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CILE: TRA SPERANZE E SFIDE

L’11 marzo si è insediato alla presidenza Gabriel Boric, eletto il 19 dicembre per l’alleanza di sinistra
Approvo dignità (imperniata su Fronte ampio e Partito comunista del Cile) sconfiggendo il candidato di
estrema destra José Antonio Kast.
L’ascesa ai vertici dello Stato del trentaseienne ex leader del movimento studentesco ha le proprie radici
nelle proteste popolari esplose nel 2019 contro il modello neoliberista, sopravvissuto al regime militare e
simboleggiato dalla Costituzione del 1980, ora destinata a lasciare il posto a quella in corso di redazione da
parte della Convenzione costituente eletta nel 2020. Di quel conflitto Boric ha interpretato il desiderio di
giustizia sociale (in un paese in cui l’1 per cemto più ricco concentra il 26 per cento dei beni, mentre la metà
più povera ne detiene solo il 2) e, almeno in parte, i nuovi soggetti sociali emersi nelle mobilitazioni
femministe ed ecologiste, dei popoli indigeni e delle minoranze sessuali, le quali hanno rotto il bipolarismo
tra la destra e la Concertazione tra democristiani e socialisti che aveva caratterizzato il Cile dalla fine della
dittatura del generale Augusto Pinochet (1973-1989).
Ciò si riflette prima di tutto nella composizione del nuovo governo, formato da quattrodici donne e dieci
uomini, tra cui una dozzina tra indipendenti, socialisti, liberali e radicali, dove spiccano l’affidamento del
ministero della Difesa a Maya Fernandez Allende, nipote di Salvador Allende, o di quello dello Sport all’ex
calciatrice lesbica Alexandra Benado, ma sono evidenti anche gli sforzi per rassicurare i mercati e l’impresa
privata, come la scelta dell’attuale presidente della Banca centrale, Mario Marcel, per guidare il ministero
delle Finanze. Il gabinetto, comunque, mostra il protagonismo della generazione emersa dalle lotte
studentesche dell’ultimo decennio, da cui provengono, oltre allo stesso Boric, il ministro segretario generale
della presidenza, Giorgio Jackson, e la ministra segretaria generale di governo, Camila Vallejo.

Un programma ambizioso
Anche il programma, di taglio socialdemocratico e ecologista, del nuovo esecutivo cerca di raccogliere
alcune domande popolari, in particolare prevedendo la costruzione di un welfare State di stampo europeo
attraverso una riforma della sanità che permetta l’accesso universale alle cure, una rifondazione del sistema
previdenziale che, essendo basato sul risparmio individuale, garantisce pensioni misere, e il rilancio
dell’istruzione pubblica, a basso costo e di qualità. Per finanziarlo si punta a una riforma fiscale che aumenti
le tasse per i ricchi e per le grandi imprese, nonché sull’incremento delle royalties applicate alle compagnie
transnazionali del settore minerario. Parallelamente il governo intende perseguire la completa
decarbonizzazione del Cile per contenere il cambiamento climatico, manifestatosi nell’ultimo decennio con
una prolungata siccità che ha lasciato un milione e mezzo di cileni senza acqua potabile.
A ciò si aggiugono almeno altre tre questioni di grande rilevanza. Prima di tutto l’inerzia del governo uscente
di Sebastian Piñera di fronte alla pressione migratoria nel nord del paese, causata soprattutto dalla crisi
economica e sociale che negli ultimi anni ha spinto milioni di venezuelani ad abbandonare il proprio paese,
ha costretto decine di migliaia di emigrati nella precarietà e lasciato campo libero alla criminalità
organizzata, provocando manifestazioni di protesta da parte della popolazione locale, non prive di tratti
xenofobi. Boric ha spiegato che “una crisi così grande non può ricadere su un solo paese o su un piccolo
gruppo di paesi. Dobbiamo pensare a un sistema di solidarietà latinoamericana”. In secondo luogo la brutale
repressione delle proteste del 2019, costate 34 morti, 3.500 feriti - di cui 500 con perdita totale o parziale
della vista - e 9.000 arresti, con un corollario di stupri e violenze nelle caserme, ha rivelato quanto sia
urgente la democratizzazione della polizia, dei carabinieri e delle Forze armate, peraltro coinvolte anche in
scandali di corruzione. Molti prigionieri politici rimangono, infatti, in attesa di processo e i feriti non hanno
ricevuto un risarcimento, mentre i responsabili in uniforme delle violenze sono rimasti impuniti. Appena
insediato Boric ha ritirato le 139 denunce ai sensi della Legge sulla sicurezza dello Stato contro i
manifestanti detenuti e promesso di creare un comitato di riparazione per le vittime.
Ma la polveriera più esplosiva si trova in Araucanía, nel sud del paese, dove resta aperto il conflitto attorno
al riconoscimento dei diritti del popolo mapuche e del carattere plurinazionale del paese. Finora la risposta
dello Stato cileno è stata la militarizzazione della regione e la repressione dei leader nativi, nel quadro della
difesa della attività delle grandi compagnie forestali transnazionali operanti nella zona, rifiutando qualunque
dialogo con le organizzazioni indigene, un settore delle quali ha iniziato forme di resistenza violenta. Il
nuovo governo promette di non rinnovare lo Stato di emergenza, ma per avviare un negoziato che permetta
di superare la negazione storica dell’identità dei mapuche dovrà vincere l’opposizione della destra politica ed
economica, che vede in tale riconoscimento la messa in discussione dell’unità nazionale.

