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INTERVISTA AL CARDINALE DANIEL STURLA, ARCIVESCOVO DI MONTEVIDEO

Volto affilato e sorriso gioviale, il cinquantaseienne salesiano Daniel Fernando Sturla Berhouet
negli ultimi due anni è stato protagonista di una carriera ecclesiastica folgorante: da più giovane
ausiliare di Montevideo, all'inizio del 2014 è divenuto arcivescovo della capitale uruguayana, un
anno dopo ha ricevuto la porpora cardinalizia per poi essere subito nominato membro della
Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica e del Pontificio
Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. La sua disponibilità a dialogare su
qualsiasi argomento e l'atteggiamento rispettoso verso la diversità gli sono valse la simpatia dei
mass media locali, solitamente poco interessati alla voce dei vescovi in un paese con una robusta
tradizione di separazione tra Stato e Chiesa. Jesus lo ha incontrato durante l'ultima assemblea della
Conferenza episcopale uruguayana.
Di recente i familiari dei desaparecidos durante la dittatura (1973-1984) hanno chiesto alla
Chiesa di aiutarli a ritrovare i resti dei loro cari. Lei pensa che il paese abbia fatto i conti con
questa pagina della propria storia?
In America latina l'Uruguay si distingue perché ha conosciuto solo due esperienze di regime
militare, nel 1876-86 e un secolo dopo. Nel mezzo ha avuto una solida storia democratica, perciò la
dittatura ha colpito l'anima del paese. Inoltre da noi ad essa si è arrivati non con un golpe, ma in un
processo civico-militare.
Ora, il problema in Uruguay è che siamo pochi e ci conosciamo tutti. E tutti abbiamo avuto
familiari nell'esercito e/o detenuti quando non desaparecidos. Inoltre il paese è uscito dalla dittatura
con una transizione democratica negoziata. Poi, nel 1989, il popolo, attraverso un referendum, ha
accettato un'amnistia per i delitti commessi dai militari, anche perché temeva il ritorno al potere
dell’esercito. Ciò ha creato una frattura difficile da ricomporre.
La maggioranza della popolazione vuole girare pagina, ma facendo luce sui casi più clamorosi. Per
questo ci sono già militari detenuti, ma i familiari degli scomparsi, a pieno diritto, vogliono
ritrovare le spoglie dei loro cari. Non sarà facile che si sappia la verità e i resti vengano rinvenuti.
Avverrà solo in parte e il risultato lascerà comunque ferite aperte in molte famiglie.
Quali sono oggi i punti di forza, i problemi e le sfide per l'Uruguay?
Tra i primi metterei la tradizione democratica, che in questi 30 anni si è dimostrata in grado di
accettare ripetuti cambiamenti di governo in un clima di assoluta libertà, la capacità di raggiungere
accordi politici e sindacali, nonostante i conflitti, e il basso livello di corruzione. I due grandi
problemi oggi sono l'educazione, la cui qualità è molto scaduta e che vede un’alta diserzione
scolastica tra gli adolescenti, e la sicurezza, perché i reati sono aumentati, sebbene l'Uruguay resti
assai più sicuro di altri paesi latinoamericani. La sfida più profonda, di tipo antropologico e legata al
senso della vita, emerge nel bassissimo tasso di natalità e nell'elevato numero di suicidi.
Com’è oggi la Chiesa uruguayana, di cui all’estero si ricordano figure degli anni '70 e '80,
come mons. Carlos Parteli, arcivescovo di Montevideo, e il teologo Juan Luis Segundo?
La Chiesa uruguayana è povera e libera. Lo è da sempre, perché tra i paesi latinoamericani
l'Uruguay fu quello in cui la Spagna rimase meno tempo, per cui la Chiesa era poco radicata e non
aveva beni. La povertà ne fa una Chiesa austera, più aderente al Vangelo, ma carente di mezzi per
compiere la sua missione. La sua libertà è invece risultato della separazione dallo Stato, che risale
al 1917. Quindi essere cattolici qui è una scelta, spesso coraggiosa, perché soprattutto i giovani
uomini vengono derisi se vanno in chiesa, specie negli ambienti popolari.
La cultura laica o laicista dell’Uruguay ha smesso da molti anni di combattere la Chiesa, ma ha
lasciato una grande indifferenza e ignoranza religiosa. Affrontare questo disinteresse è molto più
difficile che misurarsi con un ateismo militante. Quindi una grande sfida è come mettersi in sintonia
con la gente, soprattutto coi poveri sul piano religioso, perché spesso proponiamo un messaggio
distante da chi dovrebbe riceverlo. La Chiesa è molto amata nei quartieri popolari perché vi è
presente con numerose opere sociali. Ma è molto difficile far giungere un messaggio propriamente
religioso.
Come presentare il Vangelo in modo che sia significativo per la vita delle persone?
Credo si tratti di comunicare la gioia che deriva dal credere. Se risultiamo più preoccupati che
contenti, nessuno ci si avvicinerà. Lo si vede coi giovani. Ma se si mostra la gioia suscitata dalla
presenza di Gesù, molti restano incantati dalla proposta cristiana e si legano a movimenti o
parrocchie, anche se faticano ad assumere un impegno perseverante, per non parlare di una scelta
vocazionale. Una delle maggiori difficoltà della nostra Chiesa è la scarsità di vocazioni presbiterali
e, ancor di più, religiose.
