accetta i valori correnti, rimette in discussione lordine esistente: si crea da solo i suoi punti di riferimento - uccidendo. Pi la vittima innocente e pi latto abominevole efficace e lag gressore raggiunge uno stato elevato nella struttura simbolica appena riorganizzata. A causa di una qualche perversit o ingenuit, la parola sanscrita smarana, che significa (testual mente) memoria, comprende anche la parola marana, agonia. Parigi, 24 maggio 1992

Postilla: lultima parte del testo, che riferisce delle violenze a Ahmedabad, scritta a Bnares nel 1987, stata qui aggiunta a titolo dinformazione.

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NOTE

1 Si veda: D ebipbasad C hato pa dh yaya , History of Science and Technology in Ancient India. The Beginnings, introduzione di J. Needham, Calcutta 1986. 2 P a s c a l B r u c k n e r , Vukovarski prelom, V rem e (Belgrado),
4.5.1 9 9 2 , p . 2 6 . S lavo] Z izek , Il sogno del nazionalismo spiegato dal sogno del

male radicale, relazione al Collegio internazionale di filosofia, Parigi,


2 3 .5 .1 9 9 2 . 4 B o g d a n B o gd an o v ic' Il massacro rituale delle citt, cit. 5 M ic h e l S erres, Rome. Le livre des fondations, cit., p. 33.

6 Ivi, p. 123.

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NAZIONI E RAGIONI

Potremmo forse dire che nella guerra jugoslava ogni nazionalit ha la sua propria ragione e che secondo ogni logica, esse si equivalgono. Avere la propria ragione potrebbe qui definirsi purtroppo anche con lespressione inglese dallaccezione appena differente - to have ones own mind. Dal momento che si scelto di preferire in qualsiasi caso il proprio gruppo rispetto agli altri e dal momento che ogni gruppo ha deciso cos, si possono stabilire le regole su due livelli. Al livello di tutti i gruppi presi insieme e visti dallinterno, queste logiche, queste ragioni, si equivalgono. Ma al livello di ogni gruppo preso separatamente, non posso no affatto equivalersi, si escludono lun laltra. Si potrebbe affermare che i malintesi nascono quando la logica di ogni nazione non riconosce quella di tutte le nazioni. Sulla spiag gia delle nazioni, infatti, non c un posto al sole per tutti. L ex-Jugoslavia venne appropriatamente chiamata uno snakepit (fossa dei serpenti) da alcuni giornali americani. E quello che noi siamo diventati: un groviglio di vipere. O meglio, il male assoluto. H o visto il film spettacolare e terri bile di Werner Herzog sulle conseguenze della guerra nel Golfo. II suo titolo Lezioni di tenebra. Il pi delle volte, gigantesche torce in uno spazio apocalittico arroventato, e poi, la penosa e sovrumana estinzione di quei pozzi, di quella pianura sprofondata nel petrolio, impantanata nel catrame, satura di colla scura, distrutta forse per sempre. Come sem plici spettatori lontani, anche se compassionevoli, eravamo al riparo dal fetore insostenibile e dallo straordinario calore bollente. Uno dei segmenti del film (Protuberanze) mostra in dettaglio i sussulti duna superficie di liquido nero ripresa da molto vicino, con le spesse nubi vischiose, grigie e pregne di morte assoluta. I cumuli petroliferi al sole per la ripresa del cameraman di Herzog, con i loro bordi dorati, rimanda no unimmagine quasi barocca, di secessione, di ineluttabilit come la fine del mondo realizzata. Dopo il giudizio universa le. Colori a volte simili a quelli di Turner, e penso ai quadri

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pi rari, scuri e contrastati (un contrasto causato dal sole die tro la nuvola), ovviamente se si dimentica di che cosa si trat ta. E cos che immagino il nono girone dellinferno. Herzog accompagna tutto ci con la sua voce monotona dallaccento tedesco (leffetto calzante), leggendo in inglese alcuni pas saggi dellApocalisse con sottofondo di Wagner. Mi ricorda vagamente, e non proprio a proposito, Senza sole di Chris Marker, ma molto pi temibile, pi patetico. Senza sole aveva una dolcezza interna, una rassegnazione, quel film era una certezza e un raccoglimento, non necessariamente un ammo nimento. Questo qui, della rassegnazione non mostra che la sofferenza e limpotenza. Nella sua muta condanna dellorro re, ritorna su unetica che Marker, credo, escludesse dalle sue intenzioni (sebbene raggiunse una incontestabile etica dellestetica). Il compimento, lapice della distruzione, del lorrore stesso, quelle Lezioni di tenebra. Non c nessun commento politico. Non ce n bisogno. Lo spettatore sa di essere esposto al culmine del male. Il pericolo non il pieno sole, sono le zone dombra. Mi chiedo se Herzog torner in Bosnia. Chiss. Come laicizzare di nuovo il concetto di nazione? Come sradicarlo da quello che diventato, una giustificazione della violenza e dellassenza di democrazia? In fin dei conti, i nazionalismi non sono necessariamente il nostro destino e questo non avrebbe dovuto contenere la fatalit delle nazio nalit. Neanche nellEuropa post-nazionale. E non credo affatto alle fatalit storiche. La nazionalit avrebbe potuto essere soltanto unidentit fra molte, e bisogner proprio che un giorno ritorni a questa possibilit se noi non ci uccidere mo tutti. L epurazione etnica gi compiuta. Ma la naziona lit non pu coprire tutto lorizzonte n divenire la sola iden tit e lunica legittimazione dei nuovi Stati. Se lo diventa, sar questa, la nazionalit (o la nazionalit), il criterio inconte stato di ogni estromissione. La nazionalit una visione par ziale del mondo, mentre nel nazionalismo viene universaliz zata. Ma si tratta d una universalit falsa e abusiva. La nazio ne, che allorigine dellesperienza moderna della democra zia europea \ ugualmente legata sia al sistema liberale mon diale che al totalitarismo liberale mondiale 2. Si potrebbe porre in margine una questione importan te di cui non vediamo bene ancora la portata. Poich ci sono

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troppe nazionalit per troppo pochi Stati possibili, non for se soprattutto il concetto di Stato ad essere chiamato in causa con lesplosione degli odi e delle guerre nazionaliste? Lo Stato-nazione, cio lo Stato a nazionalit unica, unidea assurda in un paese misto, se deve designare uniden tit etnica. Almeno cos che i capi di guerra comprendono il concetto di Stato-nazione e di nazionalit: identit e origine etnica comune, criterio della pulizia etnica. E cos anche che interpretano il modello francese, al quale essi talvolta si riferiscono. L idea dello Stato-nazione concepita in tal modo conduce necessariamente alla violenza. Da qui, almeno due possibilit: la prima, quella messa in pra tica, la pulizia etnica, che comporta in poco tempo che il paese non sia pi misto. E la seconda: il concetto (se ne esiste uno) di Stato potrebbe forse cambiare alla luce di nuovi avvenimenti. Si avrebbero allora (al termine delle guerre in corso) una quantit di mini-stati etnicamente pi o meno puri e allinizio certamente autistici, in parte Stati regionali, con ossessioni identitarie di sovranit e, peggio, di soggetti vit collettiva e di legittimit. Ritengo che i due movimenti stiano per realizzarsi e che non sia finita per lEuropa, e non solo per lEuropa. molto probabile, intanto, che i nuovi Stati ritornino in breve tempo a una ristrutturazione o federazione regionale imposta dal limperativo economico e dalle necessit di comunicazione. Ma a che prezzo di distruzione, di vite umane e regressione storica! Perch le citt saranno distrutte, come evidente gi da ora, mentre il processo democratico sempre stato legato allurbanizzazione. E questa sar tutta da ricreare! E, cosa ancora peggiore, popolazioni intere saranno state massacrate. E necessario distinguere tra Stato e nazione o, se si vuole, (per una maggiore chiarezza terminologica), tra lo Sta to e la nazionalit. Il problema non si presenta in un paese uninazionale, non si pone nella tradizione dello Stato-nazione, dove c una identit sottintesa, sebbene ambigua e per nulla innocente, fra le due cose. Ma importante che noi, non potendo seguire questo modello, affrontiamo il proble ma. La nazionalit non scomparir. Non potrebbe tuttavia essere ricondotta ad un concetto giuridico, istituzionale, cul turale, piuttosto che allassoluta identificazione dellindivi duo con il suo gruppo attraverso labdicazione dellindivi dualit? (Questo, vero, appartiene al campo della cultura,

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anche se incolta. Cos come appartiene ad una psicopato logia delle masse). Dal punto di vista storico, la costituzione della nazione e della nazionalit in Europa in rapporto con lesperienza della democrazia, al contrario dellidentit ses suale che, ad esempio, nel caso delle donne, non ha alcuna comunanza con la nazionalit, se non quella della negazione del femminile e della donna attraverso il nazionalismo. L a nazionalit (nel nazionalismo) tende a livellare tutte le altre differenze. Ma farle sparire non significa affatto restituire loro la parit o l uguaglianza. Significa semplicemente la subordinazione di altre differenze alla nazionalit. Inoltre, la pluralit, le differenze, non rappresentano di per se stesse una garanzia per la democrazia. Sono solo una realt peraltro non decisiva in termini di giustizia e di democrazia. Lo slo gan di sinistra del 68 viva la differenza venne parimenti utilizzato come motto dell 'apartheid. Ma dovrebbe verificarsi il contrario: la democrazia, per essere tale, dovrebbe garanti re lespressione delle pluralit. Pertanto, sia in senso pratico che politico, senza dubbio molto pi difficile fare spazio, in una medesima cornice, per molti piuttosto che per uno. La nazione la prima cornice dellevoluzione della democrazia moderna (purtroppo, lopposto non vero). E forse questa la ragione per cui la nazione, non a caso, viene invocata dalle societ postcomunitarie e dagli Stati in estinzione, come garante del passaggio alla democrazia. Ma la nazione, nel senso di nazionalit, non il garante tanto atteso. Il contrario avrebbe forse potuto esser vero in determinate condizioni, se la democrazia occidentale non fosse stata quella che , cio una falsa universalizzazione e una democrazia limitata con cepita soltanto per alcuni, se questa pu ancora definirsi democrazia. Non fu mai, in effetti, fin dalle sue origini gre che, concepita per tutti, ma soltanto per alcuni: le donne ne erano completamente escluse, cos, come gli schiavi e gli stra nieri. Per lesclusione dunque erano validi diversi principi. L abusiva identificazione della nazione (nazionalit) con la democrazia, sostenuta dai nazionalismi, non che una conse guenza logica di una democrazia siffatta, cio della democra zia occidentale incompleta. Questa, di conseguenza, intesa in modo parziale dai nazionalisti: cos la democrazia dei Ser bi, o ancora la democrazia croata, come se il concetto di democrazia potesse sopportare epiteti nazionali, come se questa non fosse una contradictio in adjecto. Ora sembra

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ovvio che, mentre lidea di nazione minaccia di distruggere lEurasia prima di ricostruirla (forse) attraverso lunghe, spos santi e molteplici guerre, noi dovremmo inventare un nuovo concetto di democrazia, o rifondarlo. Sarebbe da ripensare con una nuova attenzione rivolta non soltanto ai diritti del lindividuo, ma anche a quelli delle minoranze. Perch, in ogni contesto, sono proprio le minoranze ad essere minaccia te. Il problema nasce anche dalla difficolt che sincontra nel definire la minoranza nelle situazioni, molto frequenti, dove non c nessuna maggioranza. Non solo lEuropa dellEst a crollare, non in scacco solo il socialismo: lEuropa dellOvest, che amava considerar si lEuropa intera, sconvolta, linsieme della costruzione binaria affonda necessariamente quando crolla uno dei due termini. L Europa sar, presto o tardi, obbligata a guardare il suo Altro, i suoi Altri, in faccia. Questo Altro proprio il suo, prodotto dallesclusione come dallinteriorizzazione rie laborata. L Europa si sempre autodeterminata nella sua storia ridefinendo le proprie frontiere verso lEst e, infine, verso lAsia. Non si lasciata accerchiare dallAltro, perch questo Altro (che sia lEuropa deEEst o decisamente lAsia) non gli si rivela mai (tra i suoi fantasmi) come co-soggetto. Tuttal pi come vuoto, assenza. E qui daltronde la distanza che pu esserci tra i fantasmi che popolano una mitologia autofondatrice e la pratica della politica. In questa, dopo decenni di guerra fredda e dopo il disgelo, venne il momento del riconoscimento di un potenziale soggetto nellAltro, essenzialmente alla fine del duetto patetico che ha avvelenato il nostro secolo: con la perestrojka e il grande amore tra Est ed Ovest dellultima ora. Vi ha contribuito anche lo spaven to, perch Est ed Ovest sono necessariamente dei vasi comu nicanti. E impensabile che i cambiamenti abbiano avuto luo go da una parte senza interferire con laltra. La questione infine tecnico-geografica, e nella storia quella di sempre: dove passeranno le nuove frontiere che delimitano lEuropa e che lEuropa si dar, incorreggibile? Al momento, stanno per essere create attraverso i paesi jugoslavi e i diversi focolai di guerra.in corso nellex Urss. Poco a poco, attraverso que sti conflitti, si stabilisce chi sar allinterno e chi rester disperatamente al di fuori delle frontiere dellEuropa. L E u ropa resta selettiva, non cambier affatto la sua posizione.

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Meccanismo questo che la ferisce sempre profondamente, con le guerre, poich lAltro escluso nello stesso tempo un prodotto proprio. La follia dei nazionalismi non che la messa in opera di tale principio. La condizione e lo sbocco naturale del nazionalismo la guerra. Esso si costruisce un supporto con il lavoro di intellettuali cui affidata la creazio ne di nuovi miti di fondazione. Viene rifiutato leterogeneo affinch la creazione possa affermarsi a partire dalluguale e per giustificare la violenza contro laltro. L idea che si realiz za la democrazia solo per noi, a spese degli altri, la giu stizia per il nostro popolo (poco importa quale: si equival gono e purtroppo nessuno al riparo dal nazionalismo, ognuno pu sprofondarci di nuovo. Sembrerebbe che niente sia scontato in questo campo). D altronde il nazionalismo essenzialmente, e non per caso, misogino e razzista. Al tempo stesso, il nazionalismo radicale (necessariamente belligeran te) non ha altri significati se non lautodistruzione. Nei perio di di tragedia storica come quello recente, quando anche la Serbia sembrava scivolare verso una guerra civile dopo aver incendiato il resto dei Balcani, la salvezza - nel senso mode sto di minor male - pu consistere nellessere puniti dagli altri, piuttosto che distruggersi da soli. Eppure siamo convinti che lEuropa non punir la Serbia, proprio a causa dellinsicurezza delle sue frontiere ad Est. Forse un rischio troppo grande. Tuttal pi lo far troppo tardi. Non bisogne rebbe pertanto perdere di vista alcune allarmanti analogie storiche, come la guerra di Spagna, la cessione della Cecoslo vacchia a Hitler, il patto Stalin-Hitler. Non abbiamo ancora visto la fine degli avvenimenti che viviamo. Filosoficamente, il concetto di democrazia limitata, definita (nella filosofia indiana l aggettivo corrispondente sarebbe visista), che ne la variante diffusa anche se incon fessata, si esprime ugualmente attraverso la relazione soggetto-oggetto e attraverso la difficolt che consiste, per il sogget to occidentale, nel considerare e accettare laltro come co soggetto e non soltanto come oggetto. L altro sfugge costan temente al soggetto e si allontana verso lorizzonte. Per il soggetto, in qualche modo, esso finisce nel vuoto, al di l o al di qua delloggetto, cio diventa inaccessibile. Ci si determi na potenzialmente fin dai primordi del pensiero filosofico, ma pi esplicitamente con Kant e a partire da lui. Gli oggetti

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esistono a prescindere dal soggetto, quindi esternamente ad esso. Non la caratteristica del soggetto quella di esistere come un dato per la riflessione, meno che mai come presenza di fronte ad un altro soggetto. Questo affare per loggetto, che dato per laltro. Il soggetto sar una presenza per la quale lesistenza in qualche modo eterogenea ed esterna. La riflessione trova qui il suo limite, proprio come la ragione buddista, piegandosi davanti al paradosso esistenziale, pen sando di non poterlo risolvere o aggirare senza contraddizio ni o semplicemente con il linguaggio. Certo, il confine potrebbe essere interiorizzato dalla ragione, riconoscendo il paradosso dellindicibile o dellinconscio. Ma ci (linterio rizzazione del confine dellaltro, come modo di pensare) non deve coprire tutto se non si vuole finire in una simmetria livellante dove gli opposti si equivalgono. vero che la ragion serba (la logica, la democrazia serbe) resiste. Funziona benissimo nello scenario secondo cui i serbi sareb bero soli al mondo. Ma dal momento che quella ragione vie ne assolutizzata, universalizzata, dal momento che si rivela impermeabile a ogni relativizzazione, non pu che capovol gersi in nulla e allora la ragione croata (la logica, la demo crazia croate) resiste ugualmente, in quanto ragione auti stica. Con lassolutizzare e universalizzare un unico princi pio, curiosamente, si finisce per riconoscere necessariamente la relativit di tutti i valori. stato questo il gesto di auto-fondazione e di costru zione didentit della ragione occidentale: darsi un altro dal soggetto, un altro da s, disporre e fabbricare cos il mondo degli oggetti intorno a s (spazio compreso). Il soggetto in qualche modo gravido dellaltro che, contemporaneamente, custodisce al suo interno e soffre nel liberarlo in un mondo altro e autonomo dove quello, a sua volta, diventerebbe sog getto. Cos il soggetto teme la relazione anche se abbozzata e porta leterogeneo in s, ammalandosene. E il caso dellEuro pa con il suo altro, i suoi altri: lEuropa dellEst divenuta lEst dellEuropa, lAsia, le altre nazioni. In questo scollamento da s si fanno strada necessariamente i nostri tempi. E quindi il medesimo fantasma (e il medesimo perico lo) che porta lEuropa a definirsi sempre attraverso le fron tiere dellEst e in Oriente, e nello stesso tempo a includere lEst/Oriente. L Est/Oriente rappresent tanto il fantasma del temibile nel pericolo giallo, nella satanizzazione del

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comuniSmo, quanto linibito oggetto del desiderio nei diffe renti stereotipi dellAsia felice, dellinduismo e del mistici smo salutare. Il rischio del confine grande, il rischio dellin determinato anche, poich conduce al delirio. Ma ci mostra chiaramente che la ragione delluno non che il delirio del laltro, e che le ragioni dei fratelli nemici si escludono reci procamente. Il punto di vista delluno non ha alcun valore per laltro. Da qui, in una situazione di nazionalismo acuto, lincapacit di criticare o soltanto di individuare il proprio nazionalismo e, contemporaneamente, lestrema sensibilit al nazionalismo degli altri. La diagnostica del nazionalismo infatti denunciare sem pre e unicamente il nazionalismo nemico e restare ciechi di fronte al proprio. Anche la lotta contro il nazionalismo passa in primo luogo per la resistenza al nazionalismo del proprio gruppo. Si pu uscire dal binomio soggetto-oggetto? Si pu concepire che laltro non sia soltanto oggetto, preda, mate riale? Si pu, per dirlo in modo diverso, giungere al dialogo? Si pu arrivare a stabilire un terzo spazio di riflessione e costruzione tra i due? Ci sembra necessario. Questo spazio va ridefinito, poich i termini sono cambiati con la comparsa di nuovi soggetti politici: le nazioni. Il rapporto non quindi a due, sar invece a pi voci e lo spazio si riorganizza. In par te il soggetto pretende di costituirsi ugualmente in spazio (lo Stato nellaccezione geografica), in modo che sia lo Stato a controllare la diffusione (ad esempio) dei segni di guerra o ideologici. Il nazionalismo si richiama alla storia, reinventandol (e utilizzandola) per i suoi propri fini, cio riscrivendone i nuovi miti della fondazione (fondazione che esclude laltro) che hanno il compito di legittimare la preferenza per la nostra nazione. Unapparenza di continuit del gruppo sostenuta con forza, apparenza di continuit politica che non , infatti, che la continuit dellincarnazione del sacro, rappre sentato dalla persona del dirigente politico e dal corpo della nazione. Questo fatto rimanda ad una concatenazione di incarnazioni del re divino, come nel nuovo nome della strada centrale che attraversa Belgrado, chiamata al tempo del socialismo via del maresciallo Tito, ribattezzata ora via dei governanti serbi: proprio in questo nome che sembre rebbe negare il passato, si riconosce invece la continuit del lincarnazione del sacro (perch Tito fu egualmente un diri

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gente dei Serbi). D leader politico incarna nello stesso tempo il re-divino e leroe mitico fondatore della comunit, luomo della Rivelazione, il padre (lautorit), il salvatore, il messia, e raggiunge cos la tanto sperata immortalit, accessibile infine, attraverso il suo intermediario, al suo popolo. Il popolo coltiver il mito del suo sacrificio come, per esempio, i Serbi coltivano il mito della loro sconfitta in Kossovo, 600 anni fa. In misura minore (perch si tratta di storia contemporanea), ci vero sia per linterpretazione dei Serbi del loro ruolo nei confronti dei Croati in questa guerra, sia per la spiegazione dei Croati della loro situazione nei con fronti dei Serbi. Ognuno si vive come vittima, e martire, nes suno come aggressore. O piuttosto, la vittimizzazione giustifica, scagiona laggressione che diventa atto eroico, mai disfatta. Perch, nella guerra che noi facciamo allaltro, sia mo sempre noi ad essere vittime e sacrificati e ci permette che noi prendiamo le armi. Identificandosi con la figura del padre e dunque con la continuit, il guerriero reinterpre ta laggressione (non nominata) come sacrificio proprio (piut tosto che come distruzione dellaltro), quindi come atto eroi co. L identificazione con la figura paterna (che equivale al principio superiore che viene interiorizzato) controbilancia ta dallodio per lavversario o per il capo del gruppo nemico, una figura paterna divisa in due tipologie (il buono e il catti vo), proprio come la societ terrestre3. La divisione tra i buo ni e i cattivi giustifica da sola la violenza, beninteso contro i malvagi: ma in questo pensiero binario, i cattivi non sia mo mai noi. Gli dei e gli eroi degli uni sono i demoni e gli anti-eroi degli altri. Nel folklore dei popoli belligeranti vicini, essi portano spesso il medesimo nome, ma con segni contrari, come nelle leggende e nella poesia epica popolare dei Serbi e degli Albanesi, o meglio nellinterpretazione ufficiale e diffu sa dei ruoli di Rama e di Rvana nel ciclo del Rmyana in India del Sud. H popolo eletto il nostro popolo, quello che non era sotto la torre di Babele, quello che ha potuto mettersi in salvo, con larca di No, ad esempio. Il nazionali smo presuppone cos unimmagine di migrazione collettiva e di trapianto di linguaggi, come sostiene Umberto Eco 4. Per ch lArca poteva approdare su rive lontane. La propria lin gua in tal caso la lingua madre o quella che le pi vicina, universale, perfetta e appartiene naturalmente al popolo eletto, toccato dalla grazia divina. Ogni oltraggio, fossanche

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dei pi innocenti, a questa unit, unicit straordinaria, diven ta allora un sacrificio della nostra parte. In questo procedimento di logica binaria, non soltan to laltro a essere sacrificato, ma soprattutto il terzo, spesso confuso con questo e reso invisibile nel conflitto: come tale viene decisamente soppresso. Le voci in opposizione della dialettica sescludono, vero, reciprocamente, e non possono essere ascoltate sulla stessa frequenza. Una rappresenta la negazione dellaltra, il senso di una non trova significato nel sistema dellaltra. Tuttavia, insieme coprono lo spazio comu ne, il mondo, divenuto campo di battaglia. Insieme, sopprimono il tempo (attraverso la rifondazione dei loro rispettivi miti) e il luogo del loro conflitto. Basti osservare cosa accade in Bosnia-Erzegovina: un accordo tra la Croazia e la nuova Jugoslavia, piuttosto che allietarci, dovrebbe aprirci gli occhi sul sacrificio del terzo nascosto nel sacrificio dellaltro, mascherato, questo, come sacrificio di se stesso. E il terzo la Bosnia. In Bosnia-Erzegovina, indipendentemente dal fatto che sia le poste in gioco che le forze militari siano ineguali (essendo i serbi meglio equipaggiati), sono stati la Serbia e la Croazia a darsi battaglia sul territorio bosniaco, devastandolo e massacrandone gli abitanti. Ci corrisponde allo schema che Michel Serres descrive come lo schema del terzo istruito-, lincertezza del conflitto rappresenta la natura ambigua del la coppia: ci sono soltanto due belligeranti che la vittoria, senza pi dubbi, condurr a uno spareggio. Ma in terza posi zione, esterno alla loro schermaglia, noi recupereremo un ter zo luogo, il pantano, dove la lotta rimane invischiata5. Serres parla di battaglia soggettiva (tra soggetti) l dove gli avversari, individui o nazioni, saffrontano, ma di conflitto oggettivo qui, fra due organismi senza nome n statuto giuridico, perch lo spettacolo fenomenale del dialo go chiassoso e infiammato li nasconde sempre e distrae la nostra attenzione 6. Infatti, il terzo escluso (ma istruito) non si mai elevato allo statuto di soggetto. Non avendo sta tuto, lesistenza (giuridica) non gli viene riconosciuta. Serres tenta di elevare loggetto, la natura, laltro, alla dignit di sog getto, dal momento che nella contesa jugoslava, anche prima del ricorso alle armi, si era incapaci di percepire laltro, indi viduo o nazionalit, come soggetto uguale, co-soggetto. Ser res opera soprattutto per un riconoscimento ancora troppo civile del diritto dei terzi, ma si tratterebbe comunque di

