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UNIVERSIT DELLA CALABRIA

SCIENZE DELLEDUCAZIONE

Sociologia delle comunicazioni di massa B


2009/10

Prof. Giovannella Greco


giovannellagreco@libero.it

EVOLUZIONE DELLE TEORIE SUGLI EFFETTI DEI MEDIA

Quattro fasi
Prima fase: MANIPOLAZIONE media onnipotenti

Seconda fase: verifica delle teorie sui media onnipotenti PROPAGANDA Terza fase: riscoperta del potere dei media PERSUASIONE Quarta fase: influenza negoziata dei media INFLUENZA QUALE INFLUENZA?

I FASE (1900-1930) MEDIA ONNIPOTENTI

La fase davvio degli studi sulle comunicazioni di massa caratterizzata da una contrapposizione tra due diverse posizioni teoriche: una a favore, laltra contro i mass media. Entrambe queste posizioni, pur nella loro diversit, tendono riduttivamente ad attribuire ai media ununica funzione, o una funzione nettamente prevalente rispetto alle altre possibili: essi sono ritenuti agenti della modernizzazione e della democrazia (integrati) o, al contrario, agenti del dominio e del controllo autoritario delle coscienze (apocalittici) (1).
(1) I termini apocalittici e integrati sono stati utilizzati per la prima volta da Umberto Eco. Cfr. U. Eco, Apocalittici e integrati, Bompiani, Milano 1964.

La prima posizione, sostanzialmente ottimista, sulla scia della tradizione illuminista e positivista, considera la moderna societ industriale come figlia del progresso. La nuova societ di massa perch, diversamente dal passato, la gran massa della popolazione ha la possibilit di accedervi, abbandonando le posizioni di marginalit nelle quali si trovava relegata.

In questa prospettiva, la societ di massa caratterizzata da un processo di democratizzazione politica, sociale, culturale e da unenfasi sulla dignit della persona e sui diritti individuali.

Secondo questo contribuiscono infatti a:

approccio,

media

a) attenuare le barriere tra le diverse classi sociali, proponendo a tutti le stesse informazioni, le stesse opportunit dintrattenimento e di evasione, le stesse sollecitazioni culturali; b) estendere e rafforzare la partecipazione sociale e politica, e quindi la democrazia, creando una opinione pubblica pi informata e consapevole, favorendo lintegrazione sociale e, nel contempo, sollecitando il cambiamento.

La seconda posizione, sostanzialmente pessimista, considera invece la societ e la cultura di massa come esito di un processo degenerativo, imputato da destra allavvento delle masse popolari sulla scena politica e sociale e da sinistra alla logica spietata dello sviluppo capitalistico. La societ industriale rappresentata come societ dei consumi di massa, ovvero come una societ organizzata in funzione del soddisfacimento delle esigenze della produzione di massa.
Elemento centrale della critica la convinzione che i media siano utilizzati come strumenti di propaganda, dandone per scontata lefficacia.

Entrambe queste posizioni, nonostante la diversa valutazione degli effetti delle comunicazioni di massa (di segno positivo o negativo), finiscono per condividere una stessa concezione dei media, cui fa da corollario uno stesso modo di rappresentare il pubblico. Emergono, cos, una concezione dei media come agenti di effetti forti e una corrispondente concezione del pubblico come entit indifferenziata, e di fatto passiva, sulla quale i media esercitano uninfluenza diretta, senza che intervenga alcuna mediazione di ordine psicologico sociale o culturale nel rapporto tra media e pubblico.

In altre parole: se il potere dei media illimitato, il pubblico una massa, ovvero un aggregato di individui ciascuno dei quali, solitario fruitore influenzabile e persuadibile dei messaggi da essi veicolati, ne viene inevitabilmente influenzato e persuaso.

