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Un passo indietro

il capitale.
Due avanti
i lavoratori

Sconfiggere
limperialismo
per costruire
la pace

di Bruno Casati

di Hugo Chvez

Degli accadimenti dellestate uno balza in


evidenza, oltre il procedere della sporca
guerra in Iraq: New Orleans. Tragedia
ambientale certo ma, e soprattutto, tragedia sociale. Anzi, tragedia di classe e di
razza, perch luragano Katrina non ha
colpito alla cieca. No, stato consentito
che colpisse scientificamente quanti non
potevano scappare, ossia neri e poveri che
sono poi la stessa cosa nella ricca, cattolica, democratica America, culla della civilt Occidentale.
Se dopo ogni tragedia, come lultima terrificante dello tsunami asiatico, scatta
una solidariet, una coesione sociale tra
chi scampato, in Louisiana questo non
successo.
E esplosa la rabbia degli ultimi, sceso in
istrada quello che Jack London chiamava
il popolo degli abissi, deflagrata la ribellione dei lumpen.
Che, come sempre, si esaurisce in fiammate ma fa capire.
Fa capire che la protervia dellimperialismo ha due volti: luno rivolto verso lesterno quando si bombarda, si avvelena, si
tortura un popolo lontano; laltro rivolto
allinterno, dentro le mura stesse dellimpero ove si lascia morire e affamare il popolo vicino, il popolo degli esclusi. Eppure
v chi ancora insiste nel sostenere che
questo il modello e, da sudditi, bisogna
seguire sempre il capo branco siamo tutti
americani o no? sia quando va a Bagdad
sia quando abbandona New Orleans. Ma,
se proprio non si ciechi e sordi volontari, Bagdad e New Orleans ci forniscono
la chiave di lettura del mondo.

Intervento di Hugo Chvez Frias, Presidente


della Repubblica Bolivariana del Venezuela, allinaugurazione del 16 Festival Mondiale
della Giovent e degli Studenti (Caracas, 8
Agosto 2005)

segue a pag. 2

segue a pag. 9

sommario a pagina 3
Anno XIII - N. 4 Luglio/Agosto 2005 - 5 euro
Reg. Trib. Cremona n. 355 12.4.2000
Sped. A.P. D.L. 353/2003
(con. in L. 27/02/2004 n46) art. 1 c.1 DCB-CR

Sono passati 60 anni da quando, proprio


in questi giorni, si verificava il pi grande
atto terroristico che la storia ricordi, un
vero e proprio genocidio commesso dallimperialismo nordamericano: le bombe
atomiche su Hiroschima e Nagasaki.
Ricordiamo con dolore quei giorni e rendiamo un tributo alle vittime, condanniamo quellatto e lo segnaliamo come la
pi grande azione terroristica che la storia ricordi.
Oggi, 60 anni dopo: cos come su quei popoli esplosero le bombe atomiche per la
morte, qui, nella valle di Caracas, sta
esplodendo una bomba atomica per la
vita: la giovent del mondo qui. Noi
siamo con il mondo per salvarlo. Il mondo
dei nostri figli e dei discendenti di tutti
noi. Parlavo di una vera bomba atomica
per la vita. La giovent del mondo giunta
da ogni dove: dallacqua, dalla terra e dallaria, qui in questa Caracas, culla di uno
dei pi grandi uomini che siano apparsi
in questa terra: Simn Bolvar, il liberatore
di questa parte del mondo. Allerta, allerta, che cammina la spada di Bolivar
per lAmerica Latina, ed oltre lAmerica
Latina, per lintero continente. Anche negli Stati Uniti sta camminando la spada di
Bolivar, in Canada, nei Caraibi ed oltre.
15000 giovani sono gi giunti in Ve n ezuela, e continuano ad arrivare; mi infor-

Editoriale

Luglio Agosto 2005

segue B. Casati da pag. 1

PRIMARIE
E Q U E S T I O N E P R O G R A M M AT I C A

La nostra riflessione si va a circoscrivere. In Italia, infatti, si potrebbe


votare fra 200 giorni. Certo, al voto
politico, sarebbe meglio andarci subito per almeno dare un taglio netto
agli orrendi traffici emersi anche in
Agosto. Ma, prima o dopo, si render pur sempre necessario un successivo e non breve periodo utile per
porre rimedio alle tante malefatte
che, in 1600 giorni, questo Governo
ha gi allineato: portandoci in
guerra; stracciando la Costituzione;
mortificando lavoro e giustizia; moltiplicando le fortune del suo premier e quelle dei rentiers e dei palazzinari suoi grandi elettori. Questo
Governo in pratica ha fatto, in 1600
giorni, vera e propria lotta di classe,
saldando attorno a s un blocco sociale sugli interessi: quelli dei ricchi
e degli arricchiti. Bisogna fermarlo.
Rovesciarlo, cambiando per musica e musicanti, politica e politici.
Ora, mi domando se, tra quanti oggi
(alla buonora!) vogliono cacciarlo,
siano poi in maggioranza quelli che
pensano per davvero di cambiare
musica o, di converso, non siano di
pi quelli che, gattopardescamente, si accontenteranno dello
spoil system, ossia del solo ricambio dei musicanti, intesi come personale politico con folto codazzo di
consulenti e portaborse di complemento al traino. Questo nodo non
sciolto. Al bivio tra il cambiamento
delle politiche e il solo miglioramento di quelle in corso, lUnione
non ha ancora scelto la via da imboccare. N si annuncia questa
scelta con le primarie di ottobre.
Primarie invero bizzarre, in cui non
si corre per arrivare primi, ma per
arrivare secondi e ognuno che vi
partecipa lo fa per ritagliarsi uno
spazio nel Governo che sar. In verit Prodi ha un motivo in pi:
quello di liberarsi del competitore
Rutelli. Primarie inutili allora o,
anzi, dannose come sostiene anche
Giuseppe Chiarante nei suoi lucidi
articoli apparsi su il Manifesto?
Certo, sarebbero state utili, per sce-

gliere la strada a quel bivio, ben altre primarie: delle primarie programmatiche ad esempio. Ritengo
invece discutibili i due tempi come
anche appaiono nel libro intervista
di Fausto Bertinotti che dice: le primarie, eppoi una forma di consultazione sul programma. Comunque, a differenza di Chiarante, noi
a votare ci andremo, con un accorgimento per: si utilizzi questa campagna per discutere proprio del
che fare dopo aver cacciato Berlusconi, ammesso ci si riesca. Ma dobbiamo dire prima quel che faremo
dopo, provandoci subito a far collimare le nostre idee di cambiamento
con il sostegno dato alla candidatura di Fausto Bertinotti.
Votando per il Segretario di Rifondazione Comunista votiamo per un
progetto. Un desiderio di progetto.

UN

PA S S O I N D I E T R O R I C C H I

E A R R I C C H I T I , D U E PA S S I AVA N T I
L AV O R AT O R I E P E N S I O N AT I

Quale dovrebbe essere un progetto


della sinistra, perch, come dice
Tortorella su Liberazione del 30 agosto la sinistra senza progetto?
Innanzi tutto bisogna proporsi di
raccogliere un consenso di massa attorno a messaggi semplici e mobilitanti da spedire, non solo ad un sito
w.w.w, ma ai tanti che in questi anni
stanno stringendo la cinghia nellindifferenza di troppi. Cambiamo
lindirizzo. E questa la precondizione per costruire un consenso di
massa teso a costringere almeno ad
un passo indietro quanti hanno accumulato immensi capitali magari
senza muovere un dito se non per
cliccare sul mouse. E, quindi, un
passo indietro per finanzieri, scalatori, speculatori delle cartolarizzazioni (perch oggi si pu diventare
anche molto ricchi senza lavorare,
ma solo distruggendo ogni giorno
un po di lavoro e un po di stato sociale), ma anche un passo indietro
da imporre alle cavallette del liberismo, a quei post-industriali passati dal fare impresa alle bollette dei
servizi pubblici a cliente garantito

della luce, dellacqua, del gas, regalate loro dal Governo, questo e anche il precedente in verit. In cosa
consisterebbe il passo indietro?
Niente di rivoluzionario: si tratta di
far pagare loro le tasse, per almeno
invertire la tendenza in atto del trasferimento della tassazione dai redditi da capitale ai redditi da lavoro,
che oggi fa s che le tasse pagate dalle famiglie rappresentino ben il
43% delle entrate primarie dello
Stato, mentre quelle delle imprese
rappresentano solo il 6%. Questa inversione lunico mezzo, appunto
se imposto, che pu consentire facciano contemporaneamente due
passi avanti i lavoratori (perch oggi
si pu diventare molto poveri anche
lavorando molto), i pensionati, i
precari e disoccupati. E a tutti costoro, i nostri di una scomposta
classe operaia, che va inviato il messaggio, semplice semplice, di una
griglia di voglio che diventano appunto il progetto, il progetto dei bisogni e dei diritti: il lavoro certo e
deprecarizzato, il salario e la pensione rivalutati, la sanit assicurata,
cos come la casa e listruzione. Un
successivo programma di Governo
dovr solo estrarre, ma dicendo come e soprattutto quando, le cose
che del progetto si possono fare nel
campo del mandato. Un messaggio
semplice perci ma anche mobilitante, perch molti tra questi lavoratori, pensionati, precari, disoccupati (i veri soggetti dellalternativa
sociale insomma) non vanno pi
nemmeno a votare. Perch? Perch
hanno perso fiducia, non vedono
chi li rappresenta a tutela dei loro
concreti interessi, che sono in
quella griglia. Alle ultime elezioni
regionali si ricordi che il primo partito, con il 28,8% dei consensi,
stato proprio quello del non voto. E
chi non vota, lo ripeto, sono proprio
i nostri non certo i ricchi e gli arricchiti: costoro il loro partito ce lhanno e se lo votano, statene sicuri.
La nostra discussione, alla fin fine,
oggi dovrebbe ruotare attorno a un
solo quesito secco: Come tornare a
rappresentarli. Ma la discussione
che per ora non si fa.

Luglio Agosto 2005

BERLUSCONI VA
NON CI SIAMO

Editoriale

CACCIATO.
ANCORA

SUL CHE FARE DOPO

Dopo molte titubanze, in quella che


diventata lalleanza dellUnione
tutti sono arrivati ad essere daccordo nel dire che Berlusconi va
mandato a casa. Sul cosa fare dopo,
ammesso ci sia questo dopo, invece non ci siamo ancora. Bisogna
per arrivare: o ad un punto di sintesi su questo dopo, oppure convenire che la sintesi non praticabile e, quindi, lalleanza non pu
che essere solo elettorale. Non sono
per niente convinto, a tal proposito,
che nellUnione siano la maggioranza quelli pronti a sostenere quel
un passo indietro ricchi e arricchiti, due passi avanti lavoratori e
pensionati, che si qui posto posto
come precondizione. Sono altres
convinto che, di converso, non
siano affatto pochi quelli propensi
a sostenere una riedizione di quel
patto tra i produttori che Montezemolo oggi agita, senza nemmeno
proporsi (i nostri alleati) di avviarlo
un ragionamento sul cosa produrre, come e per chi o magari domandarsi dove siano oggi e in Italia
gli industriali produttori. Bisognerebbe appunto ragionare, perch
magari non cos come qui si sostiene, ma i tempi si fanno stretti.
Tutto il tempo per discutere, in verit, ce laveva Rifondazione ma, nel
suo ultimo Congresso, il Partito lha
sprecato ricercando lo scontro su
tuttaltri temi (le diverse culture politiche non dovrebbero mai andare
al voto in un congresso) che ha s
selezionato, e con non poche forzature, un nuovo gruppo dirigente,
non risultato oltretutto n ampio n
coeso, e che oggi alla prova dei fatti
brancola nella nebbia. Il Partito perci si presenta cos: imballato al centro dove, pur apparendo molto nei
media, trasmette poco in passioni e
valori; a disagio in periferia, dove latita la galvanizzazione che la contesa
dispiegata richiederebbe. Il doppio
limite percepito dallelettore che,
al voto (e il voto regionale avviene
due mesi dopo il Congresso lace-

rante), mentre premia tutte le forze


politiche che concorrono per sconfiggere le destre, lascia al palo il
PRC. Come mai? Forse, ma me lo
chiedo, il partito non ritenuto affidabile e non lo proprio da quei
soggetti deboli che dovrebbero essere la base di una forza comunista
e che si vedono invece inascoltati
dalla stessa? Oppure, ancora mi domando, lelettore non capisce quale
sia lidea che questa forza politica
ha di societ, sul terreno anche della laicit dello Stato e, non comprendendola, non capisce nemmeno la politica che ne discenderebbe.
In effetti, un giorno (lelettore) ci
vede aggrappati alla coda del cavallo che galoppa verso laltro mondo
possibile, il giorno dopo ci trova afferrati a quella del cavallo che trotta
verso il Governo. Converrete che
non la stessa corsa. I cavalli corrono, ma il Partito resta fermo. Forse si pu ancora ripartire, ma ci vuole tanta ma tanta modestia, merce
diventata rara, ed un obiettivo chiarissimo sul quale provare a ritrovarci tutti: quello di far coincidere
lidea alta e bella del riscatto dei deboli, con lidentit (ecco cosa venuta a mancare: lidentit) lidentit di un Partito che quella idea lassume per davvero e non solo tatticamente. Facessimo cos, forse
avremmo qualche titolo dei giornali
in meno ma sicuramente qualche
voto in pi. E sono i voti che contano non le interviste brillanti.
In ogni caso la corsa dinanzi a noi
difficile. Si pensi che sarebbe questa la prima volta dal 1947 che i comunisti si possono proporre (poi vedremo come andr) di entrare direttamente in un Governo del Paese. E se non era questa la questione
di cui un Congresso doveva discutere, fate un po voi!

NON

DIMENTICHIAMO N IL

LONTANO

47

N IL VICINO98

Non superfluo ricordare che i comunisti, sullo slancio della lotta di


Liberazione di cui furono i principali protagonisti, andarono al

SOMMARIO

16 Festival Mondiale della Giovent


e degli Studenti

13

F. Maringi

Il vero nemico la logica del noi e loro 15


don T. DellOlio

NO alle servit militari


SI alla pace e alla civilt

17

Intervista a Renato Soru a cura di Gianni Fresu

LEuropa e le scelte dellUnione

22

P. Di Siena

Stato dellUnione e questione morale

25

P. Folena

Dare unit e forza alla sinistra tutta

29

F. Ottaviano

A l t e rnativa: la centralit del programma

32

G. Grassi

Lavoro

35

P. Nerozzi - T. Rinaldini - M. Provera

Tra Giorello e Ratzinger, preferisco Marx 43


Intervista a Lidia Cirillo a cura di E. Borioni

Costituzione Europea: bocciata dai popoli


e assunta dalla sinistra?
49
L. Castellina

Unione Europea, la sua crisi e le sue radici 51


A. Catone

Lottavamo per la libert:


ci chiamavano terroristi

60

S. Ricaldone

Sulla questione violenza non violenza

64

G. Labica

Cina: sviluppo delle forze produttive


e processo di emancipazione

68

Intervista a D. Losurdo a cura di J. Q. Moraes

Internazionale

73
Partito della Sinistra Europea (F. Sorini)
- Iraq (G. Lannutti) - Iran (S. Cararo)
-Ritiro da Gaza (Samir Al Qariouti)
- Cina, Russia, India (G. Chiesa) - Cuba (A. Riccio)
- Parito comunista ungherese (Gyula Thurmer)

Recensioni

95

Luglio Agosto 2005

Editoriale

Governo, con Togliatti e Sullo


Ministri. Ne furono allontanati gi
nel 47, quando gli USA posero a De
Gasperi il famoso aut aut Se il PCI
resta al Governo non arrivano
allItalia gli aiuti del Piano
Marshall E i comunisti, che avevano salvato con enorme sacrificio
lonore del Paese, furono allontanati dal Governo del paese salvato.
Ma non solo i Ministri furono cacciati, lo furono in seguito anche gli
operai comunisti e socialisti nelle
grandi fabbriche, a partire dalla

Nel centro sinistra in molti


danno per scontata la vittoria
anzi, gli strateghi delle Direzioni
e delle Federazioni gi preparano
organigrammi di Governo,
affilano geometrie di collegio,
con i candidabili che cominciano
a spintonarsi. Non si preparano
invece i programmi

Fiat. E solo Berlusconi, il grande


mistificatore, che riesce a descrivere
unItalia diretta per mezzo secolo
dai comunisti, come fosse stato un
Paese del Patto di Varsavia! Solo 49
anni dopo i comunisti, questa volta
di Rifondazione perch nel frattempo era stato sciolto il PCI, arrivarono a sostenere, ma dallesterno,
un Governo. Lo si fece con la desistenza, perch nel frattempo era
cambiato anche il sistema elettorale. Quellintesa and in frantumi
dopo soli due anni, quando
Romano Prodi non volle correggere
in senso riformatore il corso liberista di quel Governo costringendo
Rifondazione ad una scelta obbligata, pagata con il prezzo salato
della scissione: il ritiro dellappoggio. Tuttora quella scelta ci viene

rinfacciata come un errore, anzi di


pi, come il peccato originale. Ma
fu un errore?E opportuno tornare
brevissimamente ad argomentare
perch, allora come ora, se assolutamente indispensabile essere in
prima fila nellintrapresa dello
sconfiggere le destre, altrettanto
indispensabile essere coscienti dei
problemi che, ora come allora, possono incontrare i comunisti, se al
Governo in un Paese fortemente incernierato nellalleanza atlantica
sotto il comando degli USA che,
della guerra preventiva e permanente, hanno fatto la loro linea di
condotta del presente e del futuro.
Nel 98 togliemmo appunto il sostegno ma quel successivo Governo,
senza Rifondazione (e senza pi
nemmeno Prodi): sostenne la
guerra nel Kossovo, acceler la campagna delle privatizzazioni, non
port al voto n la legge sul conflitto
di interessi n quella sulla democrazia sindacale pur avendone i numeri e, infine, con la Bicamerale riusc a rimettere in corsa un
Berlusconi, allora un cane morto,
che ringalluzzito, sullo slancio ricevuto rivinse le elezioni. Allora non
sbagliammo, certo non fummo capiti, ma altres chiaro che, oggi, un
programma sociale alternativo a
quello di Berlusconi non pu essere
la continuit del percorso che il
Governo DAlema pratic senza
Rifondazione. Deve invece apparire
quella svolta che allora non si impresse. E senza la quale si prepar
la sconfitta. Ma la svolta per ora non
appare. La sinistra senza progetto, ricordate? Appaiono invece,
queste s, polemicuzze tra i leder e
i leaderini. Brutto segno. E si va alle
primarie al buio. Pertanto oggi, per
le ragioni vecchie e quelle nuove,
non si deve dare per scontato n che
i comunisti nellalleanza di Governo non ci debbano essere, n che ci
debbano essere per forza. Dipende.
E non dobbiamo nemmeno dare
per scontato che Berlusconi abbia
gi perso. Dipende anche qui, ma
non va venduta la pelle dellorso. Ne
vedremo delle belle. Anzi con la
legge truffa le stiamo gi vedendo.

NON

VENDERE

L A P E L L E D E L L O R S O

Nel centro sinistra in molti danno


per scontata la vittoria anzi, gli strateghi delle Direzioni e delle
Federazioni gi preparano organigrammi di Governo, affilano geometrie di collegio, con i candidabili
che cominciano a spintonarsi. Non
si preparano invece i programmi,
quasi fosse scattata nellUnione una
coazione a ripetere errori del passato che si sta rappresentando, appunto, nella desistenza programmatica del presente. Ma, al voto,
vincer per davvero lUnione? Per
ora essa non prepara affatto la vittoria ma contempla passivamente i
segnali della sconfitta annunciata
della Casa delle Libert. Che ci sono
tutti: c il voto alle Regionali, una
debacle; c la transumanza dei volta gabbana che si gettano dalla
barca che affonda; c chi, pi raffinato, prospetta un terzo polo di centro, ora liberale ora neo democristiano ma, comunque, sempre offerto in vendita per il polo che vincer (sono tutti per lalternanza ma
guai a stare fermi un giro); ci sono
i poteri economico finanziari che,
da tempo, hanno disinvestito dal cavallo bolso delle destre, diventato
impresentabile sui mercati ma chiedono, Montezemolo lo grida, che
quello del centro-sinistra faccia la
stessa corsa del precedente a sostegno sempre di lor signori, magari
con pi benevolenza per limpresa
e meno per la rendita. C, da ultimo, il tentato broglio di una nuova
legge elettorale. Una vergogna. Gli
scricchiolii che annunciano il cedimento della Casa delle Libert, insomma, ci sono per davvero tutti,
ma l orso ben vivo. Lorso, che
un sovversivo, sa che si gioca la partita della vita. Dovesse perderla, accerchiato com da debiti e giudici,
potrebbe finire in ben altri luoghi
che non ad Arcore. E allora se la
gioca su due piani: si prova a rivincere le elezioni ma nel contempo,
prepara lalternativa per s dovesse
perderle. Si potrebbe, con qualche
banalit, fargli dire cos: se vinco

Luglio Agosto 2005

governo il Paese, se perdo me lo


compro. E sta gi operando in questa doppia direzione. Si guardi alloperazione gi chiusa sulla RAI,
svuotata come contenitore in favore
di Mediaset, ma con il diessino
Claudio Petruccioli diventato
Presidente della scatola vuota
(scambio politico o pessimo affare
per lemittente pubblica?). Si
guardi alla scalata lanciata al
Corriere della Sera, utilizzando ad
ariete un palazzinaro da gossip. Si
guardi agli assalti annunciati a
Telecom e a quella immensa cassaforte che sono le Assicurazioni
Generali, che si vuole aggiungere
alla controllata Mediolanum di
Fininvest, gi schierata in campo sui
fondi pensione integrativi che dovranno assorbire i TFR che il decreto Maroni si propone di liquidare. E partita la campagna dautunno di Berlusconi. Sono le sue primarie. Bisogna fermarlo. Dovrebbero gi fermarlo sia la Banca dItalia sia la politica, ma non lo fanno.
Anzi. La Banca dItalia, o almeno il
suo Presidente, viene colto nellatto
di offrire un equivoco sostegno alla
Banca dellamico di famiglia, banca
oltretutto senza patrimonio e sullorlo della bancarotta, e cos diventa impresentabile come garante.
E la politica, o almeno quella del
centro sinistra e del suo partito maggiore, nello stesso istante viene
colta, a sua volta, nel dare sostegno
diretto allamica Unipol nella scalata a una BNL, che quattro volte
pi grande ancorch indebolita
dalla privatizzazione. Siamo perci
alla guerra preventiva della spartizione dei poteri economico-finanziari e, in un grande Risiko, si mettono le mani sulle banche che, nella
crisi, sono i veri poteri forti, sono i
nuovi salotti buoni. Solo che cos si
va sul terreno preferito di
Berlusconi. E, sul suo terreno, nella
foresta nera dei mercanti, lorso si
muove a suo agio: sa mettere in riga
sia gli amici riottosi che gli avversari
tremebondi e ricattabili. E non gli
si risponde agitando pelosamente la
sola questione morale. Di ben altra
questione si tratta.

Editoriale

AL

BERLUSCONISMO DEL

DOPO BERLUSCONI BISOGNA


C O N T R A P P O R R E L A U T O N O M I A
DELLA POLITICA

Credo, a tal riguardo, abbia assolutamente ragione Paolo Sylos Labini


che, a fronte delle vicende affiorate
in Agosto, ritiene essere un grave errore quello del tenere separati economia, politica, morale. Questa fu
la divisione a compartimenti stagni
che, ieri, non consent di fermare il
tracollo argentino e che, oggi, non
ha consentito a Lula di cogliere quei
segnali di corruzione che avvenivano dentro il suo stesso partito e
dei quali deve chiedere scusa a tutto
il Brasile. Oltretutto, e in aggravante, il nostro il paese in cui il falso
in bilancio depenalizzato ed il conflitto di interessi non regolamentato. Ma c una differenza in pi
per lItalia perch, mentre altrove
redditieri e finanzieri coesistono
con gli industriali, in Italia gli industriali, perlomeno i grandi privati
(resta qualcosa nellindustria pubblica) sono in larga misura scomparsi. In Italia, e non sembri una battuta, non ci sono pi i capitalisti.
Verrebbe da rimpiangere Gianni
Agnelli ( questa invece lo ). In
Italia la grande borghesia infatti
passata dalla gomma ai telefoni,
come con Tronchetti Provera; dai
maglioni alle autostrade, come con
Benetton; dallinformatica al
Kilowatore come questo De Benedetti che, oltretutto, ha tentato settimane fa di fare societ direttamente con Berlusconi, con una
nuova Gepi che si proponeva di salvare la media impresa in un accordo
prima di tutto immorale. Nel vuoto,
quel che savanza uno strano capitalista: sono i Tanzi, i Ricucci, gli
Gnutti. Enrico Berlinguer li avrebbe chiamatii maneggioni. Sintesi:
non esistono perci i capitalisti
buoni con i quali fare i patti e, quelli
che esistono, non sono certo buoni
visto che riescono perfino a negare
la miseria di 130 ai metalmeccanici. Come non esistono capitalisti
cattivi dai quali stare alla larga.
Semplicemente non esistono i ca-

pitalisti (o almeno i grandi).


Esistono gli affaristi ed esiste, questo s, il rischio dellintreccio tra politica ed affari. E il rischio tanto
pi alto quanto pi la politica vola
bassa avendo (questa politica) abbandonato del tutto etica, valori ed
ideologie, s certo anche lideologia. In campo per ne resta una: lideologia del dio-mercato. Ma
quando, come ora, tutto diventa
pragmatismo e gestione senza cambiamento, sullo slancio di questa
ideologia (il pensiero unico) non si
ritorna al craxismo, si scivola oltre.
Con Craxi (e la DC) le grandi imprese che quei Governi favorivano,
poi foraggiavano i partiti al
Governo, e non solo. Fu appunto un

Nel vuoto, quel che savanza


uno strano capitalista:
sono i Tanzi, i Ricucci, gli Gnutti.
Enrico Berlinguer
li avrebbe chiamatii maneggioni

isolato Enrico Berlinguer a denunciarlo e non si dica che non fu capito dal suo Partito. Fu capito benissimo, ma lo Stato maggiore di
quel PCI con Unipol e Lega delle
Cooperative a sostegno, temeva
che, agitando la diversit comunista che era insita nella cosiddetta
questione morale, il partito andasse
fuori gioco dalla politica corrente e
perdesse laggancio con la modernit di cui Craxi era il portatore (secondo sempre quello Stato maggiore del tempo ma anche secondo
Fassino nel nostro tempo). Ma oggi,
ripeto, non corriamo il rischio del
craxismo, ma ancor peggio: si rischia lidentificazione del potere

Editoriale

economico con quello politico, si rischia una Repubblica che non contrasta il conflitto di interessi ma lo
assume, si rischia insomma il berlusconismo del dopo Berlusconi. Si
prepara un altro dopo rispetto a
quello sperato. Ma se le cose stanno
per davvero cos, due domande dobbiamo porcele, e senza troppi giri di
parole: non , prima domanda, che
la desistenza programmatica che incontriamo sia dovuta proprio al
fatto che non si voglia discutere proprio dellautonomia della politica

Partono le primarie e, insieme,


partono i congressi della CGIL
nei luoghi di lavoro.
Congressi che non possono
ridursi a dire che Berlusconi
va cacciato, ma che su almeno
due questioni il lavoro certo
e il salario sono chiamati
ad assumere decisioni importanti

ma, magari e solo, di una questione


morale che posta separatamente
pu andare bene anche a Berlusconi? E, seconda domanda, non
poi questo il tema, autonomia e contenuti della politica, che una sinistra
se di alternativa e i comunisti, se tali,
dovrebbero portare di slancio nella
discussione? Affrettiamoci se convinti, si fa tardi.

SALARIO E
L A CGIL
UNA MANO,

DEMOCRAZIA:
PU DARCI
LA

FIOM

DUE

Partono le primarie e, insieme, partono i congressi della CGIL nei luo-

ghi di lavoro. Congressi che non


possono ridursi a dire che
Berlusconi va cacciato, ma che su almeno due questioni il lavoro certo
e il salario - sono chiamati ad assumere decisioni importanti. La decisione pi giusta sarebbe lo sciopero
generale, vero, perch le due questioni incalzano e sono, in Italia, ben
3800 le aziende in crisi con 400.000
lavoratori a rischio solo nellindustria. Bisogna dare una risposta
forte. Inoltre, i precari senza diritti
sono diventati addirittura tre milioni dentro la torre di Babele dei
43 trattamenti di una Legge 30 non
ancora dispiegata (siamo solo al
peggioramento della Treu), e sono
5 milioni quelli (dati Ires) che nel
2004 hanno lavorato in nero. E ancora c in Italia una emergenza salario (cos Gianni Rinaldini allultima Festa dellErnesto). Infatti, se
15 anni fa il monte salari era il 50%
del Pil, oggi ridotto al 40% e quel
10% sottratto alle tasche dei lavoratori non si volatilizzato, ma si infilato nelle tasche dei famosi ricchi
ed arricchiti. E, infine, non c
paese in Europa in cui, secondo i
dati Eurostat, il salario sia rimasto
cos indietro (come in Italia) rispetto ai prezzi che sono andati cos
avanti, gi con leuro cambiato a
1000 lire e, da oggi, aumenteranno
ancora e particolarmente nei servizi
a seguito del costo del petrolio in
crescita. Da ultimo si allestisce la
Finanziaria e, con lanno prossimo,
si prepara lo scippo del TFR a favore
dei fondi pensione integrativi, dei
quali si vogliono impadronire le
banche degli scandali di Agosto (e
Mediolanum). Ci malgrado non si
rinnova nemmeno, con quelli di altri 6 milioni di lavoratori, il contratto dei metalmeccanici, vero
banco di prova di una politica di alternativa (cos Bertinotti il 24 agosto su Liberazione) anzi
Montezemolo, che pontifica su
tutto, chiede per la salvezza nazionale ovviamente, che siano superati
gli stessi contratti collettivi nazionali. E perci posta in discussione
la negoziazione e, con la negoziazione, la natura stessa del Sindacato.

Luglio Agosto 2005

Per disattivare il rischio indispensabile si affermino due condizioni:


labbandono della prassi concertativa, la prima, anche per la ragione
assai semplice che essa non ha difeso n loccupazione n il salario;
lingresso della democrazia in fabbrica, la seconda. Si ricordi solo che,
si fosse potuto votare nei luoghi di
lavoro, assai probabilmente la
Legge 30 non sarebbe stata introdotta nei contratti. Le due condizioni sono poi il senso delle due tesi
alternative sottoscritte, per il
Congresso, dai dirigenti della FIOM
e da altri dirigenti CGIL. E la FIOM
quel Sindacato che ha gi provato
ad anticipare queste tesi nei fatti
delle vertenze contrattuali, come
nella vertenza FIAT e nelle lotte di
Melfi, Terni e di Fincantieri. Anzi,
nel suo Congresso, la FIOM ha accompagnato questi fatti con un concetto forte: quello dellindipendenza che il Sindacato deve avere
nei confronti dei padroni, dei partiti e del governo, anche se amico.
E lindipendenza verrebbe meno
qualora con il Governo amico si dovesse recuperare quella concertazione disattivata con il Governo nemico. Una sinistra politica di alternativa, se essa stessa recupera la centralit del lavoro - il nostro candidato il lavoro si potrebbe dire - pu
trarre slancio dalla battaglia che sta
ingaggiando quella che, attorno appunto alle due tesi, si pu configurare come una nuova sinistra sindacale. Nuova perch quella di
Lavoro-Societ ha invertito per
davvero la propria rotta, non solo
aderendo alle tesi della maggioranza di Epifani, il che sbagliato
ma legittimo, ma contrattando preventivamente i posti per s, a prescindere dal Congresso e dai suoi
esiti. Cos le politiche sindacali potrebbero cambiare, ma nellinamovibilit di un ceto: brutto segnale.
C infine offerta la possibilit che,
con lampio consenso che va raccolto attorno alle due tesi, si possa
gettare un ponte tra quanti nelle
forze politiche si battono per lalternativa e quanti la stessa battaglia
la conducono nelle organizzazioni

Luglio Agosto 2005

Editoriale

Sindacali. Rifondazione e FIOM e


non solo la FIOM, specularmente
ed ognuna nella propria autonomia, avrebbero un gran bisogno di
questo ponte. Non ci pu essere
partito comunista senza un
Sindacato di riferimento. Non ci
pu essere un Sindacato, che lotta
e contratta, senza un Partito che
nelle istituzioni sappia anche rappresentarne le opzioni.

PER

U N A V E R A S V O LTA

BISOGNA RITORNARE
AL LUGLIO

92

M A P E R R I PA RT I R E
S U T U T TA LT R A S T R A D A

Ritorniamo al punto chiave domandandoci che cosa voglia dire, in


concreto, girare pagina rispetto a
Berlusconi. Vorrei essere chiarissimo: vuol dire almeno due cose.
Una ovvia: bisogna cambiare la
strada sin qui battuta da questo
Governo. Laltra, meno ovvia: bisogna cambiare anche la strada battuta dai precedenti Governi. Lalveo
strategico in cui si procede, sia con
il Governo Berlusconi che con il
Governo meno peggiore di
DAlema, stato infatti tracciato gi
nel 92 da Giuliano Amato. Il vero
manifesto del liberismo neanche
poi temperato. Allora ci si affid alla
svalutazione della lira, al fine di sostenere le esportazioni dei prodotti
a basso valore aggiunto e alto contenuto, olio di gomito della piccola e micro imprenditoria dei distretti. Venne cos drogato un
made in Italy apparente. A scapito
del definitivo abbandono della
grande industria, della ricerca e
della innovazione, con le aziende
pubbliche privatizzate pi per risarcire la diserzione industriale (
un paradosso o no?) che non per
fare cassa. E, ancora, a scapito del
raffreddamento indotto del sostegno alla domanda interna e, quindi,
al salario. Ed , in effetti, solo dellanno dopo (il famoso luglio 93)
laccordo sindacale della concertazione che liquid anche la scala mobile. Seguirono manovre finanzia-

rie di taglio alla spesa pubblica pesantissime. Quella scelta, lerrore di


quella scelta, oggi confligge per
con la moneta europea, unica e non
svalutabile, e con la liberalizzazione
dei mercati, che chiedono anche
allItalia di reggere ad una doppia
competizione: la competizione di
prezzo con i prodotti che arrivano
da Est, dove il distrettone Cina sta
spazzando via, non solo sul prezzo
ma anche sulla formazione e linnovazione, le nanoimprese locali
del lavoro povero; e la competizione di cambio con i prodotti dellarea di un dollaro tenuto surrettiziamente molto basso per facilitare
lesportazione in Europa del debito
USA, che addirittura pi alto, a valori attualizzati, anche di quello del
29. Francia e Germania invece, pur
premute dalla stessa morsa e pur
con molte, troppe, contraddizioni,
non ne escono sbriciolate, avendo
investito per tempo (a differenza
della cicala Amato e dei suoi successori pi o meno creativi) sullinnovazione di prodotto e di processo
di una grande industria che, appunto, francesi e tedeschi si sono
guardati bene dal privatizzare e dal
polverizzare, come invece si fatto
follemente in Italia. Avesse invece
mantenuto (lItalia) lOlivetti, lAnsaldo, la Nuovo Pignone, solo un
esempio, oggi saremmo almeno
nelle condizioni di tenuta di
Francia e Germania. Ma lItalia non
lha fatto, ha scelto quella strada e
lha cocciutamente mantenuta, ed
oggi il nostro ridotto a paese di
subfornitori piccoli e medi. Poche
le eccezioni. Se nel mondo, azzardo
cos la sintesi di questa parte della
riflessione, si ovunque alla crisi
organica del capitalismo nellera
del neoliberismo, in Italia a questa
crisi aggiungiamo il sovrappi, lo
spessore, di unanomalia strutturale
decisa nel passato. Ma non ravviso
ravvedimenti nel presente
lUnione tace, la Casa delle Libert
ovviamente anche - mentre diventa
indispensabile laltra strategia di
unaltra economia. Altrimenti cosa
sarebbe il cambiamento? Questo
cambiamento per ora non lo tro-

viamo, nemmeno nelle pallide dichiarazioni dintenti di quella cornice dei valori comuni che stata
chiamata il progetto dellUnione.
Ma quale progetto? Si procede ancora in quellalveo del 92. Sinistra
se ci sei batti un colpo!

LALTRA

ECONOMIA POSSIBILE

SE SORRETTA D A
U N A LT R A P O L I T I C A

E siamo al punto del programma.


Le cose da fare il primo giorno, che
vengono spesso elencate: via
dallIRAQ (priorit assoluta ma
oggi ci pu arrivare anche Bush),
abrogare le leggi vergogna, una
legge sulla democrazia sindacale ed
una su una nuova scala mobile (in
quanti la sosterrebbero?), il recupero della Costituzione antifascista.
Se ne discuta, ma si discuta anche
delle cose da fare il giorno dopo
(laltra strategia di unaltra economia). Non si tratta della stucchevole
diatriba sui paletti s o no, ma di come ricostruire dalle macerie.
Ne allineo cinque:
a) il ritorno della programmazione
democratica delleconomia, che
non lo statizzare ma almeno lavviare la ricomposizione della massa
critica della grande industria.
Nellenergia come nella cantieristica navale gi si pu fare. Non esiste poi un paese avanzato senza un
Campione nazionale. Parallelamente la mano pubblica deve entrare in quei settori che il privato
porta al fallimento: nellauto ad
esempio, dove le Regioni sedi di stabilimenti FIAT potrebbero entrare
nel capitale a fianco del convertendo delle banche. Anche per
rendere praticabile la scelta, oggi
ineludibile, dellaltra auto: non la
nuova Punto ma quella a idrogeno.
Se si pratica la via della programmazione va riscritto anche il ruolo
di Finmeccanica che pu essere lo
strumento privilegiato di un ritorno
a quella economia mista che anni
fa, troppi, fece le fortune del Paese.
b) E necessario, anzi urgente in
ogni caso, un impalcato di Leggi

Luglio Agosto 2005

Editoriale

che sappiano ostacolare sia le vendite di fabbriche italiane allestero,


che magari come in siderurgia sono
fabbriche privatizzate, sia lo spostamento oltralpe delle fabbriche di
cui si impadronito il capitale straniero. Le aziende straniere accorpano lontano mentre quelle italiane si smembrano vicino. Cos
come ci vogliono leggi che dicano
chiaro che il nuovo Governo agevoler s le imprese, ma solo quelle che
accetteranno la Responsabilit
Sociale di Impresa e assumeranno
manodopera a tempo indeterminato.
c) E indispensabile, anzi decisivo,
allestire una grande merchandbank nazionale in cui si riversino sia
gli utili delle residue grandi aziende
pubbliche (del resto sono le uniche
che oggi li fanno, come Eni ed Enel)
che i proventi della tassazione progressiva. Ununica grande banca
pubblica dello sviluppo che metta
fine al duello in corso tra i poli politici per ritornare al luglio 92 il riposizionamento finanziario, ora attorno ad Assicurazioni Generali,
ora attorno a BNL.
d) Come in Francia si lancino progetti decentrati, nel quadro della
programmazione: 240 progetti,
tanti quanti i 240 distretti che vanno
ripensati su questo obiettivo. A ogni
distretto un progetto, a partire da
quelli gi fattibili sui monopoli naturali non delocalizzabili: acqua,
energia elettrica e gas ma anche su
trasporti, casa, sanit, rifiuti. Settori
tutti sottratti, in qualche misura, sia
alla competizione di prezzo che a
quella di cambio. Ma anche lanciare
progetti su produzioni industriali,
lo stesso tessile da convertire, cos
come il legno, e anche lagroindustria, o la stessa agricoltura come il
caso pugliese recente richiede, e il
turismo da rivalorizzare come risorsa fondamentale. 240 progetti in
distretti per deprecarizzati. Maurizio Zipponi propone, per renderlo
dissuasivo per le imprese, che il lavoro precario venga fatto pagare il
doppio rispetto a quello a tempo indeterminato: buona idea. Sintesi:
distretti deprecarizzati delle produ-

zioni di qualit, e del salario di qualit con poli di formazione anche


universitaria a supporto.
e) Come in Germania e, infine, unificare tutte le competenze in un
unico Ministero dellEconomia e
del Lavoro.
Sono questi 5, e altri, gli elementi
dellaltra musica che va suonata durante le primarie. Riconducibili ad
una sola e grande idea forza: il piano
straordinario del lavoro certo, dei
diritti e della piena occupazione. Se
unidea come questa viene avanti,
vengono allo scoperto anche quei
manager capaci e onesti ma diffidenti della politica e, a ragione, nauseati dalla carica dei Tanzi, dei Gnutti, dei Ricucci e del compagno
Consorte. Se unidea come questa
viene avanti, chi oggi non ci vota, i
nostri, potrebbe ritornare a farlo.

PROPONIAMO

NOI

UN PROGRAMMA,
CHE NON UN ELENCO
MA ANCHE UN METODO

Se il programma dellUnione stenta


e se programma non quel documento dintenti sottoscritto dai segretari, ci sentiamo autorizzati a gettare nella discussione un contributo
ricco ed articolato delle cose che un
Governo, se vuole essere alternativo
e non solo migliorativo rispetto allattuale, dovrebbe fare ( nella controcopertina di questo numero de
lernesto troverete il progetto generale del nostro Documento).
Abbiamo coinvolto, nellintrapresa,
trovando un interesse fortissimo, un
insieme ampio di belle intelligenze soprattutto esterne a Rifondazione: politici, economisti, sindacalisti, giornalisti, intellettuali. Per
un progetto di radicale cambiamento di lungo periodo e non solo
una piattaformina di giornata per
cacciare oggi Berlusconi e poi si vedr. Poi si vedr cosa? Abbiamo provato a metterlo insieme gi ora il
cosa, e lo offriamo a Rifondazione
ed alle altre forze dellUnione,
come ai Sindacati, movimenti ed associazioni, ai lavoratori. Con pochi

cardini ma fondamentali: la pace, il


lavoro, lambiente, la Costituzione
repubblicana. E poi fare una grande
diffusione di questo elaborato. Un
solo piccolo grande esempio del
come un progetto pu essere spiegato attraverso un fatto. Vogliamo
far affermare il carattere antifascista
del progetto? Quale occasione migliore in questo finale danno, che
il 60 anniversario della Liberazione dItalia, che non quella di
avanzare tutti una candidatura a senatore a vita di un comandante partigiano. Giovanni Pesce senatore
della Repubblica fa capire prima
dove vogliamo andare dopo. Avanti
o popolo.

IL

PA RT I T O E L A C R I S I

D I R A P P R E S E N TA N Z A

Se si vogliono far procedere le cose


sin qui sostenute e ricostruire da
una coscienza degli interessi una
nuova coscienza di classe non c
che uno strumento: il Partito
Comunista. Non un contenitore indistinto ove tutto si diluisce nella gestione del presente senza valori ed
ideali, ma il Partito. Non escludo
che il Partito faccia parte di formazioni di sinistra di alternativa,
escludo che una coalizione strutturata di sinistra di alternativa mandi
in dissolvenza il Partito. Poi la vedo
la crisi dei partiti che tendono a diventare comitati elettorali, club, a
sostegno di un candidato. Molte le
cause. Ne estraggo una che risiede
nellattuale legge elettorale che favorisce il trasformismo e, con i collegi uninominali, stravolge le rappresentanze reali. Che la proposta
di ritorno al proporzionale, avanzata dalla Casa delle Libert, sia strumentale reso del tutto evidente dal
proposito di non computo dei voti
di quei partiti che non superano la
soglia del 4%. Ma dica per il
Centro sinistra se daccordo o
meno con un vero metodo proporzionale, magari corretto alla tedesca, che per lunica strada per riconsegnare un ruolo ai partiti.
E anche a Rifondazione Comunista.

Luglio Agosto 2005

Imperialismo/Socialismo

segue U. Chvez da pag. 1

mano che in questo momento, allo


scoccare della mezzanotte, stanno
arrivando delegazioni dal Guatemala, dal Centroamerica, dal Salvador, dal Nicaragua, e domani continueranno ad arrivare delegazioni.
Mi dicevano gli ambasciatori venezuelani, dalla Colombia, dal Brasile,
dai paesi dei Caraibi, che valanghe
di giovani si sono ritrovati nelle nostre ambasciate a chiedere informazioni su questo 16 Festival Mondiale della Giovent e degli Studenti che oggi stiamo inaugurando
in questa maniera splendida, nella
Caracas bolivariana, con questa allegria, con questo colore, con queste bandiere, con queste parole, con
questo amore, con questa passione,
con questa speranza, con questa
forza.
A coloro che mi chiedono se il festival verr trasmesso nei canali televisivi, desidero rispondere che abbiamo trasmesso il festival per quattro ore nella catena nazionale di radio e televisione, dalle 6 alle 9-10 di
sera. Poich questora non buona
per la catena nazionale (sono passate le undici di notte) stiamo trasmettendo in primo luogo per Canale 8, per Vive e per Telesur; stiamo
trasmettendo per tutto il mondo.
Ho detto al ministro Izarra che anche domani riproporremo questevento, nella catena televisiva nazionale, ad un ora serale, in modo che
tutto il popolo possa percepire limportanza di ci che sta avvenendo
in questa serata e in questa notte
dell8 di agosto, qui a Forte Tiuna,
di fronte allAvila , di fronte ai
Caraibi, qui dove comincia il Sudamerica, dove i Caraibi si fondono
con il fiume Orinoco e con la magia della selva Amazzonica, dove si
mescolano i Caraibi con le Ande;
qui in Venezuela, dove conflui-

scono tutti i percorsi, in questa porta caraibica, amazzonica, sudamericana, andina, integratrice. Da qui
voglio cominciare questintervento;
non lora adatta per un discorso,
sono gi sei ore che voi state sfilando. Hanno sfilato qui 1444 paesi
del mondo, delegazioni di 144
paesi, circa 15000 giovani dei cinque continenti. Voglio raccogliere il
sentimento del popolo di Simn
B o l i v a r, il sentimento di tutto il
Venezuela per dirvi, giovani di tutto
il mondo: benvenuti in Venezuela!
Benvenuti in questa patria che anche patria vostra, benvenuti in questa terra, ragazze e ragazzi di differenti organizzazioni sociali, di differenti organizzazioni politiche che
siete presenti qui. Miguel Maderia,
il nostro presidente, il presidente
della Federazione Mondiale della
Giovent e degli Studenti, ci ricordava che 60 anni fa nasceva questa
federazione, nasceva precisamente
in quei giorni, dopo le bombe di
Hiroschima e Nagasaki; nasceva nel
momento in cui finiva la Seconda
Guerra Mondiale. Osserviamo retrospettivamente, ragazze e ragazzi
del mondo, che cosa avvenuto in
questi 60 anni di storia mondiale, di
storia universale.
Non possiamo non ricordare, in
breve, quel grande avvenimento
storico che ha segnato il mondo e
lo sta ancora segnando e che avvenuto alla fine degli anni 40, vale
a dire la Rivoluzione Cinese, Mao
Tse- Tung, il Grande Timoniere, che
profuse nel mondo forza, coraggio
ed una grande speranza. Anche negli anni 50 vi furono molti eventi.
Tra le altre cose ma questo insignificante mi tocc di nascere, e
ci avvenne nel 1954. Ma soprattutto, qui in America Latina, esplose
la Rivoluzione cubana! Fidel Castro

e los barbutos dellHavana. Nasceva


una nuova storia, appariva il Che,
giovane per sempre, spinta ideale
per noi combattenti di questa terra
e del mondo intero. Grandi avvenimenti che stavano indicando una
strada, che stavano aprendo una via.
Negli anni 60, tra le altre cose, vi fu
la guerra del Vietnam, la Resistenza
eroica e la vittoria del popolo vietnamita. Gli anni 60 e gli anni 70
sono qui, di fronte a noi, per insegnarci che mai un impero stato e
mai sar invincibile, e che quelli che
sono davvero invincibili, quando
decidono di essere liberi, sono i popoli ! Anche gli anni 70 furono segnati da avvenimenti straordinari e
importanti.

Si sollev la speranza dal Cile


di Salvador Allende, dal popolo
cileno: e la speranza, Allende
e il popolo cileno furono poi
massacrati dallimperialismo
nordamericano

Si sollev la speranza dal Cile di


Salvador Allende, dal popolo cileno:
e la speranza, Allende e il popolo
cileno furono poi massacrati dallimperialismo nordamericano.
Poi si verific un vero e proprio terremoto planetario: la caduta dellUnione Sovietica, tra la fine degli anni
80 e linizio degli anni 90. Con essa
si ruppe lequilibrio geopolitico
mondiale; in quel vuoto crebbe smisuratamente laggressivit imperiali-

LAMBASCIATA DEL VENEZUELA ALLA REDAZIONE DE LERNESTO


LAmbasciata della Repubblica Bolivariana del Venezuela, complimentandosi per il lavoro che conduce la
Vostra prestigiosa Rivista, Vi ringrazia per la disponibilit a pubblicare il discorso dell otto agosto scorso a
Caracas del Presidente Hugo Chavez Frias, in occasione dell inaugurazione del 16 Festival Mondiale della
Giovent e degli Studenti e coglie loccasione per rinnovarVi i sensi della pi alta stima e considerazione.

Imperialismo/Socialismo

sta degli Stati Uniti dAmerica, che


sempre hanno preteso di dominare
il mondo. Da Caracas noi diciamo
loro che non saranno pi i padroni!
Lo saranno i popoli!
Anni 90: con la caduta dellUnione
Sovietica e del cosiddetto campo socialista, il capitalismo cant vittoria.
Fu cos, ragazze e ragazzi, che sorse
la tesi della fine della storia, la tesi
della fine dellevoluzione dellumanit, fu da qui che sorse la tesi della
globalizzazione neoliberista, una
maschera dietro la quale si nasconde lespansione imperialista, la
quale, secondo la corretta espressione del grande Vladimir Ilich
Ulinov, non altro che la fase suprema del capitalismo.

Aveva ragione Bolivar:


Gli Stati Uniti sembrano destinati
dalla Provvidenza a colmare
lAmerica di miserie
in nome della libert!

Sorse, quindi, la tesi del villaggio


globale, si spensero molte lotte,
morirono grandi speranze, furono
congelati molti progetti, molte battaglie, nacque il cosiddetto consenso di Washington e su di noi
giunse lassalto del neoliberismo,
del capitalismo, dellimperialismo.
Bisogna discutere, ragazzi, di cosa
furono quegli anni 90, incluso il
fatto che la parola capitalismo spar
praticamente da ogni scritto, spar
dal dizionario, come segno di questo vero e proprio congelamento
ideologico; il mondo entr in una
grande crisi morale, in una grande
crisi ideologica, in una terribile incertezza. Tuttavia non dovevano
passare molti anni affinch, come la
fenice, dal fondo della terra, dal

10

fondo dei fiumi, cominciassero a riaffiorare le combattenti ed i combattenti e, con loro, la corrente rivoluzionaria che oggi ripercorre di
nuovo il nostro pianeta e il cui destino non sar altro che crescere nei
giorni, nei mesi e negli anni a venire. Perch questo processo sta appena cominciando: c una nuova
alba nel mondo, e noi siamo parte
di questo meraviglioso risveglio dellidea della centralit assoluta dellessere umano, della giustizia, delluguaglianza, della pace, della lotta
contro la guerra e contro limperialismo, della lotta contro lo sfruttamento delluomo sulluomo; una
lotta antica, quanto lo stesso essere
umano.
Sicch, compagni e compagne,
compatrioti di questa grande patria,
sebbene i decenni 50, 60, 70, 80 e
90 furono molto duri e difficili,
colmi per un verso di grandi speranze e anche di grandi frustrazioni,
questo decennio in cui viviamo, il
primo del secolo XXI e il primo del
terzo millennio, il pi importante.
Esattamente a met di questo primo
decennio, nellagosto del 2005,
siamo giunti a concentrarci nella
Caracas bolivariana, in migliaia e
migliaia di giovani dal mondo intero, che hanno prodotto questo festival, il quale rappresenta molto
pi che un incontro di allegria, di
speranza e di giovent: esso rappresenta un meraviglioso scenario
per il dibattito delle idee, per la battaglia delle idee, per la costruzione
e la ricerca della strada verso altri
orizzonti.
Per questa ragione lasciate che vi
dica, ragazze e ragazzi, che noi e voi
siamo contemporaneamente di
fronte ad una sfida gigantesca, che
ci chiama a gran voce. Non si tratta
soltanto di lottare negli scenari ristretti di ogni paese o negli scenari
di ogni regione o continente per le
idee in cui crediamo, per il socialismo in cui crediamo, come lunica
strada necessaria per costruire un
mondo nuovo e differente: non si
tratta solo di questo. C qualcosa di
pi: si tratta , ragazze e ragazzi, di
salvare il mondo. La sfida che ab-

Luglio Agosto 2005

biamo davanti la salvezza del nostro pianeta, minacciato dalla voracit dellimperialismo nordamericano, che non rispetta confini.
Limperialismo Usa, limpero nordamericano il pi grande nella storia di tutti gli imperi. Non solo il
pi potente economicamente, tecnologicamente e militarmente, ma
anche il pi aggressivo, il pi selvaggio, il pi crudele ed il pi assassino che sia mai esistito nella storia del mondo. Desidero salutare, in
special modo, la presenza qui, nel
nostro festival, di questa numerosa
delegazione di giovani nordamericani, che hanno sfilato con i giovani
di tutto il mondo; desidero salutare
i ragazzi statunitensi. In loro riconosciamo i grandi combattenti che
questo popolo ha avuto, tra loro
Walt Whitman; in loro riconosciamo Martin Luther King, il martire
dei popoli. In loro riconosciamo
lintero popolo degli Stati Uniti,
dalla cui coscienza e dalla cui azione
dipender, in buona parte, la salvezza del pianeta. Perch un giorno
sgorgher dalle vene aperte di questo popolo lispirazione dei suoi migliori combattenti; un giorno il popolo degli Stati Uniti si unir ai popoli del mondo per salvare il pianeta
dallimperialismo, dalla guerra e
dalla distruzione.
Limpero romano non era ipocrita,
era impero, e come tale si considerava e si definiva; lattuale impero
statunitense invece, il Mister Morte, annuncia di combattere per la
democrazia ma, in realt, si scaglia
contro la democrazia stessa. Occorre forse ricordare come stata aggredita, nel secolo XX, la democrazia in America Latina, nel Cile di
Salvador Allende, nella Repubblica
Domenicana di Juan Bosch, il rivoluzionario socialista caraibico; il
Guatemala di Jacopo Arbenz; Grenada, Haiti e Panama ? Tutta lAmerica ha patito la baionetta e lassalto
feroce dellimperialismo nordamericano in questi cento anni.
Aveva ragione Bolivar, ragazzi, aveva
ragione Simon Bolivar, quando dallalto di queste stesse terre ( prestate
attenzione alla data che vi richiamo:

Luglio Agosto 2005

appena il 1826, appena il 1826 ! )


lanci quella che possiamo definire
una profezia : Gli Stati Uniti sembrano destinati dalla Provvidenza
a colmare lAmerica di miserie in
nome della libert!. E lo disse con
la sua capacit dinterpretare il
senso della storia e progettare il futuro; lo disse lottando, assieme ad altri liberatori e combattenti, come
Jos de San Mart, Jos Gervasio
Artigas, Antonio Nario, Jos
Ignacio, Abreu e Lima, Antonio Jos
de Sucre, Manuela Senz, la liberatrice del liberatore, e molti altri.
Limperialismo ha disseminato il
male. Tuttavia, nonostante il fatto
che di fronte a noi si erga questo potere sanguinario, lo stesso di Hiroschima e di Nagasaki, tuttavia viviamo anche unera di grandi opportunit. Perch non si pu asserire che questa ferocia e questo potere dell impero nordamericano lo
abbiano anche reso invincibile. No,
non invincibile questo impero, e
noi siamo chiamati a sconfiggerlo in
nome della lotta contro la guerra e
per la pace, in nome della sopravvivenza stessa del pianeta.
Qui, in Venezuela, limperialismo
nordamericano ha trovato alcune
piccole sorprese, perch qui da noi,
ragazzi e ragazze, si sta compiendo
semplicemente ci che aveva previsto Pablo Neruda, il grande poeta
cileno e del mondo, quando nel
canto a Bolvar lanci quel verso:
Conobbi Bolivar in una lunga mattinata a Madrid/ allentrata del Quinto
Reggimento/ E guardando la caserma
nella montagna, gli dissi:Padre, sei o
non sei tu, o chi sei?/ E lui mi rispose
guardando la caserma della montagna:
Si sono io, ma mi sveglio ogni cento
anni/quando si sveglia il popolo.
Ancora una volta Bolivar si risvegliato nel popolo eroico del Venezuela! Ed ancora una volta sta risvegliando i popoli dellAmerica
Latina e dei Carabi! Contro la coscienza e la volont e contro la forza
e lunit di un popolo non c imperialismo che tenga. Questo stato
dimostrato, negli ultimi anni, non
solo dal popolo venezuelano, ma

Imperialismo/Socialismo

anche dal popolo vietnamita, e qui


dietro questa collina che ha nome
vila, ci sono i Caraibi; a poche miglia da qui, verso il nordest esiste un
popolo che ha resistito allaggressione dellimperialismo nordamericano per pi di 40 anni, di fronte a
me si trova il popolo rivoluzionario
della Cuba socialista, della sorella
Cuba, della Cuba marxista.
Salutiamo da qui questo vero e proprio gigante della lotta dei nostri popoli che si chiama Fidel Castro, il
presidente di Cuba. Vi voglio dire
che ho regalato a Fidel Castro una
sedia di legno, del legno che viene
da Apure, unottima sedia per mettersi a vedere la televisione, ed io
sono assolutamente sicuro che lui
non si mai staccato da questa sedia, di fronte al suo televisore, dal
momento in cui iniziato questo
XVI Festival Mondiale della Giovent. Salutiamo Fidel Castro da
qui, e salutiamo il popolo cubano,
e tutti i popoli dei Carabi, dellAmerica Latina e del mondo, ma in particolare il popolo cubano che con il
suo capo in testa ha dimostrato che
limpero nordamericano non invincibile. Pi di 40 anni dembargo,
invasioni, cospirazioni, tentativi
domicidio, minacce dinvasione !
Ed il popolo cubano, un popolo veramente libero, sempre l, in
piedi, ad ergersi contro le avversit
ed il potere dellimpero. Lo stesso
vale per il popolo venezuelano !
Libero, deciso e convinto di mantenersi in piedi affrontando laggressione dellimperialismo. Dobbiamo
sempre ricordarlo: limperialismo
americano non invincibile.
Tutti noi, cari compagni, giovani e
studenti del mondo, siamo venuti a
dibattere sulla pace, per la solidariet; ma in questo dibattito sulla
pace necessario affrontare il tema
della natura imperialista della
guerra, della spinta aggressiva dellimperialismo e compreso ci dobbiamo ricordare allimperialismo
nordamericano che non gli permetteremo mai daccarezzare lidea d
invadere Cuba o il Venezuela, dinvadere qualunque popolo che lotta
per la propria libert, che intende far

Registr. del Tribunale di Cremona


n. 355 del 12/04/2000
Bimestrale
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in A. P.
D.L. 353/2003 (con. in L. 27/02/2004 n46)
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Losurdo, Francesco Maringi, JooQuartim
de Moraes, Paolo Nerozzi, Franco Ottaviano
Mila Pernice, Provera, Samir Al Qariouti,
Sergio Ricaldone, AlessandraRiccio,Tiziano
Rinaldini, Fausto Sorini, Gyula Thurmer
Per la realizzazione di questo numero non stato richiesto alcun
compenso. Si ringraziano pertanto tutti gli autori e collaboratori.