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riconoscere i diritti di altri-secondi, perch i due si manife stano insieme, luno nascosto nellaltro. (Nessun dubbio che per Serres ci siano qui tracce di lumi - o forse di romantici smo - nellidealizzazione della natura, ma questo un pro blema diverso). Serres pu cos scrivere: D ora in avanti intendo per contratto naturale il riconoscimento, perfetta mente metafisico, di ogni collettivit, che vive e lavora nelli dentico mondo globale di tutti gli altri; non soltanto ogni collettivit politica raggruppata sotto un contratto sociale, ma anche qualsiasi soggetto collettivo, militare, commerciale, religioso, industriale..., unito da un contratto scientifico 7. Si accenna l, fra laltro, ad una critica della logica del duali smo esacerbato. La divinizzazione (della figura del proprio padre, per esempio) condurr necessariamente alla satanizzazione (della figura del padre dellaltro; o della madre). Le sfaldature che cos si vengono a formare sono sempre irrepa rabili. Esiste tuttavia nella mitologia indiana unimportante popolazione di divinit dallambigua e contraddittoria sim bologia, chiamate talvolta dagli studiosi gli dei criminali 8. Questi sono portatori, come Bhairava (il terribile) in Nepal e a Benares, di segni ambivalenti. Sono nello stesso tempo protettori e minacciosi, rifiutano di aderire al duali smo che divide il mondo, favoriscono la continuit esisten ziale invece della spartizione teorica e astratta. E un altra scelta di civilt, quella per un mondo che si sforza di supera re le rotture e le inimicizie attraverso un principio di armonia e la complementarit delle differenze piuttosto che attraverso la loro esasperazione. Certo, vero che ci non ha mai porta to maggior pace delle scelte occidentali di conflittualit, e questo mi sembra un problema interessante in s, ma inadat to alla nostra circostanza. Preme invece sapere che niente al riparo da una ricaduta nella violenza e che non esistono garanzie sicure nemmeno nelle tradizioni contro questeven tualit, in Oriente come in Occidente. Ma potrebbe avere senso ricercare tali garanzie in ci che una mente umana non pregiudiziale pu offrire. Questo tocca le frontiere esterneinterne che luomo si dato (soprattutto in Occidente) nella sua storia antropologica (essendo tali frontiere pi sfumate nelle tradizioni non-antropocentriche, come lindiana 9 e in quelle asiatiche in generale). Nella contrapposizione estemo-

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interno (noi-laltro) lo spirito oscilla tra due poli, ma fa conto, per un forte condizionamento culturale, in anticipo sulla tota lit e su un campo unitario, non sopportando lestraneit indeterminata. Cos la totalit che, unica, permette la ripartizione che gli garantisce una visione d insieme, non sopporta neanche ci che nasce al suo interno. E limmagine stessa delle nazio ni e il modo in cui esse si rapportano allinterno di una comunit pi vasta (per esempio, Stato misto, federazione, confederazione, ecc.) a far s che le loro particolari articola zioni possano essere considerate tutte allo stesso livello. I nazionalisti non tollereranno mai questo genere di totalit. Riassumo, cercando di riflettere su quali eventi si sarebbero sviluppati in differenti scenari, dove non si scelto lo sterminio dellaltro. Nello scenario attuale, ognuno ha la sua propria ragione, poich non si ascoltano gli altri o non si ascoltati. Serbi e Croati hanno dunque entrambi la loro ragione. I Bosniaci, solo in parte musulmani, possiedono an ehessi la loro ragione, ma questa rappresenta il lato occul to dellopposizione: non percepibile. Il linguaggio della pace non compreso in quello della guerra. C come una sovrapposizione. Due elementi opposti e un terzo occultato. Entrambi pretendono di essere universali e ci comporta la necessit del dominio. Di una nazione sullaltra o su tutte le altre. L idea di Stato-nazione, nei nuovi stati che stanno nascendo, si fonda su questo desiderio: far prevalere la ragione della propria nazione. La ragione delluna sar la morte dellaltra. Per affermare la democrazia, bisogna uscire dallo schema soggetto-oggetto e dirigersi verso un differente rapporto. E non semplicemente verso una pluralit qualsiasi, ma verso un altro tipo di relazione. Una relazione che superi le rifondazioni di una storia necrofila. Parigi, 3 maggio 1992

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NOTE 1 J o e l Rom an, L Europe sera ncessairement postnationale, Le Monde, 15.9.1992, p. 2 2 M ic h e l O n fro y , Les annes rengates, Le Monde des dbats, ottobre 1992, p. 4. 3 Da I van C olovic , F ranco F ornari, The Psychoanalysis o f War, Anchor Press, Garden City 1974; ho tratto molti concetti da questo testo. 4 Nelle sue conferenze al Collge de France del 1992. 5 M. S erres, Le Contrat naturel, Bourin, Paris 1990, pp. 13-14; si veda anche Le Tiers-instruit, Bourin, Paris 1991. 6 Ivi, pp. 24-25. 7 Ivi, p. 78. 8 Si vedano i lavori di E lisabeth C halier -V isuvalingam . 9 A proposito dellindifferenza indiana per un mondo antropo centrico vedi W. H albfass, Antropologica! Problems in Classical Indian Philosophy, in Beitrge zur Indienforschung, Museum fr indische Kunst, Berlin 1977.

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IL SOGGETTO

L identit del soggetto occidentale si basa sulla comu ne appartenenza di diversi individui ad un collettivo, sulle sclusione di ci che altro. Perci, lemarginazione (repres sione, eliminazione) dell'altro non un effetto collaterale o casuale. Il soggetto si costituisce a partire dallidentificazione degli individui con unistanza superiore, per esempio con una nazione, per la quale essi rinunciano alla loro individua lit. Allinterno di un gruppo costituito in questo modo, le relazioni tra gli individui passano per listanza superiore (amiamo il prossimo solo perch membro dello stesso grup po, per esempio della stessa nazione, o ci amiamo in dio, se siamo adepti di una religione monoteistica). Questo prin cipio superiore, nel quale investono tutte le identit indivi duali, ossia tutti gli individui, si fonda su una pretesa di uni versalit. Ci significa che include, in linea di principio, tutti. E un fenomeno che si verifica nei momenti (storici) di minac cia (sia economica o esistenziale sia dellidentit). La nuova identit (collettiva) si costituisce attraverso la negazione di coloro che sono stati spinti al suo margine estremo, cio quelli che non corrispondono al modello dominante prescrit to. Ci che viene negato la nostra origine nell 'altro e con l'altro, mentre lidentit viene fatta derivare dalla pretesa di una nascita comune, da ci che uguale a se stesso [aus dem Selben], unico. In caso di crisi eccezionali questo conflitto viene espresso attraverso la guerra, che ha, in particolare, la funzione di definire il soggetto maschile attraverso il mito degli eroi epici. Il mito dellorigine comune [im Selben] viene rafforzato attraverso atti di violenza contro Valtro. In modo particolarmente violento vengono attaccate le localit che hanno unorigine mista, cio i luoghi della cultura, perch cultura sempre mescolanza, mtissage. Le citt sono quelle aggredite per eccellenza, perch sono i luoghi di nascita della mescolanza, dei contrasti variopinti, della cultura. In genere le citt sorgono sulle rovine di quelle che le hanno precedute, delle citt di coloro che noi annientiamo, nel dare corpo ad una nuova identit, si pensi a Roma. Dal punto di vista stori

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co, oggi non abbiamo a che fare con una ricaduta nella seconda guerra mondiale o addirittura nel medioevo - come qualcuno anche ha suggerito a proposito della guerra in ; Jugoslavia si tratta piuttosto del ritorno della preistoria. Nei tempi di crisi della civilt particolarmente profonde, come sono quelli odierni, la violenza assume dei connotati inimmaginabili. Quella cui assistiamo oggi non tanto una divisione nazionale quanto piuttosto unaltra cosa: questa guerra o queste guerre si possono descrivere meglio come : delle guerre di non-citt - nel senso di un elemento ostile alla civilt e alla cultura - contro citt. Il richiamo alla nazione non serve qui ad altro che a colmare, con unideologia abborracciata in fretta, il vuoto ideologico che lesaurimento dellideologia comunista ha lasciato. Dal punto di vista psicologico, il richiamo alla nazione corrisponde alla regressione ad una forma di identificazione primaria (quella che nel bambino avviene con la madre e il padre, nel credente con Dio). L identit maschile collettiva (che nelle societ patriarcali data come universale) si sempre formata secondo lo schema di un soggetto pensato come dominante e neutrale. Le donne invece, per dirla con Luce Irigaray, non hanno in comune lo stesso dio, n tra di loro (per un verso), n con gli uomini (per laltro). Le donne non hanno mai avuto un dio fatto a loro immagine e che, nello stesso tempo, sia stato riconosciuto tale (cio divino) da tutti, vale a dire universalmente. Donne e uomini non hanno nean che la stessa genealogia, perch sia il figlio che la figlia nasco no dalla madre, e quindi la figlia dal proprio stesso sesso, il figlio dall 'altro. Siccome le donne non hanno mai avuto una comune istanza superiore che nello stesso tempo corrispondes se alla loro immagine e che possedesse un valore universale, non si potevano costituire come soggetto (storico), per essere pi precisi, come soggetto dominante, allo stesso modo degli uomini. Perci il sesso femminile viene marcato nel pensiero e nel linguaggio: se si vuole parlare del genere umano femmi nile, lo si deve sottolineare espressamente. Nelle grammati che delle nostre lingue il sesso maschile il pi forte, quello portante: il lato maschile viene pensato come centrale e uni versale. Non possiamo pensare il femminile (nel linguaggio del soggetto maschile, storicamente dominante) come dimen sione universale, ma solo come dimensione marcata (per mezzo del sesso) e quindi esclusivamente come dimensione

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particolare. Non basta dire che le donne non si sono mai costituite come un soggetto storico: esse non avrebbero potuto farlo. Perci sono superflui le preoccupazioni e i con sigli di alcuni filosofi che vogliono dissuadere le donne da un simile obiettivo: non essendo le donne, in questo, sostenute dalla storia, il pericolo non sussiste. Al contrario, il soggetto maschile viene confermato dalla sua storia (nel senso di sto ria universale) addirittura quando, come raccomandano alcu ni filosofi postmoderni, prende intenzionalmente le distanze dal soggetto forte. Per non si tratta di una questione di scel ta. Filosofe e filosofi femministi affermano insieme che le donne non possono rinunciare a personificare la loro sog gettivit. In modo simile, una eco-dittatura, come viene proposta e consigliata dai paesi sviluppati ai paesi sottosvi luppati, implica, per questi ultimi, - nelle condizioni date una rinuncia allo sviluppo. Il nazionalismo e la guerra posso no, nella loro dimensione storica, essere collegati con la sto ria della soggettivit occidentale e con il soggetto - maschile - in essa dominante. Ma ci non significa affatto che non si possa pensare unapparente contraddizione ideologica, per la quale anche le donne - e addirittura le femministe - possono diventare nazionaliste e scioviniste. Qui si tratta dellidentifi cazione di individui femminili con quella stessa istanza superiore, che certo, nella sua struttura, prima di tutto violenta, ma che in conseguenza di determinate circostanze storiche anche maschile. In un certo senso lidentificazione femminile con la nazione fallisce: essa lidentificazione con il padre (simbolico), il dirigente, perci con lAltro genealo gico, mentre lidentificazione maschile avviene con luguale [mit dem selben] nel segno del rifiuto dellAltro. L identifica zione femminile con il principio superiore perci non impli ca strutturalm ente un rifiuto d ellaltro, mentre quella maschile si basa precisamente su questo. Per tale motivo le donne tendono meno degli uomini alla violenza nellidentifi cazione con la nazione e nelle manifestazioni di sciovinismo. E in definitiva, si devono vedere in connessione la brutalit maschile nella guerra contro gli altri e le forme tradizionali maschili di violenza nei confronti dei fisicamente e social mente pi deboli o diversi. Bisogna vedere la guerra e lo ster minio nella loro naturale continuit con la violenza contro donne e bambini, con le percosse, lo stupro e le diverse for me di teppismo.

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IL SACRIFICIO

Il sacrificio giustifica e rinnova il mondo, proietta lora in ilio tempore, riporta allinizio la ruota del tempo. Tempo e storia iniziano con noi. Le rovine di case estranee sono seppellite, dimenticate, coperte dallerba. Esistevano prima dellinizio del tempo, prima di noi. Allinizio di una civilt nuova sta in genere la violenza; con essa viene superato il vuoto che ci separa dalla preistoria, dallinizio cosmico. Miti di fondazione cosmogonici, accoppiati con una retorica adeguata e con il ruolo privilegiato della nostra trib, cio dei nobili, vanno di pari passo con la distruzio ne delle citt, o - osservando la cosa con sguardo retrospetti vo - in realt la precorrono. Questi miti dovrebbero giustifi care la distruzione. I predecessori avevano anchessi le loro guerre mediali, si pensi al mito della creazione e dellorigi ne (oggi la televisione ad assumere questa funzione). Tali miti rappresentano il legame con laldil, una specie di tra scendenza collettiva, lillusione di un bastione; essi sono una garanzia per lesistenza, nel momento in cui viene negato lal tro. Cos come la genealogia maschile (lunica che abbia valo re) nega obbligatoriamente la linea materna. Perch evi dente che la linea femminile completa quella maschile, solo che non permesso esprimere questo fatto nel codice domi nante. Se fosse visibile, si vedrebbe la nostra origine nel laltro (negli altri) e non si potrebbe pi negare la disconti nuit maschile. In altre parole, si scoprirebbe che la cultura soprattutto mtissage, mescolanza. Il sistema simbolico ha qui un ruolo chiave e d lop portunit di ristabilire i legami di potere e dominio. La pro clamazione dellorigine e dellinizio nel sacrificio dovrebbe celare il fatto che lorigine pu essere solo nell 'altro, cio al di fuori di noi, e che la violenza non trova mai una giustificazio ne se non nella volont del violento. La guerra un sacrificio par excellence. Se si vedesse il ruolo degli altri nella nostra cultura, allora si potrebbe anche riconoscere che questaltro ad essere sacrificato e non noi. I miti di fondazione rappre sentano il sacrificio deWaltro sempre come se fosse il nostro. Alla fine si realizza il nostro stesso sacrificio nella glorificazione della sconfitta (per esempio nel mito serbo di Kosovo), si realizza in una forma inquietante di self-fulfilling prophecy.

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LA CULTURA DELLA MORTE

I miti di fondazione e lomogeneizzazione nazionale evocano in coloro che si sentono appartenenti ad una nazio ne la stessa cosa che negli altri - nei nemici, che sono stati costituiti con lo stesso atto di giustificazione mitologica. I popoli sono intimoriti. Dovunque regna listupidimento indotto dalla fede nei vantaggi presunti della propria cultura rispetto alla cultura del vicino. Si possono ad un tratto senti re storie di fondazioni di stati e di primi re, le cui ossa vengo no portate in giro per tutto il paese; oppure vengono inven tate storie di primi sovrani mitici e di libri della legge. Poi si intromettono le chiese ed entrano in gioco le falsificazioni della storia, e da tutte le parti c uninflazione di letteratura concernente la storia nazionale. La dimensione pi impor tante e quasi unica quella nazionale. Essa copre tutte le altre diversit, soprattutto quelle individuali. Fa sparire il cit tadino, la cittadina, lindividuo, i sessi e le differenze di clas se, spinge tutto il resto sullo sfondo. Emerge una cultura della morte. L uccidere come segno o traccia, come eccesso di violenza, assicura al violento un posto stabile nel tempo e nella storia. Questa lautolegittimazione del violento o del suo gruppo. L assassinio significa per chi lo commette lascesa nella scala ontologica: senza vio lenza egli non esiste, se esiste esiste solo come violento. Ogni identit passa attraverso laltro, ma il paradosso, in questo caso , che questaltro (il quale sempre laltro, dentro noi stessi) viene distrutto. Da qui deriva la logica della morte. L Io si mette al posto dellassassinato. Le vittime innocenti non sono il risultato di un attacco calcolato male, sono al contrario necessarie e previste sin dallinizio. Il violento vive in modo totale nellora presente, conferisce istantaneamente senso alla sua vita (conferisce senso alla guerra, come si usa dire nel dibattito nazionalistico serbo), non gli interessa il futuro. Non vuole rimandare o cedere a qualcun altro la valu tazione del senso della sua vita e delle sue azioni. Al contra rio, il suo un atto che si trova al di fuori di qualsiasi conte sto, un atto che marca il proprio contesto con un grande zero. Il nemico incarna la sua vittima, si nutre del suo sangue, assorbe il suo senso della vita, che viene alla luce solo con la morte. Il violento cerca di conferire un senso pi profondo alla propria vita, rifiuta i valori vigenti, mette in questione il

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sistema esistente, procurandosi da solo - con lassassinio - le sue referenze. Pi innocente la vittima, pi latto disgusto so, pi esso efficace e conferisce al violento una condizione superiore nel sistema simbolico dei tempi nuovi.
LA GUERRA IN EUROPA

E terribile che il culto della morte sia ancorato, come elemento determinante, al pathos nazionale. Esso ha fatto cadere il popolo serbo nella pi profonda agonia. Il regista di Belgrado Dusan Makavejev parla di estasi del desiderio del la morte e analizza il piacere dellanticipazione di una stra ge enorme, che si lascia realizzare nel modo migliore in una guerra fratricida. Questa anticipazione si mostra nellopera e nei discorsi politici del poeta epico nazionale Dobrica Cosic : I serbi perdono durante la pace e vincono durante la guerra. Questo stato di cose risalta in modo particolarmente chiaro nello spirito e nellidea del Tempo della morte, che non a caso il titolo di un suo libro e contemporaneamente levocazione pessimistica della sventura da parte di questo poeta del sangue e della terra. Le sue idee si realizzano in pieno quando Dobrica Cosic diventa presidente della nuova Jugoslavia mutilata. Il cerchio si chiude, come una spirale della morte, con lo stesso tema con il quale si aperto - con unipostasi della morte. Creature come Cosic stanno allinizio ed alla fine. Questo lautismo di un sistema che viene governato dalla morte. Da partigiano ed ex nemico di Tschetnik, Cosic si evoluto in ideologo del nazionalismo serbo militante e si creato in Milosevic il proprio apparat chik. Individui del suo stampo incarnano quanto c di mostruoso nelluomo al confine tra socialismo e caos nazio nalistico. La cosa grave in questo non il fatto che una tale figura decida, nellinferno della guerra, sulla vita umana, ma che lui e altri intellettuali del suo tipo, abbiano prodotto que sto inferno con un lavoro sistematico, instancabile ed effica ce. Alimentando incessantemente i miti nazionali di fonda zione, attizzando lodio verso gli altri e facendo schietta pro paganda di guerra. Esistono numerosi rappresentanti di que sto tipo tra gli scrittori e gli intellettuali serbi, sebbene non tutti si siano resi colpevoli a questo riguardo. Ma dallasso ciazione degli scrittori serbi e dal circolo dei filosofi costitui tosi intorno allex giornale dei dissidenti Praxis nonch da

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circoli analoghi sono emerse alcune delle figure preminenti del nazionalismo serbo, figure-guida, che oggi si possono tro vare sia tra coloro che detengono il potere sia tra gli espo nenti dellopposizione nazionalistica. Dobrica Cosic stesso tende oggi, paradossalmente, ad essere nello stesso tempo partecipe tanto del potere quanto dellopposizione, e questo gli riesce perch da entrambe le parti presente un forte nazionalismo. Per fortuna non tutta lopposizione di ten denza nazionalistica. Gli intellettuali con una coscienza nazionale giocano il ruolo, che hanno imposto essi stessi, di guardiani della memoria nazionale, invece di voler essere semplici custodi della cultura. Perch n la cultura n la democrazia possono essere nazionaliste. La perversione del sistema, che Milosevic ha giustifica to, fa s, nello stesso tempo, che la voce degli intellettuali, ai quali ripugna il nazional-socialismo attuale, sia stata comple tamente neutralizzata al di fuori di Belgrado e che non trovi nessun ascolto. Nonostante essi costituiscano a Belgrado una cerchia rispettabile e neppure tanto piccola (il circolo di Bel grado, lalleanza dei cittadini serbi, il movimento della pace, una parte degli studenti), non hanno nessuna influenza signi ficativa sul pubblico pi vasto. Anche al di fuori dei confini serbi non si vuole prestare ad essi nessun ascolto per cattiva disposizione nei loro confronti. Nel modo descritto dellincarnazione della morte, della violenza e della guerra si pone specificamente, in Serbia, la responsabilit di un tipo intellettuale. Questo per non vale per tutti! Ci sono oggi numerosi esempi positivi di opposizio ne, ma purtroppo un fatto che nel Putsch avvenuto nel corso dellottava conferenza dellalleanza serba dei comuni sti, attraverso il qfe~Milosevic, nel 1987, arrivato al pote re, solo pochi hanno levato la loro voce contro il totalitari smo. Innanzi tutto Bogdan Bogdanovic. A questo piccolo gruppo, almeno nei due anni successivi, non si unito quasi nessuno. A causa della paura e della censura, in Serbia le voci dellopposizione non hanno potuto articolarsi. Esse erano costrette a trovare ascolto per vie traverse, nelle altre repub bliche, e in questo modo contribuivano indirettamente alla cutizzazione del conflitto. Nel frattempo si prodotta una breccia nei media. Questi sono oggigiorno, nel luglio 1992, molto pi indipendenti in Serbia che in Croazia. Ma la libert che viene concessa alle reti televisive e radiofoniche indipen

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denti, alla rivista Vreme e al giornale Borba, come pure alle trasmissioni da Sarajevo, si basa su un calcolo: si visto che simili fonti di informazione non hanno nessuna influenza e che non ottengono nessuna eco in Serbia, fuori Belgrado. Purtroppo questo vale anche per la Croazia, che non stata in grado di valorizzare lopposizione serba non-nazionalista, ad eccezione di quando poteva essere strumentalizzata. I media hanno, partendo dalla Serbia, preparato la guerra almeno da met degli anni ottanta. Nelle altre repubbliche ci si immediatamente adeguati, assumendo un atteggiamento analogo. Ancora una volta gli intellettuali hanno avuto un ruolo importante in tutto questo. In Serbia ci ha coinciso con la realizzazione di un testo, dal titolo Memorandum, nel lambito dellAccademia Serba delle Scienze e dellArte, nel quale era prefigurata la scissione della Jugoslavia a vantaggio di una grande Serbia. Al collettivo degli scrittori apparteneva chiaramente anche Dobrica Cosic. Per illustrare il ruolo di questi intellettuali, si deve sapere che 57 (su 90) di questi membri dellAccademia, nel giugno 1992, hanno sottoscritto un testo nel quale muovevano a Milosevic il rimprovero di aver perso tutti i vantaggi delle guerre precedenti. Non esiste un nazionalismo isolato, che non provochi alcuna reazione. L escalation in direzione della guerra si trasm essa, col segno opposto, anche ai media delle altre repubbliche e province. Il nazionalismo crea per forza altri nazionalismi, e questo avviene pi su un piano contenutistico-strutturale che secondo una cronologia definita. In base al proprio punto di vista si pu sempre dimostrare che stato l'altro, ad iniziare per primo. Per detto motivo una discussio ne di questa questione in certe circostanze fomenta ulterior mente lostilit. Per accertare di volta in volta la dimensione della responsabilit, ci si dovrebbe domandare chi sia a disporre del maggior potere nel settore militare e in quello dei media. In Croazia, regione che stata attaccata e che come la Bosnia-Erzegovina giace ancora in macerie, stato molto pi difficile dare voce alle idee contro la guerra, per ch ogni forma di pacifismo stata equiparata allaggressione e alla mancanza di patriottismo. Il grado di omogeneizzazio ne nazionale molto alto e la possibilit di unarticolazione dellopposizione minore. L aggressione militare ha messo in rilievo la raison dEtat e si sovrapposta non solo ai pro blemi della democrazia nella stessa Croazia, ma tra laltro

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anche allesistenza di un revanscismo sia individuale sia pro vocato dalla guerra, come pure al fatto della vessazione e del lespulsione di cittadini di nazionalit serba. Casi di questo genere vengono sempre considerati delle eccezioni, invece di risolverli definitivamente con misure di protezione efficaci e con regolamenti. In Croazia non si riesce ad identificare cosi facilmente lopposizione come in Serbia: essa appare di meno. Finora per non chiaro se disponga anche di un potenziale minore. Una serie di piccoli partiti regionali diventata il punto di incontro delle pi diversificate forze non nazionalistiche. Da queste fila ci si potr attendere, in futuro, lo sviluppo di idee democratiche e un impegno combattente per sostenerle - solo che questo purtroppo non si verificher molto presto. L isolamento dei media, infatti, fa s che non venga udita la voce della modesta, ma pure esistente, opposi zione dei non nazionalisti. I media vengono controllati dallo stato e dal partito di centro che detiene il potere e sono - per esprimersi con moderazione - strutturati in modo molto con servatore; vengono limitati e sottoposti sistematicamente a divieti, mentre i loro giornalisti devono soffrire diverse forme di persecuzione. Nel governo attuale in Croazia - come anche in Serbia - sono presenti intellettuali, che in parte si sono convertiti dal comuniSmo al nazionalismo o che derivano direttamente dalle file dei nazionalisti; ma solo pochi di loro, che occupa no rilevanti posizioni di potere, sono realmente di grande importanza locale (per quanto il calibro dei poeti nazionali serbi sia stato poi anche sopravvalutato). Pi frequentemente si incontra il caso di scrittori ed intellettuali che soffiano allunisono nel corno nazionalistico, per cos dire in coro, senza che nessuno lo abbia richiesto in modo esplicito; si accontentano in cambio di onori o di un posto nei media nazionali. Questo, alcuni di loro, sotto il vecchio regime lo avrebbero ottenuto con maggiore difficolt. Molti tuttavia detenevano gi una posizione di rilievo e desideravano ora conservarla, anche se per questo dovevano seguire un nuovo orientamento. Ci che suscita costernazione nei confronti di una parte dellintellighenzia proprio questa conversione, la disponibilit a rinunciare al proprio punto di vista individua le e con questo anche al ruolo fondamentale degli intellettua li, che quello di opporre sempre una resistenza individuale allinterno della cultura.

