Luis (“Luigino”, come recita la carta d'identità, a dispetto dei suoi quasi 2 metri di altezza) Infanti
de la Mora, servita friulano giunto in Cile 40 anni fa, è dal 1999 vescovo del vicariato apostolico di
Aysen, in Patagonia, una circoscrizione ecclesiastica grande quanto l'Italia settentrionale e abitata
da circa 100mila persone. Regione in passato considerata marginale, da circa un decennio ha
cominciato a suscitare l'interesse di alcune grandi compagnie transnazionali, intenzionate a
sfruttarne le ricchezze naturali, a cominciare da quelle idriche, che ne fanno una delle maggiori
riserve d'acqua dolce del mondo. Di particolare portata è il progetto della società Hidroaysen,
controllata dall’italiana Enel, di costruire cinque grandi dighe sui fiumi Baker e Pascua per produrre
energia elettrica da trasportare con una linea di 2.300 chilometri agli impianti minerari del nord del
paese, provocando gravi danni ambientali. Sul tema mons. Infanti de la Mora ha scritto nel 2008 la
Lettera pastorale “Dacci oggi l'acqua quotidiana”, forse il documento più completo e profetico
prodotto in materia dalla Chiesa latinoamericana. Esso, sulla base del principio che “l’acqua è un
dono di Dio per il bene pubblico e un diritto fondamentale per la vita”, si schiera contro
l'edificazione delle megacentrali idroelettriche e per la ripubblicizzazione delle risorse idriche.
Che significato e quali conseguenze ha avuto la Lettera pastorale del 2008?
La Lettera è stata scritta pensando alla realtà dell'Aysen, ma poi si è visto che rifletteva una
situazione diffusa in tutto il mondo. Nella regione non è stata l'unica voce, ma altre puntavano solo
a difendere l'ambiente opponendosi a progetti devastanti. La riflessione etica e spirituale ha, invece,
aiutato ad aprire l'orizzonte alla relazione tra natura e vita umana. E ha posto il problema al potere
economico e politico, anche con la mia partecipazione all'assemblea dei soci dell'Enel a Roma e
della Colbun (partner di minoranza in Hidroaysen) a Santiago, e con la consegna del testo a ministri
e parlamentari.
E dopo 5 anni quale è la situazione?
Io sono convinto che il progetto non abbia futuro, anche se l'impresa non vuole darsi per vinta. La
reazione della gente, nell'Aysen, in tutto in Cile e persino all'estero, ha frenato decisioni inconsulte.
Hidroaysen ripete che le dighe si faranno, ma né lei né le autorità politiche sembrano crederci.
Perché la Chiesa si dovrebbe occupare della costruzione di dighe idroelettriche?
Questi progetti provocavano divisioni tra la popolazione, ma tutto veniva affrontato solo sul piano
degli interessi economici. Abbiamo allora deciso di offrire un punto di vista etico e spirituale,
fondato sul Vangelo. La Lettera ad alcuni è piaciuta e ad altri no, ma dopo la sua pubblicazione
anche organizzazioni non legate alla Chiesa hanno chiesto il mio intervento, capendo che un
approccio solo economico o politico finisce per rispondere agli interessi dei più potenti e ignora la
saggezza che deriva dall'amore per la propria terra.
Ma tanto l'ambientalista che esige la difesa della natura quanto l'imprenditore che vuole
produrre ricchezza possono rivendicare di agire secondo principi e valori.
La Lettera critica una concezione “antropocentrica”, tradizionalmente condivisa anche dalla Chiesa,
che, considerando l’essere umano signore della creazione, ha legittimato uno sfruttamento dei beni
della terra e un consumismo esagerati, con l'effetto paradossale di mettere in pericolo la stessa
umanità. Prende pure le distanze da una visione “cosmocentrica”, secondo la quale la presenza
umana costituisce un ostacolo alla fioritura della natura come organismo vivo, trascurando il fatto
che noi siamo esseri coscienti e responsabili delle nostre azioni. Propone invece una prospettiva
“ecocentrica”, secondo cui tutto quello che Dio ha creato è buono, come ricorda il libro della
Genesi, e l’essere umano, considerato in intima relazione con l’ambiente, ha la responsabilità di far
sì che ogni creatura arrivi alla perfezione per cui il Creatore l'ha portata all'esistenza.