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Imperialismo/Socialismo

avanzare il processo rivoluzionario


come lo stiamo facendo avanzare
noi. Dovremo ricordare allimperialismo nordamericano, e soprattutto
ai falchi del Pentagono, ai signori
della guerra nordamericani, che con
noi non debbono fare errori! Perch
se un giorno venisse loro in mente
la folle idea di invaderci, gli faremmo mordere la polvere, difendendo
la libert della nostra terra!
Ci che sto dicendo non altro ci
che gi disse Fidel Castro; che se allimpero nordamericano venisse in
mente lassurda idea che lo port ad
invadere lIrak e a massacrare il popolo irakeno; se gli venisse la folle
idea che lo port ad invadere lAfganistan , se gli venisse lidea di invadere Cuba e le nostre terre, inizierebbe la guerra dei Centanni e sincendierebbe lintero nostro continente!
Spunterebbero dappertutto i popoli disposti a dimostrare allimperialismo americano che questo secolo
sar il nostro secolo, che non siamo
disposti a vivere genuflessi, che
siamo disposti ad ununica cosa : essere liberi.
Desideriamo ringraziarvi, ragazze e
ragazzi: grazie per essere qui nel
Venezuela rivoluzionario, nel Venezuela che sta rinascendo per dire al
mondo, come voi lo state dicendo,
che non solo, che non rester solo, che le lotte del Venezuela sono
le lotte di tutti i popoli del mondo
per luguaglianza, per la libert, per
la fraternit, per la pace, per la sovranit, per un mondo di uguali,
perch nel mondo nel quale viviamo, come diceva Bolivar, i nostri popoli vivano con il maggior grado di
felicit possibile.. Nel 1960 il grande
filosofo e scrittore Jean Paul Sartre
visit la Cuba rivoluzionaria e co-

12

nobbe sia Fidel che il Che, dopodich ritorn in Francia e lasci degli scritti sulla sua visita a Cuba.
Sartre disse una grande verit, ragazze e ragazzi, una verit per la storia, un riconoscimento alla giovent non solo per la giovent cubana, ma per la giovent di tutti i
tempi, del passato del presente e del
futuro : Le condizioni, le circostanze imponevano una rivoluzione, era necessaria una rivoluzione. E aggiunse: Solo la giovent ha il coraggio, la passione e la
purezza per compiere delle vere rivoluzioni.
Sono dati a voi i doni della passione,
sono vostri i doni del coraggio e della purezza per compiere la rivoluzione di cui il mondo oggi necessita per salvarsi. La rivoluzione morale in primo luogo, la rivoluzione
spirituale, una rivoluzione che polverizzi legoismo, una rivoluzione
nel campo etico, in quello morale,
in quello spirituale. Una rivoluzione che collochi lessere umano,
come diceva Cristo, come lalfa e lomega, linizio e la fine; si tratta
dellumanesimo rivoluzionario,
dellumanesimo sociale. Una rivoluzione che polverizzi lindividualismo, lambizione, le perversioni del
capitalismo; una rivoluzione sociale
che recuperi i sacri principi delluguaglianza e della libert; una rivoluzione politica che sviluppi la vera
democrazia, con al centro il popolo,
non la falsa democrazia delle lites.
La vera democrazia quella che in
Venezuela sta avanzando, una rivoluzione nel campo spirituale ma anche in quello sociale e politico; una
rivoluzione anche nel campo economico, che ci permette di proseguire smontando i meccanismi perversi dello sfruttamento delluomo

Luglio Agosto 2005

sulluomo, che ci permette di proseguire smontando i meccanismi


perversi di dominio del sistema capitalista.
Io mi sono fatto coraggio e ho detto
con tutta la mia forza e la mia convinzione e la prima volta che lo
feci pubblicamente fu al Forum
Sociale di Porto Allegre, nel gennaio di questo stesso anno, 2005
al popolo venezuelano e - perch
non dirlo? - ai popoli di tutta lAmerica Latina, dei Caraibi e del mondo, che lunica maniera che esiste
per distruggere questo capitalismo
feroce che ci opprime quello di riprendere, estendere, rafforzare la
via al socialismo nel XXI secolo.
Un socialismo che ci permetta di salvare il pianeta e le future generazioni, che rivendichi il valore prioritario dellessere umano, un socialismo che, come disse Salvador Allende nel suo ultimo messaggio,
renda possibile aprire i viali dove
transiter luomo libero, dove transiter la donna libera, dove essi saranno liberi ed uguali.
in questo contesto che oggi, allo
scoccare della mezzanotte dell8 di
agosto, vicini allalba del 9 di agosto
di questo anno 2005, raccogliendo
la passione e lamore della giovent
del mondo qui rappresentata e a
nome dellumile ed eroico popolo
di Simon Bolivar, con questo sentimento, con questa prospettiva, con
questo senso di sfida, con questa
speranza e con questa volont indomabile che ci proviene da voi, dichiaro aperto, a nome di tutti, il XVI
Festival Mondiale della Giovent e
degli Studenti!
Viva il socialismo ! Viva la libert !
Traduzione a cura di Francesco Cori

Luglio Agosto 2005

Guerra infinita/Lotta per la pace

Tanti assi tematici:


Pace, Guerra ed Imperialismo,
Educazione, Cultura,
Scienza e Tecnologia,
Lavoro, Economia e Sviluppo,
Democrazia e Diritti Umani

16 Festival Mondiale
della Giovent
e dgli Studenti

di Francesco Maringi
Coordinamento Nazionale Giovani Comuniste/i

DAL 7 AL 15 AGOSTO: A CARACAS CONTRO LA GUERRA

l Movimento dei Festival Mondiali


della Giovent e degli Studenti
(FMGS), sorto all'indomani della
fine della Seconda Guerra Mondiale per dare continuit alla lotta
contro il nazismo e il razzismo, ha
rappresentato nel corso degli anni
un punto di riferimento importante
per le innumerevoli organizzazioni
giovanili e studentesche che si battono contro tutte le discriminazioni, la guerra, la povert e soprattutto per la pace e la solidariet fra
i popoli.
Nel corso delle varie edizioni, diversi sono stati i paesi coinvolti in
questo processo e tanti i giovani che
vi hanno preso parte, in rappresentanza di milioni di giovani e studenti
di tutto il mondo.
Fino ad oggi si sono realizzati sedici
Festival. Le prime dieci edizioni si
sono svolte in Europa (il continente
che ha vissuto direttamente gli orrori del nazismo e della guerra mondiale) per poi sbarcare nelle capitali
di tre Paesi socialisti: Cuba (1978),
URSS (1985) e Corea del Nord
(1989). Il Quattordicesimo Festival
si tenuto nuovamente a Cuba, nel
1997, e con la partecipazione di oltre 12 mila giovani provenienti da
136 paesi, ha riscattato il movimento dei Festival dopo che, per otto
anni, non era stato celebrato. Questo a causa della crisi del movimento
giovanile e studentesco internazionale, in seguito alla caduta del blocco
socialista. Con l'edizione del 2001 in
Algeria, si realizzato per la prima

volta un Festival in un paese arabo


ed africano, segnando cos un legame ideale fra tutti i giovani ed i popoli di tutti i continenti che lottano
contro la guerra e l'imperialismo.
Questanno la capitale della
Repubblica Bolivariana del Venezuela ha ospitato, dal 7 al 15 agosto,
i lavori della sedicesima edizione
del FMGS dando cos continuit al
movimento dei Festival, divenuto
ormai levento politico pi significativo organizzato dalle forze giovanili e studentesche, progressiste e
democratiche del mondo. Oltre 17
mila giovani, delegati di organizzazioni giovanili e studentesche nazionali ed internazionali di 144 differenti paesi, hanno preso parte ai
lavori del Festival, alle conferenze e
alle innumerevoli attivit culturali e
sportive. La delegazione estera pi
numerosa (i venezuelani erano oltre 5000) stata quella colombiana,
seguita da quella cubana (molti dei
quali, medici ed infermieri, gi in
Venezuela per fornire assistenza sanitaria) e brasiliana. Significativa
anche la presenza di Asiatici
,Europei ,Africani. Per la prima
volta la partecipazione statunitense
stata molto alta (pi di 700 delegati). Ad accoglierli allarrivo a
Caracas cera la delegazione cubana
al gran completo, a sottolineare la
stima e limpegno comune, contro
le politiche di guerra e limperialismo. Pi tardi infatti, Jessica Marshall, presidente del Comitato Nazionale Preparatorio (CNP) degli

Usa, durante la cerimonia di apertura del Festival, dichiarer: i giovani degli Stati Uniti esprimono solidariet ai giovani di tutto il
mondo; noi vogliamo la pace e la
fratellanza fra i popoli, non la politica di aggressione scatenata dallamministrazione Bush.
Per tutti i delegati sono stati giorni
intensi ed entusiasmanti. Il fatto che
il Festival si sia tenuto nel paese
della Rivoluzione Bolivariana ha
dato loro la possibilit di visitare le
scuole, le industrie autogestite dagli operai o nazionalizzate, gli ospedali e rendersi conto direttamente
dei successi di questa inedita rivoluzione basata sullalto consenso e
partecipazione popolare e sul radicale cambiamento dei rapporti di
propriet e di produzione.
Tanti e partecipati anche i dibattiti
in agenda al Festival, divisi in quattro assi tematici: Pace, Guerra ed
Imperialismo, Educazione, Cultura, Scienza e Tecnologia, Lavoro,
Economia e Sviluppo ed infine
Democrazia e Diritti Umani.
Il 13 e 14 agosto, una speciale area
in grado di ospitare 15.000 delegati,
stata allestita per dare vita al Tribunale Anti Imperlista a cui ha preso
parte lo stesso Hugo Chavez,
Presidente del Venezuela, che ha tenuto un intervento di tre ore e mezzo durante il quale, partendo dall
uso della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki, ha descritto gli innumerevoli crimini dellimperialismo, che ora cerca di mettere in dis-

13

Luglio Agosto 2005

Guerra infinita/Lotta per la pace

cussione la sovranit e lindipendenza dellAmerica Latina ed in particolare di destabilizzare il Venezuela.


Il Tribunale stato presieduto da
Jose Vincente Reugel, vice presidente del Venezuela, e da personalit di rilievo di diverse aree del
mondo, in rappresentanza di 39 nazioni che hanno presentato prove e
documentazione sui crimini perpetrati dallimperialismo Usa a danno
di interi popoli. Toccanti le deposizioni dei vietnamiti contro lutilizzo
dellagente orange da parte dellesercito Usa durante la guerra di aggressione, che ha portato alla morte
di milioni di persone ed alla nascita
ancora oggi di bambini malformi.
Tutti questi temi verranno ripresi
nella Dichiarazione Finale del
Festival (che riportiamo qui di seguito) che rappresenta una carta di
principi comune a tutti i giovani
che, nei rispettivi paesi ,lottano per
un mondo di pace e libero dalla minaccia nucleare e per un sistema socio economico basato sulla giustizia
sociale. Nella Dichiarazione si afferma il principio di sovranit na-

zionale, indipendenza ed autodeterminazione dei popoli e si fa appello affinch si lotti per la difesa
dei diritti umani, dei diritti delle
donne e contro le discriminazioni
sessuali. Centrali ovviamente il diritto allo studio e laccesso a cure
mediche ed ospedaliere, negati a
tantissimi giovani e bambini poveri
costretti a lavorare in condizioni disumane in tanti paesi.
Il segreto del successo di questo Festival stato il lungo lavoro che ha
coinvolto migliaia di organizzazioni, in rappresentanza di milioni di
giovani e studenti, di ogni angolo
del pianeta. Per due anni migliaia
di giovani hanno lavorato per rendere possibile tutto questo, ha affermato Miguel Madeira, presidente della Federazione Mondiale della
Giovent Democratica (FMGD) e
responsabile del Comitato Internazionale preparatorio del Festival,
durante la coloratissima cerimonia
di chiusura del Festival. Tantissimi
anche gli artisti ed intellettuali che
hanno preso parte ai lavori preparatori dei vari CNP dando cos mag-

giore forza ed impulso al lavoro territoriale di coinvolgimento dei giovani nella lotta per la costruzione un
mondo libero dalla guerra e dal
mercato. A tal riguardo doveroso,
quanto spiacevole, sottolineare
come lItalia sia stato uno dei pochissimi paesi (se non lunico) nel
quale non c stato alcun processo
di costruzione della partecipazione
dei giovani italiani al Festival, ed
un peccato che ci non sia avvenuto
e che lorganizzazione dei Giovani
Comunisti (membro di diritto del
FMGD, e quindi deputata a lanciare
lappello per la costituzione di un
CNP largo e plurale) abbia perso
unoccasione cos preziosa.
Il successo di questo Festival, ci consegna in dote la responsabilit di
mobilitarci e lottare con maggiore
forza e determinazione affinch
tutti questi anni che ci separano
dalla prossima edizione del Festival,
siano spesi nella lotta per una societ di pace e di giustizia con laugurio che , questo secolo che appena iniziato, sia il secolo della vittoria dei popoli sullimperialismo.

GIOVANNI PESCE SENATORE A VITA !


ODG assunto dal CPN del PRC (18 settembre 2005)
Nel 60 della Liberazione, riteniamo di grande valore la promozione di una iniziativa affinch possa essere nominato senatore a vita della Repubblica un protagonista della Resistenza.
Proprio nel momento in cui viene sferrato dalle destre un attacco gravissimo alla nostra Costituzione, questa iniziativa avrebbe un enorme significato di riaffermazione dellintangibilit dei valori dellantifascismo
e della democrazia come fondanti della Repubblica nata dalla Resistenza e dalla vittoria contro il nazifascismo.
In questa prospettiva, riteniamo che il Comandante partigiano Giovanni Pesce, medaglia doro della
Resistenza, rappresenti una figura autorevole e prestigiosa, idonea a ricevere tale alto riconoscimento.
Appena diciottenne, Giovanni Pesce fu tra quanti, nella guerra civile spagnola, dove venne gravemente
ferito, sostennero il governo democratico contro i fascisti di Franco. Dopo gli anni del confino a Ventotene,
nel settembre del 1943 Giovanni Pesce fu tra gli organizzatori e i principali protagonisti dei Gap a Torino
e, quindi, dal maggio del 1944 fino alla Liberazione, divenne comandante del III Gap Rubini a Milano.In
questo periodo divenne protagonista di innumerevoli azioni e il suo coraggio, la sua generosit, gli atti
di eroismo sono stati universalmente riconosciuti, anche nella motivazione della medaglia doro che gli
valse lappellativo di eroe nazionale.Il Comitato Politico Nazionale si impegna ad intraprendere tutte le
iniziative opportune affinch questa proposta possa essere valutata e assunta dalle associazioni partigiane, dai partiti, dai sindacati dei lavoratori, dalle associazioni democratiche, dai movimenti e su di essa
venga sviluppata una grande iniziativa di massa.

Fausto Bertinotti - Claudio Grassi - Gigi Malabarba

14

Luglio Agosto 2005

Guerra infinita/Lotta per la pace

NON CI STANCHEREMO DI RIPETERE CHE,


DOPO LE GUERRE UMANITARIE E INTELLIGENTI,
PROPRIO QUELLA PREVENTIVA
HA IMMESSO NEL TESSUTO
DELLA CONVIVENZA INTERNAZIONALE
DEI POPOLI E NEL DIRITTO DELLE GENTI

Il vero nemico
la logica del
noi e loro

TOSSINE PERICOLOSISSIME.

di don Tonio DellOlio


Ufficio di Presidenza di Libera,
responsabile Settore Internazionale

LINVASIONE

DELLIRAQ STA SPROFONDANDO NELLA MENZOGNA E

NEL SANGUE. INVECE DI COMBATTERE IL TERRORISMO LHA


ENORMEMENTE ALIMENTATO. IL PERICOLO DI DUE FONDAMENTALISMI
CONTRAPPOSTI: UNA LETTURA STRUMENTALE DELLISLAM
E IL FONDAMENTALISMO DEL MERCATO.

Ma in quale pasticcio ci siamo andati


a ficcare? Sembra essere questa la
considerazione inconfessabile che anche negli Stati generali del pensatoio
delle strategie geo-politiche-militari
statunitensi si va facendo strada da
troppo tempo. Ormai appare chiaro
a chiunque che la menzogna a copertura della guerra in Iraq stata ampiamente scoperchiata e che, al contrario, la guerra che aveva lo scopo di
garantire il controllo di pi ampie
provvigioni petrolifere al fabbisogno
energetico americano e di incunearsi
ancora meglio nellarea mediorientale per poterne controllare gli spazi
e la politica si sta rivelando una totale debacle. Tant vero che si dovuto modificare di volta in volta il copione da recitare a giustificazione
della scelta nefasta di occupare militarmente lIraq scatenando una guerra che va molto oltre lo stesso concetto
classico della guerra. Dalla scoperta e
distruzione delle armi di distruzione
di massa, si adeguato lobiettivo allesportazione della democrazia, alla
sconfitta umiliante di Saddam, alla pacificazione dellarea mediorientale, a
sgominare il terrorismo e le coperture
che Saddam avrebbe garantito.
Decisamente, oggi sembrano molto
lontani i giorni in cui il presidente statunitense salutava il mondo da una
potente portaerei annunziando che
la guerra finita e il nemico scappato, sconfitto, battuto .
Non era cos allora, e ancora di pi

non cos ora. In questa tragica spirale di sangue che costituita dalla
guerra e dal terrorismo, la guerra in
Iraq (ma anche quella in Afghanistan) risulta come un elemento fondamentale e decisivo. Determinante.
Se fino a quel momento il terrorismo
aveva colpito soltanto sul suolo americano in quel terribile 11 settembre
2001, dalla guerra in Iraq in poi abbiamo dovuto aggiungere molte puntate al tragico serial di sangue e di
morte della violenza terroristica, dal
Marocco alla Turchia, dalla Spagna
alla Gran Bretagna, dallEgitto allArabia Saudita Ma proprio in Iraq
che il terrorismo ha colpito e continua ad azzannare quotidianamente
con inaudita violenza. A tal punto
questi attacchi sono quotidiani, che
ormai da tempo sono stati declassati
nelle pagine dei giornali.
Il pi delle volte le vittime sono da registrare tra gli stessi iracheni, parte di
una popolazione stremata dalla dittatura e da questa morsa mortifera data
dalloccupazione militare e dal terrorismo. sotto gli occhi di tutti che la
guerra in Iraq, lungi dallaver sgominato, contrastato o solo ridotto il fenomeno del terrorismo, lha alimentato offrendogli linfa, vigore, nuove e
farneticanti motivazioni che, se prima
della guerra apparivano teoriche e fumose, ora sono reinterpretate nellimmaginario farneticante ed esaltato
del fondamentalismo, ma a partire dal
dato di una nemico che calpesta il

suolo sacro dellIslam, non ha rispetto


delle vite umane, mostra dispregio per
le moschee e per i luoghi sacri, diffonde lideologia della Coca Cola con
tutte le sue tragiche appendici.
Due fondamentalismi a confronto:
quello del Corano letto in modo strumentalmente fondamentalista e
quello del mercato reinterpretato secondo i canoni del pi violento degli
imperialismi. Quella guerra ha avuto
un inizio ma stenta a trovare una fine
perch non pu essere considerata secondo gli elementi classici della
guerra. stata scatenata irridendo e
stracciando il diritto internazionale e
coniando la peggiore delle definizioni sprezzanti: guerra preventiva.
Non ci stancheremo di ripetere che,
dopo le guerre umanitarie e intelligenti,
proprio quella preventiva ha immesso nel tessuto della convivenza internazionale dei popoli e nel diritto
delle genti tossine pericolosissime,
destinate purtroppo a produrre i loro
tragici risultati sullintero organismo
per anni e anni. Non si pu pretendere ora che i nemici schierino in
campo un esercito in divisa, che si confrontino in un campo circoscritto, utilizzino le ami classiche delle strategie
militari, si appellino alla lealt cavalleresca dello jus in bello Ta n t o
quanto la strategia della guerra preventiva, il terrorismo massimo spregio del diritto e dei diritti, della vita e
delle fedi, della libert dei popoli e
delle democrazie.

15

Guerra infinita/Lotta per la pace

In questo contesto tornano di bruciante attualit le parole de Papa Giovanni Paolo II pronunciate nel messaggio per la Giornata Mondiale della
pace del 1 gennaio 2003: La piaga del
terrorismo diventata in questi anni pi
virulenta e ha prodotto massacri efferati,
che hanno reso sempre pi irta di ostacoli
la via del dialogo e del negoziato, esacerbando gli animi e aggravando i problemi,
p a rt i c o l a rmente nel Medio Oriente.
Tuttavia, per essere vincente, la lotta contro il terrorismo non pu esaurirsi soltanto
in operazioni repressive e punitive. essenziale che il pur necessario ricorso alla
forza sia accompagnato da una coraggiosa
e lucida analisi delle motivazioni soggiacenti agli attacchi terroristici. Allo stesso
tempo, l'impegno contro il terrorismo deve
esprimersi anche sul piano politico e pedagogico: da un lato, rimuovendo le cause
che stanno all'origine di situazioni di ingiustizia, dalle quali scaturiscono sovente
le spinte agli atti pi disperati e sanguinosi; dall'altro, insistendo su un'educazione ispirata al rispetto per la vita umana
in ogni circostanza: l'unit del genere
umano infatti una realt pi forte delle
divisioni contingenti che separano uomini
e popoli. Nella doverosa lotta contro il terrorismo, il diritto internazionale ora chiamato ad elaborare strumenti giuridici dotati di efficienti meccanismi di prevenzione, di monitoraggio e di repressione dei
reati. In ogni caso, i Governi democratici
ben sanno che l'uso della forza contro i terroristi non pu giustificare la rinuncia ai
principi di uno Stato di diritto. Sarebbero
scelte politiche inaccettabili quelle che ricercassero il successo senza tener conto dei
fondamentali diritti dell'uomo: il fine non
giustifica mai i mezzi!.
Ci sarebbe da chiedersi quanti di quei
mezzi alternativi o preventivi della violenza sono stati assunti e adottati dai
governi delle democrazie occidentali
per contrastare la piaga del terrorismo. Ma ahim questa domanda
ha il sapore paradossale della retorica.
Nonostante la piaga si sia diffusa dolorosamente invadendo altre parti del
corpo, anche quando si tratta di adottare misure di prevenzione e di sicurezza allinterno stesso degli Stati,
non si riesce ad andare al di l della
restrizione delle garanzie democratiche e di ridicole limitazioni alluso del
burqua. Il dialogo con il mondo islamico appare anche alla luce del semplice buonsenso come la via maestra

16

per sanare le ferite inflitte non solo


nei popoli, ma anche nelle coscienze.
Al contrario, unanalisi quanto meno
approssimativa della situazione e degli scenari reali, conducono a inasprire ulteriormente gli spazi dellimmigrazione, ai giri di vita indiscriminati (o discriminatori?) sulle comunit di persone provenienti da paesi
islamici, a maggiori controlli invasivi
della privacy... In questo modo si afferma proprio quella contrapposizione dei mondi che il terrorismo fondamentalista e la corrente che si riconosce nelle analisi della Fallaci propugnano. Il legittimo contrasto, prevenzione, contenimento alla violenza
del terrorismo, alle loro ideologie impazzite, alla fede strumentalmente interpretata secondo le chiavi del fanatismo trasudante violenza, si trasforma in scontro di civilt che non
consente di conoscersi, comprendersi, collaborare per debellare sempre e tutta la violenza. Da qualunque
parte essa giunga.
Mentre vado declinando queste riflessioni mi accorgo che altro non
propongo che le convinzioni e lo strumentario della nonviolenza. Perch
nemmeno la pi nobile delle intenzioni riuscir a contrastare efficacemente la violenza del terrorismo se
contempla al suo interno unaltra violenza, fosse anche legittimata dal diritto internazionale! L e s c l u s i o n e
della violenza deve essere riproposta
con forza come tema generatore di un
nuovo modo di fare politica, come
una nuova chiave di lettura delle crisi
internazionali, persino come un
nuovo rapporto dialettico allinterno
delle relazioni tra le forze politiche
contrapposte. Prendendo le mosse
dal contrasto al terrorismo dovremmo fare in modo di liberare la
nonviolenza dal limbo dellingenuit
movimentista, e collocarla al cuore
dei programmi della coalizione che si
candida a governare il nostro Paese
nel contesto internazionale attuale e
futuro. Se il movimento pacifista concepisse la novit di una proposta di
tale portata avrebbe ritrovato un collante ancora pi forte per ritornare a
mobilitarsi secondo una sintonia che
rappresenterebbe un reale segno di
alternativa radicale a questo sistema.
Assumere la nonviolenza come fine e
come strumento significherebbe in-

Luglio Agosto 2005

carnare gi al proprio interno una


contestazione radicale e una proposta
radicalmente alternativa al sistema e
alle minacce che proprio sulla trama
della violenza fondano la propria essenza e la sopravvivenza delle proprie
strutture di ingiustizia. Il movimento
mostrerebbe in questo modo gi nel
suo credere e nel suo agire i prodromi
di quel mondo altro possibile che fortissimamente intravede e contribuisce a realizzare.
Realisticamente bisogner ammettere che non mancheranno anche nel
futuro (prossimo?) i motivi per mobilitarsi contro la guerra. La mobilitazione sarebbe certamente di tuttaltro segnale se si presentasse radicalmente nonviolenta nellazione e nellorizzonte. E non mi riferisco semplicemente alle vetrine rotte o agli atti
di intolleranza interni, quanto alladesione o meno a questa sorta di
aparhteid globale che, da una parte e
dallaltra, si tenta di costruire. Un movimento radicalmente nonviolento
quello capace di escludere, senza se e
senza ma, ogni costruzione di muro,
in Cisgiordania come in Africa, tra le
societ opulente e quelle immiserite
dallingiustizia, come tra storici nemici in condizioni che appaiono irredimibili. Il "noi non siamo come loro"
di Blair pu essere un felice slogan
momentaneo per far fronte ad un'opinione pubblica spaventata, ma non
lo nella realt, dai fatti di
Guantanamo e di Abu Ghraib e non
solo. Il rischio di questa forte sottolineatura del noi e loro contiene il seme di un
pericoloso scivolamento verso la separatezza forzata tra Occidente e Islam e tra comunit immigrate e societ autoctone, cio
esattamente operare nella direzione voluta
dal binladismo pi scellerato (Farid
Adly). Questo deve essere estraneo
non solo alla cultura del diritto cui devono ispirarsi in modo diretto gli ordinamenti e le scelte politiche di tutti
i governi del mondo e del governo
mondiale, ma ancor pi alla societ
civile, che stata capace in questi anni
di sviluppare una critica ragionata e
praticata al sistema.
Anche per il movimento dei movimenti non pu esistere un noi e un
loro. Il cardine della nonviolenza risiede proprio nella sconfitta dellidea
stessa del nemico. La costruzione del
futuro passa da questa strada.

Luglio Agosto 2005

Guerra infinita/Lotta per la pace

LA RESISTENZA PACIFICA
CONTRO BASI MILITARI
E CEMENTO SELVAGGIO

a cura di Gianni Fresu

roprio nel cinquantesimo anniversario


del pi grande atto terroristico che la storia dellumanit abbia mai conosciuto,
le bombe atomiche su Hiroshima e
Nagasaki, tornato sotto la luce dei riflettori un problema che ci riguarda da
vicino ma di cui si fino ad oggi ignorata la gravit: nel corso degli ultimi
tre decenni nel mar Mediterraneo andata sempre pi ad aumentare la concentrazione di immensi arsenali con armamenti a testata nucleare in palese violazione del Trattato di non proliferazione
del 1970.
Anche su questo versante come da tradizione oramai - la Sardegna si trova a
subire, suo malgrado, un ruolo di assoluta centralit con la presenza sul suo
territorio di due porti destinati allattracco e alla sosta di navi a propulsione
nucleare. Il primo quello della base di
Santo Stefano nellIsola di La Maddalena istituita nel 1972 attraverso
un Trattato segreto mai ratificato dal
Parlamento di cui dopo 32 anni ancora
non sappiamo nulla allinterno della
quale il Governo Berlusconi ha dato il
via libera al raddoppio delle volumetrie
a terra (52000 metri cubi di cemento armato in una parco con vincoli di inedificabilit assoluta), nonostante il parere
contrario di Consiglio Regionale,
Giunta e COMIPA (il Comitato paritetico sulle servit militari) e nonostante
lopposizione di un movimento che in

NO
alle servit militari
SI
alla pace e alla civilt
INTERVISTA AL PRESIDENTE DELLA REGIONE AUTONOMA
DELLA SARDEGNA RENATO SORU

questi anni andato via via ad ingrossare le sue fila.


Il secondo invece il porto di Cagliari
nel quale la situazione se vogliamo ancora pi paradossale. Le norme internazionali di sicurezza sottoscritte dal nos t ro paese vietere b b e ro lormeggio nel
porto militare di Cagliari di navi e sottomarini a propulsione nucleare perch
i suoi moli sono adiacenti alle condotte
di trasporto di combustibile che si diramano nel cuore della citt concludendo
il loro percorso nei depositi sotterranei del
colle di Monte Urpinu (il parco cittadino pi importante e frequentato dai
cagliaritani) e del promontorio della
Sella del Diavolo che domina laffollatissima spiaggia del Poetto, non a
caso chiamata la spiaggia dei centomila. Ma nonostante tutto ci il porto
nucleare esiste, mentre manca invece un
qualsiasi piano di emergenza in caso di
incidente.
La normativa vigente1impone che i
piani di emergenza siano conosciuti dai
soggetti a cui sono rivolti, i quali vanno
informati, sia dei rischi potenziali sia
delle misure adottate per avvertire, proteggere e soccorrere la popolazione, cos
come prevede il coinvolgimento di autorit, rappresentanti della comunit
scientifica, tecnici e via dicendo, allint e rno di un comitato appositamente
creato. I Piani di emergenza cos elaborati dovrebbero poi essere sottoposti a ve-

rifica ed esercitazione periodica. Nella


realt dei fatti non solo non c traccia
di tutto questo, ma abbiamo assistito in
proposito ad un indecoroso balletto da
parte delle autorit competenti che ha
dellincredibile.
Infatti se l11 e il 21 aprile del 2005 il
Prefetto di Cagliari ha categoricamente
escluso, in via formale, che Cagliari sia
uno scalo militare per navi nucleari, appena due mesi dopo, il 7 giugno, il Ministro Martino confermando del resto i
pronunciamenti dei Ministri della difesa che lo hanno preceduto lo ha smentito rispondendo in Parlamento ad una
i n t e rrogazione di Mauro Bulgare l l i .
Martino ha infatti ribadito che Cagliari
inserita tra gli undici porti militari nei
quali prevista la sosta di unit militari a propulsione nucleare. Solo dopo
una seconda interrogazione parlamentare il Prefetto ha ammesso lo status particolare del porto di Cagliari senza rendere noto per alcun piano di emergenza.
Al di l dei due casi specifici la Sardegna
ha gi pagato nel corso di tutta la guerra
fredda il peso di una presenza militare
invasiva che non ha paragoni con nessuna regione italiana, stata deprivata
di una parte consistente e preziosissima
del suo territorio, stata imbrigliata ed
anestetizzata contro qualsiasi ipotesi di
sviluppo di quelle realt. Capo Frasca,
Salto di Quirra, Teulada sono altri
esempi lampanti in questo senso: le terre

17

Guerra infinita/Lotta per la pace

e il mare da destinare alla fruizione delle


comunit sono state circondate dal filo
spinato e dopo essere state sottratte ad un
qualsiasi utilizzo produttivo, sono diventate teatri di guerra per le esercitazioni o immensi show room per le fabbriche di armi. Risultato: territori di
straordinario valore naturalistico sono
diventati immense discariche belliche
sottoposte a sperimentazione con armi di
ogni genere e mai bonificate. E come gi
abbiamo avuto modo di sottolineare in
passato la fine della guerra fredda anzich generare il progressivo disarmo nellarea Mediterranea ha finito per rendere
ancora pi frenetica lattivit operativa
delle basi militari2 . Contro tutto questo
per si mobilitato e si mobilita con forza
una parte consistente del popolo sardo
non pi disponibile a subire in silenzio
lutilizzo dellisola in chiave militare.
Questa mobilitazione, che negli anni
cresciuta conquistandosi il sostegno convinto e consapevole dellopinione pubblica sarda, ha trovato lungo la strada
una sponda istituzionale fondamentale
nel Presidente della Regione Renato
Soru il quale gi nel programma elettorale - che port il centro sinistra pi
Rifondazione comunista alla netta affermazione elettorale del giugno 2004 aveva previsto proprio il progressivo
smantellamento delle basi militari in
Sardegna tra i suoi punti qualificanti.
Tutto ci ha fatto s che questa battaglia
divenisse non solo una bandiera dei soggetti del movimento che tradizionalmente hanno lavorato in quella direzione (Comitato sardo gettiamo le basi,
PRC, Social Forum, forze politiche indipendentiste, comitati spontanei di cittadini), ma bens oggetto di scontro con
il Governo nazionale sulle prerogative
dellAutonomia regionale, in materia di
governo del territorio e scelte sui modelli
di sviluppo adottabili facendo compiere
alla rivendicazione contro le basi un notevole salto di qualit. Lo stesso discorso
varrebbe poi per le politiche di tutela ambientale che hanno portato il Governo
Berlusconi anche in questo caso colto
da un flagrante conflitto dinteressi - ad
impugnare di fronte alla Corte costituzionale la cosiddetta Legge salvacoste,
attraverso la quale la Giunta Soru ha
introdotto nuovi pesanti vincoli contro
la cementificazione selvaggia delle coste

18

e pi in generale la devastazione del territorio sardo.


Oggi in Sardegna sia la lotta per la pace
e contro la guerra, sia quella per la tutela ambientale, investono una vera e
p ropria questione di sovranit, nella
quale la Regione e i suoi organismi esecutivi e legislativi esigono di essere soggetti attivi della ridiscussione e della
trattativa sulla presenza militare e pi
in generale sulle scelte fondamentali che
riguardano il proprio territorio. Questa
forse la novit pi importante su cui
si va evidenziando una discontinuit rispetto ai governi regionali del passato.
Segni forti di questa consapevolezza sono
sempre pi chiari e palesi. A Teulada sia
la lotta dei pescatori per gli indennizzi e
la bonifica, sia il confronto duro attuato
da parte della Regione con lo Stato per
porre fine al pi complessivo sistema di
occupazione militare ne sono seppur
da versanti diversi - lemblema.
Nel braccio di ferro ingaggiato con il
Governo e le autorit militari il Presidente della Regione sarda Renato Soru
ha cercato di raggiungere una soluzione
che mantenesse strettamente saldati i diritti allindennizzo dei pescatori con la
ridiscussione della servit, rifiutando le
ipotesi pasticciate avanzate dal Ministero che rimettevano in discussione intese precedentemente raggiunte sulla progressiva dismissione delle aree militari3
e rigettavano le deliberazioni legittimamente assunte dal COMIPA contro la
p rosecuzione delle esercitazioni nellisola. Martino e il sottosegretario Cicu
hanno infatti preteso che dal protocollo
venisse stralciata tutta la questione della
bonifica e delle dismissioni previste, oltre a pretendere che venissero ritirati i no
alle esercitazioni del COMIPA.
Latteggiamento del Ministero della
Difesa, che con malcelati ricatti e intimidazioni ha eluso tutti i problemi posti
sul tappeto, rinviandone dolosamente la
soluzione, ha dunque ingenerato uno
scontro istituzionale senza precedenti tra
Stato e Regione inducendo il Presidente
Soru a non firmare il protocollo con il
M i n i s t e ro, ad annunciare lavvio di
una fase di resistenza pacifica ed a
chiedere ai propri rappresentanti nel COMIPA di opporsi ad oltranza a qualsiasi
richiesta proveniente dai militari.
G.F.

Luglio Agosto 2005

Presidente Soru, nei mesi precedenti lei ha avviato un durissimo


confronto con Governo e Autorit
militari sulle servit, tanto da parlare di resistenza pacifica, quali
saranno i prossimi passi del suo
Governo in proposito e quali i suoi
obiettivi.
In tema di servit militari non possiamo fare molto col nostro Statuto,
per possiamo fare resistenza pacifica, una specie di guerra pacifica.
Nei prossimi mesi ci ingaggeremmo
in una battaglia di resistenza pacifica. In che modo? Abbiamo gi conferito un mandato ben preciso alla
nuova commissione paritetica per le
servit militari, che stata recentemente costituita dal consiglio regionale: non autorizzare nulla. Noi
ci opporremo a tutto, anche
quando la ragione ci dovrebbe suggerire che potremmo essere favorevoli a quel che ci viene richiesto in
tema di servit militari, di cambiamenti operativi, di spostamenti logistici. Noi non autorizzeremo pi
niente fintanto che non ci verr riconosciuto il peso eccessivo, ingiusto, iniquo, delle servit militari
nella nostra regione in questo momento. Fintanto che questo tema
non verr riconosciuto, noi non autorizzeremo neanche lapertura di
una finestra in una caserma. Quando ci verr chiesto, noi lo respingeremo, e quando ci verr fatta la notifica di utilit da parte del Ministro,
noi la respingeremo e andremo nel
Consiglio dei Ministri a rivendicare
le ragioni del nostro rifiuto. E vi garantisco che sar cos ogni volta,
fino a quando non otterremo un riequilibrio delle servit militari che
liberi la Sardegna dagli attuali gravami.
Lei ha pi volte detto che la
Sardegna ha gi ampiamente fatto
la sua parte sul versante militare e
sulla base di ci ha chiesto al governo Berlusconi un profondo riequilibrio della presenza delle servit che liberi lisola dai gravami
subiti, che cosa si aspetta in proposito da un eventuale governo di cen-

Luglio Agosto 2005

tro sinistra se nelle elezioni del 2006


dovesse determinarsi una svolta nel
governo nazionale?
La Sardegna si gi sacrificata fin
troppo nel corso della sua storia per
le esigenze militari dellItalia: la partecipazione alla grande guerra
della Brigata Sassari, di Emilio Lussu, del suo attendente, di tutti gli
sconosciuti, cittadini di questa regione che hanno pagato duramente
il loro contributo, in quella come
nelle altre guerre. E il nostro contributo lo abbiamo dato anche in
tempo di pace, come ai tempi della
guerra fredda, cos come lo stiamo
dando anche oggi, accettando, nei
fatti, la presenza di una base militare americana.
Per ora vogliamo un riequilibrio
che ponga fine ad una condizione
inaccettabile per la quale nel nostro
territorio vengono esplose circa
l80% delle bombe utilizzzate in
Italia, e vogliamo un riequilibrio
che intervenga su un altro fatto non
certo piacevole e positivo per la nostra terra, il transito e la sosta dei sottomarini nucleari. Come gi detto,
noi abbiamo fatto la nostra parte e
ora tempo che qualcun altro si sostituisca a noi, ci avvicendi in questo
fronte di ospitalit.
In proposito mi aspetto molto dal
governo di centrosinistra. Ho chiesto a tutti i leader del centrosinistra
dal palco del comizio conclusivo
della campagna elettorale per le
amministrative, a primavera, che
nel programma della coalizione
venga scritto questo punto: il riequilibrio del peso delle servit militari nel territorio nazionale. Cerano Prodi e DAlema, ai quali lho ripetuto anche dopo i comizio. Porter questa posizione che sta ribadita pi volte dal Consiglio regionale della Sardegna, in tutte le occasioni che ci saranno in queste settimane di messa a punto del programma del centrosinistra. E ho fiducia, molta fiducia, che questo segnale verr dato, a tutti i sardi, dalle
forze che si candidano, con molte
speranze, a governare lItalia nei
prossimi anni

Guerra infinita/Lotta per la pace

Secondo diversi analisti gli interessi


sempre pi divergenti tra i principali poli imperialistici nella lotta per
l a c c a p a r ramento delle risorse
energetiche e per il controllo delle
relative reti di trasporto ha reso
nuovamente il Mediterraneo strategicamente centrale - insieme al Mar
Nero e al Mar Caspio. Lindisponibilit a dismettere le basi in Sardegna si inserirebbe dunque in questo contesto e nel delinearsi di due
modelli di difesa distinti e potenzialmente contrapposti tra USA e
UE. Lei che idea si fatto e soprattutto, la sua battaglia contro la presenza militare in Sardegna ha quale
movente essenziale solo la necessit
di sottrarre quelle aree da un utilizzo che ne impedisce lo sviluppo,
o ha invece anche una valenza politica pi ampia che investe i temi
della pace e della contrapposizione
al nuovo scenario di guerra permanente aperto dal primo conflitto nel golfo del 1991?
Dal 1972 a oggi, da quando stato
concesso alla Marina Usa di insediare una base alla Maddalena, la situazione strategica internazionale,
la politica internazionale totalmente cambiata. Sono passati 32
anni. Non c nulla di ideologico
nella mia posizione. C solamente
la stanchezza di un soldato che
stato al fronte troppo a lungo, e che
chiede di essere avvicendato, anche
nellospitare i sommergibili nucleari. E credo di rappresentare linteresse di tutta la Regione, nel chiedere che la nostra isola venga avvicendata in questo gravosissimo
compito. Su questo necessario che
chi rappresenta il governo della
Regione abbia per quanto possibile
il sostegno di tutta la politica sarda,
di tutto il Consiglio regionale, di
tutti i cittadini sardi. Per questo non
una fuga in avanti del Presidente.
Per questo necessario il contributo di tutti i sindaci, le forze sindacali, di quelle politiche, dei lavoratori, delle forze imprenditoriali,
di tutta quella gente che crede in un
altro utilizzo possibile e migliore del
territorio.

Coloro che si oppongono alla dismissione delle basi utilizza come argomento la presunta ricaduta occupazionale che essa comporta affermando che essa porter ad unulteriore impoverimento dellisola, lei
al contrario afferma che dalla fine
della presenza militare pu venire
un nuovo impulso decisivo per il ben e s s e re della nostra Regione, che
idea di sviluppo ha per quei territori una volta liberati da filo spinato, poligoni e caserme.
Anzitutto va precisato che chiudere
un poligono non significa necessariamente dover mandare a casa i militari, o comunque non incompatibile con la presenza di militari. Recentemente a S. Antioco, un paesino
del basso Sulcis, mi capitato di parlare con un alto ufficiale. E gli ho
chiesto ma perch dovete sparare
per forza sempre in Sardegna? La
sua risposta stata semplice: perch gli unici poligoni sono qui.
Nelle mie posizioni non c antimilitarismo, sia chiaro, i militari sono
importanti. Importantissimi. Non
abbiamo difficolt ad ospitarli e
ospitarne anche di pi in futuro.
Tuttavia rivendichiamo il nostro diritto ad essere trattati come i cittadini di tutte le altre regioni italiane.
Con gli stessi diritti e con gli stessi
doveri. Con lo stesso dovere di partecipare nei diversi modi dovuti alla
difesa di questo paese, in tempo di
pace, ospitando attivit militari.
Siamo interessati a farlo in maniera
equilibrata. In maniera paragonabile allospitalit che viene resa in
altre regioni dItalia. La legge gi
prevede tutto questo, va semplicemente applicata.
Per quanto riguarda le prospettive
successive alla dismissione dei poligoni militari mi basta dire che ho
fiducia nellintelligenza e nel coraggio dei sardi. Ho la fiducia che
sia nellintelligenza e nel coraggio
dei sardi poter fare pi e meglio nellarcipelago di La Maddalena piuttosto che ospitare sommergibili nucleari. E ci vale per tutte le altre
aree della nostra regione sottoposte
al regime di servit militare.

19

Guerra infinita/Lotta per la pace

Recentemente il PRC ha avanzato


una mozione in Consiglio regionale
nella quale impegna il suo Governo
a farsi promotore presso gli organismi competenti di una conferenza
internazionale tesa a denuclearizz a re il Mediterraneo tramite acc o rdi internazionali analoghi a
quelli che tra il 1985 e il 1996 istituirono quattro zone libere da armi
nucleari in America Latina (1985);
Pacifico del Sud (1985), Sud Est
Asiatico (1995), Africa (1996). Cosa
pensa di questa proposta e che passi
intende intraprendere se la ritiene
valida per fare realmente della
Sardegna isola di pace al centro
del Mediterraneo?
Sono stato al centro di una polemica
durissima quando in campagna
elettorale ho avuto modo di dire che
avremmo voluto non vedere mai pi
le immagini dei soldati sardi di ritorno da un fronte di guerra. Allora
tornavano da Nassirya e le televisioni mandavano le immagini di
questi ragazzi al ritorno in aeroporto, una musica da film come
commento musicale, e poi fanfare.
Dissi: non facciamoci distrarre, non
facciamoci distrarre e non facciamoci ingannare.
I Governi qualche volta ingannano,
e quando non riescono a creare e
distribuire lavoro, quando non garantiscono equit, quando non riescono a garantire il diritto all istruzione, alla sanit, allora ricorrono a
simboli, medaglie, fanfare e marcette militari per sostituire tutto
quel che manca e che non sono riusciti a dare.
Noi abbiamo unaltra idea di
Sardegna rispetto a quella della retorica da marcetta. Il contesto in cui
la Sardegna si colloca oggi totalmente cambiato e ci pu offrire
molto di pi. il contesto dell Unione Europea, della globalizzazione dei mercati, della circolazione
delle culture, delle tecnologie di comunicazione e delle pluralit e facilit nei mezzi di trasporto. Le opportunit di conoscenza, di confronto, sono totalmente cambiate e
con esse anche i sardi sono cambiati.

20

L'Europa coinvolge nella sua Unione i paesi di nuova adesione e ci d


anche la responsabilit di aiutare ed
avvicinare questi paesi. A questa responsabilit noi siamo chiamati con
la consapevolezza che essa anche
unopportunit enorme, di pace e
sviluppo, che ci consente di porre a
confronto le diverse culture dell
Europa con i paesi del Nord Africa,
con i popoli del Mediterraneo, per
fare interagire insieme tutte queste
ricchezze.
E allora se la Sardegna fosse anche
luogo dincontro per questi stessi
paesi, un centro attraverso il quale
le diverse culture si confrontano e
si parlano, si mostrano e si mettono
in relazione le une con le altre sostenendosi reciprocamentee, la nostra isola ci guadagnerebbe sicuramente in tutti i sensi assumendo un
ruolo importantissimo, un ruolo
che in questo momento non ancora svolto da nessuno, un ruolo per
il quale ci possiamo candidare non
con proclami, non con domande da
riempire, ma con il lavoro quotidiano, giorno per giorno, che gi
stiamo svolgendo per tessere relazioni con questi paesi e farli crescere
insieme a noi.
Questa la nostra idea di convivenza pacifica e tutti gli strumenti
che servono a garantirla, compresa
una Conferenza Internazionale,
sono i benvenuti. Vorremmo fare
della Sardegna unisola di pace in
un mare Mediterraneo di scambi e
in una Europa che garantisca il progresso alle sue popolazioni e a
quelle pi prossime.
Unultima domanda Presidente, la
vittoria della coalizione del Centrosinistra in Sardegna nel giungo 2004
ha dato forse il primo scossone significativo al Governo delle destre
in Italia. Un anno dopo molte roccaforti del centro destra, specie al
sud, sono state espugnate e il suo
Governo stato indicato da Nichi
Vendola come modello da emulare
nella lotta per riscattare il mezzogiorno dal sottosviluppo. In che termini ritiene che da regioni come la
Sardegna e il mezzogiorno possa ve-

Luglio Agosto 2005

nire un impulso per una nuova stagione di rinnovamento politico in


Italia e soprattutto con quale idea di
societ.
In Cina oggi credo che ogni anno si
producano circa trenta volte il numero degli ingegneri che si laureano in Inghilterra, immaginiamo
che tipo di crescita avranno questi
paesi. Ci nonostante, io non accetto lidea del declino del Mezzogiorno, e con esso della Sardegna, e
penso che linternazionalizzazione
delleconomia possa darci grandi
opportunit, non solo svantaggi.
In Sardegna solo il 31% supera la
terza media, solamente dieci occupati su cento hanno la laurea, mentre in Europa il dato del 32%, e allora qual il modello di sviluppo che
vogliamo?
Noi abbiamo detto anzitutto che
ora di finirla con lidea basata sulla
incessante costruzione di villaggi turistici e seconde case, unidea di sviluppo miope che consuma il nostro
territorio destinata ad esaurirsi
con esso - che offre prevalentemente
opportunit di lavoro per le quali basta la terza media (imbianchini, muratori, camerieri).
Io ho in mente una cosa diversa.
Questa concezione vecchia di turismo e questa concezione vecchia
delledilizia non costruiscono nulla,
non creano valore, puntano semplicemente alla sopravvivenza. E un po
come andare avanti alla giornata
vendendo i beni di famiglia, ma
come tutti sanno non si va avanti per
lungo tempo vendendo i beni di famiglia, al massimo ci campa una generazione, gi la seconda sar povera se non avr mandato i figli a
scuola, se non sar stata capace di
creare ricchezza autonomamente.
Oggi, nel mondo attuale, il modo
pi importante, il modo assolutamente importante, l'unico modo
per creare ricchezza passa attraverso la conoscenza. Non ci potr
pi essere un paese ricco e ignorante, nel futuro prossimo saranno
ricchi e staranno bene solamente i
paesi che avranno un livello di conoscenza adeguato per il mondo

Luglio Agosto 2005

contemporaneo, per questa Europa


che stiamo conoscendo, per questo
mondo globale in cui ci tocca vivere.
E allora abbiamo bisogno di pi diplomati, di pi laureati e di meno
metri cubi di cemento e villaggi per
vacanze preconfezionate. La nostra
idea di sviluppo parte dalla cultura
diffusa che pu esaltare e far germogliare la nostra storia, le nostre
tipicit, le nostre ricchezze naturalistiche, che possono interagire
splendidamente con linnovazione
e la modernit.
C' la nuova Europa, la nuova Europa composta da venticinque Paesi e
pi di cento Regioni. Tante di esse,
oltre a quelle del nostro Mezzogiorno, entreranno nei parametri di sostegno allo sviluppo previste dall
Obiettivo 1. Lo sviluppo della Sardegna e del Mezzogiorno oggi inserito in un quadro di competizione
molto pi vasto rispetto al passato
pi recente, tante Regioni percepi-

Guerra infinita/Lotta per la pace

ranno forme di assistenza europea


pi elevate rispetto a quelle riservate alla nostra e al Mezzogiorno nel
suo insieme.
E allora come rispondere a questa
nuova sfida? Come potremo dare risposte ai nostri bisogni, con quale
tipo di sviluppo? Cercando di fare tesoro, di fare perno, di fare leva su
quello che abbiamo. E in tutto il
Mezzogiorno abbiamo tanto in tema
di storia, cultura diffusa, saperi locali, tradizione, abbiamo tantissimo
in tema di ambiente.
Dunque per me il motore essenziale
dello sviluppo non pu che essere
l'intelligenza alimentata da un adeguato livello di conoscenza, che non
si ferma mai, che non si accontenta
del dato acquisito ma continua a crescere su s stessa.
Questo , io credo, il vero motore di
sviluppo di ogni paese, popolo, nazione e cultura, questa la battaglia
di progresso in cui siamo impegnati.

Note
1 Il DECRETO LEGISLATIVO 241 26 maggio
2000 - che ha modificato il DECRETO LEGISLATIVO 230/95, in Attuazione delle dire t t i v e
96/29/EURATOM in materia di protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i rischi derivanti dalle radiazioni ionizzanti - prevede
agli articoli 117, 118, 119, 120, 121, una normativa molto precisa e dettagliata sui piani di emergenza che sono totalmente elusi dalla Prefettura di
Cagliari e dalle altre autorit competenti in materia
2Lisola americana nel numero n. 3 Maggio
Giugno 2004 de lernesto .
3 Una prima intesa in direzione della progressiva
riduzione dei vincoli imposti dalle servit militari,
fu siglata nel 1985 tra il ministro della difesa
Spadolini e il presidente della Regione, Mario
Melis, quindi nel 1999 venne ratificata una nuova
un intesa Stato Regione, rispettivamente dal
P residente del Consiglio dei Ministri Massimo
D'Alema e quello della Regione sarda Federico
Palomba. Inutile sottolineare che entrambi gli accordi sono rimasti fino ad oggi lettera morta.

21

Luglio Agosto 2005

Politica/Dibattito

UNA GRANDE ALLEANZA


TRA UNA SINISTRA UNITA
E UN NUOVO CENTRO DEMOCRATICO
CORRISPONDE AGLI INTERESSI ATTUALI
DELLEUROPA

La dimensione
europea
delle scelte
dellUnione
UN CONTRIBUTO PER UN NUOVO CORSO EUROPEO POTREBBE VENIRE
DALLA VITTORIA DELLUNIONE SE LA SUA COSTRUZIONE FOSSE POSTA
SU BASI ADEGUATE. QUESTA ALLEANZA DA RIFONDAZIONE ALLUDEUR

di Piero Di Siena

ESATTAMENTE QUEL RAPPORTO TRA SINISTRA E CENTRO CHE DA PI


PARTI SI VORREBBE ESORCIZZARE

La discussione politica che ha caratterizzato il mese di agosto, quella


che si sviluppata attorno a
Bankitalia e alle scalate di Bnl e
Antonveneta e quella aperta da
Mario Monti sul neocentrismo, rischia di cambiare radicalmente il
quadro di riferimento entro il quale
si svolgeranno le elezioni politiche
del 2006. E se non ragionevole ipotizzare che si possa arrivare alle elezioni con schieramenti diversi da
quelli attualmente in campo, n che
sia necessariamente pregiudicata la
vittoria dellUnione, cos ampiamente anticipata dai risultati delle
elezioni regionali della scorsa primavera, possibile invece che ambedue gli schieramenti in lizza siano
percepiti dallelettorato come provvisori e che il nostro sistema politico
debba cercare altre strade e altri assetti per portare a compimento linterminabile transizione italiana
iniziata con il collasso dei partiti di
massa avvenuto tra il 1989 e i primi
anni novanta.
Non sono pochi coloro che iniziano
a pensare che se dalle elezioni tedesche dovesse scaturire una nuova
Grande Coalizione tra Spd e Cdu, ci
potrebbe segnare la crisi del bipolarismo non solo in Germania ma in
Europa. Anche per lItalia, dunque,
lo scenario se non nellimmediato
ma in una prospettiva ravvicinata
potrebbe radicalmente cambiare.

22

Se questa tendenza dovesse prendere piede, anche solo nelle aspettative di settori dell'opinione pubblica, per lUnione sarebbe una sciagura. Anche se dovesse vincere le
elezioni, la sua esperienza di governo sarebbe condannata allinstabilit, e potrebbe addirittura avere
breve durata. Cos potrebbero concepirla anche una parte di coloro
che dovrebbero esserne protagonisti, da Rutelli a Mastella, e ad un
certo punto forse settori della stessa
sinistra cosiddetta radicale, che potrebbero, di fronte alle difficolt,
avere la tentazione di ritornare a
rinchiudersi nei propri recinti e a
sottrarsi alla difficile sfida del governo. Sarebbe una sciagura per il
paese, che dopo la catastrofica esperienza di governo della destra e a
causa del maturare di questioni antiche e mai risolte, ha bisogno di un
periodo di stabilit politica per compiere quelle scelte impegnative capaci di scongiurare il pericolo che
il declino della nostra economia diventi irreversibile.
Rispetto a questi problemi, il passaggio delle primarie per designare
la leadership del centrosinistra non
costituir certo un contributo di
chiarezza. Decise per evitare che il
fallimento del progetto riformista, voluto in primo luogo da Romano Prodi e quindi fatto proprio
dalla maggioranza dei Ds, travol-

gesse come a un certo punto era


sembrato potesse accadere la tenuta stessa dellUnione, esse tuttavia
costituiscono il sintomo della tendenza non positiva alla forte personalizzazione del nostro sistema politico, allaffermarsi di un processo di
americanizzazione e tuttavia incapace di dare risposte stringenti ai
problemi di fondo del paese.
Per questa ragione, sebbene sia prevalsa anche a sinistra la convinzione
che le primarie possano costituire
uniniezione di partecipazione e democrazia rispetto allautoreferenzialit delle oligarchie politiche che
guidano i partiti attuali, mia opinione che meglio sarebbe stato che
tutta la sinistra avesse realizzato una
convergenza sul nome di Romano
Prodi. Si sarebbe cos circoscritto il
significato delle primarie al suo valore politico immediato, quello di
confermare una leadership del resto gi decisa allinterno dellUnione e da parte dei partiti che la compongono, e scossa solo dal fatto di
essersi troppo incautamente esposta rispetto al fallimento della
Federazione dellUlivo.
2. Comunque, l'instabilit e l'incertezza che caratterizzano il panorama politico italiano non troverebbero una loro del tutto adeguata
spiegazione se non si tiene conto
che esse sono alimentate, almeno in

Luglio Agosto 2005

parte, da una pari instabilit e incertezza della situazione europea. I l


problema di fondo che attanaglia
lEuropa, e a cui i governi dei principali paesi europei non sanno trovare una risposta da ormai pi di un
decennio, che rispetto agli Stati
Uniti e ai paesi asiatici emergenti
e ancor pi alla Cina leconomia
europea cresce molto a rilento. E in
Italia questa crescita, a causa dell'effetto congiunto di mali antichi e
della scellerata politica economica
della destra, sembra restare inchiodata allo zero. A ben vedere in questo che va cercata la ragione del fascino che il verbo neoliberista esercita sulle classi dirigenti europee, anche della sinistra, nella vana illusione che alla fine da esso possano
venire le risposte a questo problema.
E se le principali forze del popolarismo europeo, originariamente di
ispirazione cristiano sociale, hanno
imboccato una deriva neoconservatrice, anche per linnestarsi sul suo
tronco di esperienze estranee alla
loro tradizione come il partito di
Aznar in Spagna e di Forza Italia, il
socialismo europeo rischia di uscire
dalle esperienze dellultimo decennio, soprattutto quelle che lo hanno
visto svolgere una funzione di governo, diviso e smarrito.
Vi il rischio, infatti, di una separazione tra sinistra politica e mondo
del lavoro, in un certo senso anticipata prima in Inghilterra con Blair
e poi in Germania con Schroeder,
dalla rottura dei governi a guida socialista con il sindacato. Pu anche
accadere come sta avvenendo in
Francia e in una certa misura nei
paesi scandinavi che la ricollocazione a sinistra di una parte dei socialisti avvenga nel quadro di una
reazione di tipo nazionalistico allintegrazione europea. E in Francia, dopo il referendum sulla Costituzione europea, si fanno sempre
pi insistenti voci su una possibile
scissione del Partito socialista fondato ormai il lontano 1971 a Epinay.
N pu costituire unalternativa
compiuta a tutto ci lesperienza di
governo di Zapatero, nella quale
come ha acutamente dimostrato

Politica/Dibattito

Ritanna Armeni in alcuni suoi reportage dalla Spagna su Liberazione


alla fine dello scorso luglio la radicale esposizione sui nuovi diritti
indotti da un mutamento del rapporto tra condizione umana e senso
della vita nel mondo contemporaneo si coniuga, paradossalmente,
con una politica di basso profilo sul
piano economico e su quello dei diritti sociali.
In Italia la scelta della Federazione
dellUlivo, da parte della maggioranza dei Ds, si colloca nel solco di
queste tendenze del socialismo europeo, con in pi il fatto che questo
processo apparso non tanto come
unevoluzione interna alla sinistra
socialista, ma come una sorta di cooptazione della maggioranza della
sinistra italiana all'interno di altre
tradizioni culturali e politiche. Non
un caso che quando nel 2003
Romano Prodi lanci la proposta
della lista dell'Ulivo per le elezioni
europee, il manifesto che egli pose
a fondamento del suo progetto, nel
far riferimento alle basi ideali e politiche che lo ispiravano, citasse
esplicitamente l'europeismo di matrice cristiana e liberale (da De
Gasperi a Schumann, da Adenauer
a Spinelli), senza fare mai alcun riferimento alle tradizioni del socialismo e del comunismo italiani e europei.
Una delle ragioni dello smarrimento del socialismo europeo sta
nel fatto che nellultimo quindicennio, per fronteggiare la deriva
neoconservatrice del popolarismo,
non si mai costituito un vero centrosinistra europeo, inteso non come
evoluzione verso il centro delle
forze d'ispirazione socialdemocratica ma come unalleanza di portata
strategica tra due soggetti politici
autonomi ma convergenti, eredi
delle due principali tradizioni,
quella del socialismo e quella del
cristianesimo sociale, che avevano
in modo determinante contribuito
alla costruzione dello stato sociale euro p e o del secondo dopoguerra, di
quella nuova tappa della civilizzazione europea fondata sull'esperienza dellunit antifascista e sulla

rinascita della democrazia su basi di


massa dopo il crollo del fascismo e
del nazismo.
Le ragioni del mancato sviluppo di
quel centrosinistra di cui l'Europa
avrebbe bisogno sono tante e andrebbero indagate a fondo. Una di
queste ragioni pu risiedere nel
fatto che un centro democratico ha
stentato su scala europea a costituirsi come soggetto autonomo (basti pensare che i parlamentari europei dei popolari italiani e poi
della Margherita, fino alla passata
legislatura hanno aderito al gruppo
del Partito popolare europeo). Di
fronte a questo vuoto politico, in un
certo senso stato inevitabile per i
socialisti europei porsi il problema
di trasformare se stessi in soggetti
destinati a occupare il centro, recidendo per in questo modo legami
con la propria base sociale, in qualche caso abbandonata alle suggestioni populistiche dei neoconservatori. Il Nuovo Centro di
Schroeder, la terza via di Blair e
lulivismo allitaliana sono state le
espressioni politiche pi significative di questa tendenza. E quando
un nuovo centro democratico si
iniziato a costituire in Europa con il
gruppo parlamentare a cui aderisce
Rutelli (del resto voluto fortemente
da Prodi), linterlocutore cio una
sinistra socialista radicata nel sociale e con lattitudine al governo
sembrava non essere pi sul campo.
Il rischio che si trovino a confrontarsi invece due formazioni
provenienti da diverse tradizioni
politiche del Novecento ma profondamente influenzate ambedue
da tendenze neocentriste, pronte
pi a cooptarsi a vicenda che a stringere unalleanza tra loro, cio a formare una coalizione capace di parlare a un complesso panorama di
forze sociali e di orientamenti politici e ideali, e quindi alla maggioranza degli europei.
3. possibile invertire questo corso
delle cose? possibile cio che il socialismo europeo si ricollochi a sinistra e insieme sappia evitare che
questo significhi una chiusura entro

23

Politica/Dibattito

i limiti della propria tradizione e del


suo antico insediamento sociale attraverso l'apertura di un'interlucuzione con un centro democratico in
via di formazione?
S, possibile, e sarebbe anche necessario. Perch lungo la strada sin
qui intrapresa evidente che non ci
sono le risposte alle contraddizioni
irrisolte che investono il modello di
sviluppo europeo. Perch dovrebbe
essere ormai evidente che per questa via il socialismo europeo pu
sperdersi e frantumarsi. Perch
lungo questo percorso improntato a un rapporto feticistico con la
modernizzazione non possibile
trovare le risorse culturali, le alternative di valore necessarie per fronteggiare l'offensiva reazionaria dei
teocons e misurarsi con un
mondo in cui sempre pi i rapporti
tra gli uomini sembrano essere improntati alla relazione e pi spesso
al conflitto tra le diverse fedi religiose.
La costruzione di una grande alleanza tra una sinistra unita, che
inizi a colmare il fossato esistente tra
sinistra radicale e sinistra moderata,
e un nuovo centro democratico,
corrisponde dunque agli interessi
attuali del Vecchio continente. Per
affrontare le sfide della globalizzazione e il problema irrisolto della
sua bassa crescita, l'Europa deve
mettere in discussione i fondamenti
stessi del suo modello di sviluppo
(come del resto ha gia fatto all'indomani della seconda guerra mondiale attraverso la costruzione del
welfare state), porsi il problema della
qualit della crescita e di una nuova
divisione internazionale del lavoro.
Ha bisogno, per fare tutto ci, di
guardare senza complessi sia al primato degli Stati Uniti che alla concorrenza della Cina, ponendo con
forza il tema che, tra le regole che
debbono governare il mercato
mondiale, deve essere inclusa anche quella della graduale estensione dei diritti e del benessere di

24

chi lavora. Insomma, non meno tutele e diritti sociali in Europa, ma


pi diritti e tutele nei paesi competitori. Ci significa intanto che
l'Europa ponga finalmente a fondamento della sua unione politica
leconomia reale, una comune politica industriale, una riforma radicale delle sue politiche agricole, la
rivendicazione di un mondo multipolare non solo dal punto di vista
geopolitico ma anche da quello economico.
Certo, si tratta di una vera e propria
rivoluzione, che per potersi realizzare ha bisogno di una vasta base di
consenso. Pu suscitare questo consenso la sinistra da sola? Pu farlo
un nuovo centro sostanzialmente
subalterno alle culture liberiste prevalenti? O pu suscitarlo una nuova
aggregazione riformista rivolta
prevalentemente agli strati di lite
orientata dalla modernizzazione e
pronta a lucrare, per svolgere la propria funzione di governo, sulla crisi
di partecipazione che i sistemi elettorali maggioritari inevitabilmente
provocano?
Nessuna di queste ipotesi politiche
adeguata allo scopo. Dovrebbe essere del tutto evidente che per realizzare un consenso attorno a un
progetto di questa portata ci vuole
il concorso di pi forze, capaci di incidere nel profondo della societ
europea. questo in fondo il centrosinistra europeo di cui ci sarebbe
bisogno. Del resto, o lEuropa imbocca questa strada o soccombe alle
tendenze attuali della competizione
internazionale. Sono in gioco la sue
conquiste economiche e sociali, gli
stili di vita che vi si sono imposti, la
qualit della sua democrazia. Cose
che stanno a cuore alla maggioranza degli europei.
Ebbene, un contributo decisivo ad
aprire questo nuovo corso europeo
potrebbe venire proprio dalle elezioni politiche italiane e dalla vittoria dellUnione, se la sua costruzione fosse posta su basi politiche

Luglio Agosto 2005

adeguate. Infatti questa alleanza da


Rifondazione allUdeur nonostante le ipoteche riformiste e
neocentriste da cui stata sinora
condizionata esattamente quel
rapporto tra sinistra e centro democratico che da pi parti si vuole
esorcizzare. E sarebbe un bene se,
dopo le primarie, Prodi si acconciasse a interpretarne finalmente
questo suo carattere di fondo, questa condizione di fatto che l'unica
che riesce a garantirne stabilit e
equilibrio. Inoltre lItalia il punto
pi esposto alle sfide alte che
lEuropa deve affrontare, il paese
europeo che pi di ogni altro deve
mettere a tema una riforma delle
sue fondamenta economiche, del
suo apparato produttivo se vuole salvarsi dal declino. Questo non un
interesse solo della sinistra ma di
tutto quella parte del paese che
portata a investire ed a scommettere
su un allargamento e un rilancio
delle sue basi produttive.
Non c' alcun dubbio che l'esperienza di governo dell'Unione non
potrebbe reggersi a lungo se dovesse contare solo sul cemento costituito dalla comune avversione
delle diverse forze che la compongono a Berlusconi e a tutto quello
che egli rappresenta. Ma anche
vero che le differenze all'interno
dell'Unione potrebbero essere una
risorsa e cessare di costituire motivo
di imbarazzo, se fossero rappresentative della pluralit di soggetti chiamati in campo dal nuovo compromesso storico tra lavoro e capitale
necessario a realizzare quella convergenza di intenti in grado di dare
corpo a un programma di svolta e
di cambiamento.
Solo cos l'esperienza di governo
dell'Unione potrebbe garantire
quella stabilit indispensabile oggi
insidiata dalle ipoteche neocentriste, ieri dalle chimere riformiste
per svolgere quella funzione di governo di portata storica di cui l'Italia
ha bisogno.

