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Cause:
1. Crescita demografica ininterrotta dalla metà del XVIII secolo
2. Urbanizzazione dovuta alle migliori condizioni igieniche e alla più alta possibilità di lavorare 3. Espansione
del mercato che allargava l'accesso ai consumi
4. Diffusione dell'istruzione elementare divenuta obbligatoria
5. Diffusione di nuovi mezzi di comunicazione
Caratterizzata da:
1. Omogeneità e omologazione dei comportamenti sociali e culturali che rendono facile la manipolazione
degli individui;
2. Organizzazioni burocratiche che non responsabilizzano l'individuo (anonimato)
3. Strumenti che agiscono sulla coscienza degli individui (propaganda)
Alla fine dell'800, col diffondersi dell'industrializzazione e dei connessi fenomeni di urbanizzazione, solo nei
paesi economicamente più avanzati dell'Europa occidentale e del Nord America, si delineano i contorni di
quella che oggi chiamiamo «società di massa»: «massa» nel senso di moltitudine indifferenziata al suo
interno, di aggregato omogeneo in cui i singoli tendono a scomparire rispetto al gruppo. Nella società di
massa la maggioranza dei cittadini vive in grandi e medi agglomerati urbani; gli uomini entrano in rapporto
fra loro con maggiore frequenza e facilità grazie, anche, alla disponibilità di mezzi di trasporto, di
comunicazione e di informazione, ma questi rapporti hanno spesso un carattere anonimo e impersonale. Il
sistema delle relazioni sociali non passa più attraverso le piccole comunità tradizionali (locali, religiose, di
mestiere), ma fa capo agli apparati statali, ai partiti politici e in genere alle «organizzazioni di massa», che
esercitano un peso crescente sulle decisioni pubbliche e sulle stesse scelte individuali. Il grosso della
popolazione è entrato, come produttore o come consumatore di beni e di servizi, nel circolo dell’economia
di mercato. I comportamenti e la mentalità tendono a uniformarsi secondo nuovi modelli generali,
svincolati dagli schemi e dalle consuetudini delle società tradizionali. La società di massa è dunque una
realtà complessa, risultante dall’intreccio di una serie di processi economici, di trasformazioni politiche, di
mutamenti culturali. Una realtà che ha suscitato reazioni, a seconda dei punti di vista, ora con tratti
ottimistici: l'ascesa delle masse come frutto della democratizzazione e della diffusione del benessere, ora
con accenti di angosciata preoccupazione: il dominio delle masse come appiattimento generale e come
minaccia per le libertà individuali e metteva in crisi l'equilibrio e l'ordine della società ottocentesca (Le Bon
e Gasset).
Con la società di massa si nota un cambiamento della struttura economica, socio- culturale e politica.
Da un punto di vista economico:
Maggiore produzione di beni con conseguente abbassamento dei prezzi;
Nascita del sistema rateale;
Concorrenza grazie alla quale si diffuse l'uso della pubblicità;
Interesse da parte degli industriali circa le esigenze dei consumatori per produrre merci sulla
base delle richieste individuate.
Da un punto di vista socio-culturale:
Diminuzione delle ore di lavoro che concedeva tempo libero ai lavoratori;
Sviluppo del turismo di massa, grazie all'introduzione di nuovi mezzi di trasporto;
Diffusione di locali notturni e caffè;
Sviluppo del cinema e affermazione dello sport come forma di spettacolo;
Educazione delle masse da parte dello Stato per l’obbligatorietà sia dell'istruzione base che del
servizio militare;
Da un punto di vista politico:
Costituzione di partiti "di massa" con un'organizzazione stabile ed una propria identità ideologica;
Nascita di sindacati che rivendicavano i diritti dei lavoratori;
Nascita di un'opinione pubblica
L’ITALIA GIOLITTIANA
IL CONTESTO SOCIALE, ECONOMICO E POLITICO DELL’ASCESA DI GIOLITTI
Alla fine dell’ottocento l’Italia aveva vissuto la “ crisi di fine secolo” che determinò una serie di tumulti
popolari. Questi tumulti vennero repressi dal generale Bava Beccaris.
L’anno successivo, il nuovo governo, presieduto dal generale Luigi Pellox aveva presentato all’approvazione
della camera dei deputati una serie di leggi eccezionali che vietavano le manifestazioni politiche,
introducevano limiti alla libertà di stampa e prevedevano lo scioglimento delle associazioni giudicate
sovversive. L’opposizione parlamentare dei socialisti era riuscita a impedire l’approvazione delle leggi di
Pelloux e aveva condotto nuove elezioni, che si tennero nel 1900.
Fu dimesso Pelloux e il primo ministro divenne Giuseppe Saracco, il quale tentò di attuare una politica di
distensione. Pochi giorni dopo aver conferito a saracco l’incarico di formare il nuovo governo, il 29 luglio
1900 il re d’Italia Umberto I fu assassinato a Monza durante una cerimonia pubblica, da Gaetano Brescia, il
quale intendeva vendicare le vittime di Milano.
