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«collettività emerse nello spazio intermedio tra Stato e individuo, tra istituzioni e setto-
ri produttivi, tra agenzie e identità sociali»26. In tutta evidenza, possiamo ritrovare que-
ste qualità specifiche soprattutto nelle organizzazioni di terzo settore o in tutte quelle
reti e aggregazioni sociali che rispondono alle caratteristiche fin qui esposte. Siamo
chiari: se, in questi termini, la comunicazione sociale è prevalentemente una comunicazio-
ne del terzo settore, non vale l’inverso. Non tutta la comunicazione prodotta dal Terzo
settore può dirsi sociale. Nella stessa misura in cui non tutte le sue attività possono dirsi
pubbliche, solidali, volontaristiche o del tutto aliene da interessi di parte. Occorre,
quindi, precisare i confini e i metodi di questo tipo di comunicazione.
NOTE
1 Su richiesta dell’autore questo saggio è coperto da licenza Creative Commons (attribuzione-non commer-
ciale), ovvero con la seguente dizione: «È consentita la riproduzione, parziale o totale, di questo articolo
e la sua diffusione in via telematica purché non sia a scopo commerciale e a condizione che sia riportata
la fonte e l’autore» (www.creativecommons.it).
2 Articolo 7 del Contratto di servizio 2003-2005 tra il Ministero delle Comunicazioni e la RAI- Radiotelevisione Ita-
liana S.p.A.
3 S. Trasatti, Non profit e comunicazione in U. Ascoli (a cura), Il Welfare futuro: manuale critico del terzo settore, Ca-
rocci, Roma 1999. Anche per l’informazione sociale le possibili definizioni sono ben più complesse e
approfondite, su questo tema la riflessione del direttore dell’Agenzia Redattore sociale ci sembra ancora at-
tuale.
4 P. Lalli (a cura), Imparziali ma non indifferenti. Il giornalismo di Redattore Sociale. Agenzia di stampa quotidiana,
sione dalla riflessione mediologica successiva, ma che spesso rimane come «teoria standard» per imma-
ginare i processi comunicativi (R. Ronchi, Teoria critica della comunicazione, Bruno Mondadori, Milano
2003). Cfr. M. Morcellini, G. Fatelli, Le scienze della comunicazione. Modelli e percorsi disciplinari, Nuova Italia
Scientifica, Roma e M. Morcellini (a cura), Il mediaevo italiano, Carocci, Roma 2005.
14 Cfr. M. Morcellini, La rivoluzione copernicana della Pubblica Amministrazione, “Desk” – Speciale Compa Bo-
mi anni – la definisce esplicitamente come «una comunicazione che riguarda temi, questioni e issues di in-
teresse generale, il cui obiettivo prioritario è quello di sensibilizzare o educare determinati pubblici di riferi-
mento o l’intera popolazione», G. Gadotti, Gli attori e i temi della comunicazione sociale in E. Cucco, R. Paga-
ni, M. Pasquali (a cura), Primo rapporto sulla comunicazione sociale, Eri-Rai, Roma. 2005, p. 48, enfasi nostra.
16 L’accento sull’interesse generale è posto in particolare dal lavoro di Gregorio Arena. La definizione ri-
sultante di comunicazione appare molto più vicina a quella qui tratteggiata rispetto a quelle precedenti.
Cfr. G. Arena (a cura), La comunicazione di interesse generale, Il Mulino, Bologna.
17 Paolo Mancini, nel suo Manuale di comunicazione pubblica (Laterza, Roma-Bari 1999), mette in evidenza la
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funzione di coesione e integrazione sociale che può essere svolta dalla comunicazione sociale.
18 È Andrea Volterrani a sottolineare l’importanza di considerare la complessità dei panorami sociali
nell’ideare e progettare attività di comunicazione sociale. Cfr. A. Volterrani, Panorami sociali. Il sociale nei
media, i media nel sociale, Liguori, Napoli 2003, pp. 80-87.