Il concetto di societ di massa fondamentale per comprendere la teoria ipodermica, nella cui prospettiva la massa pu essere considerata come un aggregato omogeneo dindividui non distinguibili luno dallaltro anche se provenienti da ambienti eterogenei, passivi, isolati gli uni dagli altri, con scarse possibilit di interagire tra loro. La massa, inoltre, priva di proprie tradizioni e regole di comportamento.

La teoria ipodermica Nellenfasi di questa presunta onnipotenza dei media (benevola o malevola che sia), prende forma la teoria dellago ipodermico (Hypodermic Needle Theory) o del proiettile magico (Magic Bullet Theory), il cui assunto di base gi espresso nelle metafore con cui la si denomina. Secondo questa teoria, come un ago ipodermico capace dinoculare qualsiasi sostanza nellorganismo, e come un proiettile magico riesce sempre a colpire il suo bersaglio, cos i messaggi veicolati dai media influenzano in maniera diretta il destinatario esercitando su di lui leffetto voluto dalla fonte.

Postulati della teoria ipodermica Il pubblico dei media costituito da una massa indifferenziata e atomizzata di individui. I messaggi costituiscono potenti, diretti e immediati fattori di persuasione. Gli individui sono essenzialmente indifesi nei confronti dei messaggi a loro rivolti.

Modello comunicativo della teoria ipodermica


Comportamentismo = S R
La teoria ipodermica trova fondamento nella psicologia comportamentista che si viene affermando, in quegli stessi anni, ad opera di J. B. Watson (1).

Secondo lapproccio comportamentista, lindividuo libero solo apparentemente, dal momento che ogni suo comportamento direttamente imputabile a cause indipendenti dalla sua volont che possono essere variamente manipolate.

In altre parole: ogni atto individuale inteso come un comportamento assimilabile ad una relazione causale di tipo lineare, secondo lo schema (S)timolo(R)isposta, da cui deriva lidea che possibile orientare, se non addirittura condizionare, il comportamento umano predisponendo stimoli adeguati.

In questa prospettiva, la ricezione e laccettazione dei messaggi veicolati dai media da parte dei destinatari sono processi che la fonte pu condizionare intervenendo, con oppurtune strategie di persuasione, sui contenuti e sullarticolazione dei messaggi stessi.

Se si considerano i processi di persuasione e dinfluenza in tale prospettiva, i messaggi proposti dai media possono essere assimilati a stimoli che, se opportunamente predisposti e veicolati, possono indurre nei destinatari reazioni nella direzione voluta dalla fonte: ad esempio, un determinato comportamento elettorale o dacquisto.

Unanimemente collocata nella fase iniziale delle riflessioni e degli studi sulle comunicazioni di massa, la teoria ipodermica si configura come il primo tentativo di individuazione e sistematizzazione del rapporto tra individui e media. Questa teoria ha goduto di uno strano destino: stata pi volte ripudiata e, allo stesso modo, pi volte recuperata, specialmente laddove si voleva evidenziare il carattere massificante e manipolatorio dei media.

Ulteriori elementi a sostegno di questa prospettiva sono proposti dalla psicoanalisi e dalle opportunit daccesso allinconscio che essa sembra offrire: se linconscio svolge un ruolo determinante nellorientare lagire individuale senza che lindividuo possa averne consapevolezza, allora possibile influenzare atteggiamenti e comportamenti individuali attivando le motivazioni inconsce con adeguate strategie di persuasione. Lattenzione si rivolge alla suggestione e, portando alle estreme conseguenze le originarie indicazioni di S. Freud (1), si percorrono nuove strade nel tentativo di mettere a punto modalit di persuasione sempre pi efficaci.
(1) S. Freud, Psicologia delle masse e analisi dellIo (1921), in Opere, Boringhieri, Torino 1971.

Desideri inconsci, bisogni latenti, motivazioni diventano le parole chiave di un approccio che riconsidera i processi dinfluenza e di persuasione alla luce della psicologia del profondo, con una rinnovata fiducia nelle potenzialit dei media, in particolare di quelli che consentono luso delle immagini (cinema). Numerosi studi avviati negli anni Trenta cominciano a porre laccento sulle dinamiche inconsce del comportamento di consumo e sulla conseguente necessit di riferire a queste le strategie di marketing e la comunicazione pubblicitaria.