Una vera e propria svolta in senso liberale si ebbe nel 1901, quando il nuovo re Vittorio Emanuele III diede
l’incarico di formare il governo a Giuseppe Zanardelli, che chiamò al ministero degli interni Giovanni
Giolitti, il leader delle forze liberali progressiste del paese che era già stata a capo del governo nel 1892 e
che dominerà la vita politica italiana per i primi 15 anni del 900, per questo definiti età Giolittiana.
L’età Giolittiana coincise con l’inizio del graduale processo di industrializzazione che portò l’economia
italiana ad assumere una fisionomia agricolo industriale. I fattori che favorirono tale sviluppo furono:
l’adozione di una politica protezionistica che, attraverso l’introduzione di dazi sulle importazioni
intervenne a tutelare le industrie italiane dalla concorrenza di quelle straniere.
le banche miste, così definite perché si dedicavano sia l’attività di deposito sia quella di
investimento.
Inoltre iniziarono a crescere le imprese chimiche, siderurgiche, elettriche e soprattutto meccaniche. Teatro
dello sviluppo industriale furono le regioni nord occidentali del paese, le più importanti Torino, Milano e
Genova dette “triangolo industriale” italiano.
All’inizio del processo di espansione industriale sia gli operai sia gli addetti al settore agricolo si trovarono in
condizioni difficili, salari bassissimi e a vivere ai limiti della decenza.
Ne scaturì una forte protesta sociale da cui si origina una grande ondata di scioperi che tra il 1901 al 1902
interessò tutti settori industriali e coinvolse anche il mondo contadino.
Per la prima volta il governo li affronto senza ricorrere alla repressione grazie alla nuova linea di intervento
intrapresa da Giolitti.
Egli riteneva che, di fronte alle legittime rivendicazioni dei lavoratori, la repressione avrebbe aggravato la
protesta. Soltanto un miglioramento delle condizioni di vita delle classi più disagiate avrebbe risolto i
conflitti e pacificato le parti sociali. Secondo Giolitti, le organizzazioni del movimento operaio dovevano
essere viste come risultato del progresso della moderna società di massa.
Giolitti mise in pratica il suo pensiero riformista impartendo ai prefetti la direttiva di garantire l’ordine
pubblico, senza soffocare con la forza gli eventuali moti di protesta. Per la prima volta il governo assicurò un
miglioramento delle condizioni salariali.
Inoltre nel 1902 Giolitti promosse una legge a tutela del lavoro minorile, che fu vietato ai minori di 12 anni,
e delle donne.
GIOLITTI E I SOCIALISTI
All’inizio del 900 il mondo socialista e operaio si trovi una fase di fermento, di cui era sintomo lo sviluppo
delle organizzazioni sindacali: le camere del lavoro, associazioni operaie su base locale nata fine ottocento,
crebbero in modo esponenziale.
Dallo strumento riformista venne promossa, nel 1906, la fondazione della confederazione generale del
lavoro, la quale riuniva e coordinava diverse associazioni sindacali precedentemente esistenti
La corrente estremista, nel 1911, uscì dalla CGDL e diede vita a l’unione sindacale italiana.
Il partito socialista e era diviso tra moderati e massimalisti:
Riformisti - La corrente riformista, che aveva la propria guida in Filippo turati, era convinta che
fosse necessaria la collaborazione con altre forze politiche, aperta al progresso sociale, pur di
consentire l’affermazione delle istanze del movimento operaio (collaborazione con Giolitti )
Rivoluzionari -Versante opposto, i socialisti rivoluzionari, risoluto nel mantenere una linea di rigida
intransigenza di fronte a tutti i partiti borghesi (opposizione a Giolitti)
Giolitti riuscì a dialogare con gli esponenti del socialismo moderato. Nel 1903 arriva perfino a proporre a
turati di entrare a far parte del suo primo governo, egli rifiutò a causa della lacerazione all’interno del suo
partito, in quel momento dominato dalla corrente rivoluzionaria. Per iniziativa di quest’ultima, nel 1904
venne indetto il primo sciopero generale della storia italiana come reazione all’uccisione in Sardegna di
alcuni lavoratori durante lo scontro con le forze dell’ordine. In quell’occasione la politica conciliante Giolitti
risultò vincente. l’efficacia dell’operato dello statista liberale venne confermata nelle elezioni che si tennero
nello stesso anno, 1904, durante le quali egli poté contare sull’appoggio politico dei cattolici. l’ala moderata
dei socialisti prevalse allora su quella rivoluzionaria, inaugurando una collaborazione con il governo.
GIOLITTI E I CATTOLICI
Nel corso dell’età Giolitti A.N.A. anche cattolici italiani iniziano ad avere un ruolo politico sempre più
importante. Da una parte abbiamo:
Il cattolicesimo intransigente che prevaleva nell’opera dei congressi ,nata nel 1874. Secondo tale
corrente la chiesa avrebbe dovuto disinteressarsi delle questioni politiche del paese.