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Le conseguenze terribili dellomogeneizzazione nel campo della cultura, della letteratura e delleducazione si vedranno chiaramente, nella loro globalit, solo fra alcuni anni, quando si far un bilancio In Croazia - almeno finora - non ha fatto sentire la sua voce nessun circolo di intellettuali o di scrittori (con leccezio ne di alcune singole personalit) disposto ad impegnarsi sia contro la guerra sia contro il nazionalismo, e dunque critico contro ogni forma di nazionalismo - indipendentemente dal fatto che sia serbo, croato o di altra estrazione E sempre il nazionalismo degli altri che viene sottoposto al fuoco incro ciato della critica. I diversi tipi di nazionalismo richiedono certamente unanalisi differenziata: hanno in fondo provocato delle conseguenze diverse. In ogni caso si deve partire dallas sunto basilare, che niente pu giustificare la violenza. Natural mente non si tratta di equiparare la vittima e il colpevole. Il compito degli intellettuali, a questo proposito, proprio quel lo di distinguere. Per la resistenza degli intellettuali antina zionalisti, che non si fanno attaccare davanti al carro naziona listico, si manifesta solo come resistenza individuale. Tra lal tro anche perch essi incontrano una certa difficolt ad avere accesso ai media. Chiunque si esprima in questo modo - in genere scrittori e giornalisti, spesso anche donne - deve subi re duri attacchi da parte dei media e di altri intellettuali. Vie ne regolarmente prodotta una valanga di denunce, accuse di tradimento nazionale e travisamenti di affermazioni incrimi nate. Erano simili le condizioni in Serbia immediatamente dopo il colpo di stato di partito nel 1987. A mio modo di vedere, le opinioni dellopposizione democratica e antinazio nalistica, in particolare quelle degli intellettuali, potranno tro vare espressione solo in una fase successiva. La condizione pi importante per questo la cessazione della guerra e con ci una diminuzione della spinta allomogeneizzazione nazio nale. Se la guerra non era bastata per indurre tutti a dare pro va di lucidit nelle loro valutazioni, lesempio della distruzio ne della Bosnia-Erzegovina ha aperto gli occhi a molte perso ne anche in Croazia. Da una parte, qualcuno ha riconosciuto la totale incapacit dei serbi di contenere laggressione. Dal laltra, si capito che in Bosnia-Erzegovina si difendono con le armi anche gli interessi croati che coincidono con quelli bosniaci, quantunque ci si venga a trovare insieme davanti ad una superiore potenza militare (quella serba). E diventato

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evidente che nessuno senza colpa. Probabilmente durer ancora un po il tempo di incubazione di una resistenza non nazionalistica degli intellettuali, ma certamente non sar eter no. In fin dei conti, si provato che nel caso degli intellettua li succede esattamente quello che succede nel caso di tutti gli altri esseri umani e che non c nessuna ragione per ritenerli migliori. Loro/noi sono/siamo in gran parte responsabili del la piega che hanno preso finora gli eventi. Loro/noi non sono/non siamo stati in grado di riconoscere in tempo che listigazione nazionalistica avrebbe portato direttamente alla guerra. Negli altri territori delPex-Jugoslavia la situazione degli intellettuali in parte pi difficile (per esempio in Kosovo), in parte pi facile (come per esempio in Slovenia). Ma in una situazione nella quale la parola dordine demo crazia serve abbastanza frequentemente come veicolo per il nazionalismo, il criterio sempre il reale rapporto di forza tra nazionalismo e democrazia. In Kosovo, il cui problema continua essere irrisolto, stata escogitata da parte dei serbi una soluzione radicale: sono stati aboliti i media in lingua albanese, le scuole e gli ospedali con personale albanese sono stati chiusi, migliaia di lavoratori albanesi sono stati licenzia ti, e fra questi tutto il corpo insegnante e gli intellettuali. In queste condizioni non si pu parlare di libert del lavoro intellettuale o dellopinione pubblica. Questa interamente spaccata dal punto di vista nazionale. In Slovenia esiste una libert abbastanza grande nel settore dei media. Si possono ascoltare le notizie del giorno da Sarajevo, cosa che molto importante per via della guerra bosniaca ( possibile anche in Serbia, per solo a Belgrado). Si discute di una partecipazione percentuale dei singoli parti ti allo spazio informativo, e aumenta gradualmente lapertura nei confronti delle altre culture jugoslave (cosa impensabile per esempio in Serbia e in Croazia). In Bosnia-Erzegovina, Yutel, il tentativo di una tra smissione televisiva sovranazionale, riuscita ad affermarsi a lungo. Tv-Sarajevo, per un tempo considerevole, ha espresso posizioni moderate, cio ha messo a confronto per lo meno diversi punti di vista tra di loro. Questo ha avuto una certa im portanza anche per il p u b b lico al di fu ori della Bosnia-Erzegovina. Questa guerra viene condotta, non da ultimo, per le reti televisive, per la televisione in quanto tale.

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Su questo, per fare un esempio, si concentra anche la lotta dellopposizione a Belgrado. I nuovi stati, coinvolti o no nella guerra, si isolano tendono alla purezza nella cultura e a rifiutare il contribu to di altre culture. Il discorso ufficiale della cultura diventa to da tutte le parti un discorso di sangue e terra, unintermi nabile litania nazionale, anche se non sempre nazionalistica. Nella maggior parte dei casi nessuno ritiene di dovere nulla a nessuno. In questo quadro si inserisce un purismo linguistico che divide le due varianti della stessa lingua (la serba e la croata, paragonabili con Vbindu e Yurdu in India e Pakistan). Le traduzioni dal serbo al croato, come si possono trovare da tempo sui giornali, sono grottesche e in genere di qualit pietosa. Vengono eseguite da pasticcioni che non sono mini mamente in grado di misurarsi con gli autori che essi cercano in questo modo di correggere. Cos compaiono, per esem pio, delle affermazioni autentiche di autori serbi in versione croata, nella stampa croata, ma solo quando hanno qualcosa da dire contro la Serbia e presto non saranno pi pubblicate a causa dellembargo. La lingua serba riuscita a difendersi pi a lungo contro un tale purismo, per anchessa ha dovu to cedere alla pressione dellinteresse nazionale. In futuro, nelle scuole croate, la scrittura cirillica sar insegnata altret tanto poco quanto lo saranno i testi serbi degli scrittori serDi, e lo stesso accadr in Serbia a proposito dei testi e degli auto ri croati. In Serbia ci si irrigidisce pi che mai sul cirillico come unica scrittura permessa. In questo modo vengono separate le culture. Cos per esempio, poco tempo fa stata emanata la seguente direttiva per le biblioteche delle scuole elementari: L a collezione dei libri di consultazione deve contenere manuali (enciclopedie, lessici, vocabolari, abbece dari, atlanti, bibliografie ecc.) esclusivamente nelledizione croata. Tutti ci possiamo immaginare quale impoverimento comporta un simile atteggiamento per lintera cultura di un paese - in particolare per la nostra generazione - nel quale esisteva finora una variante linguistica che veniva compresa da tutti. Se per la divisione prosegue con questi ritmi, allora la separazione nella lingua e nella cultura - tendenzialmente sostenuta dalla politica ufficiale - sar presto raggiunta in modo definitivo. A questa (non) politica culturale danno mano, naturalmente, oltre alla burocrazia statale, anche molti intellettuali: ancora difficile valutare il grado di responsabi

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lit degli intellettuali sia per quanto riguarda il danno fatto alla cultura sia per ci che concerne la devastazione generale dei nostri paesi. Il ruolo degli intellettuali non certo esclusivamente negativo. Esso potr svilupparsi in modo completo solo nel periodo successivo alla guerra. Gli intellettuali avranno anche una grande responsabilit nella ricostruzione dei paesi, come anche nel gettare una testa di ponte in senso culturale e in altri sensi. Perch leconomia e la sopravvivenza quotidia na richiederanno una nuova apertura di paesi e confini. In ultima analisi, la guerra attuale non una guerra tipicamente jugoslava, ma una guerra europea, a prescindere dal fatto che lEuropa voglia ammetterlo o meno: ripropone un gesto di emarginazione, che tipicamente europeo. La linea centrale di frattura non si trova tra noi e lEuropa ma allinterno dellEuropa e in ognuno di noi. Gli intellettuali dei nostri paesi sono caduti (in parte per loro propria distra zione) in una condizione nella quale tutti i loro legami reci proci si sono spezzati, in cui non riescono pi a comunicare tra di loro, nella quale si trovano ad essere vittime di un col lasso semantico (entro, ma anche fra, i rispettivi ambienti). Gli intellettuali della Croazia e della Serbia, per esempio, anche quando sono daccordo tra di loro nel rifiuto dellag gressione e della guerra -, possono, per adesso, comunicare reciprocamente solo attraverso lestero. Non li si aiuta n innalzando quelle mura che lEuropa incomincia a costruire intorno ai nostri paesi, n stringendo una specie di cordone sanitario intorno a noi, o proponendo lo spostamento ad est di quei confini, per mezzo dei quali lEuropa si da sempre definita. Il compito dei nostri intellettuali e di quelli dei pae si europei consister, non da ultimo, nello smascherare quel la strategia che vuole creare unidentit europea per mezzo dellemarginazione. Parigi, 19 luglio 1992

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LA NUOVA DEMOCRAZIA: CON LE DO NNE O SENZA DI LORO?

Nessun sistema politico, di qualsiasi tipo, stato finora in grado di trovare una formula per includere le donne nelle proprie strutture, o anche solo per permettere la loro parteci pazione in modo minoritario. Sembra perci che lassenza, o la presenza in misura irrisoria, delle donne, sia la pi costan te caratteristica comune di tutti i sistemi politici. In questo i partiti della sinistra non fanno eccezione: uno degli errori storici di questi partiti stato proprio quello di trascurare il problema del ruolo della donna, e ci vero sia dei partiti che sono stati al governo che di quelli che sono stati allop posizione (incluse le formazioni politiche nate dopo il 1968), sia per quel che riguarda i paesi occidentali che quelli ex socialisti. La sola conclusione che si pu trarre di fronte a questo fenomeno che tutti i sistemi sociali e politici sono fondati sullesclusione delle donne. L esclusione delle donne dalla vita pubblica (alcune eccezioni, tollerate, sono sempre state possibili come conferma della regola) stata la base, e non solo la conseguenza, dei sistemi politici fino ad oggi esistenti. Ci vale anche per la vita interna dei partiti - dominata sem pre dagli uomini - e si verificato anche nella nuova situa zione politica, caratterizzata dalla presenza di pi partiti, che si sviluppata nei paesi della ex Jugoslavia, a riconferma del fatto che lesperienza del Partito Unico non stata sotto que sto aspetto un caso particolare. D altro canto il Partito Unico aveva almeno una modesta idea, di ispirazione egualitaria, in favore dellinclusione delle donne, che esprimeva una esigen za di principio, se non una reale volont in questo senso. (LAssociazione delle Forze Riformistiche, che era apparsa come lultima speranza per il mantenimento di un terreno politico comune in Jugoslavia prima della sua definitiva frammentazione, si comportava per lo pi nello stesso modo: non era esplicitamente ed in misura sufficente impegnata per la donna, pur tentando genericamente di includerla. Lo stesso si pu dire riguardo a ci che resta delle forze di sini

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stra dopo il crollo del paese). Negli attuali partiti nazionalisti (di governo o di opposizione), non vi neanche questa astratta tendenza egualitaria: molti di essi hanno anzi nei confronti della donna politiche di discriminazione in senso negativo. Alcuni partiti o organizzazioni pi piccole hanno avuto un atteggiamento o un programma pi decisamente positivo riguardo alle donne, seppure a volte non dichiarato esplicitamente (per esempio in Serbia il Partito social-demo cratico, il Ujdi - L Associazione Per lIniziativa Democrati ca in Jugoslavia -, i Riformisti). Ma questo era stato pi semplice per loro, per il fatto che essi erano, e sono rimasti, lontani dallavere alcuna possibilit di vincere le elezioni. Esempi in questo senso provenienti dalla Serbia erano parti colarmente numerosi quando cominciavo questo questo lavoro, al tempo della - troppo breve - campagna elettorale del novembre 1990, durante la quale il movimento femmini sta manifestamente tentava di lottare contro lindottrinamen to fascista delle donne che era allora la tendenza dominante. Le donne diedero luogo ad un movimento politico dellulti mo minuto - come avveniva a molti in quel periodo -, nel momento stesso in cui compresero che erano divenute lo biettivo del discorso dei nazionalisti; questo riguard diversi gruppi femminili o femministi come Femminismo, Don na e Societ, La Lobby delle Donne, lSos - Telefono, il Parlamento delle Donne, il Partito delle Donne (Zest) e Lesbiche, tutti attivi a Belgrado, e le attiviste e i gruppi femministi a Novi Sad, l allora Movimento Democratico delle Donne di Kragujevac, e probabilmente molti altri gruppi. In realt, mano mano che le ideologie nazionaliste, le politiche aggressive verso gli altri, le tendenze religiose e con servatrici, cos come le spinte autonomiste propagate attraver so i media, assorbivano, divenendone egemoni, tutta la vita politica, i gruppi di donne o femministi reagivano in modo simile in tutte le repubbliche dove esisteva in qualche forma una tradizione femminista (principalmente la Croazia, la Slo venia, la Serbia): da unattivit di tipo specificamente femmi nista essi passarono velocemente ad unattivit pacifista e antinazionalista. Ma si trattava per lo pi delllite pi consa pevole, formata dalle femministe delle citt, peraltro insignifi cante dal punto di vista numerico. La guerra nei paesi della Jugoslavia ha avuto almeno il merito di mobilitare le donne

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su questioni che vanno oltre quelle di tipo puramente femmi nista (se una distinzione netta in questo senso sia mai stata possibile, fatto di cui dubito), e di portare molte femministe inattive allo scoperto, attraverso lattivit pacifista. In genera le, ci che viene messo oggi alla prova - e nonostante il fatto che le donne e il movimento femminista siano state riportate indietro di molto rispetto alle condizioni storiche e alle con quiste raggiunte nella ex-Jugoslavia -, la qualit e la reale portata dellidea di democrazia coltivata dalla modesta oppo sizione antinazionalista. Parler in seguito del legame tra il movimento femminista e quello pacifista. Nessuno ha pensato finora di verificare lidea di demo crazia, di cui adesso tanto si parla, in rapporto alla questione del sesso o genere. Sfortunatamente, tutte le forme di demo crazia conosciute fino ad oggi si sono dimostrate fallimentari sotto questo aspetto: una democrazia che non permette la partecipazione della met della popolazione (in questo caso le donne) non una democrazia, eppure questo che viene di fatto proposto sotto una tale denominazione. In definitiva si tratta della tradizione della democrazia occidentale: cio un sistema esclusivamente maschile. Ma il fatto che le donne sono dei potenziali votanti (biracice e non biraci)\ in un senso pi ipotetico esse sono anche possibili candidati (kandidatkinje e non k&ndidati). La loro specificit viene sempre occultata e dimenticata, nella stratta universalit rispecchiata da termini come uomo e candidato. Fino a quando la dimensione normativa e repressiva in cui si trova lumanit delle donne (in corrispon denza con il modello maschile, che si presume neutrale) non verr disvelata, la democrazia rimarr sempre solo maschile. Nella realt che oggi concretamente si offre, la democrazia accessibile a coloro che si inseriranno, o potranno e sapranno come inserirsi, nellorganizzazione sociale e nella gerarchia di valori che sono dominanti, il che significa accet tare a priori e inconsapevolmente lineguaglianza, attraverso la trappola di una astratta uguaglianza come fatto di principio. Non dimentichiamo infatti che non tutti sono uguali in par tenza, e non tutti hanno le stesse possibilit. E 1 ugua glianza applicata a coloro che non sono dallinizio uguali equivale ad una ingiustizia. Ci vero di tutte le minoranze e delle donne, essendo queste ultime analoghe ad una mino ranza anche se da essa diverse, in quanto costituiscono poco

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pi della met della popolazione. Ci di cui le donne hanno veramente bisogno che vengano riformulate le leggi, che vengano introdotti meccanismi di differenziazione in positi vo, che vi sia una politica di affermazione (ma non di privile gio), e la possibilit di diventare esse stesse i soggetti (e non il semplice oggetto, come sempre accaduto) della legge e del la politica. Un partito che adottasse questa linea di pensiero nei paesi Jugoslavi (finora non ve ne stato alcuno), avrebbe del le buone possibilit di successo. Se un progetto di questo genere fosse sufficientemente elaborato e fedelmente messo in pratica, io credo che un partito veramente universale (dal punto di vista dei sessi), che tenesse conto dei problemi delle donne, e con la possibilit di fare una campagna abbastanza lunga (cosa che non si potuta verificare per le elezioni nelle diverse repubbliche jugoslave), potrebbe guadagnare voti femminili. E questi voti sarebbero di pi di quelli che verreb bero persi nellelettorato maschile e conservatore. Anche i partiti della sinistra hanno invece sempre fatto i loro calcoli temendo di perdere lappoggio delle donne conservatrici, e allo stesso tempo non cercando di preparare le condizioni per un voto progressista di massa delle donne (questo impliche rebbe il fatto di dare loro qualcosa). Che il voto progressista delle donn, sia qualcosa su cui si potrebbe veramente conta re un fatto che non pu essere dimostrato, in quanto si trat ta di una strada mai percorsa nella storia. Nessuno ha mai voluto fare una scelta in questa direzione, il che ha a che fare con il fatto che in definitiva solo luomo, e non la donna, che fa politica, nel senso tradizionale. Nel caso della ex-Jugoslavia, anche i partiti pi accettabili hanno saputo pensare alla donna in modo solo strumentale (e dellultima ora) per avere dei voti, mentre mai si considerata la donna in fun zione di un progetto teso a una politica di reciprocit e con sapevolezza, e per far nascere e sviluppare un opinione pub blica femminile, come parte della complessiva opinione pub blica. Un partito progressista e non nazionalista che volesse contare anche sullappoggio delle donne dovrebbe: 1) avere un programma specifico e con proposte concrete per la don na, oltre ad un buon programma generale; 2) pianificare e incentivare lorganizzazione sul piano socio-politico della opinione pubblica femminile. In tempi di profonda insicu rezza sociale ed esistenziale, di guerra e di nazionalismo

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aggressivo, ci potrebbe essere realizzato in modo relativa mente veloce, perch l insoddisfazione e limpazienza delle donne grande e cresce sempre di pi, e una parte impor tante delle masse femminili non vuole appoggiare alcuna politica nazionalista o militarista, pur non avendo alcuna organizzazione (ci vale anche per gli uomini) a cui rivolger si. Solo i partiti nazionalisti, che incitavano alla guerra, e le chiese si sono rivolti alle donne, richiamandosi al loro ruolo tradizionale. Dopo le elezioni che si sono svolte nelle diverse repubbliche, queste forze stanno cercando di eliminare dalla legislazione i modesti diritti delle donne che erano stati ottenuti con il socialismo. Ma, come minimo, questi diritti dovrebbero essere mantenuti, e lobiettivo delle donne dovrebbe essere ora ancora pi alto: il diritto a essere riconosciute pienamente dalla Legge stessa (e non solo ad avere limitati diritti delle donne). Solo questo infatti potrebbe garantire una differen ziazione in senso positivo. Quanto infatti siano precari (poi ch circoscritti) i diritti delle donne, dimostrato attualmen te dagli sviluppi che si sono avuti negli ex paesi socialisti: i diritti della donna storicamente non sono mai stabili, posso no essere minacciati in qualsiasi momento e aboliti in modo del tutto arbitrario dagli uomini (maschi). La Legge, dopo tutto, non di origine divina n neutrale; dietro di essa vi un soggetto e un arteficie umano: storicamente questo di sesso maschile. Le donne e le minoranze figurano solo come oggetti della legge, posti all'interno di uno schema costruito dal soggetto che storicamente dominante. Finch non cer chiamo di sviluppare e di mettere in pratica una concezione di inter-soggettivit pluralistica, e cio finch non smantellia mo e non ricreiamo la struttura stessa della Legge (con tutte le conseguenze pratiche, politiche, sociali che ci comporta) le donne (o altri soggetti in una analoga situazione) rimarran no subordinate al potere maschile. Nessuno si indirizza normalmente alle donne, e storica mente non esistono canali riconosciuti attraverso i quali le donne possano comunicare tra loro. Non esiste qualcosa come lopinione pubblica femminile (come parte della gene rale opinione pubblica), mentre ci che viene normalmente inteso come opinione pubblica normalmente senza dubbio lopinione prevalentemente maschile. Solo il movimento delle donne ha dato rilevanza a questo problema: la comunicazio

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ne, linformazione, la disinformazione, sono cose che riguar dano unicamente gli uomini; le donne costituiscono semplicemente il premio, loggetto o lo strumento di battaglie che avvengono solo tra di essi. Esse non partecipano a queste bat taglie, alle quali sono invece subalterne: perci la lotta non appartiene in alcun modo alla donna, almeno fino al momen to in cui essa non sar accettata come soggetto partecipante, fino al momento in cui cio le regole stesse del gioco non cambieranno. Nessun partito nei Balcani pronto a far que sto, ad eccezione delle organizzazioni delle donne, ad esem pio il Partito delle donne (Zest) nel periodo delle votazioni in Serbia; ma questo partito ovviamente aveva la funzione di attirare lattenzione sulle donne relativamente ai loro proble mi pi generali. necessario che, come obiettivo di civilt, cerchiamo di raggiungere il punto di non ritorno in cui il fem minile, cos come il maschile, possa essere pensato come uni versale (ma, ovviamente, non imposto come modello). Dopo tutto luomo una donna come ogni altra, non vero? L e donne non si sentono responsabili per la tragica situazione che si verificata nei paesi Jugoslavi, perch esse sono state rese storicamente non responsabili, in quanto non hanno avuto potere. In rapporto alla loro situazione subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, le donne hanno subito una grave regressione, iniziata gi prima della attuale guerra civile: la loro presenza nella politica andata sempre pi diminuendo, ed esse sono ovviamente del tutto assenti nel lambito militare. Al tempo delle elezioni in Croazia, la percentuale delle donne candidate era solo del 6% , e, dopo queste votazioni, complessivamente uno scarso 4% di deputate donne sedeva nel primo parlamento Croato. La L ista delle donne a Zagabria non ha avuto successo alle prime elezioni pluripar titiche, e le cose non sono andate molto meglio nelle prime elezioni in Slovenia, sebbene alla fine un 10% di donne facesse ingresso nel Parlam ento, dom inato al 90% dai maschi. Le elezioni con pi partiti in Serbia davano luogo alla presenza di un 1% di candidate donne nel Parlamento. Che si sia trattato di una coalizione di partiti nazionalisti e di centro destra, come in Slovenia e Croazia (in questultimo paese iniziando con una pi netta vittoria dellAlleanza Croata Democratica Nazionalista) o della predominanza di un unico partito nazionalista (il Partito Socialista della Ser