Luglio Agosto 2005

Politica/Dibattito

VOGLIO ESPRIMERE LAPPREZZAMENTO


PER LA POSIZIONE ASSUNTA
DALLAREA DE LERNESTO CHE,
PUR FERMA NELLA SUA CRITICA
AL METODO DELLE PRIMARIE,
HA DECISO DI CIMENTARSI

Lo stato dellUnione
e la questione
morale

IN UNA BATTAGLIA ORIENTATA SUI CONTENUTI

USCIRE DALLA CRISI ATTRAVERSO LA MESSA IN CAMPO DI UNA


SINISTRA CHE NON NASCA DALLA SOMMA DEI CETI POLITICI DIRIGENTI
MA DALLE LOTTE NEL TERRITORIO, DALLA SOCIET, DAI MOVIMENTI

di Pietro Folena

a coalizione di centrosinistra ha vissuto, in questo agosto, uno dei periodi peggiori dalla sua nascita e le questioni allorigine di quellacceso dibattito (chiamiamolo cos, con un eufemismo) sono tuttaltro che risolte.
Proviamo ad analizzare lo stato
dellUnione. Il progetto della Federazione dellUlivo, che sottendeva quello di un partito unico riformista, naufragato di fronte alle
sue contraddizioni interne. Nato
per mitigare la competizione tra i
due maggiori partiti del centrosinistra (Ds e Margherita) ha finito per
accentuarla fino ad uno scontro al
calor bianco che ha diviso ancor pi
le due gambe dellUlivo e ha prodotto allinterno dei DL una frattura strategica.
Quel progetto era e rimane sbagliato per molti motivi che la sinistra dei Ds ha cercato di portare allattenzione del partito durante la
fase congressuale e che possono essere ricondotti a due temi, uno di
merito e laltro di metodo: la necessit, nella societ della globalizzazione, di contenuti e politiche
chiaramente di sinistra per uscire
dalla crisi del neoliberismo (e
quindi lesistenza stessa della sinistra organizzata in quanto tale) e la
consapevolezza che non sono le alchimie tra ceti dirigenti (la Fed) a
poter risolvere i problemi politici.
Questultimo tema, peraltro, non ri-

guarda solo la parte riformista-moderata dellUnione ma, come cercher di dire pi avanti, anche la nostra parte.
La competizione tra Quercia e Margherita non un accidenti dovuto a
qualche bizzarra posizione di Francesco Rutelli. E, invece, leffetto pi
evidente delle scelte politico-identitarie del gruppo dirigente riformista
e in particolare della maggioranza
dei Ds da Pesaro in poi. Anche in passato non lo nascondo la Quercia
ha assunto posizioni moderate e in
parte centriste. Ma da quel congresso in avanti queste posizioni
sono diventate sistema e governo del
partito. Un processo che ha trovato
un forte ostacolo nei movimenti,
nella sinistra Ds, nel sindacato. Ma
che, alla fine, ha visto prevalere lautoreferenzialit del partito e del suo
ceto politico.
Se questo il quadro, non stupisce
allora quanto avvenuto in questo
agosto burrascoso. Lo dico senza
boria ma anche senza peli sulla lingua: quando si d un giudizio positivo dellazione di Bettino Craxi,
naturale che, davanti ad operazioni
finanziarie diciamo allegre, si
corra in difesa di chi in quel momento protagonista di ci che
viene definita una rottura degli
equilibri pre-esistenti. Si tratti di scalate alla Telecom o a qualche banca,
tutto ci che odora di capitani co-

raggiosi viene visto sotto una luce


positiva. La rinuncia a riformare il capitalismo con la politica (dove riformare significa letteralmente
dare una nuova forma) porta ad affidarsi a qualche new comer che
questa lillusione possa svecchiare
il sistema economico ingessato del
nostro paese. Se questo diventa lobiettivo, va bene tutto, cooperative e
immobiliaristi, produttori e speculatori. Limportante che somiglino il
pi possibile al modello rampantista
in voga negli anni 80.
Si usata lespressione questione
morale, evocando cos gli anni di
Tangentopoli e la corruzione nella
politica e negli affari. In realt oggi
i fatti non parlano di mazzette e di
favori. Ma, a ben vedere, la questione attuale ancor pi morale
di quella dellepoca tangentista perch non attiene a reati compiuti da
politici per favorire(o ricattare) certe imprese, quanto ai comportamenti della politica nei confronti
della finanza, e al dominio delleconomia e del mercato sulla politica. Piero Fassino non ha compiuto
alcun illecito parlando con Giovanni Consorte. Ma non un comportamento accettabile, da parte di
un leader della sinistra, quello di aggiungersi agli ammiratori delle scalate trasversali. Prodi ha giustamente richiamato tutti a questa moralit dicendo: Non ce lo vedo

25

Politica/Dibattito

Ciampi che telefona a Fiorani.


Aggiungo: Non ce lo vedo
Berlinguer che telefona a Consorte
e non me lo immagino difendere
unoperazione che nulla ha a che
fare con la vocazione cooperativistica. Quando ero segretario del Pci
siciliano, insieme ad Achille Occhetto, aprii una vertenza con le
cooperative affinch abbandonassero certi consorzi in odore di mafia. Mi sarei aspettato che il segretario dei Ds facesse qualcosa di simile
con lUnipol, perlomeno invitandola ad evitare commistioni con altre e ancor pi inquietanti scalate.
Questa moralit, questi comportamenti, possono tuttavia nascere
solo da una diversa visione dei rapporti tra politica ed economia. Si
parla tanto di primato della politica, ma pare che tale espressione
oggi significhi che essa devessere
agita solo dai professionisti (e
non, quindi, dai movimenti). Credo
invece che primato della politica
unespressione che ha senso (un
senso di sinistra) solo se significa
separazione tra poteri pubblici e interessi privati e primazia dellinteresse collettivo su quello particolare. Se ci non , non riesco a capire dove stia la differenza tra una
politica di sinistra (socialdemocratica, comunista, cattolico-sociale)
ed una di destra.

LE

PRIMARIE

Quanto detto attiene al tema pi generale della crisi della politica e dei
partiti. Il centrosinistra, in questi
anni, ne stato investito appieno.
Da un lato, sugli aspetti di contenuto, la sinistra moderata non ha saputo rispondere alla sfida di governare gran parte dellEuropa nella
fase di passaggio tra lascesa e il declino del consenso al neoliberismo.
Troppo stato concesso al pensiero
unico, forte stata lubriacatura di
cui persino alcuni esponenti riformisti si sono lamentati.
Dallaltro lato, i partiti democratici
non hanno saputo cogliere ci che
di buono e di nuovo veniva dai mo-

26

vimenti contro la globalizzazione


neoliberista. Movimenti che hanno
dimostrato la loro maturit quando,
abbandonando ogni residuo di luddismo, hanno puntato su un altro
mondo possibile, unaltra Europa
possibile e unaltra globalizzazione possibile divenendo cos alter-global piuttosto che no-global. Per inciso: si tratta di una riproposizione attuale dellantica lezione marxiana che non ha mai visto un male nella modernit in s,
ma ha cercato di cogliere gli elementi potenzialmente innovativi e
rivoluzionari per torcerli a favore
dei soggetti sociali di riferimento.
La politica, la nostra politica, si
rinchiusa in un fortino autoreferenziale. Migliorare la globalizzazione significava solo gestirla con i
nostri uomini e i nostri governi.
Migliorare il capitalismo significava
(significa ancora, per molti) farlo
gestire ad imprenditori amici. Combattere lavversario politico significava strappargli consenso sul suo
stesso terreno, imitandolo. Berlusconi lalfiere della modernizzazione questo stato il leit motiv del
congresso della Quercia nel 2001
noi dobbiamo accettare la sua sfida.
Non comprendendo ci che a molti
era evidente sin dal 1994: che il berlusconismo non lo si combatte rincorrendolo ma contrapponendogli
unaltra visione, unidea alternativa, persino una contro-cultura
(perch il berlusconismo vince anche grazie allegemonia culturale
della tv commerciale).
Gli elettori, il nostro popolo, nel
frattempo si organizzavano al di fuori dei partiti. Certo, un processo
che va avanti da decenni e non attiene solo allultima fase. E, tuttavia,
tra lultima parte della scorsa legislatura e loggi esso ha prodotto i
suoi effetti pi evidenti e devastanti (sia in senso positivo che negativo): da una parte il rinsecchimento dei partiti tradizionali e dallaltra il sorgere di grandissimi movimenti di massa (anzi no: di moltitudini) capaci di svolgere quel compito di egemonia cui la politica tradizionale aveva scelto, sciente-

Luglio Agosto 2005

mente, di rinunciare.
Oggi si parla di crisi dei movimenti.
C del vero. Ma non sono in crisi le
idee che hanno animato quei movimenti. Pi banalmente, il muro
eretto dalla politica tradizionale ha
occluso lo sbocco che questi soggetti cercavano, uno sbocco che
non significava diventare soggetto
che concorre al potere (anzi, i movimenti hanno sempre rifiutato il
potere) quanto cambiare il potere
attraverso lazione dei movimenti.
Per quanto detto, si tratta di un
obiettivo fallito? Io non credo.
Penso al contrario che siamo in una
fase di transizione i cui esiti sono
tutti da definire. Se da un lato la politica cerca di fortificare il suo castello incantato, dallaltro linsoddisfazione dellelettorato si trasferita dalle piazze alle urne. Le primarie pugliesi sono state questo. Ha
pienamente ragione Nichi Vendola
quando dice che senza Scanzano,
senza Cosenza, senza le lotte di
Terlizzi e delle tante piccole e grandi realt del Mezzogiorno non ci sarebbe mai stata la sua vittoria alle
primarie. Ed ha ancor pi ragione
quando rinfaccia ai politologi lerrore commesso quando preventivavano una sicura sconfitta nelle elezioni vere. Vendola ha vinto le primarie e ha vinto le elezioni perch
il Sud di oggi esprime una domanda
di cambiamento inedita. Una domanda che anche nazionale.
Per questo credo che le primarie
dellUnione siano una grande occasione. Non perch siano oggi prevedibili risultati sconvolgenti (anche se qualche sorpresa gli elettori
del centrosinistra, stanchi delle
schermaglie di un ceto ristretto, la
possono riser vare, e Fausto
Bertinotti ne pu essere premiato).
Ma perch il meccanismo delle primarie rompe lo schema autoreferenziale della politica del centrosinistra. Chiunque vinca dovr tenere
conto di ci che pensano gli elettori
da cui stato nominato, elettori che
hanno vissuto, attivamente o no, la
stagione dei movimenti di questi
anni. Non a caso Prodi sfida Bertinotti su contenuti di sinistra. Sa

Luglio Agosto 2005

bene che si vincer nel 2006 solo se


gli elettori avranno la chiara percezione dellalternativit del nostro
schieramento rispetto al governo attuale su temi come la guerra, il lavoro ed anche la moralit.
Non condivido quindi le critiche
alle primarie come personalizzazione, plebiscitarismo, presidenzialismo. Certo, vedo i pericoli
insiti in questo meccanismo. Ma
qualsiasi meccanismo di partecipazione ha i suoi pericoli. Forse le vecchie regole hanno impedito ai partiti di governo di occupare lo stato?
Cera pi partecipazione alla politica (intesa in senso lato) negli anni
80 e 90, quando nessuno osava
mettere in discussione il CAF, i licenziamenti della Fiat, le privatizzazioni, oppure oggi?
Laltra critica che si muove alle primarie la loro origine statunitense.
A parte il fatto che le primarie (e le
primarie di coalizione, in particolare) esistono anche in alcuni paesi
del Sud America, non vedo perch
il solo fatto che siano in vigore negli Usa spaventi tanto.
Gli Stati Uniti hanno esportato anche la divisione dei poteri e non
credo che qualcuno possa lamentarsene. N si pu dire che siano per
questo presidenzialiste. Sono
semmai un contrappeso al presidenzialismo nel sistema istituzionale americano.
E, se in Italia fossero estese anche ai
singoli deputati e senatori, potrebbero essere un ottimo contrappeso
nel sistema del maggioritario di collegio (che comunque ha mostrato
la sua inefficacia e forse andrebbe
rivisto radicalmente, salvando tuttavia il bipolarismo), nel quale sono
10 persone a decidere chi andr in
parlamento.
Tuttavia, su questa rivista, voglio
esprimere lapprezzamento per la
posizione assunta dallarea de lernesto che, pur ferma nella sua critica al metodo delle primarie, ha deciso di cimentarsi in una battaglia
orientata sui contenuti. Credo che
partecipare, seppur in modo critico, sia pi di sinistra che stare
alla finestra.

Politica/Dibattito

IL

GOVERNO E LA SINISTRA

Le primarie, quindi, come grimaldello per scardinare le serrande


chiuse della politica dei partiti. Ma
per fare cosa? Non per andare al
governo o per concorrere alla
spartizione del potere. N per
dire voglio lX percento di punti
programmatici perch ho avuto lX
percento alle primarie. Nulla di
tutto ci. Sarebbe un madornale errore trasformare uno strumento di
partecipazione in una resa di conti
preventiva tra i partiti tanto sul
piano delle poltrone quanto su
quello dei contenuti. Questi ultimi
poi, saranno certo al centro della
compagna per le primarie, ma non
potranno da essa venire determinati. Il ritiro dallIraq e il no alla
guerra come metodo per affrontare
il terrorismo o qualsiasi altro problema che avremo davanti non dipende e non pu dipendere dalla
percentuale di Fausto Bertinotti.
Vale anche il contrario: la riforma e
la liberalizzazione delle (ben
poco) libere professioni, cavallo di
battaglia (peraltro disatteso) di una
parte dei riformisti, credo dovr essere un punto programmatico di
grande rilievo anche se il candidato
della sinistra vincesse con il 99,9%.
E dopo le primarie? La fase che si
aprir avr al centro il programma
di governo. Le scelte da fare. Gli interessi da rappresentare. Le aspettative da soddisfare. Per chi si colloca a sinistra nellUnione molto
chiaro ci che dovr esserci nel programma di governo. Non la mera
cancellazione delle pessime leggi
del centrodestra (mercato del lavoro, immigrazione, riforma della
giustizia e leggi ad personam, controriforma della scuola, ecc.) ma anche uninversione di tendenza rispetto alle politiche neoliberiste
che hanno caratterizzato parte dellazione dei governi dellUlivo. Non
basta cio cancellare la legge Biagi,
perch cos torneremmo alla legge
Treu. Al contrario, dobbiamo mettere in discussione la flessibilit.
Non basta abolire la Bossi-Fini, occorre rivedere anche la Tu r c o - N a-

politano (a partire dallabolizione


dei centri di permanenza temporanea). Non va bene criticare il governo Berlusconi perch ha privatizzato poco, occorre al contrario ripubblicizzare i beni comuni a partire dallacqua. Non si possono rincorrere le sirene della privatizzazione dei saperi, bisogna invece
puntare sulla condivisione e la libera circolazione della conoscenza.
Credo che vi siano i margini per fare
queste scelte (il forum sullimmigrazione in Puglia, per fare un
esempio, ha dimostrato come anche lottusit dei vertici nazionali
dei partiti pu essere superata). Ma
occorre mobilitare, intorno a questi obiettivi, tutta, ma davvero tutta,
la sinistra. Movimenti, associazioni
(penso alla piattaforma dellArci),
sindacato, partiti e pezzi di partiti.
E una battaglia delle idee che si pu
vincere perch poggia sulle mobilitazioni di questi anni che si sono
profondamente depositate nella coscienza collettiva del popolo della sinistra e persino in parte degli elettori del centro progressista.
Andare al governo, quindi, per cambiare. Ma avendo anche coscienza
dei limiti della politica e del potere
politico. Mai come oggi, con lo svuotamento di ruolo dello stato nazionale e con il predominio delleconomia sulla sfera pubblica, andare
al governo non pi la meta,
quanto un mezzo. Uno dei mezzi.
Utile, forse ancora indispensabile
(non fossaltro per evitare che
venga demolita la Costituzione e il
modo di vita basato sul welfare), ma
non lunico. Agire nella societ, infatti, a livello mondiale quanto a livello di singolo quartiere cittadino,
diviene sempre pi la strada maestra per cambiare i rapporti di forza
e il senso comune.

L I N I Z I AT I VA D I
UNITI A SINISTRA
In questo crinale, tra politica e movimenti, tra partiti e sindacato, che
si colloca Uniti a sinistra, la rete
che abbiamo formato lo scorso lu-

27

Politica/Dibattito

glio e che vogliamo far crescere in


questi mesi. Lobiettivo non di
breve periodo e neppure di corto respiro. Non guarda alle elezioni del
2006 ma oltre. E parla di merito e
metodo. Il merito sono i contenuti
della sinistra. Il metodo la partecipazione e lidea di far nascere, dal
basso, una nuova soggettivit della
sinistra.
Una soggettivit di cui si sente largamente bisogno nellelettorato,
non sono in quello pi radicale,
ma anche in una parte dei ceti medi
che sarebbe sbagliato etichettare
come moderati. I processi innescati dalla fine del fordismo hanno
davvero cambiato tutto.
Cos come in pezzi della base di consenso di un partito come i Ds crescono insofferenza e allontanamento che per non trovano ancora,
nella sinistra cosiddetta di alternativa (io sono per una sinistra senza

aggettivi, come si intitola il volume


che ho scritto, insieme ad Alessandro Genovesi e Paolo Nerozzi,
appena uscito per Baldini Castaldi
Dalai) uno sbocco credibile. Per
questo penso alla nostra iniziativa
come ad uno sprone e ad un luogo
di contatto, di ponte, tra culture finora distanti ma che si sono notevolmente avvicinate nel corso di
questi ultimi 5 anni.
La simpatia o la piena condivisione
di pezzi significativi del mondo sindacale, di associazioni nel territorio
che sono state protagoniste di lotte
per i diritti, di gruppi come quello
del Cantiere di Occhetto e Falomi
(questultimo promotore, insieme
a me e Francesco Martone, dellappello che ha dato vita alla rete) dimostrano che c una domanda
forte alla quale non stata data ancora risposta.
La partecipazione il vero cardine

Luglio Agosto 2005

sul quale si innesta tutto, dalle primarie alla formazione del programma alla ricomposizione della
sinistra sar il nostro metodo di lavoro.
Niente comitati centrali, niente
cappelli, niente sezioni di Uniti
a sinistra ma tante realt in rete con
la loro specificit territoriale, tematica, culturale.
Insomma, il contrario di un partito.
Non perch i partiti siano male o
perch non servano pi a nulla.
Ma perch se ci si vuole muovere
verso una sinistra in grado di rappresentare il lavoro, il precariato, il
non lavoro, il pacifismo, laltermondialismo, la critica allesistente,
la straordinaria occasione offerta
dalla condivisione dei saperi, non ci
si pu muovere aggregando ceti dirigenti, ma procedendo dalla sinistra che esiste nella societ prima di
quella che esiste nei palazzi.

Domenico Losurdo
Controstoria del liberalismo
Biblioteca Universale Laterza, pp. 376
euro 24,00

Come spiegare che nellambito della tradizione


liberale la celebrazione della libert va spesso
di pari passo con lassimilazione dei lavoratori
salariati a strumenti di lavoro e con la teorizzazione del dispotismo e persino della schiavit a
carico dei popoli coloniali?
In questo volume Losurdo indaga le contraddizioni e le zone dombra da sempre trascurate
dagli studiosi, siglando una controstoria che evidenzia la difficolt di conciliare la difesa teorica
delle libert individuali con la realt dei rapporti
politici e sociali.

28

Luglio Agosto 2005

Politica/Dibattito

Lesito disastroso del governo


di centro-destra pone ormai
il problema di un ricambio
alla guida del paese non solo
alle forze riformiste, ma anche
ai poteri forti variamente dislocati

Dare unit
e forza
alla sinistra tutta

di Franco Ottaviano
Presidente Casa delle Culture di Roma

IL PRIMO COMPITO PER BATTERE BERLUSCONI COSTRUIRE LALTERNATIVA

ochi mesi ci separano dalle prossime elezioni politiche. Per la


quarta volta si vota col maggioritario: la vittoria del Centro destra nel
94 laffermazione dellUlivo nel 96,
la sua sconfitta nel 2001. Rispetto a
questo ciclo politico lUlivo ha ceduto il passo allUnione, e nella coalizione dei partiti che la compongono, evento inedito, per la prima
volta si ritrovano insieme tutte le sinistre. Tutte si candidano al governo del paese.
LUnione ha definito le sue tappe di
partenza: le primarie a met ottobre,
a dicembre la Convenzione programmatica. Allinterno di questo
percorso stanno gli appuntamenti
dei partiti e delle forze che si richiamano alla sinistra-sinistra dellalleanza. Alcuni collegati alle primarie, altri ai temi programmatici,
come le iniziative del Cantiere delle
riviste e la Conferenza programmatica del 12 novembre promossa dalla
Camera di consultazione della sinistra e decisa unitariamente da tutti i
soggetti che hanno partecipato all
Assemblea de il manifesto (15 gennaio) costruita allinsegna del significativo slogan Verso sinistra.
Come lascito dellestate, lo spettacolo che offre di s lUnione non
esaltante. Polemiche e competizione. La riproposizione della questione morale con annessi e connessi. Gli slittamenti centristi (o ba-

ricentristi) della Margherita. Lafasia, come ha scritto Diamanti su la


R e p u b b l i c a dei Ds, primo partito
della coalizione. La nostra sinistrasinistra, a differenza di quanto sta
avvenendo in Germania, resta divisa, priva di una rappresentanza
unitaria. Una frammentazione a cui
non concorrono certo le primarie.
Tuttaltro. Queste sono accompagnate da diffidenze di principio, incertezze sullo strumento, sul suo
uso e sulle sue implicazioni leaderistico-plebiscitarie. Due i candidati
espressi da questarea: Bertinotti e
Pecoraro Scanio, e quasi sicuro un
candidato proposto autonomamente dai disobbedienti.
Si avverte un abisso fra lattuale stato
dellUnione nel suo insieme e la
forza innovativa espressa dal protagonismo sociale e civile che ha caratterizzato i primi anni dellopposizione al secondo governo Berlusconi. Nel confronto con quella stagione, le riposte date dai partiti del
centro-sinistra e cosa che ci riguarda pi da vicino anche da quelli
della sinistra-sinistra appaiono deludenti. Si ripropone il divario fra
movimenti (nelle varie configurazioni che hanno assunto) e partiti.
Lappello di Flores dArcais per un
candidato della societ civile alle
primarie, e le posizioni espresse dai
disobbedienti sono due facce del
medesimo problema irrisolto: lau-

tonomia dei movimenti e una rappresentanza non delegata al solo sistema dei partiti. Al di l degli esiti
e nella loro diversit, denunciano
lincapacit della sinistra di essere il
luogo della democrazia partecipata
e deliberante, lo spazio pubblico
delle decisioni collettive.
Tutto ci nonostante i risultati elettorali conseguiti e la crisi comatosa
e a mio avviso irreversibile in cui
versa il centro-destra. Dalla natura
di questa crisi dovremmo partire
per affrontare con coerenza e responsabilit l urgenza della ricomposizione dellintera sinistra-sinistra, politica e sociale.
Lesito disastroso del governo di
centro-destra pone ormai il problema di un ricambio alla guida del
paese non solo alle forze riformiste,
riformismo debole o forte che sia,
ma anche ai poteri forti variamente
dislocati. Per il vecchio e nuovo capitalismo, per gli esegeti del mercato e del liberismo, gi oggi il punto come condizionare lUnione.
Le dichiarazioni di Mario Monti
sono state molto esplicite in proposito. Nulla scontato, ma quello che
si avverte allorizzonte la possibile
fine dellanomalia berlusconiana.
Anomalia che ha saputo tenere insieme ex democristiani, ex socialisti, ex liberali, Alleanza nazionale e
Lega. Un ibrido senza precedenti.
Estraneo alla tradizione democra-

29

Politica/Dibattito

tica italiana. La sua sconfitta aprirebbe molte incognite rispetto alla


geografia politica di entrambi gli
schieramenti, e avrebbe inevitabili
conseguenze nelle dinamiche del
prossimo governo, anche a fronte di
una vittoria del centrosinistra. Uno
scenario mobile rispetto al quale le
aperture bipartisan rutelliane e loffensiva dellUdc allinterno della
Casa delle libert assumono le caratteristiche di prove: non immediate disarticolazioni dei rispettivi
poli di riferimento, ma indicazioni
prospettiche di ipoteche centristemoderate sul futuro del paese.
In questo contesto scivoloso assume
un rilievo particolare la questione
delle questioni nel panorama dellinfinita e incompiuta transizione
italiana: il ruolo della sinistra-sinistra. La domanda semplice: nella
sua attuale configurazione partitica
e sociale sar in grado di spostare
lasse dellUnione? Non credo che
questo possa avvenire se non sar capace di uscire dal labirinto che essa
stessa ha costruito: tre partiti (Rifondazione, Comunisti Italiani, Verdi),
la minoranza di sinistra dei Ds oggi
silente , associazionismo politico,
gruppi, movimenti e frammenti
sparsi. I dati elettorali non sono
schematicamente sovrapponibili
alla qualit dei conflitti che si in
grado di costruire, ma sono pur
sempre rivelatori della forza di consenso e del peso che si pu esercitare nel sistema politica. Alle ultime
europee Rifondazione si attestata
al 6,1, i Comunisti italiani al 2,4, i
Verdi al 2. Solo un partito in grado
di superare la soglia imposta dalla
legge al proporzionale. Questa debolezza elettorale e partitica non
pu attrarre a s la sinistra diffusa,
il disagio della sinistra diessina. Non
interpreta le aspirazioni di un popolo di sinistra sempre pi nomade,
che non si identifica pi in una nomenclatura fatta di appartenenze.
Nicchie quali sono, questi piccoli
partiti, da solo ognuno di essi non
rappresenta la sinistra senza aggettivi di cui si avrebbe bisogno.
Nella discussione in corso e non
da oggi nessuno dei partiti in que-

30

stione e nel movimento contesta la


prospettiva di una ricomposizione:
dichiarazioni dintenti alla lunga
stucchevoli e retorici se non trovano
una loro concretizzazione. La scadenza elettorale, come era naturale,
ha riproposto la questione. E probabilmente lha persino complicata. La stessa esperienza della Camera di consultazione della sinistra,
nata sullonda della partecipata assemblea alla Fiera di Roma, ne ha
risentito. Le elezioni ci saranno, ci
saranno le liste. Per una prospettiva
di unit delle sinistre possono essere unoccasione o un appuntamento mancato. Dipende da tutti
noi. Le soluzioni che ci saranno influenzeranno il dopo.
Varie ipotesi si confrontano fra loro.
Lappello alla lista unitaria dei sindacalisti Cgil che hanno animato il
Forum per lalternativa. Posizione
questa che si incrocia con chi sostiene la Lista Arcobaleno, con tutti
oppure solo di Verdi, Comunisti italiani e settori di movimento. Significativo, anche per le implicazioni
nazionali, il documento dei disobbedienti romani per una lista unitaria nella capitale. A queste posizioni, dalle file di Rifondazione altre se ne contrappongono. C la linea del rinvio a dopo le elezioni:
Folena, presentando Uniti a sinistra, nuova sigla in un panorama
gi troppo affollato, ha persino indicato la data dellautunno 2006.
Quella della fiducia: votiamo
Bertinotti alle primarie e poi oggettivamente succeder qualcosa
(Sansonetti). Quella delle soluzioni
parziali: no ad una lista comune al
proporzionale, ma possibili convergenze unitarie al maggioritario
(Sentinelli). In un difficile tentativo
unitario, la proposta avanzata da
Alberto Asor Rosa. Facendo propria
lidea del percorso di avvicinamento affacciato nel dibattito su
Liberazione, lipotesi di tre tappe correlate fra loro e a cui tutti dovrebbero concorrere, partiti e movimenti: nonostante la partenza, far in
modo che la candidatura alle primarie di Bertinotti non sia espressione di un solo partito; un chiari-

Luglio Agosto 2005

mento sul programma; una discussione sulle modalit e criteri delle


candidature nei collegi uninominali e di formazione delle liste nel
proporzionale per le elezioni politiche generali del 2006.
Missione impossibile si sarebbe portati ad affermare dopo la replica di
Rina Gagliardi e le interviste, le dichiarazioni e gli scritti di Bertinotti,
tuttavia per chi come gli animatori
della Camera di consultazione della
sinistra convinto della prospettiva
di una ricomposizione della sinistra
bene tentare e ritentare fino allultimo.
Debbo ammettere che non trovo
convincenti gli argomenti che Rifondazione, almeno nella sua maggioranza, oppone alla lista unitaria.
La sua storia recente e le innovazioni culturali prodotte avrebbero
fatto pensare ad una maggiore disponibilit, se non altro a discuterne
la praticabilit. Rispetto alle sue attuali posizioni, le critiche ad una lista unitaria della sinistra dalternativa (preferirei dire solo sinistra),
il trincerarsi, anche fra molte riserve
interne, dietro la candidatura del
proprio segretario alle primarie, appaiono lontane dalle riflessioni
delle sue varie componenti allindomani di Genova, in un dibattito
non facile ma sicuramente denso di
fertili spunti nella direzione di una
nuova e forte sinistra.
Fra laltro non facile districarsi
nelle contraddizioni che sono motivo di contrasto nel suo gruppo dirigente.
Suscitando reazioni critiche da
parte della minoranza, il responsabile esteri del partito, Migliore, ha
definito la nascita del Partito di
Sinistra in Germania uno dei pi
interessanti processi politici visti nel
nostro continente e scritto che nel
processo portato avanti da Gregor
Gysi e Oskar Lafontaine (rispettivamente leader dellala moderata della ex Pds luno e leader della Wasg
laltro) vi sia lindubbia volont di
fare un passo storico, e infine che
la nascita del Partito di Sinistra in
Germania pu contribuire allapertura di un nuovo spazio politico

Luglio Agosto 2005

continentale per la sinistra alternativa. C da domandarsi perch la


sinistra italiana non potrebbe seguire questa lezione. E quando se
non ora?
Oggi Rifondazione rappresenta il
principale partito della cosiddetta
sinistra critica, e quindi le sue resistenze rischiano di compromettere
il futuro di ogni ricostruzione della
sinistra, che per essere tale non pu
prescindere dal suo concorso. del
tutto evidente che ogni processo ricompositivo non potr essere lineare e scontato. Non potr essere
una forzatura organizzativa o una
contingente operazione elettorale.
Ovvio. Ma altrettanto ovvio che
pu realizzarsi solo misurandosi
sulle forme dellorganizzazione e
della rappresentanza. Contenuti,
pratiche e metodo vanno insieme.
Se si immagina questo processo
come un incontro di stati maggiori,
lo scivolamento nel politicismo assicurato, Si tratta, invece, di costruire un processo capace da subito
di mettere in discussione le attuali
forme della politica, e quindi di innervarsi nel protagonismo sociale
diffuso. Superare cio lasimmetria
fra partiti e movimenti, nella loro
complessa pluralit, attivando una
democrazia partecipata capace di irrompere nella politica trasformandola.
A partire da Genova, passando per
lurlo di Moretti, i tre milioni del 23
marzo, il milione di Piazza S. Giovanni, il social Forum di Firenze, le
imponenti manifestazioni pacifiste
e le tante, tante mobilitazioni, si
scompaginata l eredit delle divisioni dell89.
Archeologia del passato rispetto allorizzonte di un nuovo mondo
possibile e, perch no, di un altra
Italia possibile. In questo crogiolo
di pratiche, culture e desideri si
sono gettate le basi della sinistra oltre il Novecento. Allincapacit di
dare forma politica a tutto ci, e non
sono alle dinamiche fisiologiche dei
movimenti, va imputato quello che
troppo frettolosamente considerato il loro attuale ripiegamento.
Un precipitato in cui si sono river-

Politica/Dibattito

sate molte storie politiche e persino


prepolitiche: le esperienze di resistenza allenfasi liberista che ha contrassegnato gli anni novanta, il pacifismo, lambientalismo il volontariato laico e cattolico, il neofemminismo, la domanda di ampi settori
della societ civile di una nuova moralit pubblica.
Nelle questioni poste, nei conflitti
che ha generato, nel suo svolgersi,
nei soggetti coinvolti, si sono oltrepassati confini e recinti tradizionali.
Differenze di storie, origini e culture messe insieme dalle molte comunanze: la pace, i diritti, il lavoro,
la critica alla globalizzazione e al liberismo. Rispetto alla situazione italiana, la critica radicale allesperienza dei governi di centro-sinistra
e la rivendicazione di unaltra politica. Esibita nelle lotte, nelle piazze,
in una capacit di coinvolgimento
estranea alla politica nota. Queste
tensioni, proprio in quanto originate da soggetti diversi, esprimevano una critica a tutti i partiti del
centro-sinistra dentro o fuori del
vecchio Ulivo. Tutti ritenuti responsabili della sconfitta, anche se il
cuore di questa protesta-proposta
era il moderatismo del governo di
centro-sinistra. La cronologia delle
lotte e delle imponenti manifestazioni, con il corredo della discussione e delle polemiche che hanno
suscitato, dimostra che fra i partiti
della sinistra critica e questa opposizione sociale si intessuto un dialogo pi ravvicinato che non con i
settori moderati del vecchio Ulivo e
la maggioranza Ds. Tuttavia, a mio
avviso questo dialogo non si tradotto in un ripensamento delle
forme in cui la sinistra tutta doveva
rideterminarsi dopo le sue antiche
o pi recenti divisioni. Probabilmente, nonostante le aperture di
credito e i riconoscimenti, questa
opposizione sociale e i movimenti
che lhanno espressa sono stati considerati pi come potenziali bacini
di consenso che soggetti protagonisti e autonomi di una riscrittura dei
codici organizzativi e culturali di
una altra sinistra.
Un limite su cui ha pesato in modo

decisivo la difesa delle appartenenze. Una difesa che ha pesato


nelle stesse relazioni fra i partiti
della sinistra che si sono contrapposti alla deriva moderata dei Ds.
Paradigmatica a tal proposito la vicenda della sinistra diessina: vicina
ai movimenti, dialogante con tutte
le sinistre critiche, ma pur sempre
nellalveo dei Ds. Una non scelta
che nellultimo congresso lha portata a ridurre persino il suo peso interno ai Ds e a non trattenere lemorraggia di dirigenti e militanti.
Prima i contenuti poi lunit, si
detto molte volte. Giusto, anzi giustissimo. Ma a cosa sono servite le
tante iniziative realizzate in questi
anni? Iniziative a cui hanno partecipato tutti i partiti e movimenti,
quellinsieme che forma il partito
sociale, come lo definiva il compianto Tom Benettollo, e che oggi
potrebbe rideterminarsi non secondo le regole del modello da vecchio centralismo democratico, ma
in inedita ununit di diversi, plurale, fatta di unampia articolazione
di autonomie tenute insieme da una
comune progettualit e rappresentanza. I documenti elaborati riempiono interi scaffali, i siti nazionali
e locali dei movimenti, delle associazioni, dei gruppi, sono ricchi di
spunti, proposte. Il Forum per lalternativa ha sintetizzato 13 punti
programmatici gi nel 2004.
Il Cantiere delle riviste ha e sta lavorando alacremente.Gli incontri, i dibattiti, le lotte comuni non sono
state esercitazioni retoriche, e pur
con tutti i necessari approfondimenti le indicazioni di priorit sono
premesse di un programma; quello
che manca il soggetto forte capace
di rappresentarle, di farle pesare
nella scena della politica, di farle vivere unitariamente nei conflitti.
Le resistenze ci sono, ed bene proseguire il dibattito, ma anche bene
che non siano un freno e che si uniscano sin dora tutti coloro che intendono unirsi per contribuire cos
al pi ambizioso progetto di una sinistra allaltezza delle sfide che ci
sono davanti, e che sono molte, impegnative e difficili.

31

Luglio Agosto 2005

Politica/Dibattito

La realt generale
parla di uno spostamento enorme
di ricchezza dal lavoro
al capitale, dai lavoratori
ai padroni:
ora di cambiare

Alternativa:
la centralit
del programma

di Claudio Grassi

LA SUBORDINAZIONE ALLE POLITICHE DI GUERRA DI BUSH E DELLA NATO


E IL DRAMMA SOCIALE PROVOCATO CARATTERIZZANO IL GOVERNO

BERLUSCONI. RISPETTO A CI VI UNA SOLA ALTERNATIVA: VIA SUBITO


I SOLDATI ITALIANI DALLIRAQ, MAI PI NESSUNA GUERRA, NEMMENO SE
VOLUTA DALLONU E POLITICHE ANTILIBERISTE

orrei iniziare questa riflessione sulla


situazione politica italiana partendo da una postazione che dovrebbe essere consueta , ma spesso
non lo , per ogni analista di sinistra : quella che ci permette di avvicinarci alla vita reale delle masse,
dei lavoratori, delle famiglie italiane. Si diceva gi due anni fa che
moltissime famiglie non arrivavano
pi alla quarta settimana; oggi non
inverosimile dire che molte non
arrivano pi nemmeno alla terza.
Dopo quasi cinque anni di governo
Berlusconi, circa nove anni di subordinazione ai vincoli di Maastricht
ed un intero decennio di destrutturazione dello stato sociale, di privatizzazioni e liberalizzazione del
mercato del lavoro, il disagio sociale
cresce: quattro milioni di nuclei familiari sono ufficialmente gravati
dai debiti; si allarga a macchia dolio, su scala nazionale, il fenomeno
della ricerca, da parte delle famiglie, di piccoli mutui, accesi presso
istituti bancari o finanziari, per poter tirare avanti(una via che finisce
per strozzare sempre pi le famiglie); i salari, privati della scala mobile, sono fermi a circa 15 anni fa;
le spese per i consumi quotidiani si
innalzano e sono previsti aumenti,
per il prossimo inverno, considerevoli: + 14,3% per la benzina; + 19,8%

32

per il gasolio per auto; + 18,8% per


il gasolio da riscaldamento; + 9,5%
per il metano da riscaldamento: +
7% per i servizi bancari; + 7% per
lelettricit; + 6% per altre tariffe
quali acqua, trasporti, rifiuti; stato
valutato che la spesa per i figli che
frequenteranno la scuola media inferiore si aggirer, per il 2005, attorno ai 500 euro e per la scuola media superiore attorno ai 600; per lalimentazione previsto un aumento
di circa il 15% della spesa registrata
negli ultimi anni ( che era gi circa
il 22% di un bilancio di una famiglia media); i prodotti di maggior
consumo e di provenienza industriale, in virt degli aumenti generali dellenergia, sono destinati ad
aumentare del 4,7% . A tutto ci si
aggiunge il problema della casa:
non siamo solo di fronte ad una erosione, portatrice di un serio disagio
sociale, del numero degli alloggi
pubblici (che passano dal milione
del 1991 agli attuali 850 mila circa),
ma siamo anche di fronte a sempre
pi grandi difficolt da parte della
famiglie che pagano laffitto (il
36,6% nelle aree metropolitane con
oltre 500 mila abitanti) e delle famiglie che pagano il mutuo. Gli affitti, infatti, liberi dallequo canone, sono aumentati in media del
50%, mentre la rata-mutuo media

per la casa si aggira, in Italia, attorno


ai 325 euro. Se, di fronte a tutto ci,
si pensa ad un salario di un metalmeccanico (attorno ai mille euro) e
si pensa alla lotta che gli operai debbono fare per un aumento contrattuale lordo di 60/70 euro, il quadro
dei rapporti sociali in Italia facilmente delineabile.
Sulla vita delle famiglie, dei lavoratori, delle masse popolari incombe
poi un quadro pi generale e altrettanto negativo: loccupazione, nellindustria, diminuita del 6% e cresce solo come fu, significativamente, gi negli USA iperliberisti di
Regan perch si estesa drammaticamente larea della precarizzazione, mentre il solo 56% della popolazione in et lavorativa risulta occupata e la disoccupazione giovanile ( 27%) la pi alta dEuropa. Il
debito pubblico ha superato i 1.500
miliardi di euro, pari al 106% della
ricchezza nazionale; il costo del lavoro sceso drasticamente(-4% tra
il 1995 ed il 2004); sono calati gli
investimenti (- 0,6%), gli ordinativi
(- 3,6%) e le esportazioni (- 4,1%);
linflazione reale ben superiore a
quella ufficiale e da ci deriva un ulteriore colpo ai salari ; levasione
contributiva si eleva oltre i 60 miliardi di euro lanno, a cui si aggiungono altri 200 miliardi di redditi che

Luglio Agosto 2005

sfuggono al fisco. Attorno a tutto ci


e in conseguenza di ci, cresce larea della povert: secondo lEurispes l11% delle famiglie (per sette
milioni e mezzo di persone) sono
nella miseria sociale, con redditi
al limite della soglia della sopravvivenza; se a questo 11% si aggiunge
larea in grande crescita della povert oscillante, si scopre che oltre
14 milioni di persone, circa il 22%
della famiglie, sono concretamente
esposte al rischio povert.
Questa realt generale parla, sostanzialmente, di un immenso spostamento di ricchezza dal lavoro al
capitale, dai lavoratori ai padroni,
uno spostamento che viene ratificato dalle seguenti cifre: la quota di
ricchezza nazionale che ha in mano
il 5% delle famiglie pi ricche
dItalia passata in questi anni dal
27 al 32%, mentre la quota della ricchezza nazionale in mano all1%
pi ricco passata dal 10,6 al 17,2%.
Questi dati, assieme a quelli relativi
allinnalzamento vertiginoso dei
picchi di profitto capitalistico dellultimo decennio ( i pi alti picchi
dal dopoguerra ) e a quelli relativi
al taglio reale dei salari dalleuro in
poi (e non solo per colpa delleuro), dovrebbero gi spingere le
forze che si candidano a sostituire
Berlusconi a porsi il problema di
una netta redistribuzione del reddito a favore del lavoro. Svolta
che, sinora, davvero non appare nellorizzonte progettuale e programmatico del centro sinistra.
Su questa realt economica e sociale italiana, gi cos oscura, gravano
i pesi della politica interventista del
governo Berlusconi, della sua sudditanza al disegno di guerra infinita degli Usa e della Nato, del notevole spostamento di risorse dal
welfare alle spese militari; come grava la linea generale delle destre al
governo: attacco alla Costituzione e
ai valori nati dalla lotta di Liberazione, politiche iperliberiste, antisociali e antisolidali, subordinate
sul piano dei diritti civili alla parte
pi oscura del Vaticano, venate da
razzismo, da politiche antifem-

Politica/Dibattito

minili e da una cultura essenzialmente antioperaia.


Questo contesto sociale e politico
parla da solo, da solo scandisce le
parole necessarie: lalternativa vera
non sostituire Berlusconi; lalternativa cancellare le sue politiche
guerrafondaie e iperliberiste, sostituendole con politiche di indipendenza nazionale e di pace, con politiche sociali, antiliberiste, che mettano al centro gli interessi di massa,
politiche finalmente coraggiose,
che facciano inevitabilmente un po
male a qualcuno (i padroni) e bene
alle masse popolari .
Che cosa ci saremmo aspettati, rispetto a ci, dalle forze del centro
sinistra e della sinistra italiana ? Che
cosa si aspettava il popolo della sinistra? Innanzitutto, che il centro
sinistra nel suo insieme, comprese
le forze che sostennero il governo
di guerra DAlema, riflettesse sui
propri errori, sulla propria esperienza governativa che segnata
dalla guerra condotta contro la
Jugoslavia a fianco e al servizio degli Usa e della Nato e da politiche liberiste e subordinate a Maastricht
port alla sconfitta e alla riconsegna del governo alle destre.
Ci si sarebbe aspettati che, a partire
dalla riflessione sui propri errori,
dalla messa a fuoco delle basi materiali della sconfitta, si determinasse
un cambiamento di linea, la costruzione, in itinere, di un progetto per
lalternativa che sullonda dei
movimenti, delle mobilitazioni di
massa contro la guerra e dal conflitto riaperto dalla Fiom e da altre
parti del movimento sindacale, anche extraconfederale ripartisse
dalle lotte sociali per cambiare i rapporti di forza nel Paese. Che rispondesse nelle piazze, non solo negli ambiti politici ed istituzionali,
alla lunga teoria di nefandezze (istituzionali, economiche, politiche,
sociali, culturali) propinateci dal
governo di centro-destra per far nascere dallinsieme delle lotte e delle
vertenze sia un senso comune che
un programma per lalternativa.
Questa riflessione autocritica non

c stata. E non mancano elementi


che autorizzano il timore che nella
pratica politica del centro-sinistra
non si determini alcuna discontinuit degna di questo nome rispetto
alle politiche degli anni Novanta.
Il primo di questi elementi insieme alla evanescenza dellopposizione al governo pur in presenza di
una drammatica emergenza sociale
la ormai clamorosa assenza di una
seria elaborazione programmatica
da parte delle forze che si candidano a succedere alla destra nella
guida del Paese.
Da tempo la nostra critica si focalizza sulla questione programmatica, per meglio dire sullassenza del
programma per lalternativa,
Il programma non un feticcio,
non lo mettiamo al centro della discussione per partito preso, per ansia monotematica. Viceversa, il programma decisivo perch stabilisce
il rapporto leale tra la coalizione politica che si candida a governare e il
suo blocco sociale di riferimento;
conseguentemente, attraverso il
consolidamento di tale legame, si
pongono le basi per unalternativa
di lunga durata e di una sconfitta,
non contingente ma strategica, delle destre. Il programma, una volta
discusso e fatto proprio dallintera
coalizione, anche la base per un
alleanza solida di governo, che non
lascia spazio alle incursioni della destra. Il programma anche una
bandiera issata nella testa della
gente, il viatico per la costruzione
di un sentimento popolare per lalternativa vissuto e condiviso a livello
di massa. Da questo punto di vista,
anche una fondamentale premessa per la vittoria.
Tanto pi ci si deve domandare perch, dopo lunghi mesi di interlocuzione politica e quando ormai le elezioni incombono, il programma
dellUnione non nasce. La prima risposta, forse lunica seria, concerne
le profonde divergenze che separano le diverse componenti della
coalizione su terreni decisivi (la politica estera, il lavoro, il welfare, le leg-

33

Luglio Agosto 2005

Politica/Dibattito

gi di Berlusconi, le questioni istituzionali). Si scelto di rimuovere


queste divergenze, di differirne la
tematizzazione a dopo le elezioni,
nella convinzione che affrontarle
adesso metterebbe a rischio lalleanza. Ma una scelta pericolosa,
perch quella che oggi sarebbe una
pur aspra discussione, rischierebbe
di divenire un domani sotto lurgenza delle decisioni motivo di
contrapposizioni e di rotture.
Abbiamo ripetutamente sottolineato questo rischio, e non ci stanchiamo di farlo. Il ricordo del 98 deve
fornire insegnamenti, non indurre
a salti nel buio. Fare tesoro di quellesperienza significa approfondire
il confronto programmatico adesso:
lavorare subito proprio sui temi pi
controversi, che richiedono disponibilit allascolto e al compromesso
da parte di tutte le forze della coalizione. Una sintesi programmatica va
trovata e posta su basi solide prima
del cimento elettorale. Altrimenti
non si pone argine al pericolo di rotture che sarebbero ben pi laceranti
di quella che segn la fine del primo
governo Prodi.
Non diciamo questo, da gran tempo, per ragioni di parte, che pure sarebbero legittime. Ma perch siamo
preoccupati delle sorti di questo
Paese e, in particolare, delle condizioni delle classi lavoratrici che pagano nel modo pi drammatico i
contraccolpi della crisi. Dovesse
nuovamente verificarsi una condizione analoga a quella del 98, le gi
drammatiche conseguenze di quella rottura potrebbero rivelarsi assai
pi dirompenti. Non si pu chiedere a un Paese di giocare con le
proprie difficolt e con i propri timori. Si ha il dovere di fornire ri-

sposte certe in tempi utili, s da dare


a ciascuno la possibilit di misurare
i costi e i benefici di una intesa e degli oneri che essa inevitabilmente
comporta.
Lo spettacolo a cui siamo costretti
ad assistere in questi mesi , purtroppo, di tuttaltro segno. La scena
politica, per quanto concerne le forza dellopposizione, stabilmente
occupata da vicende distanti mille
miglia da quel confronto programmatico di cui il Paese ha vitale bisogno. La politica tace. O, meglio,
tradotta in fatue contese su formule
e leader. La sua crisi intellettuale e
morale penetrata a fondo anche
nelle file della sinistra italiana. La
politica come reale partecipazione,
come protagonismo di massa, come
formazione di coscienza collettiva e
di soggettivit, rischia di diventare
un ricordo. , questa, una deriva
(conseguente alla distruzione dei
grandi partiti democratici con basi
di massa) alla quale si dovr porre
un freno. Ma le scadenze incalzano
e impongono che il tempo perduto
venga immediatamente recuperato. Che fare dunque, qui e ora?
Se quanto si detto sin qui si approssima al vero, necessario muoversi con determinazione ed efficacia su due terreni tra loro complementari. Occorre in primo luogo essere presenti e attivi nel conflitto e
nelle mobilitazioni. Le vertenze per
i contratti, le lotte del precariato per
la conquista di diritti fondamentali,
le mobilitazioni contro le politiche
di guerra e di militarizzazione ci
hanno sempre visto in prima fila, al
fianco dei compagni che resistono
in difesa del lavoro, della pace, dello
spirito della Costituzione antifasci-

sta. questo un terreno che occorre


continuare a praticare, nella consapevolezza che la lotta gi, in se
stessa, elaborazione strategica,
luogo di produzione di istanze programmatiche. A chi risponde alla
nostra richiesta di seri confronti
programmatici facendone la caricatura (evocando incontri tra stati
maggiori in chiuse stanze) replichiamo con la nostra pratica quotidiana di movimento e di lotta, nella
quale lindicazione politica sorge
direttamente dallesperienza del
conflitto.
Il secondo terreno sul quale necessario stare concerne linterlocuzione con le altre forze della sinistra
di alternativa. Anche a questo proposito si sono accumulati enormi ritardi. Linsieme delle forze che in
questi anni hanno condiviso importanti battaglie (dai Social forum alla
mobilitazione per lart. 18) avrebbero potuto e dovuto lavorare insieme nella costruzione di un programma comune minimo per mezzo
del quale imprimere alla discussione in seno allUnione un salto di
qualit. Per ragioni che sarebbe importante indagare, si sin qui mancato di procedere in questa direzione. Ma a questo punto ulteriori
rinvii non sono pi pensabili. Lo diciamo da tempo: il programma
delle forze di alternativa, potenzialmente, esiste gi. stato scritto nelle
lotte di questi anni, in tante esperienze comuni di movimento e di
elaborazione. Si tratta ormai soltanto di porvi ordine, mettendo a
valore il ricco sedimento di una pratica politica condivisa. A questo
compito, ormai inderogabile, faremo di tutto per dare, in tempi brevissimi, concreta esecuzione.

AUGURI!
I COMPAGNI GUIDO CAPPELLONI E SERGIO RICALDONE
HANNO COMPIUTO GLI 80 ANNI

Alle due colonne gli auguri pi sinceri e affettuosi


da tutte le compagne e i compagni de lernesto
34

Luglio Agosto 2005

Lavoro

QUALI SONOI LUOGHI STRATEGICI


PER AFFRONTARE LA CRISI PRODUTTIVA
E LA CRISI SOCIALE CHE CI CONSEGNANO
DECENNI DI LIBERISMO?

di Paolo Nerozzi
Segretario Confederale CGIL

Il nodo politico
della democrazia
economica
I DISASTRI DEL LIBERISMO E DELLATTUALE CRISI VANNO AGGREDITI
REINTRODUCENDO LA CENTRALIT DEL VALORE SOCIALE DEL LAVORO E
DELLA SUA DECISIVA IMPORTANZA PER LA QUALIT DELLA DEMOCRAZIA

er molti anni dalla fine degli anni


settanta la cultura liberista stata
oggettivamente egemonica, nel
senso che ha imposto parole dordine e concetti prettamente economicisti, facendoli divenire poi universali. Con quello che ne consegue:
primo fra tutti il convincimento che
la maggiore integrazione dei mercati
generasse, di per s, pi benessere
per tutti, aumento dei diritti e delle
possibilit. Il lavoro stato cos sottoposto ad un processo di frammentazione senza pari: frantumazione
delle figure contrattuali, con lesplosione di decine di contratti precari; frantumazione dei cicli produttivi (appalti, terziarizzazioni); frantumazione dei luoghi e degli strumenti della rappresentanza e del
conflitto. Riportare ad unit quanto
i rapporti di forza sociali ancor prima delle tecnologie hanno atomizzato la sfida che si pone davanti
a noi, e davanti a chi ancora crede
che il lavoro sia non solo uno strumento di autorealizzazione, ma anche uno strumento di consapevolezza, emancipazione e libert.
Ormai del resto evidente che siamo alle prese con una nuova soggettivit del sociale che fa della questione del benessere e dellemancipazione nel lavoro (e non dal lavoro
come troppo presto, anche a sinistra, ci si azzardati a dire) il ter-

reno di confronto con le stesse forse


politiche, proprio per governare la
complessit, per ridefinire i diritti,
le forme di tutela, le stesse modalit
di riorganizzazione dei soggetti politici oltre che sociali.
Democrazia dunque come asse del
nostro agire e del nostro modo di
leggere i processi, ma anche terreno
complementare su cui ricostruire
una nuova politica economica.
Nella quale, una volta chiarito che
occorre coniugare democrazia-rappresentanza-redistribuzione (di salario e di diritti agibili), lo strumento diviene oggetto di discussione importante ma non un totem
predefinito. Il punto infatti su
quale democrazia economica per garantire quale democrazia politica. In
questo senso occorre riflettere sui
temi della contrattazione territoriale, della costruzione dal basso di
partecipazione e cogestione (dalle
Camere del Lavoro ai nuovi Municipi), oltre la giusta battaglia a difesa di strumenti di solidariet universale come i contratti collettivi nazionali e la progressivit fiscale
questa una risposta anche ai processi di frantumazione delle imprese e del lavoro, alla precarizzazione, allinsicurezza sociale. una
risposta alla perdita di potere dacquisto che deriva, oltre che dal problema salariale, dalle questioni casa,

sanit, trasporti e scuola. una risposta allesigenza di liberare il


tempo per stare insieme, studiare,
navigare, oltre le logiche del profitto e del tutto monetizzabile.
Conseguentemente, la questione
su quale debba essere il ruolo del
Pubblico nelleconomia, che non
sia solo la difesa della qualit del
produrre, della qualit del lavoro.
Che non sia solo formazione e ricerca, ma che divenga pure una riflessione sui luoghi strategici della
crisi industriale e al contempo della
nostra crisi sociale. Solo cos si pu
far luce sulla questione della precariet, della necessit della cancellazione della legge 30 e di tutti quei
processi che hanno accompagnato
la frantumazione sia del lavoro e dei
cicli produttivi, quanto delle principali agenzie sociali (scuole,
ospedali, ecc.) come premessa di
una parcellizzazione della capacit
di riconquista di spazi, dinamiche e
luoghi collettivi.
Cos come pu assumere unaltra
luce il grande tema delle privatizzazioni. Dobbiamo riflettere su tutti i
processi di privatizzazione che sono
avvenuti in questi anni, in particolare quelli che riguardano le fonti
di energia e i beni materiali: lacqua,
lambiente, lenergia. Abbiamo sostituito al monopolio di Stato un
monopolio privato, dimenticando

35

Lavoro

che, visto i processi non solo produttivi che da questi nascono e si sviluppano, alcuni di questi settori assumono sempre pi il rango di diritti di nuova cittadinanza (i trasporti, la protezione del territorio,
ecc.) e non di merce. E allora il mercato non pu esserne il principio regolatore. Se la cittadinanza (e il fisco che traduce tale patto in moneta sonante) un contratto di mutuo soccorso a cui i cittadini non
possono sottrarsi in quanto vi appartengono, allora che sia realmente patrimonio universale di cittadinanza tutto ci che la cittadinanza ha prodotto (come Stato,
come Ente Locale, ecc.) esclusivamente per il proprio benessere collettivo.
Democrazia quindi come premessa
per una nuova politica economica.
In questi anni i processi a cui abbiamo assistito sono stati di portata
tale da richiedere, soprattutto a sinistra, una capacit di interrogarsi
come mai prima. In un intreccio assai profondo tra crisi italiana, modello di sviluppo europeo (di cui il
sistema di protezione sociale parte
integrante) e dinamiche planetarie.
In Italia la crescita economica povera: povera in quantit, ma soprattutto in qualit. A fronte di una povert sempre pi diffusa, con prezzi
che per i beni di consumo raddoppiano, con investimenti che mancano e con una specializzazione
produttiva che rimane ancorata a
settori tradizionali esposti alla concorrenza, ci si chiede come puntare
su politiche che non solo rimettano
in moto leconomia, ma soprattutto
sappiano indirizzarla verso un modello di sviluppo dove qualit ed innovazione, redistribuzione dei saperi e dei guadagni e sostenibilit
ambientale siano i termini esatti
grazie a cui uscire dalla crisi. Secondo un principio per cui sviluppo
non solo arricchirsi, ma incivilirsi.
Non sono un economista, ma
chiaro che siamo di fronte ad un
paese che va a fondo perch vi
troppo poco sapere in circolazione,
troppo poca qualit, troppo poca
voglia di cimentarsi con le reali sfide

36

che una societ complessa ha di


fronte, a partire da una definizione
pi avanzata di cosa sia benessere.
Il Governo Berlusconi fallisce infatti
perch, come tutte le destre, assume una filosofia basata sulla tesi
che vi incompatibilit tra sviluppo
economico e diritti, tra crescita
quantitativa e modelli qualitativi
che generino forme diverse di benessere. Insomma, lidea che meno
regole, meno tasse, meno Stato
siano le coordinate per uno sviluppo lineare delle potenzialit
tanto del gruppo che dellindividuo, si dimostra fallace. Allora proviamo a ricominciare da possibili
priorit condivise per dettare unagenda per il paese.
Prioritario che sia riconosciuta la
centralit del valore sociale del lavoro e
della piena, buona e sicura occupazione, perch non si d sviluppo
senza emancipazione. Il lavoro rappresenta ancora (certo non unico,
non pi assoluto come nel passato)
un formidabile strumento di riscatto, in unottica liberatoria dei
tempi, attraverso pi tecnologia e
pi sapere nel fare.
Prioritario che sia riconosciuta la
funzione democratica del lavoro e dei
corpi intermedi collettivi, perch esiste
sempre un rapporto inscindibile tra
la crescita delliniziativa del movimento dei lavoratori e lespansione
della democrazia nel paese. Il valore
della rappresentanza sociale esprime proprio questo nesso inscindibile tra democrazia dentro il lavoro
e per una cittadinanza compiuta e
costruzione di una societ pi giusta perch pi aperta, pi libera e
pi coesa.
Di fronte a chi considera questa fase
il finire del novecento e linizio del
nuovo millennio come una fase
conclusa, la sfida da lanciare deve
essere proprio quella di definire
nuovi spazi di democrazia e nuovi
luoghi ove esercitare la rappresentanza delle proprie condizioni materiali e dei propri bisogni.
Altrimenti la sinistra politica e le
stesse organizzazioni sociali sono
destinate a rimanere subalterne e
sconfitte.

Luglio Agosto 2005

Fare del grande tema della rappresentanza, vecchia e nuova, la premessa per costruire una democrazia
pi avanzata la strada obbligata,
anche per il sindacato e le forze sociali. Una strada che passa prima di
tutto per il rafforzamento del contratto
collettivo nazionale di lavoro, strumento principe nel definire una
concreta cornice di diritti esigibili
sempre, per qualsivoglia lavoratore,
in qualsiasi territorio si trovi. Un
contratto collettivo nazionale che,
oltre a garantire a tutti diritti e salario, permetta magari sostenuto da
una legislazione attiva di aggredire i nodi di fondo di una riorganizzazione del come produrre che
minaccia sempre pi il benessere
anche psico-fisico dei lavoratori.
Democrazia e contratto collettiva
sono quindi terreni fra loro connessi, in quanto cassetta degli attrezzi necessaria ad aprire una
nuova fase di discussione sullorganizzazione del lavoro, sui tempi, i carichi e i diritti di chi, tutti i giorni,
manda avanti questo paese.
E del resto senza contratti collettivi
nazionali pi forti non pensabile
un vero riconoscimento dellemergenza salariale che in atto: occorrono
politiche e strumenti per aumentare il potere di acquisto dei salarti
e delle pensioni e per contrastare
lesplodere di un fenomeno sempre
pi diffuso, quello del lavoro dipendente povero.
Occorre a questo scopo che sia individuato anche un sistema per rendere economicamente agibili i diritti di
cittadinanza: uno strumento articolato, sia in trasferimenti economici
quanto in servizi (canone sociale,
trasporto pubblico, ecc.), che possa
garantire la partecipazione attiva di
tutti coloro che vivono entro i confini nazionali (e in prospettiva europei), coordinandolo tanto a percorsi di qualit del lavoro oltre i limiti imposti dal mercato (produzione agricola di qualit e difesa del
territorio, autorganizzazione del lavoro e della produzione, conservazione ambientale, produzione culturale, ecc.) quanto alla produzione
di beni comuni sociali.