II FASE (1930-1960) VERIFICA DELLE TEORIE SUI MEDIA ONNIPOTENTI

Tra gli anni Quaranta e Cinquanta, prende avvio negli Stati Uniti, prima e pi rapidamente che altrove la Communication Research, ovvero la ricerca sociale sulle comunicazioni di massa, caratterizzata inizialmente dal proliferare dindagini empiriche su problemi circoscritti e, prevalentemente, da ricerche sugli effetti dei media e sui contenuti da essi veicolati (analizzati sempre in funzione degli effetti). Gli studi di questo periodo riguardano un particolare tipo di effetti a breve termine (persuasori e comportamentali), imputabili non alle comunicazioni di massa nel loro complesso ma a singoli messaggi o insieme di messaggi, al fine di valutare la specifica influenza che essi possono esercitare sui processi di formazione, consolidamento e mutamento di singole opinioni, singoli

Non a caso, la maggior parte delle teorie elaborate fino agli anni Sessanta riguardano gli effetti dei media nei processi dinfluenza e di persuasione, ovvero le conseguenze immediate e dirette che essi inducono sulle opinioni, gli atteggiamenti e i comportamenti del pubblico.

La ricerca motivazionale
Sulla base degli studi avviati negli anni Trenta e dei loro successivi sviluppi, negli anni Cinquanta prende avvio la ricerca motivazionale, esplicitamente finalizzata a scoprire lincidenza dellinconscio sulla scelta, lacquisto e luso non soltanto funzionale ma, soprattutto, simbolico dei prodotti per definire, in riferimento a questa, nuove strategie di persuasione.

Gli operatori del settore cominciano a comprendere che, per essere veramente efficace, la pubblicit deve attivare le motivazioni inconsce che sottendono lacquisto e il consumo dei prodotti e interagire con queste, oppure aggirare le resistenze profonde e i blocchi emozionali che un prodotto pu suscitare.

In questo stesso periodo, alle ottimistiche valutazioni dei motivazionisti sullefficacia della pubblicit fanno eco le pessimistiche valutazioni sulla libert del consumatore, espresse da quanti, allepoca, insorsero contro la ricerca motivazionale la quale, mediante la pubblicit, rendeva il consumatore vittima indifesa delle nuove tecniche di manipolazione. Il manifesto di questa reazione contro la pubblicit del profondo rappresentato da I persuasori occulti di V. Packard (1), un libro sul cui sfondo troviamo lAmerica dellabbondanza e della folla solitaria, descritta da D. Riesman (2), ovvero la societ in cui ha inizio la carriera del consumatore, caratterizzata dalla continua tensione ad incrementare la propria capacit di consumo, che diventer ben presto lindicatore pi immediato del raggiunto benessere e del successo individuale.
(1) V. Packard, I persuasori occulti (1957), Il Saggiatore, Milano 1968.

Il modello di Lasswell Una sorta di filiazione della teoria ipodermica rappresentata dal modello di Lasswell, che ne costituisce uneredit ma, anche, unevoluzione. Secondo Lasswell (1), il processo di comunicazione di massa asimmetrico: con un emittente attivo che fornisce lo stimolo ed un ricevente passivo che, colpito dallo stimolo, reagisce.
(1) H.D. Lasswell, The Structure and Function of Communication in Society, in L.

Il modello mette a fuoco gli elementi principali del processo di comunicazione: who (chi = fonte) says what (dice cosa = messaggio) to whom (a chi = destinatario) in which channel (attraverso quale canale = mezzo) with what effects (con quali effetti) Gli studi successivi hanno considerato gli elementi del modello di Lasswell come contenitori o categorie al cui interno isolare le variabili da analizzare nellambito del disegno di ricerca. Si tentato, cos, di individuare per ogni singolo elemento le componenti operazionabili.

