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Analisi sociologica del Welfare State e delle sue trasformazioni

Le forme pubbliche di assistenza sono sempre esistite lungo il corso della storia umana, basti
pensare alla società greca e a quella romana, ma gli interventi assistenziali e sanitari cominciano a
presentarsi con sistematicità grazie alla modernizzazione da parte dei sovrani negli Stati moderni e
al superamento dei rapporti di produzione corporativi.
Ciò avviene a partire dal pensiero di Hobbes e Rousseau riguardo la disuguaglianza sociale, vista
come prodotto storico-politico: tale pensiero fa affermare l'idea di diritto del cittadino a ricevere
assistenza e cure gratuite (mentre precedentemente si trattava di suppliche da parte del povero).
Già a partire dal 1748, con la pubblicazione dello scritto "Lo spirito delle leggi" di Montesquieu, in
cui si trova l'enunciazione che tutti i cittadini hanno diritto di ricevere dallo Stato assistenza e cure,
nasce tale idea. A partire da tale pensiero nascono diversi movimenti -specie con la rivoluzione
francese- per sollecitare chi è al potere a compiere delle trasformazioni delle istituzioni per far
nascere lo Stato assistenziale.
Nasce così lo Stato nazionale assistenziale: tutto inizia però in risposta ai problemi che, a partire
dal Medioevo, accompagnano la nascita delle economie precapitalistica (le forme di produzione
precedenti al capitalismo) e paleocapitalistica (la fase arcaica del capitalismo: rivoluzione
industriale e prime lotte sociali). Tali problemi riguardano le distruzioni provocate dalle numerose
guerre e la dissoluzione degli eserciti mercenari che causano delle crisi economiche a causa delle
quali molte famiglie vengono espulse dalle campagne e molti lavoranti vengono licenziati dalle
strutture produttive artigiane. Ciò causa povertà e disoccupazione e molte famiglie finiscono per
strada, molti diventano straccioni, mendicanti, delinquenti.
Non si trattava solo di un problema per coloro che avevano perso tutto e che si trovavano in
pessime condizioni, ma anche per l'ordine pubblico. Una delle motivazioni per far nascere lo Stato
assistenziale era quindi quella di togliere i poveri dalla strada.
Ma vi erano altre motivazioni: sia i Sovrani che la nascente classe borghese volevano togliere i
privilegi alla Chiesa, alle aristocrazie locali e alle corporazioni dei rapporti di produzione. Per tali
motivazioni si evince che lo Stato assistenziale nasce come strumento politico di controllo sociale.
Infatti, durante il Medioevo l'assistenza ai poveri e agli infermi era compito della Chiesa, in forma
localistica, attraverso istituzioni religiose che pagavano l'assistenza e le cure tramite il ricavato
delle imposte locali.
Dal momento in cui avvengono le migrazioni di famiglie contadine in cerca di fortuna nelle
metropoli (poi divenuti poveri e mendicanti), tale sistema viene scosso e turbato. Nascono così a
opera dei sovrani le prime "leggi assistenziali nazionali" in forma centralistica: in Gran Bretagna le
work-houses, in Francia, Germania e altri Stati gli ospedali generali, i lazzaretti ecc... ovvero delle
forme di assistenza che non andavano a favore dei poveri ma che erano utili solo per strapparli
dalla strada.
A partire dal secolo dell'Illuminismo, e più precisamente dalla seconda metà del Settecento, vi è
un'inclinazione a contrastare l'istituzionalizzazione degli emarginati sia nella forma localistica del
Medioevo che in quella centralistica introdotta dai sovrani. Nasce così la lotta per desegregare i
poveri e gli infermi che erano stati ricoverati in fondazioni ospedaliere, di ricovero o in altre opere
pie dirette dalla Chiesa. Si voleva trasformare in capitali privati tali istituzioni per toglierle alla
Chiesa e alle corporazioni e promuovere assistenza e cure mediche non più per togliere i poveri\
infermi dalla strada ma per reinserirli in società e stimolarli alla ricerca di un lavoro. Per far ciò era
necessario quindi nazionalizzare le cure mediche e individualizzare le diagnosi: queste sono le
premesse ideologiche per la nascita del Welfare State.