Luglio Agosto 2005

Lavoro

SI AFFERMA A LIVELLO EUROPEO


UNA CONCEZIONE CHE NON RICONOSCE
IN ALCUN MODO ALLA DIMENSIONE LAVORO
UNA CARATTERISTICA FONDANTE E AUTONOMA,
NON SUBALTERNA A QUELLA DELLIMPRESA,
DELLA FINANZA E DEL MERCATO GLOBALIZZATO

di Tiziano Rinaldini
CGIL Emilia Romagna

Unione Europea:
il lavoro
sotto attacco.
Che far la sinistra?
CONTRATTO NAZIONALE COME STRUMENTO DI SOLIDARIET FRA TUTTI
I LAVORATORI, ORARIO DI LAVORO, REDDITO, PRECARIET, STATO
SOCIALE, RUOLO ECONOMICO DELLO STATO, SONO ALCUNI DEI TEMI
CHE NEI PROSSIMI MESI SINDACATO E SINISTRE DOVRANNO AFFRONTARE
E CHE DETERMINERANNO IL SEGNO DELLA LORO INIZIATIVA

llo stato attuale, il testo della nuova


direttiva europea su taluni aspetti
dellorganizzazione dellorario di lavoro introduce novit di grande rilievo persino rispetto alla gi contestata precedente direttiva 2003/88
(quella che consentiva di superare il
vincolo dellorario di lavoro settimanale anche senza contrattazione
collettiva, fissando a 4/6 mesi il periodo di riferimento). Il percorso di
approvazione definitiva non ancora completato, e sono in atto tentativi di ulteriore peggioramento.
Il testo di modifica stabilisce che per
il calcolo del limite di 48 ore medie
settimanali il periodo di riferimento venga portato a 12 mesi; non indispensabile disporre ci attraverso
la contrattazione collettiva, sufficiente la via legislativa o regolamentare.
Inoltre, la deroga individuale (prevista gi nella precedente direttiva)
al tetto massimo di orario settimanale viene mantenuta, introducendo straordinari peggioramenti
(la durata massima dellorario viene
portata a 65 ore settimanali; non si
prevedono informazioni alle RSA;
laccordo individuale senza doppio filtro contrattuale, cio collettivo e individuale). il cosiddetto
opting-out che, ad esempio, in
Gran Bretagna riguarda gi milioni

di lavoratori, e che porta alla sue


estreme conseguenze lindividualizzazione del rapporto di lavoro.
Lopting-out (ora praticabile
quasi solo in Gran Bretagna) viene
cos esteso a tutta Europa, coperto
dal fatto che ci varrebbe per tre anni, e poi sarebbe abrogato.
Infine viene di fatto messa in discussione la definizione dellorario
di lavoro stesso, inteso come qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia
a disposizione del datore di lavoro
e nellesercizio delle sue attivit o
delle sue funzioni. Il testo della
nuova proposta di direttiva rende
possibile escludere dalla nozione di
orario di lavoro i periodi inattivi
del servizio di guardia. Per capire
bene di cosa si tratta, basti riferirsi
alle guardie mediche e alla distinzione tra il tempo attivo ed il tempo in cui si obbligati a tenersi a disposizione sul luogo di lavoro, non
occupato ad esercitare lattivit di
cura. Come si pu ben vedere, non
siamo nellambito della reperibilit, ma di situazioni lavorative ben
diverse, in via di estensione con gli
attuali processi e con confini di sempre pi ardua distinzione.
Interessa poco qui valutare quanto
e dove sui tre punti di cui prima il
Parlamento europeo abbia strappato (per ora) attenuazioni rispetto

al testo presentato dalla Commissione. vero, ad esempio, che per


alcuni aspetti stata formalmente
salvaguardata la possibilit di mantenere la condizione legislativa e/o
contrattuale in atto a livello nazionale, ma altrettanto chiaro in che
senso viene esercitata la pressione
europea sulle situazioni pi forti e
lindebolimento che ne deriva sul
piano legislativo e contrattuale. Ed
vero il peggioramento persino
della gi criticata precedente direttiva, e la conferma ed il rafforzamento delle dinamiche interne
allUnione Europea in termini di
dumping sociale, di schiacciamento
verso il basso dei diritti e delle condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici, e del ruolo della contrattazione collettiva.
Ci che in particolare colpisce e appare risolutivamente significativo
la consonanza su un punto chiave
con la filosofia che ha ispirato nel
nostro paese il libro bianco e la legge
30: da un lato si afferma una tendenziale individualizzazione del
rapporto di lavoro, dallaltro lautonomia della contrattazione collettiva non viene riconosciuta, in quanto se ci che viene concesso ai padroni non venisse sanzionato dalla contrattazione, se ne prevede lapplicazione per via legislativa o regolativa;

37

Lavoro

la contrattazione collettiva quindi


non considerata vincolante.
Vogliamo qui in particolare mettere
in evidenza e soffermarci sullulteriore indubbia affermazione nella
dinamica dellunit europea di una
concezione per cui, alla dimensione
lavoro, non viene riconosciuta in alcun modo una caratteristica fondante e autonoma, non subalterna
a quella dellimpresa, della finanza
e di un mercato le cui caratteristiche sono quelle assunte nellattuale
fase di globalizzazione.

La parte lavoro viene negata,


resta solo la parte capitale
(lunico dominus)

I lavoratori e le lavoratrici intesi come soggetto collettivo, e quindi la


contrattazione collettiva su basi solidali, non hanno alcuno spazio
reale in questo quadro. Sono, al
massimo, oggetto di assistenza e di
tutele esterne. Sono quindi una pura merce. Lo spazio per il sindacato,
forse, quello di un sindacato di
mercato, comunque in un contesto
di massiccia individualizzazione del
rapporto tra il lavoratore e il capitale. Altro che difesa del modello
sociale europeo.
Daltra parte proprio su questo
piano che troviamo conferme (e comunque certamente non un chiaro
contrasto) nel trattato costituzionale europeo. singolare che in un
paese come il nostro, dotato di una
Costituzione il cui primo articolo afferma che lItalia una repubblica
democratica fondata sul lavoro, il
passaggio verso lEuropa non abbia
visto alcuna seria battaglia che riaffermasse la centralit di questo fon-

38

damento, se non altro per evitare di


trovarci con una Costituzione europea che metta fuori dalla legalit costituzionale qualsiasi progetto politico che si proponga di andare oltre
il capitalismo. Qualcosa di analogo,
non a caso, avvenuto per il rifiuto
della guerra. Il risultato che attraverso il percorso costituzionale
europeo si sta di fatto realizzando
nella pi generale sottovalutazione
quella revisione della Costituzione
italiana nella sua decisiva prima
parte, tanto preannunciata da
Berlusconi (ricordate costituzione
sovietica che non riconosce il valore dellimpresa e del mercato?).
Ora, a noi pare che si situi a questo
punto la riflessione anche rispetto
alle posizioni che sono state e che
verranno assunte rispetto alla nuova
direttiva europea sugli orari, cos
come su altre direttive in allestimento (vedasi la stessa Bolkestein).
Anche da parte di chi riconosce la
fondatezza della critica su molti
aspetti di questa direttiva e nel contempo dichiara di continuare a considerare i lavoratori e le lavoratrici
centrali per il proprio impegno politico e sociale, si tende a dare molta
importanza a questa o quella attenuazione migliorativa (il meno peggio; meglio che niente) rispetto al
testo proposto in precedenza, applicando schemi interpretativi e tattiche politiche tradizionali: facciamo alcuni passi indietro, per poi
poterne fare in avanti; il problema
politico, in attesa che vi siano
condizioni politiche alternative,
non si pu fare altro sul piano sociale e sindacale.
Non si tratta di tradizioni prive di
fondamento, ma il problema che
oggi la situazione non in alcun
modo tradizionale. forse proprio
qui il punto di distinzione, e divisione.
Queste interpretazioni e tattiche
avrebbero senso in un quadro in cui
gli interventi legislativi e contrattuali contro i lavoratori fossero tentativi di impedire la crescita e lesercizio di potere da parte dei lavoratori stessi rispetto a processi le cui
caratteristiche strutturali stessero

Luglio Agosto 2005

aumentandone la capacit di intervento e condizionamento. Si tratterebbe quindi di attraversare senza


troppe ferite una fase transitoria, e
poi, appena possibile, ripartire.
Il ragionamento sarebbe ancora pi
comprensibile se fosse possibile
spiegare il tutto con la inevitabile
funzione ancillare delle lotte sociali
e sindacali, per loro natura corporative, e che possono al massimo favorire la consapevolezza di trascenderle e la possibilit che, ad un certo
punto, unapposita forza politica
(non corporativa) o qualcunaltro
prenda il potere e costruisca un
mondo nuovo. Nelluno e nellaltro
caso, i presupposti appaiono infondati. Nel secondo caso, perch lo
schema, cos impostato, gi stato
(definitivamente) consumato nella
sua esperienza storica. Nel primo
caso (quello per la verit oggi pi
diffuso e insidioso) si continua,
nonostante tutto, a ritenere che i
processi degli ultimi decenni a livello globale, dominanti e privi di
reale contrasto, siano una continuazione della lunga fase in cui comunque il capitale era stato convinto (costretto) a considerare il lavoro come un vincolo e non una
merce come le altre. Si assume in sostanza una fase storica delimitata
come una condizione naturale,
eterna o come un passaggio di un
progresso da cui non si potr retrocedere.
Purtroppo non cos. Ci che si
avviato negli anni 70 e pienamente
dispiegato nei decenni successivi
un processo connotato e costruito
strutturalmente, e quindi in primo
luogo a livello economico e sociale,
per rendere impraticabile ogni possibilit dei lavoratori e delle lavoratrici di costituirsi come parte altra
rispetto al capitale, sia che ci possa
portare ad una societ altra da
quella capitalistica, sia che ci possa
portare di volta in volta ad equilibri
di mediazione reciproca tra capitale
e lavoro. La parte lavoro viene negata, resta solo la parte capitale (lunico dominus), e dato che la
parte pi importante del tutto 1,
a noi pare evidente che vengono

Luglio Agosto 2005

messe in discussione le basi per una


qualsivoglia dialettica democratica
nello sviluppo della societ.
La finanziarizzazione globalizzata
delleconomia, la frantumazione
della forma impresa, la precarizzazione del lavoro, la deresponsabilizzazione del capitale rispetto ai lavoratori, lutilizzo in questo senso
delle possibilit date dallinnovazione tecnologica, la privatizzazione di qualsivoglia attivit ed il suo
inserimento in un mercato dalle caratteristiche di cui sopra, sono tutti
esempi il cui segno centrale il tentativo radicale di chiudere, dopo lesperienza fordista e dello stato sociale, ogni possibilit al lavoro di
mettere in discussione il capitale, e
quindi anche di condizionarlo.2
questa la situazione di base attuale
che rende impossibile definire
come mediazione tutto ci che sul
piano legislativo e contrattuale si limiti ad accompagnare questo processo, e quindi in un qualche modo
finisca per assecondare chi ti propone di aiutarlo a scavarti la fossa.
Non certo casuale che in questi
anni nel mondo, nelle principali situazioni in cui si erano venuti definendo equilibri nei confronti del lavoro sulla base di vincoli riconosciuti e considerati indiscutibili
(con spazio per forti organizzazioni
sindacali), questi equilibri sono
stati travolti o scossi nelle loro fondamenta.
Dalla Gran Bretagna alla Germania;
la stessa recente scissione della AFLCIO ne costituisce una significativa
dimostrazione persino in una situazione di equilibrio storicamente definitosi su basi drasticamente subalterne come quello statunitense.
Cosaltro occorre ancora?
Il problema oggi quindi quello
dassumere la piena consapevolezza
che lo sviluppo attuale fondato
sulla negazione di uno spazio di mediazione; operare per contraddire
questo sviluppo e per aprire una
possibilit di sviluppo altro in cui sia
possibile parlare di mediazione e
dialettica democratica.
su questo che si verifica se si in
grado di ripartire e di ridare un si-

Lavoro

gnificato alla parola sinistra e alla


politica; non esistono percorsi intermedi.
Ovviamente questo problema non
si pone per chi nel frattempo ha ritenuto di poter continuare a perseguire lobiettivo di trasformare la
realt in autonomia dal capitale,
dando per finita la centralit del terreno del contrasto tra capitale e lavoro e cessato lantagonismo intrinseco alla condizione sociale che
ne deriva. In questo senso ogni appuntamento (a partire dai pi ravvicinati) sempre occasione per richiamarci a questa verit.
Per i prossimi mesi non mancano
sul piano sindacale e politico appuntamenti (contratti nazionali;
congresso CGIL; rapporto con Confindustria; programmi elettorali del
centro-sinistra e cosa far davvero
lUnione soprattutto nel momento in
cui governer, se governer) che,
cos come per le direttive europee,
ci porranno di fronte al problema
se contraddire il modello sociale ed
economico che si affermato a livello globale o se accompagnarlo
con miglioramenti/attenuazioni.
Proviamo ad elencare alcune tra le
questioni principali.
La parte delle risorse da rivendicare
per i lavoratori e le lavoratrici sar
tale da esigere esplicitamente uno
spostamento reale a favore dei lavoratori stessi su base di solidariet
a vantaggio del reddito da lavoro rispetto a rendita e profitto. oppure
si eviter di fatto di porre chiaramente la questione ricercando un
patto sociale ed una illusoria politica dei redditi? A noi pare che nel
primo caso laumento reale dei salari a partire dai pi bassi (e la conclusione in questo senso dei contratti nazionali, come quello dei
meccanici) sia uno degli strumenti
indispensabili; nel secondo caso invece si configurerebbe inevitabilmente una operazione di pura propaganda, a copertura di una riduzione del ruolo e dellautonomia
della contrattazione collettiva e di
un tentativo di rilanciare una competitivit interna allattuale modello di globalizzazione?

Il contratto nazionale lo strumento fondamentale che afferma effettivamente lobiettivo e la solidariet


tra tutti i lavoratori, e quindi la loro
unit, in modo tale da salvaguardare nei luoghi di lavoro la possibilit di una contrattazione collettiva
su tutti gli aspetti della condizione
non contrastante con la solidariet,
oppure viene ridotto ad un feticcio
in nome del quale e attraverso il
quale si garantisce la caduta dei salari, del potere contrattuale e della
solidariet, come richiesto dalle imprese come condizione del mantenimento del contratto nazionale
stesso?
Va qui fatto notare che in Italia, a
differenza della Germania3, le imprese hanno bisogno di passare attraverso il contratto nazionale per
rompere le basi della solidariet, in
quanto di fatto, almeno per ora, ha
un valore erga omnes, cio le imprese
non possono praticare condizioni
inferiori a quelle previste dal contratto nazionale.

Il contratto nazionale
lo strumento fondamentale
che afferma effettivamente
lobiettivo e la solidariet
tra tutti i lavoratori,
e quindi la loro unit

Lo stato sociale viene difeso in quanto tale oppure utilizzando lo stesso


nome si continua la discesa verso lo
stato assistenziale? E inoltre, in questo caso, si risponde anche rilanciando la autonoma solidariet mutualistica tra i lavoratori oppure si
continua sulla strada del bilateralismo e dei fondi bilaterali?
Liniziativa contro la legge 30: non
si danno alternative rispetto alla sua

39

Luglio Agosto 2005

Lavoro

abrogazione con una nuova legislazione di ispirazione opposta rispetto a quella del libro bianco, oppure tutto finisce sul piano di aggiustamenti pi o meno migliorativi sulla base della parola dordine
tutele ai precari ?
Poi, si torna a porsi il problema del
ruolo dello Stato anche su un piano
(certo, da innovare profondamente
rispetto alla tradizione) di intervento imprenditoriale, oppure si
continua a restare esclusivamente sul
piano delle regole e del controllo del
mercato e delle sue attivit?
Inoltre, viene ricercata sul terreno
legislativo laffermazione della titolarit dei lavoratori e delle lavoratrici sui contratto e quindi del vincolo referendario costringendo le
dinamiche sociali a considerare soggetto i lavoratori e le lavoratrici, oppure si conferma in un modo o nellaltro una concezione delle organizzazioni sindacali come titolari in
quanto tali della contrattazione,
quando ormai chiaro in tutto il
mondo che si creano cos le condizioni peggiori affinch le organizzazioni possano esercitare un ruolo
forte e nel contempo autonomo e
indipendente dai poteri forti della
societ?
Infine, quelle qui indicate sono tra
le basi fondamentali su cui costruire
coerentemente liniziativa sullEu-

40

ropa (dimensione comunque da assumere senza inutili incertezze), oppure, accampando raragioni di realismo, si opera allinterno delle basi
attualmente definite?
Lelenco potrebbe continuare, ma
per ogni punto lispirazione sottesa
analoga, e quindi ci pare che possa
bastare per chiarire il problema e lo
snodo con cui ci misuriamo: o siamo
in grado di contraddire nei fatti, qui
ed ora, il modello dominante nelle
sue caratteristiche di fondo, oppure
restiamo dentro e lo accompagniamo il quadro attuale, come insegna
la stessa vicenda della direttiva europea sugli orari.
A questa verit non si sfugge, n
questa nota pretende di fornire la
soluzione.
Abbiamo per la certezza che ci allontana dalla ricerca di risposte sia
il suo superamento volontaristico
che, senza intaccare i processi ed
aprire un altro quadro, si autocompiaccia di unopposizione predicatoria, consolandosi con i pi svariati
catastrofismi sulle sorti del capitalismo e delluniverso ad esso sottomesso, sia il rifugiarsi in nome di
una presunta concretezza in ipervalutazioni di questo o quellintervento migliorativo ma sempre di conferma e accettazione degli aspetti
strutturali (prima richiamati) dei
processi in corso.

NOTE

1 Viene qui richiamato, a due anni dalla scomparsa di Claudio Sabattini, un concetto da lui
espresso in occasione di un intervento sui processi
di globalizzazione del novembre 2002 (Con la
scomparsa del movimento operaio, sparita una
parte del tutto che, per dirla come Hegel, pi importante del tutto.) pubblicato a cura del Centro
Studi R. 60 CdLT Reggio Emilia in collaborazione
con FIOM Bologna e Reggio Emilia.
2 interessante notare come da parte di autorevoli esponenti del pensiero cattolico venga lucidamente espressa la consapevolezza della portata storica e della drammaticit dei processi che in questi
anni hanno investito il mondo del lavoro con conseguenze sulla possibilit di un universalismo laico
sui problemi del mondo (.La solidariet tra gli
uomini del lavoro era uno dei principali segni
dellUMANESIMO UNIVERSALE DEL LAVORO. Ebbene oggi questa stessa solidariet sembra essere sottoposta a gravi minacce proprio dallevoluzione del mondo del lavoro, il quale sta conoscendo frammentazione e individualizzazione.
., inter vento del Cardinale Martino nel
Simposio europeo dei docenti universitari Ora et
labora del 30/06/2005).
3 In Germania limpresa, uscendo dallassociazione industriali, pu non applicare le condizioni
stabilite dal contratto di Land sottoscritto dallassociazione stessa con il sindacato. Molte imprese per
questa via hanno potuto determinare una profonda
crisi del valore del contratto nazionale e il travolgimento del modello di relazioni tedesco di cui era
parte fondamentale e che da decenni era considerato in tutto il mondo punto di riferimento del sindacalismo riformista di derivazione socialdemocratica.

Luglio Agosto 2005

Lavoro

SAPR LA CGIL DARE RISPOSTA


ALLA FINE DELLA POLITICA
DELLA CONCERTAZIONE?

di Marilde Provera
Deputata PRC

a discussione che il Congresso CGIL


potr sviluppare sar tanto pi importante ed utile a tutto il mondo
della sinistra, quanto pi riuscir a
ridisegnare, con una propria autonomia di elaborazione, la funzione
ed il ruolo dello strumento sindacato nei prossimi anni.
La prima questione proprio la capacit di essere soggetto autonomo
da altri interessi o rappresentanze.
Questo non significa non essere interlocutore di altre parti che possono di volta in volta convergere o
divergere, ed anche di forze politiche come il nostro stesso Partito,
Rifondazione Comunista. Significa
piuttosto sapere che i rispettivi
ruoli, gli ambiti di lavoro, hanno
delle specifiche incidenze. naturale che il sindacato abbia innanzitutto il compito di rappresentare gli
interessi di una parzialit di Italiani,
i lavoratori, i pensionati e i disoccupati (in poche parole: il mondo del
lavoro), facendosi attore e portatore di una proposta di un nuovo
modello sociale a partire dalla domanda di difesa degli interessi dei
propri associati. meno ovvio e
scontato che questa rappresentanza
sia frutto di una partecipazione attiva dei lavoratori. Questo uno dei
temi centrali che investe sia il diritto
di avere i propri rappresentanti decisi in modo diretto dai lavoratori,
sia il potere di decidere con un voto

CGIL: un congresso
per rilanciare
autonomia
e credibilit
DECISIVE SARANNO LA CENTRALIT DEL CONFLITTO E LA REALE
CAPACIT DECISIONALE DEI LAVORATORI

trasparente sia le piattaforme


(proposte) da negoziare con le controparti sia gli accordi che si concludono. La partecipazione attiva
dei lavoratori e dei pensionati passa
attraverso queste due questioni: non
avere i rappresentanti sindacali imposti da regole che riconsegnano
principalmente alle organizzazioni
sindacali il vero potere di designare
i quadri sindacali, gi a partire dalla
fabbrica, ed essere responsabili avendo lo strumento decisionale del
voto delle soluzioni che governano
la propria vita a partire dal lavoro.
Questo importante per una sinistra che intenda la politica come costruzione partecipata da tutte e da
tutti di un modello e di una pratica
di societ (speriamo nuova e migliore). Per questo, per un partito come
il nostro che tende a voler essere aperto sul mondo partendo dal punto di vista dei pi deboli e dei lavoratori organizzati, in comunicazione
permanente con le istanze di movimenti ed associazioni (come la stessa CGIL) per la costruzione di unipotesi nuova di societ e di pratica
della stessa, importante sapere che
il maggior sindacato italiano rivendica come legge e, quantomeno, sceglie per s (ep r at i c a) la via della democrazia partecipata: questo significherebbe che c una reale sintonia
con quel mondo del lavoro a cui principalmente ci si vuole rivolgere.

Altro tema che sicuramente caratterizzante questo congresso, la


modalit di confronto che si vorr
avere tra parti sociali: le associazioni
imprenditoriali, il Governo e le Organizzazioni sindacali dei lavoratori. Non pensabile che, a seconda
del tipo di raggruppamento politico
alla guida di un governo, si scelga
un modello pi dialogante (ad
esempio la concertazione fra le
parti, come lo fu laccordo del 23 luglio) oppure uno pi conflittuale,
senza alcuna regola.
Lo strumento della contrattazione e
del conflitto si sono dimostrati indispensabili luno allaltro per lottenimento di risultati; il contenimento del conflitto, dello sciopero,
attraverso la pratica concertativa, ha
consegnato i lavoratori alla debolezza di chi viene disarmato di
fronte ad una controparte (il padrone, il Capitale) ben robusto e determinato a far prevalere i suoi interessi. Il Governo non pu essere
mediatore, un arbitro da chiamare
in campo.
Qui si confrontano interessi, e un
Governo, che pure rappresentanza politica di interessi generali,
anchesso determinato, condizionato. da scelte politiche e da un modello di societ di parte, e non solo
nel momento in cui viene eletto.
Lesperienza definita concertazione che si consumata in questi

41

Lavoro

ultimi anni si dimostrata catastrofica per i pensionati ed i lavoratori;


quel che si visto stato principalmente e prioritariamente il tempo
del contenimento dei salari e delle
pensioni, del taglio agli organici e
dellaumento degli orari, e il tutto
giustificato dal fine di rilanciare leconomia e quindi il lavoro e quindi
loccupazione e quindi il reddito dei
lavoratori e dei pensionati.
Purtroppo il fine annunciato non si
mai avverato, e si sono sentite invece le pesanti conseguenze sulla vita
di tutti i lavoratori, i pensionati e le
persone in cerca di lavoro del taglio
del reddito e dellincremento della
pesantezza del lavoro e dellincertezza di poterlo mantenere o trovare.
Sar in grado la CGIL di dire una
parola conclusiva su questa esperienza disastrosa? Si eviter di riproporla con nuovi artifici (nuove

42

regole!?!)? Si eviter di fare dichiarazioni dirompenti rispetto alla situazione determinata dallattuale
governo Berlusconi solo per evitare
oggi, prima delle elezioni politiche,
di delineare una pratica che prescinda dal temporaneo governoamico o governo nemico? Si riuscir
a dimostrare che vi una piena ripresa di titolarit negoziale, e dunque conflittuale, che pone alle forze
politiche la necessit di avere allordine del giorno dei propri lavori
e del proprio programma risposte
da dare al mondo del lavoro dipendente?
La forza e la capacit del pi grande
Sindacato italiano di porsi con questa autonomia ed autorevolezza
sono discriminanti per il cammino
di tutta la Sinistra. Per questo il
ruolo avuto dalle compagne e dai
compagni della rete 28 aprile

Luglio Agosto 2005

stato importante. Ha evidenziato alcuni temi centrali, tra i quali questi;


ha pesato nel consentire che il segretario del maggiore sindacato di
categoria (la FIOM) potesse avanzare delle tesi alternative su democrazia, contrattazione ed indipendenza (appunto!), ha avuto la capacit di ricomporre le forza attorno a queste per consentire il migliore risultato. Per noi tutti, per la
Sinistra politica in particolare, importante che in questa battaglia di
idee vinca non la propaganda di
una maggioranza (garantista soprattutto dei gruppi dirigenti bisognosi di tutele), ma la garanzia dellonest della pratica corrispondenza fra ci che si afferma e ci che
si pratica, e di coloro che ne sono
portatori. Altrimenti, di quale
nuovo modello di societ e di vita si
va cianciando?

Luglio Agosto 2005

Lotta delle idee

CONVERSAZIONE CON LIDIA CIRILLO,


RESPONSABILE DE I QUADERNI VIOLA

Tra Giorello
e Ratzinger,
preferisco Marx

a cura di Elisabetta Borioni

LA FALSA ALTERNATIVA TRA LAICISMO BORGHESE RELATIVISTA


E CLERICALISMO DOGMATICO E REAZIONARIO. IL MARXISMO
E LA CRITICA DEL PENSIERO DEBOLE.
IL RAPPORTO COMPLESSO TRA SCIENZA, TECNICA, ETICA E SOCIET.
CLERICALI E LAICI REAZIONARI UNITI NELLA LOTTA

a morte di papa Wojtila ha coinvolto


milioni di persone in ogni continente. E stato cer tamente un
grande evento mediatico. Ma, al di
l di questo, alcuni commentatori
hanno osservato che la Chiesa cattolica, con il pontificato di Wojtila,
entrata in una fase post-conciliare, con una pi diretta influenza
sulla vita politica. Se cos, quali
sono state le condizioni storiche,
politiche, sociali, culturali che
hanno riportato la Chiesa cattolica
al centro della vita pubblica, dopo
una fase in cui la religione sembrava
appartenere sempre pi alla sfera
della coscienza individuale?
Mi fai domande molto complesse
per unintervista necessariamente
breve. Ti risponder per titoli, cominciando dalle osservazioni pi
ovvie, su cui tuttavia non stata ancora fatta una riflessione autentica.
La prima riguarda la capacit della
Chiesa di fare uso sapiente dei mezzi di comunicazione. Certo, poco
meno di diciassette secoli di esperienza hanno reso la burocrazia cattolica assai abile nelle tecniche di
gestione e di conservazione del potere. Daltra parte per ci sono in
Italia mezzi di comunicazione disponibili a farsi utilizzare oltre ogni
misura. Voglio dire che le considerazioni pi importanti, meno giornalistiche e pi politiche, mi sem-

brano quelle sul sostegno reciproco


tra vertici ecclesiastici e capitalismo
senile. Pu apparire schematico,
ma un semplice dato di fatto e tuttaltro che una novit storica.
Una riflessione meriterebbe poi anche la combinazione tra arcaismi e
tecniche avanzate. Si tratta di una
combinazione temibile sempre e
non solo se riguarda le armi o il rapporto tra sviluppo economico e ambiente. Pu esserlo anche per le
idee, le opinioni, limmaginazione
politica.
Linfluenza dei teo-cons negli USA
ha alle spalle una lunga vicenda di
utilizzazione di radio e televisioni
locali, di nuovi pulpiti e di divismo
religioso a noi sconosciuta.
La seconda osservazione ovvia perch gi molto detta, ma non ovvia
perch poco analizzata, riguarda la
cosiddetta esigenza di protagonismo della folla. E una cosa assai diversa dallattivismo di massa del movimento operaio, anche cattolico.
E un altro fenomeno, a cui non
stato estraneo lo stesso movimento
dei movimenti.
Ratzinger sembra avere problemi simili a quelli delle istituzioni di movimento nella fase di ascesa della
mobilitazione. Riempiamo le piazze, ma non riusciamo a trasformare
questo in radicamento, organizzazione, attivismo stabile. Riempiamo
le piazze, ma la gente diserta le

chiese e la crisi delle vocazioni non


certo finita.
Che cosa significa tutto questo? Di
che cosa leffetto? Quali ne sono
e ne saranno le implicazioni?
Quanto alle condizioni storiche, sociali, politiche, culturali che hanno
riportato la Chiesa al centro della
vita pubblica bisognerebbe scrivere
alcuni tomi. Alla fine dellanalisi
per la conclusione sarebbe una e
una sola. E la crisi dellintellettuale
collettivo, dellintelligenza critica,
del movimento operaio del Novecento a determinare questo stato di
cose in Italia e altrove.
La crisi dellumanit la crisi della
sua avanguardia: stato detto una
settantina di anni fa, ma oggi vero
come mai prima.
Cio condividi la tesi per cui la crisi
dellidea di socialismo come societ
alternativa ha, in qualche misura, favorito la rinascita delle grandi religioni monoteiste, quali il Cristianesimo e lIslamismo. Sconfitta
quellesperienza di socialismo, i popoli sono stati indotti a cercare un
senso di riscossa nelle grandi religioni. Hanno cercato nelle religioni
lidea di un altro mondo possibile
E pi o meno quel che intendevo
dire.
Molti hanno sottolineato che nel

43

Lotta delle idee

pontificato di Wojtila vi stata la coesistenza di elementi fortemente


conservatori, come la lotta contro il
socialismo, lattacco durissimo alla
teologia della liberazione (fu proprio Ratzinger che pro c e s s
Leonard Boff, uomo di punta della
teologia della liberazione,) la chiusura sulle tematiche riguardanti letica sessuale e la famiglia; e di elementi, per cos dire, progressivi, di
lotta contro le contraddizioni pi
acute del capitalismo, di critica sociale, di impegno sul terreno della
pace. Ci ha indotto anche uomini
di sinistra ad esprimere un giudizio
articolato, riconoscendo a Wojtila di
aver svolto anche una funzione positiva di critica al capitalismo.
Condividi questo giudizio? Qual
lapporto teologico pi rilevante di
papa Wojtila?
Wojtila ha avuto anche un ruolo positivo in alcune circostanze, ma io
non vedo un Wojtila conservatore e
un Wojtila progressista. Credo che
ha combinato gli elementi di conservazione che indicavi con un rinnovato misticismo che ha fatto poi
riaffiorare aspetti specifici del cristianesimo: un certo pacifismo, un
certo egualitarismo ecc. che per
fanno parte della tradizione della
Chiesa, non sono una caratteristica
di Wojtila.
La contraddizione invece quella
da sempre propria della Chiesa. Da
una parte c lenunciazione di
principi e valori, dallaltra c la politica di potere delle alte gerarchie
ecclesiastiche. Si dice pace e ci si mobilita anche per la pace, ma poi si
avalla la politica di questo governo,
non si chiede il ritiro delle truppe
dallIraq, si conferma lidea della
missione di pace ecc. La contraddizione pi che del pontificato di
Wojtila tra unidentit cristiana di
buoni principie la pratica effettiva
della Chiesa, con delle differenze
interne e delle oscillazioni ovviamente, ma che sono accidente e
non sostanza.
Dunque tu vedi un Wojtila fondamentalmente conservatore

44

S, conservatore, con una posizione


che si potrebbe scherzosamente definire post-moderna. Gli elementi
pre-moderni e antimoderni che facevano gi parte dellidentit dellistituzione si sono combinati con gli
elementi di regressione pi complessiva presenti nella nostra societ
e a livello globale.
La Chiesa di Wojtila per ha assunto
una posizione contraria alla guerra
in Iraq, una posizione che oggi andata via via affievolendosi. Si pu
dire che con Ratzinger c stato un
arretramento da questo punto di vista? Vedi su questo punto una discontinuit tra Wojtila e Ratzinger?
No, penso che siano in sintonia tra
loro. La caduta dellattenzione sulla
questione della guerra non dipende
da Ratzinger, si era verificata gi
prima. Dipende da diverse ragioni.
E dipende tra laltro dal fatto che
c una gestione mediatica della
guerra, che rimuove del tutto una
delle due parti in campo. Quello
che le truppe di occupazione fanno
in Iraq con i bombardamenti, i massacri di civili, la riduzione di un
paese in ginocchio, oscurato completamente. Lattenzione si concentra sul terrorismo, che ovviamente sdegna.
Pu sembrare paradossale, ma ci
che scompare proprio la guerra.
Nellimmaginazione di molti la
guerra cera prima che ci fosse; non
c pi da quando ha cominciato a
esserci.
Joseph Ratzinger, nella sua omelia
pro eligendo romano pontefice, pronunciata il 18 aprile scorso, ha usato
molto bene, dal suo punto di vista,
quella dottrina di cui stato fedele
custode ed ha portato, per cos dire,
un attacco ulteriore o pi esplicito
sul piano teorico e teologico.
Cito testualmente: Quanti venti di
dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti
ideologiche, quante mode di pensieroLa piccola barca del pensiero di molti cristiani stata non di
rado agitata da queste onde. La pic-

Luglio Agosto 2005

cola barca del pensiero di molti cristiani stata gettata da un estremo


allaltro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo allindividualismo radicale, dallateismo ad un vago misticismo religioso, dallagnosticismo
al sincretismo e cos via Avere una
fede chiara, secondo il Credo della
Chiesa, viene spesso etichettato
come fondamentalismo. Mentre il
relativismo, cio il lasciarsi portare
qua e l da qualsiasi vento di dottrina appare come lunico atteggiamento allaltezza dei tempi.
Si va costituendo una dittatura del
relativismo che non riconosce nulla
come definitivo e che lascia come
ultima misura solo il proprio io e le
sue voglie...
Lattacco intransigente al relativismo portato da Ratzinger, ha fatto
molto discutere. Il laicismo borghese e certo relativismo culturale sostengono, appoggiandosi
sulle elaborazioni di Hume e Popper, lidea di un pensiero debole,
con ci volendo sottolineare i limiti
delle possibilit conoscitive del pens i e ro umano. Giulio Giorello ha
pubblicato un pamphlet dal titolo
Di nessuna Chiesa: la libert del
laico, in cui prende di petto lomelia di Ratzinger affermando che
uno spettro si aggira per lEuropa:
il relativismo, cio il dogma che non
c nessun dogma; sottolinea che il
contrario di relativismo assolutismo; attacca la presunzione di infallibilit che pu viziare qualunque istituzione o comunit; sostiene
che il fallibilismo non una teoria,
bens un atteggiamento, uno stile di
vita; invita i laici a reagire contro
la santa alleanza stretta dai chierici
e dai laici in nome dei valori e delle
radici delloccidente. Ma la sua polemica contro l assolutismo, si
spinge fino ad affermare in polemica con chi crede ancora ad un progetto di societ alternativa al capitalismo-: continuo a pre f e r i re la
flessibilit dello scettico Hume a
qualsiasi pretesa di fondamento, anche se laica, come quella avanzata
da Marx.
Ora il marxismo si discosta in effetti

Luglio Agosto 2005

dal relativismo laicista, cos come


delineato da Giorello, anche perch
si presenta come una filosofia, certamente laica, ma non re l a t i v istica, nel senso che il pensiero debole attribuisce al termine. Da questo punto di vista Ludovico Geymonat ha parlato di rifiuto del relativismo da parte della gnoseologia
materialistico-dialettica, la quale
non si limita ad affermare che ogni
nostra conoscenza in particolare
ogni conoscenza scientifica relativa e quindi perennemente modificabile. Accanto a questa tesi ne
ammette pure unaltra, non meno
fondamentale: che le nostre conoscenze ci pongono in grado di ragg i u n g e re effettivamente la re a l t ,
sia pure senza riuscire mai ad esaurirla, cosicch ha senso parlare di
conoscenze pi vere di altre. Per
questo il marxismo si oppone al relativismo del pensiero debole in
nome di un pensiero forte, anche
se non dogmatico e mai definitivo.
Ti domando allora: quali sono i
punti di convergenza che i marxisti
possono avere con il relativismo laicista alla Giorello e quali i punti di
divergenza?
Si tratta di un orizzonte e di una problematica che non dovrebbero interessarci pi di tanto, soprattutto
per il terreno specifico su cui collochiamo le nostre riflessioni, che
quello della politica.
In primo luogo laccusa di relativismo da parte della Chiesa per noi
irricevibile, perch il suo il punto
di vista delle verit assolute, senza
storia e fuori dalla storia. Il contrario del marxismo, insomma.
Quanto al relativismo o unovviet
o un modo di vedere le cose assai
diverso dal nostro. E unovviet se
si vuol dire che esistono angoli di visuale diversi e molteplici, che la
realt in divenire e che con essa
sono in divenire anche i punti di vista stessi, che un modo di vedere
costituito da un insieme di interessi
e aspettative, appunto relativi.
Sul terreno specifico della politica,
lesigenza di pratica e di pratiche
impone di scegliere un angolo di vi-

Lotta delle idee

suale e, una volta che lo assumi


come tale e finch lo assumi come
tale, niente pu essere pi relativo.
Collocato sul piano politico, il problema andrebbe posto in altri termini. Per chi desidera cambiare il
mondo, si tratta da una parte di leggere e comprendere le contraddizioni, i paradossi, le ambivalenze
che hanno reso il nostro percorso
spezzato e tortuoso. Dallaltra si
tratta di non dimenticare mai che
sempre, comunque e dappertutto il
mondo stato cambiato da un attaccamento assoluto e non relativo
a ci che si riteneva rispondente a
giustizia e verit.
Le condizioni delle classi subalterne in Europa sono mutate, nel
XIX e XX secolo, attraverso macelli
che nessuno/a avrebbe potuto affrontare con unattitudine psicologica relativista.
Intendi dire che esistono delle acquisizioni parziali, approssimative,
che devono essere verificate, che
tuttavia non costituiscono solo un
punto di vista, ma un sistema di riferimento, come ad esempio il marxismo, che ci consente di interpretare la realt con una certa oggettivit?
Non una verit assoluta, ma comunque una verit quello che ho
acquisito sulla lotta di classe, sul socialismo. Io ho assunto un angolo di
visuale e soprattutto dei valori, delle
speranze che non sono relative, perch appartengono alla mia storia,
anche se sono poi disponibile alla
verifica. Del resto la storia sempre
verifica, conferma, smentisce, acquisisce. Non ho una fiducia dogmatica in ci in cui credo, ma mi
sento molto lontana dal relativismo.
Come potrebbe essere diversamente?
Pi complesso invece il discorso
sulla scienza. Anche la scienza collocata nella storia, subisce le trasformazioni legate allambiente, al
contesto; di volta in volta acquisisce
delle porzioni di realt anchessa relativa, ma con il margine di oggettivit verificabile nellapplicazione
pratica.

Dunque possiamo dire che anche i


marxisti criticano il relativismo, il
pensiero debole, ma rifacendosi al
metodo e al valore, seppure storico
ed approssimativo, della conoscenza scientifica, senza dogmatismi; mentre Ratzinger critica il relativismo a partire da un approccio
metafisico e dottrinario. Non una
differenza da poco. Non ti sembra?
Mi sembra.

La crisi del socialismo


ha spintoi popoli
a cercare nelle religioni
lidea di un altro mondo possibile

Mentre si sviluppava questo dibattito con implicazioni filosofiche e


scientifiche rilevanti, in Italia si svolgeva la battaglia referendaria, in
cui, come ha scritto Rossana
Rossanda, era dal 1948 che la
Chiesa cattolica apostolica romana,
non lanciava le sue schiere contro la
laicit dello stato. Cio la Chiesa
cattolica scesa in campo come un
partito grande e ramificato perch
la posta in gioco sottesa ai referendum era alta. Le problematiche sottese ai referendum, per dirla sempre con le parole di Ratzinger sono
(nella visione cattolica) che luomo
non appare pi come un dono della
natura di Dio, ma diventa un prodotto nostro che si pu fabbricare
e quando si pu fabbricare si pu
anche distruggere, sostituire con altre cose. Questa capacit di per s
positiva di andare fino alle radici del
suo essere, diventa man mano una
minaccia pi pericolosa dei mezzi di
distruzione, perch tocca lessere
umano nel pi intimo fondamento.
Luomo fatto, luomo fabbricato diventa anche una merce.
Allora vorrei discutere con te di que-

45

Lotta delle idee

sto aspetto: il fronte cattolico, ma


non solo, ha espresso una serie di
perplessit su tutta la materia della
procreazione medicalmente assistita: quali di queste ti sembrano il
frutto di una mentalit oscurantista
e medievale e quali, se ve ne sono,
contengono un nucleo di verit con
il quale anche i marxisti e il movimento femminista devono confrontarsi?
E assolutamente necessario distinguere due piani diversi: la legge e i
problemi etici, scientifici, politici
implicati nelle tecniche di riproduzione e in genere nella manipolazione della vita.

Anche i marxisti criticano


il relativismo, il pensiero debole,
ma rifacendosi al metodo
e al valore
della conoscenza scientifica

La legge va respinta senza se e senza ma perch confessionale, misogina e retriva. I problemi sono invece complessi, aperti e di non facile soluzione.
Talvolta questi problemi sono stati
sollevati dai sostenitori della legge,
ma in modo non pertinente.
Quando Ratzinger, per esempio,
dice luomo diventa merce, coglie
un aspetto di queste tecniche che
pu provocare una giusta ripulsa.
Con la legge tuttavia la mercificazione non ha nulla a che fare. Anche
nella donazione di organi c il mercato: si possono prelevare organi da
un corpo umano, vivo o morto, e
venderli poi a chi li pu comprare.
Questo non significa che la dona-

46

zione dorgani debba essere proibita. La critica deve essere piuttosto


rivolta al mercato, a un sistema di vita
in cui tutto prima o poi diventa merce. Non solo il fegato o il cuore, ma
anche il seme, gli uteri e gli ovociti.
La Chiesa agita lo spauracchio del
mercato per rendere la sua critica
pi accettabile, ma non il mercato
che la Chiesa non vuole. Non vuole
laborto, il divorzio, la contraccezione, lomosessualit, la laicit.
Anche sulla cosiddetta inseminazione eterologa possono esservi legittime perplessit, ma essere contro per principio assurdo. Si ormai consolidata unesperienza che
consente modifiche della legislazione e dei comportamenti. Negli
ambienti omosessuali e lesbici per
esempio c la tendenza a fare figli
con persone conosciute, per evitare
gli inconvenienti psicologici di origini non rintracciabili.
Anche alcune femministe hanno
espresso delle preoccupazioni. Per
esempio sul sito internet della
L i b reria delle donne di Milano,
Luisa Muraro ha scritto: Le femministe non hanno mai pensato di
lasciare sola la scienza, soli i medici
a sostituirsi a loro, a cre a re per
mezzo dei loro corpi, offrendo in
cambio unillusione dolorosa in potenza. E anche Maria Luisa Boccia
e Grazia Zuffa hanno detto che i SI
ai referendum non bastano, c bisogno - cito testualmente - di un discorso chiaro e netto sulla legge,
quanto critico sullo scenario tecnologico. Lo scenario tecnologico inquieta molte di noi, come tanti uomini e tante donne. Ed avvertiamo
il bisogno di ritrovare un ordine del
discorso che ricomponga la frantumazione dei processi riproduttivi indotti dalle tecnologie, che dia un
senso al materiale biologico separato dai corpi viventi.
Condividi queste inquietudini o le
consideri eccessive?
Diciamo che le considero eccessive,
soprattutto in certi settori del movimento delle donne e dellecologismo. Sarebbe assurdo tuttavia non

Luglio Agosto 2005

avere delle inquietudini. Tra le mie


preoccupazioni non ci sono quelle
che hai citate, ce ne sono altre che
prover a esporre brevemente.
La prima riguarda laggravarsi, per
ragioni sociali e politiche, di un divario gi individuato da tempo: il divario tra la crescita esponenziale di
ci che la scienza e la tecnica possono e la lentezza o lo stallo o la regressione della crescita culturale e
psicologica dellumanit. Questo
naturalmente ha qualcosa a che fare
con la crisi dellintelligenza collettiva e con la qualit degli esseri
umani al potere. Scienza e tecnica
daltra parte possono accrescere la
distanza tra chi le detiene, perch
detiene il potere economico, militare, politico ecc. e chi pu averne
un accesso marginale o nullo.
Mi preoccupa poi che la critica della
scienza e delle tecnica sia monopolio della Chiesa o che assuma accenti regressivi come quelli sulla
mancanza di senso del limite o sui
deliri di onnipotenza.
Ma mi preoccupa soprattutto un
paradosso. Ricerca e tecnica sfuggono oggi a ogni controllo da parte
della societ nel suo complesso, eppure non sono mai state cos subalterne.. I costi della ricerca pi avanzata sono ormai tali, che solo potenti gruppi economici possono garantirne la promozione. Limmagine di una tecnica e di una ricerca
fuori controllo perci falsa; la loro
attuale anarchia solo il riflesso del
modo di produzione che ne ha il
controllo.
C o n c o rdo con le tue considerazioni. Credo poi che una parte del
movimento delle donne non abbia
compreso pienamente i rischi della
legge che, anzitutto, mette in pericolo la laicit dello Stato e chiude
un dibattito complesso che invece
deve re s t a re aperto. Ma a te non
sembra che anche a sinistra manchi
un discorso sulla sfida bioetica, per
cui alla fine la sinistra rischia di res t a re schiacciata tra il moralismo
cattolico e oscurantista e un laicismo positivista, acritico, inadeguato a comprendere la complessit

Luglio Agosto 2005

dei problemi che il rapporto tra


scienza, tecnica e societ comporta?
Non in questo vuoto che si sviluppano il fondamentalismo, le crociate sullembrione, la critica della
modernit tout court? Non c un
limite di elaborazione della sinistra
e dei marxisti su questi temi della
bioetica?
La mia impressione che spesso la
sinistra cada dalle nuvole. Quando,
per esempio, le femministe di
Rifondazione hanno cominciato a
porre i temi legati alla legge 40,
molti compagni ( e compagne)
sono appunto caduti dalle nuvole.
C stato un momento iniziale di
disorientamento, non si capiva
nemmeno di che cosa si stesse parlando. Faceva presa lobiezione del
mercato, levocazione del fantasma
della pecora Dolly La parte pi
politicizzata del femminismo ( le
donne dei partiti, del sindacato, del
movimento) ha avuto un importante ruolo di orientamento sia
nelle proprie organizzazioni, sia nel
movimento delle donne. La partecipazione alla battaglia referendaria non era per nulla scontata nemmeno per Rifondazione comunista.
Quanto agli esiti, una sola considerazione. La legge era sconosciuta al
99% delle persone e la cosa peggiore sarebbe stata che passasse in
silenzio e senza reazioni di rilievo.
Il referendum ha consentito che
dieci milioni di persone intendessero e si mobilitassero, come per
una grande manifestazione nazionale per lo Stato laico. La partecipazione al voto ha comportato
unassunzione di responsabilit democratiche, perch il tema non era
paragonabile allaborto. Sullaborto cera unesperienza collettiva
femminile. In questo caso si trattava
di una materia che la maggioranza
della gente non poteva riconoscere
immediatamente come propria.
Sui temi della bioetica non c un limite di elaborazione solo della sinistra, anche se naturalmente a noi interessa sottolineare soprattutto
quello. Si tratta di temi relativamente nuovi, per i quali inizial-

Lotta delle idee

mente difficile anche solo definire


la reale materia del contendere.
Contrariamente alle apparenze anche letica legata a un contesto storico e viene rielaborata ogni volta
che fatti nuovi lo richiedano. Il dibattito c, ma le posizioni sono
molto diverse e le differenze non
sono solo quelle tra impostazioni
laiche e religiose. Sono incerti al
momento anche i supporti scientifici delletica. Per questo la posizione della Chiesa tanto pi assurda, perch chiude con una serie
di divieti un dibattito del tutto
aperto.
La Chiesa necessariamente pi armata da questo punto di vista pour
cause, perch quello delle relazioni
familiari e personali il terreno su
cui il suo potere da sempre si dispiega. Basti in proposito una sola osservazione: gli intellettuali del clero
cattolici sono gli unici uomini che
maneggino con disinvoltura e cognizione di causa la teoria femminista. Cos mentre il femminismo
italiano si baloccato per anni con
il cosiddetto pensiero della differenza, senza rendersi conto che era
unarma a doppio taglio, la Chiesa
ha riconosciuto in quel femminismo alcune cose della sua tradizione
culturale.
Vuoi precisare bene questo concetto: perch il pensiero della differenza unarma a doppio taglio?
Utilizzare la differenza come paradigma politico significa costruire
una soggettivit fortemente identitaria, cio sottolineare, enfatizzare,
rivendicare ci in cui si differisce
dallaltro. E lo stesso paradigma
della negritude, della blackness, cio
delle rivoluzioni africane e dei movimenti africano-americani. Il femminismo lo ha fatto proprio per un
meccanismo analogico, in uno spazio e in un tempo (gli Stati Uniti e
gli anni Sessanta) in cui esso era lespressione del massimo possibile di
radicalit, cio di un movimento
reale contro loppressione. Allinizio la differenza simbolizzava la secessione, la rottura, lautodetermi-

nazione, lesigenza per gli africanoamericani e per le donne di costituirsi in soggetti politici autonomi.
Ma la rivendicazione di alterit
che lalterit a cui ci si riferisce sia
essenziale, storica o politica- ha limiti ormai noti a tutti e a tutte. Ci
in cui un soggetto sottoposto a una
lunga vicenda di oppressione differisce, porta spesso il marchio della
relazione di potere. Il rischio quindi
lidealizzazione degli effetti di
quella relazione. Per intenderci, ci
si pu riferire alla lotta di classe
nelle sue forme pi primitive e
meno consapevoli, cio ai movimenti religiosi popolari del Medioevo, che rivendicavano la povert
come valore e passaporto per il
Paradiso. Cos per le donne (per
esempio) la rivendicazione del loro
carattere pacifico pu ridursi allidealizzazione di un effetto delloppressione, cio dellimpossibilit di
manifestare laggressivit propria di
ogni essere umano. La concezione
della donna come natura, contrapposta alluomo come cultura (vedi
lecofemminismo differenzialista)
lidealizzazione dellesclusione
femminile. Lo stesso vale per certe
forme di aggregazione politica
delle donne ancora necessariamente embrionali e spesso non capaci di elevarsi al livello della politica.
Alla fine, applicato con coerenza, il
paradigma della differenza conduce dove ha condotto le donne
che lo hanno coerentemente applicato, cio a un moto antiemancipatorio, a una sorta di autoesclusione
di fatto dalla politica. Naturalmente
questa solo una reazione alla delusione per lemancipazione, ai suoi
limiti, al fatto che la politica respinge ed esclude le donne.
La Chiesa cattolica esalta la differenza di genere come valore, contro unaltra tendenza femminista,
quella nella quale pi mi riconosco,
il cosiddetto costruzionismo, che
considera il maschile ed il femminile non leffetto del corpo (anche
se ovviamente il corpo conta), ma
costruzioni culturali, sociali e politiche. Esso quindi critica il maschile,

47

Lotta delle idee

ma non rivendica il femminile perch li considera luno lopposto speculare allaltro, costruzioni, entrambe della relazione di potere tra
uomo e donna. Cio relazioni sociali, storicamente condizionate e
quindi modificabili e da modificare.
Parliamo dellaborto. Nel momento
in cui si discusso, con i referendum sulla procreazione medicalmente assistita, della possibilit
delle tecnologie di incidere e modificare le forme della procreazione,
si riaperta pi o meno velatamente
la contesa sullaborto, una contesa
che appare infinita. Credo che se la
questione viene posta come questione di diritti in conflitto: quello
della donna e quello del nascituro,
la contesa non avr mai termine ed
comunque mal posta.
Occorre porre al centro gli interessi
da tutelare: la libera disposizione
della donna sul suo corpo da una
parte, la vita futura dallaltra. Ma
avendo bene presente che il nascit u ro, per avere diritti, dovre b b e
avere una vita personale, essere una
persona che per lappunto loggetto della controversia.
Avr temine questa discussione? E
poi, ti faccio una domanda che pu
sembrarti campata in aria: secondo
te, se oggi ci fosse un referendum
per abro g a re laborto, quale sarebbe lesito?
No, la domanda non affatto campata in aria. Se la Chiesa e le sue pi
immediate espressioni politiche
non attaccano ancora direttamente
laborto perch tutti i sondaggi
hanno detto finora che un referendum per labrogazione della legge
194 sarebbe bocciato.
Per quanto riguarda la polemica sullaborto, dietro c qualcosa di pi
complicato e inquietante. Certamente finch ci sar in Italia un
ruolo cos importante della Chiesa
cattolica, in questa fase accentuato,
torneremo allinfinito a dibattere di

48

questo tema. Ma nella riproposizione della problematica dellaborto c anche linquietudine maschile di fronte allautodeterminazione della donna: tu puoi disporre,
puoi decidere che cosa fare dellembrione, del feto che il prodotto anche del mio seme. La Chiesa
rappresenta gli interessi specifici di
una potente burocrazia, ma anche
in sintonia con consapevoli o inconsce inquietudini maschili, perch assolve un ruolo di conservazione di ci che vi di pi arcaico
nei rapporti umani.
Negli ultimi anni, per esempio, c
stata una mobilitazione di padri per
laffido congiunto della prole in
caso di separazione o divorzio. La
cosa ha lapparenza del buon senso,
ma solo lapparenza.
Laffido congiunto come viene richiesto da alcune associazioni sarebbe praticamente lannullamento dellistituto del divorzio, perch consentirebbe lintromissione
continua di un coniuge nella vita di
quello (di solito la donna) che convive con i figli. Per sostenere le loro
ragioni, le associazioni di padri si riferiscono ad abusi e ricatti reali, che
per sono leccezione e non la regola. Ma soprattutto sono violazioni
della legge, sempre possibili, anche
con la migliore delle normative.
Il vero conflitto non tra i diritti
della donna e quelli dellembrione,
ma tra i sessi. Si tratta di un conflitto
destinato ad andare avanti, perch
c la posta in gioco della prole. Del
resto gli uomini hanno sempre cercato di tenere le donne sotto controllo, proprio perch sono i mezzi
della riproduzione della specie.
Da tutto ci che abbiamo detto sinora emerge che nel nostro paese
c unoffensiva ideologica oltre che
politica fondata sullalleanza tra il
Vaticano e una parte del mondo reazionario e conser v a t o re, anche
laico. Unoffensiva che forse non ha
la portata di quella dei teo-cons ne-

Luglio Agosto 2005

gli Stati Uniti, ma comunque rilevante. Penso ad esempio alle posizioni assunte apertamente dal
P residente del Senato, Pera, (e
stiamo parlando di una delle pi alte
cariche istituzionali del Paese): posizioni sostenute in pieno da un
laico reazionario come Giuliano
Ferrara e dal suo giornale, Il Foglio,
che non a caso ha dedicato tanta attenzione alle problematiche di cui
abbiamo discusso. In che modo le
forze progressiste possono fronteggiare questa offensiva volta a far regredire il nostro paese?
Non un fatto nuovo. Gi lascesa
del movimento operaio agli inizi del
Novecento aveva prodotto in Italia
come reazione un accordo tra liberali e cattolici. I liberali rinunciavano al loro anticlericalismo, alla
laicit, alla libert in cambio del sostegno elettorale della Chiesa cattolica. I precedenti sono anche pi
lontani, nellalleanza tra borghesia
liberale, Chiesa e resti delle classi di
origine feudale.
E il movimento operaio nei suoi
momenti migliori a raccogliere gli
ideali del liberalismo (laicit, diritti
individuali, libert sessuale).
Insomma il liberismo non pu mai
essere liberale.
La storia oggi si ripete perch il liberismo conservatore non riesce a
coagulare in Italia una formazione
con caratteri di stabilit e credibilit. Il controllo dei media non basta e la Chiesa offre una struttura organizzativa capillare, una credibilit
recuperata, la capacit di rivolgersi
a masse giovaniliCome fronteggiare questa offensiva?
La lotta per la laicit ovviamente
fondamentale, ma non basta e da
sola perdente. La risposta nella
soluzione di un problema irrisolto
per tutta la sinistra, quello che noi
chiamiamo radicamento e che la
sinistra (tutta) ha ormai perso.
(4 agosto 2005)

Luglio Agosto 2005

Europa

PURTROPPO DELLA COSTITUZIONE EUROPEA SE NE


SONO DIMENTICATI ANCHE COLORO CHE LAVEVANO FIERAMENTE CONTESTATA E CHE AVEVANO
MOBILITATO LA GENTE AFFINCH VOTASSE NO

di Luciana Castellina

Costituzione Europea:
bocciata dai popoli
e assunta dalle
sinistre?
DOPO LA BOCCIATURA AI REFERENDUM DI FRANCIA E OLANDA TUTTO
PROSEGUE COME SE NULLA FOSSE ACCADUTO: TORNA AL LAVORO LA
BUROCRAZIA EUROPEA E LA SINISTRA TACE

olo tre mesi fa sembrava che lEuropa stesse per naufragare e tutti ( o
meglio, quasi tutti ) si strappavano
i capelli pensando a cosa sarebbe accaduto adesso che la Costituzione
europea era stata bocciata dai referendum di Francia ed Olanda.
Buona parte della sinistra, dal canto
suo, aveva lanciato un vero allarme
terroristico: vero che il Trattato
fondamentale che ci viene proposto
non quello che avremmo voluto,
ma andata dicendo guai a rifiutarlo, pena il sotterramento dellipotesi europea per la quale si sta
lavorando da mezzo secolo! Se non
viene ratificato cadremo in una crisi
irreversibile!
Come tutti hanno avuto modo di
constatare nulla di quanto era stato
preannunciato accaduto: gi lindomani, come a chiunque dotato di
un minimo di buon senso era sempre apparso chiaro, la mastodontica
burocrazia comunitaria peraltro
oramai difficilmente biodegradabile tornata nei suoi uffici a badare alle pratiche correnti che certo
non erano state interrotte dalle
mancate ratifiche. E cos in poche
settimane tutti si sono gioiosamente
scordati della Costituzione, non
prima, tuttavia, di promuovere qualche dotto convegno sullargomento, in cui in buona sostanza si generalmente detto che i cittadini
non avevano capito. Cos resusci-

tando un antico pensiero, rimasto


famoso in Italia per la frase che, nellesprimerlo, ebbe a pronunciare
Giuseppe Saragat, quando scopr
negli anni 50 - che il suo Psdi ( volgarmente chiamato il partito dei
piselli ) era rimasto al palo elettorale : colpa disse del destino
cinico e baro.
Purtroppo della Costituzione europea se ne sono dimenticati anche
coloro che lavevano fieramente
contestata e che avevano mobilitato
la gente affinch votasse no, pur giurando che non era contro lEuropa
che si schieravano ma contro il modello di Europa che quel testo proponeva. E che avevano annunciato
che avrebbero immediatamente
lanciato una campagna per la rinegoziazione, di cui invece non si
sentito pi parlare.
E cos si perduta la sola buona cosa
che dallelaborazione di quella proposta di Trattato era venuta: la
spinta per un dibattito pi serio su
cosa si stava costruendo, un coinvolgimento dei cittadini che mai
cera stato prima attorno a una struttura che, pur incidendo e pesantemente sulla loro vita quotidiana, per
lo pi ignorano cosa realmente sia.
Insomma: i funzionari bruxellesi
hanno ripreso come se nulla fosse il
loro consueto tran tran, i cittadini
di destra e di sinistra a ignorare
quello che fanno.