La Communication Research
Nel clima culturale, scientifico e dopinione, che andava determinandosi tra gli anni Quaranta e Cinquanta, prende avvio negli Stati Uniti prima e pi rapidamente che altrove la Communication Research, il cui sviluppo segnato da una prevalente impronta empirista e dallorientamento pragmatico che caratterizzano, fin dallinizio, la sociologia statunitense. La Communication Research nasce come studio integrato dal punto di vista sociale, culturale, psicologico, del processo comunicativo e dei suoi effetti. Coloro che per primi si dedicarono alla ricerca sociale sulla comunicazione non furono tanto sociologi o psicologi, bens scienziati politici (come Lasswell) o studiosi di retorica.

Il sovrapporsi di condizioni dettate dalla committenza a esigenze conoscitive di carattere scientifico possono spiegare perch, in questa fase, proliferino indagini su problemi circoscritti, relativi non tanto al processo di comunicazione nel suo complesso quanto, piuttosto, ad una o allaltra delle componenti di tale processo, considerata separatamente da tutte le altre. Vengono condotte, cos, ricerche empiriche settoriali sulle aziende e sugli operatori dei media (fonte), sui contenuti da essi veicolati (messaggio), sullesposizione e sulle modalit di fruizione da parte dei destinatari (pubblico), sullinfluenza dei media sul pubblico (effetti), in termini di formazione, consolidamento e mutamento di opinioni, atteggiamenti, comportamenti (effetti a breve termine).

In particolare, il prevalere dindagini sugli effetti dei media e sui contenuti da essi veicolati (analizzati sempre in funzione degli effetti) pu essere attribuito alla necessit di disporre di dati empirici per la messa a punto, da un lato, di modalit di realizzazione di prodotti mediali tali da raggiungere una vasta audience e, dallaltro, di adeguate strategie di propaganda commerciale e politica. Per queste sue caratteristiche, e per la conseguente tendenza a privilegiare le esigenze metodologiche e tecniche della ricerca rispetto a quelle teoriche, la Communication Research (come, del resto, la ricerca sociale in genere) , fin dallinizio, oggetto di accese discussioni nellambito della riflessione pi generale tra teoria ed empiria nelle scienze sociali.

Risale, infatti, ai primi anni Quaranta la polemica tra Lazarsfeld e Adorno, che ha segnato una frattura apparentemente insanabile tra ricerca amministrativa (quella che persegue, appunto, obiettivi di conoscenza utili per le aziende dei media) e teoria critica (che persegue, invece, mete di tipo teorico volte a svelare il presunto progetto manipolatorio messo in atto dai media). Alla contrapposizione tra queste due posizioni corrisponde un approccio sostanzialmente differente allo studio dei media, fondato su unaltrettanto differente concezione dei media stessi.

La teoria critica La teoria critica si fonda su un approccio che studia fenomeni complessi a livello macrosociologico, secondo una prospettiva totalizzante, e persegue lobiettivo di svelare presupposti, strategie e finalit di un siffatto progetto manipolatorio e repressivo, cui fa da sfondo una concezione dei media come strumenti di legittimazione del consenso, funzionali alla riproduzione di visioni del mondo dominanti. Questa teoria si pu identificare con il gruppo di studiosi che fa capo allIstituto per la Ricerca Sociale fondato nel 1923 a Francoforte.