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bia, ovvero gli ex comunisti), i governi e gli orientamenti generali in tutte queste tre repubbliche della ex-Jugoslavia erano, e sono, conservatori riguardo ai diritti delle donne, lasciando un ampio spazio alla retorica clericale su questo tema. I partiti nazionalisti e conservatori vedono la donna, nel migliore dei casi, allinterno di una prospettiva di prote zionismo legislativo, che ha la funzione di proteggere la maternit, attraverso una politica demografica tesa a assicu rare che il maggior numero possibile di bambini nascano a noi, mentre allo stesso tempo la crescita demografica degli altri deve essere disincentivata. Cos l aborto stato inco raggiato per le loro donne, e sono state introdotte per loro tasse per chi ha un quarto figlio (similmente in Serbia, gi prima della divisione della Jugoslavia, politiche notevol mente diverse erano dirette verso le donne serbe o albanesi), mentre dallaltra parte vi stata chiaramente una tendenza a limitare o im pedire l aborto e la contraccezione per le nostre donne, e a incoraggiare le famiglie con un quarto figlio (esempio di questo stata la benedizione ufficiale delle famiglie con molti bambini nella Cattedrale di Zagabria nel 1990, subito dopo le elezioni). Sono previsti anche tentativi di introdurre tasse aggiuntive per coloro che non hanno figli tra la nostra popolazione, nel momento in cui ci sentissimo demograficamente minacciati. Tentativi in questo senso sono stati fatti in Croazia dopo le prime elezioni pluripartiti che, dove le organizzazioni delle donne hanno reagito con una forte opposizione (ad esempio lAssociazione Indipen dente delle Donne, 1Associazione per la Donna Oggi, i gruppi femministi di Zagabria), ed anche in Serbia gi prima delle elezioni, dove la Lobby delle Donne aveva aspramen te criticato la proposta di una Risoluzione per il Rinnova mento della popolazione, voluta dalle autorit di Belgrado. Tutto questo viene accompagnato da una insistente propaganda di spirito patriarcale in favore dei valori tradizio nali, tesa a limitare i pochi diritti delle donne finora rag giunti, attraverso una aperta e rinnovata condanna della con vivenza e della possibilit di avere figli al di fuori del matri monio. Le donne devono essere rimandate a casa a causa del la crisi ecomomica, e per poter riservare il lavoro in modo preferenziale ai rifugiati, ai militari e ai mutilati che ritornano dalla guerra civile. Vi una tendenza esplicita al fatto che

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queste ideologie conservatrici trovino una loro diretta attua zione nelle nuove legislazioni e costituzioni (tendenza che incontra un notevole successo). Le donne dovrebbero, tra tutte le altre cose, mantenere il loro diritto a disporre esse stesse dei loro corpi e delle loro menti, dovrebbero essere riconosciute come le uniche che possono - e hanno il diritto di - decidere se avere bambini o meno, prima e indipenden temente da ogni interesse nazionale. Il diritto individuale dovrebbe sempre essere prioritario rispetto a ogni preteso diritto nazionale. Ma, evidentemente, i diritti delle donne non sono in alcun modo considerati tra i diritti umani ele mentari. Un buon esempio per illustrare questa svolta conserva trice della politica nei confronti della donna, quello della tendenza oggi dominante in Croazia, anche se ci non signi fica necessariamente che i regimi negli altri stati della exJugoslavia si comporterebbero in modo migliore. Il ViceMinistro per la ricostruzione, Anto Bakovic, ha illustrato un preliminare Progetto per il Rinnovamento Morale e Demo grafico della Croazia (Koncept demografske i moraine obnovern Hrvatske) in cui si legge quanto segue:
Il program m a com prender un im pegno per la trasformazione della famiglia di oggi nella famiglia Croata del futuro che deve avere tre o quattro bam bini. L a battaglia contro laborto comporta leducazione sul piano m edico, etico ed um ano delle persone, cos com e la crea zione di condizioni socio-economiche di vita per cui le donne non abbiano alcun m otivo di abortire. L a lotta contro la mentalit avversa alla vita: urgente depurare i testi medici, scolastici, la televisione, la stam pa, e tutti i documenti che datano dai tem pi del totalitarism o com unista, di tutti gli ele menti che dim ostrano un atteggiamento contrario alla vita. Attivit favorevole alle nascite di questo M inistero: produrre film popolari, video ed audio cassette, adesivi, manifesti che sponsorizza no lincremento dem ografico. L a nuova politica p er la famiglia: la Croazia deve prom ulgare leggi adeguate e garantire le condizioni per far s che la vocazione suprema nella Repubblica sia la vocazione della madre allevatrice di figli. L e m adri che lavorano dovrebbero essere escluse dallimpiego nelle fa b b ric h e e d a altri lavori p e r e sse in ad eg u ati. C i forn ireb b e migliaia di posti di lavoro in pi. Il celibato dovrebbe essere represso, perch la attuale situazione dem ografica peggiora progressivam ente a causa di un nuovo male,

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rappresentato dai matrimoni in tarda et, contratti tra i 35 e i 50 anni da coppie che hanno solo un bam bino o rimangono senza figli. La nuova politica fiscale non incoragger il celibato, ma privileger le coppie sposate con figli. L a tutela m orale della famiglia: L a R epubblica deve com battere, attraverso le leggi e il condizionam ento politico, qualsiasi cosa sia contro il matrimonio e contro la famiglia. O ccorre lottare contro la pornografia, la prostituzione infantile e im porre restrizioni a sale cinematografiche private e video-club. La dignit della maternit dovrebbe essere pubblicam ente enfatizza ta, rispettata e propagandata, e dovrebbe essere introdotta una nuo va festa nazionale: il G iorno della M adre Croata. I criteri per concedere i divorzi dovrebbero essere molto pi severi nel caso di matrimoni con figli. L a tutela sociale dei bam bini: lim piego di bam binaie dovrebbe essere limitato al minimo e poi gradualmente del tutto abbandonato, facendo s che i bam bini stiano per i prim i due anni con le loro madri. Dovrebbe essere elaborato un progetto per istituire cooperative per linfanzia per bambini dai due ai sei anni. II rinnovamento morale della societ: la Croazia oggi libera, ma la societ croata attuale malata, nel senso che lanima della nazione soffre di m olti danni perpetrati dal vecchio regim e; questi sono comportamento asociale, rifiuto del lavoro, mancanza di responsabi lit, corruzione, un atteggiamento negativo verso lo Stato e ci che di propriet statale, luso di bestemmie e parolacce e la corruzione della morale della gente attraverso la stam pa ed altri mass-media. D opo una cos grande distruzione materiale e spirituale e dopo tan ta incertezza, la societ croata sta entrando in E u ropa, come una societ libera e sovrana. necessario organizzare una Settim ana Sociale C ro ata, durante la quale si riuniranno pi o meno cento Croati saggi, onesti e patriottici, per indicare le nostre future p ro spettive, fornendo cos un aiuto al Governo, al Parlamento e ai lea der nel rinnovamento etico della gente Croata e di altri cittadini del la Repubblica.

Complementare alla linea apertamente clericale del Vice-Primo Ministro, latteggiamento dello stesso Cardina le Franjo Kuhraric. Egli dice infatti in una lettera al Presi dente del Parlamento:
... necessario che urgentemente si abolisca la legge sulla regola mentazione medica relativa alla decisione libera sulle nascite, o che la si sostituisca con una nuova. Per noi credenti, quella legge con tro D io e contro gli uomini; essa contraria alla nuova Costituzione

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della Repubblica della Croazia, secondo la quale ogni essere umano ha il diritto alla vita. Tale legge lespressione di una concezione materialistica delluomo, e perci di una visione del tutto errata del la vita umana, della persona e della sessualit, ed il risultato di una mentalit che oggi molto diffusa nel mondo, e che conduce ad una civilt basata sulla morte. Dato che tale mentalit molto radicata anche in Croazia, ed ampiamente appoggiata dai mass-media, cre diamo sia necessario spiegare la nostra richiesta pi nel dettaglio, e la proponiam o alla considerazione di tutti gli uomini di buona volont. ... Crediamo che sia nostro dovere affermare chiaramente e con determinazione la nostra difesa del diritto a nascere degli esseri umani che sono stati concepiti. Il tragico destino di decine di migliaia di bambini non nati in Croazia, uccisi dallaborto, non deve lasciare indifferenti gli animi delle persone di buona volont. Que sto fenomeno stato fatto passare sotto silenzio, o stato perfino giustificato richiamandosi a diverse ragioni, e il diritto allaborto stato considerato come qualcosa che appartiene alla donna. L abor to la negazione della dignit della donna e dellamore materno; il male il male, e compierlo non potr mai divenire un diritto. ... Crediamo che la nuova legislazione croata dovrebbe distinguere nettamente tra il diritto a una procreazione libera e responsabile e il problema dellaborto. Il metodo usato per una procreazione respon sabile (nella pianificazione della famiglia) quello del rispetto del ciclo della fertilit, che significa astensione dalla vita coniugale nei giorni fertili. ... questo il modo in cui la dignit umana, e la dignit della ses sualit, vengono rispettate. La contraccezione non naturale, che sia ottenuta con rimedi di tipo chimico o meccanico, perfino con risul tati abortivi, una grave offesa alla dignit e trasforma la persona umana in un oggetto di soddisfazione egoistica. L amore autentico contrario a tutto ci. L aborto che viene inflitto intenzionalmente un male oggettivo sia dal punto di vista dellindividuo che dal punto di vista sociale, e dovrebbe essere visto in questa prospettiva dalla legislazione. ... Caro Signor Presidente del Parlamento Croato, sottopongo que sta richiesta e questa dichiarazione dei vescovi croati, come Pastore della Chiesa in Croazia, alla vostra attenzione e alla coscienza del Parlamento. Sono convinto che un argomento cos serio sar esami nato dal Parlamento con responsabilit di fronte a Dio, alla storia e agli uomini, che verranno tratte le adeguate conclusioni, che sar approvata una nuova legge, la quale sar veramente espressione del la tutela della vita e di ogni essere umano dal momento del suo con cepimento fino alla morte . 1

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Questa tendenza ad abolire i diritti elementari delle donne, ha dato luogo a una crescente preoccupazione nelle donne e nei giovani. E veramente la societ nel suo comples so sta subendo uninfluenza sempre maggiore da parte della Chiesa; da vari punti di vista (nelleducazione, nella politica culturale, nei mass-media, nella politica interna), ma in pri mo luogo relativamente alle donne, questa tendenza vera mente allarmante. Tutto quello che nella legislazione era sta to raggiunto in favore della donna sar probabilm ente abbandonato. Le due lunghe citazioni che ho riportato non hanno bisogno di commenti: esse sono caratteristiche degli orientamenti ufficiali degli stati che si sono appena formati. difficile dire se le donne riusciranno a combattere tutto questo; perch le decisioni di interesse generale, cos come quelle che specificamente riguardano le donne, sono prese da una piccola minoranza di uomini che siedono nel Parla mento, e che sono inoltre spesso molto pi vecchi di quelle donne di cui essi decideranno il destino. La nuova democratizzazione della vita politica, che dovrebbe derivare dalla presenza di molti partiti, avviene molto lentamente ed in realt incerta e limitata. E ci vero, per diversi motivi, di tutte le aree di quella che era un tempo la Jugoslavia, ma soprattutto dei paesi che sono coin volti in una guerra, essendone colpiti direttamente o come invasori. Infatti nessuna democrazia pensabile con la guer ra: le sfumature sono eliminate, le differenti opinioni non sono permesse, ogni diversa tendenza, in particolare quella non nazionalista, viene stigmatizzata. Ma soprattutto, pi di quanto non fosse vero per quella che - potendo vedere ora la cosa ad una distanza di sicurezza - sembra essere la demo cratizzazione dei vecchi regimi totalitari dellEuropa dellEst, non vi democrazia per le donne. Questo confermato anche dalle recenti esperienze di altri paesi ex socialisti, dove vi la minaccia che le donne siano private di alcuni dei loro pochi e pi elementari diritti delle donne (che sono fondamental mente il diritto di voto, quello di poter scegliere tra mater nit e aborto, quello di un uguale salario: gli ultimi due sono oggi particolarmente in pericolo). Un partito politico che volesse contare sullappoggio della met (femminile) della popolazione, dovrebbe garantire questi diritti gi raggiunti nellepoca socialista, per quanto modesti e scontati essi siano, e assicurarne di nuovi e pi ampi, ovviamente nella direzione

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di riconfermare e migliorare ulteriormente gli strumenti pro pri di uno stato di diritto. E strano che nessun partito politi co abbia pensato a questo, e mi ha stupito in modo particola re che anche quello che era lultimo (e daltro canto dispera to e destinato allinsuccesso) tentativo di salvare una qualche integrit del territorio jugoslavo - cio 1Associazione delle Forze Riforniste - non abbia fatto una scelta in questo sen so, visto il suo bisogno di voti. Ma per questo sarebbe stato necessario indirizzarsi alle masse femminili come ad un grup po che rappresentava un obiettivo, ed offrire loro qualcosa. Qualsiasi altra cosa, incluso il silenzio nei loro confronti, era de facto una manipolazione, derivata dalla falsa universalit del discorso politico in generale. Il difetto che caratterizzava tutti i partiti si sarebbe potuto trasformare nel vantaggio di quel partito che avesse pensato alle donne, sapendo che tutti gli altri non sono stati in grado di indirizzarsi ad esse come ad un obiettivo. Il partito che avesse voluto tenere conto del le donne, avrebbe dovuto dichiarare per quali cose era pron to a lottare in loro nome, sapendo che la crisi economica avrebbe colpito loro per prime, che le difficolt della vita di ogni giorno ricadono soprattutto sulle donne, cos come il peso di prezzi sempre pi alti, del doppio lavoro, e soprattut to il peso della guerra (e si potrebbe specificare in quali modi la guerra e latteggiamento guerrafondaio colpiscono in modo particolare le donne). Non possibile affrontare alcu na questione relativa alleconomia senza una comprensione del suo impatto sulle donne in rapporto allinsieme; lincer tezza politica ed economica, la guerra hanno conseguenze particolarmente pesanti per loro, e le coinvolgono in un modo specifico. Le donne sono stanche e arrabbiate: esse potrebbero essere mobilitate - e si stanno mobilitando contro la guerra. Ma nessun discorso politico nuovo nei loro confronti minimamente in vista. La situazione delle donne ugualmente negativa, per diverse ragioni, nelle repubbliche coinvolte dalla guerra cos come in quelle che sono state da essa fino ad oggi risparmia te. Vi sono anche specificit e differenze, che ad uno sguardo pi ravvicinato dovrebbero essere prese in considerazione. Alcune di queste caratteristiche specifiche sono dovute alle piccole, ma significative, differenze esistenti nella legislazione riguardante la donna nelle regioni della Jugoslavia prima del la guerra civile (ad esempio, solo in Slovenia veniva ricono

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sciuto ad una donna che fosse stata stuprata dal marito il diritto che questo fosse condannato); altre, pi rilevanti, sono dovute alle ampie differenze esistenti nello sviluppo generale e negli standard di vita dei vari paesi. Sono le donne che hanno sulle loro spalle la maggior parte del peso sociale, psicologico, materiale della vita di ogni giorno; questo avvie ne pi che per qualunque altra ragione a causa del loro dop pio lavoro (lavoro svolto a casa e fuori), fenomeno che riguarda ogni parte del territorio jugoslavo. Ma nelle regioni 0 Repubbliche meno sviluppate del paese, questa pressione sulle donne ancora pi forte, a causa della miseria materiale e arretratezza culturale esistenti. Le donne in questi luoghi realmente lottano per la pi elementare sopravvivenza della famiglia - o di ci che rimane di essa dopo che la popolazio ne maschile stata inviata in guerra -, garantendo il sostenta mento materiale e psicologico. Prendiamo come esempio le apparizioni dei partiti politici nelle trasmissioni serali della televisione serba duran te le elezioni del 1990. La somiglianza nel loro modo di pre sentarsi era impressionante in tutti i casi, e solo i Socialdemo cratici, lUjdi (Associazione per lIniziativa Democratica in Jugoslavia), e in una certa misura i Verdi, facevano eccezio ne a questa regola: solo questi pochi partiti ebbero una o due donne a rappresentarli in televisione. Alle donne regolar mente viene riservato di parlare alla fine della trasmissione, generalmente su temi culturali, ed esse vengono spesso inter rotte o zittite dai loro colleghi pi politici quando il tempo sta per scadere, seppure hanno un minuto per dire qualcosa. La maggior parte dei partiti non parla mai della donna, non ha programmi che la riguardano, e quelli che si riferiscono ad essa (tranne il caso dei partiti sopra menzionati) la conce piscono solo nel suo ruolo di madre, in contrasto con laffer mazione generale che essi considerano la donna come avente uguali diritti. Ma le cose non vanno meglio in nessuna delle altre repubbliche della ex Jugoslavia. L ideologia misogina ha oggi grandi possibilit di ricevere una consacrazione sul piano delle leggi, ed fortemente attiva, sullonda del revival nazio nalistico e delle tendenze alla moralizzazione. Se lottiamo per 1 diritti umani fondamentali delle donne in Croazia - ci avvertono paternalisticamente -, stiamo di fatto applauden do al loro complotto contro la Croazia, e ci troviamo

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ovviamente dalla parte dei nazionalisti serb i2. O, viceversa (qual la differenza?), se appoggiamo lequiparazione di coppie sposate e non sposate, stiamo prendendo parte alla specifica guerra contro la Serbia \ Contemporaneamente, le bozze per le costituzioni, ma anche le costituzioni stesse della Slovenia e della Croazia come stati indipendenti e sovrani, riservano alla donna un ruolo ghettizzato, menzionandola solo in relazione alla sua funzione materna (Art. 51, 75 della costituzione slovena). La versione non ancora ufficiale del 1990 della costituzione croa ta parla di il matrimonio e la famiglia come la base morale e naturale della societ! (Art. 62), stabilendo i criteri arbitrari della moralit e della natura, e altrove della salute (la versione ultima di moralit nellArt. 16 della costituzione ufficiale ). Comunque, nella sua versione finale, la Costituzio ne Croata ha eliminato la definizione citata di matrimonio e famiglia, e ora dice solo: la famiglia sotto la speciale tutela della Repubblica. Il matrimonio e le relazioni legali allinterno del matrimonio, la convivenza e la famiglia sono regolate dalla legge (Art. 61). Come nel caso dellaborto, la questione demandata alle leggi. Sotto questo aspetto, la Costituzione Croata volutamente ambigua, contemplando la possibilit che la vecchia legge sullaborto come diritto di decidere sulla propria maternit sia abolita. Cos, larticolo 21 della nuova Costituzione recita testualmente: Ogni essere umano ha il diritto alla vita. Non esiste la pena capitale nella Repubblica della Croazia. H modo di concepire questa legge dipender chiaramente dallinterpretazione che viene data del significato di quellessere umano. Ad esempio, come illustrato dalla precedente citazione, il Cardinale intende dire essere umano dal concepimento alla morte. L ambiguit del paragrafo della Costituzione che abbiamo citato indica una chiara ten denza a limitare o vietare in futuro la contraccezione e labor to (e cos ad abolire il diritto delle donne a decidere per s stesse). Tale limitazione arriva pi tardi, a tempo debito e attraverso la legislazione, con l affermazione che le leggi dovrebbero essere in accordo con la Costituzione (che gi prevede tali nuove leggi). Cos lArt. 56 della Costituzione recita che i diritti che concernono la nascita, la maternit e la cura dei bambini, saranno regolati dalla legge. Vi qui abbastanza spazio per un progetto complessi vo che riporta le donne indietro ad una situazione di totale

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dipendenza dagli uomini. Il fatto che vi sia la presenza di un maggior numero di paragrafi che riaffermano in principio luguaglianza dei generi, delle diverse nazionalit, delle cre denze religiose ecc. di fronte alla legge, non ci deve sviare. infatti chiaro perfino da questi articoli (ad esempio larticolo 14) che luniversalit (tutti) non si applica alle donne, perfino quando questo viene espressamente dichiarato: si parla di cittadini solo nella forma maschile (gradjani), mentre si dice che tutti (i cittadini maschi) devono essere considerati uguali dal punto di vista della razza, del genere, ecc. (Riguardo al genere ovviamente questo particolarmen te assurdo, e mostra come il femminile non possa mai essere concepito come realmente universale: esso pu rappresenta re solo una eccezione). Similmente, nello stesso tempo la Costituzione Slovena poneva come principio fondamentale la santit della vita, ed era imprecisa rispetto al diritto di aborto (Art. 52), il che si rivelerebbe utile nel momento in cui si decidesse di abolire questo diritto, specialmente perch concede lobiezione per ragioni di coscienza (Art. 45), che potrebbe essere interpretata come il diritto per il medico di rifiutarsi di praticare laborto. L articolo 63 della Costituzio ne Croata, inoltre, afferma che i figli hanno il dovere di curarsi dei loro genitori anziani o debilitati, mentre tutti sappiamo che una tale cura in generale viene sempre deman data alla donna. Su questo tema, ci che ancora pi allar mante la manifesta intenzione da parte dello Stato di lavarsi le mani di ogni possibile dovere verso la salute dei suoi citta dini pi vecchi e verso la sicurezza sociale. Ed infine la Costi tuzione (Croata) recita che Il servizio militare e la difesa della Repubblica il dovere di tutti i cittadini abili, usando di nuovo la forma maschile, sebbene la lingua possieda entrambe le forme. Sono solo uomini i cittadini, e non donne (gradjanka sarebbe la forma femminile)? Se cos, la Costi tuzione si rivela come qualcosa che non riferibile o applica bile alle donne4. Di fatto, il cittadino donna menzionato per la prima volta fuori dal contesto (il che mostra che tale concetto non viene preso seriamente) nella Legge Costitu zionale concernente gli emendamenti alla Legge Costituzio nale per lApprovazione della Costituzione della Repubblica di Croazia (pubblicata il 14-11-1991), nellArt. 6, par. e, dove si dice che ogni cittadino o cittadina (gradjann ili gradjanka) ha il diritto di decidere a quale gruppo etnico,

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gruppo nazionale o minoranza egli o ella voglia appartenere. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, vi era il 30% di donne nei diversi corpi statali e governativi della Jugoslavia, e questo era dovuto in parte allesistenza di una quota fissa, ma in parte anche allautorit di cui esse godevano per il ruo lo significativo che avevano svolto nella guerra di Liberazio ne. Negli attuali stati della ex-Jugoslavia le donne sono di nuovo completamente scomparse dalla scena (la presenza di poche donne alibi non fa che confermare questa regola): praticamente non vi sono donne nei governi, e ve ne solo qualcuna nei parlamenti. E una tale siuazione viene sancita dalle leggi ogni volta che se ne abbia la possibilit. L economia di mercato e di tipo competitivo, diretta inizialmente a salvare la Jugoslavia dalla crisi, e in seguito i diversi stati emersi dalla divisione del paese, non si mai veramente realizzata, eccetto in parte nella Slovenia. Non vi pu essere alcun progresso economico dove vi la guerra e non possibile alcuno scambio, dove i mercati si chiudono invece di aprirsi e ogni forma di complementarit si inter rompe. Ma, se la pace dovesse arrivare (cosa che io spero), saremmo subito in grado di vedere che leconomia di merca to di per s non favorisce automaticamente le donne, i loro diritti o il loro progresso (e viceversa). Non il momento giusto per le rivendicazioni delle donne o femministe (come se ci fosse mai stato un momento giusto). Molte cose sono pi importanti e vengono prima delle necessit delle donne; per il momento, nei discorsi retorici ufficiali, linteresse nazionale ha la precedenza. Le donne riconoscono un interesse comune (comune a tutti gli ex Jugoslavi) come prioritario ad ogni altro: questo interesse comune la pace. Naturalmente, questa logica perversa potrebbe essere vista in una prospettiva opposta, per il cambiamento, e per il nostro bene comune, se 1interesse della nazione non venisse identificato, come sempre accaduto finora nella sto ria, con un interesse dominante che storicamente stato - ed tuttora - maschile, ma se potesse essere identificato con linteresse femminile. Ma non importa se linteresse nazio nale sia concepito, come per lo pi avviene oggi, come nazionale in un senso stretto, che implica lostilit verso gli altri, o se sia concepito, come un tempo, in senso socialista e riferito alla autogestione del paese: la nazione comunque

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un falso universale, come ogni altro. Mentre le donne della ex-Jugoslavia si trovano ora in una condizione molto arretrata rispetto a quella in cui si tro vavano con il modello di sviluppo socialista (anchesso falsa mente universale) per quel che riguarda il loro status dal punto di vista politico, economico, legislativo, esse sono rimaste al punto di prima riguardo al livello di civilizzazione: il livello cio dei Balcani patriarcali, militarizzati, portati alla guerra, dove si produce un eccesso di ormoni aggressivi. Nel la vita di ogni giorno, le donne dei paesi jugoslavi sono ricac ciate indietro passo dopo passo verso la terra di nessuno dei fantasmi nazionali, dove vengono loro inflitte sofferenze reali e non fantasmatiche: la guerra in generale, la violenza nella famiglia, la violenza fisica sulla donna e sui bambini, labuso dei bambini, lincesto forzato, la molestia sessuale, la violen za diffusa ovunque, il furto, la miseria, lemigrazione, le case e le citt distrutte, la morte. Questa solo la parte visibile delliceberg: ogni tipo di aggressivit verso gli altri (diretta allaltra nazione naturalmente, ma presente anche allinterno della comunit stessa), verso chiunque abbia diverse idee o atteggiamenti, viene oggi permessa, e non vi sono pi limiti. In parte questa aggressivit insita nella nostra popolazione maschile, e in modo pi generalizzato nelle nostre culture, non una sorpresa per le femministe, specialmente non lo ad esempio per le attiviste del Telefono Rosso Sos, nato per aiutare le donne e i bambini che vengono picchiati (introdotto a Zagabria dal 1988, e a Belgrado qualche tempo pi tardi). Sfortunatamente, permane ancora nellopinione pub blica una visione banalizzata di questi problemi relativi alla violenza, cos come unidea stereotipata negativa delle attivi ste femministe, in modo tale che le donne impegnate in que sto tipo di azione non hanno mai ricevuto lincoraggiamento che meritavano, n ha ricevuto attenzione lattivit che esse svolgevano. Nella condanna di questi fenomeni, cos come nel supportare i movimenti pacifisti e femministi, deve essere riconosciuto il legame esistente tra la molto diffusa violenza domestica verso le donne (verso chi pi debole in gene rale), e lesplosione della guerra in Jugoslavia: non affatto un caso che questi fenomeni compaiano adesso contempora neamente. E naturalmente questo argomento dovrebbe esse re approfondito. Ma lasciatemi prima illustrare ancora alcuni