Non una buona cosa. Perch se


vero che la Costituzione proposta
era pessima, pessima lUnione europea definita dai Trattati che lhanno preceduta e che ora continuano a regolarne la vita. La campagna per il No, sia dove si avuto
modo di esprimere il proprio parere direttamente attraverso un referendum,sia dove se ne discusso
solo in ristretti ambiti partitici, doveva avere un seguito: sotterrato
quel testo, occorreva immediatamente mobilitarsi per ottenerne
uno migliore. E non importa che ci
sarebbero certamente voluti molti
anni prima di ritrovare un accordo
fra i 25 paesi membri, lessenziale
era intanto modificare la cultura politica dominante, smantellare le
icone neoliberiste collocate sui tabernacoli dellUnione, rimettere in
discussione i principi che hanno
ispirato il modello attuale, del tutto
simile al di l di qualche richiamo
parolaio a quello americano, sicch non si capisce proprio perch
ci sarebbe bisogno di costruire una
specifica entit statuale: negli anni
50, infatti, dar vita a un mercato comune era stata una buona idea; nel
terzo millennio un pezzo di mercato
globale assolutamente privo di interesse. E infatti non interessa.
Costituzionalizzando il primato del
mercato e della competivit, con
tutto ci che ne consegue (privatiz-

49

Europa

zazioni, marginalizzazione del


ruolo dello stato. ecc.) si infatti banalizzato il progetto e lo si privato
di quanto avrebbe potuto dare un
riferimento comune a popoli che,
come quelli europei, sono assai diversi fra loro,per lingua e cultura,
ma anche per storia, essendo quella
europea storia delle sue nazioni.
Perch ci che rende pi simili fra
loro che, rispetto ad altri pezzi doccidente paesi come il Portogallo o
la Svezia o la Grecia e la Cekia, proprio il loro rispettivo movimento
operaio, mai solo soggetto economico,mero negoziatore del prezzo
della forza lavoro, ma sempre anche
soggetto politico ed etico, e per questo fattore decisivo nel disegnare i
nostri moderni stati democratici.
E questa specificit che in Europa
non ha mai consentito una totale
riduzione di ogni cosa al mercato,
che ha conservato una distanza critica dalla mercificazione di ogni
aspetto della vita fin nel senso comune, e dunque ha permesso un
ruolo pubblico che in nome della
solidariet sociale ha condizionato
la cieca ricerca della competitivit e

50

del profitto. Oggi questa nostra diversit certamente a rischio. Ma la


Costituzione che ci era stata proposta aveva legittimato laggressione,
puntando ad una nostra definitiva
omologazione. Ed proprio per
modificare questa Costituzione
mcdonaldizzata che occorre tuttora muoversi, perch nei fatti i principi che lhanno ispirata non continuino ad esercitare il loro dominio.
Rilanciare una campagna per la rinegoziazione del Trattato, operando contemporaneamente per cambiare i rapporti di forza in Europa
(che non solo il pi difficile problema di dar vita a nuovi governi,
ma anche di incrinare legemonia
del pensiero unico) problema
pratico urgente se non si vuole che
ogni prossima e auspicata maggioranza di sinistra finisca per restare
strangolata da Bruxelles. Vale la
pena in proposito osservare quanto
sta accadendo in Germania, dove la
protesta contro loperato del governo socialdemocratico non solo
causa della cattiveria di Schroeder,
ma anche dei limiti angusti in cui lhanno costretto le regole comuni-

Luglio Agosto 2005

tarie. Inutile dire che lesperienza


tedesca rischia di essere iscritta nel
nostro futuro se qualcosa non si riesce a cambiare non solo in Italia ma
in tutta lEuropa. Se, insomma, non
verr subito rilanciata una campagna per rimettere in discussione il
patto di stabilit, il dogma della concorrenza, la riduzione della forza lavoro a variabile economica, lobbligo delle privatizzazioni e il divieto
di usare lintervento pubblico come
strumento di correzione del mercato. Se c tanto euroscetticismo
in giro per lEuropa non perch
qualcuno abbia nostalgia di patrie
oltretutto anchesse matrigne, ma
perch queste conquiste vengono
cancellate in nome delle regole di
Bruxelles. Se la Scandinavia ha resistito, proprio perch in quei
paesi migliore il loro stato sociale
e pi forte la decisione nel salvaguardarlo.
Ma se non vogliamo perdenti resistenze difensive, bisognerebbe riaprire al pi presto il discorso
sullEuropa. E, anchesso, un tema
della campagna elettorale che
stiamo per iniziare.

Luglio Agosto 2005

Europa

PER COMPRENDERE LE CAUSE PROFONDE


DELLA CRISI EUROPEA
BISOGNA RITORNARE SULLE QUESTIONI
DI FONDO DELLA COSTRUZIONE EUROPEA,
E SULLA BASE DI ESSE CERCARE
DI DEFINIRE LA STRATEGIA DEI COMUNISTI

di Andrea Catone

l no francese e olandese di questa


primavera al referendum sul
Trattato costituzionale europeo ha
rivelato con la forza di milioni di voti
su cui erano stati puntati i riflettori
di tutto il mondo una crisi profonda
del processo di trasformazione di
quello strano ibrido che la UE in
Stato. Per evitare ulteriori contraccolpi, la Commissione europea ha
annullato tutti i referendum previsti nei prossimi mesi, salvo quello
del piccolo Lussemburgo: i governi
di Gran Bretagna, Repubblica Ceca,
Danimarca, Portogallo, Polonia
hanno deciso un rinvio sine die delle
rispettive consultazioni referendarie. Il fallimento del vertice di
Bruxelles di met giugno ha segnalato ancora pi marcatamente lo
stato di crisi in cui si trova il progetto
di Unione Europea.
Il no, tuttavia, accentua la crisi, ma
non esso a determinarla. Essa era
gi in atto da tempo e la stessa farraginosit e complicatezza del Trattato costituzionale europeo un volume di oltre 400 pagine, ben oltre
il testo di una costituzione causa
non ultima dellinsuccesso referendario, un sintomo rivelatore della
crisi e della difficolt di giungere ad
un compromesso accettabile per
tutti i 25 paesi membri.
Per cercare di comprendere le cause profonde della crisi europea e
di crisi parla esplicitamente la gran-

LUnione europea,
la sua crisi
e le sue radici
QUESTA UE NATA SOTTO IL SEGNO DELLA SOLA CLASSE BORGHESE
TRANSNAZIONALE, CHE HA CREDUTO DI POTER FARE A MENO DELLE
CLASSI POPOLARI.
MA COS NON SI D ALCUN PROCESSO COSTITUENTE.

de stampa del continente bisogna


dunque ritornare su alcune questioni di fondo della costruzione europea, e sulla base di questa analisi
cercare di definire quale possa essere la strategia dei comunisti a proposito dellEuropa.

LA

COSTRUZIONE DI UNO

S TAT O E U R O P E O : U N P R O C E S S O
PROMOSSO DAL GRANDE
C A P I TA L E T R A N S N A Z I O N A L E

Quando parliamo di UE, in primo


luogo dobbiamo sgombrare il
campo dallideologia (nel senso
marxiano di falsa coscienza) che
stata costruita in proposito. Lattuale costruzione europea non il prodotto di un movimento di popoli
che hanno desiderato unirsi con un
patto sulla base di una storia, di valori, di interessi, di un sentire comuni. I popoli degli Stati che compongono lattuale UE sono stati sostanzialmente estranei al processo della sua formazione. La costruzione dellattuale
UE tutta sostanzialmente opera di
una frazione del grande capitale
transnazionale europeo. Il secondo
inganno, complementare al primo
e condiviso da gran parte della socialdemocrazia e della sinistra,
che nel progetto europeo si confronterebbero due posizioni, luna
legata al sociale, ai popoli, che vor-

rebbero in prospettiva unintegrazione di tipo statuale, laltra delle


multinazionali, propense ad avere
solo unEuropa-mercato . Le due
posizioni, ben evidenziate allindomani del fallito vertice di Bruxelles
dalle dichiarazioni del presidente
di turno, il primo ministro lussemburghese Jean-Claude Juncker, coesistono invece come opzioni diverse allinterno della medesima
classe capitalistica transnazionale
europea. La quale, nella sua frazione pi dinamica e autonoma, ha
espresso chiaramente il progetto di
dotarsi di uno Stato a tutti gli effetti.
Henri Houben, membro della segreteria di AT TAC di Bruxelles,
spiega molto bene in un saggio degli inizi del 2002 il rapporto tra processo di costruzione di un vero e
proprio stato europeo e gli interessi
del grande capitale transnazionale.
Se si osserva la storia della costruzione europea, si vede come la classe
dei capitalisti transnazionali europei abbia operato attivamente non
solo per lestensione del mercato,
per la creazione di un mercato comune di quasi mezzo miliardo di
persone, ma per la costruzione di
uno Stato che, solo, pu difendere
gli interessi del grande capitale.
Questi interessi sono il controllo
sulle masse allinterno disciplinarle, renderle obbedienti, prevenire qualsiasi sommovimento so-

51

Europa

ciale e lespansione su mercati e


territori allestero, per esportare
merci e capitali e assicurarsi lo sfruttamento di materie prime e forza lavoro a basso costo. In una parola,
limperialismo, che la fusione di
economia e politica al suo massimo
livello: lespansione capitalistica ha
bisogno dello Stato, del suo Stato,
che faccia sentire la sua voce nellarena internazionale e sappia, alloccorrenza, ricorrere alla forza militare. Particolare attenzione dedicata nel saggio al ruolo svolto, a partire dalla met degli anni 80, dalla
tavola rotonda degli industriali europei (ERT), che raggruppava nel
2001 quarantacinque padroni di
grandi imprese europee (con un

Il documento dei grandi


industriali europei non poteva
essere pi esplicito.
Occorre una politica estera,
occorre un esercito che la supporti,
occorre uno Stato riconosciuto
come soggetto politico
nellarena internazionale

buon numero di tedeschi e francesi), che globalmente rappresentano il 55% del giro daffari delle
grandi societ industriali europee e
il 48% dei salariati . Il primo rapporto dellERT, dallemblematico
titolo Gli anelli mancanti, esce nel
dicembre 1984: chiede grandi lavori
per organizzare il mercato europeo
e una ridefinizione degli assetti economici ( allora che prende il via il
tunnel sotto la Manica). Ma ben pi
significativo per la comprensione
dellobiettivo del grande capitale di
trasformare il mercato comune in
un vero e proprio Stato il documento Rimodellare lEuropa, apparso nel settembre 1991, a pochi
mesi dalla prima guerra americana
contro lIraq, dalla costituzione

52

della grande Germania, con la riuscita annessione da parte del cancelliere Kohl della DDR, e a ridosso
del golpe di agosto in URSS che
consegner interamente il paese ad
Eltsin e decreter, pochi mesi dopo,
la dissoluzione dellUnione sovietica. Si tratta di un vero e proprio
progetto politico.
I problemi che affrontiamo nel
presente rapporto riguardano tutti
i paesi europei a livelli diversi, ma
nessuno stato nazione capace di risolverli da solo. Isolatamente nessun
paese in grado di gestire efficacemente la sua industria aerospaziale
n di realizzare uninfrastruttura di
trasporti che risponda ai bisogni
moderni. Come non pu fare una
politica monetaria veramente indipendente o sviluppare uno sforzo di
ricerca appropriato nelle tecnologie di punta [] cos nessun paese
europeo pu influenzare da solo in
modo determinante lordine mondiale, come ha chiaramente mostrato la
crisi del 1990 in Medio Oriente.
LEuropa pu dare un grande apporto alla costruzione della pace e
della prosperit mondiali, ma se gli
europei sono troppo indisciplinati
per collaborare strettamente gli uni
con gli altri, la loro influenza rester
trascurabile [] il Giappone ha
una moneta unica. Gli Usa hanno
una moneta unica. Come pu vivere
la Comunit Europea con 12 monete differenti? [] Le industrie e
i popoli che lavorano in Europa desiderano vivere in sicurezza [] desiderano che i loro dirigenti facciano intendere la loro voce nel concerto mondiale
e non possono accettare di vedere la comunit relegata ai margini della politica internazionale. Gli stati nazione
presi isolatamente non sono in
grado di affrontare tale compito. Se
la comunit in procinto di acquisire un potere economico e politico
effettivo, a questo stesso livello che
dovr intervenire anche la responsabilit della nostra sicurezza []
La crisi del 1990 in Medio Oriente ha
mostrato la difficolt di trasferire i nostri progressi tecnici ed economici sulla
scena politica: qui il paradosso

Luglio Agosto 2005

dellEuropa, gigante economico e nano


politico. Lassenza di procedure, di
istituzioni e di principi direttivi le ha
tolto ogni efficacia. LEuropa aveva
degli interessi in gioco nel Golfo e
delle idee su ci che conveniva fare.
[] Ma quando si posta la questione del ricorso alla forza,
lEuropa non disponeva n dei meccanismi decisionali n dei mezzi che
le avrebbero permesso di intervenire. illusorio credere che tale inefficacia politica non sia pregiudizievole per
le altre nostre realizzazioni. Oggi anacronistico pre t e n d e re che la comunit
possa regolare le questioni economiche in
modo soddisfacente lasciando ad altri la
gestione della sua politica estera.
Il documento dei grandi industriali
europei non poteva essere pi esplicito. Occorre una politica estera, occorre un esercito che la supporti, occorre uno Stato riconosciuto come
soggetto politico nellarena internazionale. Senza di che non si possono efficacemente perseguire neppure gli interessi economici: illusorio credere che tale inefficacia politica non sia pregiudizievole per le
altre nostre realizzazioni. La data
in cui esso viene elaborato, come abbiamo visto, altamente significativa: siamo al passaggio da un secolo
allaltro, dal secolo breve al secolo americano, al secolo della
contesa interimperialistica per la ripartizione del mondo. Le guerre jugoslave degli anni 90, fino allepilogo dei bombardamenti a tappeto
sulla RFJ nel 1999, mostreranno anche linefficienza, lincapacit, lassenza di una politica estera comune
della UE, prima ancora che di un
esercito europeo. Mancano le strutture decisionali, le istituzioni adeguate a prendere decisioni e a metterle in pratica. Il capitale transnazionale europeo classe, consapevole degli obiettivi da raggiungere, in una corsa contro il tempo.
E tra il 1991 e il 2005 costruisce
molto di pi di quanto non avesse
fatto nei 40 anni precedenti. Ma
un percorso difficile e accidentato,
incrinato dal nuovo ruolo assunto
dalla Germania dopo lAnschluss

Luglio Agosto 2005

della Rdt, che squilibra il precedente asse con Francia e Italia, e dagli ostacoli crescenti frapposti dagli
USA, che, non potendo arrestare il
processo di costruzione europea,
cercano di depotenziarlo, puntando anche su quinte colonne
(in primis il Regno Unito e poi i
nuovi arrivati, gli stati ex socialisti
del disciolto COMECON).
Tutto il processo di costruzione
della UE nella prospettiva non solo
di un mercato comune, ma di un
vero e proprio Stato in grado di pesare come superpotenza nellarena
internazionale, stato progettato,
diretto e gestito dalla frazione europea del grande capitale transnazionale. Il proletariato dei paesi europei, o in senso pi ampio i popoli,
non vi hanno partecipato, o, in talune fasi, vi hanno preso parte solo
in modo subalterno. Il soggetto che
ha promosso il processo della UE
non il soggetto di riferimento dei
comunisti, ma il loro antagonista
storico e strategico.

LA

BORGHESIA EUROPEA E LE
SUE FRAZIONI

A promuovere e dirigere attivamente la costruzione di un superstato europeo una frazione della


classe capitalistica transnazionale
europea. Ma non tutta la classe dei
capitalisti si muove in modo compatto e omogeneo verso questo obiettivo. Le divisioni e i contrasti allinterno dei capitali europei sono
fondamentalmente di due tipi e si
intersecano tra loro.
Una divisione passa allinterno di
ogni singolo Stato aderente alla UE:
da un lato vi la frazione del grande
capitale transnazionale che, come
classe per s, si mostra pienamente
consapevole dellobiettivo da raggiungere per difendere i propri interessi, con la creazione di uno Stato
a tutti gli effetti che sorregga la penetrazione imperialistica in tutto il
mondo. questa la classe europeistica
vera e propria, disposta a pensare ed
agire alla grande, a mirare in alto.
Dallaltro, vi sono capitali minori,

Europa

interessati piuttosto a ricavarsi nicchie regionali per i propri prodotti,


anche allombra del grande fratello
americano, interessati a conquistarsi le proprie aree di autonomia
regionale e locale, e indisponibili a
correre lavventura del passaggio ad
un nuovo superstato. Per la limitatezza della sua cerchia di interessi,
questa frazione del capitale di piccole e medie imprese non pensa alla
politica di Stato in una prospettiva
strategica, ma a quanto pu realizzare a breve termine in termini di
concessioni, sgravi fiscali e quantaltro. Si veda in Italia lespressione
politica di questo capitale nel partito della Lega, che tra i pi coerenti antieuropeisti. Una parte
della piccola e media classe di capitalisti potenzialmente avversari del
processo di costruzione europea
le aziende agricole - stato neutralizzato attraverso sostanziose concessioni di integrazioni economiche da parte del grande capitale (si
veda la politica agricola della CEE).
Laltra divisione passa attraverso la
politica dei singoli Stati, i quali, indipendentemente da quale sia il
loro governo liberale, democratico cristiano o socialdemocratico
(che sono state le forme prevalenti
di governo nei paesi UE) perseguono con sostanziale continuit
una loro politica estera: cos abbiamo con notevole nettezza la politica della Gran Bretagna, che concepisce lEuropa essenzialmente
come unarea mercantile comune,
ma assolutamente non nella prospettiva di un superstato europeo, e
la politica francese tedesca e italiana
(fino al governo Prodi), che invece,
nonostante alcune oscillazioni,
marcia verso la costituzione di uno
stato europeo. Il capitale, in quanto
rapporto sociale, e la classe dei capitalisti, che chiamiamo anche
borghese, sono un prodotto storico che si costituito attraverso un
lungo e contraddittorio processo allinterno di altri rapporti, tra cui,
importantissimo, quello dello Stato
e della nazione. Da un lato il capitale si muove secondo una logica
universale e omologante la massi-

mizzazione dei profitti , che tende


a spezzare, come ha fatto e continua
a fare con la mondializzazione,
qualsiasi vincolo nazionale e statale;
ma, dallaltro, esso si muove e si
forma nella conflittualit-concorrenza che lo oppone agli altri capitali secondo una configurazione
statale. Stato e capitale si modellano
a vicenda, e lo Stato di una frazione
capitalistica si fa rappresentante degli interessi di quella frazione. Nella
storia moderna e contemporanea
in cui si costruito il rapporto di capitale, lInghilterra ha avuto una
storia diversa e conflittuale con
quella del continente europeo, ha
avuto interessi commerciali oceanici, e il globo e non il continente eu-

Il proletariato dei paesi europei,


o in senso pi ampio i popoli,
non vi hanno partecipato, o,
in talune fasi, vi hanno preso parte
solo in modo subalterno

ropeo stato il suo punto di forza.


Ecco perch essa disponibile a creare mercati di libero scambio ma
non a rinunciare, finch pu, alla
propria moneta, n, soprattutto, al
proprio Stato, alla propria politica
estera, che con continuit salvo
qualche eccezione, come la crisi di
Suez del 1956 e la guerra delle Malvinas contro lArgentina persegue
a fianco degli USA nella corsa per la
conquista e rispartizione del mondo
e in particolare dellEurasia.
Le due grandi opzioni strategiche
sulle prospettive dellEuropa che
oggi si confrontano con una serie
di varianti intermedie che possiamo
per comodit trascurare sono
dunque quelle di unEuropa che si
limiti al mercato ( quella espressa

53

Europa

con grande nettezza da Blair ) e


quella di unEuropa che divenga
Stato, perseguita dai grandi capitali
dellEuropa continentale.
La posizione contraria alla formazione di uno Stato europeo maggioritaria in Inghilterra, e riesce ad
egemonizzare anche le frazioni del
capitale che guardano alla prospettiva del superstato europeo. La posizione inglese essere con
lEuropa e al contempo al di fuori
di essa e con gli USA si oggi fortemente consolidata con la scelta
strategica del governo Blair di seguire gli USA nellavventura di conquista del grande spazio eurasiatico
(la grande scacchiera di
Brzezinski) e del Medio Oriente. I

La presenza della Gran Bretagna


nella UE costituisce
lostacolo maggiore
alla sua trasformazione
in un superstato

grandi capitali con base inglese


hanno sposato una prospettiva
apertamente imperialista e guerrafondaia, con la quale contano di recuperare peso mondiale e ricostruire almeno in parte il grande
spazio imperiale dellet classica
dellimperialismo, tra fine 800 e
primo 900. Scegliendo di stare
dalla parte del capitale USA, la Gran
Bretagna, soprattutto a partire dal
nuovo secolo, cominciato con la
prima guerra contro lIraq del 1991
e in maniera evidentissima con la seconda guerra di aggressione e invasione dellIraq del 2003, si posta
nettamente contro il progetto di
uno Stato europeo. Essa portatrice
in Europa di interessi opposti a
quelli della frazione del capitale
transnazionale europeo. La pre-

54

senza della Gran Bretagna nella UE


costituisce lostacolo maggiore alla
sua trasformazione in un superstato.
Vi sono anche altri paesi che tra il
2002 e il 2003, nella fase di preparazione della guerra di Bush contro
la repubblica laica dellIraq uno
dei momenti pi acuti di frizione allinterno del campo occidentale
che la storia successiva alla seconda
guerra mondiale ricordi si sono
schierati con gli USA contro Francia
e Germania. Sono i paesi della cosiddetta nuova Europa, che Bush
contrappone alla vecchia Europa
carolingia: le repubbliche baltiche
ex sovietiche e i paesi ex socialisti,
Polonia in testa, dellEuropa centro-orientale, ammessi e annessi alla
UE nel maggio 2004. o in odore di
ammissione nel 2007 (Romania e
Bulgaria).Tuttavia, la posizione di
questi paesi, nonostante il filoamericanismo sfacciato di diversi loro
governi e linstallazione sul loro territorio di basi USA, diversa da
quella della Gran Bretagna, il cui capitale si organicamente legato agli
interessi imperialistici USA. La loro
struttura capitalistica ancora fragile, e la presenza del capitale continentale prevale rispetto a quello
inglese e USA. Economicamente
sono piuttosto nellorbita tedesca,
sono larea del marco, ora passato
ad euro. Possono giocare la carta
USA non per opporsi ad un grande
Stato europeo, ma per contrattare
migliori condizioni. Inoltre, per i
gruppi dirigenti di questi paesi, che
hanno rinnegato e rimosso tutta lesperienza socialista e si sono convertiti alla economia di mercato,
la UE rappresenta la fonte di legittimazione, lo spazio pi ampio in
cui ricollocare gli incerti e malfermi
nuovi microstati nati dalla dissoluzione dello spazio sovietico, la
sponda cui appoggiarsi, la speranza
o lillusione di poter risollevarsi
dalla disastrosa situazione economica e sociale in cui hanno precipitato i loro paesi dopo il 1989, con la
rottura delleconomia pianificata e
la soppressione delle difese sociali
che il socialismo comunque garan-

Luglio Agosto 2005

tiva alla popolazione. Anche per le


popolazioni di questi paesi la UE,
nonostante le sue politiche attuali
neoliberiste, rappresenta il miraggio di uscire da una condizione
di miseria e sofferenza sociale.
Vi una differenza sostanziale tra
gli Stati capitalistici occidentali che
hanno dato vita al primo nucleo europeo con successive integrazioni e
aggregazioni (comprese quelle dei
paesi meno ricchi, come Spagna,
Portogallo, Grecia, Irlanda) insieme di Stati tra cui possiamo distinguere quelli capitalisticamente
avanzati e quelli a capitalismo meno
sviluppato e i nuovi arrivati dei
paesi ex socialisti. In questi la neoclasse borghese di origine profondamente diversa: si tratta in gran
parte di qualcosa di simile alla borghesia compradora (che svende gli
interessi nazionali al capitale straniero), di settori dellapparato di
Stato e di partito che hanno approfittato a man bassa delle denazionalizzazioni. Il peso economico e politico di questi paesi che singolarmente e senza nessun collegamento
tra loro, nessuna alleanza tra loro
(anzi frantumando ulteriormente
alcune precedenti unit statuali,
come nel caso della Cecoslovacchia) hanno fatto anticamera per
essere ammessi-annessi alla UE, di
molto inferiore a quello di paesi con
simile popolazione o superficie, il
PIL pro capite molto pi basso, le
condizioni generali delle loro economie sono quelle di uneconomia
dipendente. La loro stessa struttura
statuale piuttosto debole. Si pu
ben dire che la UE si allargata a
questi paesi, che li ha conquistati
(come indicava la tavola rotonda
delle grandi multinazionali nel documento del 1991) e potrebbe usarli come una nuova forma di colonia
interna.
Dovremmo cercare oggi di abbozzare unanalisi di classe delle diverse
frazioni capitalistiche nella UE. Il
capitale antieuropeista (da cui
provenuta una parte del NO nei referendum francese e olandese) rappresenta forse la parte pi retrograda, filistea e reazionaria della

Luglio Agosto 2005

classe capitalistica europea? E, per


converso, lattuale classe capitalistica transnazionale europeista pu
essere forse paragonata alla borghesia rivoluzionaria di cui parlano
Marx ed Engels nel Manifesto dei comunisti del 1848, alla quale si riconosce un ruolo storico nella costituzione di una societ che genera i
suoi affossatori? Oppure si tratta di
un capitalismo ormai putrescente,
puramente parassitario, come
Lenin definiva quello dellimperialismo? La borghesia transnazionale
europeista non costituita essenzialmente da tagliatori di cedole,
non appartiene nel suo nucleo duro
al grande capitale bancario che fa
denaro vendendo denaro, non appartiene al mondo della speculazione finanziaria (o meglio, non vi
appartiene essenzialmente, dato il
legame sempre pi stretto tra capitale industriale e bancario: capitale
finanziario). capitale industriale.
La frazione capitalistica che opera
essenzialmente attraverso i mercati
finanziari propensa alla creazione
di unEuropa-mercato, ma non
strutturalmente interessata ad
unEuropa-Stato.
La borghesia europeista interessata
a creare un nuovo polo imperialista
europeo (con un suo Stato) vuole
lo Stato per controllare le vie del petrolio mondiali, per aprire anche
con la forza delle armi nuovi mercati e nuovi sbocchi di investimento
per i capitali. aggressiva e, a suo
modo, rivoluzionaria nella sua
brama di conquista. Punta allinnovazione tecnologica e alla ricerca,
punta a costruire unautonoma industria europea tecnologicamente
allavanguardia, superando le barriere nazionali. Vuole trasformare il
mondo secondo i propri interessi e
i propri disegni. Con lallargamento
in tempi rapidi della UE con tutte
le contraddizioni del caso (e col rischio di uneccessiva fretta, determinata dalla gara per laccaparramento dellEst col concorrente
americano) essa ha dimostrato di
avere una notevole capacit di espansione e riaggregazione. riuscita anche ad esercitare egemonia

Europa

sulle altre frazioni capitalistiche e a


dotarsi di una rappresentanza politica che con non rilevanti differenze tra centro-destra e centro-sinistra ne attua i disegni (naturalmente attraverso una a volte complessa opera di mediazione politica;
ma storicamente non si quasi mai
data la pura traduzione politica degli interessi economici). decisamente capitalista, imperialista e aggressiva, ma non la si pu definire
putrescente o parassitaria. Non
unaristocrazia
decadente.
Certamente antidemocratica,
come lo nella sua essenza il capitale, e privilegia un potere oligarchico, attraverso il quale pochi potenti, in segrete stanze e lontani da
occhi indiscreti, decidono le sorti di
un continente.

IL

tire comune delle masse, una


grande opacit avvolge la questione
Europa.
un Leit Motiv dei cahiers de dolances degli europeisti lamentare
una scarsa compartecipazione popolare al progetto europeo, unindifferenza generalizzata, un notevole distacco. Del resto, basti guardare alla campagna elettorale nelle
ultime elezioni per il parlamento
europeo, durante la quale di questioni europee si parlato pochissimo e hanno prevalso i temi locali
e di politica interna. Il tema dellEuropa non suscita entusiasmo, le
statistiche parlano di una disaffezione crescente.
Il referendum francese e poi quello

R A P P O RT O T R A B O R G H E S I A
E U R O P E I S TA E P O P O L O

Tuttavia, a differenza della borghesia liberale ottocentesca che unifica


il mercato nazionale e costituisce
nuovi stati (Regno dItalia, 1861,
Impero germanico, 1871) o rifonda
su nuove basi borghesi i precedenti
Stati assolutistico-aristocratici
(Francia 1789-1870), alla nuova
classe europeista fa fondamentalmente difetto nel progetto di costruzione del superstato europeo, il
rapporto col popolo, il sostegno
popolare-nazionale alla creazione
di un nuovo Stato. A differenza
della borghesia nazionale ottocentesca, la borghesia transnazionale
europeista non riesce ad esercitare
egemonia sul popolo, non riesce ad
essere sufficientemente romantica
e trascinatrice. Persegue un freddo
disegno razionale, che si dispiegato anche con la puntigliosa e a
tratti maniacale precisione della burocrazia di Bruxelles, parla con nettezza esplicita il linguaggio del capitale, ma non riesce ad esercitare
egemonia sulle masse, sicch la sua
marcia viene rallentata dalla mancanza di consenso attivo, o, ancor
peggio, da una resistenza popolare,
com accaduto in Francia. Nel sen-

La borghesia europeista
interessata a creare un nuovo
polo imperialista europeo
(con un suo Stato) vuole lo Stato
per controllare le vie del petrolio
mondiali, per aprire anche
con la forza delle armi nuovi mercati

olandese non hanno fatto altro che


mettere in luce la contraddizione in
cui si posta la classe capitalista europeista: da un lato, essa ha operato
come una chiusa oligarchia, dotandosi di strumenti decisionali sottratti a qualsiasi controllo e potere
democratico; dallaltro, essa ha convocato il popolo per ottenere il consenso attraverso i referendum. Un
errore politico madornale, che nasce dalla profonda sottovalutazione
e incomprensione delle dinamiche
sociali e politiche. Un errore, comunque, determinato dalla contraddizione tra il progetto di costruire uno stato oligarchico impe-

55

Europa

rialista (che avrebbe potuto darsi


anche senza interpellare il popolo
direttamente, corrompendo un pugno di parlamentari) e le precedenti costituzioni degli stati nazionali nati sul principio della sovranit popolare. Era francamente
troppo pretendere di costruire uno
stato oligarchico con la sanzione popolare! Gli interpellati non si sono
lasciati sfuggire loccasione di stampare un clamoroso NO sulla carta
del farraginoso trattato di costituzione per lEuropa.
La svolta pi decisamente oligar-

Salta il compromesso sociale


e la borghesia europeista
si converte tutta al liberismo,
forse appena un po temperato,
come vorrebbe Romano Prodi

chica e il distacco sempre pi marcato dal sentire delle masse intervenuto negli ultimi quindici anni,
dallinizio del nuovo secolo postsovietico. Non sempre stato cos. In
una fase precedente la borghesia
europeista ha cercato di costruire lo
Stato ricorrendo al compromesso
con i rappresentanti politici moderati della classe operaia e delle classi
subalterne, in una parola, con le socialdemocrazie e con i sindacati ad
esse legate, che hanno costituito per
decenni il puntello pi solido del
processo di costruzione dello Stato
europeo, al quale si aggregarono, a
partire dalla met degli anni 70 e
dalle prime elezioni per il parlamento europeo del 1979 anche i
partiti eurocomunisti, in precedenza decisamente contrari alla co-

56

struzione capitalistica della CEE. I


partiti socialdemocratici europei
sono stati tra i pi attivi sostenitori
del processo di unione europea e tra
i pi convinti assertori dellimperialismo europeo, dellinterventismo militare mascherato da peace enf o rc i n g umanitario (Jugoslavia
1999). Ma i piani elaborati negli
anni 80 (si veda quello celebre di
Delors) che coniugano liberismo e
riformismo e corrispondono al
compromesso storico che la borghesia europeista disposta a sottoscrivere per realizzare lo Stato europeo, si infrangono contro un radicale mutamento del quadro politico mondiale (la fine dellURSS accelera la corsa per la rispartizione
del mondo) e con la crisi di sovrapproduzione che riduce gli spazi di
manovra economica e di concessioni ai lavoratori. Se nella prima
met degli anni 80 la conquista
dellEst europeo viene presentata
nei documenti confindustriali
come la soluzione a portata di mano
per il problema della sovrapproduzione dellOvest, il quadro muta
drasticamente con la crisi degli Stati
dellEst, che apre una fase di gravi
sconvolgimenti e destrutturazione
di quelle societ, e vanifica le aspettative di favolosi affari per i capitali
dellEuropa Occidentale, che affari,
o spesso rapina, ne fanno certo, ma
non nella misura attesa. Il primo decennio post comunista caratterizzato da una regressione secca in termini percentuali ed assoluti, delle
economie ex pianificate, nessuna
esclusa, e dallaffermarsi di quel capitalismo selvaggio, arraffone, violento, mafioso, in cui si fanno e disfano rapidamente enormi ricchezze
costruite non sulla legale rapina
capitalistica, fondata sullo sfruttamento della forza lavoro attraverso
il libero contratto tra capitale e lavoratore, ma sulla rapina tout court
un tipo di capitalismo foriero di
frequenti bancarotte e di sconvolgimenti subitanei, molto distante
dallo stile e dal modo di accumulazione e sfruttamento, dai progetti
del capitale europeista della tavola
rotonda.

Luglio Agosto 2005

Questa regressione secca delle economie dellest si ripercuote sui processi di accumulazione dellovest,
che cerca di recuperare attraverso
unulteriore e pi massiccia pressione sulla forza lavoro, attraverso
lesercizio di un comando capitalistico totale sul lavoratore che deve
essere al massimo flessibile, al massimo precario, privo di diritti sindacali e di certezze. Salta cos anche
gran parte del potere sindacale e del
consenso organizzato sui lavoratori
che esso esercitava. Salta il compromesso sociale e la borghesia europeista si converte tutta al liberismo,
forse appena un po temperato,
come vorrebbe Romano Prodi. Ma
ci mette in difficolt i sindacati e
le socialdemocrazie. E cos il processo di annessione dellest europeo avvenuto sotto il segno del
neoliberismo. Rispetto al quale le
socialdemocrazie balbettano. La
borghesia europeista ha abbracciato il neoliberismo anche perch
si illusa che, finita lalternativa rappresentata dallURSS, il proletariato fosse talmente piegato dalla
sconfitta che sarebbe stato piuttosto
agevole imporgli definitivamente il
morso. E dunque, si poteva ben fare
anche a meno di esso nella costruzione dello Stato europeo, che sarebbe stata ingegneria della sola
classe borghese.
La borghesia europeista non ha resistito alla tentazione di buttare nellangolo il suo nemico di classe, e lo
ha fatto. Ma nella costruzione di
uno Stato moderno che non sia
uno Stato assolutistico o patrimoniale come era nel 600 e nel 700,
in cui i sovrani disponevano dello
Stato come di un proprio patrimonio personale i soggetti vanno interpellati, anzi coinvolti, poich
non possono essere i soli ratificatori
di decisioni prese in alto loco e in
lontane stanze del potere.

PROSPETTIVE

FUTURE

La costruzione europea persegue


due fini complementari: la formazione da un lato di un grande mer-

Luglio Agosto 2005

Europa

cato integrato che consenta alle imprese di evolvere sullinsieme di un


continente di quasi 500 milioni di
consumatori; dallaltra la creazione
di uno Stato, solo strumento capace
di difendere gli interessi delle multinazionali europee nel mondo .
Questa costruzione oggi attraversa
una profonda crisi, appena mascherata dalla messa in sordina dei
referendum gi previsti in diversi
paesi e dal silenzio che dopo la fiammata mediatica francese ritornato
ad aleggiare intorno a tutte le questioni europee. Le prospettive di superamento di questa crisi profonda
non sono dietro langolo, nonostante la consegna che i rappresentanti europeisti si sono dati di
feindre de non recevoir. La soluzione
immediata sar quella di rinviare il
Trattato costituzionale e di mantenere tutte le strutture sinora consolidate, di procedere con gli strumenti con cui sinora si proceduto.
Prenderanno forza le opzioni alla
Blair dellEuropa solo mercato in
collaborazione-dipendenza politica
con gli USA.
La formazione di un superstato europeo ha comunque subito una
grave battuta darresto. Da un lato
ci mette in luce la resistenza delle
masse popolari che hanno rifiutato
di dare il loro assenso allEuropa dei
monopoli e della NATO, dallaltro
ci d una mano insperata alla politica della superpotenza USA, che
non si trover di fronte per un buon
lasso di tempo un polo imperialista
europeo organizzato come Stato
con una propria autonoma politica
estera in competizione con essa.
Oggettivamente, la strategia di dominio mondiale degli USA se ne avvantaggia.

IL

R A P P O RT O

USA/UE

Quella del rapporto USA/UE una


questione fondamentale per comprendere il carattere delle contraddizioni attuali e delineare anche
una strategia della classe operaia.
Sulla natura di questo rapporto e di
queste contraddizioni esistono po-

sizioni divergenti, anche allinterno


della sinistra radicale e del campo
marxista. Qui non in discussione
il carattere imperialistico del costituendo polo europeo. Non si nutrono qui illusioni sulle magnifiche
sorti e progressive della bella
Europa ricca di millenni di civilt e
di storia Nella valutazione di UE
e USA partiamo dal presupposto
che si tratta in entrambi i casi di formazioni capitalistiche, dominate
dalla politica delle grandi societ
transnazionali. Proprio per questo
va sgomberato il campo da un equivoco spesso ricorrente negli scritti
della sinistra antieuropeista, quello
della similarit delle politiche neoliberiste in UE e USA. Poich si
tratta di formazioni capitalistiche,
dovremmo dare per scontato che i
gruppi dirigenti delle multinazionali pratichino la medesima politica
neoliberista, in una fase in cui sono
riusciti a sconfiggere le roccaforti
socialiste e il movimento operaio organizzato dispiegando unoffensiva
a tutto campo contro il lavoro, riducendo a un minimo e comprimendo sempre pi salari, garanzie,
diritti conquistati. Questa Europa
dei monopoli tender a praticare le
medesime politiche degli USA, se i
lavoratori e le masse popolari glielo
lasceranno fare, se non si organizzano, se non resistono, se non contrattaccano. In questo, le tendenze
del capitale europeo non si discostano da quelle USA e del capitale
mondiale, dal Giappone al Brasile,
dove un lavoratore potr riconoscere, in qualsiasi parte del globo si
trovi, il medesimo volto del capitale.
La questione invece unaltra: se la
contraddizione interimperialistica
tra USA e UE tende ad acuirsi e a radicalizzarsi, spingendo a forme di
scontro, commerciale e non solo,
pi acute, oppure se essa tende ad
assopirsi, a spostarsi in una posizione secondaria. Chi parla di condominio imperiale valuta che tale
contraddizione sia di importanza
piuttosto relativa, se non ininfluente, considerando le ragioni
daccordo tra le frazioni del capitale
transnazionale mondiale pi forti

di quelle dello scontro. Ci anche


possibile, e per approfondire la questione dovremmo studiare a fondo
le aree di interesse di questi capitali,
le zone di frizione, i processi di concentrazione e accentramento capitalistici. (Potremmo essere nella
fase di capitali transnazionali che
non si riconoscono in uno Stato o
aggregazioni statuali). Ma non possiamo assolutamente sostenere la
tesi del condominio imperiale basandoci sulla similarit tra Europa e
USA in merito ai processi di privatizzazione, deregolamentazione e

Quella del rapporto USA/UE


una questione fondamentale
per comprendere il carattere
delle contraddizioni attuali
e delineare anche una strategia
della classe operaia

delegificazione del diritto del lavoro, di precarizzazione spinta e


flessibilizzazione estrema della forza lavoro, in una parola sullintensificazione dello sfruttamento e del
comando capitalistico sul lavoratore, che oggi viene comunemente
chiamato neoliberismo. Se due
capitali operano allo stesso modo,
non per questo non si possono fare
la guerra.
La tesi del condominio imperiale
tra USA e UE non spiega 50 anni di

57

Europa

storia, o almeno gli ultimi 20,


quando lEuropa, nata sotto il segno
degli USA, si emancipa e concepisce in modo sempre pi concreto il
progetto di autonomizzarsi e costituirsi come Stato. A che pro, se si
possono ottenere allombra degli
USA una serie di vantaggi e spartirsi
il mondo? Limmagine del condominio a proposito del rapporto
USA/UE non funziona, per il semplice fatto che gli uni sono Stato e
laltra no. Se proprio si vuole, si
tratta di un condominio in cui un
condomino ha lattico di lusso e laltro il sottoscala Lipotesi di un condominio imperiale potrebbe divenire realt solo a condizione di una
sconfitta della borghesia europeista
e di un suo assestarsi in modo subordinato sotto lala protettrice e proterva di Washington. Cio, in seguito
al fallimento della costruzione di un
polo imperialista europeo e il permanere di piccoli poli imperialisti
nazionali, velleitari e nelle circostanze attuali degni della definizione di imperialismo straccione.
Non butterei alle ortiche la categoria di contraddizioni interimperialistiche. Vi sono fasi storiche in cui
prevale il condominio (come fu laccordo coloniale sulla spartizione
dellAfrica tra Francia e Inghilterra
nel 1904) e fasi in cui lo sviluppo capitalistico ineguale delle diverse
aree acuisce la contraddizione. Non
sembra che nel grande disordine
della guerra che stiamo vivendo per
la rispartizione del mondo, la contraddizione tra USA e UE possa diminuire dintensit.

LA

CLASSE OPERAIA E LA

UE

Questa contraddizione una contraddizione tra due poli imperialistici, tra due lupi (ci perdoni il lupoanimale fuor di metafora) lun contro laltro in lotta per la propria affermazione. Non certo una contraddizione tra leone e asino (per ricordare la metafora del canto della
Guardia rossa), tra capitale e lavoro.
Nella situazione attuale il movi-

58

mento operaio, che non stato il


soggetto della costruzione europea,
che ha vissuto passivamente o in
modo subalterno, si trova tra Scilla
e Cariddi: da un lato ostacolando la
formazione di uno Stato capitalistico europeo, esso libera gli USA
oggi lo Stato nemico principale dei
popoli da un temibile concorrente
sulla scena mondiale. Paesi grandi,
medi e piccoli riconosceranno solo
gli USA come possibili interlocutori
e arbitri della politica mondiale.
Dallaltro, il proletariato non pu
certo mettersi al carro dellimperialismo europeo, sostenerlo in nome
del meno peggio rispetto agli
USA. Sarebbe, oltretutto, una politica codista, non compresa dalle
masse. N tantomeno pu dare il
suo assenso, se interpellato con un
referendum, ad un trattato costituzionale dal carattere fortemente antipopolare. Lottando contro lo stato
Europa favorisce oggettivamente gli
USA e la loro politica imperialistica
su scala mondiale; sostenendo lo
stato capitalistico europeo si lega al
suo carro, si autoevira e perde qualsiasi autonomia di movimento e di
lotta, si lega le mani e il cervello.
Lottando contro entrambi gli imperialismi, rischia di dissipare le sue
forze, che invece deve cercare di accumulare e indirizzare verso un
unico obiettivo.
Daltra parte, la posizione di chi propone una revisione del trattato di
costituzione europea allinterno di
questo quadro, apparentemente
realistica, piuttosto illusoria e ingannevole. Poich elude una questione di fondo e mantiene lambiguit sulla natura dellEuropa. Con
una certa dose di retorica anche.
Non riconosce, cio, il carattere di
classe della costruzione europea e il
modo in cui si costituita la UE.
Non assolutamente sufficiente
proporre alcuni emendamenti o
modifiche al trattato. Poich ci che
in gioco la costituzione di un
nuovo Stato, occorrerebbe avviare
avere la forza di avviare un vero
processo costituente basato sulleffettiva sovranit popolare. Ma un
nuovo potere costituente nasce da una

Luglio Agosto 2005

rivoluzione o da una forza capace di


ricostruire dopo la distruzione di
una guerra devastante (come fu per
la formazione di nuovi Stati allindomani della prima e della seconda
guerra mondiale o in seguito alla decolonizzazione). Per spiegarci: a differenza della repubblica italiana
nata da un compromesso storico tra
forze di diversa ispirazione ideale e
collocazione di classe, ma in cui fu
consistente lapporto del movimento operaio nella Resistenza e
nella guerra di liberazione, e nella
quale Palmiro Togliatti poteva pensare una strategia di progressiva democratizzazione della societ e di
conquiste popolari, la UE, questa UE
e non una immaginaria, nata sotto
il segno della sola classe borghese transnazionale, non vi stata nella sua formazione nessun apporto popolare
o proletario (ecco anche perch
essa ben pi arretrata della costituzione italiana).
Avviare un processo costituente in
Europa significa avviare una grande
mobilitazione popolare, in cui il popolo sia soggetto e protagonista.
Quel popolo che ha saputo dire un
forte NO deve essere capace di forza
ricostruttiva e domandare la radicale trasformazione del progetto
europeo. una strada praticabile?
Vi sono oggi le condizioni per costruire una nuova Europa sulla base
di un compromesso progressivo
con la borghesia europeista?
La situazione attuale non pu indurre a inopinati ottimismi e trionfalismi. Rispetto alla questione di
uno Stato europeo, il proletariato
stato assente o subalterno e non ha
saputo misurarsi allaltezza di questa questione, ha preferito, con le
sue direzioni sindacali, praticare difese settoriali e anche corporative,
non si posto con chiarezza la questione della fondazione di un nuovo
Stato europeo, concependo e praticando le sue lotte solo in ambito regionale o nazionale. oggettivamente, dunque, si molto lontani
da un processo costituente di un
nuovo Stato.
Tuttavia, si offre oggi unopportunit storica che i comunisti dovreb-

Luglio Agosto 2005

bero saper individuare e cogliere:


quella borghesia europeista che ha
avviato il processo di costruzione di
uno Stato europeo si rivela incapace, per le sue contraddizioni interne e per le contraddizioni di
classe (poich ha voluto decidere
da sola escludendo il proletariato)
di portarlo a termine. andata
troppo avanti per poter tornare indietro, ma non sa come andare
avanti. nella crisi, in una empasse storica. Rinunciare, a questo
stadio del processo, a proseguire,
significherebbe una sconfitta storica che la consegnerebbe, dopo
aver coltivato il sogno di un autonomo polo imperialista, nelle fauci
del capitale americano. Essa dovr
dunque scegliere se fermarsi ad
uno status quo alla lunga insostenibile, o rinunciare al progetto autonomo e passare sotto la bandiera
USA (come alcuni hanno gi fatto
e altri si apprestano a fare), oppure
fare concessioni per riguadagnarsi
il consenso e il sostegno popolari.
Avremmo allora un nuovo processo costituente e un nuovo stato
di transizione nato dal compromesso tra le classi. Qualcosa di analogo alla costituzione repubblicana
italiana.
questo un percorso molto rischioso e accidentato, nel quale il proletariato dovrebbe riconquistare
autonomia e soggettivit. tuttavia
un percorso che sta nellordine dello sviluppo della storia mondiale.
Laltra strada che il proletariato potrebbe percorrere quella di continuare a infischiarsene della questione europea aspettando che

Europa

essa gli cada addosso o muoversi


solo e soltanto allinterno dellottica dello Stato nazionale o in ambiti locali ancor pi ristretti, rifiutando qualsiasi ipotesi di costruzione di uno Stato europeo, organizzandosi per dire dei NO, ma senza la capacit di proporre uno
sbocco politico istituzionale. una
strada che appare dignitosa, di
principio e coerente, ma che sfocia
in un vicolo cieco e non riesce a
cogliere i termini mondiali della
questione europea.
Bisogna considerare anche il fatto
che al punto in cui sono arrivate le
cose, dalla crisi e lo sfascio di questa Europa il proletariato non uscirebbe indenne, quasi si trattasse di
sciogliere dei legami casuali e consensuali senza detrimento per nessuno. La costruzione europea entrata nel funzionamento degli Stati
nazionali e li ha modificati. Uscire
dallEuropa o dalleuro non unoperazione semplice e indolore.
Poich in ogni caso non avremmo
lo Stato precedente, avremmo piuttosto uno Stato disorganizzato o
paralizzato in diverse parti. La distruzione dello Stato borghese, se
non c lalternativa ricostruttiva di
nuovi e pi avanzati legami sociali,
si risolve nellanarchia e nel caos,
nello sfascio, in cui come avvenuto negli sfasci statali dellEuropa
orientale e balcanica dopo il 1989
a rimetterci pesantemente sono
le masse popolari. Un processo costituente europeo basato sulla sovranit popolare pu essere il modo per lavorare nella crisi che si
aperta nella costruzione europea.

Note
1 C f r. ad es. Sami Nar, Las tres crisis de
Europa, El Pas, 28-06-2005 (reperibile anche
al sito www.rebelion.org/). Le tre rotture di cui
parla larticolo sono: 1. rispetto alle politiche economiche e finanziarie europee, su cui non c accordo tra i 25 paesi membri e neppure tra i 12
dellarea delleuro su politica agraria e fondi
strutturali; 2. rispetto al progetto: lEuropa non
sa se essere un gran mercato, che non necessita di
un solido sistema istituzionale ( la posizione inglese), o una confederazione politica; 3. tra lite
dirigenti (politiche, finanziarie, mediatiche) e i
popoli.
2 Cfr. il citato articolo del Pas.
3 Cfr. LEurope de tous les dangers, numero
monografico sulla UE della rivista belga Etudes
marxistes, n. 57, ed. EPO Bruxelles, 2002.
4 Ivi, p. 34; sul ruolo della Tavola rotonda degli industriali europei cfr. la ricostruzione che
Houben ne fa e le interessanti tabelle statistiche,
pp. 28-42.
5 Ivi, pp. 38-40, corsivi miei, A.C.
6 Cfr. T. Blair, Speech to the Polish Stock
E x c h a n g e, 6 ottobre 2000: lEuropa
unEuropa di nazioni libere, indipendenti e sovrane, che scelgono di mettere in comune questa
sovranit nel perseguimento dei propri interessi e
del bene comune realizzando insieme pi di
quanto non possano realizzare da sole. Lunione
europea rester una combinazione unica di intergovernamentale e di sopranazionale. Una simile Europa pu, se forte economicamente e politicamente, divenire una superpotenza, una superpotenza, non un superstato (in Houben,
op. cit., p. 50, corsivo mio, AC). Tale posizione
stata ribadita anche con lavvio della presidenza
inglese nel secondo semestre 2005.
7 Cfr. Houben, op. cit.
8 Cfr. linteressante articolo di Diana Johnstone
sul precedente numero de lenesto

59

Revisionismo storico

Luglio Agosto 2005

Occorreva rispondere
colpo su colpo
e senza esitazione
ad un invasore feroce e crudele
e alle bande di torturatori
in camicia nera

Lottavamo
per la libert:
ci chiamavano
banditi e terroristi

di Sergio Ricaldone

2 GIUGNO 2005, COLOGNO MONZESE: SERGIO RICALDONE,


PARTIGIANO, DELL ANPI DI MILANO, ASSIEME ALLA MEDAGLIA
DORO GIOVANNI PESCE E ALLA STAFFETTA PARTIGIANA
NORI BRAMBILLA, CELEBRA IL 60 ANNIVERSARIO DELLA RESISTENZA

ivivere questa sera, con Nori e Giovanni Pesce, gli stati danimo, le ansie, il coraggio, le paure, ma soprattutto la grande tensione ideale che
ci animava in quelle terribili giornate di lotta di sessanta anni fa
sempre una grande emozione.
Anche allora gli invasori ci chiamavano banditi e terroristi, come succede ancora oggi in altre parti del
mondo, ed in un certo senso avevano anche ragione di farlo.
Compito dei Gap e dei gruppi giovanili del Fronte della Giovent, nei
quali militavo, era esattamente
quello di seminare il terrore nelle
file dei nazifascisti e di rendere la
vita impossibile alle truppe hitleriane e ai brigatisti neri di Mussolini.
Occorreva rispondere colpo su
colpo e senza esitazione ad un invasore feroce e crudele e alle bande
di torturatori in camicia nera.
Per capire quale era il clima di
quelle giornate terribili inviterei
tutti a leggere (o a rileggere) il libro
di Giovanni Pesce, Senza tregua. E
una lettura che concorre a rivitalizzare i nostri usurati neuroni e protegge dal rischio che la memoria
venga travolta, oltre che dal tempo,
anche da certe tendenze diffamatorie e distruttive.
Dal 25 aprile 1945 sono passati sessantanni. Allingrosso tre generazioni. Sono tante.
Ma quel che peggio che stiamo

60

attraversando una stagione di revisionismo storico dilagante che


tende a ridurre la Resistenza e la
lotta armata a una parentesi di cronaca nera sanguinosa separata dalle
reali dimensioni politiche e militari
che i popoli europei e gli eserciti alleati furono costretti a fronteggiare
prima di riuscire a schiacciare la
belva hitleriana nel suo bunker di
Berlino. Le falsificazioni si susseguono: la resistenza allinvasore che
diventa guerra civile, le foibe presentate come simbolo della crudelt
e della ferocia dei partigiani di Tito,
il libro di Pansa che presenta i partigiani italiani come killers assetati di
sangue, lAmerica di Bush che presenta lo sbarco in Normandia come
lepisodio centrale e decisivo per le
sorti della seconda guerra mondiale.
A farne le spese sono, oltre che la verit storica, le grandi conquiste democratiche, sociali e politiche rese
possibili dalla sconfitta del nazifascismo e sulle quali incombe oggi la minaccia della loro cancellazione.
Poi, per fortuna, la verit storica si
riprende qualche rivincita. Ho visto, lo scorso 8 maggio, sfilare sulla
piazza Rossa , a Mosca, i volti consumati dallet e dai sacrifici ma ancora pieni di legittimo orgoglio,
2700 veterani sovietici delle battaglie decisive che salvarono il mondo
dal regime hitleriano. Ricomincio
a sperare che lincauto Fukuiama

sia inciampato in un clamoroso infortunio quando proclam, 15 anni


fa, la fine della storia.
La prima cosa da dire ai deboli di memoria che non ci sarebbe stata nessuna resistenza e nessuna vittoria
contro il nazifascismo senza il travolgente potenziale militare, politico
e ideale messo in campo dallUnione
Sovietica e dallArmata Rossa.
A conferma ricordo che latto di nascita della resistenza italiana e la sua
prima, grande dimensione di massa
risale al marzo 1943, quando entrarono in sciopero contro Mussolini
le grandi citt industriali del nord.
Quello sciopero fu proclamato ben
15 mesi prima del tanto atteso
sbarco in Normandia, ma, guarda
caso, 60 giorni dopo la resa della
Sesta Armata nazista di Von Paulus
a Stalingrado e la distruzione, avvenuta in quella storica battaglia, dei
tre Corpi di spedizione alleati dei tedeschi nella campagna di Russia:
rumeno, ungherese e italiano.
Lepopea di Stalingrado segna il
crollo del mito dellinvincibilit del
Terzo Reich. Per la prima volta appare a Berlino il fantasma della
sconfitta. Dunque, un evento militare di peso enorme e un momento
da non perdere. E fu cos che noi,
comunisti italiani, pochi, clandestini e perseguitati, cogliemmo loccasione per organizzare una prima
, clamorosa operazione di protesta,

Luglio Agosto 2005

impensabile solo qualche mese


prima di Stalingrado. Incuranti
delle leggi di guerra molto severe
che prevedevano anche la pena di
morte per qualsiasi forma di sabotaggio, le grandi fabbriche industriali del nord, cuore dellindustria
bellica e pertanto militarizzate, si
fermano, per la prima volta dopo
lascesa al potere del fascismo, e lo
sciopero riapre una sfida mortale
contro un regime nemico che pareva dovesse durare mille anni.
Stalingrado ha dunque segnato una
svolta decisiva per le sorti della
guerra e ridato la speranza della liberazione ai popoli europei. Ma
ancora presto per parlare di pace.
Ci riusciva persino difficile immaginarla. Sapevamo che troppi dei
conti ancora in sospeso col nazifascismo andavano risolti col ferro e
col fuoco. In quel momento, nessuno si scandalizzi, erano purtroppo gli eventi militari a cadenzare il
nostro sanguinoso avanzare verso
un mondo di pace. Ed il 1943 fu
appunto lanno delle battaglie decisive che resero irreversibili le sorti
del conflitto mondiale, tutte furiosamente combattute nei territori invasi dellUnione Sovietica e un
anno prima del tanto sospirato
sbarco in Normandia.
Non tutti sanno che il colpo mortale alla Wermarcht fu inflitto sei
mesi dopo Stalingrado, nel luglio
1943, a Kursk in quella che passata
alla storia come la pi grande battaglia di mezzi corazzati ed aerei di
tutta la seconda guerra mondiale.
Battaglia che per ampiezza, mezzi
impiegati e conseguenze strategiche fin per superare quella di
Stalingrado.
La battaglia di Kursk rappresenta
lestremo tentativo hitleriano di riprendere, dopo il disastro di Stalingrado, loffensiva e liniziativa
strategica. Lobbiettivo dellAlto comando tedesco era assai ambizioso:
sfondare il fronte nel triangolo OrelKursk-Briansk in direzione nord-est
tentando per la seconda volta di aggirare Mosca da sud. Quando alle
5 del mattino del 5 luglio 1943 il maresciallo Von Kluge, comandante

Revisionismo storico

delloperazione, diede il segnale


dellattacco disponeva nel suo settore di un concentramento di mezzi
militari senza precedenti: 15 divisioni corazzate, 25 divisioni di fanteria e le tre migliori divisioni della
SS, la Adolf Hitler, la Totenkopf e la
Das Reich. In tutto, pi di mezzo milione di uomini, tremila nuovissimi
carri Tigre e Pantera, al loro esordio, appoggiati da duemila aerei.
Ma le illusioni di Von Kluge di sfondare verso est erano gi in parte svanite il primo giorno. In quelle prime
24 ore la pi grande battaglia di
mezzi corazzati di tutta la guerra si
era conclusa con la distruzione di
586 carri tedeschi ritenuti pressoch
invulnerabili. Non meno pesante la
sconfitta della Luftwaffe che nello
stesso giorno perse 203 aerei, di cui
33 abbattuti dalla squadriglia di volontari francesi Normandie copertasi di gloria nei cieli di Kursk. Il
tutto per una penetrazione tedesca
verso est non superiore ai 9 km.
Dal 6 al 12 luglio Von Kluge continu loffensiva alla disperata ricerca
di un punto debole nello schieramento difensivo sovietico da sfondare, ma invano. Incollati a radio
Mosca seguivamo col fiato sospeso
lesito di quella battaglia. Poi, finalmente, il 12 luglio, stremati dalle perdite, i tedeschi esaurirono la loro
spinta offensiva lasciando sul terreno
2609 carri e 1037 aerei. Il fior fiore
delle Panzer Divisionen distrutto in
soli sette giorni! Un colpo decisivo
per la macchina bellica tedesca, dal
quale non si sarebbe pi riavuta.
Cos, il 15 luglio, quando i due eserciti sembravano entrambi esausti,
ebbe inizio una impressionante offensiva sovietica nella zona di Orel,
a nord di Kursk, condotta da armate
fresche al comando del maresciallo
Rokossowski. Fu linizio di una avanzata travolgente che nel giro di quattro mesi port alla liberazione di
162 citt sovietiche, inclusi il Caucaso e la Crimea, e allannientamento di 134 divisioni naziste.
Questa stata la battaglia che ha
chiuso per sempre la stagione delle
offensive tedesche sul fronte russo.
Da allora ai soldati di Hitler fu con-

cesso di usare solo la retromarcia


fino a Berlino.
Anche in Italia gli avvenimenti incalzano: dieci giorni dopo Kursk, il
25 luglio 1943, cade Mussolini e 45
giorni dopo, l8 settembre, dopo la
firma dellarmistizio, inizia la lotta
armata.
Lotta armata! Una parola che sembra far inorridire oggi certi campioni della non violenza abituati a
valutare la storia con il metro delle
loro convenienze congiunturali.
Sessantanni dopo difficile raccontare il clima tremendo di paura
e di terrore seguito all8 settembre
1943. Un clima creato da una legge
imposta con inaudita ferocia dal tallone di ferro dei panzer invasori che
si insinua in ogni casa e ti colpisce
negli affetti pi profondi: le famiglie spezzate, gli amici dinfanzia fucilati perch renitenti alla leva, altri
arruolati di forza nelle file dei massacratori di Sal, le fabbriche saccheggiate dei loro macchinari, gli
operai deportati chiss dove, la
fame che ti rimpiccioliva lo stomaco. Insomma, un autentico inferno. Poi ecco lemergere, in modo
sempre pi ampio e diffuso, dei soggetti politici antifascisti promotori e
guida della resistenza popolare.
Primo fra tutti, per consistenza organizzativa e capacit politiche-militari, i militanti comunisti reduci
dalle prigioni di Mussolini, dal confino e dalla guerra di Spagna. Dietro
la loro iniziativa compaiono, nellautunno 1943, le prime formazioni partigiane di montagna, si formano i primi nuclei gappisti, nasce
il Fronte della Giovent. Linizio
non stata una tranquilla passeggiata per nessuno di noi. A quel
tempo avevo 18 anni e a quellet
sono altri i sogni che coltivi, ma la
realt non ci lasciava alternative.
Bisognava imparare e in fretta ad
usare le armi e gli esplosivi, a strisciare silenziosi nelle ore di coprifuoco, a tendere gli agguati alle pattuglie nemiche, a reggere con
calma gli scontri a fuoco, a disarticolare le vie e i mezzi di comunicazione del nemico. Bisognava anche
essere preparati a resistere alle tor-

61

Revisionismo storico

ture nella sfortunata ipotesi di cadere nelle mani dei macellai delle
brigate nere. Insomma cerano
proprio tutti gli ingredienti per farti
crescere la volont di combattere
una guerra di liberazione spietata e
crudele ma inevitabile.
Ora, siccome la mia idea di comunismo e di libert, unitamente a
quella di Giovanni e di Nori, si dovuta purtroppo formare anche in
mezzo a quellabisso di orrore, vorrei spendere qualche parola per
spiegare che la scelta di combattere
con i fucili e con le bombe i nazifascismi, non fu dettata da tendenze
avventuriste. Avremmo potuto anche allora scegliere la non violenza (allora si chiamava attendismo), avremmo potuto nasconderci in una cantina meglio se svizzera e attendere larrivo della 5
Armata americana che stava risalendo con esasperante lentezza la
penisola. Ci avrebbero pensato i
soldati di Clark a portarci la libert
e la democrazia.
Abbiamo invece deciso diversamente. Abbiamo scelto la lotta armata. Abbiamo dovuto contaminarci con la violenza. Ed stata
unesperienza sconvolgente. Lo
sempre quando nel mirino del tuo
fucile inquadri un essere umano,
quando la sola alternativa possibile
quella di uccidere per non essere
uccisi. Superare quella sottile barriera di violenza estrema non stato
facile per nessuno. Ma poi sapevi
che sotto quelle divise fasciste e naziste cerano uomini feroci che avevano impiccato, torturato, incendiato i villaggi della nostre vallate.
E allora superavi le esitazioni e
schiacciavi il grilletto. Ma bisognava
nel contempo creare un clima di fiducia nel popolo, convincerlo che
la resistenza allinvasore, in ogni sua
forma, piccola e grande, era una doverosa necessit ed un passaggio
inevitabile verso la liberazione, la
pace e la democrazia. Ci siamo riusciti? Penso proprio di si. Credo
che mai come allora la resistenza popolare, intesa come legame profondo tra avanguardia armata e
masse, abbia avuto una dimensione

62

cosi ampia e travolgente. Lo sciopero generale del marzo 1944


stato un evento unico della resistenza europea:
Centinaia di migliaia di operai che
sfidano per una intera settimana le
SS di Kesserling. Molta sabbia finisce negli ingranaggi dei torni e
delle fresatrici destinate alla
Germania, mentre squadre di tranvieri, protette da gruppi armati, rendevano inservibili gli scambi delle linee tranviarie paralizzando le citt.
Sciopero generale, lotta di popolo,
risposta armata allinvasore e formazioni partigiane di montagna in
rapida espansione: questi gli elementi centrali di quel grande movimento chiamato Resistenza conclusosi il 25 aprile 1945.
Anche se, dopo la liberazione,
quella carica di odio per il nemico
si andata via via stemperando e dissolvendo, ci restata abbastanza
memoria per indignarci di fronte al
tentativo odierno di restituire il titolo di combattenti e lonore di leali
soldati ai torturatori nazifascisti, ai
massacratori delle Fosse Ardeatine,
ai plotoni di esecuzione di Mussolini, di Kappler e di Reader, ai distruttori di Marzabotto, di S.Anna di
Stazzona, di Boves. Lidea che pi
ci sconvolge oggi di essere equiparati al nemico che abbiamo combattuto con tutte le nostre forze. Ma
il rischio che corriamo sicuramente peggiore e riguarda tutti:
quello di perdere il risultato storicamente pi importante della lotta
partigiana, quello di vedere portata
in discarica la Costituzione Italiana.
Non banale ricordare che questa
Costituzione si potuta scrivere,
prima ancora che con linchiostro,
con il sangue di oltre 47 mila partigiani uccisi in battaglia o fucilati durante la resistenza.
Ritrovo tra le mie vecchie scartoffie
il testo ormai ingiallito di un riconoscimento rilasciato nel 1945 a guerra
conclusa, a molti partigiani italiani,
dal maresciallo Alexander, comandante in capo delle forze alleate del
Mediterraneo centrale: Nel nome
dei governi e dei popoli delle
Nazioni Unite, ringraziamo

Luglio Agosto 2005

Ricaldone Sergio di Pietro di avere


combattuto il nemico sui campi di
battaglia, militando nei ranghi dei
partigiani, tra quegli uomini che
hanno portato le armi per il trionfo
della libert, svolgendo operazioni
offensive, compiendo atti di sabotaggio, fornendo informazioni militari. Col loro coraggio e con la loro
dedizione i patrioti italiani hanno
contribuito validamente alla liberazione dellItalia e alla grande causa
di tutti gli uomini liberi. In parole
povere, linsospettabile maresciallo
di sua maest britannica, dopo averci
invitato invano ad abbandonare la
lotta nellinverno 1944/45, ci ringrazia per avere compiuto attentati,
colpito con vari mezzi i soldati e le
retrovie del nemico, sabotato le comunicazioni, spiati e segnalati i movimenti delle truppe occupanti.
Pratiche che fanno giustamente
inorridire chi nato e cresciuto lontano da quei drammatici momenti di
estrema violenza. Ma per quanto la
guerra possa essere considerata un
orrore difficile poterla contrastare,
una volta che sei costretto a combatterla, percuotendo la testa del nemico con il gambo di un fiore come
ci propongono di fare oggi i non violenti da salotto. E curioso notare
che oggi, bench un resistente iracheno stia facendo le stesse cose contro unoccupazione che per molti
versi emula le gesta delle SS e della
Gestapo, vengono definiti feroci terroristi tout court.
Ci rimproverano con molto garbo
di essere stati angelizzati da un eccesso di apologia della Resistenza.
Un modo elegante, e un po ipocrita, per dirci che quando sei contaminato dalla violenza non riesci
pi a liberartene. Faccio notare che
se col passare dei decenni ci fossimo
resi coerenti con questa sedicente
cultura della non violenza questa
sera non dovremmo essere qui a raccontare il nostro impegno di militanti della lotta armata, ma in qualche modo a dolercene di avere compiuto quella scelta. Forse, in questo
modo, potremmo evitare di essere
archiviati nel museo degli orrori del
900 e di essere seppelliti sotto le ma-

Luglio Agosto 2005

cerie del movimento operaio e comunista del secolo di Lenin, di


Gramsci e di Togliatti.
Beh, io una risposta lavrei per coloro che ci chiedono di rinnegare il
nostro passato.
Ricordo un passaggio del Don Chi-

Revisionismo storico

sciotte di Cervantes che sembra ritagliato apposta e che provo a riassumere a memoria. Mentre cavalcano nella notte, Don Chisciotte e
Sancho Pancia sono inseguiti e molestati dal latrare dei cani. Sancho
Pancia vorrebbe fermarsi ed aspet-

tare che i cani si calmino ma Don


Chisciotte gli risponde: lasciamoli
latrare e continuiamo a cavalcare
nella notte.
Anche noi dovremmo occuparci
meno dei cani che abbaiano e continuare a cavalcare nella notte.

