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CAP.

17:Dalla Costituente all’“autunno caldo”


Alla fine della Seconda guerra mondiale, la produzione industriale era crollata, le
infrastrutture avevano subito danni ingenti, il tasso di disoccupazione era aumentato e
l’Italia centro-settentrionale era stata colpita dalla guerra civile per la liberazione dal
nazi-fascismo. All’indomani della liberazione, il governo fu posto sotto la guida di Ferruccio
Parri, capo del Partito d’Azione. Egli fu criticato per il suo progetto di colpire i grandi
monopoli industriali a favore delle piccole e medie imprese, perciò dovette dimettersi.
Come nuovo presidente del Consiglio fu nominato il democristiano Alcide De Gasperi, il
quale si occupò delle trattative di pace: l’Italia si vide imporre condizioni di pace severe.
Nel corso dei negoziati che si svolsero a Parigi nel 1946, De Gasperi difese la causa italiana
non nascondendo le colpe dell’Italia fascista, ma ricordando che la guerra contro Hitler e
Mussolini era stata combattuta per ristabilire la giustizia e l’eguaglianza tra le nazioni. Alla
fine, il trattato di pace impose all’Italia perdite territoriali meno gravi di quel che s’era temuto.
Alla Francia furono concesse Briga e Tenda mentre le colonie andarono perdute.

Per i partiti di sinistra, la monarchia era compromessa con il fascismo ed era responsabile
della guerra quanto Mussolini: per questa ragione non poteva continuare a governare
un’Italia rinnovata. Per i liberali e i cattolici, invece, la monarchia era ancora una forma di
governo degna di fiducia, nonostante gli errori compiuti da Vittorio Emanuele III. La
questione fu risolta con un referendum istituzionale, con cui fu chiesto ai cittadini di
scegliere fra la monarchia e la repubblica. Il 2 giugno del 1946 furono chiamati a votare
tutti gli italiani maggiorenni, comprese le donne che votavano per la prima volta. Il
referendum si espresse a favore della repubblica, con il 54,3% dei voti. A seguito dell'esito
della consultazione, Umberto II andò in esilio con tutta la sua famiglia. La caduta del regime
fascista aveva permesso la nascita di partiti nuovi:
● la Democrazia cristiana (DC) => mondo cattolico;
● il Partito comunista (PCI);
● il Partito socialista (PS) => diviso fra riformisti e rivoluzionari (guidata da Pietro
Nenni, maggioritaria, favorevole a un’azione unitaria con il PCI);
● il Partito socialdemocratico (PSDI) => riformisti guidati da Giuseppe Saragat,
volevano procedere in modo autonomo;
● il Partito liberale (PLI) => sostenuto dalla grande industria;
● il Partito repubblicano (PRI) => esprimeva l’opposizione all’istituzione monarchica;
● il Partito d’azione (Pd’A) => privo di un sostegno popolare e diviso fra un’anima
liberale e una socialista;
● il Movimento sociale italiano (MSI);
● il Partito nazionale monarchico (PNM) => voleva tornare alla forma istituzionale
monarchica;
● il Fronte dell’uomo qualunque => rivendicava la propria mancanza di riferimenti
ideologici (qualunquismo).
In questo rinnovato quadro politico, il 2 giugno 1946 si svolsero anche le elezioni dei
rappresentanti all’Assemblea Costituente, che era incaricata di preparare la Costituzione
del nuovo Stato. Si trattava delle prime elezioni libere dopo vent’anni di fascismo. Dal voto
degli italiani si affermarono i grandi partiti di massa, la Democrazia cristiana, il Partito
socialista e il Partito comunista. La Costituzione italiana (democratica e liberale) entrò
in vigore il 1° gennaio 1948: essa respingeva ogni forma di autoritarismo e si fondava sui
valori del pluralismo, della libertà di espressione e dell’uguaglianza (=> tutela della
persona). Particolarmente accesa fu la discussione intorno alla definizione del rapporto tra
lo Stato e la Chiesa: fu deciso che sarebbero rimasti in vigore i Patti Lateranensi (1929).
Dal 1947 cominciarono ad arrivare gli aiuti economici per la ricostruzione, predisposti
dagli Stati Uniti attraverso il Piano Marshall. De Gasperi decise che era venuto il momento
di abbandonare l’alleanza con le sinistre: sciolse perciò il governo a cui partecipavano i
ministri comunisti e socialisti, e ne costituì uno nuovo, formato da moderati. Le elezioni
successive videro lo scontro fra la Democrazia cristiana e i partiti della sinistra riuniti nel
Fronte popolare. Il 18 aprile 1948 la DC trionfò con il 48,5% dei voti. Meno di un mese dopo
il parlamento elesse il liberale Luigi Einaudi come presidente della Repubblica.