La Scuola di Francoforte si propone di svelare i meccanismi disumani e alienanti della societ capitalistica, assimilando questo tipo di societ ad un grande sistema che predetermina tutto ci che lindividuo o fa, mediante limposizione a priori di bisogni indotti e modi di pensare precostituiti. Nellottica dei francofortesi, questo grande sistema ha il suo braccio dazione proprio nellindustria culturale (1). La manipolazione del pubblico passa attraverso i mezzi di comunicazione di massa, mediante effetti che si realizzano sui livelli latenti dei messaggi. Il messaggio latente ritenuto pi efficace di quello palese, poich sfugge ai controlli della coscienza e penetra direttamente nella mente dellindividuo, contribuendo a formare la sua visione del mondo.
(1) M. Horkheimer e T.W. Adorno, Dialettica dellilluminismo (1947), Einaudi, Torino

La ricerca amministrativa La ricerca amministrativa si fonda, invece, su un approccio empirico che studia fenomeni circoscritti con procedimenti quantitativi e tecniche standardizzate di raccolta, misurazione e analisi dei dati (Content Analysis), al fine di fornire indicazioni utili per il conseguimento di obiettivi dettati da esigenze di mercato, cui fa da sfondo una pi o meno esplicita concezione dei media come mezzi neutrali che, in un contesto pluralistico, operano in vista del conseguimento di pi obiettivi concreti, definiti dai responsabili dei media stessi secondo logiche aziendali.

La teoria degli effetti limitati A partire dai risultati delle ricerche empiriche condotte da P.F. Lazarsfeld e dai suoi collaboratori (1), si viene affermando la teoria degli effetti limitati, il cui postulato fondamentale che gli effetti dei media nei processi dinfluenza e di persuasione non sono diretti, bens mediati dalla realt relazionale vissuta dallindividuo, dunque da condizioni e fattori di ordine psicologico, sociale e culturale che agiscono da filtro nel rapporto tra media e pubblico.
(1) P.F. Lazarsfeld, B. Berelson, H. Gaudet, The Peoples Choise, Columbia Universiity Press, New York 1948; E. Katz, P.F. Lazarsfeld, Linfluenza personale nelle comunicazioni di massa (1955), ERI, Torino 1968.

Questo paradigma, per lungo tempo dominante negli studi sulle comunicazioni di massa, stato spesso male inteso o sottoposto a forzature nel tentativo di generalizzarne le implicazioni: molti hanno creduto, e alcuni credono tuttora, che parlare di effetti limitati dei media significasse, e significhi, disconoscerne o ridimensionarne drasticamente il potere di influenza.

Quasi a ribaltare lantica ipotesi dellonnipotenza dei media, la teoria degli effetti limitati stata interpretata e, in casi estremi, banalizzata come unapproccio teso a postulare una sorta di impotenza dei media, ovvero come un paradigma secondo il quale i media sortirebbero sul pubblico effetti di scarsa efficacia, estensione e intensit.

In realt gli assunti di base di questa teoria sono ben altri: con essa non si postula che i media producono effetti quasi nulli sul pubblico, ma, piuttosto, che la loro eventuale influenza sullindividuo non diretta, bens mediata da condizioni e fattori di natura psicologica, culturale e sociale; inoltre non si fa riferimento ad una generica influenza dei media, ma allinfluenza specifica che essi possono esercitare sui processi di formazione, consolidamento e mutamento di singole opinioni, atteggiamenti e comportamenti individuali.

per queste ragioni che Gianni Losito ha proposto di denominare questapproccio teoria dellinfluenza mediata. In ogni caso, a prescindere dalla questione terminologica, sarebbe opportuno considerare questa teoria per come essa in realt si propone: non una teoria generale degli effetti, qualunque essi siano, e dunque una teoria dellimpatto sociale dei media, bens una teoria relativa a un particolare tipo di effetti a breve termine (persuasori e comportamentali), imputabili non alle comunicazioni di massa nel loro complesso, ma a singoli e specifici messaggi o insieme di messaggi (commerciali e politici) veicolati dai media.
(1) G. Losito, Il potere dei media, NIS, Roma 1994.

Le conclusioni di Klapper

Verso la fine degli anni Cinquanta, le ricerche empiriche sugli effetti a breve termine dei media raggiungono una serie di conclusioni sintetizzate da J.T. Klapper (1).