La Germania vuole mettere fuori legge i partigiani che combatterono il nazismo


E probabile che largomento Resistenza, lungi dallesaurirsi dopo le celebrazioni del 60 anniversario,
assuma nellimmediato futuro una dimensione di attualit politica ben pi drammatica e diro m p e n t e .
Loffensiva liquidatoria si sta estendendo. Oltre ai riconoscimenti economici e morali richiesti dalla destra
di casa nostra per i fucilatori di Sal, la decisione dei
servizi segreti di Berlino Bundesnachrichtendienst
(BND) di definire estremista e nemica della
Costituzione la sezione tedesca della Federazione
Internazionale dei Resistenti, che raccoglie 25 organizzazioni di ex partigiani presenti in 14 paesi europei, ANPI inclusa, apre un capitolo inquietante che va
molto al di l della nozione, pur sempre molto seria,
di revisionismo storico.
Si tratta, di fatto, di una testa di ponte offerta alla destra europea che gli astuti agenti tedeschi mascherano
con una apparente equidistanza dai due cosiddetti
estremismi: quello di sinistra, e quello neonazista
dei republikaner nel momento in cui i nostalgici di
Hitler, acquisiscono invece uno status di piena legittimit costituzionale. Il giudizio espresso dai servizi
segreti tedeschi nella loro relazione del 2004 ha tutta
laria di essere il preliminare di una messa fuori legge
in Germania (per ora) di una organizzazione resistenziale che cerca di mantenere vivo il ricordo -quale orrore! dei partigiani (sfortunatamente pochi ed eroici)
che si opposero al regime hitleriano finendo quasi tutti
sul patibolo. Difficile che Otto Schily, ministro dellinterno di Schroeder, dal quale dipendono i servizi
segreti, non sappia nulla di questa allarmante iniziativa che mira a colpire le maggiori associazioni partigiane europee affiliate alla FIR.
Intendiamoci, non una novit che le istituzioni tedesche, mentre hanno chiuso un occhio, spesso tutti e due,
nel perseguire i criminali nazisti, non hanno esitato a
bollare e colpire con pesanti misure repressive le organizzazioni antinaziste pi impegnate. Sebbene considerati in Germania una specie in via di estinzione, la
stagione della caccia ai comunisti non si mai conclusa
n prima n dopo la caduta del muro. Al contrario.
Assecondati da coloro che continuano ad evocare il fantasma dello stalinismo, anzich quello ben pi materialmente presente del neonazismo in versione CIA, i

comunisti, o presunti tali, continuano ad essere inquadrati nel mirino dei moderni cacciatori di scalpi.
Dopo avere avuto la maggioranza del partito sterminata dai nazisti, i comunisti del DKP sono quelli che
hanno pagato il prezzo pi alto del revanscismo tedesco seguito alla fine della seconda guerra mondiale:
dalla messa fuori legge del loro piccolo, combattivo
partito, fino al Beruftverboten, versione europea del
famigerato maccartismo, introdotto, guarda caso,
dalla SPD. Discorso inverso per coloro che li hanno
torturati e massacrati. Prontamente archiviata la galleria degli orrori uscita dal processo di Norimberga,
eccoli riemergere i peggiori criminali di guerra nazisti, osceni gaglioffi del calibro di Reinhard Gehlen, ex
capo degli agenti segreti di Hitler, Klaus Barbie, alto
u fficiale delle SS e della Gestapo, Hans Otto,
Obersturmfuhrer delle SS. Sono solo un piccolissimo
e miserabile campionario delle decine di migliaia di
gentiluomini, riciclati dopo un veloce passaggio in lavatrice, nelle accoglienti file della Bundeswher, della
CIA, della Nato e, ovviamente, negli stessi servizi segreti eredi di Gehlen, che ora ricambiano con un eccesso di zelo i loro potenti protettori di Langley.
Per chi avesse ancora qualche dubbio sul ruolo tuttaltro che marginale svolto dai vecchi nazisti nella
Germania democratica ricordiamo che il superterrorista, capitano delle SS Theodor Saewecke, individuato fin dal 1945 come il responsabile della fucilazione di 15 patrioti italiani in piazzale Loreto a Milano,
e condannato in contumacia dal Tribunale di Torino
con oltre mezzo secolo di ritardo, grazie anche a compiacenti coperture italiane, morto nel 2005, nel proprio letto e alla bella et di 93 anni, dopo avere ricoperto incarichi di grosso rilievo nella Repubblica
Federale: collaboratore dei servizi segreti americani,
consigliere del governo federale, direttore della scuola
di polizia, vice capo della polizia di sicurezza. Una brillante carriera conclusasi con una lauta pensione consumata in piena libert fino allultimo giorno di vita.
Pare dunque che la sorte delle associazioni resistenziali (e quello della democrazia) ricominci a correre
pericoli molto seri in questa parte del mondo. Sar il
caso di darci una regolata.
(S.R.)

63

Luglio Agosto 2005

Dibattito

Le tesi sulla non violenza

mi sembra debbano essere poste


accanto a quelle che oggi
ricusano la presa del potere
in vista dellinstaurazione
di una nuova societ

di Georges Labica

intervento di Etienne Balibar allultimo Congresso di Actuel Marx


(Parigi, ottobre 2004), intitolato
Lenin e Gandhi, un incontro
mancato? e pubblicato dalla rivista Alternative (Roma, n 6, novembre/dicembre 1994), merita,
e per pi motivi, che gli si presti attenzione. Presentati qui come le
due pi grandi figure di rivoluzionari teorico-pratici della prima
met del XX secolo 1, Lenin e
Gandhi avrebbero inaugurato, anche con la loro stessa vita, un dibattito le cui linee di fondo si ripresentano ancor oggi, in un
mondo in cui la violenza sembra
essersi fatta strutturale. Questi
due modelli avrebbero in comune linvito alle masse alla trasgressione della legalit politica incarnata dallo Stato, luno nella
forma della dittatura del proletariato, laltro sotto quella della
disobbedienza civile, e questo
comunque in contesti storici assai
diversi. Ora, tanto luno che laltro non avrebbero potuto evitare
le aporie inerenti alla loro azione:
Lenin la rovinosa contaminazione
dei fini da parte dei mezzi, ovvero
limpossibilit di evitare la violenza; Gandhi invece la rottura del
desiderato adeguamento tra i fini
e i mezzi, che fallisce nel conteni-

64

Sulla questione
violenza
non violenza
ALLULTIMO CONGRESSO DI ACTUEL MARX ( PARIGI, OTTOBRE
2004), ETIENNE BALIBAR INTERVIENTE SUL TEMA LENIN E GANDHI,
UN INCONTRO MANCATO? . LA RIVISTA ITALIANA ALTERNATIVE
PUBBLICA LINTERVENTO. DALLE NOSTRE PAGINE RISPONDE LABICA

mento della violenza. In entrambi


i casi, per noi, rimarrebbe irrisolta
la questione delle masse, se cio ci
troviamo ancora nella epoca dei
movimenti di massa, e quindi
della complessit del politico
che ci lascerebbe impotenti.
Nonostante la messa in guardia
dellAutore rispetto al suo eccesso
di semplificazione, questa riflessione rappresenta un invito a considerare in modo rinnovato la coppia violenza/non-violenza, poich
questa coppia rinvia precisamente
allesistenza di tali modelli,
Lenin e Gandhi.
Una doppia ragione per sentirci
quindi impegnati.Si tratta in
primo luogo di una problematica
assai sintomatica delle preoccupazioni e delle prese di posizione chiaramente inscritte nel
nostro tempo. Un esempio significativo in tal senso dato dalla vivace polemica scoppiata in Italia a
proposito del giudizio di Fausto
Bertinotti sulla questione delle
Foibe e degli eventuali eccessi
commessi dalla Resistenza durante la seconda guerra mondiale.
Nel suo libro La guerra orro re
(13.12.03) il segretario generale di
Rifondazione ha categoricamente
condannato il furore delle masse
un tempo scatenatosi contro i fa-

scisti ed ogni forma di ricorso alla


violenza. I nostri avversari, scrive,
sono la guerra e il terrorismo in
quanto entrambi prodotti dalla
globalizzazione. La violenza, in
tutte le sue varianti, si rivela inefficace, poich essa si vede riassorbita dalla guerra o dal terrorismo,
i quali mettono fuori gioco la politica () Non vero che il terrorismo parla a nome dei popoli oppressi. Lunica replica dunque
quella della pace, di un popolo
della pace e la sola scelta quella
della non-violenza. In unintervista a lUnit (28.09.04) egli ha
inoltre affermato che i nemici di
Bush non sono i nostri amici. Pur
senza sottoscrivere il verdetto sulle
Foibe, il professor Domenico
Jervolino, direttore di Alternative,
nel corso del gi citato Congresso
di Actuel Marx andato nella medesima direzione: La risposta
semplicemente reattiva violenza
contro violenza a nostro avviso
non sarebbe una risposta efficace
() Bisogna tagliare le radici
della violenza con una pratica attiva e diffusa della non-violenza.
Queste tesi mi sembra debbano essere poste accanto a quelle che
oggi ricusano la presa del potere
in vista dellinstaurazione di una
nuova societ, che si tratti del sub-

Luglio Agosto 2005

comandante Marcos del Chiapas o


di John Holloway che fa esplicitamente riferimento agli zapatisti
nel suo libro-programma Cambiare il mondo senza prendere il potere.
In una prospettiva assai prossima,
Daniel Bensad ha intitolato La
violenza addomesticata il capitolo del suo volume autobiografico Una lenta impazienza, nel quale
suggerisce in mancanza della possibilit di sradicare la violenza in
un prevedebile avvenire, di sviluppare una cultura della violenza
dominata; cosa che gli valsa gli
elogi di una recensione di Michal
Lwy (Rouge del 29.05.04). Ora,
nel retroterra di queste analisi, e
talvolta direttamente invocato,
quel che troviamo il gandhismo.
Certo non necessario ricordare
ai lettori de lernesto le numerose
obiezioni di fatto unautentica
levata di scudi provocate da queste apologie della non-violenza 2,
e tuttavia due premesse vanno
prese in considerazione.
I partigiani del rifiuto di qualsiasi
violenza da una parte avanzano le
loro tesi come conseguenze dirette del quadro che essi danno
della mondializzazione, cosa che
hanno in comune, questo va sottolineato, con i loro contradittori.
Bertinotti, ad esempio, non sembra rimettere in questione le idee
che esponeva in un suo libro del
2000 (Le idee che non muoiono) sulla
mondializzazione, sui suoi danni e
sul suo carattere di classe, sullincompatibilit fra capitalismo e democrazia, sullalternativa socialismo o barbarie, sul ruolo degli
Stati Uniti nella situazione di guerra e di dominio imperialista, sulla
necessit di aprire una prospettiva
rivoluzionaria. Nel Comitato politico nazionale del 15-16 settembre
2001 (cf. Liberazione) egli ha ancora insistito sul nesso globalizzazione/guerra e, denunciando il
fondamentalismo del mercato e
quello religioso chiamava alla
mobilitazione antimperialista.
Daltra parte non possibile non
condividere lindignazione e la
collera che sollevano il moltipli-

Dibattito

carsi e la sistematicit dei crimini


imperialisti, dalla guerra infinita
di Bush ai blocchi, da Guantanamo a Abu Ghrab. Da parte loro gli
atti di terrorismo suscitano un legittimo orrore. Su scala storica, i
primi anni del 3 millennio confermano a qual punto il vertice di
civilt per quanto riguarda i principi raggiunto dallumanit si stia
confondendo con unesplosione
di violenza senza analogie nei secoli precedenti. A ci si aggiunga
inoltre ma la cosa non ha nulla
di unicamente accessorio la dolorosa coscienza in seno al movimento comunista dei grandi misfatti perpretati in nome dei domani che cantano. Prendere la
violenza in avversione non certo
altra cosa dalla lezione da trarre da
questo accumularsi di esperienze.
Avanzerei anche una seconda ragione, pi teorica. Essa consiste in
questa proposizione, che io non
cesso di ripetere: La violenza non
un concetto. Questo termine, infatti, rinvia ad una multitudine di
forme, sia sanguinose che pacifiche, dalla bomba alla disciplina di
fabbrica, dallomicidio di un
pazzo alla natura del sistema, ovvero ai rapporti capitalistici di produzione.
Pertanto, questo significa che non
si d violenza se non in una data
situazione. Ne seguono due corollari. Opporre violenza a non-violenza, ponendo che si tratti dazioni di massa, come nuotare in
piena metafisica, o ergere il proprio candore ad argomento, oppure dissimulare la propria impotenza, le proprie dimissioni, la propria passivit nei confronti dellordine stabilito, oppure ancora
qualsiasi altro retro-pensiero. La
violenza non pu infatti fare a
meno di una qualche qualificazione. Definirla come forza
(Littr) non fa che spostare il problema. La maggioranza dei dizionari, e pure dei testi che pretendono di assumerla come oggetto
esplicito, si dispensano dal definirla e si limitano a delle enumerazioni descrittive secondo i di-

versi ambiti, dai quali quello strutturale (il sistema) generalmente


escluso. Le anime belle non hanno le mani, come risaputo.
Non affatto sorprendente che gli
intellettuali dellAmerica latina,
attenti e spesso partecipi delle sofferenze dei loro popoli, non abbiano fatto buona accoglienza allopera di Holloway: essi ben
sanno che ogni comando (il potere su), e in particolare quello
statuale, non pu essere oggetto di
una condanna assoluta. Una volta
caduto lentusiasmo delle sinistre
occidentali, gli indios del Chiapas
non sono usciti dai ghetti in cui
sono confinati dallesercito messicano, ineguagliabile in questo genere desercizio.
Non vi nemmeno un caso di teorico della non-violenza che non ne
abbia misurato i limiti e che non
si sia lasciato andare a qualche violenza. Il buon David Thoreau
(1817-1862), soprannominato il
Nuovo Adamo e il Robinson
moderno, il cui La disobbedienza
civile ispir Gandhi, sostenne lanarchico John Brown che aveva attaccato un arsenale in nome del
diritto alla rivoluzione, e non
disdegnava di giustificare lo spargimento di sangue se gli avvenimenti lesigevano. Il conte Leone
Tolstoi (1828-1910), che ebbe una
corrispondenza con Gandhi e al
quale questultimo consacr un
ashram in Sud Africa chiamandolo Fattoria Tolstoi, prese parte
in quanto ufficiale alle operazioni
contro ii ribelli di Chamil e difese
Sebastopoli. E forse che la guerra
patriottica contro Napoleone
non del resto elogiata in Guerra
e Pace? In India il Mahatma, come
ricorda Etienne Balibar, ha fallito,
malgrado limmenso prestigio di
cui godeva la sua dottrina dellabbraccio della verit (Satyagraha)
per mezzo del rifiuto di nuocere
(A h i m s a). Tuttavia nemmeno lui
escludeva la violenza. Anzi, in
qualche caso lha pure giustificata:
Rischierei mille volte la violenza
piuttosto che levirazione di tutta
una razza(Hind Svarag, 04.08.20);

65

Dibattito

oppure: Se non si d possibilit di


scelta che fra violenza e vilt, io
consiglierei la violenza (Young
India, 19.08.20). Occorre infine ricordare la logica intrinseca di una
posizione che ha portato questo
leader, Gandhi, di cui sappiamo
che durante la seconda guerra
mondiale non ha preso posizione
fra i belligeranti, a scrivere: Hitler
ha ucciso 5 milioni di ebrei. Ma gli
ebrei avrebbero dovuto offrirsi in
massa al coltello del macellaio.
Essi avrebbero dovuto precipitarsi
da soli in mare dallalto delle scogliere () Questo avrebbe sollevato luniverso e il popolo tedesco
() In un modo o nellaltro, di
fatto, non sarebbero comunque
caduti a milioni?. 3 Va inoltre
detto che lo zoccolo delle dottrine
sia di Tolstoi che di Gandhi era religioso. Nel primo la fede cristiana,
lamore per il prossimo, facevano
s che predicasse una filantropia
che condannava, insieme al male,
la violenza rivoluzionaria, larte
moderna e la sessualit. Nel secondo, la nozione pan-indiana
(C. Mellon) della non-violenza e la
credenza nella trasmigrazione
delle anime proibivano ogni attentato alla vita altrui. 4 In entrambi i casi veniva accordato un
ruolo privilegiato alle masse contadine, cosa che presupponeva il
rifiuto dellindustrializzazione.
Gandhi inoltre giunse persino a
dire che contro lImpero britannico non c nulla da fare
(A u t o b i o g r a f i a,
1927).
Nondimeno, di fronte alla proclamata antichit della tematica della
non-violenza in nome dellattesa
di un altro mondo, linventario
delle forme daggressione presente nella Bibbia offre numerosi
spunti alla riflessione, dallE s o d o,
dove Mos invita a prendere le
armi ed a proclamare che ciascuno uccida suo fratello, i suoi genitori, sino agli Atti degli apostoli,
dove Anania e sua moglie cadono
morti ai piedi di di San Pietro per
aver occultato del denaro 5. A
quali condizioni chiedeva Paul
Ricoeur il non-violento pu forse

66

essere altra cosa da un puro ai


margini della storia?6
Secondo corollario: la violenza non
rappresenta una scelta. Le generose
dichiarazioni, riferite alleredit
di Gandhi, che sono presenti sia
nellAppello dei Premi Nobel in
favore di una cultura della non-violenza per linfanzia, sia nella
Risoluzione dellAssemblea generale delle Nazioni Unite per un
decennio di cultura della pace e
della non-violenza a favore dellinfanzia mondiale, sia dal
Manifesto 2000 che invita a trasformare la cultura della guerra e
della violenza in una cultura della
non-violenza e della pace 7 r imangono incapaci di superare lo
stadio delle lodevoli intenzioni. E
non possono superarlo. Poich
trattandosi dei dominati, degli oppressi, di quel sale della terra che
in spagnolo vengono cos giustamente chiamati i silenciados, fra
violenza e non-violenza non si d
mai scelta. esemplare come essi
ne facciano sempre le spese, come
paghino il pi pesante dei tributi
alla forza che loro imposta dalla
violenza strutturale del sistema, sia
essa militare che pacifica. La violenza peggiore la povert, dichiara il teologo della liberazione
Gustavo Gutierrez Merino 8. Pi di
20 secoli fa, gi Socrate assicurava
che Nessuno volontariamente
cattivo. I dannati della terra non
soffrono di alcuna patologia mentale, ma del peso delle catene di
cui cercano di liberarsi, insieme e
contemporaneamente alla servit
volontaria alla quale sono stati ridotti. Il giudizio di un R. Habachi
quando dichiara facendo eco alle
affermazioni di alcuni nostri contemporanei : Nel momento in cui
Lenin, nel 1917, scopre la rivoluzione grazie alla violenza, Gandhi,
nel suo stile unico e incomparabile, ha scoperto la rivoluzione
grazie alla non-violenza9, letteralmente privo di senso, per non
dire poi della parola rivoluzione,
che in questo caso totalmente
inappropriata. A dispetto dei nostri buoni apostoli e nonostante il

Luglio Agosto 2005

rispetto che comunque gli dobbiamo, esattamente con lopposto che John Le Carr ha ragione:
Se io fossi un Palestinese della
Cisgiordania o di Gaza, sparerei a
vista a tutti i soldati israeliani doccupazione () Un atto di violenza
premeditato contro dei civili disarmati non in alcun caso ammissibile. E il fatto che voi e i vostri padroni americani lanciate
bombe a frammentazione messe al
bando e altre armi immonde su
una popolazione irachena indifesa composta per il 60% da bambini, non cambier assolutamente
la mia posizione.10 Tuttavia lidealismo di principio non resiste
affatto alla constatazione che in
tutte le guerre, sin dalla notte dei
tempi, le disgrazie, morte compresa, dei civili innocenti sono
imcomparabilmente pi numerose di quelle dei militari. Non dimentichiamo mai n Dresda n
Hiroshima. per questo, anche,
che il termine terrorismo richiede
un atteggiamento di cautela analogo a quello che merita il termine
violenza. Sono indispensabili in
proposito forti distinguo. Certo,
come ha detto Bertinotti il bushista e il fondamentalista islamico
rappresentano le due facce della
medesima medaglia, ma questa
constatazione non autorizza affatto lobbrobrio generale gettato
sulla parola. Come simpone una
distinzione fra violenza dominante e
violenza dominata, anche il terrorismo di Stato non pu essere confuso
con il terrorismo che lo combatte
e che si chiama re s i s t e n z a.
LIntifada, in tutte le sue forme, ,
per essenza, una risposta alloccupazione, ed essa a permette al popolo palestinese di rimanere in
piedi. Come la resistenza irachena che tiene in scacco limperialismo. Ecco, questi sono gli
avamposti della sola violenza legittima. E tanto peggio per le indignazioni morali.
Non tutto. La lotta delle masse
poich esse esistono davvero ancora , in primo luogo
nellAmerica Latina e nel Medio

Luglio Agosto 2005

Oriente, si sviluppa secondo una


dialettica che alterna violenza e
non-violenza, con questultima
sempre preferibile e preferita per
leconomia di vittime veramente
innocenti che essa comporta.
La violenza giusta dove la dolcezza vana fa dire gentilmente
Corneille a uno dei personaggi del
suo Hraclius. Traduciamo: il rapporto di forze decide della natura
delle lotte, tanto di quelle politiche, economiche o sociali, che di
quelle armate. Lo stratega, alla bisogna, e quando nella situazione
data, non ha occhi che per la congiuntura, lanalisi concreta della
situazione concreta. Egli non ha
mai da fare la scelta fra la violenza, legge della forza bruta, e la
non-violenza, legge delluomo
(Gandhi): chi seriamente preferirebbe la forza bruta alluomo?
Lunica finalit di una simile scelta
sarebbe il disarmare le masse. Ma

Dibattito

vi sono anche processi rivoluzionari che non ricorrono, che non


hanno alcun bisogno di fare appello alla violenza aperta. Ne abbiamo avuto degli esempi sottomano: il Que se vayan todos!
delle masse di quellArgentina dichiarata la migliore allieva del
FMI, con piqueteros e classi medie unite che gi stanno facendo
scuola oltre le loro frontiere, la rivoluzione bolivariana del Venezuela che, pi volte di seguito e a
dispetto di complotti e manipolazioni, ha trasformato il suffragio
universale in strumento di liberazione popolare. Inoltre anche il
tanto vantato pacifismo di una
certa sinistra pu non essere affatto pacifico, come pure lordine
dominante, che non fa altro che
sognare la sottomissione planetaria, e che la violenza rivoluzionaria,
nelle sue diverse forme, si propone dabolire.

Note
1 Questo giudizio simile a quello di Robert Payne
che, allinizio della sua biografia di Gandhi, scriveva: "La nostra epoca non ha avuto che due autentici geni politici, Lenin e Gandhi" (The life
and death of Mahatma Gandhi, New Delhi,
Rupa & Co ed., 1999, p.14)..
2 Cf. in part i c o l a re gli articoli di Rossana
Rossanda, Giovanni Pesce e Salvatore Distefano
sul numero di gennaio-febbraio 2004
3 Citato in L. Fisher, Life of Mahatma Gandhi,
1951.
4 In Encyclopdie Philosophique Universelle, II/2,
art. "Ahimsa", Paris, PUF, 1990
5 Cf. lelenco riportato da Bernhard Lang, in
Franoise Hritier, De la violence, Paris, Odile
Jacob ed., 1996.
6 Histoire et vrit, Paris, Seuil, 1955, p. 235.
7 Cf. Marie-Pierre Bovy, Gandhi, l'hritage,
Paris, Silo ed., 2001, Appendici
8 Intervista a La Nacion di Buenos Aires del
11.01 04.
9 Encyclopaedia Universalis, s.v.
10 Une amiti absolue, Paris, Seuil, 2003, p. 329.

67

Dibattito

Luglio Agosto 2005

Quando sintetizzava
i compiti primari del paese
scaturito dalla rivoluzione dOttobre
nella formula Soviet + elettrificazione,
Lenin dimenticava la lotta
contro lingiustizia e loppressione?

Cina: sviluppo delle


forze produttive
e processo
di emancipazione*

a cura di Joo Quartim de Moraes

JOO QUARTIM DE MORAES, DOCENTE UNIVERSITARIO BRASILIANO,


AUTORE DI SAGGI TRADOTTI ANCHE IN ITALIA E MEMBRO DEL PARTITO
COMUNISTA DO BRASIL, INTERVISTA DOMENICO LOSURDO PER LA
RIVISTA CRITICA MARXISTA DI RIO DE JANEIRO

ella recensione (O Globo del 1 gennaio 2005) da lui dedicata alledizione brasiliana di Fuga dalla storia?
La rivoluzione russa e la rivoluzione cinese viste oggi, Leandro Konder (intellettuale marxista brasiliano, n.d.r.)
sostiene che la motivazione stretta
e strettamente economica (che caratterizzerebbe lodierna linea politica del gruppo dirigente della
Repubblica Popolare Cinese), non
si concilia con gli ideali socialisti,
con la lotta incessante che essi conducono contro le disuguaglianze,
contro loppressione, contro le ingiustizie e a favore di uno sviluppo
della partecipazione degli strati popolari alla vita politica.
Quando sintetizzava i compiti primari del paese scaturito dalla rivoluzione dOttobre nella formula
Soviet + elettrificazione, Lenin dimenticava la lotta contro lingiustizia e loppressione? E la dimenticava il Manifesto del partito comunista
quando chiamava il proletariato vittorioso a servirsi del potere politico
in primo luogo per accrescere, con
la pi grande rapidit possibile, la
massa delle forze produttive? In
realt, in entrambi i casi lindustrializzazione, la modernizzazione,
lo sviluppo delle forze produttive
sono individuati come lo strumento
fondamentale, in una situazione
ben determinata (il controllo del-

68

lapparato statale) per cominciare


realmente ad edificare la nuova societ a cui si aspira, per aumentarne
la capacit di attrazione e difenderla
in caso di necessit, per portare
avanti concretamente gli ideali di
emancipazione che hanno presieduto alla rivoluzione.
Non diversamente stanno le cose
per quanto riguarda la Repubblica
Popolare Cinese. Nel mio libro ricordo laffermazione fatta da Mao
nel settembre 1949, allimmediata
vigilia della presa del potere, secondo cui Washington aspirava a far
dipendere la Cina dalla farina americana e dunque a trasformarla in
una colonia americana.
Agli occhi del grande dirigente comunista era ben chiaro il fatto che
la lotta contro limperialismo stava
passando dalla fase prevalentemente militare alla fase prevalentemente economica. Per la verit, in
questa lotta la dimensione economica non mai stata assente, e Mao
mai lha persa di vista. Ecco quel che
scriveva il 23 gennaio 1934 (La nostra politica economica), allorch si
trattava di difendere piccole e isolate aree liberate e sotto controllo
comunista dallaccerchiamento e
dallattacco della reazione: Gli imperialisti e il Kuomintang si prefiggono lo scopo di abbattere le regioni rosse, di minare ledificazione
economica [] Soltanto la nostra

vittoria sullimperialismo e il
Kuomintang, soltanto il nostro lavoro pianificato, organizzato, nel
campo delledificazione economica, possono salvare il nostro popolo da una sciagura senza precedenti.
Circa dieci anni dopo divampa la seconda guerra mondiale e, per
quanto riguarda la Cina, in corso
la resistenza contro limperialismo
giapponese. In tutto il mondo la parola decisamente alle armi, ma
Mao sente tuttavia il bisogno di ribadire: Nelle condizioni attuali di
guerra, tutti gli organismi, le scuole
e le unit delle esercito devono dedicarsi attivamente alla coltivazione
degli ortaggi, allallevamento dei
suini, alla raccolta della legna, alla
produzione del carbone di legna;
devono sviluppare lartigianato e
produrre una parte dei cereali necessari al loro sostentamento [] I
dirigenti del Partito, del governo e
dellesercito ad ogni livello, come
anche quelli delle scuole, devono
imparare, sistematicamente, larte
di dirigere le masse nella produzione. Colui che non studia attentamente i problemi della produzione non un buon dirigente (Per
la riduzione dei canoni daffitto, 1 ottobre 1943).
Coltivare ortaggi e cereali, allevare suini: ma dove finita la lotta
contro loppressione e lingiustizia?

Luglio Agosto 2005

In realt, proprio attraverso la soluzione di compiti cos modesti e cos


prosaici passata la vittoria di una
grande rivoluzione, che ha inferto
un colpo devastante allimperialismo e dato un enorme impulso alla
causa dellemancipazione dei popoli. Luniversale si realizza sempre
attraverso la mediazione del particolare, e chi cerca luniversale nella
sua incontaminata purezza non lo
trover mai.
La situazione odierna presenta non
pochi punti di contatto col passato.
Certo, ben lungi dallesercitare il
potere solo su regioni assai limitate
dellimmenso paese asiatico, oggi lo
controllano nel suo complesso. E,
tuttavia, come circondata dal
mondo capitalista e imperialista, il
quale nei suoi confronti continua a
condurre una politica di soffocamento economico. Certo, oggi
tante cose sono cambiate, ma gli
Stati Uniti cercano di impedire in
ogni modo laccesso della Cina alle
tecnologie pi avanzate. Se non in
uno stato di vero e proprio sottosviluppo, Washington vorrebbe mantenere il grande paese asiatico in
condizioni comunque di arretratezza, in modo da poterlo ricattare,
minacciare e al momento opportuno colpirlo e smembrarlo. E, di
nuovo, la crescita delle forze produttive un elemento essenziale
della resistenza contro limperialismo.
Ma a tale proposito si verifica un fenomeno assai singolare. Una certa
sinistra giustamente si commuove e
si entusiasma quando vede un popolo calpestato, umiliato e affamato
cercare disperatamente di scrollarsi
di dosso il giogo delloppressione e
di migliorare la propria situazione,
ma quando questo popolo ha conquistato il potere ed in grado di
condurre la lotta per il consolidamento dellindipendenza politica
ed economica a partire da condizioni e da rapporti di forza meno
disastrosi, ecco che tale sinistra
storce la bocca: essa capace di riconoscere e appoggiare una lotta
per lemancipazione solo quando
tale lotta versa in condizioni tragi-

Dibattito

che. Sia pure con qualche sforzo,


con lo sguardo rivolto al passato,
una certa sinistra riesce a nutrire
simpatia per limpegno delle regioni rosse degli anni 20, 30 e 40
a produrre cereali ed ortaggi e ad
allevare maiali nel corso della lotta
di resistenza contro il Kuomintang
e limperialismo giapponese, ma riserva solo freddezza e disdegno per
limpegno odierno della Repubblica Popolare Cinese a sviluppare, ad
esempio, lindustria elettronica e
informatica.
Ma Leandro Konder obietta che
porre laccento sullo sviluppo delle
forze produttive significa dimenticare o relegare in secondo piano lideale delluguaglianza
Quando nel 1949 giunge al potere,
il Partito Comunista Cinese si trova
a dirigere un paese il cui reddito pro
capite il pi basso del mondo. Tale
estrema disuguaglianza rispetto ai
paesi pi sviluppati non era un dato
naturale. Eminenti studiosi hanno
richiamato lattenzione sul fatto
che, ancora alla fine del Settecento,
laspettativa di vita cinese era pressappoco a livelli inglesi, e dunque
superiore alla media dellEuropa
continentale. Intervengono poi le
infami guerre delloppio. Sempre
nel Settecento, le differenze nel
reddito e nel benessere tra le grandi
civilt erano piuttosto ridotte.
Successivamente, le conquiste coloniali e lindustrializzazione
dellOccidente vanno di pari passo
con la de-industrializzazione dei
paesi via via da esso assoggettati.
la storia della formazione del Terzo
Mondo e del suo sottosviluppo.
A partire almeno dalla rivoluzione
dOttobre, la lotta contro questa
paurosa disuguaglianza ai danni del
sud del mondo, imposta dallaggressione e dal saccheggio capitalista e imperialista, un aspetto centrale della lotta di classe a livello internazionale. Dopo essere stato costretto a condurla per decenni sul
piano militare, il popolo cinese pu
ora svilupparla sul piano pi propriamente economico. E non c

dubbio che grandi risultati sono


stati conseguiti.
Pur di straordinaria rilevanza, la
fuoriuscita dal sottosviluppo di oltre un quinto della popolazione
mondiale forse non neppure la
cosa pi importante. La causa delluguaglianza tra i popoli pu ora
fare grandi passi in avanti anche sul
piano culturale: lOccidente capitalista e imperialista sul punto di perdere il monopolio della tecnologia,
di cui finora esso si avvalso non
solo per controllare o strangolare il
Terzo Mondo, ma anche per accreditare la sua pretesa di rappresentare la Civilt in quanto tale e il suo
diritto a dominare sui barbari.
Ancora una volta, per chi sa vedere
lunit di universale e particolare,
ben lungi dal significare loblio dellideale delluguaglianza il prodigioso sviluppo economico della
Cina odierna il punto pi alto
della lotta per porre fine ad un ordine internazionale fondato sulla
disuguaglianza, e imposto dalla violenza capitalista e imperialista.
Certo, oltre che a livello internazionale il problema delluguaglianza si
pone anche nellambito di ogni singolo paese. E per quanto riguarda
la Cina, non c dubbio che le regioni costiere si sviluppano pi rapidamente che non le regioni dell
Ovest. N potrebbe essere diversamente: sarebbero ben strani un materialismo storico e un marxismo
che non tenessero conto della geografia. E tuttavia da precisare che
il contrasto tra Est e Ovest della Cina
non tra sviluppo e sottosviluppo,
ma tra due diversi gradi di sviluppo.
come se fossimo in presenza di
due treni che procedono a velocit
diversa ma in direzione di un traguardo comune, che quello della
riduzione e dellannullamento del
ritardo e della disuguaglianza rispetto ai paesi pi sviluppati.
Anche coloro che per ora viaggiano
sul treno meno veloce hanno ormai
alle spalle le tragedie del passato.
Ho gi detto della condizione disastrosa del grande paese asiatico al
momento in cui i comunisti giungono al potere: la morte per inedia

69

Dibattito

era un fatto quotidiano, e nei momenti di crisi essa falcidiava milioni


di vite umane. Pur essendo sensibilmente migliorata dopo il 1949, la situazione alimentare della Cina ha
continuato per qualche tempo ad
essere assai precaria: alla fine degli
anni 50, in conseguenza sia dello
spietato embargo imposto dallimperialismo sia di alcuni errori di direzione politica, una carestia provocata da avverse condizioni meteorologiche si trasform in una catastrofe: la morte per inedia torn a
colpire su larga scala la popolazione
cinese. vero, la distribuzione delle
scarse risorse era fortemente egualitaria. E tuttavia, anche se assai ridotta in termini quantitativi, la dif-

necessario andare ben oltre


sulla strada della realizzazione
delluguaglianza.
Proprio facendo leva
sui punti di forza
delle regioni costiere
ora possibile imprimere
una decisiva accelerazione
allo sviluppo delle altre regioni

ferenza che sussisteva tra coloro che


avevano a disposizione e coloro che
non avevano a disposizione il pezzo
di pane capace di assicurare la sopravvivenza costituiva una differenza e una disuguaglianza assoluta.
E questa disuguaglianza assoluta
stata eliminata solo grazie allo sviluppo delle forze produttive.
Non c dubbio, necessario andare ben oltre sulla strada della realizzazione delluguaglianza. Daltro
canto, proprio facendo leva sui
punti di forza delle regioni costiere
ora possibile imprimere unulteriore e decisiva accelerazione allo

70

sviluppo delle altre regioni. un


processo in corso da alcuni anni, e
che ha gi conseguito alcuni importanti risultati, sia pure diffusi in
modo irregolare e a macchia di leopardo.
Qualche tempo fa, sulle pagine economiche del pi importante quotidiano italiano si poteva leggere
unanalisi assai significativa: a caratterizzare la linea politica degli attuali dirigenti di Pechino la volont di procedere ad una redistribuzione della ricchezza e di portare a termine lultima tappa del
miracolo Cina, raggiungendo le
regioni centrali e lOvest.
Mutamenti straordinari sono gi in
corso: Xian famosa nel mondo
per i guerrieri di terracotta, ma sta
diventando diventer la Silicon
Valley dellAsia. Un caso che poco
conosciuto. Trentasei universit, un
progetto per impiegare entro il
2007 ben centomila ingegneri nel
parco tecnologico, dove si svilupperanno le ricerche nel campo del
software e della industria aerospaziale. Chi sa che a Xian si producono
componenti per i Boeing e per i
Gulfstream? (Fabio Cavalera, La
nuova Lunga Marcia verso Ovest,
in Corriere della Sera del 20 dicembre
2004, CorrierEconomia, p. 7)

Ma Konder osserva che, se la contraddizione decisiva fosse quella


che contrappone la capacit di svil u p p a re le forze produttive propria del capitalismo ovvero del socialismo, il capitalismo potrebbe
anche essere superiore.
Dopo avermi criticato in qualche
modo in nome dellortodossia (non
bisogna dimenticare la lotta di
classe contro loppressione e lo
sfruttamento!), il compagno
Leandro Konder liquida tranquillamente uno dei capisaldi della teoria
di Marx. Non c dubbio che nellambito del pensiero di Marx gioca
un ruolo centrale il tema dello sviluppo delle forze produttive: il comunismo presuppone una straordinaria ricchezza materiale che con-

Luglio Agosto 2005

senta ad ogni individuo di appagare


i propri bisogni; e il socialismo, che
costituisce il primo stadio del comunismo, deve porre le premesse
per tutto ci.
A partire dalle posizioni di Konder
non si comprende pi neppure il
materialismo storico: in termini
marxiani, la rivoluzione rovescia
lordinamento sociale e i rapporti di
produzione che inceppano lo sviluppo delle forze produttive.
Naturalmente nessuno obbligato
ad essere marxista. Per quanto mi riguarda, voglio spiegare brevemente
perch, almeno su questo punto,
continuo a ritenere valida la teoria
affermata da Marx e da Engels (e dai
comunisti cinesi). Allesempio che
fa il Manifesto del partito comunista
della gigantesca distruzione di forze
produttive provocata dalle periodiche crisi di sovrapproduzione della
societ capitalistica, se ne possono
aggiungere numerosi altri, che
fanno riferimento alla realt
odierna dellimperialismo. In questi giorni sotto gli occhi di tutti la
catastrofe che si abbattuta sul SudEst asiatico: sarebbe stata sufficiente
una porzione infinitesima delle
spese militari statunitensi per mettere in piedi un sistema di tempestivo pre-allarme e contenere efficacemente la furia distruttiva del
maremoto: pi che mai capitalismo
e imperialismo comportano una
spaventosa dissipazione di risorse
materiali e un immane sacrificio di
vite umane.
Secondo Konder, tu dai talvolta limp ressione di fare sulla Cina una
scommessa (nel senso che il termine
scommessa assume nel discorso
di Pascal, quale utilizzazione possibile della ragione nella sfera che
supera la ragione). Saresti diventato pascaliano a tua insaputa?
In realt, a proposito della Cina il libro parla di un processo di lunga
durata, che gi pu vantare risultati straordinari ma il cui esito del
tutto imprevedibile. A dare invece
per scontato e per gi avvenuto lesito capitalistico, sono Leandro

Luglio Agosto 2005

Konder e tanti altri che, a sinistra,


argomentano in modo simile al suo.
A questo punto, per, tutti avrebbero lobbligo di chiarire in primo
luogo a se stessi quel che avvenuto
nel grande paese asiatico. A detenere il potere continua ad essere il
partito comunista, che nel suo
Statuto e nei suoi documenti dichiara ripetutamente di ispirarsi al
marxismo-leninismo e di voler avanzare sulla via del socialismo del comunismo. tutta una sceneggiata?
Stando ai dati riportati da un autorevole quotidiano borghese (Il Sole24 ore dell8 novembre 2003), il partito vede al suo interno una larga
maggioranza di operai, contadini e
pensionati: dobbiamo considerare
milioni o decine di milioni di uomini e donne complici o vittime
idiote di una sceneggiata priva di
qualsiasi credibilit? Storicamente,
il Partito Comunista Cinese stato
il protagonista di una delle pi
grandi rivoluzioni della storia. Ha
cambiato radicalmente natura? E
quando allora si verificato questo
radicale mutamento di natura? Con
laffermarsi della linea che insiste
sulla centralit dello sviluppo delle
forze produttive? Ma questa stata
a lungo la linea ufficiale del Partito
comunista nel suo complesso, e lo
stata mentre la Cina era allavanguardia della lotta contro limperialismo. E, daltro canto, questa linea poteva e pu rivendicare una
sua continuit rispetto alle tesi sostenute, come abbiamo visto, dal
Manifesto del partito comunista e dallo
stesso Lenin. Dobbiamo ormai considerare estraneo al marxismo e al
socialismo il Partito Comunista
Cinese per il fatto che tollera una
vasta area di economia capitalistica?
Rileggiamoci allora quello che Mao
dichiarava il 25 dicembre 1947:
Data larretratezza economica
della Cina, anche dopo la vittoria
della rivoluzione in tutto il paese
sar ancora necessario consentire
per un lungo periodo lesistenza di
un settore capitalista delleconomia
[] Questo settore sar ancora un
elemento indispensabile delleconomia nazionale presa nel suo com-

Dibattito

plesso.
Si potrebbero addurre innumerevoli altre, analoghe prese di posizione di Mao, ancora ad anni di distanza dalla presa del potere (ad
esempio, nel 1958), ma sarebbe
uninutile perdita di tempo e di spazio, anche perch alcune le ho gi
citate nel mio libro.
E allora? Allora bisogna prendere
atto della realt. La storia e la teoria del Partito Comunista Cinese
sono in larga parte ignorate. S, si
conoscono le tesi enunciate nel corso dello scontro con il Partito Comunista dellUnione Sovietica e negli anni della Rivoluzione Culturale. Per il resto si sa poco o nulla.
Quanti, ad esempio, hanno sentito
parlare della polemica sviluppata
da Mao in un testo programmatico
della rivoluzione cinese (Sulla nuova democrazia, gennaio 1940) contro
i chiacchieroni di "sinistra", i
quali non comprendono che la rivoluzione divisa in fasi, che possiamo passare alla seconda fase solo
dopo aver completato la prima, e
che non c la minima possibilit di
risolvere tutto "con un solo colpo"?
per questo che un medesimo
evento stato percepito in maniera
diversa e contrapposta in Cina e al
di fuori di essa. Interpretati in
Occidente come sinonimo di abbandono del marxismo e del socialismo, lavvento al potere di Deng
Xiaoping e la riaffermazione della
centralit delledificazione economica sono stati salutati in Cina come
la ripresa e lo sviluppo della linea
che aveva presieduto al trionfo della
rivoluzione cinese e che era stata abbandonata solo per un periodo di
tempo relativamente breve.
Prima di dare per scontata la restaurazione del capitalismo in Cina,
la sinistra dellOccidente e dellAmerica Latina non farebbe meglio a studiare una linea, una teoria,
una tradizione politica in larga parte ignorate? Giusti o sbagliati che
siano, il marxismo e il socialismo
con caratteristiche cinesi, che cominciano a prendere forma gi in
Mao, meritano qualcosa di meglio
che non la liquidazione sommaria e

persino preventiva.
Infine Konder esprime il suo scetticismo, allorch tu affermi che ci
sono ancora partiti e paesi importanti impegnati nella costruzione di
una societ che vada al di l del capitalismo. Nel tuo accenno alla
Cina come un paese abitato da pi
di un quinto dellumanit, egli scopre un tono che tende allepopea.
Bisogner scegliere tra il suo tono
ironico e il tuo presunto tono epico?

La storia e la teoria
del Partito Comunista Cinese
sono in larga parte ignorate

A sottolineare la straordinaria importanza di quello che sta avvenendo nel grande paese asiatico sono
autori che non sono inclini ai facili
entusiasmi, e tanto meno ai facili entusiasmi filo-cinesi. Nel riferire
del promettente sviluppo in Cina
delle regioni sinora rimaste indietro, il giornalista gi citato del
Corriera della Sera parla, gi nel titolo
del suo articolo, della nuova Lunga
Marcia verso Ovest. E la Lunga Marcia propriamente detta, che conduce un piccolo e perseguitato partito comunista a compiere in condizioni drammatiche un percorso di
migliaia di chilometri, per mettersi
alla testa della lotta popolare di resistenza contro uno degli imperialismi pi barbari, rappresenta indubbiamente uno dei grandi avvenimenti epici del ventesimo secolo e
della storia dellumanit in quanto
tale. Ma in questo contesto conviene
soprattutto citare Huntington.

71

Dibattito

Questi ha scritto che, se il gigantesco processo di industrializzazione e


modernizzazione attualmente in
corso dovesse avere successo, lavvento della Cina al ruolo di grande
potenza surclasser qualunque altro
fenomeno comparabile verificatosi
nella seconda met del secondo millennio. Si tratterrebbe dunque dellavvenimento decisamente pi importante degli ultimi 500 anni di storia.
unaffermazione fatta nel 1996,
lanno di pubblicazione dello
Scontro di civilt. Procedendo a ritroso di circa cinque secoli, ci imbattiamo nella scoperta-conquista
dellAmerica. il momento in cui
lOccidente inizia la sua marcia
trionfale, assoggettando il mondo
intero, calpestando e spesso distruggendo intere culture e decimando e persino annientando i popoli che le avevano espresse. Che ad
apprestarsi a chiudere questo capitolo di storia sia un paese guidato da
un partito comunista non un fatto
casuale. un nuovo capitolo della
storia iniziata con la rivoluzione
dOttobre, che fa appello agli schiavi delle colonie a spezzare le loro catene. Il secondo capitolo di questa
storia quello che infligge una decisiva sconfitta al tentativo nazi-fa-

72

scista di ridare vitalit alla tradizione coloniale, al tentativo di schiavizzare interi popoli, come nei periodi peggiori della tratta dei neri,
per mettere gli Untermenschen, i presunti omuncoli o sotto-uomini, al
servizio della razza dei signori.
La Lunga Marcia rappresenta per
lAsia quello che Stalingrado per
lEuropa: sullonda di queste due
disfatte epocali dellimperialismo si
sviluppa un poderoso processo di
emancipazione dei popoli coloniali, che va ben al di l della seconda guerra mondiale, investe
ogni angolo del mondo e conosce
momenti particolarmente significativi in paesi quali il Vietnam e Cuba.
Oggi vediamo dispiegarsi un nuovo
capitolo della storia iniziata con la
rivoluzione dOttobre. Un paese di
civilt millenaria, a partire dalle
guerre delloppio aggredito, calpestato, umiliato e de-umanizzato
(Vietato lingresso ai cani e ai cinesi!), si appresta a tornare come
protagonista sulla scena mondiale,
e non solo sul piano politico ma anche su quello culturale e tecnologico, come lo stato per millenni.
E nel mettere fine ad un capitolo
tragico della sua storia nazionale, la
Cina tende a chiudere un capitolo
ben pi ampio della storia mondiale

Luglio Agosto 2005

nel corso del quale, proprio a causa


del dominio incontrastato dellOccidente, a giustificazione anche
delle forme brutali che esso ha assunto, sono emerse e si sono a lungo
affermate le ideologie razzistiche
pi rozze e pi infami.
Come il futuro in generale, anche il
futuro della Cina nessuno in grado
di prevederlo. Conviene concentrarsi sul presente: certamente non
mancano le zone dombra, gli errori, i ritardi, le contraddizioni, i
motivi di preoccupazione e di disappunto. Daltro canto, sotto gli
occhi di tutti lo spettacolo di oltre
un quinto della popolazione mondiale che a passi assai rapidi fuoriesce dalla miseria, dal sottosviluppo,
dallarretratezza. Non solo questione di economia. Ignorare la
forte carica di emancipazione politica, sociale e ideologica insita nello
straordinario sviluppo economico
della Repubblica Popolare Cinese
significa essere incapaci di vedere
gli alberi a causa della foresta.

* Intervista tratta dal libro di D.Losurdo


Fuga dalla Storia ? La Rivoluzione russa
e la rivoluzione cinese oggi
Casa editrice Revan di Rio de Janeiro.
Casa editrice La Citt del Sole Napoli

Luglio Agosto 2005

Internazionale

SI SVOLGER AD ATENE
IL 29-30 OTTOBRE 2005

Verso il congresso
del Partito
della Sinistra
Europea

di Fausto Sorini

LESPERIENZA DEL PRIMO ANNO E MEZZO DI VITA DELLA SE CONFERMA


TUTTI I PROBLEMI CHE ERANO GI EMERSI ALLA SUA FONDAZIONE.
RESTA APERTA LESIGENZA DI UN FORUM PAN-EUROPEO, CAPACE NON
DI DIVIDERE, MA DI UNIRE I COMUNISTI E LE SINISTRE ANTICAPITALISTICHE
DI TUTTO IL CONTINENTE

l 29-30 ottobre 2005 si terr ad Atene, ospite il Synaspismos, il primo


Congresso del Partito della Sinistra
Europea (SE), a un anno e mezzo
di distanza dal Congresso costituente svoltosi l8-9 maggio 2004 a
Roma. Come noto, noi ci esprimemmo criticamente su quella scelta. E poich riteniamo che, nella sostanza e sulla base dellesperienza
compiuta, non sono venute meno le
ragioni di quella critica, vogliamo riprenderle e attualizzarle.
1. Avevamo condiviso e seguitiamo a condividere la Tesi 35 e il
documento politico conclusivo del
5 Congresso nazionale del Prc
(2001), dove si prospettava lesigenza della "costruzione di un nuovo
soggetto politico europeo (non si
parlava di un partito- ndr) per unirele forze della sinistra comunista,
antagonista e alternativa su scala
continentale nelle loro diversit
politiche e organizzative" e senza
pensare "n ad una fusione organizzativa, n ad un compattamento
su base ideologica". Il punto che il
progetto concreto che stato messo
in campo e perseguito, le sue modalit di attuazione, il suo profilo
politico e identitario, non hanno
u n i t o, ma diviso tali forze; non
hanno avuto un profilo continentale,
ci pan-europeo (inclusivo di tutte
le grandi aree del continente, dal

Portogallo agli Urali), bens sostanzialmente rivolto ai soli Paesi


dellUnione europea; e nella definizione del profilo identitario e
dello Statuto fondante della SE si
sono deliberatamente introdotte
formulazioni di natura ideologica (in
relazione alla storia del movimento
comunista), ben sapendo che
quelle formulazioni, che si prestano
a svariate interpretazioni, sarebbero state inaccettabili per numerosi e importanti partiti comunisti
europei, dellEst e dellOvest. Tale
rigidit era quindi volta coscientemente (non troviamo altra spiegazione plausibile) ad escluderli o a
provocarne artificiosamente divisioni interne. Tanto vero che si
respinto e si continua a respingere
ogni tentativo di dire la stessa cosa
(e cio la critica ai processi degenerativi manifestatisi in alcune fasi
e situazioni della storia del movimento operaio) con formulazioni
su cui sarebbe possibile avere un
consenso pressoch unanime, proprio perch non interpretabili
come un giudizio liquidatorio di
tutta una fase dellesperienza storica del movimento comunista del
900.1
2. Si sono dunque prodotte divisioni tra i maggiori partiti comunisti e di sinistra alternativa europei
ed una incrinatura del rapporto di

fiducia reciproca, che non si sono


certo ricomposte nel corso dellultimo anno, ma che tendono anzi a
cristallizzarsi, e a riproporre in un
contesto storico-politico assai diverso - una divaricazione in due poli
del movimento comunista in
Europa, come ai tempi delleurocomunismo (solo che ieri quella divisione era politica, oggi tende addirittura a strutturarsi in un partito
sovranazionale, e scusate se
poco). Una situazione che rende
pi difficile operare in un clima di
autentica solidariet e unit d'azione e tende ad accentuare e polarizzare divergenze politiche, programmatiche, identitarie.
Con differenti motivazioni, si sono
pronunciati in modo critico sulle
modalit di formazione della SE (e
oggi riconfermano le loro critiche)
il Pc portoghese, quello greco
(Kke), lAkel di Cipro, la quasi totalit dei Pc dellEuropa orientale e
delle regioni europee dellarea ex
sovietica, i partiti della cosiddetta
Sinistra verde nordica, e altri.
Constatiamo, dunque, che la parte
di gran lunga pi consistente delle
forze politiche a sinistra dellInternazionale Socialista resta fuori o
fortemente critica sulla SE : e
stiamo parlando non di gruppuscoli
testimoniali, ma di partiti che
hanno reali dimensioni ed influenza di massa, alcuni dei quali ri-

73

Internazionale

scuotono nei loro rispettivi paesi


percentuali di consenso elettorale a
due cifre. In questi casi, il numero
fa sostanza ed fedele specchio di
un metodo unitario. E se vero che
alla SE aderiscono partiti comunisti
e di sinistra alternativa che fanno
parte di alcuni dei Paesi chiave dellUnione europea (Germania, Francia, Italia, Spagna), anche vero :
- che in almeno due di questi quattro paesi (Francia e Italia) la sinistra
comunista e alternativa profondamente divisa rispetto alla SE;
- che tutta la sinistra comunista e alternativa della Gran Bretagna,
paese chiave al pari di Francia e
Germania, fuori dalla SE;
- che in ogni caso lUe non rappresenta tutta lEuropa.

Lo sviluppo della SE
continua ad essere viziato
da un approccio politicamente
e ideologicamente selettivo

3. Il processo di costruzione e di sviluppo della SE stato dunque e continua ad essere viziato da un approccio politicamente e ideologicamente selettivo, come non mancano di rilevare tutte le forze comuniste e di sinistra alternativa che
non vi hanno aderito o che sottolineano la loro criticit mantenendo
uno status di osservatori. Ed ha prodotto un processo inverso a quello,
unitario e ricompositivo, che si era
prodotto in Europa, e segnatamente nei paesi dellUe, dopo la
grande crisi del 1989 e il crollo del
campo socialista in Europa. Basti
pensare che nel 1989 la sinistra comunista presente nel Parlamento
europea era divisa in due gruppi
parlamentari distinti, e ci in conseguenza della scelta compiuti alcuni anni prima dallultimo Pci e da
Izquierda Unida di rompere il grup-

74

po comunista unitario, dove essi si


trovavano insieme ai comunisti
francesi, portoghesi e greci, per dare vita ad un gruppo distinto (la storia viene da lontano). Dopo il terremoto dell89 si apr un travagliato
processo ricompositivo che port
infine, nel 1994, alla formazione del
GUE-NGL (Sinistra Unitaria Europea-Sinistra Verde Nordica), cio al
gruppo unitario al Parlamento europeo, che sussiste ancora oggi. E
dovrebbe indurre a qualche riflessione la semplice constatazione che
dei 41 deputati europei che oggi
compongono il GUE-NGL, sono
solo 17 quelli che fanno parte di partiti membri a pieno titolo della SE
(e stiamo parlando qui dei soli partiti dei Paesi dellUe).2
4. Si voluto talvolta ironizzare sulla
contabilit che abbiamo evidenziato in rapporto a tali divisioni. Sta
di fatto che su oltre 40 partiti comunisti e di sinistra alternativa attivi nei
paesi dell'Ue, che diventano una sessantina se si considera tutta l'Europa,
solo 15 vi hanno aderito a pieno titolo. Tutti gli altri ne hanno preso pi
o meno nettamente le distanze, o scegliendo di partecipare ai suoi lavori
con lo status di osservatori (9 partiti),
o restandone fuori.3
Dei 15 partiti che oggi sono membri
a pieno titolo della SE (di cui tre sono
articolazioni di Izquierda Unida spagnola), uno solo un nuovo ingresso
dopo la fondazione del maggio 2004,
e si tratta del Blocco di Sinistra portoghese : una formazione politica
che un mix di componenti trotzkiste, ex maoiste e di nuova sinistra e
che si caratterizza nel panorama politico portoghese per una forte contrapposizione politica e ideologica al
PCP (e che si opposta alla eventualit che al congresso di Atene
fosse presente, tra gli invitati extraeuropei, anche una delegazione del
PC cinese).
E poich, certamente, non solo il
numero dei partiti conta, ma anche
la loro influenza, consistenza e identit, ci permettiamo di rammentare
ai nostri critici che questi 15 partiti
organizzano oggi complessiva-

Luglio Agosto 2005

mente 300-350.000 iscritti, con un


bacino elettorale di circa 8 milioni
di voti (di cui la met dovuti al recente successo elettorale della Die
Linke-Pds tedesca, che Le Monde Diplomatique definisce come alleanza
socialdemocratica di sinistra). Gli
altri contano nella sola UE circa
400.000 iscritti e circa 6 milioni di
voti; e complessivamente, considerando l'insieme del continente,
circa 1 milione di iscritti e oltre 20
milioni di voti.
Sono ovviamente dati approssimativi, con una qualche mobilit elettorale, che servono solo per avere
unordine di grandezza, non gi per
fare i conti col bilancino del farmacista. Ma che consentono di affermare che gli "inclusi" a pieno titolo
nella SE contano oggi in voti e
iscritti circa il 25% dell'insieme
della sinistra comunista e alternativa del continente. E queste sono,
grosso modo, le proporzioni che esistevano allatto della fondazione
della SE, senza cio che nel corso
degli sviluppi dellultimo anno e
mezzo si siano determinate dinamiche ricompositive. Alcuni tentativi
fatti ad esempio dal KSCM (PC ceko, osservatore nella SE) per avviare
processi inclusivi, sono stati stroncati sul nascere dai rappresentanti
dei partiti leader della SE, nonostante essi fossero visti con favore
anche da altri osservatori e membri
effettivi.4 Il che segnala un malessere diffuso per una gestione poco
collegiale della vita interna della SE.
5. E sconcertante che, mentre i partiti europei socialdemocratici e conservatori lavorano sull'insieme del
continente, Russia compresa, e cos
le borghesie e le lites pi lungimiranti (si pensi all'asse franco-tedescorusso), siano proprio i gruppi dirigenti dei maggiori partiti della SE (la
pi parte di essi) ad operare come se
vi fosse ancora il Muro di Berlino e a
ignorare l'altra parte dell' Europa.
Dove si trovano alcuni dei maggiori
partiti comunisti e di sinistra anticapitalistica del continente, che vengono sistematicamente esclusi dai
processi di aggregazione della sini-

Luglio Agosto 2005

stra europea, sulla base di veti e preclusioni di natura ideologica.