La rivoluzione francese esprime tali ideali di individualizzazione e nazionalizzazione in un
programma di intenzioni dell'assemblea nazionale, sebbene tali intenzioni non abbiano avuto
effetti per via delle successive guerre. La dichiarazione afferma:
1. Dato che l'assistenza è nazionale gli ospedali e ogni altra istituzione per i poveri devono essere
venduti alla nazione;
2. La società deve provvedere al mantenimento dei cittadini indigenti nel loro domicilio, o
procurandogli un’occupazione o, se inabili a lavorare, procurandogli i mezzi di sostentamento;
3. La cura medica è assicurata da un medico con licenza;
4. I genitori che non possono mantenere i figli devono ricevere un aiuto pubblico dalla Nazione.
Sebbene la nazionalizzazione delle opere pie e delle istituzioni corporative, religiose e private di
assistenza sia iniziata ideologicamente durante la rivoluzione francese, essa divenne realtà solo nel
secolo successivo con le leggi eversive della feudalità (1806\1808), con le quali viene abolita la
feudalità nel regno di Napoli. Successivamente, nel 1811, Napoleone I istituisce l'Assistenza
Pubblica, dipendente dal Ministero degli Interni, come unico centro erogatore di interventi a
livello nazionale.
Tocqueville, visconte e filosofo, intuisce la centralità dello stato assistenziale come modo di essere
dello Stato del post-rivoluzione francese. Egli afferma infatti che se prima le istituzioni erano nelle
mani della Chiesa e delle corporazioni e poi governate dal sovrano, dopo la Rivoluzione esse sono
controllate esclusivamente dallo Stato, accusato di "dispotismo amministrativo". Tocqueville poi
contrappone a ciò la via dell'associazionismo libero di semplici cittadini: nascono solo a partire da
metà 800 le società di mutuo soccorso, che senza finalità di lucro offrono prestazioni e assistenza
nei casi di bisogno.
Se con la rivoluzione francese era stata eliminata l'idea di carità e introdotta l'idea di diritto del
cittadino, con l'espandersi dei rapporti di lavoro capitalistici si afferma il principio di diritto del
lavoratore al salario minimo di sussistenza.
Per tutta la fase paleocapitalistica e capitalistica lo Stato assistenziale è però scosso da una
contraddizione:
-Si deve intervenire con l'assistenza per ridurre i pericoli (masse di poveri, malati) che ostacolano
l'ordine pubblico e la pace sociale;
-Lo stato non poteva assicurare l'assistenza a tutti perchè ciò riduceva la propensione al lavoro,
causando maggiore disoccupazione (es: Daniel Defoe aveva affermato che se i poveri venivano
aiutati essi non avrebbero lavorato in cambio di un salario).
Inizia allora, dalla seconda metà dell'800 il passaggio dallo Stato assistenziale allo Stato
previdenziale: il primo tentativo avviene in Germania a fine 800. In Germania la modernizzazione
non era stata guidata dalla borghesia ma da una monarchia militare. È in particolare nella
Germania di Bismark che escono le prime leggi di assicurazione obbligatorie contro le malattie,
contro gli infortuni sul lavoro e per l'assicurazione della vecchiaia e dell'invalidità. Bismark si
dovette schierare con il Centro (cattolico-popolare) per approvare tali leggi e per avere consenso
elettorale dagli operai. La Germania di Bismark però continuò a tenere il pugno di ferro ed essere
autoritaria, tanto che contemporaneamente a tali leggi nacquero i divieti di associazione, riunione
e stampa socialiste. Tale modello, detto modello Bismark o modello di assicurazione sociale
obbligatoria è un modello sanitario fondato sull'esistenza di assicurazioni sociali finanziate dai
contributi dei lavoratori.
Le crisi del capitalismo, la grande depressione economica a fine 800, la grande crisi del 29, le due
guerre mondiali hanno poi accelerato la diffusione del welfare state nel Mondo, poiché avevano
sconvolto tutta la società. Vi sono comunque notevoli differenze tra gli stati industriali non solo in
percentuale di spesa pubblica per il welfare, ma anche nei tempi di adozione.

La seconda grande innovazione avviene nella Gran Bretagna di Lord Beveridge: società libera,
capitalismo, riformismi e socialismi possono coesistere ma a patto che lo Stato assicuri i mezzi per
vivere a tutti allo stesso modo. Nasce così l’universalismo, che garantisce diritti eguali per tutti e
quindi una riduzione delle discriminazioni. Infatti, la povertà in tal modo viene vista non più come
condizione assoluta (da cui non si può uscire), ma come condizione relativa (il povero si sente
uguale agli altri e non inferiore socialmente e cerca di sollevarsi da tale condizione). Il modello
beveridgiano è poi stato perfezionato come un sistema duale nell’allocazione delle risorse: il
mercato e lo Stato (è correlato allo sviluppo economico). Stato e cittadini infatti stringono una
sorta di patto cooperativo: il primo offre, con forza di diritti, protezione contro i bisogni e
possibilità di vivere; i secondi contribuiscono economicamente al finanziamento (solo se ne hanno
la possibilità).