(1) J.T. Klapper, Gli effetti delle comunicazioni di massa (1960), Etas Kompas, Milano 1964.

a) Le comunicazioni di massa non sono cause necessarie e sufficienti di effetti specifici sul pubblico; esse, semmai, interagiscono con altri fattori e fonti dinfluenza che intervengono a mediare il rapporto tra media e pubblico.
b) Lesito di tale interazione si configura, prevalentemente, come un effetto di rafforzamento, piuttosto che di consistente e duratura modificazione di condizioni (opinioni, atteggiamenti, comportamenti) preesistenti.

c) Laddove si verificasse un effetto di modificazione, esso sarebbe imputabile o al venir meno dei fattori di mediazione sopra menzionati o a questi stessi fattori che, eccezionalmente, invece di favorire il rafforzamento, si fanno essi stessi promotori della modificazione.

d) Nel caso di messaggi esplicitamente finalizzati ad incidere su opinioni, atteggiamenti e comportamenti dei destinatari (messaggi persuasori), lefficacia delle comunicazioni di massa dipende non soltanto dai media o dalla comunicazione persuasoria in quanto tale, ma anche e soprattutto dalla situazione specifica (contesto) in cui la comunicazione avviene.

Tali conclusioni evidenziano alcune rilevanti implicazioni sul piano teorico:

1) Labbandono del tradizionale modello comportamentista nello studio dei processi di comunicazione e persuasione, precedentemente assimilati ad un meccanismo del tipo stimolo-risposta. 2) Labbandono della tradizionale concezione del pubblico come massa, ovvero come aggregato amorfo dindividui passivi, socialmente isolati e incapaci dinteragire in modo significativo tra loro. 3) Lenfasi posta sullintervento di fattori sociali nei processi di comunicazione e persuasione, con particolare riferimento alla mediazione esercitata dai gruppi primari (famiglia, scuola, gruppo dei pari) e, in seno ad essi, dai leaders dopinione.

Lipotesi del two step-flow Su questultima implicazione, si pu fare riferimento allipotesi del two step-flow (flusso di comunicazione a due fasi), avanzata da E. Katz e P.F. Lazarsfeld (1), secondo cui il flusso di comunicazione, e quindi leventuale influenza dei media sul pubblico, va generalmente da questi ai leaders dopinione, e da questultimi agli altri individui allinterno dei gruppi sociali.

(1) E. Katz, P.F. Lazarsfeld, Linfluenza personale nelle comunicazioni di massa, op. cit.

Per leadership dopinione sintende unautorevolezza esercitata casualmente, talvolta involontariamente e inconsapevolmente, da alcuni individui allinterno dei gruppi caratterizzati dalla presenza di relazioni faccia-a-faccia (familiari, vicini, amici, colleghi, ecc.). Il leader dopinione colui che occupa una posizione strategica nella rete di comunicazione allinterno del gruppo stesso e, conseguentemente, colui che pi frequentemente ha contatti con gli altri membri del gruppo e con la realt esterna al gruppo; dunque, anche chi pi frequentemente si espone alle comunicazioni di massa.

Lapproccio usi e gratificazioni

Gli studi sul consumo multimediale sviluppatisi verso la fine degli anni Cinquanta negli Stati Uniti, e successivamente in Gran Bretagna, utilizzano un approccio denominato usi e gratificazioni (1) il quale, ponendo laccento sui nessi esistenti tra situazione sociale, motivazioni individuali e schemi tipici duso dei media, si basa su un modello teorico che pu essere sintetizzato nel seguente modo:
(1) E. Katz, Mass Communication Research and the Study of Popular Culture, Studies

in Public Communication, 2, 1959, pp. 1-6; A.M. Rubin, Uses, Gratifications, and media Effects Research, in J. Bryant, D. Zilmann (eds), Perspectives on Media Effects, Erlbaum, Hillsdale 1986, pp. 281-301.

a) la situazione sociale genera determinati bisogni negli individui; b) i media sono considerati, da ciascun componente del pubblico, capaci di soddisfare alcuni di questi bisogni e, per questo, vengono usati; c) dalluso dei media, in vista della soddisfazione di bisogni, il pubblico ricava delle gratificazioni che aiutano ad affrontare la situazione sociale e ad alleviare eventuali condizioni di disagio da essa prodotte.