La Lettera ha contribuito alla nascita di un movimento nazionale per la ripubblicizzazione
dell'acqua. Nell'ultimo anno e mezzo esso si è diluito nella mobilitazione a favore di una nuova
Costituzione, cui anche lei ha aderito. Come è sorta questa rivendicazione e perché lei ha
deciso di farla propria?
L'acqua è un elemento indispensabile per la vita. Però in Cile per l'82 per cento è privata – e
nell'Aysen questa percentuale sale al 96 per cento – perché la Costituzione varata nel 1980 dal
regime militare del generale Augusto Pinochet l'ha regalata alle imprese. Una Costituzione
approvata sotto una dittatura è già di per sé illegittima, ma da essa sono poi derivate leggi per i
settori idrico, minerario, elettrico, ecc. che privatizzano i beni della nazione, di fatto privilegiando
alcuni - spesso compagnie transnazionali, che si sono impadronite del Cile, facendone un “paese
venduto” - ed escludendo altri. Il problema, quindi, non è solo politico, ma etico e spirituale, perché
riguarda la vita degli esseri umani e della natura. Chi crede nel Vangelo non può disinteressarsene.
Queste leggi antidemocratiche e immorali derivano dalla Costituzione. Perciò mi è parso doveroso
partecipare al cammino per elaborarne una nuova. Non basta emendare quella attuale, che non solo
è obsoleta riguardo ai temi ambientali, ma riflette un modello socioeconomico neoliberale e una
struttura di potere partoriti dalla dittatura e lasciati intatti dai governi civili. Oggi la società civile ne
esige il superamento tramite la partecipazione popolare, come dimostrano le mobilitazioni popolari
degli ultimi tre anni, a cominciare da quella studentesca.
Pensa che il ritorno al governo di Michelle Bachelet apra nuove prospettive?
Ho due sentimenti contrapposti. Da una parte, fatico a pensare che dall'esecutivo possano venire
mutamenti di rilievo, visto che, durante il precedente mandato presidenziale (2006-2010), Bachelet
non ha risposto alle attese di cambiamento in materia sociale, ambientale e costituzionale. Tuttavia
lo scadente governo uscente di Sebastian Piñera ha reso la gente consapevole che dalla fine del
regime militare viviamo in una “dittatura democratica”, perché la struttura istituzionale è rimasta la
stessa. Bachelet sa che il Cile di oggi non è quello di 5 anni fa e questo dovrebbe spingerla a
democratizzare effettivamente il paese. Altrimenti c'è da attendersi una crescita della conflittualità
sociale, là dove questioni aperte, come quella del popolo mapuche, non vengono affrontate.
Durante la dittatura la Chiesa cilena si distinse per la difesa dei diritti umani. E oggi?
Nella Chiesa cilena coesistono diverse tendenze. Negli ultimi anni sono cresciuti i movimenti che
promuovono una religiosità devozionale, di per sé molto bella, ma che chiude la Chiesa “in
sacrestia”, come la voleva Pinochet. Altri gruppi intervengono con decisione in campo sociale, ma
si concentrano sulla difesa della vita solo in riferimento all'aborto, alla “pillola del giorno dopo”,
ecc. Un altro settore, forse non minoritario, ma poco visibile (anche perché ignorato dai mass
media), cerca di comprendere tutta la realtà sociale, economica e politica alla luce della fede.
In generale la Chiesa cilena si è un po' chiusa in sé stessa, anche a causa degli scandali provocati
dagli abusi sessuali di alcuni esponenti del clero nei confronti di minori.
Per questo ha deciso di scrivere l'anno scorso un documento intitolato “La fede e la politica si
abbracciano”?