Nei paesi più ricchi vi è ora un’ambivalenza di valori da far crescere insieme: meritocratici e
solidaristici. Da tali valori scaturisce l’ambivalenza tra individualismo (si ha un’assicurazione
privata: se si paga si hanno dei benefici) e collettivismo (i politici che promettono prestazioni in
cambio di consenso elettorale). Infatti il sussidio base per la sussistenza viene garantito a tutti per
la copertura dei bisogni primari (valori solidaristici, collettivismo) ma, dato che le classi sociali sono
differenti per disponibilità e capacità di spesa e ogni individuo è libero di raggiungere un tenore di
vita più elevato della semplice sussistenza, lo Stato deve lasciare il dovuto spazio alle assicurazioni
volontarie, in grado di aumentare il tenore di vita base, non soffocando la iniziativa individuale
(valori meritocratici, individualismo).
A tale modello erano collegate due aspettative:
1. Dato che il piano non prevede la prova dei mezzi si pensava che la diminuzione degli
impiegati pubblici per i controlli avrebbe compensato l’aumento del personale per le
prestazioni dirette;
2. Che le grandi spese pubbliche per il Welfare avrebbero stabilizzato o aumentato lo sviluppo
economico (più si spende più si combatte la povertà).
Oltre al modello beveridgiano vi è l’esistenza di vie oblique, basti pensare ai provvedimenti
legislativi ed esecutivi italiani della seconda metà del 900, che hanno significato il mutamento da
Stato assistenziale e previdenziale ad uno Stato che si fa carico dei bisogni essenziali dei cittadini
senza guardare alla loro capacità di contribuire. Gli effetti di tali provvedimenti, nonostante non
fossero preceduti da un disegno organico, non sfigurano rispetto ad altre nazioni industriali. Si
tratta della via italiana verso la sicurezza sociale, anche se in forma disorganica, che separa i
contributi dei lavoratori dal diritto a una pensione per invalidità o vecchiaia, che usa il denaro
pubblico per le gestioni previdenziali e assicurative per i lavoratori autonomi, che istituisce
pensioni per le casalinghe con il contributo statale, e che con la cassa integrazione assicura
guadagni ai lavoratori a carico dello stato per i periodi di non lavoro.
Il sistema duale si esprime in modo diverso a seconda che ci si orienti verso le nuove o le vecchie
generazioni, verso il polo dell’individualismo o degli uguali diritti (a seconda che facciano sentire
maggiormente il loro peso le classi medie o operaie) o se ci si trova in una fase di espansione
accumulativa o di ristagno.
In Italia tale dualità si è manifestata anche nel campo delle cure mediche e della scuola. Vi è però
una tendenza nel nostro Paese alla privatizzazione dei consumi sociali: si va da medici privati,
scuole private ecc… poiché si pensa che la copertura e la protezione pubblica siano un minimo
garantito ma non sufficiente.

La crisi del Welfare


Tale modello degli equal rights in Europa occidentale ha cominciato a dare segni di crisi nella
seconda metà degli anni 60, dopo un decennio in cui si riuscì ad ottenere un certo grado di
perequazione (distribuzione in base a criteri di equità). Tale tendenza cominciò a rovesciarsi in
Gran Bretagna a partire dal 1967-1968 con i primi sintomi di instabilità e a manifestarsi e
generalizzarsi con effetti anche di instabilità politica negli anni 70: si dovevano sostenere crescenti
costi e quindi i contribuenti dovevano pagare crescenti tasse, non andava bene il regime dei
controlli sulla privacy ecc…
Un’ondata neoliberistica aveva infatti proposto la selettività contro l’universalismo nell’erogazione
di beni e servizi o l’amministrazione indiretta attraverso la distribuzione del reddito minimo a tutti
sufficiente alla vita, ma con la libertà di scegliere cosa acquistare o di quali beni e servizi usufruire
(in base a ciò che si può\vuole), invece della produzione pubblica di servizi.
In realtà anche in pieno universalismo alcuni beni e servizi erano rimasti selettivi (subordinati
all’accertamento dello stato di indigenza), ma ora si voleva proporre la selettività anche per i beni
e servizi pubblici centrali.
Grazie alla resistenza politica tali ideali neoliberistici sono stati sconfitti ma il modello beveridgiano
ha comunque subito duri colpi a causa della crisi economica: è diminuita la qualità dei servizi
pubblici, è stata introdotta la selettività di pensioni in base agli stipendi.