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esempi riguardanti le donne o la violenza contro le donne per spiegare il mio discorso. Una nuova proposta di legge in Croazia mostra linten zione che casi di violenza che avvengono nella famiglia non vengano esaminati pubblicamente. Ci significherebbe solo il tentativo di essere concilianti verso la violenza che avviene in privato, direbbe unanalisi femminista. E infatti le donne vogliono che, come regola, questi casi siano discussi pubbli camente, eccetto quando sia la vittima a chiedere il contrario. Le donne affermano che dovrebbe essere lo Stato a combat tere la violenza nella famiglia, e che lo Stato che dovrebbe garantire il rispetto e la dignit dellimmagine pubblica della donna. E ci a cui ci riferiamo qui non in particolare la pornografia. Per quanto riguarda questultima, sarebbe meglio, rispetto alla censura, che si permettesse ai gruppi di donne di giudicare e spiegare questo fenomeno in aumento. Ma sfortunatamente, la situazione attuale tale che possibi le e permesso, su tutte le pubbliche scene jugoslave, che si esprima qualsiasi affermazione sessista, aggressiva, fascista, offensiva contro le donne (o contro altri soggetti), senza che per questo vi siano sanzioni o una pubblica condanna da parte di nessuno. Ma cos laggressione verbale in confronto alla violenza fisica? Eppure luna conduce allaltra, come stato ben dimostrato dallatteggiamento guerrafondaio, e dal modo in cui stata propagandata la guerra attraverso i media durante gli ultimi cinque anni (e ci accaduto da ogni par te). similmente permesso che si esprima qualsiasi opinione razzista o sciovinista senza che vi sia alcuna conseguenza: si deve solo scegliere da che parte stare. Quando si tratta di violenza verso le donne (che sia verbale o meno), queste si sono sempre sentite, e oggi ancor di pi, prive di qualsiasi tutela; esse non hanno mai avuto qualcosa in cui poter confi dare per la propria difesa, e a cui potessero affidare la salvaguardia dei propri diritti. Vi attualmente (siamo nel 1992, mentre la guerra in Bosnia ed Erzegovina pi distruttiva, e la guerra in Croazia non affatto al termine) un implicito stato di emergenza riguardo alla morale, alle leggi, alla sicurezza personale del cittadino, poich la Nazione ha la prevalenza assoluta non solo sulle cittadine-donne, ma anche sui cittadini-uomini. E interessante notare che la caccia alle streghe che vi oggi in Croazia (costituita da volgari attacchi sui giornali contro alcuni intellettuali sospettati di non

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conformarsi al sentimento nazionalista imperante) oggi principalmente diretta contro le donne. vero che pi facile attaccare chi pi debole, seb bene alcune delle giornaliste in questione siano anche delle donne; ma anche vero probabilmente che questi attacchi significano che la donna percepita in una certa misura come un soggetto politico, il che rappresenta in s un feno meno nuovo. In Serbia, al contrario, tutta la retorica aggres siva militare e di guerra qualcosa che viene diretto solo agli uomini, mentre le donne non ricevono alcuna attenzione dal punto di vista politico. Le donne devono difendere lo stato di diritto, per esse re sicure che la Nazione non abbia la totale priorit sui loro interessi individuali, interessi che la Nazione considera come propri, dato che il corpo della donna fornisce i soldati, e la riproduzione della famiglia al pi basso prezzo. Riguardo al loro status, le donne insistono sui loro diritti relativi alla pro creazione, e sul diritto di base a decidere del proprio corpo e della propria individualit (ad esempio nella Dichiarazione sui diritti relativi alla procreazione, di un gruppo femmini sta di Zagabria). Riaffermando i loro diritti nel campo della procreazione, le donne vogliono opporsi alla politica demo grafica in favore delle nascite, che, in modo scandaloso, con ta e mette a confronto i nostri bambini (considerati sem pre troppo pochi) con i loro bambini (considerati sempre troppo numerosi), e che intende esercitare un controllo sulla nazione che pesa tutto sulle donne, dimenticando che anche gli interessi della specie possono essere garantiti solo rispet tando i diritti della donna come individuo. Questi diritti non dovrebbero mai venire minacciati. Sembrano esservi, grosso modo, tre stadi nel tratta mento delle donne dal punto di vista delle leggi. Storicamen te, il primo stadio quello di una discriminazione legale in senso negativo, che pi o meno precedente allesperienza dei paesi del capitalismo avanzato e di quelli ex-socialisti, sebbene le donne in questi ultimi siano chiaramente di fronte al pericolo di tornare indietro a quel punto. Le donne nella maggior parte di questi paesi (dellEuropa dellEst e dellO vest) si trovano ora in nuovo stadio, quello dell astratta ugua glianza sul piano di principio (de jure, ma non de facto), degli uguali diritti insomma, o egalitarismo. In questo stadio per laspetto della norma e quello reale, effettivo, differiscono, in

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quanto le donne, sebbene uguali dal punto di vista dei diritti e dei principii, non hanno le stesse possibilit dell'uomo, perch il loro punto di partenza diverso. Ed per questo che lo status delle donne un problema sociale. Le nuove democrazie nellEst (dellEuropa), che sono peraltro benve nute sotto molti altri aspetti, stanno praticamente riducendo al minimo, e mantenendo ad un livello strettamente prima rio, le garanzie democratiche che riguardano le donne, e in questo momento, o per il futuro, non stanno offrendo alle donne niente di nuovo, di migliore, o di progressivo. Vi adesso il pericolo reale, a causa del cos evidente ritorno ad una retorica tradizionale nazionale e nazionalista, che le don ne negli ex-paesi socialisti siano ricacciate indietro al primo stadio, storicamente superato, della discriminazione vera e propria. E forse questo pericolo non sussiste solo per questi paesi, se guardiamo a come il diritto allaborto viene rimesso in discussione negli Stati Uniti, ed ovunque oggi. L obiettivo delle donne, ma anche di tutte le forze progressiste antina zionaliste, dovrebbe essere quello di raggiungere il terzo sta dio del loro status, quello cio della differenziazione in senso positivo e dellazione affermativa. La differenziazione in senso positivo non significa che si nega lo stato di diritto, ma al contrario costituisce uno svi luppo e un perfezionamento di esso. Ma perch ci sia possi bile, essenziale che le rivendicazioni non siano unicamente limitate ai diritti delle donne, sebbene questi non dovreb bero essere mai abbandonati, ma riguardino il diritto e la possibilit da parte delle donne di accedere alla Legge in quanto tale: le donne devono costitursi come soggetto politi co, e come soggetto e non solo oggetto della Legge. Dagli anni settanta in poi, un modesto, sebbene determinato, movimento delle donne si era mosso in questa direzione, pri ma in Jugoslavia, e ora in quello che il paese dopo le molte plici divisioni, nelle diverse ex repubbliche che formavano una volta la nazione. Questo movimento stato indebolito dallattuale guerra o dalle varie guerre, ma ha buone ragioni e possibilit di svilupparsi ulteriormente. Il suo massimo obiettivo sarebbe una possibilit di civilizzazione, che non stata mai sperimentata fino ad ora nel mondo. Ma il suo obiettivo minimale e pi immediato, nelle circostanze odier ne, che non sono dovute alle donne, quello di fermare la guerra, le uccisioni e la distruzione.

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In realt, la guerra era scoppiata prima in Slovenia (giugno 1991), poi in Croazia, dove ancora non finita (set tembre 1991), ed infine in Bosnia-Erzegovina (aprile 1992). La rete esistente tra le organizzazioni di donne e di gruppi femministi, era stata lultima a riuscire a mantenere i necessa ri contatti tra una repubblica e laltra, superando limpossibi lit di comunicare, di telefonare, di viaggiare, di spedire la posta. Questi contatti erano preziosi e praticamente gli unici esistenti. In modo abbastanza naturale, la rete delle donne si era trasformata in un movimento pacifista contro la guerra, a cui si erano aggiunti o avevano dato il loro supporto quegli uomini che avevano potuto o avevano avuto il coraggio di appoggiarlo. Gli uomini venivano chiamati alla guerra: o essi vi andavano, e in quel caso erano automaticamente esclusi, oppure si rifiutavano di andare, ma in questo caso erano costretti a nascondersi e non potevano apparire in pubblico. Il movimento pacifista a Belgrado, di entit limitata ma comunque importante, era formato principalmente da donne. Queste erano anche le sole che potevano viaggiare liberamen te; gli uomini non potevano lasciare i loro luoghi di residenza a causa del controllo militare, e lorganizzazione delle loro partenze per lestero o per altre parti del paese era spesso lasciata alle donne, che potevano agire pi liberamente. Era no le donne che si occupavano della vita clandestina nella famiglia o nella societ, che potevano attraversare la frontiera per prendere la benzina quando questa mancava, e che infine organizzavano laiuto ai rifugiati che emigravano e alle popo lazioni colpite dalla guerra. Era, in maniera abbastanza com prensibile, pi difficile dare unorganizzazione alle tendenze pacifiste in Croazia, perch quel paese era stato attaccato. Ma anche l, specialmente quando la tensione si era allentata a Zagabria, riusc ad emergere unattivit pacifista, insieme ad unazione politica di tipo anti-nazionalista; anche in questo caso il ruolo delle donne era stato centrale. Le donne sono state di primaria importanza anche nelle manifestazioni con tro la guerra in Slovenia, e senza dubbio questo sar vero anche per la Bosnia-Erzegovina. Ma il capitolo che riguarda la resistenza in questo paese deve ancora essere scritto. Chiaramente, finch la guerra continua le donne non possono perseguire i loro massimi obiettivi: come ogni altro soggetto, esse sono state riportate indietro di decine di anni dalla guerra. Ma ancora una volta, come accaduto nella

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Seconda Guerra Mondiale, le donne usciranno da questa tra gedia con una maggiore consapevolezza, e con la certezza cos come con la forza che ne deriva -, che questa non era la loro guerra. In qualche modo, non mai il momento giusto per le richieste delle donne: nella nostra tradizione patriarcale altri problemi sono sempre pi urgenti. Ma, dallesperienza socialista in poi, noi sappiamo ormai cosa sono le priorit: esse non sono stabilite da noi ma da coloro che ci governano, e rappresentano la scusa di sempre per non prendere in con siderazione le rivendicazioni dei pi deboli. Le donne della ex-Jugoslavia ripeterebbero questo errore, se permettessero che ancora una volta i problemi della loro condizione venis sero messi da parte come non prioritari.

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NOTE

1Entrambe le citazioni sono da Novi Vjesnik, 17- 5- 1992, p. 17 B.


2 R ad o v an S tip etic, Dan m danom, Vjesnik, 9-11-1990, Zagreb. S lobodanka A s t , Zene dolale, Vreme, 12-11-1990, Beograd. 4 La documentazione in: V esna P u sic , Gradjanin bez zastite, Danas, 30-10-1990, e S lavenka D rakulic, intervento al convegno del

Csce a Berlino, 15-11-1990, Le donne e la nuova democrazia in Jugosla via. Per quel che riguarda la Costituzione Croata, cos come le sue Leggi Costituzionali, si veda Ustav Republike Hrvatske, 2* ed., Narodne novine, Zagreb 1992.

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LE DO NNE, IL NAZIONALISM O E LA GUERRA Fate lamore, e non la guerra 1

Come bambini, eternamente privati dellamore mater no, i popoli si raccontano delle storie, per credervi e situare in modo rassicurante il loro io quotidiano allin terno di uno spazio e di una durata immaginari. Ma, in modo ancor pi persistente, per tutta la loro vita non cessano mai di elaborare una mitologia, un profilo idea le della loro anima nazionale, insomma una cultura, che serve a organizzare la vita di ogni individuo in modo conseguente. Di tutti questi fantasmi, quello della nascita comprende in s tutti gli altri, poich, in man canza di antenati la cui esistenza sia storicamente pro vata, occorre darsi dei genitori degni del destino che ci si assegnati. (Jacques Pezeu-Massabuau, L ternel incompris ou Les
Japonais en qute dune appellation dorigine).

Il movimento inglese delle suffragette si interruppe bru scamente quando una contraddizione divenne storicamente rilevante, quella che pu essere riassunta nella frase le donne come membri della specie umana e come espressione della diffe renza e della singolarit. Questa contraddizione si manifesta ta con lavvento della Prima Guerra Mondiale, quando le suf fragette divennero operaie nelle fabbriche, e furono liberate dalle prigioni come ricompensa per la loro tendenza patriotti ca, e per labbandono dellattivit femminista e della lotta per il diritto di voto alle donne. Che cosa successe inizialmente quando due diversi interessi entrarono in conflitto (gli inte ressi delle donne e quelli della nazione, di cui esse non erano che una parte)?
La Prima Guerra Mondiale - scrive Jane Marcus - in Inghilterra ha praticamente distrutto il movimento femminista, uno straordinario movimento di massa che aveva lottato per quasi mezzo secolo per ottenere la giustizia politica e leguaglianza riguardo alleducazione, al diritto di voto, alla legislazione sul matrimonio e il divorzio, alla tutela dei bambini, alle norme sul lavoro2.

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Pi tardi, verr riconosciuto il diritto di voto alle don ne, in gran parte come premio per il loro comportamento durante la guerra. La guerra e il nazionalismo furono usati come argomenti per allontanare dal femminismo, nel senso che si chiese alle donne di scegliere tra il femminismo e lo sforzo richiesto dalla guerra, tra la loro identit femminile e la loro identit nazionale e di Stato. E questo divise il movimen to femminista: si verific una rottura tra le donne che mante nevano le loro posizioni pacifiste e quelle che volevano soste nere gli uomini, e lavoravano nelle industrie di armi o guida vano le ambulanze al fronte. Di fatto le femministe pacifiste furono una minoranza: eppure, in modo evidente, la guerra era un fatto fraterno, e non sororale. Sarebbe semplicistico affermare che gli uomini erano tutti a favore della guerra e le donne tutte per la pace, ma gli interessi dichiarati di una guerra sono sempre determinati dal genere dominante; perch il sistema del genere dominante viene reso totale e, conse guentemente, considerato come neutro dal punto di vista dei generi, come universale umano: la sua stessa supposta neutralit ne costituisce la forza. Anche se le donne sem brano pi pacifiste, e i movimenti pacifisti esistenti nei paesi in guerra sono animati dalle donne mentre gli uomini ne sono esclusi, anche se le donne usano ricorrere alle armi molto meno degli uomini, esse sono comunque, in una certa misura, (anche quando inconsciamente) complici della guerra, perch il sistema in quanto tale determinato dal gruppo dominante. (Ma, precisamente, cos come lordine simbolico in s sem pre a favore del soggetto dominante, la complicit delle don ne, proprio per il suo carattere sistematico, non deve essere sopravvalutata; in un certo senso, qualsiasi cosa il soggetto pi debole faccia, questo pu essere, e sar, utilizzato a suo svan taggio). E necessario analizzare il carattere complementare di ci che simbolicamente in gioco nella macchina militare per gli uomini, per le donne e per entrambi allo stesso tempo, perch il genere , senza dubbio, un principio essenziale del l'organizzazione della macchina militare. Ci nonostante, i ruo li degli uomini e delle donne in questo non sono univoci, nel senso che la differenza di sesso non corrisponde necessaria mente nella guerra alla differenza di ruoli derivata dal genere. Sebbene non tutti gli uomini (forse neanche la maggioranza di essi) si identifichino con la guerra, le istituzioni che permetto no e promuovono la guerra sono nel loro insieme esse stesse

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organizzate in base a delle relazioni di potere che privilegiano il genere pi forte socialmente, politicamente, storicamente, militarmente e.. questa la ragione per la quale passiamo dire che il sistem (politico e simbolico) maschile, volendo intendere che il genere storicamente dominante quello maschile (e non nel senso che la colpa o la responsabi lit di ci ricada su ogni uomo in particolare, o sulla sua mascolinit in quanto tale). Il genere anche il principio orga nizzatore delle relazioni di potere nella societ, e, dunque, il principio organizzatore basilare della societ anche in ci che essa ha di estremo, il nazionalismo e la guerra, dato che il nazionalismo radicale sembra, alla fine del ventesimo secolo, condurre naturalmente alla guerra. La storia continua a essere dalla parte di coloro che sono dominanti (dal punto di vista del genere, politico, ecc.) in quanto gruppo, perfino quando questi desiderano liberarsi del loro potere e fanno chiaramen te degli sforzi in questo senso. La sola volont di abbandonare dei privilegi posseduti storicamente, non sufficiente a per mettere di disfarsene in modo radicale: questi privilegi sono attaccati al gruppo dominante come un karma, perch il presente deriva dal passato. E anche un po inutile la preoccu pazione per il pericolo insito nel ricorso ad un essenzialismo di tipo opposto, quando si descrive la situa zione sociale e storica dei pi deboli, semplicemente perch questi, nel rovesciamento dellinsieme delle istituzioni, non saranno sostenuti da una storia globale che sia la loro propria storia. Inoltre, sul piano dellordine simbolico, relativo agli stereotipi culturali e sociali utilizzati nellideologia militarista, nella propaganda di dominio della macchina militare, e nella nuova mitologia elaborata a questo fine, ogni elemento del discorso in realt sessuato, ogni termine, ogni espressione, ogni concetto usato riceve nella pratica un valore di tipo sessuale, con una chiara preferenza per gli attributi maschili piuttosto che femminili. Tutto ci perfino troppo chiaro per essere ripetuto: gli uomini sono i bravi soldati che difendono le loro donne, leroe nazionale un uomo, le donne non sono altro che le madri dei figli e dei soldati, gli uomini si sacrifica no per la nazione e rappresentano lesempio ideale del model lo nazionale, essi possiedono il dovere e il privilegio del ricor so alle armi. A volte, si dice che le donne costituiscono una rappresentazione della nazione attraverso una figura femmini le, ma ci serve solo per poter meglio assicurare e confermare

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il fatto che esse non rivestono alcun ruolo pubblico, politico, 0 di altro tipo. Se non fosse per il coraggio (caratteristica maschile) dei nostri ragazzi, la nazione incorrerebbe nel disastro. La situazione attuale nei paesi jugoslavi era prevedibile: l dove il pacifismo pu avere un senso (prima di tutto in Serbia, in Croazia, e anche, in una certa misura, in Slovenia), 1 movimenti pacifisti e gli aiuti umanitari locali sono soprat tutto organizzati dalle donne (la ragione di questo solo par zialmente risiede nel fatto che gli uomini che disertano non possono far parte pubblicamente di un movimento, perch sarebbero catturati e rinviati al fronte). Coloro che devono difendersi, che sono direttamente aggrediti, bombardati (in Bosnia-Erzegovina), non hanno la scelta del pacifismo, devo no battersi per la loro stessa vita. Una situazione analoga a quella che ho descritto riguar do alla Prima Guerra Mondiale si prodotta con la caduta del socialismo. Lungi dal non presentare problemi, lo statuto della donna in numerosi paesi socialisti dellEuropa Orientale (non la Romania, ben inteso, ma la Rdt e la Jugoslavia ad esempio) era formalmente (legalmente), sotto molti aspetti e fatte le debite proporzioni, migliore di quello esistente in Occidente; in particolare, ci vero per quel che riguarda i diritti relativi alla procreazione, quelli relativi alla collettivit, e un minimo di servizi sociali in aiuto al lavoro della donna nella famiglia. Non voglio dire con questo che la situazione effettiva della donna fosse veramente migliore; non infatti possibile fare un paragone. Ma esisteva nellEuropa Orientale una ten denza egalitaria generale, che non era in modo primario diret ta in senso specificamente femminista, ma della quale lo statu to delle donne aveva beneficiato. In questi paesi, insieme agli uomini, le donne hanno desiderato, ed hanno operato per, la caduta di quel socialismo che aveva loro accordato tali diritti. Questo fenomeno stato particolarmente notevole in Germa nia Est, dove le donne si sono fortemente battute per conser vare i diritti acquisiti con il socialismo, che venivano minaccia ti con il ritorno al capitalismo. Le donne hanno desiderato con temporaneamente la fine del socialismo e il mantenimento di quei diritti che il socialismo aveva loro riconosciuto. La stessa cosa si ripetuta riguardo alla partecipazione delle donne nel la Lega Lombarda e in altre organizzazioni politiche di tipo analogo. Il paradosso nasce dallincertezza delle donne nella

scelta della loro identit di gruppo, della loro posizione in quanto soggetti 3. La situazione simile a quella della Prima Guerra Mondiale; il movimento delle suffragette in Gran Bre tagna e il movimento femminista in alcuni dei paesi dellEuro pa Orientale si assomigliano. In entrambi i casi, un movimento che lottava per i diritti umani specifici delle donne ha smesso di esistere, in ragione di obiettivi politici pi urgenti. Alcu ne delle femministe dellEuropa Orientale si sono lasciate coinvolgere da un anticomunismo radicale, altre si sono impe gnate (per motivi in parte analoghi) in movimenti dichiaratamente nazionalisti, altre ancora sono rimaste legate a degli ideali socialisti che in questa parte del mondo non sono neces sariamente progressisti - in quanto possono anche diventare nazionalisti in senso aggressivo (come nel caso serbo) -, infine un piccolo numero di donne sono rimaste a parte e indipen denti. Ma, per contro, sia una parte considerevole del movi mento femminista organizzato, che un aspetto importante di una nuova coscienza femminista, sono confluiti allinterno dei nuovi movimenti pacifisti, o li hanno creati, l dove si temono guerre civili o guerre di conquista territoriale, o dove queste sono gi in atto. In entrambi i casi (quello della Gran Bretagna ieri, quello di alcuni degli ex paesi socialisti oggi) i movimenti femministi sono divisi e hanno bisogno di essere riorganizzati. La posta in gioco piuttosto alta - non solo per le donne, ma anche attraverso di esse -, riguardo alla democrazia, in parti colare in quei paesi dellEuropa Orientale in cui le donne stan no perdendo luno dopo laltro quei diritti umani che erano stati loro formalmente riconosciuti ai tempi del socialismo. Possiamo qui sostenere lipotesi di base che il nazionali smo radicale costituito da un meccanismo di opposizioni binarie, manichee, e che a lungo termine esso conduce necessa riamente alla guerra. Si potrebbe ancora affermare che le don ne sono meno angosciate, rispetto agli uomini, riguardo ai loro confini interni e ai limiti del loro corpo, ed hanno di conse guenza un atteggiamento pi tranquillo riguardo alle frontiere esterne (politiche), e che entrambi questi fatti hanno a che fare con lidentit, e con il modo in cui il soggetto (chi agisce) costruito. Le donne sono, da un punto di vista sia biologico che sociale, pi aperte verso laccettazione dellAltro dentro di s (per latto sessuale e la gravidanza); esse sono abituate, sul piano sociale, a perdere il proprio nome di famiglia (o a non possedere un nome di famiglia), la loro genealogia diversa da

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quella degli uomini, nel senso che, se sia luomo che la donna nascono da una donna, i maschi nascono da un essere dellal tro sesso mentre le femmine da uno dello stesso. Ritorner su tutti questi aspetti pi oltre. Le guerre fratricide (Bruderkrieg, bratoubilacki rat), sono guerre che, con i loro stessi termini, evocano in alcune lingue una divisione di generi, e certamente una struttura familiare: sono i fratelli che fanno la guerra. Di fatto, che cosa fanno le sorelle nel frattempo (oltre a fare delle calze per gli amati soldati e assistere i feriti, come vuole lo stereoti po)? Nel momento in cui vi sono delle lotte rivoluzionarie che portano i pi svantaggiati a impadronirsi del potere di un paese o di un gruppo dominante che viene sconfitto, le donne, come altri gruppi, hanno qualche possibilit di pren dersi una parte della torta.
Per le donne - scrive Margaret H. Higonnet - la lotta per passare dalla subalternit alluguaglianza necessariamente un atto di insu bordinazione, che deve perci essere assimilato al regicidio, alle s sassimo del pater populi, pi che al fratricidio . 4