Nel Consiglio d'Europa (organismo
dove sono presenti delegazioni dei
Parlamenti nazionali di tutti i paesi
europei, non solo Ue) esiste un
gruppo parlamentare che si chiama
anch'esso Gue, presieduto da uno
svedese, che comprende non solo
esponenti di partiti che fanno parte
del Gue del Parlamento europeo,
ma anche rappresentanti comunisti
e di sinistra di paesi esterni allUE,
come Norvegia, Russia, Ucraina,
MoldaviaUna sorta di GUE paneuropeo, di cui non si parla mai5.
Basterebbe far funzionare questo
Gue-bis congiuntamente al GUE
del Parlamento europeo (entrambi
hanno sede a Strasburgo) ed ecco
che gi esisterebbe una sede politica
e istituzionale in cui operare su un
piano pan-europeo, senza preclusioni nei confronti di alcuno. Solo
che manca la volont politica, da
parte di alcune forze della sinistra
dell'Europa occidentale, di operare
in questo senso, superando preclusioni che non sono geografiche, ma
di natura politico-ideologica.
6. E difficile negare che, al di l
delle migliori intenzioni, lattivit
della SE nellultimo anno e mezzo
abbia avuto scarsa visibilit ed incidenza sugli eventi politici, su scala
europea e anche nella vita politica
nazionale dei singoli Paesi, a partire
da quelli dei maggiori partiti promotori (praticamente non se ne
quasi mai sentito parlare, neanche
in Italia, che pure il paese dove se
ne parlato di pi). Pi che di una
critica si tratta di una constatazione,
che non registriamo certamente
con soddisfazione.
La SE non ha trovato alcuno spazio
neppure nel congresso di Izquierda
Unida dellanno scorso, anzi recentemente una nota del PCE in relazione al congresso di Atene rileva
proprio la visibilit assai modesta
di questo nuovo soggetto politico. E
non privo di significato che il congresso del PCE del giugno 2005 abbia approvato, col 76% di voti a favore, un emendamento che re-

Internazionale

spinge lidea di associare il logo con


la scritta Sinistra europea al simbolo del PCE.
Si voluto da parte di alcuni attribuire alla SE un ruolo trainante
nella campagna per il NO alla Costituzione europea nei referendum di
Francia e Olanda (una scelta di per
s assolutamente positiva), le cui dinamiche interne sono state determinate essenzialmente dalle forze
politiche nazionali, indipendentemente dalla loro appartenenza alla
SE. Il Partito Socialista olandese
(che membro del GUE ed stato
lanima del NO di sinistra nel suo
paese) non fa parte neppure come
osservatore della SE. E persino in
Francia non privo di significato
che nel Comitato nazionale del PCF
che ha discusso della vittoria del
NO, n la relazione, n gli interventi, n la risoluzione conclusiva
(tutti riportati dalla stampa di partito) abbiano fatto un solo cenno al
ruolo della SE.
Anche in Italia, che pure il Paese
dove pi si parlato della SE anche se essenzialmente su Liberazione
bisogna riconoscere che la questione sostanzialmente assente dal
dibattito politico a sinistra degli
stessi addetti ai lavori, dalla campagna delle primarie e persino dalliniziativa sul territorio dei quadri dirigenti del PRC : cosa di cui il
gruppo dirigente nazionale vicino a
Bertinotti (che anche Presidente
della SE) ha avuto motivo pi volte
di lagnarsi coi suoi stessi quadri.
Tanto pi che lattuale maggioranza del PRC ritiene che sul fronte italiano, la SE riveste un ruolo
centrale nel nostro partito in vista
della costruzione della Sinistra Alternativa, per non essere schiacciati da una parte dalla proposta
Asor Rosa-Diliberto, dallaltra per
non essere inglobati come la parte
pi radicale e di sinistra allinterno
dellUnione.
Pi complesso il caso tedesco, ma
pressoch tutti gli osservatori tendono a presentare il successo importante delle liste della Die LinkePds - cui hanno concorso forze diverse, non tutte appartenenti alla

SE (a partire dal capolista Lafontaine e dal suo raggruppamento) come determinato essenzialmente
da dinamiche interne alla sinistra
tedesca.
7. Per quanto riguarda le Tesi politiche e programmatiche del Congresso di Atene, proprio mentre siamo in chiusura di giornale, ci viene
fatto conoscere un testo non ancora
ufficiale . Vi ritorneremo, in modo
pi puntuale, nel dibattito che presumibilmente si aprir sulle pagine
di Liberazione. Allo stato attuale ci limitiamo ad evidenziare alcune questioni generali di impianto.

Il profilo politico-programmatico
e identitario complessivo
richiama quello
di una socialdemocrazia
di sinistra

- Il documento esprime posizioni su


molte delle quali possibile e auspicabile una convergenza di tutte
le forze comuniste e progressiste interne ed esterne alla SE. Positivo
certamente il sostegno alla battaglia
dei NO nei referendum sulla Costituzione europea, anche se il progetto di unaltra Europa resta confinato nei limiti dellUnione europea, come se essa fosse tutta lEuropa. Scompare ogni riferimento paneuropeo, allEuropa dallAtlantico
agli Urali, che pure era presente
nei documenti varati lanno scorso
a Roma, dove si affermava, diversamente da oggi, di respingere una
UE intesa come alleanza militare.
Si contesta giustamente un ipotesi
di esercito europeo sotto il controllo della Nato che significa sotto il controllo USA come minaccia allindipendenza e allautonomia dellUE e si contrastano ipotesi di riarmo europeo; ma non si indica su quali basi (non velleitarie)

75

Internazionale

dovrebbe fondarsi una politica


estera e di sicurezza comune a tutta
lUE che ha implicazioni anche militari (quali?) e che, per essere tale
ed escludere ipotesi di riarmo, non
pu riguardare solo lUE, ma deve
fondarsi su accordi interstatuali che
coinvolgono tutta lEuropa, Russia
compresa.
Viceversa, si ignora la Russia, ma si
sostiene lingresso della Turchia
nella UE, ovvero lingresso di uno
dei principali bastioni dellimperialismo USA e della NATO nella regione, destinato a far pendere lequilibrio nellUE sempre pi a favore dellinfluenza USA sul continente. Si chiede il ritiro dallIraq
delle truppe occupanti, ma non
dallAfghanistan, dove truppe di
Paesi UE operano sotto comando
NATO. E manca ogni riferimento al
grave coinvolgimento di tanti paesi
UE nella guerra della NATO contro
la ex Jugoslavia, dove permangono
truppe di occupazione.
- Positiva la proposta di taglio delle
spese militari, la chiusura delle basi
USA e la dissoluzione della NATO.
E cos pure la scelta di opporsi ad
ogni genere di cooperazione militare con la NATO e prevenire il dispiegamento di forze armate come
quelle che supportano gli USA dove
essi intervengono; e, su scala globale, la distruzione di tutte le armi
di di massa : su questi punti decisivi che sono forse i passaggi migliori
del documento - il problema che
ben poco si fatto da parte della SE
(non basta proporre) e nulla si prospetta nelle Tesi in termini di mobilitazione organizzata su base continentale (mentre in Italia anche PRC
e PdCI sottoscrivono con Prodi un
documento di intenti per un eventuale governo dellUnione in cui si
conferma il rispetto degli impegni
derivanti dai Trattati e dalle
Convenzioni internazionali liberamente sottoscritti dallItalia, tra cui
appunto la NATO!).
-Il profilo politico-programmatico e
identitario complessivo richiama
(nei contenuti, nel linguaggio,

76

nella cultura politica) quello di una


socialdemocrazia di sinistra, che si
distingue sia dalle prevalenti impostazioni social-liberali e atlantiste
della maggioranza della socialdemocrazia europea, sia da posizioni
comuniste o di sinistra dichiaratamente anti-capitalistica e antimperialista. Esso richiama, attualizzandoli, approcci che furono presenti
nella sinistra laburista (prima della
svolta di Blair) o nella socialdemocrazia tedesca alla Willy Brandt (comunque interni alla svolta di Bad
Godesberg).
Nel linguaggio spicca un certo genericismo di sinistra (che sovente
copre ambiguit e nodi irrisolti). Si
prospettano alternative e proposte
per la necessaria trasformazione delle
societ capitalistiche contemporanee (che cosa assai diversa da una
prospettiva di superamento); con l
obbiettivo di una societ pi egualitariache contribuisca alla promozione di solidariet e di alternative democratiche, sociali ed ecologiche.

ORIZZONTE

R I F O R M I S TA

Si prospetta un nuovo contratto sociale del XXI secolo che faccia gli
interessi di tutti i popoli della terra,
delle questioni ambientali, dei valori democratici, della pace, della
giustizia sociale, della coesistenza
tra i popoli. E assente ogni orizzonte strategico anti-capitalista, antimperialista, che prospetti lobiettivo storico del socialismo e della costruzione di una societ alternativa
al capitalismo. Scompare anche
ogni nozione anti-imperiale, che
pure qualche fortuna aveva avuto
nel lessico del movimento altermondialista. Scompare il termine
comunista, comunque lo si voglia
declinare, e non poco per un forza
europea che sorta ponendosi
come punto di riferimento per linsieme della sinistra alternativa europea, di cui i comunisti e i partiti
comunisti sono parte rilevante. E
non si dice una parola sul sostegno
alla lotta del popolo irakeno contro

Luglio Agosto 2005

loccupazione militare.
- Il progetto strategico che si profila
(sarebbe diverso se esso fosse indicato come obbiettivo tattico di fase)
appare quello di un capitalismo regolato, riformato e temperato nelle sue
pulsioni liberiste e militariste, con il
recupero di uno Stato sociale e di
uno spazio pubblico nelleconomia e nei servizi, che consenta appunto di contenere e bilanciare,
nellottica tradizionale della socialdemocrazia, le spinte pi pericolose
del capitalismo. Si dir : non poco,
coi tempi che corrono. E vero. Ma
pu essere questo il profilo strategico e politico-identitario di una
forza che voglia tenere aperto, in
Europa e nel mondo, lobiettivo storico del socialismo come nuovo
mondo possibile?
8.Che fare, dunque? Per non cristallizzare divisioni irrimediabili tra
le forze comuniste e di sinistra alternativa europee e tenere aperto un
processo unitario e ricompositivo,
necessario riprendere l'iter della
discussione per la costruzione di un
soggetto europeo su basi unitarie e
paritarie, bandendo veti, pregiudiziali, esclusioni di ogni tipo: aprendo a tutte le forze comuniste e di sinistra alternativa del continente,
per pervenire insieme a soluzioni
unitarie. Proprio la consapevolezza
dellimportanza del terreno europeo e la necessit di coinvolgere
tutte le forze che si collocano a sinistra della socialdemocrazia, ci inducono a ribadire la necessit di costruire un Forum o un Coordinamento permanente e strutturato
(sul tipo di quello realizzato a San
Paolo del Brasile), in grado di comprendere lintera sinistra comunista, anticapitalista e antimperialista
dellEuropa, dallAtlantico agli
Urali. E evidente che, se la SE europea dovesse prendere iniziative in
questa direzione (come auspicano
anche importanti partiti membri e
osservatori di essa) tutta la discussione potrebbe essere suscettibile di
evoluzioni positive.
(20 settembre 2005)

Luglio Agosto 2005

NOTE

1 In una intervista rilasciata il 19 agosto 2005

ad Hal noviny, quotidiano del Partito comunista di Boemia e Moravia (KSCM), il responsabile esteri del partito ha dichiarato in proposito : Nel preambolo dello statuto della SE
l'utilizzo della nozione di "stalinismo" d origine a una quantit di diverse possibili interpretazioni e reminiscenze riguardanti il passato.
La nozione di stalinismo non affatto comunemente e univocamente accettata. Si tratta
di una nozione di cui tra laltro si abusato per
a t t a c c a re tutta la storia del socialismo in
Europa. Peraltro la nozione di stalinismo non
neppure comprensiva di tutte le pratiche non
democratiche e di tutti i delitti, che lo stesso movimento comunista ha gi per parte sua condannato, distanziandosene, e che considera anche per il futuro inaccettabili.
Oggi sono soprattutto gli avversari politici che
definiscono alcuni partiti come stalinisti.
Abbiamo proposto di sostituire l'espressione :
pratiche e crimini stalinisti, con termini pi
estensivi, come ad esempio "tutte le pratiche e i
crimini antidemocratici". Nell'incontro del luglio scorso con i rappresentanti della Pds tedesca abbiamo proposto, come possibile compromesso, un eventuale aggiunta: "compresi quelli
cui prese parte Stalin", oppure la cancellazione
del testo oggetto della controversia.
Tutte le proposte del KSCM sono state finora respinte.
2 Sui 41 euro-parlamentari del GUE-NGL, sono

solo 17 quelli che fanno parte di partiti membri


a pieno titolo del Partito della Sinistra EuropeaSE [ i MEP di PCF (2), PRC (5), Izquierda
Unida (1, membro del PCE), Synaspismos (1),
PDS tedesca (7), Blocco di Sinistra portoghese
(BE) (1) ].
Dieci sono quelli di partiti osservatori della
SE (i 6 MEP del KSCM (PC di Boemia e
Moravia), i 2 di AKEL, i 2 del PdCI).
Quattordici sono i MEP di partiti che non partecipano in alcun modo alla SE [ (KKE (3),
PCP (2), Socialisti olandesi (2), Sinn Fein (1),
Socialisti scozzesi (1), Sinistra Verde Nordica (4
= 1 danese, 2 svedesi, 1 finlandese), il PC di
Reunion territori francesi dOltremare (1) ].
3 Ecco lelenco dei partiti membri della SE e de-

gli osservatori (tra parentesi, la prima percentuale si riferisce al risultato delle ultime elezioni
politiche, la seconda alle europee del 2004).

Internazionale

Membri effettivi:
-PC austriaco (0,6% - 0,8%);
-Partito del socialismo democratico ceko (0,1%
- 0,1%);
-Sinistra di Estonia (= - 0,5%);
-PC francese (4,8% - 5,3%);
-PDS tedesca (4,0 % nelle politiche del 2002,
8,7% nelle recenti politiche, dopo si presentava
insieme al raggruppamento di Lafontaine 6,1% alle europee);
-Synaspismos greco (3,3% - 4,2%);
-Partito operaio ungherese-Munkaspart (2,2%
- 1,6%);
-PRC (5,0% - 6,1%);
-Rifondazione comunista di San Marino
(3,4% - = );
-Alleanza socialista di Romania (0,3% - =);
-Partito svizzero del lavoro (0,7% - =);
-Blocco di Sinistra portoghese (5,1% - 6,5%);
-Izquierda Unida spagnola , PC di Spagna, EUiA
di Catalogna : iscritte alla Sinistra Europea come
tre formazioni distinte, ma che alle elezioni nazionali ed europee fanno parte di un'unica entit politico-elettorale (5,0% - 4,2%).
Osservatori:
-PC ceko KSCM (18,5% - 20,3%);
-PC slovacco (6,3% - 4,6%);
-AKEL di Cipro (34,8% - 27,4%);
-Alleanza rosso-verde danese (3,4% - =);
-PdCI (1,7% - 2,4%);
-PC tedesco-DKP (= - 0,1%);
-Sinistra lussemburghese (1,7% - 1,7%);
-PC finlandese (0,9% - 0,6%);
-Partito della Libert e Solidariet (ODP) di
Turchia (0,3% - =).
DKP e PC finlandese sono entrati da poco come
osservatori, con una scelta che obbiettivamente - non nasce da affinit politico-ideologiche con la SE (cui rivolgono le nostre stesse critiche), ma per tentare in qualche modo di uscire
da un isolamento pesante in cui si trovavano
nel circuito della sinistra europea, dovuto ai veti
subiti da parte dei fratelli maggiori dei rispettivi Paesi (il DKP da parte della PDS tedesca, il PC finlandese da parte della Sinistra
Ve rde nordica). Discorso analogo vale per il
Munkaspart ungherese, membro effettivo della
SE, che in pi subisce nel suo paese vere e proprie persecuzioni sulla base della vigente legislazione anticomunista (per cui ad es. reato esibire simboli con la falce e il martello) e cerca
quindi anche una sorta di protezione nelladesione a un partito europeo legittimato dalla
UE. Nel suo recente congresso (cfr. intervista del
suo Presidente, in questo stesso numero de lernesto) il Munkaspart ha deciso di assumere il
nome di comunista, chiede alla Presidenza

della SE con una risoluzione - di rafforzare


i contenuti comunisti nellelaborazione della linea politica di questo nuovo soggetto e dichiara
di voler favorire lo sviluppo di relazioni con gli
altri partiti comunisti, inclusi quelli degli attuali paesi socialisti.
4In un articolo pubblicato su Hal noviny

l11.02.2005, e ripreso dal n.3 de lernesto, il


responsabile esteri del KSCM dichiara : Il profilo della SE deve essere pan-europeo. Il Partito
della sinistra europea deve pro f o n d e re ogni
sforzo per il raggiungimento di questo obbiettivo.
Abbiamo chiesto che fossero invitati almeno 27
partiti comunisti e di sinistra di tutta lEuropa
(tra questi i Partiti comunisti di Russia,
Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Paesi baltici,
Scandinavia, ex Jugoslavia, Tu rchia, Gran
Bretagna, Portogallo, Grecia, ecc.) per un incontro finalizzato a dibattere con loro le questioni riguardanti lunit della sinistra europea. Ci avrebbe consentito a tutti di prendere
conoscenza delle loro opinioni e condizioni ed
anche di ci che impedisce loro di collaborare con
il Partito della sinistra europeaNiente di
quanto contenuto nelle nostre proposte stato
accoltosi evidenziata larroganza dei partiti
leader della SE Ci siamo convinti che non vi
alcuna volont politica di cambiare il profilo
della SE in senso pan-europeo e che il principio
delle decisioni prese col consenso in pratica esiste. E aggiunge, nella citata intervista del 19
agosto 2005 (cfr. nota 1) : Delle proposte presentate dal KSCM non ne stata accolta nemmeno unaLa presidenza della SE, ci ha negato al congresso fondativo ogni possibilit di
modifica dello statuto; ha sostenuto che lo spazio principale di azione politica della SE
nell'Unione europea e non nell Europa nel suo
insieme. Alla richiesta di trasformare la SE in
partito di carattere pan-europeo, ha risposto in
modo arrogante: la SE esiste, chi vuole entrarci,
entri; chi vuole uscirne, esca; chi vuole restare
come osservatore, resti come osservatorePer
quanto riguarda il principio della ricerca del
consenso, la prassi ci ha dimostrato che esso
nei fatti assolutamente ignorato.
5 Il GUE del Consiglio dEuropa si compone di

34 membri, appartenenti a forze comuniste o di


sinistra alternativa europee, provenienti dai seguenti Paesi : uno svedese (che presiede il
gruppo), un cipriota (vice-presidente), un norvegese, 2 danesi, 2 olandesi, 2 francesi, un portoghese, 2 greci, 1 spagnolo, 2 ceki, 8 ucraini
(tra cui il segretario generale del PC ucraino,
Simonenko), 6 moldavi, 5 russi (tra cui il segretario generale del PCFR, Ziuganov).

77

Internazionale

PIENO

RESISTENZA
ARTICOLAZIONI;

SOSTEGNO ALLA

IN TUTTE LE SUE

IRACHENA

CHIARA CONDANNA DEL TERRORISMO


PRODOTTO DALLA GUERRA AMERICANA;
FERMO E COSTANTE IMPEGNO
PER IL RITIRO IMMEDIATO DALLIRAQ

Luglio Agosto 2005

Iraq:
una Costituzione
americana

DI TUTTE LE FORZE DI OCCUPAZIONE

di Giancarlo Lannutti

NELLA NUOVA CARTA IRACHENA IL PROGETTO DI LIBANIZZARE UN


PAESE, L IRAQ , GI FORTE ED UNITARIO E PUNTO DI RIFERIMENTO PER
IL MOVIMENTO NAZIONALE E PROGRESSISTA ARABO. CONTRO
LINVASIONE PROSEGUE LA LOTTA DELLA RESISTENZA IRACHENA, CHE
RICHIEDE IL SOSTEGNO DEI COMUNISTI E DI TUTTI I PACIFISTI

Il 15 ottobre gli iracheni dovrebbero votare sul progetto di Costituzione, tre giorni dopo a sentire il
presidente provvisorio, il curdo
Talabani dovrebbe cominciare il
processo a Saddam Hussein, per il
quale lo stesso Talabani ha di fatto
gi anticipato un verdetto di morte.
Sono due esempi macroscopici di
quale specie di democrazia lamministrazione Bush voglia costruire
in Iraq: un testo Costituzionale fatto
su misura per gli amici dellAmerica e inteso concretamente a libanizzare il Paese nel senso peggiore
del termine e una giustizia pilotata
con verdetti scontati e predeterminati. Lasciando per ora da parte la
questione di Saddam Hussein al
cui processo non detto che gli americani vogliano davvero arrivare,
perch risulterebbe alquanto imbarazzante per personaggi come Bush
padre e Donald Rumsfel, che negli
anni 80 di Saddam Hussein si sono
serviti senza scrupoli contro lIran soffermiamoci sul processo istituzionale, del quale il referendum di
ottobre dovrebbe costituire una
delle tappe essenziali e che Bush Jr.
sta cercando di vendere alla opinione pubblica americana e occidentale come un successo, per cercare di tamponare il malcontento
crescente in casa sua contro la

78

continuazione della guerra, accresciuto enormemente dalla catastrofe di New Orleans, dove lesercito e la guardia nazionale non sono
potuti intervenire da subito in forze
appunto perch impegnati in modo
massiccio in Iraq.
Il difetto ovviamente sta nel manico,
cio nelle elezioni del 30 gennaio
scorso, svoltesi secondo le regole
dettate in precedenza dal proconsole americano Paul Bremer e che
hanno dato vita ad una assemblea
nazionale provvisoria la cui rappresentativit a dir poco dubbia e che
nonostante le pressioni di Bush non
stata nemmeno in grado (non ha
osato) di votare sul progetto di
Costituzione.
Le elezioni sono state a suo tempo
decantate da tutti mass-media occidentali come una svolta storica
con lavvio dellIraq sulla strada
della democrazia. In realt ad otto
mesi di distanza nessuno ancora
in grado di dire quanti iracheni abbiano davvero partecipato al voto ne
di garantire la regolarit del voto
stesso e del successivo scrutinio.
Sono state comunque elezioni di
minoranza: stando ai dati ufficiali,
che ci sono tutte le ragioni per ritenere gonfiati, andato alle urne un
terzo degli iracheni e sono rimaste
comunque fuori dal processo elet-

torale la comunit sunnita nel suo


insieme e tutte le forze politiche e
sociali che partecipano alla resistenza contro loccupazione o che
ad essa comunque si richiamano.
LAssemblea provvisoria e il progetto di Costituzione sono il prodotto diretto di questa stortura.
LAssemblea e il governo da essa
scaturito sono inoltre fatti su misura
per consegnare il potere ai curdi e
agli sciiti: i primi per compensarli
della fedelt verso lalleato-protettore americano, i secondi perch
disponibili a collaborare,sia pure in
modo relativamente autonomo,
con la forza occupante, nellintento
di arrivare ad assumere quanto
meno in termini numerici il controllo del governo (il che crea fra
laltro per Bush una palese contraddizione, vale a dire la prospettiva di favorire la nascita di un potere islamico potenzialmente legato allIran post-khomeinista).
Il progetto di Costituzione codifica
questa spartizione dei poteri su base
confessionale e comunitaria (in
contrasto con la tradizione politica
del Paese) e getta le basi per una disintegrazione dellIraq quale Stato
unitario, entro confini certamente
inventati quasi un secolo fa dalle
potenze coloniali ma allinterno dei
quali si era andata comunque con-

Luglio Agosto 2005

solidando una identit nazionale


irachena caratterizzata, ben prima
dei tempi di Saddam, da una tradizione di laicismo politico.
QuellIraq unitario, forte sia dal
punto di vista demografico che per
le sue risorse naturali e il suo sviluppo economico, era comunque,
dalla rivoluzione repubblicana del
1958 in poi, un punto di riferimento
importante per il movimento nazionale e progressista arabo (al di l
degli errori di questo o quel governo), un elemento di forza di uno
schieramento che coinvolgesse i regimi antimperialistici della regione
e dunque una bestia nera per chi
puntava e punta a disegni di parcellizzazione e di egemonia a livello
regionale. Tanto per non far nomi,
Usa e Israele in primo luogo. Per
lamministrazione Bush, come per i
dirigenti israeliani, quellIraq deve
essere cancellato dalla carta geo-politica del Medio Oriente; e questo
aiuta a capire le vere ragioni della
guerra in entrambe le sue versioni,
o le sue fasi: quella del 1991 e quella
tuttora in corso. Anche quindici
anni fa colpiva infatti la durezza con
cui si imposto allIraq il rispetto
delle risoluzioni dellOnu sul Kuwait, mentre in mezzo secolo non si
mai mosso nemmeno un dito per
esigere da Israele il rispetto di decine e decine di risoluzioni sulla
questione palestinese, e non solo:
quella politica dei due pesi e due
misurecostantemente denunciata
dagli arabi e che costituisce lessenza della politica americana nella
regione.
Per la cancellazione dellIraq come
Stato unitario la Costituzione su cui
si voter (se si voter) il 15 ottobre
fatta su misura ed di qui che nasce la recisa opposizione della dirigenza sunnita e delle forze della resistenza. Vi si prospetta infatti un
Iraq federale senza indicare minimamente perch su questo non
c stato accordo i contenuti e i
contorni di questo federalismo, ancora una volta con un meccanico
trapianto di istituti e concetti giuridico-politico eurocentrici. Si tratta
dunque in sostanza di un paravento

Internazionale

Respingiamo le ingerenze USA nella vita del


nostro Paese, difendiamo i diritti democratici sanciti dalla Costituzione repubblicana
Di fronte alla pesante e gravissima ingerenza di 44 esponenti del
Congresso degli Stati Uniti, che hanno inviato una richiesta formale al
governo italiano per impedire che si svolga in Italia una iniziativa di
sostegno alla legittima Resistenza del popolo iracheno contro loccupazione militare, diritto sancito dalla stessa Carta dellONU;
di fronte alla scelta subalterna e servile del Ministero degli Esteri, che
ha subito tale ingerenza e ha negato i visti per lingresso in Italia ad
alcuni esponenti della societ civile irachena, espressione di quella
Resistenza popolare;
sosteniamo lappello di diverse personalit italiane e straniere e le opportune iniziative parlamentari che respingono tali ingerenze, chiedono
il regolare rilascio dei visti e pretendono che siano rispettati i diritti democratici di agibilit del dibattito politico sanciti dalla nostra
Costituzione.
Fosco Giannini direttore de lErnesto
Fausto Sorini direzione nazionale PRC
Bruno Steri comitato politico nazionale e dipartimento esteri PRC
per le velleit separatiste dei curdi
(o piuttosto della dirigenza curda,
quella del Pdk e dellUpk, che tra il
1991 e il 2003 si spartita il potere
di fatto nel nord e sopratutto i traffici illeciti e il mercato nero del petrolio con metodi mafiosi e scontri
anche sanguinosi), e si arriva a ipotizzare una istituzionalizzazione
delle milizie di parte, i peshmerga
curdi a nord e le Brigate Sadr sciite
al sud. E sintomatico che questo
progetto sia contestato anche da una parte degli sciiti, e in particolare
dal movimento di Moqtada al Sadr
(al cui padre, fatto uccidere da Saddam, sono intestate le suddette brigate della maggiore organizzazione sciita, il Consiglio supremo della
rivoluzione islamica-Sciri) che si
battuto apertamente contro le forze
occupanti, non ha partecipato ufficialmente alle elezioni del 30 gennaio e si di recente scontrato nel
sud con i gruppi collaborazionisti
sciiti. Ed anche indicativo della ap-

prosimazione e dellavventurismo
della politica di Bush il fatto che
non si tengano in conto i riflessi regionali del progetto di cui stiamo
parlando, sopratutto nei confronti
della Turchia, ostile a qualsiasi ipotesi di potere statale autonomo
curdo e non certo disposta a restare
con le mani in mano, e dellIran,
che potrebbe esercitare una concreta influenza su uno Stato federato sciita nel sud iracheno.
Da tutto questo emerge con chiarezza la funzione obiettivamente
nazionale svolta dalla Resistenza,
che ha certamente solide basi nella
comunit sunnita ma comprende
militanti di tutti i gruppi e di tutte
le confessioni e che non va assolutamente confusa o assimilata con il
terrorismo dei gruppi legati ad Al
Qaida e ad Al Zarqawi; terrorismo
che era assente dallIraq ai tempi di
Saddam (anzi in aperto conflitto
con quel regime dittatoriale ma
laico) e che ha potuto installarsi nel

79

Internazionale

Paese proprio grazie alla guerra


americana; senza escludere il sospetto che possano esserci state da
parte degli occupanti anche ipotesi
di incoraggiamento a quel terrorismo, magari per inerzia o per omissione se non proprio con interventi
attivi, al fine di screditare e mettere
in difficolt la resistenza. La quale
non punta certo a restaurare il regime di Saddam come scrivono
servilmente i media occidentali per
avallare la crociata democratica di
Bush ed ha comunque dato scacco
alla strategia americana mettendo
le forze di occupazione in un vicolo
cieco. Se lo zelante governo italiano
arriva a negare il visto a personalit
come lo sceicco Al Kubaisi adducendo inesistenti motivi di sicurezza, ci dimostra da un lato il peso
reale della Resistenza e dallaltro la
cattiva coscienza di chi ha coinvolto
il nostro Paese in una guerra infame

80

ed ingiusta, nuovamente censurata


proprio di recente dallo stesso segretario dellOnu Kofi Annan, con
buona pace di chi, come i ministri
Fini e Martino, sostiene che le
truppe italiane, sotto comando Usa
e Gb, non sono forze di occupazione ma si trovano in Iraq su mandato Onu. Da quando il presidente
Bush, ventisette mesi fa, si vant
tanto grottescamente quanto avventatamente di avere compiuto la
missione, i caduti americani in Iraq
sono arrivati a duemila e le continue operazioni contro il terrorismo, pagate in primo luogo dalla
popolazione civile, si risolvono in
una catena di continui insuccessi,
tanto che governo e comando Usa
a Baghdad continuano a vivere asserragliati, anzi assediati, allinterno della cosiddetta zona verde. In
questo quadro tre sono le direttrici
che hanno concretamente di fron-

Luglio Agosto 2005

te i comunisti e tutte le forze autenticamente di progresso e di pace:


pieno sostegno alla Resistenza irachena in tutte le sue articolazioni;
chiara condanna del terrorismo
prodotto dalla guerra americana;
fermo e costante impegno per il ritiro immediato dallIraq di tutte le
forze di occupazione, a cominciare
per quel che ci riguarda dal contingente italiano.
Un Iraq unito e davvero libero (cio
libero dalla dominazione straniera
e dalle ingerenze dellimperialismo) essenziale per il futuro del
Medio Oriente, e in particolare per
la sicurezza e lindipendenza di
Paesi come la Siria e il Libano e anche per il raggiungimento di una
pace giusta e duratura in Palestina,
sulla base della legalit internazionale. Se cade lIraq, si aprir una
breccia che potrebbe rivelarsi incolmabile.

Luglio Agosto 2005

Internazionale

IL NUCLEARE IRANIANO UNA MINACCIA


O UN FATTORE DI RIEQUILIBRIO?

Iran:
la questione
atomica

di Sergio Cararo

UN GRUPPO DI SCIENZIATI DEMOLISCE LA CAMPAGNA USA CONTRO


LIRAN SULLA QUESTIONE NUCLEARE. MA LIRAN RESTA NEL MIRINO
DELLA STRATEGIA DELLAMMINISTRAZIONE AMERICANA

l rapporto indipendente di un gruppo plurinazionale di scienziati rivelato dal Washington Post1 ha ulteriormente demolito la campagna
mediatica, politica e diplomatica
contro lIran sulla vicenda del nucleare. Questo gruppo di scienziati
ha scoperto che i residui di uranio
per la bomba iraniana appartengono in realt ad un vecchio silos
pakistano portato pubblicamente(per lAgenzia Atomica Internazionale) in Iran per essere bonificato. Il Washington Post ha affermato
perentoriamente che questo rapporto priva la campagna anti-iraniana dellamministrazione Bush
del suo argomento principale.
noto a tutti che gli artefici di questa campagna siano i cosiddetti lik u d z i k, cio i progetti e i soggetti
convergenti della fazione filo-israeliana nellamministrazione Bush
con le autorit israeliane vere e proprie. Per i primi la liquidazione
anche manu militari dellIran significa il completamento del progetto Grande Medio Oriente; per
i secondi rappresenta leliminazione di una potenza regionale rivale che sostiene apertamente organizzazioni come gli Hezbollah libanesi e che rimane lunico fattore
di equilibrio nei confronti della
strapotenza militare e nucleare

israeliana.
Diversamente dallIraq, questa volta importanti paesi europei come
Francia e Germania sembrano essersi fatti influenzare pesantemente
dalla Gran Bretagna. La trojka europea a cui gli USA hanno lasciato
parziali spazi di manovra nei negoziati con lIran, in questa occasione
pare ripetere a pappagallo i luoghi
comuni e le menzogne diffuse a
piene mani dai giornali reazionari
statunitensi ed israeliani. La posizione degli europei talmente subalterna agli USA da aver provocato
la sospensione dei colloqui con le
autorit iraniane e il riavvio del piano nucleare di Teheran. Al momento, solo uno Schroeder azzoppato
dalla crisi e dalle elezioni alle porte
si limitato a dire no allopzione militare contro lIran visti i guasti prodotti da questa opzione in Iraq, ma
il cancelliere tedesco questa volta
unanatra zoppa e il suo partner
francese Chirac lo altrettanto
a causa delle ripetute batoste accumulate sul piano interno ed internazionale.
Una cosa certa: se la resistenza irachena non avesse inchiodato le forze armate americane, lescalation
aggressiva statunitense ed israeliana
contro lIran oggi non sarebbe ancora limitata alle sole minacce.

A LT I

E B A S S I N E I R A P P O RT I

TRA

I R A N , S TAT I U N I T I
E ISRAELE

Che i rapporti tra Iran, Stati Uniti


ed Israele oggi non siano buoni
evidente a molti. Meno noti sono i
ripetuti tentativi delle varie amministrazioni repubblicane (e degli
israeliani) di utilizzazione dellIran
per i loro giochi di destabilizzazione
in Medio Oriente.
Nonostante la crisi degli ostaggi che
cost la rielezione a Carter nel 1980
e nonostante lIran degli ayatollah
definisse gli USA Il Grande Satana, sono note sia operazioni triangolari come lIran-Contras sia il
doppio gioco degli USA per scatenare lIran contro lIraq e viceversa.
Lo stesso Rafsanjani, fortunatamente e clamorosamente uscito
sconfitto dalle recenti elezioni in
Iran, rappresentava la corrente dellestablishment iraniano che intendeva riaprire a tutto campo le relazioni con gli Stati Uniti.
Abboccamenti cerano stati durante linvasione dellAfganistan
nel 2001 (i taleban non erano affatto amici degli iraniani; anzi, contro la minoranza sciita in Afganistan
erano stati assai pesanti). E abboccamenti ci sono stati anche per cooptare e dare potere nellIraq oc-

81

Luglio Agosto 2005

Internazionale

cupato dagli USA alle milizie filoiraniane dello Sciri che si vanno
configurando (insieme a quelle
curde) come il vero braccio armato
del governo fantoccio scaturito
dalle elezioni farsa.
Non solo. Nel 1998, Paul Wolfowitz
(oggi collocato alla Banca
Mondiale, ma uomo chiave nel
team della prima amministrazione
Bush) pubblicava un rapporto sul
Medio Oriente in cui diceva quattro
cose esplicite: gli USA devono attaccare lIraq, non si pu permettere che il prezzo del petrolio sia
troppo bassi, occorre impedire la
destabilizzazione dellArabia
Saudita, occorre riaprire il dialogo
con lIran. Se un falco come
Wolfowitz auspicava il dialogo con
Teheran, vuol dire che in quellambito esistevano canali aperti, probabilmente con lo stesso Rafsanjani e
settori dei cosiddetti riformisti.2
Diverso invece il rapporto tra
Israele e Iran. In questo caso possiamo parlare pi di interessi oggettivi che di dialogo. La destra
israeliana infatti dagli anni
Ottanta che ha in mente la riscrittura della mappa geopolitica del
Medio Oriente funzionale ai propri
progetti.3 In tal senso ha sempre
cercato di dare vita ad una diplomazia di interessi verso i paesi non
arabi dellarea in funzione destabilizzante nei confronti dei paesi
arabi. il caso della Turchia prima
e dellIran poi.
Gli effetti di questa politica si sono
visti nel prolungamento/dissanguamento dellassurda guerra tra
Iran e Iraq, nelle ingerenze della
Turchia contro Siria e Iraq, nel sostegno ai curdi iracheni o ai gruppi
secessionisti in Sudan ed infine nel
pervicace tentativo di balcanizzazione dellIraq in tre cantoni (curdo
a nord, sciita a sud e sannita al centro). Lapprovazione della Costituzione federale in Iraq segnerebbe
un indubbio successo israeliano,
che non a caso ha inviato numerosi
consiglieri nella regione curdairachena e parecchi specialisti di
controguerriglia al fianco delle
truppe statunitensi.

82

SIGNORI E I PLEBEI
DEL NUCLEARE

Alcuni dei commentatori che si prestano alla campagna contro lIran


giocano su un argomento semplice
ma di una certa efficacia. LIran infatti uno dei principali produttori
di petrolio e dunque non ha problemi di approvvigionamento energetico. Che bisogno ha del nucleare
se non per fare le bombe atomiche?
un ragionamento che su menti
semplici pu fare effetto. Si potrebbe rispondere che anche paesi
petroliferi come Russia o Stati Uniti
hanno le centrali nucleari, ma potrebbe non bastare, in fondo il senso
comune guarda sempre con rispetto e timore alle grandi potenze.
Altri sostengono che solo le democrazie possono detenere le armi atomiche. Ragione per cui va bene se
gli USA, Francia, Gran Bretagna e
Israele hanno centinaia di testate
nucleari. I meccanismi di controllo
interno dei sistemi democratici impediscono che vengano usate impropriamente. Qualcuno potrebbe
contestare il fatto che storicamente
le uniche bombe atomiche sulle
citt le hanno sganciate i democratici Stati Uniti. Ma anche su questo vale il ragionamento fatto prima.
Inoltre gli USA hanno la vinto la
guerra, la storia la scrivono come gli
pare e piace e buona parte del
mondo civilizzato disposto a credergli. Qualcun altro per potrebbe
contestare questa tesi accomodante
e rammentare che le armi atomiche
le hanno anche la Russia, la Cina,
lIndia e perfino il Pakistan. Questi
ultimi due paesi furono sottoposti
sette anni fa a sanzioni per gli esperimenti nucleari che sorpresero il
mondo, incluso il vertice del G 8.
Cina e Russia sono troppo grossi e
potenti per veder rimesso in discussione il loro potere di deterrenza
nucleare, e poi sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza
dellONU. Ma lIndia ha assai migliorato le sue relazioni con gli USA,
mentre il Pakistan, collaborando alloccupazione dellAfganistan, si
magicamente trasformato da una

dittatura militare in una democrazia alleata della coalizione antiterrorismo.


LIran dunque non avrebbe alcuna
legittimit per dotarsi di impianti
nucleari. Non ne ha bisogno, non
una democrazia, gli ayatollah sono
matti, non neanche una potenza
del Consiglio di Sicurezza
dellONU, non neanche parte
della coalizione dei volenterosi contro il terrorismo quindi via il nucleare dallIran.
Stando cos le cose, un p di verit
non guasta, soprattutto alla luce dellesperienza di questi ultimi dieci
anni e dello scatenamento della
guerra preventiva. Che la verit costringa talvolta al cinismo una
causa ed un effetto della storia.

IL
UNA

NUCLEARE IRANIANO.
M I N A C C I A O U N FAT T O R E
DI RIEQUILIBRIO?

I programmi nucleari sono stati sviluppati in moltissimi paesi nel corso


degli anni Novanta. Se vogliamo
parlare di paradossi, il paese che negli anni Novanta ha fatto incetta di
plutonio e uranio stato il Giappone. Pochi ricordano quante navi
hanno preso la strada del Sol Levante provenienti dalla Francia o dagli
Stati Uniti con carichi nucleari.
Diversamente che in Europa o nei
paesi capitalisti, il ricorso al nucleare in molti paesi emergenti corrisponde pi a standard di sviluppo
tecnologico (anche militare) che ad
esigenze energetiche. Va ricordato
in tal senso il tentativo iracheno di
costruire un impianto nucleare a
Osirak, che fu stroncato unilateralmente dagli israeliani con un bombardamento.
La bomba islamica lha costruita
il Pakistan, con i finanziamenti ricevuti da tutti i paesi arabi ed islamici. Il Pakistan non lo ha fatto per
assicurarsi una fonte di approvvigionamento energetico alternativo
al petrolio, ma per acquisire uno status di potenza regionale nei confronti di India e Cina e per dare un
punto di forza alla nazione islamica

Luglio Agosto 2005

nei confronti dellarsenale nucleare israeliano.


La stessa Israele ha creato limpianto nucleare di Dimona non per
produrre lenergia di cui non dispone e aggirare cos lembargo petrolifero arabo, ma per produrre decine di testate nucleari operative. Il
povero Vanunu sta ancora passando
i suoi guai per averlo rivelato al
Sunday Times.
Cosa hanno in comune la bomba islamica pakistana, quella indiana e
quelle israeliana? Che tutte e tre
sono nate di nascosto e in paesi che
hanno rifiutato di firmare il Trattato
di Non Proliferazione Nucleare per
evitare le ispezioni dellAIEA nei
loro impianti.
Al contrario, la Repubblica Islamica
Iraniana ha firmato il Trattato, ha
ospitato sistematicamente le ispezioni dellAIEA ed ha dato vita pubblicamente e legalmente al suo programma nucleare. Ma perch un
importante paese produttore di petrolio ha dato vita ad un programma
nucleare? Le ragioni dellaccelerazione del piano nucleare iraniano
vanno viste nel contesto del
Grande Gioco apertosi pesantemente in Asia Centrale a met degli
anni Novanta. Tra gli obiettivi dichiarati del Silk Road Strategy Act
statunitense vi era quello di tagliare
fuori dai corridoi energetici la
Russia e lIran.4
La guerra degli oledotti che si
aperta e combattuta nel Caucaso e
nelle repubbliche asiatiche ex sovietiche non ancora terminata, ed
stata di una durezza che pochi
hanno saputo cogliere (se non in
occasione della guerra NATO nei
Balcani).
Gli Stati Uniti puntavano a isolare
ed estromettere lIran dalle dinamiche della geografia mondiale del
petrolio. Di questo erano consape-

Internazionale

voli il ricco Rafsanjani e i cosiddetti


riformisti iraniani, che hanno
quindi cercato di riallacciare i contatti con gli USA.
A complicare e al tempo stesso a
chiarire le cose ci si messo per il
Progetto per il Nuovo Secolo Americano, il rafforzamento dei likudzik a Washington e a Tel Aviv e lo scatenamento della guerra preventiva
da parte degli Stati Uniti. La realt
infatti ha dimostrato che fino ad
oggi le bombe atomiche meglio
averle che non averle, e che se un
paese dispone di bombe atomiche
pu decidere da solo se farsi esportare o meno la democrazia in casa.
Lo scenario visto prima in
Afganistan e poi in Iraq stato un
serio deterrente per lIran. Questo
paese infatti si trova preso in mezzo
ai due paesi occupati militarmente
dagli USA e lamministrazione statunitense non nasconde affatto
lambizione di chiudere anche territorialmente questa parte
dellArco di Crisi indicato da tempo
da Brzezinski e Kissinger.
Oggi lamministrazione Bush seriamente impantanata in Iraq ed
ancora lontana dal raggiungimento
degli obiettivi strategici prefissati
dal progetto di Grande Medio
Oriente. La tabella di marcia del
Nuovo Secolo Americano deve
fare i conti con la realt e con la resistenza di popoli e di stati allegemonia globale USA. Gli USA sono
sottoposti a fortissime pressioni
israeliane per mettere in moto le
operazioni contro lIran. Bush non
ha affatto escluso lopzione militare, ma deve per prendere tempo
e incentivare la campagna perch
lIraq non solo una rogna dal
punto di vista militare ma lo ancora di pi dal punto di vista politico e della credibilit. Inoltre due
potenze come Russia e Cina hanno

emesso un serio monito contro


uneventuale aggressione contro
lIran.
Gli scienziati che hanno rivelato al
Washington Post lulteriore menzogna di guerra dellamministrazione
Bush e Sharon sul nucleare iraniano potrebbero essere pi ascoltati e fortunati di quanto lo furono
quegli onesti ispettori dellONU
che persero la voce a forza di denunciare il fatto che armi di distruzioni di massa in Iraq non ce nerano.
possibile, anzi probabile, che
nella prossima fase assisteremo ad
una escalation sempre pi pericolosa contro lIran, ma sar una escalation la cui variabile indipendente
non sar rappresentata dagli ayatollah ma da chi guider i governi
israeliani. Per dirla con Prodi: le
chiavi della pace in Medio Oriente
restano a Gerusalemme, non a
Bagdad n a Teheran.
Una conferenza o un piano che
punti ad un processo di disarmo nucleare del Medio Oriente riguarda
certo lIran, ma non pu che includere anche Israele.

NOTE
1 Washington Post del 23 agosto, riportato sulla stampa italiana il 24 agosto.
2 Il rapporto di Wolfowitz stato resto noto
dal Corriere Economia del 14 dicembre
1998.
3 Vedi Israele senza confini, a cura di
Antonio Moscato e Sergio Giulianati,
Edizioni Sapere 2000, 1984.
4 Vedi Sergio Cararo Il Grande Gioco in
Asia Centrale, Proteo n. 4 del 2001.

83

Internazionale

Luglio Agosto 2005

IL PIANO DI SHARON DI DISIMPEGNARSI


DALLA STRISCIA DI GAZA SIGNIFICA CHE QUESTA
STRISCIA, IN TUTTE LE SUE DIMENSIONI, DA NORD
A SUD, DA EST A OVEST, RIMANE PRATICAMENTE
SOTTO LOCCUPAZIONE DELLE TRUPPE ISRAELIANE
PERCH IL CONTROLLO VIA ARIA, VIA MARE,
VIA TERRA, PERMANE LO STESSO

Il ritiro da Gaza:
la natura della
decisione di Sharon

a cura di Mila Pernice

INTERVISTA A SAMIR AL QARIOUTI, GIORNALISTA PALESTINESE,


CORRISPONDENTE DELLA RADIO- TELEVISIONE PALESTINESE
E OPINIONISTA DI AL-JAZEERA

arliamo del ritiro delle colonie da


Gaza. Lo sgombero degli insediamenti ha visto unampia copertura
mediatica; tanti sono stati i commenti, alcuni a nostro parere criticabili, come quelli di chi ha paragonato il ritiro delle colonie alla fine
del razzismo in Sudafrica, o di chi
ha addirittura proposto il pre m i o
Nobel per la pace a Sharo n .
Vorremmo capire col tuo aiuto la natura di questa decisione di Sharon
che, se da una parte restituisce ai palestinesi la Striscia di Gaza, dallaltra suscita preoccupazione in molti
sostenitori della causa palestinese.
Perch?
Si tratta di un piano di disimpegno
militare israeliano dalla Striscia,
non di un vero e proprio ritiro.
Quando vogliamo parlare in termini di legalit internazionale, il ritiro da un territorio occupato richiede il ritiro completo delle forze
occupanti di tutto ci che ha a che
fare con loccupazione di un territorio straniero che appartiene ad un
altro popolo. Il piano di Sharon di
disimpegnarsi dalla Striscia di Gaza
significa che questa Striscia, in tutte
le sue dimensioni, da Nord a Sud,
da Est a Ovest, rimane praticamente
sotto loccupazione delle truppe
israeliane perch il controllo via
aria, via mare, via terra, permane lo
stesso. Lo stesso Sharon ha dichia-

84

rato pi di una volta che nel giro di


pochissimi minuti, in una caso qualsiasi, lui rientrerebbe con le sue
truppe nella Striscia di Gaza. Allora
meglio parlare di un disimpegno
con significati politici, e anche questi non hanno obbiettivi di pace:
questo disimpegno ha lo scopo di
aggirare, o raggirare, lopinione
pubblica mondiale, e raggirare anche lapplicazione della Road Map;
il tentativo di rimandare a lungo
la possibilit di discutere del piano
della Road Map, che implica anche
lapplicazione degli accordi di Oslo.
Tra laltro ci sono questioni ancora
da definire, come i varchi, i collegamenti con la Cisgiordania, le infrastru t t u re e, non ultima, la questione dellacqua. In che condizioni
si trover chi andr ad abitare quelle
terre appena sgomberate?
Ci sono tantissimi problemi che rimangono dopo questo disimpegno:
hanno evacuato gli insediamenti,
ma ancora le truppe non si sono ritirate, le infrastrutture militari non
sono state smantellate, hanno soltanto distrutto le case per non darle
ai palestinesi, quando gli stessi palestinesi avevano detto di non voler
vedere nemmeno un mattone di
quegli edifici. Queste colonie erano
praticamente delle caserme sottoforma di costruzioni civili. Molti me-

dia del mondo hanno parlato di


gente che ha abbandonato le sue
terre, le sue case, ma queste non
erano n le loro terre, n le loro
case, costruite dai partiti israeliani
della destra e della sinistra ugualmente per scopi religiosi e per motivi ideologici; basti pensare che alcuni di questi insediamenti erano
appartenenti alla milizia militare,
ad un reparto dellesercito dei ris e rvisti. Erano tutte colonie per
loro, in cui 8.000 persone condizionavano la vita quotidiana di un milione e 300.000 palestinesi, per pi
di 38 anni. I problemi sono tantissimi: innanzitutto, il problema del
passaggio tra Gaza e la Cisgiordania
e tra la Striscia di Gaza e la parte di
Rafah, in Egitto; il problema di chi
presidier questi passaggi, o posti di
blocco; e poi laeroporto, il diritto
dei palestinesi di costruire il porto
di Gaza, il problema dellacqua, il
problema delle licenze di costruzione, il problema della restituzione
di queste terre, e tantissimi altri problemi. La Striscia di Gaza stata per
tutto questo periodo, soprattutto
prima della prima Intifada e dopo
la seconda Intifada, un grande lager. Vogliono trasformarla da un
grande carcere, da una grande Abu
Ghraib, a un grande pollaio; vogliono cio che i palestinesi si scannino tra loro allinterno della
Striscia. Oggi lAnp, insieme a tutte

Luglio Agosto 2005

le forze politiche palestinesi, e insieme alla societ civile palestinese,


stanno provvedendo a costruire dei
comitati, delle commissioni (finora
ne hanno fatte 8), per riprendere
queste zone e trasformarle in progetti economici (si pensa ad esempio ad infrastrutture turistiche), e
per restituire le piantagioni e i
campi ai contadini che pur stando
a pochi metri in questi anni non potevano nemmeno metter vi i
piedi.Ma torniamo a questo disimpegno..si tratta dellapplicazione
degli accordi di Oslo, o dellapplicazione dei piani di Sharon? E lapplicazione dei piani di Sharon per
rafforzare la colonizzazione in
Cisgiordania. Il disimpegno di
Sharon avvenuto unilateralmente,
senza alcun accordo con la parte palestinese.
Tornando, come facevi tu, alla natura di questa decisione di
Sharonin unintervista di qualche
giorno fa il demografo italo-israeliano Sergio Della Pergola metteva
in luce il fatto che il tasso di natalit
tra la popolazione araba di molto
s u p e r i o re a quello della popolazione israeliana e quello che ha voluto evitare Sharon il pericolo
di uno stato dIsraele a maggioranza
araba. Per questo il ritiro delle colonie. Ti senti di condividere questa
analisi?
Questo lideale di Sharon: quello
di fare uno stato etnicamente puro.
Ecco perch stato costruito il
muro, ecco perch il disimpegno da
Gaza: per ritirare le colonie e metterle insieme dentro la Cisgiordania, ma non nelle parti della Cisgiordania dove ci sono le colonie piccole o medio-piccole, ma intorno a
Gerusalemme. Sharon vuole rafforzare le colonie allinterno della
Cisgiordania per impedire per sempre, oggi e nel futuro, la restituzione della citt araba di Gerusalemme al popolo palestinese per
farne una capitale. Sharon il padre delle colonie, ha iniziato col trasformare la zona di Gerusalemme
oggigiorno in 130 km quadrati per

Internazionale

farne la Grande Gerusalemme.


Questo il suo piano, che va verso
il fiume Giordano, verso Ramallah,
verso la Linea Verde, e verso
Betlemme. La Cisgiordania sar
tutta spezzettata in modo che nessun villaggio palestinese abbia contatti con gli altri. Un contadino che
voglia arrivare al suo campo, a causa
del muro, a causa dei nuovi insediamenti in Cisgiordania, deve fare
un giro di 60/70 km, non pu cio
arrivare entro la giornata. Ma il popolo palestinese fiducioso: oggi
levacuazione delle colonie dalla
Striscia di Gaza linizio del crollo
del progetto di Sharon e del progetto sionista di creare la Grande
Israele. Usciranno anche dalla
Cisgiordania, le cui colonie saranno
prima o poi evacuate e smantellate.
Gli accordi di Oslo ci sono. Tutti gli
accordi dopo Oslo ci sono. La legalit internazionale c, se qualcuno
ancora ci crede e non fa due pesi e
due misure, lavorando in Iraq e non
in Palestina. LOnu dice da pi di
57 anni che loccupazione illegale
.
Sharon ha chiesto ad Abu Mazen di
impegnarsi, per garantire la buona
riuscita di quello che continua a
chiamare il processo di pace, per lo
smantellamento delle org a n i z z azioni della resistenza, in primis di
Hamas e Jihad. Daltra parte sono
proprio queste organizzazioni a salutare il ritiro delle colonie come un
successo della resistenza palestinese. E prevedibile un nuovo intensificarsi della resistenza, soprattutto nel momento in cui Sharo n
scoprir le sue carte, continuando a
costruire in Cisgiordania?
Questo disimpegno la vittoria di
tutto il popolo palestinese, delle migliaia di madri che hanno 3 o 4 figli
nelle carceri israeliane, la vittoria
di 8.000 giovani, se non 11.000
(compresi anche i minorenni), di
tante donne, tante ragazze che sono
nelle carceri israeliane. Levacuazione la vittoria di tantissimi feriti,
di pi di 26.000 feriti permanentemente con handicap sul proprio
corpo; la vittoria della pazienza e

della sofferenza, ineguagliabile


nella storia umana, di milioni di palestinesi sia nella diaspora sia nei
campi-profughi, che hanno vissuto
tutti questi anni senza poter dire: io
posso tornare nella mia terra.
Questa non la terra della gente
evacuata, non la terra di tutti questi coloni che venivano da tutte le
parti del mondo, e in 24 ore diventavano cittadini israeliani.
Il popolo palestinese deve considerare questo un passo importante
verso quello pi fondamentale di
stipulare un accordo vero e proprio
di pace. Ma come si pu vivere in
pace quando qualcuno costruisce
un muro e quando interpreta la
pace per s, e non la pace con il nemico, che non sta nei paesi del
Golfo, n in Marocco, n in Tunisia,
n in Algeria. Il nemico con cui bisogna fare la pace sta a tre metri da
tutte quelle colonie. Il ministro degli esteri israeliano dice: tra poco
firmeremo gli accordi di pace con
gli altri paesi arabi quando prima
sono necessari accordi di pace reali
senza il muro, senza i coloni, accordi di pace con il popolo che si
trova l, a pochi metri, e che per andare a Ramallah da Gaza deve passare per Il Cairo. Questa sarebbe la
vera pace. I palestinesi sono fiduciosi, se ci sono delle coscienze libere, degli uomini liberi, e delle
schiene dritte e non inchinate che
guardano alla realt com. Il popolo palestinese ha ragione, il popolo palestinese vuole la sua terra,
vuole la sua identit, vuole costruire
il suo Stato; un popolo che in
grado di costruire il proprio Paese
e conosce la maniera migliore, e
questo il mondo lo vedr se ci sar
la possibilit.
Una tua battuta sul ruolo degli Stati
Uniti e della comunit intern a z i onale.
Il ruolo degli Stati Uniti stato
nullo; questa stata la decisione di
Sharon per andare poi a mettere
questa carta sul tavolo di Bush e
dire: mi sono disimpegnato da
Gaza, adesso dammi la ricom-

85

Internazionale

pensa. E la ricompensa qual ?


Rinviare la Road Map. C lOnu,
c un paese che la pi grande potenza al mondo, gli Usa, che attualmente sta occupando lIraq e minacciando lIran e la Siria sotto la
bandiera della legalit internazionale; c lUnione Europea e c la
Russia. Queste quattro parti sono i
garanti della Road Map. Sharon ha
presentato 18 modifiche alla Road
Map e ne ha respinto pi di 10
punti, vuole rinviarla per rafforzare
la sua posizione nelle prossime elezioni. Se il disimpegno avviene in
funzione elettorale interna, allora
non interessa al popolo palestinese.
Ma se il disimpegno si avvia sulla
strada della Road Map, per iniziare
un negoziato serio, allora ben
venga.
Ma non ci hanno regalato nulla,
non hanno fatto nessun favore ai palestinesi, non hanno fatto nessun
atto di bont. Dovevano ritirarsi gi
da tantissimi anni. Meglio tardi che
mai.
In un articolo di qualche giorno fa

86

sul Manifesto, Ali Rashid, della


Delegazione Palestinese in Italia,
scriveva: Non ho provato passione
n commozione di fronte alle lacrime versate e alle reazioni isteriche dei coloni, ma stupore, angoscia
e paura per ci che diventato
Israele e per ci che potr ancora
avvenire. Una domanda che faccio
alluomo palestinese Samir Al
Qariouti, pi che al giornalista: cosa
hai provato davanti alle reazioni di
questi coloni ultranazionalisti?
Nessun sentimento. So bene cosa
hanno combinato contro i bambini
palestinesi, contro le famiglie. La
mistificazione della verit opera da
tantissimi anni. Sulle strade speciali
potevano circolare solo le automobili dei coloni, solo loro; queste
strade attraversavano e spezzavano
tutti i villaggi....400 coloni erano
protetti da 6.000 soldati. Questa
una vita normale o una vita sotto occupazione? Il popolo palestinese
forse si commuover soltanto per
una cosa: quando potr mettere

Luglio Agosto 2005

piede su quel pezzo di terra che


hanno evacuato dopo tantissimi
anni di ingiustizia. Lingiustizia
una bestia che bisogna combattere.
Lingiustizia e loppressione sono
cose bruttissime, e chi non le subisce forse non pu capire.
Vuoi aggiungere ancora qualcosa?
Un messaggio semplicissimo: bisogna guardare a tutto ci che avviene
nel Medio Oriente con la massima
intelligenza e la massima attenzione. Il Medio Oriente importante per la pace mondiale.
Qualcuno vuole privatizzare il
Medio Oriente in funzione di certi
interessi quando ci sono milioni di
uomini, donne e bambini che
hanno diritto a un futuro migliore
malgrado tutte le mistificazioni e le
falsificazioni della verit.

* intervista rilasciata a
Radio Citt Aperta e a lernesto

Luglio Agosto 2005

Internazionale

LE MANOVRE MILITARI RUSSO-CINESI


E IL DECLINO DELLIMPERO AMERICANO.
VERSO UN SECOLO ASIATICO?

Un nuovo asse
nella politica
mondiale

di Giulietto Chiesa
Giornalista, deputato europeo

ALLINIZIO DELLESTATE, IL GRUPPO DI SHANGAI (CUI PARTECIPANO CINA,


RUSSIA, QUASI TUTTE LE REPUBBLICHE EX SOVIETICHE DELLASIA CENTRALE
E COME OSSERVATORI ANCHE INDIA E IRAN) AVEVA CHIESTO
AGLI USA DI SLOGGIARE LE PROPRIE BASI MILITARI DALLA REGIONE

ltro che secolo americano! Questo, di cui abbiamo assaggiato il 5%


circa, si avvia ad essere - se corto o
breve altra questione un secolo
asiatico. Con parecchi corollari,
non certo gradevoli per noi occidentali, che siamo nati e vissuti nell'idea, singolarmente stupida, di vivere nel centro del mondo, di essere
il luogo della civilt, distinti dai barbari di vario colore.
Piccoli e grandi segnali ci annunciano che grandi spicchi del pianeta
sono decollati per conto proprio e
cominciano a palesare le loro esigenze senza chiederci il permesso.
E' chiaro che stiamo parlando della
Cina. E perfino della Russia, che
frettolosamente avevamo dato per
defunta, assorbita, omogeneizzata,
colonizzata e ridotta a appendice di
second'ordine del mondo occidentale (per la stessa logica di cui sopra,
cio perch appartenente al mondo
non civilizzato).
Come svegliandosi da un lungo
sonno, i giornali di tutto il mondo
civile hanno annunciato che Cina
e Russia hanno cominciato in agosto le prime, grandi manovre militari congiunte della loro storia. Nemmeno ai tempi di Stalin e di Mao,
di Chu Enlai e di Molotov, Russia (allora Unione Sovietica) e Cina si
erano spinte a tanto. Certo erano
come si diceva allora due paesi socialisti, avevano rapporti economici,

l'URSS forniva armi alla Cina, ecc.