La disuguaglianza sociale non era diminuita, malgrado le spese pubbliche per gli equal rights. In tal
proposito vi sono due pensieri di studiosi:
 I critici del modello: la maggior parte della spesa pubblica era servita per espandere le
retribuzioni e le occupazioni dei ceti medi e non per aiutare gli indigenti mediante una
distribuzione equa.
 I sostenitori: l’equità delle distribuzioni era stata neutralizzata dalle persistenti
sperequazioni tra classi e ceti.
Le due posizioni possono coesistere.
La spesa pubblica del Welfare, che continuava a crescere, è dunque diventata una componente
interna della spinta inflattiva nei periodi di crisi. I governi europei hanno avallato tale fonte di
squilibrio poiché ripagavano la popolazione con beni e servizi per il loro consenso politico, invece
di indurla alla partecipazione attiva.
Invece, per avere effetti concreti in una società che vuole crescere economicamente ciò che è
stato aggiunto alle spese pubbliche deve in un secondo momento essere sottratto, e viceversa. Vi è
infatti un rapporto contraddittorio tra l’espansione delle spese per la sicurezza sociale e lo sviluppo
economico in quanto:
1. Più accrescono il tenore di vita, lo sviluppo economico e le opportunità occupazionali, più si
ha fiducia nella meritocrazia;
2. Maggiore è il benessere, maggiore diviene la propensione dei cittadini a ricorrere al
mercato per ottenere benefici;
3. Più aumenta il benessere e più aumenta la distanza sociale tra borghesia\ceti medi e strati
più poveri e a sua volta maggiore è l’aumento di stereotipi sul povero, considerato “pigro”,
e sul Welfare, considerato uno stimolo alla dipendenza passiva del povero dall’assistenza;
4. Più crescono le spese per l’assistenza, maggiori sono le tasse da pagare, maggiore sarà
allora l’ostilità da parte dei ceti medi verso le forme di assistenza;
Il dualismo di valori, allora, viene messo in discussione poiché tali valori sono difficili da conciliare.
Vi sono però possibili tendenze di mutamento di tale sistema duale: tale trasformazione può
essere indotta dalle spese eccessive per il Welfare rispetto al prodotto nazionale lordo oppure
dall’insorgere di contestazioni politiche o ancora da una domanda di un modello diverso poiché
quello attuale non soddisfa più i bisogni.
Vi sono comunque due approcci su cui insistere per la trasformazione del modello:
1. Una nuova domanda che riguardi la globalità dei problemi della sicurezza sociale (provocati
dai guasti prodotti dall’industrializzazione e dalla globalizzazione, ma anche dai nuovi valori
individualistici e meritocratici), che richiede risposte di tipo sistemico;
2. Una riduzione dei rapporti asimmetrici tra gestori e destinatari dei beni, una maggiore
partecipazione e autogestione.
Vi erano a fine 900 tre tendenze da poter seguire per uscire dalla crisi del dualismo:
1. Attuare delle riforme che non risolvano la crisi ma che risolvano l’inflazione causata dalle
spese per il welfare mediante la riduzione delle spese pubbliche destinate ai consumi
sociali. Ciò si può attuare con maggiore selettività ma a favore dei meno abbienti.
2. Ridurre i redditi discrezionali (soldi che restano dopo aver pagato le imposte) delle famiglie
più abbienti. Serve per restringere le diseguaglianze nella divisione del lavoro e dei debiti e
avviene tramite central controls pubblici.
3. Promozione di stili di vita in cui si riduca l’importanza del mercato ma a differenza del
modello precedente viene affidato a movimenti collettivi e non a modelli di central
controls.

Nello scenario italiano è difficile pensare al modello beveridgiano o anche solo a quello del
socialismo meritocratico poiché vi è una stratificazione sociale (la posizione che ciascun
individuo occupa in una società, data da un criterio) che divide la popolazione in tre caste:
 Chi vive di rendita: chi vive grazie a un’eredità o un bene posseduto che si fa fruttare e
che di conseguenza crea guadagno;
 Chi vive di profitto: chi vive grazie al risultato di un investimento;
 Chi vive di lavoro autonomo (chi lavora autonomamente, senza dipendenti, in ambito
residuale o innovativo) o di pubblico impiego (dipendente dello Stato).
Diviene ancor più difficile ottenere tale modello di Welfare a causa del sopravvenire di vari
mutamenti, quali:
1. La diffusione dei mezzi di comunicazione di massa che mettono in rilievo le diseguaglianze
e pubblicizzano nuovi bisogni;
2. La dipendenza dei mercati nazionali da quelli mondiali, data dalla globalizzazione e quindi
la crescente disuguaglianza nella distribuzione del lavoro;
3. L’insufficienza dello Stato nell’accogliere le crescenti domande;

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