Movimento democratico cristiano fondato nel 1905 da Romolo murri , il quale auspicava
l’intervento della chiesa a favore dei lavoratori e una maggiore democratizzazione delle istituzioni
esistenti.
Corrente dei cattolici moderati, di cui si faceva portavoce Filippo Meda, il quale riteneva necessario
che cattolici si inserissero all’interno dell’istituzioni dello Stato liberale, considerato “un peccatore
da salvare” al fine di riformarlo.
Nel 1903 morì Leone XIII e gli succedette Pio X. Contrario all’idea di murri il nuovo Papa ne condanno le
dottrine e fece confluire il movimento democratico cristiano all’interno dell’opera dei congressi .
Tuttavia , rendendosi conto che l’isolamento politico avrebbe favorito i socialisti, procedette alla
sospensione del non expedit , autorizzando candidature cattoliche moderate in appoggio ai liberali
Giolittiani. Nel 1904 pio X sciolse l’opera dei congressi e permise alla corrente clerico-moderata di
presentarsi alle lezioni.
Per la prima volta dopo l’unità d’Italia, due deputati cattolici entrarono in parlamento. L’alleanza tra Giolitti
e la chiesa venne dunque sulla base della comune opposizione al socialismo rivoluzionario.
GIOLITTI E NAZIONALISTI
A fronte dell’ala progressista della liberismo italiano, rappresentato dallo stesso Giolitti, stava emergendo
una destra liberale di orientamento conservatore, contraria ogni apertura nei confronti di socialisti e
sindacati e incline a fare propri gli ideali del nazionalismo. Essa pretendeva dal governo un atteggiamento
più aggressivo e militarista in politica estera e la linea dura contro gli scioperi sul piano interno.i nazionalisti
davano voce all’insoddisfazione di una parte della piccola e della media borghesia italiana nei confronti dei
governi liberali.
Erano rappresentati da alcuni intellettuali, come Enrico Corradini, Giovanni Papini e Giuseppe prezzolini, I
nazionalisti nel 1910 si organizzarono politicamente, dando vita all’associazione nazionalista italiana, che
ottenne progressivamente sempre più significativo. Il programma di tale movimento, che rilevava una
concezione dello Stato radicalmente antidemocratica, da un lato prevedeva la repressione della lotta
operaia e dall’altro individuava la soluzione ai problemi della società italiana nell’espansionismo territoriale
e nella conquista di colonie. Alla lotta di classe quindi andava sostituita la lotta tra le nazioni proletarie,
come il nostro era considerato dai nazionalisti e le vecchie corrette nazioni plutocratiche.
LUCI E OMBRE DEL GOVERNO DI GIOLITTI
Ne scaturì una politica che risulta ambivalente e attratti oscura causata in generale dalla propensione più
liberali nell’ambito della politica interna e più nazionalista in quella della politica estera.
Le riforme sociali
Nell’ambito della normativa sul lavoro, l’introduzione nel 1907 del giorno di riposo settimanale, si
affiancarono norme che regolavano il lavoro notturno e altri che prevedevano un congedo per le
donne durante la gravidanza e l’istituzione di una cassa maternità per offrire sussidi alle lavoratrici
dopo il parto.
Fu ampliata la legislazione contro gli infortuni e quella relativa la tutela pensionistica in caso di
invalidità e vecchiaia
Nel 1912 venne fondato l’ispettorato del lavoro, un’autorità che rese più efficace l’azione di sorveglianza
sull’applicazione corretta delle leggi sul lavoro prima svolta dalla polizia.
Con la legge daneo-credaro del 1911 l’obbligo scolastico venne esteso fino ai 12 anni e la spesa per
istituire sul territorio nazionale le scuole elementari attribuita allo Stato
Le riforme economiche
Giolitti predispose un programma di statalizzazione di servizi di pubblica utilità.
Il primo settore essere statalizzato nel 1903 fu quello dei telefoni; seguì nel 1905 il progetto di
nazionalizzazione delle ferrovie, al quale erano contrari gli ambienti economici più liberalistici in quanto
imponeva il controllo del potere politico in materia economica.
Per tale motivo Giolitti preferì dimettersi, lasciando per pochi mesi la guida del governo al liberale
Alessandro Fortis che fu incaricato di portare a termine la riforma.
Il proposito di ottenere un equa distribuzione del carico fiscale attraverso l’introduzione di un’imposta
progressiva sul reddito, non accadde a causa dell’opposizione in parlamento dei conservatori, che
determinò nel 1909 la caduta del secondo governo Giolitti.
Nel 1912 fu realizzato il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita con la nascita dell’INA, con il quale
lo Stato si sarebbe fatto carico delle pensioni di invalidità e di vecchiaia dei lavoratori.