Ma non sembra che vi sia spazio per le donne nelle guerre fratricide (anche se le fazioni in lotta, per motivi tattici, non sempre vogliono considerare queste guerre come tali). Del resto alcuni autori, tra cui Higonnet stessa, pensano che le guerre (di questo tipo) siano anche guerre contro il femminile, o che possano essere interpretate in questo modo. Quando dico che questo tipo di guerre sono guerre contro il femminile (inteso come principio), non voglio dire che esse siano necessariamente dirette contro le sole donne, sebbene in alcuni casi ci siano state, e ci siano oggi, guerre dove le atrocit commesse nei confronti delle donne sono di una crudelt estrema, come avviene nella attuale guerra in Bosnia-Erzegovina. Le donne tradizionalmente sono usate, sia per quel che riguarda i loro corpi che il loro essere socia le, come mezzo per inglobare in s laltro, e porsi in una inte razione costante con esso; esse non si sentono particolarmen te minacciate dal problema dei confini, a meno che non ven gano attaccate. Le donne sono il luogo di tutti i luoghi (Iriga-

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ray). Tradizionalmente, esse si adattano pi facilmente alle altre culture, dimenticano le loro origini quando (come spes so accade) si sposano in unaltra comunit, sono abituate ad abbandonare il loro cognome e perfino a volte il loro nome (per esempio nella cultura indiana), come rappresentazione simbolica del cambiamento di identit. Non che le donne non possano definirsi che attraverso una famiglia (espressio ne che si riferisce a questo fatto in negativo), ma che, anche nel loro rapporto con il proprio io, esse sono, pi che gli uomini, socialmente aperte alla relazione con laltro (defini zione pi in positivo). I confini rappresentano sempre per la donna dei legami, pi che degli ostacoli alla relazione; la separazione tra lo spazio interno e lo spazio esterno per lei meno radicale, in quanto pi facilmente si muove contempo raneamente nelle due dimensioni, o passa dalluna allaltra. Il mondo esterno della famiglia nel quale le donne abitual mente si situano, , allo stesso tempo, uno spazio interno per la societ nel suo insieme; ci non deve essere compreso in modo deterministico, come un fatto che pertiene alla natura o al destino della donna, votata a rimanere per sempre in questa posizione sociale. Al contrario, per tutti gli esseri umani, linterazione continua del biologico e del sociale rende difficile, inutile, e fuor di proposito afferma re che qualcosa sia naturale o allinverso sociale. E una caratteristica della specie umana che la natura (umana) sia sociale, cos come lo il fatto che la societ sia naturale. L argomento biologico (cos come l argomento sociale), non pu essere utilizzato contro qualcuno, allo stesso modo in cui una ingiustizia o una discriminazione passata non pu rendere legittima una ingiustizia presente o futura. questo il motivo per il quale laffermazione che definisce la donna come luogo di tutti i luoghi non deve essere inter pretata in senso biologico, ma in senso simbolico, nel senso cio di un ordine simbolico riformulato, nel quale le donne avrebbero una loro voce anchesse, e sarebbero rappresenta te, oltre che rappresentanti. Nei fantasmi delluomo si ritrova ancora tutto un immaginario riguardante il pericolo esistente, per l individuo maschio o per la mascolinit in

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quanto tale, nelVattraversare le frontiere per incontrare lAl tro, e anche i miti della procreazione attraverso il principio del potere maschile (mito della vagina dentata, di Atena nata direttamente da Zeus, senza madre, ecc.). Cos, sul piano simbolico, le donne rappresentano pi degli uomini uno spazio dove avviene lincontro, la mescolan za, lincrocio, la contaminazione. Senza dubbio, pi che la donna in s, questo incontro, questo mischiarsi - che le donne accettano, creano, e rappresentano (come principio femminile) -, che viene combattuto nella donna, da coloro che vogliono purificare le loro origini, liberarle dellAltro, negare lAltro. L aggressore non solo distrugge lincontro, ma, con questo stesso gesto, se ne appropria, in quanto potere di creazione. La creazione, sia in senso culturale che biologico, avviene nellincontro, donde il desiderio di divenirne padroni, e la necessit di controllare le donne, che ne sono il modello. Le citt sono il luogo dove la cultura si forma, e la cultura necessariamente derivata dallincontro, in quanto presuppone gi la cultura stessa, e non pu mai nascere come tabula rasa. Nonostante ci il nazionalismo radicale, in modo paradossale, e suicida, rivendica una cultura della tabula rasa. L aggressore jugoslavo in questa guerra insensata e autodistruttiva, costrui sce un N oi nazionale che rigorosamente maschile, sessista, razzista; maschile fino allesclusione di qualsiasi cosa e di chiunque sia Altro, immagine di guerriero alla maniera di Rambo con una fraternit rude, sessualmente aggressiva e raz zista (vedi ad esempio i canti militari razzisti non solo contro II nemico nazionale, ma anche contro i membri non-europei d elle forze di p ace d e llOnu, che vengono chiam ati scimmie). La citt non il luogo dal quale questi nuovi eroi provengono: nel caso migliore, essi provengono dalle periferie tristi del socialismo, e non hanno mai conosciuto la vita cittadina pi sofisticata, con una maggiore influenza fem minile. La vita cittadina simbolicamente percepita come una vita da castrati, perch ritenuta facile e confortevole rispet to alla vita dura della campagna. Il nuovo eroe odia la citt perch la invidia. Egli stato educato secondo il modo di dire eroico tradizionale non fare la femmina, e cio non essere vigliacco, e vorrebbe distruggere quel luogo che non com prende e che non lo ha mai accettato, affermando cos il pro prio desiderio di autoprocreazione e il suo sogno autistico. In questo senso, quelle guerre sono sul piano simbolico anti-fem-

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minili, e, in diversi modi, esse sono anche nel concreto anti femminili. Questo non deve portarci a concludere che le don ne ne sono le sole vittime, poich tutta la popolazione ne vit tima, senza distinzioni di sesso, o di nazione. In quanto vitti me reali (lo sono molto spesso), e non solo simboliche, le don ne sono oggetto in modo specifico di un cattivo trattamento, di atrocit, di stupri ecc. Lo stupro per lo stupratore un modo per riappropriarsi di questo potere dellincontro che proprio della donna. E un fatto che nella o nelle attuali guer re dei Balcani, come in molte altre guerre, le donne esercitano incomparabilmente minore violenza, manifestano pi compas sione e un maggiore desiderio di aiutare o comprendere laltra parte. Sul piano pratico, esse organizzano per quanto possibi-t le la resistenza alla violenza dello Stato, e fanno ci che >osso- j no per portare aiuto umanitario. Consideriamo adesso pi precisamente il ruolo dei modelli di pensiero binari rispetto al nazionalismo e alla guer ra. Non sono io la sola a ritenere che, nel pensiero binario, sono particolarmente evidenti due elementi tra loro collegati. Innanzitutto il modo di pensare binario nasconde, dietro una simmetria di principio apparente, una struttura asimmetrica: infatti, uno dei termini della simmetria subordinato, e laltro dominante; tra questi non esiste dunque un vero parallelismo. In secondo luogo, il termine subordinato automaticamente pensato come femminile e imperfetto, e il termine dominante come maschile e perfetto. Una tale rappresentazione precede la riflessione, inerente al pensiero occidentale stesso, qual cosa che si verifica automaticamente, a meno che non venga specificamente interrogato linconscio. Tale modo di pensare binario stato mantenuto, coltivato, e sviluppato nella nostra tradizione intellettuale fino al punto di divenirne parte inte grante: esso si realizza anche nelle opposizioni che vengono espresse dal nazionalismo e nelle guerre. In uno studio di notevole interesse, Barbara Freeman cita il pensiero di Elaine Scarry:
La guerra rappresenta un confronto nel quale i partecipanti si divido no in due campi opposti, e intraprendono una azione che ha come scopo finale di designare una delle parti come vincitrice e laltra come vinta... Nel momento in cui decidono di entrare in guerra, i parteci panti accettano di entrare in un rapporto di dualit autodistruttiva ... una relazione formale duale che, nella stessa potenza della sua impla-

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cabile affermazione della dualit, trova il mezzo per la propria autoe liminazione, e per essere sostituita con le condizioni della singolarit. In questo un primo momento maggiormente significativo , nellen trata in guerra, il passaggio dalla situazione di molteplicit alla situa zione di dualit; un secondo momento , alla fine della guerra, il pas saggio dalla situazione di dualit a quella di unicit. 5

La differenza di sesso o genere 6 asimmetrica in pi maniere, in particolare nel suo modo di funzionare nellordi ne simbolico e nella rappresentazione. Il fatto che gli uomini e le donne abbiano una diversa genealogia importante: nascendo da una madre, le bambine nascono da qualcuno del proprio stesso sesso, i bambini da qualcuno del sesso diverso. Una gran parte degli insegnamenti della psicoanalisi derivano dalla considerazione di questo semplice fatto, di questa manifestazione primaria e basilare dellesistenza di una asimmetria che contemporaneamente biologica e socia le. La cosa pi importante per il nostro discorso lidentifi cazione, nel nazionalismo, con la figura del padre (il Padre della Nazione) che, sul piano psicologico, rappresenta una regressione (identificazione con il genitore, con lorigine). Questa identificazione di tipo regressivo con una istanza superiore, pi vecchia (e la risultante scomposizione della figura del padre in una figura positiva e una negativa), significa anche, per gli uomini, il rifugio nello stesso sesso, e, per le donne, nel sesso diverso. In entrambi i casi (dato che sia gli uomini che le donne possono divenire nazionalisti), attraverso tale identificazione che si forma una comunit (ma non una societ): questa nasce in opposizione allaltra comunit, quella del paese vicino, allinterno di una relazione binaria e, per la donna, duplice (doppio vincolo, doublebind). La relazione duplice per le donne perch queste si sottomettono al gruppo, e perch linteresse nazionale pu essere contrario al loro interesse come donne, e anche in quanto, identificandosi con il padre, esse si identificano con il diverso, essendo cos allo stesso tempo fedeli e infedeli al simbolo del padre e alla loro propria rappresentazione di se stesse. Le donne incarnano la contraddizione sia fisicamente che socialmente; attraverso (o al prezzo) dellinteresse di un individuo (donna) che linteresse di tutta la specie viene rag giunto, perch sono le donne che fanno i bambini. L a divisione della figura del padre significa che il

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loro leader (il leader dellaltro gruppo etnico) il cattivo padre, mentre il nostro quello buono. Questi gruppi che nascono dallidentificazione con un personaggio pi grande, si danno, come avviene nella religione, una autorit superiore; ogni individuo sacrifica a questa la propria iden tit personale, come se fosse sottomesso ad un pesante superio. I gruppi che in questo modo si formano, presto si chiame ranno nazionalit e vorranno essere uno Stato-nazione, per ricevere dallesterno quella ossatura di cui la loro struttura interna manca (Theweleit). Ci che realmente costituisce la loro identit la violenza esercitata contro gli altri. La diffe renza notevole ancora, anche in questo caso, quella che, nel lidentificazione con la figura del padre, sussiste tra uomini e donne. Questa identificazione significa per gli uomini lesclu sione dellAltro, perch essi si identificano con lUguale, men tre per le donne implica un paradosso, perch queste devono identificarsi con il diverso-, il nazionalismo per la donna non significa esclusione dellaltro (sesso), ma coesistenza con que sto, in quanto lidentificazione con la figura del padre com porta essa stessa lincontro di elementi diversi, linclusione, ed rappresentata simbolicamente come una forma di incesto, accettato e autorizzato. (Mussolini o Hitler rappresentavano, per le donne, lamante ideale e irraggiungibile, e, nello stesso tempo, il padre; ci avveniva senza che lincesto e la contrad dizione sul piano concettuale ponessero apparentemente un problema, proprio come accade con la figura di Dio). Allop posto, per gli uomini (i soldati per eccellenza), la fedelt alla figura del padre si riafferma nel suo stesso principio, si realiz za nella purezza e si rappresenta simbolicamente come omosessualit accettata e accettabile, il che non impedisce comunque agli uomini di avere delle relazioni sessuali con le donne. Le donne vengono allora disprezzate, la relazione con esse svalorizzata, come avviene nella tradizione socratica e platonica, se si segue la lettura che di essa viene data dalle fem ministe e da Foucault. Inoltre, per la donna il nazionalismo non significa lessere generati (simbolicamente) dallUguale, in quanto lidentificazione con la figura del padre, e non della madre: esso significa allora una procreazione simbolica nel/con lAltro. Sul piano simbolico, e spesso anche pratico, il naziona lismo delle donne meno feroce e sanguinoso, il che non vuol dire che esso sia meno forte del nazionalismo nel suo insieme. Sostengo contemporaneamente che la violenza un elemento

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essenziale delle tendenze fondamentali del nazionalismo radi cale (maschile), e che la socializzazione delle donne rende que ste meno violente. In pi, il diverso investimento simbolico che le donne hanno riguardo al nazionalismo, fa s che esse siano meno disposte alluso della violenza per difenderlo. La riap propriazione della sua origine da parte del nazionalista maschio, necessariamente una rivendicazione che si situa nel lo stesso tempo al livello simbolico nazionale e a quello ses suale, poich origine significa nascita, e lideale nazionalista si forma a partire dalla volont di una origine o nascita della nazione, molto antica, e pura. Le donne o la nascita da queste, per il nazionalista maschio, non possono garantire una origine pura, in quanto la donna rappresenta di per s, simbo licamente, il mischiarsi. Ci spiegherebbe anche lesclusione dellAltro nellambito della cultura (cio della tradizione); i nazionalisti hanno infatd bisogno di miti di fondazione, e que sti miti abitualmente parlano della nascita della nazione, e della nostra cultura, pi antica, migliore, maschile, eroi ca. La dimensione sessuale rende possibile (e struttura) una forma molto importante del pensiero (e della dominazione sul piano politico!), e anche uno dei meccanismi della costruzione simbolica del potere: il gruppo dominante detiene il potere di rappresentazione. D Dio padre o il Padre della Nazione (o altre ' figure come il leader politico ecc.) incarnato nel Figlio, nel lUomo, suo vero rappresentante e sua vera immagine. Allo stesso modo, i rappresentanti politici (in Parlamen to, nella vita pubblica) appartengono a quel gruppo che risponde a - o meglio, produce - quella norma, e cio luomo, bianco e potente; tutti coloro che appartengono a gruppi diversi sono falsamente o mal rappresentati, o non possono avere alcuna rappresentanza, o, qualora labbiano, compaiono come eccezioni che confermano la regola. Ma questa defor mazione nel modo di essere rappresentati non apertamente riconosciuta: nel sistema rappresentativo, gli uomini (la nor ma) rappresentano allo stesso tempo gli uomini, cio lUguale, e le donne, cio lAltro. Chiaramente essi non possono rap presentare la specificit del diverso. Tra il rappresentante e il rappresentato e tra luomo e la donna, esiste la stessa asimme tria: il primo termine pi forte del secondo (anche gram maticalmente), perch appare ai due estremi di una equazione e. anche, ad un livello pi alto di totalizzazione, come nella lingua francese (il termine simbolicamente pi forte appare a

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due livelli, e quindi due volte): uomo = uomo e donna Le donne figurano nella rappresentazione come loggetto, come ci che rappresentato (il significato) dal rappresen tante (il significante); esse sono relegate in una posizione di silenzio, poich c qualcuno che parla al loro posto. La loro situazione dal punto di vista politico sconcertante; certa mente meglio essere rappresentati dallaltro che non essere rappresentati affatto ( questa lalternativa reale) ma sarebbe ancor meglio rappresentarsi da s. Il sistema rappresentativo pu rivelarsi sfavorevole o favorevole alle donne (o ad altro gruppo sociale pi debole), a seconda di chi sia ad avere il ruolo di rappresentante, e del suo modo di esercitare tale ruolo. Per le donne, essere rappresentate significa anche sempre, e a priori, essere co-rappresentate in modo asimme trico, e comporta quindi linclusione, pi che lesclusione. Principio fondamentale del nazionalismo (maschile), lesclusione dellAltro significa chiaramente la negazione del lorigine nel e con laltro/gli altri: rivendicazione di purezza e monismo contemporaneamente nazionale e sessuale. La cau sa nazionale viene sempre formulata in termini sessuali (la nostra nazione eroica, leale, morale, maschile, mentre laltra nazione non virile, vile, femminile, disonesta). Nel pensiero binario, uno dei termini opposti viene regolarmente rappresentato come femminile, laltro come maschile, e il femminile costituisce il termine negativo fin dai Pitagorici, come Aristotele riporta nell Etica nicomachea. Vi sono pi sistemi di opposizioni binarie non in tutto simili, ma tutti essenzialmente sessuati, e che sono stati tra mandati nel corso di tutta la storia del pensiero occidentale come tale. Le opposizioni hanno un carattere sessuale anche quando non menzionano esplicitamente la differenza sessua le (come in buono/cattivo, destra/sinistra, quadrato /rettan golo ecc.). Sebbene laspetto sessuale possa sembrare stru mentale a quello nazionale, nondimeno esso fonda e struttura lidea di purezza nazionale che, in ultima analisi, sembra di tipo sessuale; una tale rivendicazione anche suicida per il suo autismo totale, perch la vita va avanti necessariamente nel e con laltro. La purificazione del mondo o, semplicemente, di ci che ci circonda, minaccia pericolosamente la

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nostra esistenza e la nostra sicurezza, e anche la possibilit stessa di rinnovamento. E questa la posizione ufficiale nella quale la Serbia si posta nel corso delle attuali guerre nei Balcani (come quella della Bosnia-Erzegovina): una strana, morbosa celebrazione della morte, attuata ignorando che la morte dellAltro prima o poi porta alla nostra morte, poich noi nasciamo necessaria mente dallAltro, laltro sesso, laltra persona e conseguente mente anche laltra cultura. Nascere dallAltro qualcosa che pu essere concepito anche in senso simbolico, e non uni camente biologico: lincontro di elementi diversi, e non il soli psismo monistico, fruttuoso sul piano culturale e biologico. Per ottenere qualcosa di nuovo, un elemento nuovo, abbiamo bisogno di un incontro, del mischiarsi degli elementi esistenti. Ben inteso, le ragioni filosofiche dellidentificazione del la nazione con una figura maschile sono pi profonde ancora, e molto note: nel nostro ordine simbolico, solo il maschile universalizzabile, mentre ci non mai possibile per il femmi nile (luniversalizzazione essendo, come la rappresentazione, unaltra forma di pensiero che stabilisce un rapporto diretto con il potere, poich il pensiero , anchesso, un modo per dominare il mondo). E questo il motivo per il quale non esiste alcuna figura di divinit femminile che sia paragonabile a quel la del Dio Padre, n alcuna che possa essere universale (e rite nuta sessualmente neutra) e, allo stesso tempo, modellata unica mente sul sesso femminile. La stessa cosa si pu dire della figu ra di colui che si vorrebbe il leader nazionale. L atteggiamento suicida non volontario o apertamen te cosciente: esso deriva dal tentativo folle di generare se stes si, da se stessi, e di non dovere niente a nessuno. Si tratta in realt di un tentativo di controllare la procreazione e di assu merla su di s: poich questo non possibile fisicamente, lo sar simbolicamente 1. Che la Nazione (in realt lo Stato), venga spesso identi ficata con una figura femminile, un fatto che non ci deve stupire: spesso le figure femminili incarnano ed esprimono sim bolicamente lideale, come nel caso della Madre patria, e, nel le antiche religioni, della divinit femminile locale. Ma il fatto che la donna incarni degli ideali, al fine di giustificarli, non significa che ci che viene in questo modo incarnato, il princi pio o il meccanismo rappresentato, sia femminile: occorre distinguere tra chi il rappresentante di un certo ideala e li

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deale rappresentato. La personificazione femminile di grandi ideali come L ibert, N azione, Saggezza, M adre Patria, Purezza, ecc. frequentemente usata come prete sto per escludere le donne da ci che realmente in gioco, e questo vale tanto per le mitologie tradizionali che per la politi ca dellepoca contemporanea. Le pretese raffigurazioni fem minili di queste grandi idee maschili, non hanno niente a che vedere con qualsiasi cosa riguardi lesperienza di vita quoti diana femminile. Questi principi femminili funzionano, in una relazione di potere e dominazione, in favore di una strut tura che, nel complesso, non altro che lestensione globale del ruolo socialmente forte. Del resto, che sia la Thatcher o Major a governare, vediamo bene che si tratta della stessa struttura: in entrambi i casi, il meccanismo quello di una linea di discendenza maschile, che trasmette contempora neamente il nome e il potere allinterno di una origine simile, dove lAltro - la linea di discendenza femminile garantisce la continuit alla discontinuit maschile. Non bisogna credere troppo allidea, qualche volta ripresa da alcune femministe, che la nazionalit (la nazione) che viene aggredita la donna. Questo si detto della Croa zia: secondo questo modo di pensare, la Croazia viene violen tata, essa dunque di sesso femminile. La Croazia, come ogni altro Stato o nazione, pu essere simbolicamente rappre sentata (nel sistema simbolico patriarcale che noi tutti condivi diamo) come donna; come ho detto, i grandi ideali sono orga nizzati in modo tale che una figura femminile incarna sul piano simbolico unattivit o un ideale maschile-, questi non sono la rappresentazione di una realt propria della donna, ma di una esperienza maschile. Vi una eccessiva tendenza a iden tificare la donna con la vittima. La coppia vittima-aggressore s una opposizione binaria, e, come ogni altra opposizione, in una certa misura simbolicamente sessuata, ma le opposi zioni binarie non funzionano tutte nello stesso modo; la guer ra tra i sessi non sembra avere le stesse modalit di funziona mento della guerra nazionalista. Innanzitutto, come abbiamo visto, per gli uomini (essi si identificano con lUguale identifi candosi con il Padre della Nazione) lorigine dal e con lAltro deve essere rifiutata, cosa che non vale per le donne. Parallelamente, dal momento che il primo oggetto damore, la madre, per la donna lUguale, essa stata sul piano sociale molto incoraggiata ad aprirsi allAltro, ed a questo particolarmente

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predisposta dal modo di funzionare del suo corpo. Gli uomi ni, nel momento in cui scelgono il nazionalismo, la violenza e la guerra, vanno incontro ad un processo nel complesso inver so: il loro primo oggetto d amore lAltro (la madre), essi devono imparare a disfarsi di questo amore al fine dellesclu sione di tutto ci che diverso. Questo accade anche nel caso della rivolta contro lordine sociale; qui che appare il ruolo della fraternit, la cui prima funzione di eliminare le sorelle, e prima di tutto le sorelle della stessa nazionalit. H primo nemico della fraternit si situa nel gruppo, lAltro al proprio interno, la donna che simbolicamente in s stessi o il principio femminile 8. Anche le donne che appartengono allo stesso gruppo nazionale saranno quindi oppresse (il nazionali smo ha infatti un atteggiamento oppressivo verso la donna), nel momento in cui si vuole eliminare il principio femminile sul piano simbolico, e la dimensione femminile che nelluo mo stesso. E per questo motivo che la concezione della nazio ne aggredita come donna, aggredita da una nazione vicina uomo, erronea, sebbene lo stupro sia un fenomeno abitua le delle guerre. Certamente vi la guerra tra i sessi, ma questa guerra si svolge allinterno di una nazione o nazionalit, e non primariamente tra due diversi gruppi nazionali (sebbene la guerra tra i sessi sia particolarmente manifesta nelle atrocit della guerra tra nazioni). E, in generale, la guerra tra i sessi una guerra nella guerra, ms non una guerra parallela, nella quale ogni segmento della guerra nazionale troverebbe un suo corrispondente nella guerra tra i sessi. Il fenomeno ancor pi complesso perch le donne sono complici a tutti i livelli, sia nella parte pi visibile che in quella pi occulta della guerra, che esse vi collaborino attivamente o meno. L insieme del sistema, la macchina militare, una struttura estremamente vasta e onnicomprensiva; essa viene messa in moto molto tem po prima che le parti arrivino alle armi. La confusione riguardo al soggetto - o allidentit - comunque generale, e non esclusiva della donna. Tutti appar teniamo contemporaneamente a diversi tipi di Noi, che sono in relazione con diverse dimensioni della vita. Sembra anche che, in modo abbastanza diffuso, in tutto il mondo, ci si preoc cupi di meno per le cose di interesse comune e generale, e per i valori veramente universali: interessi comuni e valori universali sono sostituiti dagli interessi privati dominanti. Il nazionalismo sembra - in questa fine di X X secolo - pi diffuso, e le riven

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dicazioni etniche pi frammentate. Allo stesso tempo, se si fa affidamento sugli sforzi lenti e difficili dellEuropa e delle Nazioni Unite, vediamo che una sorta di governo internaziona le in via di costituzione. Il mondo, dopo la caduta del Sociali smo, diviene sempre pi unipolare (Nord-Occidentale); a que sta tendenza verso lunipolarit, oppone resistenza con accani mento (e inconsciamente) la frammentazione nazionale, etnica, religiosa. Il problema della frammentazione che essa non conosce limiti. Il principio della autodeterminazione deve, in modo urgente, essere riconsiderato dalla comunit internazio nale (ma, ahim, chi qui il soggetto, chi dovrebbe far ci?), tenendo conto delle possibilit di esistenza delle nuove nazioni sul piano economico, culturale, regionale. Dove si situa il pun to di equilibrio tra lo Stato-nazione, che troppo spesso esprime il predominio di un gruppo etnico, che ha il potere economico o di altro tipo, e la pulsione suicida del nazionalismo dei grup pi minori, che rivendicano lindipendenza nazionale? Yoshikazu Sakamoto descrive cos lattuale situazione:
L epoca seguita alla Guerra Fredda mi sembra caratterizzata da un disordine ordinato, una combinazione paradossale di tendenza alla stabilit per quel che riguarda lorganizzazione generale, e di disor dine nel contenuto stesso di questo nuovo ordine. Nel complesso, il mondo divenuto pi omogeneo (omologazione sul piano militare, estensione delleconomia di mercato capitalistica a praticamente tut to il mondo, diffusione generalizzata del nazionalismo, diffusione della democrazia). Ma nello stesso tempo i nuovi conflitti sono sem pre pi numerosi9.