Ma mai le loro truppe si erano messe
insieme. C'erano stati momenti, al
contrario, in cui le canne dei loro fucili si erano puntate reciprocamente
le une contro le altre. Ma acqua
passata da molto tempo.
Altri segnali sono giunti da quel
mondo che non conosciamo per
niente. Tutti accumulatisi in questo
scorcio di tempo, come se qualcosa
arrivasse a maturazione in gran
fretta, proprio adesso, dopo essere
stato a lungo in incubazione, invisibile. All'inizio dell'estate il gruppo
di Shanghai (cui partecipano, con
Cina e Russia, le repubbliche ex sovietiche dell'Asia centrale ex sovietica, meno il Turkmenistan) aveva
cortesemente pregato gli Stati Uniti
di togliersi dai piedi con le loro
truppe e basi militari, accortamente
piazzate nell'area (in Tagikistan,
Uzbekistan, Kirghizistan) sull'onda
dell'offensiva contro l'Afghanistan
seguita all'11 settembre 2001.
Evento singolare davvero, a ben
pensarci, perch quelle capitali, fino al giorno prima, si pu dire, pendevano dalle labbra di Washington
e sognavano soltanto di essere ammesse al banchetto americano. L a
Russia sembrava essere stata emarginata dall'area su cui esercitava la
propria influenza da quattro secoli.
La Cina stando agli imbambolati
mezzi di comunicazione di massa oc-

cidentali (con rare eccezioni) era


ormai diventata capitalista e, quindi,
per antonomasia, poteva essere considerata omologata al resto del
mondo. Se non ancora colonizzata,
di certo colonizzabile. Se non proprio colonizzabile, comunque riconducibile a un immenso mercato
su cui far confluire le merci e le tecnologie dell'occidente civilizzato.
Con qualche dettaglio non trascurabile, tuttavia, di cui adesso occorre rendersi conto. E in fretta.
Non sfuggito ai variabili presidenti-despoti delle repubbliche
dell'Asia Centrale che la Cina trabocca di dollari, e di yuan. E che
Pechino ha nei suoi forzieri, circa
mille miliardi di dollari USA, oltre
ad avere comprato circa l'8% del debito americano, in buoni del tesoro
della Federal Reserve. Come si fa a
restare insensibili di fronte a questa
cornucopia? Intendo dire che la
forza di attrazione americana stata
bruscamente contrastata da nuovi
fattori molto potenti. Quali? Cina e
Russia hanno cominciato a fare i
loro calcoli, per meglio dire: a trarre
le somme da calcoli che stavano facendo, ciascuna per conto proprio,
da diversi anni.
Cominciamo dalla Russia. Putin
non un rivoluzionario bolscevico.
Per niente. Ma si accorto che non
bastava essere condiscendente verso Washington; che non era nem-

87

Internazionale

meno sufficiente farsi da parte, starsene buono fuori dal mirino americano. Dall'alto della collina del suo
potere quinquennale non poteva
non tirare le somme. In Asia centrale, appunto, basi americane una
dietro l'altra. In Georgia una presenza statunitense ormai decisiva
per orientare il governo locale. In
Ucraina una rivoluzione democratica alimentata dall'esterno.
Attorno alla Bielorussia segnali di
un'offensiva analoga a breve scadenza. La Nato ormai stabilmente
piazzata in tutto l'est Europa, e perfino in tre repubbliche che un
tempo erano state parte dell'URSS.
E, in Russia, il varo della corazzata
Jukos sulla scena politica, con l'obiettivo di sostituire lui stesso, a
tempo debito, con un nuovo leader
pilotato dalla Exxon.
Gli Imperi non si sono mai accontentati del tributo dei vassalli e non
hanno inclinazione alla gratitudine. Se i tempi diventano duri, allora le loro esigenze si moltiplicano.
E ai vassalli non resta che l'alternativa tra soddisfarle e ribellarsi.
I tempi duri per l'America sono ormai venuti e non pare se ne andranno presto. Il faro dell'occidente indebitato fino agli occhi, proiettato
lungo un asse di guerre che non sta
vincendo, incapace di dominare gli
effetti del vaso di Pandora delle globalizzazione, cavalcata per un ventennio con orgogliosa sicurezza e
sbalorditiva irresponsabilit.
La Cina non un vassallo e non intende diventarlo. Ma questo solo
l'antipasto. La Cina legge i giornali
come li leggiamo noi "civilizzati e,
quando legge Condoleeza Rice
dire, papale papale, che la Cina
piuttosto che un partner un avversario, perch udite, udite!
vuole cambiare i rapporti di forza
a suo vantaggio, conclude che il
momento di far sentire il suo peso,
in tutte le direzioni.
Le manovre congiunte con i russi,
del resto, sono solo la ciliegina sulla
torta, quello che serve per svegliare
i governi occidentali che dormono,

88

mettendo la questione sotto i riflettori delle televisioni. Una specie di


colpo di sirena, di quelli che le navi
lanciano per segnalare la propria
presenza o distogliere altri natanti
dalla rotta di collisione. Attenti,
siamo qui, proprio di fronte a voi,
levatevi di mezzo!
Il fatto che Condoleeza dice una
cosa vera: non c' posto per due Americhe su questo pianeta. Sempre
che entrambe non siano disposte a
rinunciare a niente. La Cina entrata sul mercato mondiale applicando le regole che l'Occidente ha
scritto per s, immaginando che sarebbero state eternamente a suo
vantaggio. Adesso sta accadendo il
contrario: quelle regole sembrano
fatte apposta per far diventare la
Cina il pi potente paese del mondo, quello in grado di dominare
tutti i mercati. E la Cina gi l'unico
paese al mondo che pu permettersi di prendere decisioni senza
chiedere il permesso di nessuno,
neanche quello degli Stati Uniti,
cio dell'Impero. Il che significa che
l'Impero gi in declino, e che se
non vuole che tutti se ne accorgano
deve dare una lezione sonora a chi
ne minaccia i disegni.

L A S I A

A G L I A S I AT I C I

Il fatto , come dicono gli eventi, che


parecchi cominciano ad accorgersene. La Russia, che da sola non pu
permettersi atti di insubordinazione,
ha colto la palla al balzo. Insieme si
pu dire all'imperatore che l'Asia
degli asiatici. Tanto per cominciare.
La seconda tappa sar quella di comprarsi l'Asia. La Cina gi in marcia.
E compra anche pezzi di Russia, a cominciare dall'energia russa.
La Russia, che fino all'altro ieri non
aveva sponde, oltre che idee, si trova
a poter cogliere adesso una insperata palla al balzo. E la sta cogliendo.
Con fatica, perch la diffidenza russa verso l'immenso vicino asiatico
non stata mai superata del tutto.
Ma il colosso vicino oggi assai me-

Luglio Agosto 2005

no temibile dell'Impero lontano.


Le riserve energetiche russe sono le
pi vicine e comode, relativamente
parlando. La Cina ha i capitali per
ogni tipo di investimento, e li mette
a disposizione. La Russia ha le tecnologie militari sufficienti per garantire a Pechino una progressione
di armamento strategico sufficiente
a fronteggiare il prossimo decennio.
Il Pentagono pubblica i dati dell'armamento cinese, e rivela un segreto
di Pulcinella: la Cina spende in armamenti dieci volte di pi di quello
che dichiara. Probabilmente le cifre
americane sono attendibili, ma che
cosa dicono? Dicono che i cinesi si
stanno preparando alla stessa, identica cosa cui si stanno preparando gli
americani: il momento in cui le risorse non basteranno per tutti e solo
la forza decider chi potr accedervi.
Sar un momento drammatico e
non molto lontano. Avverr nel
corso del prossimo decennio. Da
qui la corsa cinese a comprare tutto
il comprabile e anche il non comprabile. Perch quando la maggiore
impresa petrolifera cinese, statale, si
affaccia a Wall Street con la regolare
offerta di comprarsi la Unocal americana, offrendo un miliardo di dollari in pi della massima offerta di
una multinazionale a stelle e strisce,
ecco che scattano tutti gli allarmi.
E quando Hu Jintao decide di rivalutare lo yuan di un modestissimo
2%, facendosi beffe della richiesta
USA di rivalutare fino al 15%, l'occidente dovrebbe capire che Pechino non accetta ordini da nessuno.
E procedere come Hu Jintao ha ribadito, sorriso sulle labbra e denti
d'acciaio secondo i suoi tempi, le
sue esigenze, e non secondo le pressioni che vengono dall'esterno.
Le esercitazioni militari congiunte
Cina-Russia sono solo un segnale,
prima della tempesta perfetta che
si annuncia.
Tratto da Megachip, pubblichiamo
con lautorizzazione dellautore

Luglio Agosto 2005

Internazionale

SETTE ANNI DI CARCERE NEGLI USA,


E ANCORA NON BASTA,
PER I CINQUE CUBANI
CHE LOTTAVANO CONTRO IL TERRORISMO

di Alessandra Riccio

a sentenza che li condannava a


pene tombali stata annullata, il
9 agosto di questanno, da una sezione della Corte Penale di
Atlanta dopo quattordici mesi di
lavoro dei tre giudici chiamati a valutare una sentenza dei magistrati
di Miami, Florida, che aveva motivato, da parte di una commissione delle Nazioni Unite, un parere di condanna agli Stati Uniti
per violazione dei diritti civili nei
riguardi di cinque cubani condannati per cospirazione.
La sentenza di Miami, del resto,
aveva fatto inorridire giuristi di
mezzo mondo, almeno quelli che
avevano voluto prestare attenzione a un processo che i mass-media hanno in gran parte ignorato.
Eppure si trattava di un caso che
pur facendo parte del cinquantennale contenzioso Cuba-Usa
presentava motivi di grande attualit in tempi in cui la superpotenza nordamericana ha decretato la priorit assoluta della lotta
contro il terrorismo nel mondo intero, e che in nome di questa crociata ha dato inizio ad una scandalosa erosione delle garanzie e
dei diritti dei cittadini e dei popoli.
La storia, in breve, questa.
Nel 1997, Cuba soprattutto gra-

I cinque cubani
in carcere negli USA:
emerge la verit
UNA ISTRUTTIVA STORIA MADE IN USA: TERRORISTI ANTICASTRISTI
BUONI E CINQUE CUBANI DELLANTITERRORISMO CONDANNATI
A MIAMI. ORA LA SENTENZA STATA ANNULLATA

zie allimpresa turistica riemergeva faticosamente dal duro periodo speciale conseguente alla
caduta del muro di Berlino, alla
scomparsa del campo socialista e
dellUnione Sovietica con cui
Cuba, fra le altre cose, intratteneva pi dell80% dei propri rapporti commerciali.
I numerosi gruppi anticastristi
che operano in Florida alla luce
del sole e senza che il governo statunitense abbia mai fatto un tentativo serio per impedire che dalle
sue coste e dai suoi aeroporti partissero imprese destabilizzatrici,
carichi di armi, operazioni terroristiche e quantaltro, si aspettavano da un momento allaltro la
caduta del regime di Castro per
una legge che aveva affascinato
anche i giornalisti e gli osservatori
di mezzo mondo e che portava il
nome di effetto domino. Come
nel gioco con questo nome, per altro assai popolare fra i cubani dellisola e dellesilio, una volta caduto un pezzo, esso trascina con
s tutti gli altri. Ma Cuba rimase in
piedi, con il suo lider maximo
ben saldo in sella.
Bisognava dare un altro colpetto
per far crollare lostinata tessera
di quel gioco drammatico.
Lincarico fu dato a colui che, fin

dal lontano 1959, si era assunto la


responsabilit di partecipare a
tentativi di invasione, di ordire
piani per assassinare Castro, che
aveva messo una bomba su un aereo della Cubana de Aviacin poi
esploso in volo nei cieli delle
Bahamas, che era evaso grazie a
potenti complicit dal carcere di
Caracas, che aveva collaborato
con Oliver North nello scandaloso
affare Iran-Contras, che aveva
fatto dellaeroporto di Ilopango,
nel Salvador, il luogo dei traffici
clandestini pi abominevoli. Ex
poliziotto del dittatore Batista, era
luomo per tutte le stagioni, ben
addestrato a Fort Benning e ben
visto anzi, scandalosamente protetto dalle autorit nordamericane. Si incaric lui di prezzolare
alcuni disgraziati sicari salvadoregni per mettere una serie di
bombe di piccolo impatto in vari
alberghi dellAvana in piena stagione turistica. Ne rimase vittima
il nostro connazionale Fabio di
Celmo, il cui anziano padre
chiede ancora giustizia al nostro
Governo, che invece non sembra
far caso alla morte di quel giovane,
vittima di una strategia terrorista.
Forse pensano, come Posada Carriles ( questo il nome dellindividuo), che quel ragazzo si trovasse

89

Internazionale

nel posto sbagliato nel momento


sbagliato. Spavaldo per carattere e
per limpunit che gli ha dato e
gli d ancora il fatto di essere un
uomo della CIA al servizio di potenti organizzazioni, il 16 giugno
1998 raccontava al New York Times
il ruolo che aveva svolto nelloffensiva terrorista contro le istallazioni turistiche cubane, e nonostante ci, poteva continuare a
muoversi in assoluta libert, soprattutto in Centro America,
avendo fatto del Salvador la sua
base. Da l ha ordito la sua ultima
impresa il 17 novembre 2000: collocare un ordigno esplosivo piuttosto potente nellaula magna
dellUniversit del Panama, dove
Fidel Castro doveva riunirsi con
gli studenti.
Una leggenda vuole che i servizi
segreti cubani siano fra i migliori
del mondo, e forse proprio cos,
visto che il complotto venne scoperto, denunciato alle autorit del
Panama con abbondanza di
prove, e Posada Carriles fin in carcere dove rimase fino al 2004,
quando la signora Moscoso, una
indegna signora eppure presidente di quella Repubblica, a cinque giorni dalla fine del suo mandato concesse lindulto al cubano
e ai suoi complici per poi ritirarsi,
senza nessuna eleganza, in
Florida, dove qualche mese dopo
arriv, in maniera clandestina, il
nostro eroe.
Le denuncie partite dal Venezuela
e da Cuba, le richieste di estradizione, ma anche lindignazione di
intellettuali prestigiosi di mezzo
mondo, hanno messo lamministrazione statunitense in una situazione imbarazzante. Per il momento la primula rossa degli anticastristi in galera, a El Paso, con
la lieve accusa di ingresso clandestino al paese.
Tuttaltra storia quella dei cinque
cubani da sette anni reclusi in
sette carceri dellimmenso territorio degli Stati Uniti, che stanno

90

in questa storia proprio per aver


tentato di parare i colpi che
Posada Carriles ed altri come lui
cercano di infliggere allisoletta
nemica. Membri di una rete di appoggio dei servizi segreti cubani, i
cinque avevano il compito di infiltrarsi nellambiente controrivoluzionario di Miami per raccogliere informazioni e informare il
proprio governo. Per far questo
hanno usato documenti falsi e
hanno condotto la doppia vita degli informatori. Sono cinque uomini ancora giovani , con buon livello distruzione e un alto grado
di patriottismo. Non erano i soli,
ma sono quelli che non si sono
pentiti, che hanno sostenuto il
loro diritto di partecipare alla difesa del loro paese. Non si sono
piegati allautocritica e al pentimento, e questo negli Stati Uniti
si paga assai caro. Lo sa molto
bene la nostra Silvia Baraldini.
La rete di informatori cubani cade
nel 1998, ed davvero curioso il
fatto che almeno uno dei cinque,
che lavorava nella base aerea di
Boca Chica in Florida, era gi da
due anni conosciuto, sorvegliato e
tollerato dallFBI. Cosa mai accaduto, dunque, per scatenare gli
arresti in massa e per dar vita al
processo di Miami in cui Gerardo
Hernndez stato condannato a
due ergastoli?
Quel processo, iniziato nellautunno del 2000 e terminato nel
giugno del 2001, stato il pi
lungo processo di quel periodo,
con laudizione di 70 testimoni,
119 volumi di trascrizioni e casse
di documenti, concludendosi con
un ergastolo anche per Antonio
Guerrero e Ramn Labaino, 19
anni per Fernando Gonzlez e 15
anni per Ren Gonzlez. Le accuse pi gravi fra le 24 che sono
state loro mosse, sono state quelle
di spionaggio e di cospirazione,
che il dibattimento non riuscito
a dimostrare ma che la giuria, assai poco imparziale e sfacciata-

Luglio Agosto 2005

mente anticubana, ha accettato


senza tener conto della situazione
di difesa per necessit al fine di
prevenire atti terroristici e di proteggere vite umane.
successo che, oltre alle bombe,
contro il regime di Cuba si sono
alzati in volo, in 20 mesi, 25 voli
per penetrare in territorio cubano
per sganciare materiale sovversivo
ed irridere la sorveglianza della
Forza aerea cubana, a ranghi
molto ridotti dopo il tracollo
dellUnione Sovietica. Il Governo
cubano ha invitato lammiraglio
Carrol a una visita di cortesia e,
nelloccasione, lo ha informato
che non sarebbero pi stati tollerati i voli degli Hermanos al rescate.
Questi sono un gruppo di anticastristi, direttamente legato alla
Fundacin cubano-americana,
che, agli ordini di Basulto, sostengono di sorvegliare lo stretto della
Florida per aiutare i clandestini in
difficolt in quello stretto braccio
di mare. In realt la flottiglia aerea lavora solo con i balseros cubani, e il loro lavoro non affatto
umanitario. Quando nel 1995,
dopo la crisi dei balseros, gli uffici
di emigrazione dei due paesi trovarono un accordo per frenare
londata migratoria, favorita dalle
condizioni privilegiate offerte ai
cubani che arrivavano alle coste
statunitensi in cerca della libert, i piloti di Basulto si trovarono senza lavoro, gettarono la
maschera dellorganismo umanitario e decisero di collaborare per
dare la spallata definitiva a Castro.
Gli avvertimenti trasmessi dallammiraglio Carrol non ebbero
effetto. Il 24 febbraio 1996 tre
avionetas di Hermanos al rescate decisero di sfidare apertamente il governo cubano. LAgenzia federale
dellaviazione USA fece uno
sforzo di lealt e avvis il comando
cubano. Basulto fece marcia indietro, ma gli altri due piloti non
furono abbastanza rapidi e vennero colpiti dai Mig cubani a 16

Luglio Agosto 2005

miglia dalle coste dellisola. Per


quelle 4 miglia di errore probabile
ma non dimostrato (una manciata
di secondi, alla velocit dei reattori), Cuba venne accusata di aver
abbattuto gli aerei fuori dalle sue
acque territoriali, e Gerardo Hernndez si visto comminare il secondo ergastolo per cospirazione al fine di commettere assassinio per i quattro piloti morti, essendo stato, a torto, ritenuto responsabile di aver allertato le
forze aeree cubane.
Una vendetta nel puro stile sbrigativo della Fundacin cubanoamericana che a Miami e a
Washington ha coperture talmente potenti da poter esigere
soddisfazione, specie nellera dei
Bush e delle loro teorie sullesistenza di un terrorismo buono e di
uno cattivo. Infatti, per i cinque cubani non valsa la motivazione del
collegio di difesa che ha sostenuto
che essi cercavano di ridurre la

Internazionale

violenza e il danno fisico contro il


popolo cubano causato dalla rete
terrorista del Sud della Florida. E
che per questo avevano diritto a
non registrarsi come agenti stranieri.
Ora, dopo 17 mesi di istruttoria, il
Tribunale dAppello di Atlanta d
ragione su tutta la linea alla difesa,
annulla la sentenza e ordina un
nuovo processo. Eppure i cinque
sono ancora in galera. Nei sette
anni di carcere duro che hanno
scontato fino ad ora, sono stati separati, con le visite familiari centellinate, mentre due di loro, da
sette anni, non hanno ricevuto
nessuna visita coniugale, giacch
Olga Salasnueva e Adriana Prez,
mogli rispettivamente di Ren
Gonzlez e di Gerardo Hernndez, non hanno mai avuto il visto
di entrata in quanto sono considerate una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti. Per di pi
Ren Gonzlez non ha ancora po-

tuto conoscere la figlia Ivette, nata


quando era gi in galera e, per
colmo, cittadina statunitense. Amnesty International ha protestato.
Adesso si aspetta di vedere se il governo degli Stati Uniti ricorrer in
appello. Frattanto, per, Gerardo
Hernndez, Antonio Guerrero,
Ramn Labaino, Fernando Gonzlez e Ren Gonzlez sono sequestrati nelle carceri del paese
paladino della democrazia e dei
diritti umani.
Nel giugno del 2001, agli inizi del
processo farsa, Fidel Castro ha
promesso solennemente che sarebbero tornati in patria: Volvern
ha tuonato, e c da scommettere
che ce la far. Intanto possiamo
dar forza a questa promessa firmando un appello al Ministro
della Giustizia degli Stati Uniti,
quellAlberto Gonzlez che ha
avallato i metodi in uso nella Base
militare di Guantnamo, e inviandolo a info@perlumanita.it.

91

Internazionale

UNA SCELTA CORAGGIOSA,


UN SEGNALE CONTROCORRENTE

Intervista a Gyula Thurmer


Segretario generale del Munkaspart
a cura di Marcello Graziosi

l 4 giugno 2005 si sono tenuti a


Budapest i lavori del 21 Congresso
del Munkaspart (Partito Operaio
Ungherese), organizzati a porte
chiuse data la difficolt della situazione generale e la delicatezza della
discussione interna, che ha caratterizzato la vita del partito nellultimo
anno e mezzo. Il Munkaspart
erede diretto, pur se minoritario, di
quello che stato il Partito Socialista
Operaio Ungherese, al potere fino
al 1989 e successivamente trasformatosi in Partito Socialista Ungherese. Alle elezioni del maggio 1994,
vinte dai socialisti in alleanza coi liberali dopo la terapia durto liberista imposta dal governo Antall, il
Munkaspart ha ottenuto 110.000
voti, pari al 3,2% dei consensi, risultato non trascurabile se si considerano le enormi difficolt iniziali,
lisolamento politico e le continue
e violente campagne anticomuniste. E stato il governo socialista a
preparare lingresso dellUngheria
nella NATO, avvenuto nel marzo
1999, e la prosecuzione delle riforme verso il libero mercato e la
svendita del patrimonio pubblico.
Tanto che alle successive elezioni
del maggio 1998, segnate da una
bassa affluenza alle urne, si imposta di nuovo la destra liberista, mentre il Partito Operaio ha ottenuto
180.000 voti, sfiorando la soglia del
4% necessaria per lingresso in

92

Luglio Agosto 2005

Il Partito operaio
ungherese decide
di chiamarsi
comunista
LA DECISIONE, ASSUNTA DALLULTIMO CONGRESSO
DEL GIUGNO 2005, VERR SOTTOPOSTA IN SETTEMBRE
AD UN REFERENDUM TRA GLI ISCRITTI

Parlamento. Alle elezioni dellaprile 2002, invece, in un contesto di


forte bipolarizzazione del quadro
politico, ha vinto inaspettatamente,
pur se di stretta misura, lasse socialisti liberali, mentre il Munkaspart,
che al secondo turno nei collegi uninominali ha sostenuto i candidati
socialisti, ha ottenuto un risultato
deludente rispetto alle aspettative:
2,2% e 120.000 voti. Il governo social-liberale, dopo aver sostenuto
Bush nellavventura irachena, ha
condotto il paese allintegrazione
nellUnione Europea a partite dal 1
maggio 2004. Alle elezioni europee
del 13 giugno 2004 il Munkaspart,
nel pieno di una difficile discussione, ha ottenuto 56.221 voti, pari
all1,83%.
Abbiamo intervistato, in esclusiva
per LErnesto, il compagno Gyula
Thurmer, confermato Segretario
generale del partito al termine dei
lavori del 21 Congresso.
Con la fine dellUngheria socialista
nel 1990-1991 abbiamo assistito non
solamente ad una sorta di transizione verso il capitalismo, ma alla
graduale integrazione del paese allinterno delle strutture economiche e militari di quello che era il
blocco occidentale (NATO ed
Unione Europea).
Nonostante un numero sempre

maggiore di persone si senta insoddisfatto


delle
condizioni
dellUngheria, la classe capitalistica
al governo si dimostrata in grado
di dirigere il paese. Nessun dubbio,
di conseguenza, sul fatto che lUngheria rimarr in un contesto capitalistico almeno nellimmediato futuro. Negli anni recenti, per, un
numero sempre maggiore di cittadini ha provato direttamente le contraddizioni proprie del sistema capitalistico, trovandosi di fronte alle
conseguenze dello sfruttamento capitalistico, a partire dalla disoccupazione, soprattutto giovanile, e
dalla povert di massa, e rendendosi
cos conto di essere stato ingannato
dai partiti rappresentati nel
Parlamento nazionale. Per questo
sono in molti a non voler votare n
il Partito Socialista (MSZP) n il partito di destra Lega dei Giovani Democratici Partito Civico Ungherese (FIDESZ). In Ungheria vi sono
pi scioperi, dimostrazioni ed altre
forme di protesta rispetto a qualche
anno fa. LUngheria non pi un
paese bonificato dalla lotta di classe.
Andiamo con ordine. Dopo tre anni
di governo socialista ed a poco pi
di un anno dallingresso nellUE,
quale bilancio possiamo trarre?
Alle elezioni politiche del 2002 il
Partito Socialista ha vinto, pur se

Luglio Agosto 2005

con una maggioranza risicata, promettendo una vita migliore per gli
strati poveri della societ ungherese. I socialisti non sono stati, per,
in grado di realizzare pienamente la
loro politica. La situazione economica in Europa, inclusa la
Germania (aspetto questo importante per lUngheria), volge al peggio. Come conseguenza, le entrate
del governo ungherese si sono drasticamente ridotte ed il programma
di giustizia sociale fallito.
Lingresso
dellUngheria
nellUnione Europea, poi, non ha
portato ad alcun miglioramento
nella vita della gente comune, mentre stanno crescendo lincertezza e
linsoddisfazione. Nel 2004 la coalizione di governo formata da socialisti e Lega dei Liberi Democratici
(SZDSZ) ha tentato di modificare la
situazione a proprio favore cambiando il primo ministro.
Medgyssey stato sostituito con
G y u r c s a n y, gi attivista del
Movimento dei Giovani Comunisti
ed oggi uno degli uomini pi ricchi
del paese. Alla luce degli avvenimenti recenti, per, possiamo tranquillamente affermare che la crisi
del governo social-liberale continua.
E giusto definire il quadro politico
ungherese una sorta di alternanza
senza alternativa?
Sostanzialmente s. La classe capitalistica al governo detiene il potere
con laiuto sostanziale della grande
parte del quadro politico ungherese: da una parte, il blocco socialliberale guidato dal Partito
Socialista e, dallaltra, il blocco cons e rvatore guidato dalla FIDESZ.
Entrambi i blocchi perseguono il
medesimo obiettivo, vale a dire il
rafforzamento del sistema capitalistico in Ungheria, senza consentire
il dispiegamento della lotta di
classe, in modo tale da realizzare gli
interessi del capitale multinazionale e del grande capitale ungherese. Sulla questione di fondo del
capitalismo e della contraddizione
tra capitale e lavoro non vi sono dif-

Internazionale

ferenze tra i due blocchi. Detto questo, non possibile affermare che
entrambi sono sullo stesso piano,
anche se entrambi sono utili al capitale. Possiamo, dunque, limitarci
ad affermare che i socialisti sono
meno peggio degli altri.
In questo contesto difficile non temete una ripresa prepotente delle
forze dellestrema destra come avvenuto in diversi paesi europei anche di recente?
La povert, lingiustizia sociale, lo
sfruttamento, lirresponsabile condotta dei governi capitalisti hanno
rafforzato cos come avviene negli
altri paesi dEuropa lestremismo
di destra, con relativi sentimenti antisemiti e anti-rom. Il Partito
Operaio Ungherese continuer anche in futuro la propria lotta contro
questo estremismo, ma ritiene altrettanto necessario che i partiti rappresentati in parlamento tentino di
eliminare le ragioni di fondo che finiscono per favorire questo fenomeno, a partire dalla povert, invece di limitarsi a declamare slogan.
Noi ribadiamo che, oggi, non esiste
un pericolo di deriva fascista in
Ungheria, al di l della propaganda
del governo social-liberale.
Ci hai raccontato, invece, di una ripresa della lotta di classe, terreno
fertile per rilanciare anche il conflitto sociale. Qual stata lattivit
del Munkaspart su questo fondamentale terreno?
Nel 2004 abbiamo promosso un referendum, che ha avuto luogo il 5
dicembre, contro la privatizzazione
del sistema ospedaliero, raccogliendo pi di 300.000 firme. E
stato il primo referendum promosso e realizzato con successo da
una forza politica in Ungheria, dal
momento che tutti gli appuntamenti precedenti sono stati organizzati direttamente dal governo su
argomenti quali ladesione a NATO
ed Unione Europea. E stato il
primo referendum, altres, organizzato su una importante questione

sociale e pi di 1.900.000 elettori


hanno votato contro la privatizzazione degli ospedali. Questo stato
per noi una grande successo sul
piano politico.
Un partito in buona salute, che sembra aver riassorbito la delusione del
2002
Possiamo affermare con soddisfazione che lattivit degli ultimi due
anni dimostra la correttezza delle
Risoluzioni adottate dal nostro 20
Congresso e che i nostri iscritti e militanti hanno superato, come dicevi,
le conseguenze negative del fallimento elettorale del 2002. Sono
state riorganizzate la maggior parte
delle strutture sul territorio ed il
partito ha imparato a sopravvivere
con meno disponibilit finanziarie.
Nel 2003 abbiamo sostenuto i socialisti e preso in considerazione la
molto risicata maggioranza ed oggi
possiamo affermare che essi non sarebbero in grado di vincere senza di
noi. Forse anche per questo si augurano che il Munkaspart possa
scomparire travolto dalle difficolt,
in modo tale da ottenere automaticamente e gratuitamente il sostegno dei nostri elettori alle elezioni
del 2006. Per fortuna il partito non
stato liquidato ed ha recuperato la
volont di lottare, come ha dimostrato il referendum del 2004.
Da quanto sappiamo, c chi non si
limitato semplicemente ad augurarsi la scomparsa del Minkaspart...
Se partiamo dal presupposto che
non si sono determinati grandi cambiamenti nella struttura del potere,
il ruolo del Munkaspart pu rivelarsi centrale per le elezioni del
2006. Per questo le forze del capitalismo hanno lanciato un attacco
contro di noi nel corso del 2004, con
il chiaro obiettivo di determinare
limplosione del partito e liquidarne lunit politica ed organizzativa. Essi non si sono fatti scrupolo
di utilizzare alcuni componenti del
nostro partito, per tentare di modificare la composizione del gruppo

93

Internazionale

dirigente centrale e la linea politica


del Munkaspart. Lobiettivo di costoro era indebolire progressivamente lautonomia del partito e costringerlo ad unalleanza organica
con i socialisti. I componenti di questa frazione hanno causato seri
danni al partito e per questo sono
stati espulsi nel corso del Comitato
Centrale nel marzo 2005, decisione
confermata dal 21 Congresso.
Nonostante lespulsione, costoro
continuano il lavoro contro il partito nei tribunali.
Quali, in estrema sintesi, le scelte
operate dal 21 Congresso?
Abbiamo ribadito la natura marxi-

94

sta, internazionalista e comunista


del nostro partito, con lobiettivo di
lottare a fianco dei lavoratori ungheresi contro la globalizzazione
che tende a liquidare le nazioni e
contro il capitalismo, confermando
lopzione strategica a del socialismo. Per questo il Congresso ha deciso di modificare il nome del partito in Partito Comunista Operaio
Ungherese (aggiungendo comunista) e di sottoporre questa decisione ad una consultazione tra gli
iscritti da tenersi in settembre. Abbiamo, inoltre, confermato la scelta
di preservare il principio del centralismo democratico come metodo
migliore per favorire una discussione interna senza cristallizzazioni,

Luglio Agosto 2005

garantendo nel contempo organizzazione e disciplina.Sul piano politico, infine, abbiamo deciso di presentarci con il nostro simbolo alle
elezioni politiche del 2006.
Avete confermato la scelta di aderire alla Sinistra Europea?
Sostanzialmente s, ma chiederemo
alla Presidenza del Partito della
Sinistra Europea di impegnarsi a
fondo per rafforzare gli elementi
comunisti nellelaborazione della linea politica di questo nuovo soggetto, dato che noi siamo propensi
a favorire lo sviluppo di relazioni
con gli altri partiti comunisti, inclusi
quelli degli attuali paesi socialisti.

Luglio Agosto 2005

Recensioni

TRE SAGGI PER COMPRENDERE

Escalation Anatomia
della guerra
infinita

IL VERO VOLTO ATTUALE


DELLA POLITICA AMERICANA,
DALLA GUERRA UTILIZZATA PER RILANCIARE
LECONOMIA ALLO SVUOTAMENTO
DELLA DEMOCRAZIA

di Salvatore Distefano

on facile, di questi tempi, trovare in


giro libri coraggiosi. Escalation Anatomia della guerra infinita d i
Alberto Burgio, Manlio Dinucci e
Vladimiro Giacch (casa editrice
DeriveApprodi, 2005, euro 13,50)
uno di questi. Si tratta di un testo
chiaro nei contenuti e incisivo nelle
argomentazioni, scritto a pi mani
senza per perdere organicit, che va
decisamente controcorrente rispetto
al conformismo dilagante, dimostrando, al tempo stesso, che possibile contrastare attraverso lanalisi rigorosa e la denuncia motivata il pensiero dominante. Unoperazione di
verit indispensabile per contrastare
il senso comune e dialogare con
quellopinione pubblica che nel suo
immaginario collettivo vede gli Stati
Uniti come il paese della libert e
della democrazia. Ma lAmerica
unaltra cosa, e il libro puntualmente
la smaschera, spingendo chi lo legge a serie riflessioni proprio sulla democrazia statunitense, molto propagandata ma poco praticata.
Il Terzo Millennio non cominciato
spargendo pace e felicit a tutto il pianeta; anzi, la guerra diventata elemento costante, normale, appunto
infinita. Risulta cos molto pi incontrollata, al contrario di quanto avveniva col bipolarismo, allepoca del
cosiddetto equilibrio del terrore,
quando lUnione Sovietica fungeva
oggettivamente da contrappeso allaggressivit imperialista degli USA;
non per caso in quel contesto mon-

NEL LIBRO DI ALBERTO BURGIO, MANLIO DINUCCI


E VLADIMIRO GIACCH LE BASI MATERIALI DELLA GUERRA IMPERIALISTA

diale abbiamo assistito, oltre che a


conflitti devastanti, a processi di liberazione nazionali, decolonizzazione ed emancipazione, tanto da
mettere in crisi lAmerica (e lintero
Occidente), dalla quale riusc a venir
fuori con il reaganismo, che era stato
anticipato dal tathcherismo in Gran
Bretagna e avvantaggiato dallelezione al soglio pontificio del papa polacco. Inizi cos quella fase che
port alla crisi definitiva del socialismo reale e alla conseguente caduta
dellUnione Sovietica nellestate del
1991.
Laltra tesi che il libro demolisce riguarda il terrorismo. Non solo perch il terrorismo non equiparabile
alla guerra, ch in tal modo dimenticheremmo tutto il dibattito sulle
vere cause dei conflitti, ma anche
perch l11 settembre mostra aspetti
a dir poco oscuri e inquietanti, come
del resto hanno scritto a chiare lettere molti intellettuali negli USA e in
Europa. In Escalation il passaggio sul
terrorismo illuminante: 11 settembre 2001, luso economico del
terrore; in pratica si sottolinea il
nesso tra finanza e terro re, squadernando il funzionamento del sistema
finanziario internazionale, nellambito del quale si scopre "che i finanziatori di bin Laden e dei talebani
erano, sino al 2001, gli stessi Stati
Uniti e Stati amici come il Pakistan e
lArabia Saudita. Nel solo anno 2001
gli USA versarono al governo dei talebani 124 milioni di dollari. L11

settembre diventa pertanto lo strumento per risolvere una crisi gi in


atto del sistema capitalistico, la classica crisi di sovrapproduzione, reclamando un ruolo attivo dello Stato per
quanto riguarda, ad esempio, i contributi e il taglio delle tasse alle imprese. Non azzardato sostenere, allora, che lattentato offre lopportunit al governo USA di giocare un
ruolo attivo nella gestione della crisi
economica in atto: dallimpulso
dato al processo di concentrazione
dei capitali, alle riduzioni delle tasse
per 100 miliardi di dollari e sgravi fiscali per le imprese e per i capitali;
ma soprattutto il rilancio in grande
stile delle spese militari, vero keynesismo di guerra, o meglio militarismo economico: categoria interpretativa indispensabile per comprendere che, purtroppo, la guerra fa
bene alleconomia USA. Dunque, dal
welfare al warfare: leconomia USA
drogata dalla produzione bellica, e
le spese per gli armamenti reggono
una parte sostanziosa dellindustria
americana.
La guerra mossa dagli Stati Uniti
allIraq assume, nel lavoro di Burgio,
Dinucci e Giacch, forte rilevanza: la
famigerata guerra preventiva, che
ha pochi precedenti nella storia del
diritto internazionale, ha sin qui provocato migliaia di morti, soprattutto
irakeni, oltre che la quasi distruzione
del paese (a proposito: quante
Falluja ci dovranno essere affinch i
nostri democratici protestino vibra-

95

Recensioni

tamente? In questo caso si pu essere


disumani e non far cenno ai diritti
umani? Perch si continua, dimostrando come il razzismo alligni dalle
nostre parti, a considerare un morto
occidentale pi importante di un
morto di qualsiasi altra zona del
mondo?), senza che si siano trovate
quelle fantomatiche armi di distruzione di massa che secondo gli USA
erano situate nel territorio iracheno.
Ma il fallimento della strategia yankee sotto gli occhi di tutti, o almeno
di tutti quelli onesti intellettualmente: a gennaio scorso le elezioni
farsa, e poi ad agosto lapprovazione
della costituzione contro lorientamento dei sunniti, spaccando lIraq
per renderlo in futuro ancora pi debole e dipendente dagli USA. Con
buona pace dei cialtroni che discettano di resistenza con la erre maiuscola o minuscola, solo la Resistenza
del popolo iracheno ha impedito che
gli imperialisti americani potessero
vincere questa guerra mossa a uno
stato sovrano e li ha fermati nella loro
politica di aggressione agli altri Stati
della regione, poich la strategia neocon, che vede in Bush lesecutore infaticabile, contempla il controllo di
unarea vastissima, di cui lIraq fa
parte, base di lancio per il dominio
dellintero pianeta.
Il saggio che apre il volume, quello
di Manlio Dinucci, spiega con puntualit, utilizzando lapproccio geopolitico, come la fine della guerra
fredda, che lo studioso fa sostanzialmente coincidere con il crollo
dellURSS di Gorbaciov, abbia significato un riorientamento strategico
statunitense teso al controllo di risorse sempre pi grandi, che attribuisce allAsia grande rilevanza, secondo un modello di potenza globale che fa diventare la guerra un
evento ordinario violando le regole
che gli stati e gli organismi internazionali avevano tentato di darsi a partire dalla fine della seconda guerra
mondiale.
Torna cos dattualit la categoria
dellimperialismo per comprendere
la politica di aggressione e di conquista degli Stati Uniti, ma al tempo
stesso la resistenza che essa incontra
negli stati che vogliono intanto affermare interessi nazionali, indipen-

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dentemente dal sistema sociale che


vige al loro interno.
Leconomia USA e le sue dinamiche
perverse analizzata criticamente da
Vladimiro Giacch, che spiega il business della guerra: [] per le industrie degli armamenti la guerra
essenziale tanto perch fornisce alla
merce-armi il momento del consumo, e quindi ne rialimenta la produzione, quanto per il fatto di rappresentare un terreno ideale di sperimentazione di nuove armi e di dimostrazione della loro efficacia per i
potenziali acquirenti, e il business
della ricostruzione, dopo aver lucrato sulla distruzione di un paese,
possibile lucrare anche sulla sua ricostruzione, nellottica del controllo del petrolio iracheno da parte
delle multinazionali americane per
accaparrarsi risorse, ma anche per indebolire i paesi fortemente dipendenti, come il Giappone e la Cina.
Giacch, inoltre, spiega quali siano
in questo momento le dinamiche valutarie dollaro/euro, affermando
che la guerra allIraq un capitolo
della guerra tra dollaro ed euro, e
che pu definirsi come la prima
guerra degli Stati Uniti contro
lEuropa; ci vuol dire che la crescita USA fondata sul debito e, in
particolare, lAsia che paga il burro
e i cannoni americani. Ce n abbastanza per capire che lo scenario
mondiale si presenta drammaticamente complesso e che i prossimi
anni potrebbero essere forieri di crisi
epocali, a meno che i popoli riescano
a prendere in mano il loro destino e
impedire ai potenti di dominare il
mondo.
Il saggio di Alberto Burgio affronta
la questione degli effetti della guerra
sulla societ americana, descrivendo
in modo encomiabile larretramento
della democrazia statunitense, svigorita dalla spirale precariet-paura-repressione-consenso, che potrebbe
aprire la strada ad altre involuzioni
in Occidente. Del resto, il regresso
autoritario e bellicista del sistema statunitense sembra la soluzione alla
crisi del capitalismo odierno, testimoniato dalla militarizzazione delle
relazioni sociali ed internazionali.
Questo perch leconomia liberale
non pu mantenere ci che dema-

Luglio Agosto 2005

gogicamente promette; infatti, dietro il miraggio cosmopolita vi una


insostenibilit dei livelli sbandierati
con la conseguente reazione antidemocratica, che si evidenzia per il tramite dellautoritarismo plebiscitario
e lo smantellamento della propriet
pubblica della ricchezza sociale.
Negli USA in atto lo svuotamento
del sistema democratico, cos che diventa sempre pi sfuggente la distinzione tra dentro e fuori: la negazione del diritto internazionale ha il
suo completamento, per dir cos,
nella soppressione dei diritti civili negli stessi Stati Uniti. La ricreazione
finita: la militarizzazione della societ americana produce i suoi effetti
nefasti, oltre che in campo internazionale, in politica interna, laddove
il presidente Bush ha potuto concentrare nelle sue mani un potere
che non ha eguali nella storia del
Paese, accumulando una forza straordinaria con la quale minaccia il
mondo intero.
E la libert? Subisce una sorta di trasfigurazione e ideologizzazione (nel
senso di falsa rappresentazione del
mondo); a dire il vero, lesaltazione
del libero mercato viene spacciata
per libert. Si tratta in realt di liberismo selvaggio, foriero della deregolamentazione, della eliminazione
di vincoli al potere delle imprese,
della cancellazione di limiti allacquisizione privata di risorse e alla prevaricazione nei confronti dei subalterni, a cominciare dai soggetti messi
al lavoro. Ne viene fuori un quadro
di massacro sociale, segnato dalla politica di zero tolerance, nel quale la divaricazione di classe via via pi marcata. Ma gli USA, piuttosto che risolvere le drammatiche questioni sociali, muovono guerre e altre ne preparano perch trovano nella guerra
la soluzione della loro crisi economica, cos come avvenuto in altri
momenti storici per altre potenze
mondiali: la guerra, parafrasando
Clausewitz, come la continuazione
delleconomia con altri mezzi.
Come mezzo, cio, per risollevare leconomia, per aprire mercati non ancora disponibili e conquistarli, per
garantirsi il controllo di materie
prime fondamentali, per vincere la
guerra mondiale delle valute.

Luglio Agosto 2005

Recensioni

La mondializzazione del capitale,


premessa al pieno dispiegarsi
del processo rivoluzionario,
ci invita a riorganizzare la soggettivit
capace di abbattere e superare
il modo di produzione capitalistico

Imperialismi
e movimenti
di Resistenza

di Renato Caputo
Docente a La Sapienza di Roma

NEL LIBRO COMPETIZIONE GLOBALE, IMPERIALISMI E MOVIMENTI


DI RESISTENZA SCRITTO DA VASAPOLLO, CASADIO, PETRAS E VELTMEYER
DELINEATO UN QUADRO INTERNAZIONALE SEGNATO NON TANTO DALLA
FORSE ABUSATA CATEGORIA DELLA GLOBALIZZAZIONE, MA DAI
CONFLITTI E DALLE CONTRADDIZIONI TRA I POLI IMPERIALISTI

aver trascurato il lavoro teorico volto


allaggiornamento dellanalisi marxista, la sola in grado di ricomprendere nel loro insieme le contraddizioni del mondo contemporaneo
nella prospettiva di una loro soluzione rivoluzionaria, tra le cause
principali della crisi dei movimenti
sociali. Mediante il ripensamento del
concetto di imperialismo alla luce
degli attuali conflitti, in Competizione
globale, imperialismi e movimenti di resistenza, (Jaca Book, euro 24 - pagg.
333) Vasapollo, Casadio, Petras e Veltmeyer si propongono di contribuire allo sviluppo del marxismo.
Pur mostrando la continuit dellattuale fase di sviluppo del capitalismo con le precedenti, gli autori
ne fanno emergere i tratti di discontinuit, di contro ad ogni imbalsamazione dogmatica del concetto di imperialismo. Il processo di
centralizzazione e concentrazione
capitalistico indicato da Lenin
come il primo connotato dellimperialismo si tanto sviluppato
nellultimo ventennio da travalicare
i confini nazionali, senza perci ricomporre le contraddizioni interimperialistiche. Al contrario, si profila un ulteriore livello di conflitto globale nel processo di sviluppo imperialistico del capitale concorrenziale. In tale prospettiva, il concetto
di imperialismo deve risultare assai
pi complesso, tanto della vulgata

ideologica che ne riduce la portata


al militarismo, quanto di ogni astrazione economicista.
Nella prospettiva del materialismo
storico, tale concetto rimanda alla
specificit delle societ a capitalismo avanzato, in cui laggressivit
militare certo un elemento importante, ma insufficiente a dar conto
della totalit contraddittoria dellattuale fase di sviluppo. Il militarismo, piuttosto, manifesta la profonda crisi economica e sociale, politica ed istituzionale, in cui gli assetti oligarchici della propriet entrano in contraddizione sempre pi
stridente con la socializzazione
della produzione, frenandone o impedendone lulteriore sviluppo.
Laumento della composizione organica e la conseguente caduta tendenziale del saggio di profitto c o mporta, per uscire dalla crisi di sovrapproduzione, la distruzione del
capitale in eccesso, anche umano
(effetto collaterale di guerre, embarghi, disoccupazione), indispensabile al rilancio del processo di accumulazione.
Tale improcrastinabile esigenza
rende necessarie forme di conflitto
sempre pi acute, sino a pregiudicare lo stesso sviluppo scientificotecnologico nei suoi scopi universali
e pubblici, mediante la sottomissione di uomo e natura al distruttivo
dominio del profitto privato. Non

solo, dunque, tale modo di produzione non volto allappagamento


dei bisogni reali, per oltre due terzi
dellumanit non ancora soddisfatti,
ma il militarismo stesso deve esser
considerato, in qualche modo, quale
una componente necessaria del suo
contraddittorio
sviluppo.
Allinterno dei poli imperialisti, la
vittoria di forze legate alla borghesia
imprenditoriale piuttosto che ai re ntiers o di forze condizionate dalle
lotte sociali presenti in Europa disponibili ad una gestione consociativa
e neocorporativa non pu costituire una reale alternativa alla guerra
globale Usa.
Il fine assoluto di rilancio del processo di accumulazione e la conseguente dinamica di crisi finiscono
per necessitare il costituirsi di blocchi imperialisti contrapposti, dotati
di autonome sfere dinfluenza, in
primo luogo valutarie. In tal modo
gli Usa, sorti quale aggregato di
stati, tendono ad unificare sotto il
loro controllo i paesi del Nord
America attraverso il NAFTA, del
Centro mediante la dollarizzazione
delle economie locali e, con crescenti difficolt, del Sud per mezzo
degli accordi di libero scambio
dellALCA. Egualmente in Europa
si venuta creando sul modello degli Usa, mediante la progressiva federazione politica degli stati dellarea occidentale e centrale, unarea

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Recensioni

di libero mercato egemonizzata


dallasse franco-tedesco. Il costituirsi di un simile blocco rende ancor pi evidente limmanente tendenza dellimperialismo a mutare la
struttura statuale in mero comitato
daffari della borghesia.
Oligarchie di tecnocrati esercitano
il loro dominio oltre qualsiasi controllo democratico delle masse, che
eleggono parlamenti nazionali ed
europei con poteri sempre pi ridotti ed incapaci a condizionare
qualsivoglia decisione, sempre pi
calate dallalto e deliberate dietro le
quinte del potere finanziario. Pi
complessa la situazione nellestremo oriente: la zona dinfluenza
economica e valutaria del Giappone risulta sempre pi efficacemente
contrastata dallemergere della
Cina, portatrice di un progetto politico-economico in certa misura alternativo ai blocchi imperialisti.
Senza sosta i paesi a capitalismo
avanzato precipitano nel totalitarismo: incede la militarizzazione
della societ, in contraddizione
sempre pi evidente con la missione universale del mondo occidentale esportatore di democrazia. Le stesse libert formali borghesi
prima fra tutte linformazione
sono negate in nome di uno stato
deccezione permanente.
Avanzano parallelamente lattacco
ai diritti dellindividuo e la compressione del costo del lavoro e
della spesa sociale. Nei paesi del
terzo mondo, infine, ogni forma di
resistenza nazionale, popolare o socialista allimperialismo finisce demonizzata quale terrorismo,
mentre negli stati imperialisti il diritto di sciopero viene progressivamente limitato e la struttura produttiva gradualmente delocalizzata
in paesi privi di qualsiasi legislazione sociale.
Lo scenario di bellum omnium contra
omnes consentir la sopravvivenza
alle sole nazioni in grado di trasformarsi in imperi mondiali. Solo
mediante tale superamento dialettico
dei limiti nazionali si potr conseguire la possibilit di competere per
legemonia sui mercati mondiali,

98

sulle materie prime e sulle regioni


geopoliticamente strategiche. A dispetto delle pie illusioni dei cantori
delle sorti progressive di un impero versione post-moderna dellultraimperialismo kautskiano
che avrebbe dovuto portare mediante il superamento degli stati nazionali alla fine delle guerre, i blocchi giungono a confliggere inevitabilmente. Prodotto della mondializzazione economica non il dominio assoluto di una mano invisibile capace di risolvere qualsivoglia contraddizione: lacuirsi dei
contrasti, piuttosto, obbliga i pi accesi liberali a ricercare il sostegno
dellapparato militar- i n d u s t r i a l e
dello stato quale volano del rilancio
del ciclo accumulativo. Dunque, la
concorrenza fra monopoli spinge le
multinazionali, dotate in ogni caso
di base nazionale, a richiedere lintervento dello stato a protezione
delle operazioni commerciali. E
ben si pu ricordare lesito, in passato, delle tanto invocate politiche
keynesiane: limpennarsi della
spesa militare ha riassorbito la disoccupazione e rilanciato laccumulazione al prezzo del riacutizzarsi
dei conflitti globali.
Il rafforzarsi dellunit di intenti degli stati imperialisti, pur contrapposti in blocchi, procede parallelamente allindebolimento, il frazionamento e la contrapposizione, secondo il principio del divide et impera,
degli stati del terzo mondo. Tale
proposito spinge i paladini dei diritti umani a finanziare e sostenere
ogni forma di sciovinismo, tribalismo e fondamentalismo religioso, in
nome dello stato etnico. Non di rado,
in tali condizioni, le popolazioni
delle piccole patrie finiscono con
laffidarsi a presunti combattenti
per la libert, avventurieri privi di
scrupoli e signori della guerra. Le microentit regionali, sorte dai tragici
conflitti interetnici e religiosi, sono
costrette a sperperare il miserevole
bilancio statale nella compera
darmi, prontamente offerte dallapparato militar-industriale imperialista in costante crisi di sovra-accumulazione. Lesigenza di mantenere la

Luglio Agosto 2005

mobilitazione bellica e lunit nazionale le costringe a richiedere la presenza di istruttori e basi militari dei
paesi imperialisti ed, infine, a rendersi dipendenti dalle politiche di ristrutturazione, privatizzazione ed indebitamento endemico ad opera degli istituti finanziari internazionali.
Occorre, dunque, istituire uno stato deccezione permanente allo
scopo di militarizzare la forza-lavoro,
dimporre preventivamente la pace
sociale, per ampliare gli investimenti
volti alla ricostruzione dei paesi devastati dalle guerre umanitarie.
Sul piano geopolitico, proprio la
fine della guerra fredda sancisce
non il pacifico affermarsi del cosmopolitismo borghese, ma il rinvigorirsi
delle lotte interne per la spartizione
del mondo tra i fratelli nemici imperialisti. I conflitti che spingono innanzi la storia non sono venuti
meno con lo sciogliersi del fronte
controrivoluzionario, funzionale
alla sconfitta dellUrss. Di contro al
progressivo accentuarsi delle contraddizioni fra i diversi blocchi, ogni
soluzione pacificatoria ricercata
sulla base del diritto internazionale non potr che rivelarsi temporanea. Tale diritto , infatti, il prodotto dei rapporti di forza reali tra
le classi sociali e tra le nazioni e i
blocchi imperialisti. Egualmente gli
organismi internazionali, i quali sarebbero tenuti ad arginare la volont
di potenza delle nazioni prime fra
tutte gli Usa, trasgressori dogni trattato internazionale che ostacoli i
propri interessi sono quasi interamente subordinati agli interessi imperialisti, tanto da un punto di vista
economico quanto politico.
LONU, dopo un blando monito
agli Usa dietro pressione francotedesca sullillegalit della guerra preventiva, ha in seguito progettato una riforma del suo statuto in grado di offrire copertura legale alle ingerenze umanitarie
degli stati imperialisti. Nel migliore
dei casi, gli appelli ad un mondo
multipolare si rivelano edificanti
ma illusori propositi, quando non
celano brama di potere o esigenze
di consolidamento della coopera-

Luglio Agosto 2005

zione inter-imperialista di contro allunilateralismo likudnik.


Sulla base dei nuovi rapporti di forza
ad essa favorevoli, la borghesia transnazionale torna a mettere in discussione il precedente compromesso
tra le classi, rivolgendo ininterrotti
attacchi al cosiddetto stato sociale.
Egualmente, dinanzi alle aspirazioni delleuro di sostituirsi al dollaro quale valuta mondiale e alla
conseguente occasione di sottrarre
agli Usa sfere di influenza di mercato
e materie prime la guerra preventiva degli Stati Uniti si mostra
decisa a fare a brandelli lintera tradizione del diritto internazionale,
dalla Pace di Westfalia ad oggi.
Illuminante il passaggio, citato nel
testo, di un rapporto segreto del
Pentagono reso noto nel 1992:
Dobbiamo scoraggiare le altre nazioni industrializzate dallo sfidare la
leadership americana e dobbiamo
mettere in questione lordine economico e politico stabilito.
Dobbiamo mantenere una supremazia militare tale che potenziali rivali siano dissuasi dallaspirare ad un
ruolo regionale e globale pi ampio. Europa occidentale e Giappone non possono giovarsi della potenza militare statunitense che, fino
ad ora, aveva permesso ai suddetti
blocchi di dedicare le proprie risorse allo sviluppo economico.
proprio la sfida lanciata dai blocchi
imperialisti emergenti al dominio
statunitense nel settore produttivo e
finanziario a portare gli Usa ad abu-

Recensioni

sare della propria incontrastata supremazia militare.


Nel volume viene respinto latteggiamento t e o re t i c i s t a, da anima
bella, che pretende di ricondurre
ogni conflitto a scontro inter-imperialista o tra aree valutarie. Invero,
pur riconoscendo la rilevanza per il
movimento operaio dellanalisi dei
contrasti tra i blocchi, gli autori stimano altrettanto decisiva la contraddizione tra lavoro e capitale allinterno della competizione mondiale. Nella sezione conclusiva del
volume, viene rilevato come le politiche imperialiste confliggano inevitabilmente con le nazioni che respingano ogni forma di ingerenza e
con le resistenze popolari rivitalizzate da tale brama di dominio.
Certo, resta essenziale la critica delle tesi Impero e dintorni volte a
cogliere unicamente la convergenza di interessi fra i diversi settori
della borghesia internazionale.
Altrettanto unilaterali appaiono,
tuttavia, le tesi di chi affida le sorti
della pace mondiale a lemergere di
blocchi imperialisti antagonisti allo
strapotere Usa. Lo sviluppo della
crisi conduce ad un acuirsi dei conflitti tra poli imperialisti, ma essi restano sempre pronti a fare causa comune di fronte ad ogni resistenza
popolare o tentativo di autodeterminazione nazionale.
Tale unit dazione oggi volta ad
arrestare la sfida lanciata dalla Cina
e, in misura minore, da India, Russia, Brasile e Sudafrica, alla completa

spartizione del globo tra potenze imperialiste. Inevitabile, dunque, chiedersi se tali paesi, per divenire protagonisti nella competizione globale, saranno costretti a sacrificare i
tratti distintivi della propria storia
politico-sociale, spesso divergente
dal modello imperialista tradizionale, oppure li rafforzeranno, facendosi portatori di un modello di
sviluppo alternativo. Interrogativi
che gli autori del libro lasciano necessariamente aperti, dato che la soluzione sar determinata dal risultato del decisivo conflitto di classe
che si svolge in tali paesi. Del resto
proprio laccentuarsi della politica
aggressiva dellimperialismo a far rinascere, in tutte le nazioni da essa
investite, fronti uniti di resistenza
popolare, che parevano definitivamente scomparsi in seguito al trionfo della controrivoluzione nellEuropa orientale. Quel che lidealismo
hegeliano defin lastuzia della ragione e Marx la contraddizione fondamentale del capitalismo mostra
ancora la sua inconciliata attualit:
lo stesso apparente trionfo dellimperialismo ed il costituirsi del mercato mondiale riporta in auge i suoi
becchini. La mondializzazione del
capitale transnazionale, inderogabile premessa al pieno dispiegarsi
del processo rivoluzionario, ci invita
a riorganizzare la soggettivit in grado
di abbattere e superare il modo di
produzione capitalistico, abbandonando ogni consolatoria teodicea
crollista.

Annuale ordinario 23 euro - Annuale ordinario posta prioritaria 40 euro


Annuale estero posta prioritaria 50 euro - Annuale sostenitore (p. prioritaria) 60 euro
E ff e t t u a re il versamento sul c/c postale n. 14176226 intestato a lernesto - via del Sale 19 - 26100 Cremona - email:abbonamenti@lern e s t o . i t

99

CONTRO IL GOVERNO BERLUSCONI


PER LALTERNATIVA POLITICA E SOCIALE
NEL VOLUME CURATO DA LERNESTO PRIMI CONTRIBUTI PROGRAMMATICI PER LALTERNATIVA
Da tempo, cacciare Berlusconi un imperativo categorico. Tuttavia, ed la nostra critica, tra tale esigenza e quella di costruire lalternativa vi uno
scarto notevole, dato da due deficit del centro sinistra: primo, in questi anni non sono state messe in campo tutte le lotte sociali necessarie per rispondere
allattacco di classe del governo e indispensabili al fine di rovesciare i rapporti di forza politici e sociali; secondo, non stato costruito e reso popolare
il programma per l alternativa, per il quale chiedere al popolo della sinistra, ai lavoratori, il sostegno politico ed elettorale.
Critichiamo da tempo la mancanza del programma. Rispetto a ci lernesto ha creduto opportuno avviare un lavoro diretto a fornire un contributo
alla discussione programmatica e nellIndice che troverete in questa pagina di tale lavoro potrete apprezzarne lo stile. Abbiamo chiamato a produrre
proposte programmatiche specifiche intellettuali, dirigenti del movimento operaio e sindacale, dirigenti politici, economisti, giuristi, rappresentanti del
mondo cattolico, lungo un arco che percorre lintera sinistra italiana dalternativa, dai comunisti alla sinistra DS, dai movimenti alle associazioni, dalle
forze laiche a quelle religiose.
Linsieme dei contributi forma un volume dal significativo titolo: Contro il governo Berlusconi, per lalternativa politica e sociale Contributi per
un Documento Programmatico.
Tale volume sar inviato, a breve, a tutti i nostri abbonati. Lo inviamo perch crediamo potr rivelarsi uno strumento utile nella discussione
politica e, speriamo anche spinta alla campagna abbonamenti 2005/2006. La produzione di questo volume ha richiesto gran parte delle
nostre gi magre risorse economiche : ai nostri abbonati, senza i quali la rivista non vivrebbe, chiediamo di comprendere il nostro sforzo e,
se lo ritengono, di aggiungere una libera sottoscrizione alla quota relativa al rinnovo dellabbonamento. (F.G. e G.P.)
Prefazione - Claudio Grassi
Introduzione - Fosco Giannini e Gianluigi Pegolo
1. POLITICA INTERNAZIONALE
Italia: un Paese contro la guerra - Claudio Grassi
Fuori lItalia dallIraq - Giulietto Chiesa
Basi NATO e politiche di smilitarizzazione - Mariella Cao
Per unEuropa di pace e antiliberista - Bruno Steri
Contro la direttiva Bolkestein - Cristina Mataloni
2. ECONOMIA E SOCIET
Una politica economica per lalternativa
Oltre i vincoli di Maastricht: per una critica
alle politiche economiche compatibiliste - Emiliano Brancaccio
Contro la precariet come modello sociale - Alberto Burgio
Risorse e redistribuzione del reddito - Vladimiro Giacch
Lotta alle rendite e proposte di politica fiscale - Alessandro Santoro
Per limpresa pubblica - Francesca Stroffolini
Per la riduzione delle spese militari - Francesco Vignarca
Per uneconomia solidale;
per la cancellazione del debito dei paesi poveri - Alberto Zoratti
Centralit del lavoro
Per la crescita del salario - Franco Arrigoni
Per un nuova scala mobile - Paolo Sabatini
Per la democrazia nei luoghi di lavoro - Pierpaolo Leonardi
Politiche per la sicurezza
nei luoghi di lavoro - Guglielmo Simoneschi
Proletarizzazione del lavoro autonomo - Alessandro Valentini
Mobilit del lavoro e blocco storico - Francesco Nappo
Politiche di sviluppo
Per un rilancio della politica industriale- Bruno Casati
Orientamenti e priorit
nellintervento pubblico/privato -Renato Sacristani
Formazione e ricerca tecnologica - Domenico Moro
Per il rilancio dellagricoltura - Elisabetta Basile e Claudio Cecchi
Sul Mezzogiorno
Dal sostegno al reddito allinnovazione
del sistema produttivo: un passaggio ineludibile - Augusto Graziani
Per un diverso modello di industrializzazione:
a partire dal caso Calabria - Rocco Tassone
Precariet del lavoro, mancanza
del welfare , condizione femminile - Maria Campese

Crescita e sviluppo:
la centralit delle infrastrutture - Salvatore Di Stefano
Riforma della politica: condizione essenziale
per una rinascita economica e sociale - Francesco Cirigliano
Una politica per lambiente
Per unalternativa energetica - Giorgio Nebbia
Valorizzazione delle aree protette - Cosimo Marco Cal
Per una diversa concezione della citt
e del vivere sociale - Paolo Berdini
Difesa ed stensione del welfare
Contro la privatizzazione dei beni comuni,
per il rilancio dei servizi pubblici - Stefano Zolea
Sanit pubblica e bioetica - Marina Rossanda
Previdenza pubblica: un diritto da garantire - Felice Roberto Pizzuti
Per una legge-quadro nazionale sulla casa - Massimo Pasquini
Cittadinanza e diritti
Dare dignit al cittadino immigrato - Dino Greco
Migrazioni e cittadinanza - Don Fabio Corazzina
Disagio sociale e marginalit - Emilio Santoro
Libert femminile
e autodeterminazione delle donne - Delfina Tromboni
La rivoluzione libertaria che serve allItalia - Sergio Lo Giudice
Contro la povert - Guido Barsella
3. SISTEMA ISTITUZIONALE E GIUSTIZIA
Assetti istituzionali
Costituzione:
cancellare la controriforma delle destre - Massimo Villone
Per una legge elettorale proporzionale - Giuseppe Chiarante
Democrazia diretta e democrazia rappresentativa:
un intreccio indispensabile - Enrico Melchionda
Giustizia e legalit
No alla controriforma del sistema giudiziario - Marco Daltoso
Carcere e diritti - Desi Bruno
4. FORMAZIONE, CULTURA E POLITICHE GIOVANILI
Per una riforma dellistruzione
e dei sistemi formativi - Andrea Catone
Politiche giovanili: ridare prospettive
ad una generazione - Simone Oggionni e Francesco Maringi
Per uninformazione democratica e pluralista - Alessandro Curzi
Contro il revisionismo storico - Bianca Bracci Torsi e Massimo Rendina

Per lacquisto del volume versare 12 euro (prezzo di copertina + spese di spedizione)
sul c.c.p n 14176226 intestato a: lernesto - via del Sale 19 - 26100 Cremona
specificando chiaramente nominativo, indirizzo e la causale del versamento.

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