Quando nel 2013 l’episcopato sostenne il tentativo di convocare un referendum sulla legge
sull'aborto, fallito perché ottenne l'appoggio solo del 9 per cento dell'elettorato contro il 25
per cento necessario, molti ebbero l’impressione che ai vescovi mancasse proprio la sintonia
con la gente. Poi però lei si è guadagnato la simpatia dei mass media con iniziative come
quella di incontrare rappresentanti delle minoranze sessuali.
Il referendum fu un'iniziativa del deputato Pablo Abdala, dell'oppositore Partito nazionale. I
vescovi, poi, lo appoggiarono. Ma mancò una propaganda adeguata e neanche quella della Chiesa
fu efficace. In effetti i sondaggi dicevano che quasi metà della popolazione era contraria alla legge,
ma al momento di mobilitarsi non si mosse. Inoltre i sostenitori della norma scelsero di ignorare il
referendum, per cui il giorno in cui le urne erano aperte molti neppure sapevano di poter andare a
votare per la sua convocazione..
Da allora a cambiare lo scenario è stato papa Francesco, che ha suscitato una grande ondata di
simpatia, perché anche i non cattolici - che in Uruguay sono la maggioranza - ritengono la Chiesa
un importante punto di riferimento morale e spirituale. In questa ondata di rinnovamento e
maggiore dialogo si è inserita anche la mia nomina ad arcivescovo.
E qual è il suo progetto per la Chiesa uruguayana?
Io credo che per la nostra Chiesa sia assolutamente fondamentale ripulire i canali di comunicazione
con la società. Abbiamo sbagliato a farci confinare in alcuni temi, perché la Chiesa esiste non per
dire “no” all'aborto o alle unioni omosessuali, ma per annunciare Gesù Cristo, con un annuncio
positivo che è capace di riempire la vita. Di questo la condotta morale è una conseguenza, ma
quando si inverte l'ordine, tutto si complica. Lo diceva già Benedetto XVI nella Deus Caritas est e
papa Francesco lo ripete in un linguaggio più diretto nell'Evangelii Gaudium. In questi due anni io
ho cercato di rendere più fluida questa comunicazione, così che ad arrivare per primo a tutti sia
l'annuncio salvatore di Gesù Cristo, cioè di una gioia e non di una legge.
Lei ha partecipato al Sinodo sulla famiglia. Come è stata la sua esperienza e quali risultati
sono stati raggiunti?
Credo che il risultato più importante del Sinodo sia stato quello di esprimere un sostegno alla linea
di papa Francesco. Questa è in gran parte in continuità col passato, perché credo che il grande
cambiamento nell'atteggiamento della Chiesa nei confronti delle situazioni familiari non regolari sia
avvenuto con la Familiaris Consortio nel 1981. Papa Francesco vuole accentuare l'idea di una
Chiesa come “ospedale da campo” in cui si curano i feriti. Importanti al Sinodo sono stati anche lo
sguardo sulla realtà, il richiamare gli elementi essenziali della dottrina perenne, l'allarme a proposito
dell'“ideologia di genere”, il sottolineare la misericordia che avvicina la Chiesa a ogni situazione
umana, comprese quelle familiari irregolari che molti cristiani oggi vivono.
È stata un'esperienza che può dare contributi alla più generale riflessione sulla sinodalità?
Certo, e su questo stupendo è stato discorso del Papa in occasione del 50° anniversario della
creazione del Sinodo. Io vi ho partecipato per la prima volta, ma da quanto ho sentito il metodo è
molto migliorato rispetto al passato, sebbene ci siano ancora progressi da compiere. Ho imparato
molto anche della Chiesa universale, perché spesso tendiamo a generalizzare quanto viviamo nel
nostro ambiente, ma al Sinodo ho visto sensibilità diverse legate a realtà differenti: per esempio, gli
slavi ne hanno una completamente diversa da quella occidentale, per non parlare degli africani. E
gli Stati Uniti non sono l'America latina. Come ha detto il Papa alcune cose suonano in un modo in
un posto, ma in un altro altrove.
Parlando di “ideologia del genere”, non c'è il rischio di presentare come un pensiero unitario e
organico studi e riflessioni assai diversificate, per poi costruire ancora una volta un nemico?
Sempre c'è gente, anche nella Chiesa, che propone quelle che il Papa chiama “teorie cospirative” o
denuncia un nemico universale, come “la massoneria mondiale”. In effetti ho sentito discorsi simili
al Sinodo. D'altro canto io credo si possa entrare in una discussione culturale su che cosa significa il
“genere”, ma in alcuni paesi, tra cui l'Uruguay, c'è stato un tentativo di egemonizzare l'educazione
sessuale attraverso programmi che si proponevano espressamente – parole letterali del manuale per
maestre d'asilo – di “decostruire il modello di famiglia tradizionale”. Questo progetto, che, grazie a
Dio, qui è rimasto nel cassetto, è molto dannoso per la formazione dei bambini e negativo per la
società, non solo per i cristiani.
Sulla base della sua esperienza, quale pensa sia la sfida più urgente per la Chiesa universale?
Fondamentale per tutta la Chiesa come istituzione è una maggiore trasparenza. Lo esige il Vangelo e
lo reclama il mondo. Se la Chiesa, tanto a livello di Santa Sede quanto nelle Chiese particolari,
come pure nelle congregazioni religiose, non riesce a essere più trasparente, in questo mondo della
comunicazione, perderà molta credibilità e moltissimi fedeli. Lo si è visto con gli scandali finanziari
e sessuali. Però la sfida maggiore, oggi e sempre, è annunciare Gesù e la gioia del Regno.

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