19 Il concetto di capitale sociale, ormai largamente introdotto nel dibattito scientifico italiano, rimanda
proprio alla capacità degli individui di “attivare” e “valorizzare” consistenti network sociali. È l’imponente
lavoro di Putnam a mettere in evidenza l’utilità collettiva della presenza e di un’ampia dotazione di capi-
tale sociale per lo sviluppo ed il benessere di un paese. Cfr. R. D. Putnam, Capitale sociale e individualismo:
crisi e rinascita della cultura civica in America, Il Mulino, Bologna 2004.
20 N. Bosco, La forma dell’acqua: spunti di riflessione sulla comunicazione sociale, in Cucco, Pagani, Pasquali, cit.,
p. 12. Nicoletta Bosco ha recentemente proposto questa possibile definizione di comunicazione sociale
nel rapporto sulla comunicazione sociale realizzato dall’Osservatorio sulle Campagne di Comunicazione
Sociale (OCCS), un testo che però conserva un orientamento fortemente legato al carattere educativo e
persuasivo del messaggio sociale.
21 È possibile sostenere la maggiore “efficacia” di questo punto di vista anche nei confronti dei tradiziona-
li approcci alla «comunicazione di utilità sociale»: infatti l’attenzione alle relazioni sociali instaurate con-
sente l’attivazione di modalità comunicative più coinvolgenti, esperenziali ed economicamente più effi-
cienti.
22 U. Ascoli (a cura), Il Welfare futuro: manuale critico del terzo settore, Carocci, Roma 1999, p. 21. Naturalmente
il Terzo settore non detiene l’esclusiva di questo compito. I gruppi informali, i rapporti di parentela e di
vicinato costituiscono uno dei serbatoi principali di capitale sociale, ciò non toglie che le organizzazioni
non profit e, quindi, la comunicazione sociale possano rappresentare un “volano” indispensabile alla sua
creazione ed espressione. Cfr. M. Guidotti, Per un nuovo agire del volontariato, “Relazioni solidali”, 0/2, no-
vembre-febbraio 2005.
23 O. de Leonardis, In un diverso welfare. Sogni e incubi, Feltrinelli, Milano 1998, p. 12.
24 Putnam definisce il “lato oscuro del capitale sociale” l’utilizzo delle relazioni per costruire vantaggi per-
sonali contribuendo, in tal modo, alla segmentazione e all’esclusione sociale. Questo punto di vista è le-
gato all’opera e alla definizione di capitale sociale introdotta da Pierre Bourdieu. Cfr. J. Field, Il capitale
sociale: un’introduzione, Erickson, Trento 2004, pp. 91-113.
25 Il carattere pubblico delle relazioni sociali appare come la qualità e la necessità principale per lo svilupparsi
della comunicazione sociale. Allo stesso modo, la disponibilità di ambienti di condivisione delle infor-
mazioni, spazi dove sviluppare le reti sociali, territori di cooperazione e elaborazione culturale appaiono
necessari per il loro mantenimento. Per questo motivo l’Osservatorio si è fatto promotore di «ComuIcare.
Diritto alla comunicazione e alla conoscenza: beni pubblici per innovare il welfare», un documento-appello qui alle-
gato che propone di fondare un «nuovo welfare della comunicazione e della conoscenza» proprio sulla costru-
zione e il mantenimento della comunicazione e relazione sociale come bene collettivo.
26 Riprendiamo qui i termini della prima definizione di comunicazione sociale articolata nel 2003
dall’Osservatorio Terza.com grazie all’attività del Laboratorio di comunicazione sociale Social Media Lab
diretto da chi scrive e da Barbara Mazza.
27 Cfr. M. Morcellini, La comunicazione sociale, in M. Lucà (a cura di) Dizionario della solidarietà, L’Unità –
ma, utilizzare in via prevalente questa definizione. Piuttosto Donati riferisce espressamente questa defi-
nizione al concetto di capitale sociale qui richiamato, mettendo in evidenza che «chi genera il capitale so-
ciale è il privato sociale: il mercato e lo Stato lo utilizzano secondo le modalità loro proprie», P. Donati,
I. Colozzi (a cura), Il terzo settore in Italia, Franco Angeli, Milano 2004, p. 16.