Il 14 luglio 1948 un giovane neofascista attentò alla vita di Palmiro Togliatti, il segretario
del PCI. Il popolo temeva lo scoppio di una guerra civile: al nord i comunisti organizzarono
uno sciopero generale, in protesta contro il governo. Ma i dirigenti comunisti, consapevoli
che l’Unione Sovietica non avrebbe appoggiato un'insurrezione, agirono contro la protesta.
Dopo le elezioni del 1948, De Gasperi guidò l’esecutivo con il sostegno di molti partiti: la
nuova formula di governo (=>centrismo) rimase salda per i successivi cinque anni. Sul
piano della politica economica, i governi democristiani si ispirarono a un modello liberista:
realizzarono una politica di austerità, finalizzata a ottenere la stabilizzazione monetaria e
il pareggio di bilancio. Questo indirizzo si concretizzò nell’adozione di misure per
contenere l’inflazione. Gli operai organizzarono scioperi e manifestazioni contro i quali il
ministro dell’Interno Mario Scelba scelse spesso la linea repressiva. Il governo intervenne
anche con un vasto piano di edilizia pubblica popolare, il piano INA-Casa (=> legge
Fanfani - 1949), che avrebbe dovuto creare occupazione assorbendo nei nuovi cantieri
edilizi un gran numero di disoccupati. In tutto il Mezzogiorno e in altre zone d’Italia si erano
diffuse le proteste dei contadini, che chiedevano la redistribuzione delle terre e al Sud
avevano occupato le terre incolte dei baroni, rifiutandosi di restituirle. Il presidente del
Consiglio colse in queste proteste la necessità non più rimandabile di una riforma agraria,
che fu votata dal Parlamento nel 1950. La riforma ordinava l’esproprio di una parte dei
grandi latifondi, quelli lasciati incolti, e la distribuzione delle terre ai contadini, ma non colmò
l’arretratezza delle campagne meridionali. Nel 1950 fu preso un altro provvedimento cruciale
per lo sviluppo del paese, con l’istituzione della “Cassa per il Mezzogiorno” (ente che
doveva finanziare la crescita delle aree meridionali, il settore agricolo, industriale e
infrastrutturale avviando un processo di modernizzazione).

In politica estera, il governo seguì due principali linee direttrici: l’adesione al Patto atlantico,
(siglata il 4 aprile 1949) e l’impegno nell’avviare il processo di integrazione europea. In
questo quadro si colloca il contributo italiano alla costituzione della CECA (1951) e della
CEE nel (1957), soprattutto grazie a Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi.
La propaganda democristiana insisteva su temi come la famiglia; il partito poté contare
quindi sul sostegno della Chiesa e dei parroci, che erano responsabili dell’educazione
religiosa e che gestivano ospedali, case di cura e di riposo. Importanti furono anche le
organizzazioni di cattolici laici, come l’Azione Cattolica. Sul piano sindacale i contadini
cattolici potevano fare riferimento alla Coldiretti (organizzazione a metà fra il sindacato e
l’associazione professionale). Dopo l’attentato a Togliatti i cattolici formarono un loro
sindacato, la CISL (Confederazione italiana sindacati lavoratori), mentre i repubblicani e i
socialdemocratici si scissero dalla CGIL dando vita alla UIL (Unione italiana dei lavoratori). I
cattolici potevano contare anche su un’altra associazione, l’ Acli (Associazione cristiana dei
lavoratori Italiani), i cui dirigenti spesso divennero uomini politici democristiani: questo dato
confermava che la DC era un partito interclassista, votato da diversi gruppi e classi sociali.
Verso la fine della legislatura, il consenso di cui godeva la DC andò gradualmente
scemando: ne furono causa l’ostilità di molti verso la politica economica del governo, la
riforma agraria e la riforma tributaria del ministro delle Finanze Ezio Vanoni (1951 =>
imponeva ai cittadini l’obbligo di presentare una dichiarazione dei redditi annuale). De
Gasperi propose di introdurre una nuova legge elettorale in base alla quale, alla coalizione
che avesse ottenuto il 50% più uno dei voti, sarebbero andati i ⅔ dei seggi in Parlamento.
Si trattava di sostituire un sistema di votazione proporzionale con uno maggioritario. La
proposta di De Gasperi fu contestata e la DC fu accusata di voler indebolire la democrazia,
nonostante ciò la “legge truffa” fu approvata. Alle elezioni (7 giugno 1953) la coalizione di
governo ottenne solo il 49,85% dei voti e non poté avvantaggiarsi del premio di
maggioranza garantito dal meccanismo elettorale. La legge fu abrogata l’anno successivo e
De Gasperi uscì dalla scena politica.

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