Questo modello presenta una sostanziale continuit con alcune premesse che stanno alla base del paradigma degli effetti limitati, o dellinfluenza mediata, ravvisabile nel riconoscimento del ruolo attivo del pubblico nel rapporto con i media. Addirittura, laccento posto sullautonomia di ciascun fruitore nelloperare una selezione tra le molteplici proposte mediali risulta ancora pi evidente in questapproccio, laddove si assimila la fruizione ad un uso strumentale in vista della soddisfazione di bisogni individuali.

III FASE (1960-1980)


RISCOPERTA DEL POTERE DEI MEDIA

A partire dalle seconda met degli anni Settanta, a seguito dei mutamenti intervenuti nel sistema e nellofferta mediale, nella vita collettiva e nella domanda di conoscenza sui media, si assiste ad uno spostamento dinteresse nello studio dei media e, nello stesso tempo, ad una rinnovata enfasi sul loro potere dinfluenza. Lattenzione degli scienziati sociali comincia a rivolgersi, cos, agli effetti a lungo termine che i media possono indurre sui processi di socializzazione e di costruzione sociale della realt. Il che porta a considerare come centrale unarea del fenomeno precedentemente ritenuta secondaria e accidentale, ovvero le conseguenze graduali e indirette che una prolungata esposizione ai media pu produrre sullattivit cognitiva e percettivo-rappresentazionale dellindividuo. In questa prospettiva, sono elaborate nuove teorie e strategie dindagine pi complesse.

Quanto al riproporsi dellidea dei media come agenti di effetti forti, questa come osserva J. Carey pur non presentando un andamento ciclico sembra accentuarsi in periodi e in contesti in cui la societ debole, cio in crisi o in una fase di transizione: non a caso, negli anni Trenta, si attribuirono effetti forti ai media perch la depressione economica e la situazione politica dellepoca crearono un terreno fertile per certi tipi di effetti; la normalit degli anni Cinquanta e Sessanta ha consentito, invece, la formulazione del modello degli effetti limitati, mentre la guerra, la conflittualit politica e la crisi economica degli ultimi anni Sessanta hanno contribuito a rendere il tessuto sociale pi permeabile allinfluenza dei media e, cos, si ritornato a parlare di media onnipotenti.
(1) J. Carey, The ambiguity of Policy Research, Journal of Communication, 2, 1978.

In ogni caso, i risultati prevalenti delle ricerche empiriche condotte nellultimo trentennio del secolo scorso, piuttosto che una radicale contrapposizione, sembrano suggerire una sostanziale continuit tra vecchie e nuove acquisizioni, tanto che anche negli approcci teorici pi recenti si pu intravedere una sostanziale continuit con il paradigma della influenza mediata, laddove si evidenzia che il potere dei media inversamente proporzionale al potere di altre possibili fonti dinfluenza.

Nel corso degli anni Settanta, tre ordini di fattori inducono gli scienziati sociali ad un rinnovato e pi inventivo sforzo dindagine empirica e di riflessione teorica sugli effetti dei media.

Il primo relativo ai mutamenti intervenuti nel sistema dei media e nellofferta mediale: le comunicazioni di massa, sempre pi diffuse nella vita quotidiana di larghe fasce della popolazione, propongono al pubblico unofferta mediale sempre pi ampia e differenziata; la televisione comincia ad imporsi come il medium pi pervasivo, tale da raggiungere una rilevanza sociale pari o superiore alle tradizionali agenzie di socializzazione e da essere considerata uno dei principali agenti costruttori della realt.

Il secondo riguarda i mutamenti intervenuti nella vita collettiva. Sassiste, soprattutto nelle grandi citt industrializzate, ad una progressivo svuotamento della dimensione comunitaria, ad un deficit di socialit, intesa come essere con e per gli altri, con il conseguente venir meno della centralit dei rapporti interpersonali. Questa tendenza concorre a creare un indebolimento delle funzioni di mediazione svolte dalle tradizionali agenzie di socializzazione.