Sì. Nel 2012, quando mi sono schierato dalla parte del movimento sociale che nell'Aysen
rivendicava, tra l'altro, il miglioramento delle infrastrutture sanitarie e educative, la tutela della
pesca artigianale e un referendum sulla costruzione delle dighe idroelettriche, il ministro segretario
generale del governo, Andrés Chadwick, e la governatrice regionale, Pilar Cuevas, mi hanno
pubblicamente invitato a “dedicarmi alla preghiera”. Ho dovuto replicare che “pregare non consiste
nel guardare il cielo ignorando la realtà”, ma “ascoltare Dio che parla anche nel povero che soffre e
nelle meraviglie della creazione” e “rispondere con amore agli appelli del Signore che oggi ci invita
a trasformare dolori e ferite in fraternità e giustizia”. Le decisioni politiche hanno conseguenze sulle
persone, per cui chi crede nel Vangelo deve farsene carico con responsabilità. Temi come la
povertà, l'esclusione sociale, la distruzione dell'ambiente chiedono un impegno a partire dalla fede,
che non è solo adesione a una dottrina. O catechesi, liturgia e solidarietà si potenziano
reciprocamente oppure non si ha una vita cristiana piena. Ridurre, per esempio, la fede al culto è
una grave distorsione e una tentazione cui la Chiesa in Cile è esposta.
Come vede questo ultimo periodo della Chiesa universale con l'arrivo di Papa Francesco?
Ne gioisco. Come gesuita e arcivescovo di Buenos Aires, egli ha condotto una vita semplice e
austera, facendo esperienza di comunità nella sua congregazione e condividendo la condizione del
suo popolo. Vuole vivere così anche da Papa, per cui smantella segni legati al potere. La Chiesa,
infatti, ha conservato per troppo tempo strutture e stili dell'Impero romano o del Medio Evo. Allora
ciò manifestava un'effettiva inculturazione, ma oggi sono obsoleti e non riflettono la pluralità delle
culture presenti nelle diverse parti del mondo. Francesco sta cancellando queste forme caduche,
liberando l'essenza del messaggio evangelico, della vita cristiana e dell'esperienza di Chiesa: per
esempio, non è meno Papa perché non vive nel Palazzo vaticano. A chi nella Chiesa è più attaccato
al potere o a stili e strutture tradizionali questa novità può risultare sgradita non meno del fatto che
il Papa sottolinei la necessità di un discernimento ecclesiale su vari temi etici e sociali. D'altro canto
l'umanità cresce nella coscienza della realtà: prima di Cristo la schiavitù era considerata normale e
fino a un secolo fa le donne non potevano votare. Oggi ci siamo resi conto che l'essere umano è
l'essere umano. Francesco ci propone di attualizzare la nostra vita di fede alla luce di quella che i
vescovi latinoamericani hanno chiamato “una nuova epoca dell'umanità”. Se la Chiesa non
partecipa all'elaborazione della cultura del mondo odierno sarà emarginata, e con essa la fede, che
invece può dare molto. E io vedo nella gente un grande desiderio e bisogno di spiritualità, perché il
consumismo distrugge la persona e la coscienza.
Quale pensa siano le questioni più urgenti da affrontare a livello di Chiesa universale?
Senza dubbio l'esistenza di questo sistema di potere che è soprattutto economico e politico. Esso
tenta di “comprare” chi potrebbe criticarne l'operato, compresa la Chiesa. Io lo sperimento
nell'Aysen. Allearsi con questi poteri è una grande tentazione Quindi è importantissimo interrogarsi
su quale deve essere la relazione della Chiesa con loro.
Essenziale è poi chiedersi come la Chiesa può partecipare alla soluzione dei grandi problemi
dell'umanità, prima di tutto la povertà. Ne va della sua missione e della sua credibilità. Non servono
tanti documenti, ma maggior discernimento, dialogo, preghiera, rispetto, comprensione delle
situazioni e delle persone. A questo discernimento bisogna educare, il che implica, per esempio, una
catechesi preoccupata non solo della purezza dottrinale, ma dell'effettiva inculturazione della fede, o
una liturgia più attivamente partecipata e vicina all'esperienza della gente. Su questi e altri temi
(ruolo di laici e donne, ministeri ecclesiali, ecc.) dovrebbe avere più spazi di decisione la Chiesa
locale.