Equilibri parlamentari e Costituente


L’attuazione del programma comunque si scontra prima di tutto col fatto che il governo non può contare su
una maggioranza in Parlamento, e se alla Camera potrebbe ottenere il voto di democristiani e indipendenti,
questi non basterebbero al Senato. Le forze progressiste sperano perciò che le organizzazioni della società
civile – come le assemblee di quartiere, organismi come No+ Afp, che rivendica pensioni per i lavoratori
precari, o il Movimento di difesa dell’acqua, della terra e dell’ambiente (Modatima) - "accompagnino le
trasformazioni", facendo pressione sui settori conservatori.
In ogni caso, l’affermazione di Boric secondo cui "il Cile è stato la culla del neoliberismo (con i Chicago
Boys durante la dittatura di Pinochet – ndr) e sarà la sua tomba" troverà conferma o smentita soprattutto nella
nuova Magna Carta che uscirà in luglio dalla Convenzione costituzionale e sarà poi sottoposta a referendum.
Come ha ammesso Giorgio Jackson, "sarà difficile attuare aspetti del nostro programma di governo senza un
cambiamento costituzionale" e ha fatto un esempio: "Senza un cambiamento costituzionale, la riforma
sanitaria e la riforma dei diritti sessuali e riproduttivi corrono il rischio di essere considerate incostituzionali
secondo l'attuale Magna Carta”.
Finora l'approvazione generale nella Convenzione con grandi maggioranze (2/3 dei voti) di principi come il
pluralismo giuridico, la parità e l'attenzione al genere, la visione dello Stato come regionale, plurinazionale e
interculturale, ha messo fortemente in allarme l’élite nazionale perché segnerebbe la fine dello Stato
monoculturale, estrattivista, coloniale e neoliberista esplicitato nella Costituzione di Pinochet del 1980, ma le
cui radici risalgono all’indipendenza. Per questo l’oligarchia politica ed economica e i mass media
conservatori, denunciano la Convenzione come un organismo marxista, indigenista e separatista, che cerca
solo di dividere i cileni, di mettere fine all'uguaglianza davanti alla legge e di distruggere il paese.

Tensioni con una Chiesa cattolica screditata


Alla vigilia del suo insediamento Boric ha incontrato i rappresentanti di varie fedi religiose presenti nel paese
e in quell’occasione il cardinale Celestino Aós, arcivescovo di Santiago, gli ha garantito il rispetto e la
collaborazione, critica e costruttiva, della Chiesa cattolica “per costruire un paese più giusto, dove regni la
verità, l'onestà e il dialogo prevalga sulla violenza". Ma dopo aver partecipato nella catedrale metropolitana
alla tradizionale “Solenne preghiera ecumenica per il popolo del Cile”, che si svolge all’inizio di ogni
mandato presidenziale, Boric si è detto infastido per la presenza del card. Ricardo Ezzati, arcivescovo
emerito della capitale, accusandolo di aver “coperto gravi crimini contro i bambini”, a conferma di come la
vicenda degli abusi su minori da parte di membri del clero, insieme a una profonda secolarizzazione della
società, abbiano relegato la Chiesa a un ruolo minore nella società cilena.
Intanto, di fronte all’approvazione di una norma che introduce il diritto all’aborto da parte della Convenzione
costituzionale, la Conferenza episcopale ha fatto intravedere la possibilità di invitare per questo la
popolazione a respingere il progetto di nuova Costituzione nel referendum di ratifica.

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