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CILE

L’11 marzo il trentaseienne Gabriel Boric, eletto il 19 dicembre per l’alleanza di sinistra Approvo
dignità (imperniata su Fronte ampio e Partito comunista del Cile), si è insediato alla presidenza
“davanti al popolo e ai popoli del Cile”, a sottolineare il carattere plurinazionale dello Stato. Giunto
alla Moneda sull’onda delle proteste popolari del 2019 contro le enormi disuguaglianze sociali
generate dal mantenimento del modello neoliberista introdotto durante la dittatura militare del gen.
Augusto Pinochet (1973-1989) e sancito dalla Costituzione del 1980, Boric ha varato un governo
composto da quattrodici donne e dieci uomini, tra cui la ministra della Difesa, Maya Fernandez
Allende, nipote di Salvador Allende, e quella dello Sport, Alexandra Benado, ex calciatrice lesbica,
ma anche, a rassicurare i mercati, quello delle Finanze, Mario Marcel, presidente della Banca
centrale. Il gabinetto, comunque, evidenzia il protagonismo della generazione emersa dalle lotte
studentesche dell’ultimo decennio, da cui provengono, oltre allo stesso capo dello Stato, il ministro
segretario generale della presidenza, Giorgio Jackson, e la ministra segretaria generale di governo,
Camila Vallejo.
Il programma dell’esecutivo prevede la riforma della sanità per garantire l’accesso universale alla
salute, del sistema previdenziale per superare il meccanismo dei fondi pensione a capitalizzazione
individuale che distribuisce assegni bassissimi, e del fisco, aumentando le tasse per i ricchi e le
grandi imprese, il rilancio dell’istruzione pubblica, la democratizzazione delle forze dell’ordine,
responsabili della repressione delle proteste del 2019 (costate 34 morti, 3.500 feriti e 9.000 arresti),
la decarbonizzazione del paese e il rafforzamento della sovranità sullo sfruttamento di litio e rame,
il rispetto dei diritti umani e il raggiungimento della parità di genere. Carlos Ominami, ex ministro
socialista dell’Economia del governo di Patricio Aylwin, ha sostenuto che "il Cile sta cercando di
approfondire la democrazia e superare il neoliberismo attraverso i canali istituzionali. Insomma, una
sorta di nuova 'via cilena' verso qualcosa che combina elementi di socialdemocrazia, ecologia e
femminismo". A ciò si deve aggiungere la necessità di avviare a soluzione il conflitto
dell’Araucanía per il riconoscimento dei diritti, prima di tutto alla terra, del popolo mapuche, finora
affrontato dallo Stato mediante la militarizzazione della regione e la repressione dei leader nativi.
Non disponendo di una solida maggioranza in Parlamento, per attuare questo programma il
governo dovrà negoziare con una destra politica e un’élite economica poderose, sperando di poter
contare sul sostegno del movimento popolare e delle organizzazioni della società civile – come le
assemblee di quartiere, la rete No+Afp, che rivendica pensioni per i lavoratori precari, il Movimento
di difesa dell’acqua, della terra e dell’ambiente (Modatima) - nonostante in molti casi queste realtà
esprimano una forte carica antistituzionale e non abbiano legami organici neppure con le formazioni
politiche radicali.
In ogni caso, la possibilità che lo slogan di Boric "il Cile è stato la culla del neoliberismo e sarà la
sua tomba" si avveri dipenderà anche dalla Costituzione che uscirà dalla Convenzione
costituzionale e sarà sottoposta entro la fine dell’anno a un referendum confermativo.
Intanto, alla vigilia del suo insediamento, Boric ha incontrato i rappresentanti delle religioni e in
quell’occasione il cardinale Celestino Aós, arcivescovo di Santiago e presidente della Conferenza
episcopale del Cile (Cech), gli ha garantito la cooperazione critica e costruttiva della Chiesa
cattolica: "La riconosciamo come la massima autorità della nazione, scelta da tutti i cileni e le
cilene, e potrà contare sulla nostra collaborazione per costruire un Cile più giusto, dove regnino la
verità e l'onestà, e il dialogo prevalga sulla violenza". Tuttavia nell’episcopato coesistono posizioni
assai diverse, come dimostrato, all’indomani della sua elezione, da una parte, dall’affettuosa lettera
inviatagli dal vescovo emerito di Rancagua, mons. Alejandro Goic, che si è complimentato col
nuovo capo di Stato per aver “risvegliato ideali, sogni di un paese più giusto per tutti, specie per i
più poveri”, mentre mons. Francisco Stegmeier di Villarica ha scritto al proprio clero definendo la
vittoria di Boric “parte del combattimento escatologico. Boric non è diverso dai suoi predecessori.