Il problema pu anche essere posto al livello del lin guaggio stesso: a chi si riferiscono le donne quando dicono Io/Noi? Quando, in effetti, noi diciamo Noi? 1 La ricer 0 ca compiuta da Luce Irigaray negli ultimi anni, in particolare sulla sintassi, mostra che le donne generalmente non si situano al centro dello spazio definito dal loro discorso; esse pongono pi domande di quanto non facciano affermazioni; il loro sog getto esitante, aperto allinterazione con lAltro, orientato verso lAltro, e in una posizione di attesa nei suoi confronti. Questo Altro in effetti per la donna soprattutto un egli. Quanto al soggetto maschile, questo spesso in una posizione dominante, non attende lo scambio, si pone al centro della scena e si rivolge maggiormente ad un altro uomo. Una rifles sione recente di Pierre Achard ci suggerisce qualche idea sulla

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questione quando tratta del Noi allargato, cio il Noi che si ha quando il locutore include, in modo implicito, il destina tario nel Noi da lui usato. In un enunciato di tipo locale, il locutore occupa una posizione di potere; il fenomeno abitua le del Noi statale. Scrive Pierre Achard:
Cos, lidea di nazione compare quando si incontra qualche difficolt tra la politica pratica e coloro che ne sono coinvolti. Per esempio, nel momento in cui un N oi allargato ritiene di meritare un suo pro prio Stato, differente da quello nel quale si trova. O, per prendere un esempio frequente nei nuovi Stati post-coloniali, quando lo Stato non pu contare su un N oi allargato precedente, e deve costruirne in qualche modo uno, attraverso ci che viene chiamato sviluppo. (...) In conseguenza, gli Stati moderni sono considerati legittimi (nonostante le molteplici differenze allinterno delle loro proprie isti tuzioni), in quanto parlano in nome di un gruppo umano di cittadini, e il loro potere deve esercitarsi su un territorio. Cos, attraverso lo Stato, si crea un fenomeno di appropriazione del territorio da parte dei gruppi umani n.

Anche qui nuovamente la cosa interessante la posizio ne un po diversa in cui si trovano le donne. Sebbene le donne siano in generale, astrattamente, destinatarie di un Noi allar gato statale e nazionale, la grammatica, la struttura dellenun ciazione e la sintassi mostrano che queste non rientrano nel modello dominante del soggetto-locutore; al massimo, esse possono confermare gli uomini in quella posizione. Le forme maschili sono considerate come (sessualmente) neutre: espres sioni astratte e neutre denotano in realt dei contenuti maschi li. Questo aspetto stato largamente discusso ed ben noto. Nel caso del Noi allargato utilizzato da un locutore ufficiale per includere non solo gli uomini ma anche le donne, chiara mente gli uni e le altre non sono inclusi nello stesso modo. Le donne sono infatti incluse soprattutto formalmente, e in un modo paradossale che non risponde mai alla loro specificit (esse sono cos considerate come eccezioni), mentre gli uomini sono inclusi de facto, in ragione della loro vera immagine presa come il modello (nellesempio che ho portato, le donne e gli uomini manifestamente non possono identificarsi affatto nello stesso modo nel Dio Padre o nel Padre della Nazione). In un qualsiasi discorso concreto, Noi pu, beninteso, denotare un semplice gruppo circostanziale, che sia aperto o chiuso. Non tutti i N oi sono necessariamente Noi nazionali, e

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facciamo tutti parte, contemporaneamente, di diversi gruppi (quello dei vicini, o dei mancini, degli ispanisti, dei compagni di classe, dei sagittari, di quelli che hanno meno di trentanni, dei presbiti, di quelli che sono brillanti, o un po pigri, amanti dei gatti, membri di una famiglia, o di un club di nuoto). Ma, in tempo di crisi, emerge una identit come identit nazionale, sentita come un Noi. Le donne non ne fanno mai parte se non in modo imperfetto, e, nello stesso tempo, ne fanno parte in modi specifici (e non generali): come madri di soldati (sco nosciuti), infermiere per esempio, o, se esse appartengono al nemico, come puttane adatte soltanto ad essere violentate (e che lo desiderano). E quindi del tutto naturale che il linguag gio rispecchi questa differenza. La donna la personificazione della Nazione, o la Nazione femminile, proprio perch le don ne non ne fanno veramente parte, ma solo in maniera laterale. questo il motivo per il quale gli uomini, sotto la maschera della neutralit e delluniversalit, sono i principali agenti del nazionalismo: lappartenenza delle donne alla nazione sem pre subordinata. Ed anche il motivo per cui, nella prospetti va della politica e del pensiero tradizionale, Noi, Donne non pu essere un progetto politico credibile: nellordine simboli co (patriarcale) esistente, Noi, Donne non pu essere uni versale, applicabile come neutro nello stesso tempo agli uomi ni e alle donne, cosicch un uomo possa dire Io sono una donna come unaltra /un altro. Parigi - New York dicembre 1992, gennaio 1993

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NOTE

1Una versione leggermente diversa di questo testo stata pubbli cata in inglese nella rivista Hypatia, che aveva proposto allautrice una riflessione su questo tema. 2 J a n e M a rc u s, Corpus/Corps/Corpse: Writing the Body in/at War, in Arms and the Woman. War, Gender, and Literary Representation, ed. by Helen M. Cooper, Adrienne Munich, Susan Merril Squier, The Uni versity of Nord Carolina Press, Chapel Hill and London 1989, p. 129. 3La Lega Lombarda, come in questo momento altre leghe politi che del Nord dItalia, esprime una forte tendenza al separatismo econo mico, che si manifesta in una rivendicazione di decentralizzazione o di federalismo. La Lega predica il rifiuto di investire in un progetto di svi luppo comune, che comprenda in particolare il Sud meno sviluppato. L atteggiamento politico della Lega pieno di alterigia riguardo al Sud d Italia, ed anche conservatore riguardo alle donne ed ad altri temi. 4 M a r g a r e t H . H ig o n n e t, Civil Wars and Sexual Territories, in Arms and the Woman, cit. 5 E la in e S c a rr y , The Body in Vain. The Making and Undmaking of the World, Oxford, New York 1985, cit. in B a rb a r a Freem an, E pi taphs and Epigraphs: The End(s) o f Man, in Arms and the Woman, cit., p. 305. 6 La distinzione sesso/genere, usata e ancora utilizzabile nei paesi di lingua inglese, molto utile da diversi punti di vista, ma, per altri aspetti, costituisce forse un peso teorico e una costruzione dogmatica. In vari casi questa distinzione difficilmente sostenibile: essa conduce a ci che, sempre nei paesi anglosassoni, viene chiamato 1essenzialismo, piuttosto che a riconoscere il fatto che noi non sappiamo - e importa poco sapere - dove si situa esattamente il confine tra la natura e la cultu ra. Nello stesso tempo, la distinzione sesso/genere riguarda chiaramente gli strumenti di tipo concettuale, ma non il soggetto in s di cui si parla. Nel complesso il dibattito su questo tema mi sembra non interessante, si tratta di un falso problema. 7 Per una elaborazione filosofica di questo argomento, si veda P e t e r S l o t e r d i j k , Eurotaoismus. Zur Kritik der Politischen Kinetik, S u h r k a m p , Frankfurt a/M. 1989. 8 K la u s T h e w e le it, Mnnerphantasien, cit. 9 Unintervista con Yoshikaxu Sakamoto, Le Monde, 2 dicembre 1992. 10 Si vedano i lavori recenti di L u c e Ir ig a ra y a proposito del sog getto femminile, ad esempio Sexes et genres travers les langues, Grasset, Paris 1991, e Je, tu, nous. Grasset, Paris 1990. 1 Discourse and Social Praxis as Building up Nation and State, 1 Discourse and Society, 1, V, 1993.

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IN NOME DI UNA STORIA PI ANTICA

La Slovenia e la Croazia sono state dunque riconosciu te come Stati sovrani e indipendenti. In conseguenza di ci, si potrebbero sollevare alcuni problemi diplomatici e di dirit to internazionale. Perch, ad esempio, non riconoscere tutte le Repubbliche jugoslave allo scopo di fermare lesercito ex federale e i suoi complici in Serbia? Perch aver ceduto alla Grecia e non aver riconosciuto la Macedonia, che molto pi della Croazia pu rispondere alla definizione di Stato? In unintervista su Le Monde (9 luglio 1991), Alain Finkielkraut si dichiara favorevole al separatismo sloveno e contrario a quello corso: L identit francese esiste, mentre non esiste unidentit jugoslava. Chi Alain Finkielkraut per decidere sulle nostre sorti? Siamo in milioni nati o facenti parte di famiglie miste (i matrimoni misti arrivavano al 12 per cento nel 1988) che ci sentiamo jugoslavi per scelta (pur essendo sloveni, serbi, ecc.), non per campanilismo. I nazio nalismi e gli sciovinismi hanno trovato libero corso nelle Repubbliche jugoslave, coniugati con le atrocit della guerra e con lincapacit dimostrata dagli europei nel giudicare la situazione, e hanno volontariamente occultato una delle iden tit pi importanti in Jugoslavia... lidentit jugoslava. Cos siamo rimasti noi, noi altri, qualche milione, pi numerosi degli sloveni, senza nome, senza luoghi, senza patria e senza Stato. Se tutto ci fosse accaduto pacificamente, non sarebbe stato tuttavia cos grave, Avremmo continuato a essere jugo slavi culturalmente (lo siamo daltronde in modo molto forte, dispiaccia pure ai Finkielkraut, ai Kundera e agli altri, il resto solo provincialismo) e delezione. Siamo stati privati della Jugoslavia, della voce e del nome, poich laggressore serbo ha usurpato il nome della Jugoslavia e per noi non pi pos sibile rivendicarlo. La nostra voce rimasta inascoltata. Siamo diventati invisibili, impercettibili, inesistenti. La nostra epoca finita. Ormai, nelle nuove capitali, Zagabria, Lubiana, Bel grado, comincia una nuova epoca, tutto riparte da zero. I quarantasei anni della nostra vita, la vita di due generazioni della vecchia Repubblica jugoslava vengono cancellati in

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nome di una storia pi antica. Ma chi sosterr che questa . meno arbitraria di quella che abbiamo costruito con la nostra esistenza? Chi decide quale storia, al posto di unaltra, avr corso? E necessario ripetere sempre gli stessi errori? I nazio nalisti di ogni parrocchia e gli esperti ci cancellano con un colpo di spugna e dicono che siamo il frutto di una finzione, di un artificio. Le strade, le piazze, le citt dove siamo cresciu ti sono state ribattezzate senza che sia stato chiesto il nostro parere. E in Croazia, dove i Serbi come i Croati sono morti nella guerra quotidiana, le nostre citt sono state distrutte dai bombardamenti. Affermazioni come quella riportata sopra contribuiscono alla liquidazione di una identit, la nostra. Ogni affermazione sulla differenza positiva e tutta occidentale, europea, degli Sloveni o dei Croati, in contrasto con i Serbi e i Balcani in generale, in cattiva fede e mette in evidenza la disinformazione storica. Finkielkraut dichiara: La Slovenia non fa parte del mondo balcanico.... (Le Mon de, 9 luglio 1991) e Kundera scrive: C osa pu avere in comune con i Balcani la Slovenia? E un paese occidentale molto vicino allItalia (...) cattolico (...), per lungo tempo parte dellimpero austro-ungarico, il paese dove il concetto dEuropa centrale (.. ) pi vivo che altrove. Bravo! Direi invece che noi siamo nello stesso tempo europei e, d altra parte, balcanici o (poco importa) sloveni, serbi.... In realt, Finkielkraut, Kundera e compagnia singegnano per tracciare le nuove frontiere orientali dellEuropa, per arginare il peri colo balcanico e persino quello asiatico. Ma non vedono, non hanno alcuna esperienza dei suddetti paesi e del loro incrocio di culture. Ogni criterio secondo cui la Slovenia o la Croazia apparterrebbero allEuropa (e allora? un merito?) potrebbe valere per la Serbia e a maggior ragione per la Tur chia.... Ma lEuropa pu pensarsi cos lontana? Eccoci quin di, con terrore, rispediti in Asia! L Europa si difende da un Oriente immaginario, con le parole di questi signori. Questi signori incorrono in un secondo equivoco, nel dare per scontato che il cambiamento dello statu quo territoriale, il rico noscimento dellindipendenza e la secessione, possano garanti re il progresso della democrazia. Non cos automatico. La democrazia innanzitutto la scelta di un modo esclusivamente politico-giuridico per regolare i conflitti (sar molto pi diffici le, evidente, negoziare dopo la guerra). L ideale nazionale o nazionalista una cosa, lideale democratico unaltra. Non

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v alcun interesse nel confonderli. La democrazia non pu essere definita in termini nazionali. Basti pensare alla Svizzera da un lato e alla Romania di Ceaucescu, dallaltro. Per quanto riguarda la difesa della vittima di unaggres sione, questo imperativo indipendente dal carattere morale attribuito alla stessa vittima, per le sue qualit democratiche o altro. Niente giustifica unaggressione. Spero che siamo tutti daccordo su questo punto. In questa guerra serbo-croata, la Croazia viene aggredita - ma ci non le conferisce un premio di democrazia - , in primo luogo dallesercito federale, dal governo di Milosevic (serbo), poi, da una parte dellopinione pubblica in Serbia. Ma non dai serbi in generale. Questa importante sfumatura lascia spazio al pensiero critico e alla libert intellettuale, e consente che si riconquisti uno sguardo analitico. La guerra dei media e quella delle armi hanno infatti completamente omogeneizzato lopinione pubblica serba, croata, ecc. (gli jugoslavi erano stati esclusi prima, come i pacifisti), intorno al criterio di appartenenza nazionale. Ogni protagonista si arroccava sulle sue posizioni, accusando laltro delle peggiori atrocit. Nella guerra dei media, le due parti si equivalevano utilizzando entrambe una propaganda immonda, dimostrando una sorprendente com plementarit. In quella militare, in compenso, non era possi bile una simmetria: non pensabile liquidare senza dar ragione n alluno n allaltro laggressore e laggredito che subisce sul suo territorio la guerra. Ma sul campo, Croati e Serbi si sono inflitti e hanno inflitto alle popolazioni civili le stesse atrocit. Nessuno innocente. E inoltre inconcepibile sostenere che il nazionalismo sia positivo per i paesi dEuropa dellEst poich sono in ritar do sullOccidente, e che si sia esaurito nellEuropa dellOvest perch questa lavrebbe oltrepassato, cosicch non sarebbero ammissibili le secessioni dei Corsi, dei Baschi, degli Irlandesi del Nord, ecc. Questo ambiguo criterio ci elimina tutti, noi altri - milioni ancora una volta - che non possiamo identifi caci con una nazione dominata dai nazionalismi, e che non vogliamo schierarci con questa o quella bandiera. Poich costituiremmo delle piccole nazioni, la cui lingua scono sciuta oltre le frontiere, saremmo condannati al nazionali smo! Coloro che ne hanno unesperienza diretta, non posso no accettare che noi siamo, in modo talmente disinvolto,

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destinati a fare marcia indietro, destinati allo scompiglio del le nostre frontiere (se le nostre sono in causa oggi, le vostre 10 saranno domani) e alla guerra. L unica soluzione sarebbe stata quella della negoziazione, scendere a compromessi e accordarsi sulla forma della nostra futura democrazia, su una (con)federazione o una unione di Stati indipendenti; sui diritti dei popoli, delle minoranze, degli individui. Il mani cheismo dialettico dei nazionalismi, dato che sono sempre almeno due ad essere daccordo, ci ha impedito tutto ci. Anche se difensivo e separatista, invece che espansivo, 1 nazionalismo un pericolo. Perlomeno lo nelle attuali 1 circostanze dei paesi jugoslavi. Porta dritto alla guerra. Soste nere la purezza, linnocenza di tale nazione - in quanto pi piccola - implica la proiezione dellimpurit sullAltro e la sua demonizzazione. L Europa non ha voluto riconoscersi in noi, sebbene noi non facciamo che ripetere il gesto molto europeo, molto puro, molto bianco di esclusione dellAltro. Se i nazionali smi jugoslavi sono pericolosi, allora i principi fondatori del lEuropa lo sono altrettanto. Ma questa constatazione non ci autorizza affatto a stabilire criteri di sfasatura storica tra le nazioni, come fa Milan Kundera (Le Nouvel Observateur, 1420 novembre 1991), cio a incitare le piccole nazioni a ripe tere il gesto di esclusione dellAltro. Non dico che non sia forse necessario passare attraver so le nazioni. Ma, storicamente, in questo non c niente di nuovo. Evitare le guerre, civili e non, disinnescando i nazio nalismi, sarebbe stato inedito in Europa. Poich, in fin dei conti, vivremo sempre insieme su questi stessi territori. E, per prendere in prestito le parole del giornalista di Vreme, Stojan Cerovic, quei popoli si rincontreranno di nuovo quando la smetteranno di contemplare il proprio ombelico.

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MEMORIE CANCELLATE

Utilizzo qui i termini di spazio jugoslavo e di paesi jugoslavi in un senso soltanto geografico e culturale, inclu dendo la Jugoslavia federale, ma senza connotazioni n rivendicazioni politiche. E unowiet lapalissiana dire che ogni nuovo regime fa ripartire il tempo da zero, comincia proclamando lAnno Pri mo. Le sigle, le bandiere, i simboli cambiano, viene proposta una nuova cornice, la storia viene rifondata, riscritta. La memoria delle sventure, delle sofferenze passate, sar conser vata solo allinterno del gruppo che le ha vissute. Gli altri non se ne ricorderanno, perch non gratificante identificar si con la vittima. La discontinuit viene preferita alla conti nuit. Strana discontinuit, che nasce sullassenza della conti nuit storica obiettiva, e sullassenza della memoria, in nome della sua cancellazione stessa. La mia generazione vive questo per la seconda volta. L avvento dello Stato socialista (1945) con il quale la mia generazione nata come i Figli della mezzanotte dei Balcani, ha fatto in modo che la storia precedente fosse svalutata, dimenticata, reinterpretata. Ogni cancellazione della memo ria, quella compresa, rappresenta un assassinio culturale (in misura molto maggiore di altri omicidi pi evidenti di cui non parler qui). Furono cambiati i nomi delle citt, quelli delle strade, delle scuole, delle innumerevoli istituzioni e cos il linguaggio, le denominazioni, i titoli. La mia generazione cresciuta con questi nuovi nomi. Gli anziani, coloro che era no gi adulti prima della guerra, si ricordano ancora dei nomi antichi e a volte li utilizzano. Ma, nelle medesime espressioni, si notava la differenza fra due mondi. Riconosce vamo il carattere forzato e artificiale di questo annullamento, sebbene divenuto naturale per la nostra generazione. Noi sapevamo che cera stata una cancellazione della memoria, ma non ne soffrivamo direttamente poich non si trattava della nostra memoria. L avevamo comunque denunciata per principio, nella nostra resistenza intellettuale al regime. Noi non gli eravamo necessari. Ci prendevamo il lusso della criti

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ca ma anche, assecondando i piaceri masochisti degli intellet tuali, di denunciare il nostro ruolo ambiguo di vittime e com plici allo stesso tempo. Noi sapevamo di essere i figli della mezzanotte, i nipoti di Centanni di solitudine e della Vergo gna, e ci riconoscevamo in P. Handke, Th. Bernhard, G. Garcia Marquez, S. Rushdie, negli angosciati, perseguitati, umiliati degli splendidi romanzi di Danilo Kis, di Dzevad Karahasan, tutti i transculturali e transnazionali di questa generazione i cui padri, non loro, avevano fondato i nuovi Stati. Eravamo consapevoli inoltre del fatto che la nostra situazione, essenzialmente internazionale e cosmopolita (ma ognuna di queste parole gi stata compromessa) era dovuta al nostro indugio, per definizione nomade, fra le lingue e le culture. Nello spazio intermedio, in questa situazione scomo da perch insicura, avevamo trovato un improbabile assesta mento nellincertezza. Credevo che la nostra generazione sarebbe stata risparmiata dalle guerre, che avrebbe avuto questa fortuna. Giunse il crollo, un processo che per noi al pi tardi si pu situare nel 1987, il cui simbolo diventer in breve la caduta del muro di Berlino. Desidero sottolineare che quel muro stato abbattuto da due parti e che non penso affatto che la causa possa essere stata unicamente la caduta del socia lismo reale. E la fine (o linizio della ristrutturazione) del sistema mondiale della supremazia dellOccidente, del Nord sviluppato, di cui lEst dEuropa era solo uno degli elementi costituivi in questo insieme di vasi comunicanti. In tutto ci, c lEuropa che non riesce a definirsi e ritraccia una volta di pi le sue frontiere verso lEst. Ad essere scosso in maniera brutale il nostro spazio culturale, aperto, internazionale e transnazionale, transeuropeo, transcontinentale. Fu poi il turno della nostra memoria, memoria della generazione della Prima Repubblica che venne vietata e distrutta. Non solo la Repubblica politica e sociale, ma anche la Repubblica delle lettere e della cultura venne ridotta al silenzio. Abbiamo riconosciuto il gesto sebbene (o poich) nella generazione precedente la memoria che veniva custodita era quella dei nostri genitori e non la nostra. Questo ci toccava molto pi da vicino perch riguardava il nostro passato, la nostra identit culturale, ora minacciata dallestinzione. L e

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purazione etnica che avviene nello spazio jugoslavo (o nei paesi jugoslavi, al plurale) e che ha disgraziatamente colpito gran parte della Bosnia (e prima tutte le altre repubbliche un tempo federate) stata ovunque preceduta, seguita e soste nuta da una epurazione ideologica e da (un nuovo) genocidio culturale.
CITT, NOMI, TELEVISIONE

La guerra era iniziata prima della guerra stessa. Era gi nei media, nel linguaggio, molto prima di aver luogo sul cam po. Era stata invocata nei discorsi dei politici e degli intellet tuali. Era stata chiamata, voluta con passione. L omologazione nazionale era cominciata fin dalla guerra delle parole, appena la paura si era diffusa. Noi eravamo in cammino verso una ristrutturazione (sempre incompiuta) di valori, verso un cam biamento didentit di gruppo, didentit individuale anche, verso una ricerca di un altro sistema di referenti culturali e sto rici, verso nuove immagini, verso la fondazione di un nuovo mondo. Il nazionalismo fu cos sollecitato, indotto anche, pri ma che si potesse riconoscere. Si inizi con il cambiare i nomi, a volte ancor prima dellinsediamento dei nuovi regimi. Questi mutamenti nel linguaggio e nella percezione del significato delle parole ci vennero imposti dai differenti centri della tele visione, ognuno tutto preso dalla propria propaganda. Si pu anche dire, senza alcuna esagerazione, che la televisione ci ha condotto alla guerra. E questa, daltronde, la principale diffe renza tra la seconda guerra mondiale e la presente. La televi sione propose, mont con tutti i pezzi, anticipandole, le storie di violenza degli altri contro di noi che dovevano conse guentemente giustificare la nostra violenza contro di loro, lasciando che apparisse come una legittima difesa. Sempre un gradino pi in alto della realt che reinventava, la televisione, portatrice di immagini (e le immagini colpiscono pi di qual siasi altro mezzo di comunicazione) amplificava regolarmente le notizie di violenze (dapprincipio era ancora possibile gon fiarle) contro di noi, facendo passare sotto silenzio le violen ze contro gli altri, ricollegandole a quelle. La violenza reale e ormai irreparabilmente scatenata si trovava in tal modo in concorrenza con le immagini fondamentalmente disoneste della televisione (disoneste perch si trattava di falsa informa zione) che tentava di riacciuffare a tutta velocit.

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Venivano cambiati i nomi delle citt. Si anticipava cos la spartizione del territorio che avrebbe avuto luogo durante la guerra, affibbiando, per esempio, un nome croato, o un altro, a tale citt della Bosnia-Erzegovina, malgrado il nome storico entrato nella letteratura. Ma i nazionalisti non hanno niente a che spartire con la letteratura e soprattutto con quel la degli altri. E i nazionalisti giunsero al potere in tutti i paesi jugoslavi. Si accinsero a fare quello che gli premeva maggior mente e che si rivel la cosa pi importante ai fini dellascen dente simbolico sulla gente: bandiere, stemmi, simboli, titoli di istituzioni, nomi di strade, furono tutti trasformati in pom pa magna. Per quanto riguarda i nomi, tutti quelli che poteva no evocare una parte di storia comune dei popoli jugoslavi o che, semplicemente, non apparivano connotati abbastanza come serbi o croati. A volte, nei casi pi accettabili per la popolazione di cui veniva cancellata la memoria precedente, vennero ripristinati nomi che risalivano a prima della secon da guerra mondiale. D ritardo calcolato ma presto riassor bito della Serbia a questo riguardo, dovuto al fatto che la Serbia rivendicava ci che la Croazia ripudiava - una conti nuit giuridica e storica con la Jugoslavia. Ma questa rivendicazione, anche del nome di Jugosla via da parte della Serbia e del Montenegro, aggressori in Croazia e in Bosnia-Erzegovina, unusurpazione (a onta del fatto che, in minor misura, ma per lo stesso principio, la Croazia , sebbene attaccata sul proprio territorio, a sua vol ta aggressore in Bosnia-Erzegovina). Una categoria di abitan ti della Jugoslavia precedente perse quindi il suo nome, la sua esistenza simbolica (e dunque reale e politica) e la sua voce. Tutti quelli che (numerose famiglie miste o per scelta culturale) prima si definivano o si sentivano jugoslavi pur senza essere dalla parte dellaggressore serbo, persero il loro nome, la loro esistenza simbolica. Si pu chiamare jugoslavo (nel senso di appartenenza ad uno Stato o nel senso ideologi co), oggi, solo chi sostiene la politica delle conquiste territo riali e dellepurazione etnica della Serbia-Montenegro. E divenuta una definizione odiosa per la maggior parte degli abitanti del paese intero che un tempo portava questo nome. Alcuni milioni di persone sono scomparse dalla rappresenta zione simbolica e politica perch non hanno nessun territorio da rivendicare, ma soltanto una cultura. Queste persone, allopposizione di ogni regime nuovo, non compaiono nei

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negoziati sulla pace e non vengono consultate. Ecco un bel lesempio della prevalenza del simbolico su tutto il resto. E della forza del nome usurpato dallaggressore pi potente. Nella pulizia etnica e ideologica che caccia gli abitanti centi naia di miglia lontano dalle loro case, le persone perdono non soltanto parenti e amici, le loro abitazioni e i loro beni, ma anche i loro nomi insieme alla memoria dei loro indirizzi. Alcune famiglie si sono messe in fila per cambiare nome al momento dellomologazione etnica, quando quelli che porta vano erano diventati stranieri e loro erano divenuti dei facili bersagli. A scuola, dalla fine di un anno alla riapertura seguente, i ragazzi prima di origini miste ritornavano tutti dichiarando, attraverso i loro genitori, di appartenere ad una stessa nazionalit o religione maggioritaria. In altre regioni, venivano ritirati dalla classe o ne venivano cacciati. I profu ghi arrivavano senza documenti nelle regioni o nelle vecchie repubbliche federali vicine e non avevano alcuna esistenza ufficiale e giuridica, alcuna prova d esistenza reale. Le loro citt o i loro villaggi sono stati rasi al suolo, le loro strade era no inesistenti, o meglio erano state ribattezzate. Il passato, il vissuto, la realt di quelle persone, dora in poi, non avrebbe avuto pi luogo se non nella memoria individuale. Unaltra storia ufficiale, di Realpolitik, sarebbe stata fabbricata, con il pi grande disprezzo per la loro propria storia. Accanto alla morte reale, la pi terribile, c anche quella simbolica che tutto annienta.
LA RIFOND AZIONE STORICA

Tutti i procedimenti descritti conducono alla rifonda zione storica. La nazione in nuce si regala dei miti di fonda zione, reinventandosi una storia autistica e separata da quella dei popoli vicini, e giustifica cos il suo gesto di esclusione dellaltro. I miti di fondazione si riferiscono regolarmente e in maniera abusiva alla storia, ad una storia sacra che deve provare che noi abbiamo sofferto per colpa loro e che dunque giusto che essi paghino. La motivazione principale la vendetta, le prove storiche sono in linea di massima uni laterali, malintenzionate, esagerate o decisamente false. Ogni enormit la benvenuta se accusa il vicino ed sufficiente, proprio in quanto esagerazione, ad essere considerata come una prova. Il male sempre dallaltra parte. Cos, durante la

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divisione dellEuropa in Est e Ovest, il male era collocato (da entrambe le parti) al di l del muro di Berlino, e il bene, la purezza, al di qua. Al momento del crollo del muro simboli co, che giunse contemporaneamente alla crisi economica, il nemico viene cercato pi vicino e deve essere costruito mediante una nuova esclusione. Nei miti di fondazione, il gruppo nazionale in nuce, che aveva perduto o stava per disfarsi della sua identit precedente, si attribuisce una nuo va identit attraverso l immedesimazione con unistanza superiore (la Nazione, il Padre della nazione, Dio, ecc.). A tale istanza superiore, lindividuo sacrifica ogni sua propria caratteristica cos come ogni sua anteriore appartenenza. Le relazioni degli individui del gruppo passano per questa auto rit e ci assicura la disciplina. L individuo diviene funziona le alla comunit e questo significa che egli pronto a essere mobilitato soprattutto per gli interessi del gruppo: morire per la Nazione, per la Patria, diventa facile, da incoraggiare e augurare. La comunit, cos integrata, incorpora non solo tutti i viventi (e nessuno ha diritto ad allontanarsene), ma anche e in primo luogo i morti e i non nati. In tale maniera, si concede unaura metafisica ed eterna che supera (o ignora) la dimensione storica e precede, idealmente, lo Stato che verr a fondare. Si invoca spesso la natura, ma non esiste una nazione pi o meno naturale. Ognuna rappresenta uniden tit e ununit politica imposta ad una diversit sociale e cul turale, allinterno della quale nascono, da sempre, nuove for me centrifughe, pur se una forma si stabilizzata per un periodo storico pi o meno lungo. Soltanto in apparenza una nazione ha solide fondamenta quando per la sua creazione si dovuto versare molto sangue. Le identit culturali o anche nazionali multiple favorite dagli Stati dellOccidente (come anche, ad esempio, la stessa Jugoslavia di Tito) costituiscono un equilibrio precario fra la prevenzione e la minaccia di esplosione. L esplosione favorir gli autismi, i particolarismi, i separatismi multipli, 0 ripiegamento sullidentit. E come nota molto bene Mario Vargas Liosa in un articolo intitolato L idea di nazione una finzione politica, paradossalmente, solo linternazionalizzazione pu garantire il diritto allesi stenza di queste piccole culture che tradizionalmente la nazione aveva spazzato via per poter consolidare il mito della sua intangibilit '. Dunque, non questo ci che accade nei paesi dellex Jugoslavia per quanto riguarda la cultura. Unin-

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ternazionalizzazione certo stata tentata, ma falsa, perch cerca di aggirare le nazioni pi vicine per gettarsi tra le brac cia di quelle pi lontane ma prestigiose. Cos i nazionalisti serbi invocano pi volentieri la Grecia piuttosto che la Mace donia, la Russia invece della Croazia o lAlbania. E la Croazia invoca pi spesso lEuropa rispetto ai suoi vicini serbi..., ecc.
L AUTISMO CULTURALE

I nuovi miti etnogonici fondano nuove piccole nazioni sullidea di un medesimo sangue e territorio, lingua e religio ne. Ognuna di queste nazioni il cui sogno d indipendenza (dautodeterminazione dei popoli?) ha attivato la psicopato logia di massa dellaggressivit contro gli altri, si trova allinterno di ci che, prima, era considerato un quadro generale geopolitico e ognuna quindi ancora pi piccola se quel quadro sul punto di dissolversi. Nuove frontiere si delineano l dove non ce nerano. I miti etnogonici sono allo stesso tempo sogni di autismo culturale, come se, contraria mente alla realt, la cultura non potesse sorgere che nellas soluta purezza dellisolamento. Il mtissage culturale, spa zio ordinario della cultura, venne drasticamente censurato. E una tragedia culturale perch si tratta del terreno stesso del mtissage, ora spezzato. Le nuove frontiere separano le lin gue, i legami, le interdipendenze, gli scambi culturali vitali sia per linsieme delle culture jugoslave che per ciascuna par te presa singolarmente. Le nuove tendenze nazionaliste sostenute dai nuovi Stati lasciano che si articolino soprattutto gli elementi folclo ristici della cultura, riferendoli alla storia nazionale vista come unepopea. Tutto ci che portava o potrebbe portare il nome delletnia autodesignatasi come leletta fra i popoli, incoraggiato (il mondo intero ci invidia ha potuto afferma re recentemente il ministro della cultura di uno di quei Stati, in evidente contrasto con un paese devastato dalla guerra e in preda allo sciovinismo). I programmi scolastici sono epu rati di tutti gli apporti delle altre lingue e culture jugoslave e dunque indeboliti dallorgoglio folle e autistico dellassoluta indipendenza, sogno suicida e assassino. cosi che dappri ma a poco a poco e poi in maniera sempre pi violenta, le nostre frontiere interne si delinearono e furono nondimeno ----violate dalle conquiste territoriali.

Si trasformarono da tracciati di legami, congiunzioni, passag gi in irreparabili linee di separazione. La soppressione delle telecomunicazioni fra i nuovi paesi conferma unattiva e cul turalmente assassina (e suicida) volont di separazione, de sclusione, di purificazione. Atti questi che mai fonderanno una cultura.
UNA RETE DISTRUTTA

Le frontiere (la guerra) hanno distrutto le vite, le fami glie, le cittadinanze, le fedelt, per non dire della cultura. Hanno distrutto le reti relazionali. Hanno contribuito a can cellare la memoria conservata per pi di settantanni di vita comune col pretesto di allontanare laggressione o loppres sione dellaltro, buttando cos anche il bambino insieme allacqua sporca. Presto non ci sar pi nessuna prova delle sistenza di una cultura. Citt, serbatoi di memoria culturale, e necessariamente miste, sono rase al suolo; chi si ricorder del la loro esistenza? Dove sono i sopravvissuti di Vukovar? Sono state bruciate le biblioteche, anche una delle pi belle, quella di Sarajevo, ricettacolo unico di un raro incrocio di culture, e soprattutto della memoria degli ebrei di Spagna stabilitisi qui 0 della cultura musulmana locale, pi la cultura dei Serbi o dei Croati. La guerra, le distruzioni, le frontiere, impediscono 1contatti vitali. Le comunicazioni, le strade, il telefono, tutto interrotto, inesistente. Non c pi posta e in ogni modo, se i messaggi individuali riescono a passare di mano in mano, non arrivano a destinazione perch le persone sono state uccise o cacciate dalle loro case. Intere popolazioni sono spostate. Gli intellet tuali di quella che fu la Jugoslavia sono sparpagliati per il mondo, ad Amsterdam, al Cairo, a Vienna, a Parigi, a New York, a Berlino, a Praga e ancora in altri luoghi, senza dubbio a Lubiana, a Belgrado, a Zagabria dove alcuni si sono rifugia ti. A fatica cercano di riallacciare i contatti gli uni con gli altri, con quelli rimasti nel paese, di rinnovare i legami vitali di una cultura assassinata. Non possono conservare i loro contatti, continuare a lavorare insieme, telefonarsi e scrivere da un paese jugoslavo allaltro. Non soltanto perch le comunicazio ni sono saltate ma anche perch, in alcuni casi, sarebbero considerati dei traditori e potrebbero mettersi nei guai. I con tatti possono passare soltanto per lestero o, nel migliore dei

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casi (questa era ancora la situazione nel mese di aprile del 93), per la Slovenia. Tutto ci significa la fine della libera cir colazione di persone e idee. Il nazionalismo e la guerra che, entrambi, funzionano a colpi di esclusione a partire da un sistema di dicotomie come ha gi dimostrato Karl von Clau sewitz, firmano il certificato di morte delle reti intellettuali e artistiche allinterno dello spazio jugoslavo. Da reti nazionali e interne che erano, si trasformano in reti internazionali ma, allo stesso tempo, esclusivamente internazionali: perch que ste reti precedentemente jugoslave e multiculturali sono ora discriminate, eliminate in rapporto alle altre comunicazioni internazionali e, quando restano tali, sono volontariamente messe al bando e considerate disdicevoli per i nuovi Stati che preferiscono i contatti con lesterno (e si stupiscono di trovar li ugualmente sfilacciati). La mancanza di democrazia nei nuovi Stati (ma non pu esserci democrazia finch dura la guerra), la caccia alluomo generalizzata, soprattutto allintel lettuale sulla stampa abusivamente detta libera, lepurazio ne ideologica, la delazione, la diffamazione di quelli che la pensano in modo differente o sono di unaltra origine, il sac cheggio, lassenza di uno Stato di diritto, le uccisioni crimina li, non favoriscono la cultura e ancor meno la ricerca della tol leranza. La cultura, molto chiaramente, non pu essere esclu siva dellaltro oppure non si tratta di cultura. I nuovi paesi hanno perso lequilibrio del controllo sociale. Ci sono in generale tre tipi di controllo sociale: un controllo dallalto (lo Stato), un controllo orizzontale (lopinione pubblica, in parte attraverso i media) e un controllo dal basso (la contestazione sociale). Nelle nuove condizioni, il controllo dal basso represso o molto indebolito, il controllo dallalto repressivo e arbitrario ma gli sfuggono molte cose (perch non rappre senta uno Stato di diritto), mentre il controllo orizzontale forse il pi forte e funziona a partire dallomologazione come giustizia privata di gruppi differenti. La cultura nazionale in questo momento ridotta a valori etnici e folcloristici nel senso stretto. E al servizio del lideologia nazionalista. Le qualit presunte del proprio popolo e della sua storia nazionale (ricostruita in ogni tassel lo dai nuovi di fondazione) vengono esaltate smisuratamente. Gli apparati scenografici delle occasioni ufficiali sono medio cremente ridotti a soli simboli dellidentit nazionale che, adesso, rimpiazzano i precedenti (anchessi molto poveri per

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quanto riguarda il loro valore estetico) ma in una quantit ben maggiore. La musica tradizionale sostituita da canti bellici che esaltano i nostri, di dubbia qualit musicale e, se non razzisti, pieni di odio verso gli altri. I musei e le gallerie espongono soltanto i nostri (e gli stranieri pi lontani possibile, mai ex jugoslavi delle altre repubbliche in passato federate), i teatri non danno pi opere dei Croati in Serbia o dei Serbi in Croazia. Gli attori originari di qui che hanno recitato un tempo in altri centri jugoslavi sono accusati di tradimento, perseguitati. Non si pubblicano libri di autori che appartengano per semplice origine, vera o supposta, allaltra fazione, a meno che non parlino male del nemico o si siano stabiliti da noi e forniscano cos un alibi. Si espulso il cirillico dalla Croazia e si d la caccia ai caratteri latini in Serbia... gli esempi sono innumerevoli e vanno tutti nella stessa direzione di chiusura.
LA MESCOLANZA E LA SUA FINE

Gran parte del lavoro intellettuale, cos come delle esperienze artistiche del ventesimo secolo, sono nate grazie ad uno scambio inter-jugoslavo. Nella memoria della mia genera zione, il teatro ne forse il pi spettacolare esempio, poich il teatro superava con facilit anche le barriere linguistiche tra il macedone, il serbocroato, lungherese, la lingua zigana, lo slo veno, ecc. Gli attori recitavano in diversi centri, in pi lingue, i registi lavoravano in pi teatri, gli autori venivano spesso recitati in altre lingue e di frequente il pubblico stesso si spo stava con la scena ambulante. Molti festival infine riunivano tutta questa trib transnazionale che aveva anche sviluppato un suo stile, una originalit culturale proprio a partire da que sta feconda mescolanza. Accadeva la stessa cosa con il cinema, tra laltro perch le repubbliche isolate avevano pochi mezzi e poco pubblico per contribuire allo sviluppo di unarte cos costosa. I migliori oggi si trovano allestero. Nella cultura, come nelleconomia, il mercato comune jugoslavo, lo spazio comune, permettevano uno sbocciare di iniziative che le pic cole culture autistiche non potranno mai rimpiazzare. La let teratura, soprattutto quella in lingua serbocroata (chiamata ora croata o serba) parlata in quattro repubbliche, circolava. Le case editrici nelle differenti citt erano come nostre, pub blicavamo spesso presso leditore della citt accanto; nelle

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riviste di altri centri, poich nessuno profeta nel suo paese, a volte era pi facile. Questo non accadr pi. Prima della guer ra, era gi divenuto pi raro, i fondi tendevano a finanziare solo la pubblicazione di scrittori locali. A tutto ci, bisogna aggiungere le distruzioni operate dalla guerra: le grandi case editrici di Sarajevo non ci accoglieranno pi con sollecitudine, quelle del nuovo Stato dorigine non pubblicano pi, di prefe renza, gli scrittori che non si sono schierati ideologicamente dalla parte giusta (ovviamente la nostra). Gli scrittori, i migliori, resteranno senza la possibilit di pubblicare nella loro lingua. Gli incontri tra scrittori, traduttori, editori dello spazio jugoslavo non avranno pi luogo, i premi letterari ver ranno assegnati soltanto a scrittori che hanno superato la pro va dellepurazione ideologica, culturale. Le associazioni degli umanisti, degli intellettuali di diverse discipline, le accademie, vengono ripulite dai loro membri appartenenti ad altre anti che repubbliche, le associazioni jugoslave, un tempo transre pubblicane, vengono disciolte con la magnificenza e la forza di celebrazione della cultura claustrofobica resistente ad ogni impermeabilit pluriculturale. Casi emblematici, innalzati allaltezza dellorgoglio nazionale, vengono creati seguendo lesempio dellintellettuale straniero (francese, russo, esempi differenti da commisurare con i differenti Stati) che arriva per sostenerci, come prova trascendentale della giustizia assoluta e nello stesso tempo indicibile della nostra causa. Gli intel lettuali profughi (nel senso ideologico o nel senso reale e terri toriale) fungono da alibi. Gli si concede volentieri la parola se pronti a denigrare il proprio regime. Senza comprendere il fatto che cos vengono reinseriti ideologicamente, alcuni arri vano volentieri qui per accusare il regime di laggi e ne approfittano poich, per ragioni ideologiche, non hanno pi ascolto nel loro ambiente. Il prezzo da pagare quello di non attaccare qui il regime locale e di non essere per principio contro ogni nazionalismo. Vengono strumentalizzati. E molti intellettuali sono emigrati. stata fabbricata anche una paranoia culturale di mas sa: nessuno (nessunaltra nazione) ci capisce veramente, il mondo intero ci invidia, il mondo intero maldisposto verso di noi. Poco importa se questa psicopatologia di massa si fonda su premesse contraddittorie, o tanto meglio: la prova del lassurdo. Agli intellettuali e artisti di alcuni dei paesi in questio

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ne viene impartito lordine di non apparire in manifestazioni allestero dove colleghi e amici, fino a ieri molto vicini, ma ora appartenenti ad unaltra etnia, manifestano. Sotto la spinta della paura e dellomologazione nazionale, molti artisti e intellettuali hanno dimenticato la dimensione necessaria mente individuale e libera del loro lavoro, accettano questa condizione, sidentificano con la ragione di Stato e adottano il linguaggio nazionalista. Sono anche stati inventati nuovi codici di comporta mento. Bisogna capire che tutto ci accade nei paesi dove non esiste una significativa libert di stampa (anche se a volte ci sono alcuni stretti e sporadici spazi per la critica, sempre minacciati e molto moderati, spazi che il potere tiene come alibi, ma censurati), dove la televisione (il mezzo pi forte) controllata dai regimi, dove la propaganda nazionalista ha corso libero e dove infuria la guerra. In queste condizioni lintellettuale nazionalista quello che accusa e riconosce soltanto il nazionalismo degli altri e mai quello della propria parte, e lintellettuale antinazionalista quello che, in primo luogo, accusa il nazionalismo del suo popolo in rapporto agli altri e comprende la logica bina ria dei nazionalismi. Non c un nazionalismo migliore. Lo stesso discorso si pu fare, come per la letteratura, il teatro, il cinema, per le arti visive e per gli scambi intellettuali: una volta molto vivaci, oggi inesistenti. In questo momento la Slovenia, ripresasi un po dal suo nazionalismo e al riparo dalla guerra diretta, lunica a poter accogliere artisti e intellettuali provenienti da altri spazi jugoslavi, col desiderio di rincontrar si. Bisognerebbe per averne i mezzi; a parte la scelta nazionale che stata fatta in ogni centro, i nuovi regimi hanno ereditato le peggiori caratteristiche dei disperati e infimi tempi autocrati ci, e le hanno sviluppate: nepotismo, partitismo, selezione ideologica, corruzione, sparizione di persone, criminalit ordi naria, mafia dei trafficanti darmi. Il regime comunista rispettava il ruolo della professio nalit. Le istituzioni erano lasciate ai professionisti e ricorre vano allapertura e allo scambio con lestero e gli altri luoghi jugoslavi. Ci sembrava ancora molto poco e ritenevamo che la mobilit culturale, come d altronde la mobilit tout court allinterno del paese, lasciasse molto a desiderare. Ci risultava pi semplice sapere, a Zagabria o a Belgrado, quale fosse la produzione intellettuale a Milano o a Parigi piuttosto che a

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Skopje e a Pristina. Ci lamentavamo di questa situazione. Ma non la si pu paragonare alla claustrofobia generalizzata di oggi. Non soltanto sono stati recisi i legami allinterno del paese, ma anche allesterno. E non solo a causa della guerra, ma a causa delle politiche (anti)culturali in vigore, per la mancanza di democrazia e dei mezzi (laddove non si d bat taglia), e per la meschinit, la limitatezza e la ristrettezza, la mancanza di orizzonti e della libert di circolazione delle per sone e delle idee in questo paese. E a causa delle mafie che detengono nelle loro mani il potere culturale per diffondere il verbo nazionale e nazionalista. Venivano in Jugoslavia intel lettuali e artisti da tutto il mondo. A parte lintellettuale stra niero alibi, o quelli che vengono di propria iniziativa per fini umanitari, nessuno viene pi. Non solo hanno molte esitazio ni, cosa comprensibile, ma non sono pi invitati e non c pi niente di culturalmente interessante da offrire loro. Lo scam bio si bloccato completamente.
IL GENOCIDIO CULTURALE

Un genocidio culturale si sar consum ato prima, durante e dopo la guerra dei Balcani di questa fine del vente simo secolo. E chiaro ormai che la Jugoslavia non potr pi rivivere e che dunque la sua cultura comune non potr conti nuare ad esistere e a trasmettersi nella stessa maniera. Per una parte, stata assassinata, e per laltra, la violenza entrer una volta di pi nella sua storia. Ma una memoria comune, con angolazioni diverse, esiste nella cultura e questa non deve essere distrutta perch rappresenta un patrimonio mon diale. Tuttavia essa stata spietatamente rasa al suolo dalla guerra e cancellata da decreti imbecilli i cui autori non com prendono che ogni cultura sinscrive in unaltra. In una for ma o in unaltra, la cultura trans-jugoslava continuer ad esi stere nelle nuove condizioni. In parte, sicuramente allestero, e anche nello spazio jugoslavo, malgrado le condizioni e non grazie a queste, e nei contatti fra lestero e il paese. Ma delle persone sono morte, delle reti scomparse, dei legami distrut ti. In alcune situazioni non possono essere pi ricomposti. Nella maggior parte dei casi, ci vuole un grosso sforzo per ricostruire i sistemi di contatto e di comunicazione al fine di salvaguardare nella dignit una memoria. Questa memoria deve essere conservata non solo come un museo, un archivio

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(poich anche questo si deve fare e in fretta), ma soprattutto come memoria vivente. Deve essere ristabilita, evidenziata, documentata, nutrita dai sopravvissuti individuali, perch non lo sar pi al livello delle nuove istituzioni nazionali e non verr pi salvaguardata dagli altri.
UNA PROPOSTA DI PROGETTO PER LA RICERCA DEI FONDATORI

Se ne avessi i mezzi e sapessi a chi rivolgermi per dei fondi, io proporrei che fossero creati un Istituto internazionale e una Fondazione per la salvaguardia della memoria attiva e passiva, cos come per la continuit della cultura comune nello spazio jugoslavo. Rappresenterebbero un contatto di lavoro sia con le istituzioni attuali dei nuovi Stati, sia con gli individui sparsi, e incoraggerebbero le attivit artistiche e intellettuali volte a riallacciare i legami fra le differenti lingue e culture. L istituto e la fondazione rispetterebbero le particolarit delle culture nel loro desiderio di autonomia, ma si orienterebbero a soste nere le attivit culturali comuni laddove queste non possano essere organizzate sul posto. E molto auspicabile che questo organismo tenda a giocare immediatamente tale ruolo, forse in minor misura, per i Balcani in generale (col rischio di svi luppare questultima dimensione se necessario), cos come per i paesi attigui. E anche auspicabile che essi prevedano per principio la possibilit di una loro trasformazione o del loro semplice scioglimento quando le circostanze lo richiederanno o meglio quando il loro ruolo non sar pi necessario (quan do, per esempio, la cultura transnazionale dello spazio jugo slavo non sar pi censurata dai nuovi Stati).

NOTE

finito di stampare nel mese di luglio 1999 per conto della manifestolibri-roma dalla grafica ripoli-tivoli

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