Tutti sono andati nella stessa direzione di secolarizzare e scristianizzare la società. A noi ora tocca
solo essere fedeli al Signore, ciascuno al proprio posto di combattimento”.
Il 12 marzo, dopo aver partecipato a una cerimonia guidata dai leader dei popoli originari nel
Palazzo della Moneda (“un rito pagano”, secondo i cattolici ultraconservatori), Boric ha presenziato
alla “Solenne preghiera ecumenica per il popolo del Cile”, che si svolge all’inizio di ogni mandato
presidenziale, e il giorno dopo ha dichiarato: “Mi ha infastidito vedere ieri nella cattedrale gente che
ha coperto gravi crimini contro i bambini”, riferendosi ai due arcivescovi emeriti di Santiago, il
card. Ricardo Ezzati e il suo predecessore card. Francisco Errazuriz, sotto inchiesta dalla
magistratura per aver coperto le abusi commessi da p. Fernando Karadima. “Anche i presidenti
della Repubblica possono sbagliare", ha replicato il card. Errazuriz: “È chiaro che il nostro
presidente, Gabriel Boric, non è a conoscenza di quello che abbiamo fatto il card. Ezzati e io,
lottando contro l'abuso di potere e gli abusi sessuali in Cile. Sembra non sappia tutto quanto
abbiamo fatto per scoprire gli abusi di Fernando Karadima, il processo che abbiamo aperto su di lui,
eliminando la prescrizione dei fatti, e la punizione impostagli dal Vaticano, rimuovendolo dal
sacerdozio".
Questo incidente conferma come la vicenda degli abusi, insieme alla secolarizzazione, abbiano
relegato la Chiesa a un ruolo minore nella società cilena e screditato la sua gerarchia. Tale perdita di
credibilità non è stata probabilmente estranea neppure alla pasticciata vicenda della nomina, poi
rientrata, a “coordinatore nazionale degli accampamenti del ministero della Casa” del gesuita p.
Felipe Berrios, fondatore dell’ong Un tetto per il Cile, che costruisce abitazioni popolari. Al di là,
infatti, del balletto di annunci e smentite, e di ruoli esecutivi o di semplice consulenza ventilati per
il religioso, come ha rilevato Marcial Sanchez Gaete, docente di Storia all’Università cattolica Raul
Silva Henriquez, pur essendo p. Berrios “conosciuto come un critico interno della Chiesa”, è il
semplice fatto di essere un prete, cioè una “figura che ha perso prestigio e rispetto”, a provocare
polemiche, e Boric ha detto di “aver visto la preoccupazione che la notizia della nomina aveva
suscitato tra le vittime di abuso sessuale”.
Il 15 marzo, infine, la Convenzione costituzionale ha approvato un articolo che obbliga lo Stato a
garantire alle donne “le condizioni per un’interruzione volontaria della gravidanza”. Immediata e
durissima è giunta la reazione del Comitato permanente della Cech, che non solo l’ha criticata nel
merito (“Questa norma, di per sé, è un gravissimo attacco alla dignità della persona umana e ai suoi
diritti fondamentali, al di là di qualsiasi concezione religiosa. Inoltre, non stabilisce nessuna
condizione o limitazione a questo diritto, né dà un mandato al legislatore per regolamentarlo per
legge, il che lascia la strada aperta per permettere l'aborto in ogni caso. Una volta che l'aborto è
stabilito come un diritto costituzionale senza restrizione, qualsiasi legge che cerchi di
regolamentarlo può essere dichiarata incostituzionale. In questo modo, creature anche di sette o otto
mesi o che stanno per nascere possano essere abortite”), ma anche fatto intravedere la possibilità di
invitare per questo la popolazione a respingere il progetto di nuova Costituzione nel referendum di
ratifica: “Se questa decisione non viene cambiata, la Convenzione costituzionale pone un ostacolo
insormontabile al fatto che molti cittadini diano la loro approvazione al testo costituzionale che si
sta elaborando. Ci dispiace che la maggioranza dei membri della Convenzione scelga di polarizzare
il processo costituzionale con una questione così importante, invece di offrire una proposta in cui la
maggioranza dei cileni possa riconoscersi, al di là delle nostre legittime differenze, intorno a un
progetto condiviso”.

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