Il terzo riguarda, invece, ai mutamenti intervenuti nella domanda di conoscenza sui media. Come si gi accennato, gli studi sulla comunicazione di massa, dopo essersi rivolti prevalentemente agli effetti a breve termine sui processi dinfluenza e di persuasione, cominciano ora a concentrarsi prevalentemente sugli effetti a lungo termine nei processi di socializzazione e di costruzione sociale della realt.

Lipotesi dei powerful mass media Sulla base di queste mutate condizioni, alcuni studiosi ripropongono lipotesi dei media come agenti di effetti forti: erano ormai presenti come sostenne, allora, E. Noelle-Neumann (1) le condizioni per un recupero della nozione di powerful mass media.

Tale considerazione si basa sulla constatazione di tre evenienze che, dagli anni Settanta in poi, caratterizzano il sistema dei media e il suo operare.
(1) E. Noelle-Neumann, Return to the Concept of Powerful Mass Media, Studies of Broadcasting, 9, 1973.

In primo luogo, la presenza sempre pi pervasiva dei media, e in particolare della televisione, nella vita quotidiana (ubiquit). In secondo luogo, laccentuarsi della loro funzione di dispensatori di rappresentazioni e informazioni sostanzialmente omogenee, trattate allo stesso modo nei diversi mezzi (consonanza); In terzo luogo, la ripetitivit, ovvero la trattazione reiterata di determinati temi e personaggi, collocati costantemente in primo piano e imposti allattenzione del pubblico (cumulazione).

La teoria dellagenda setting


Su tali considerazioni prende forma la teoria dellagenda setting (1) che si riferisce ad un ambito specifico delle comunicazioni di massa: quello dellinformazione giornalistica. Lassunto di base di questa teoria che il potere dinfluenza dei media si manifesta nel fatto che essi presentano al pubblico una sorta delenco deventi, temi e personaggi sui quali necessario essere informati.

In tal modo, i media possono distorcere la realt, attribuendo particolare importanza a determinati fatti piuttosto che ad altri.
(1) M. E. McCombs e D. L. Shaw, The Agenda-Setting Function of the Press (1972), Public Opinion Quarterly, 36, pp. 176-187; E. F. Shaw, Agenda-Setting and Mass Communication Theory, Gazette, 2, 1979, pp. 96-105.

Per questa via, il pubblico sa o ignora, considera o trascura, elementi specifici della vita pubblica.
Gli individui, infatti, tendono generalmente ad includere o ad escludere dalle proprie conoscenze ci che i media includono o escludono dai propri contenuti, e ad attribuire agli eventi, ai temi e ai personaggi proposti dai media unimportanza corrispondente allenfasi con la quale essi sono trattati.

In altre parole, il potere dei media consiste nel fatto che essi, descrivendo in un certo modo la realt, attirano lattenzione del pubblico su ci di cui parlano, e nella misura in cui ne parlano, determinandone di conseguenza limportanza.
Pertanto, pi che proporre opinioni, i media propongono (o impongono) lordine del giorno su cui necessario essere informati e discutere, ovvero i temi su cui avere unopinione.

Leffetto dagenda un effetto cumulativo che si manifesta in termini di salienza dei temi al centro dellattenzione del pubblico. Si possono distinguere almeno tre tipi di salienza:
a) la salienza individuale, che corrisponde allimportanza attribuita autonomamente da ciascuno ad un tema, in base ad un proprio ordine di priorit; b) la salienza percepita, che corrisponde allimportanza che ciascuno ritiene che gli altri attribuiscano ad un tema; c) la salienza comunitaria, che corrisponde allimportanza attribuita a livello collettivo ad un tema.

I primi due tipi di salienza, relativi alla sfera personale, rappresentano effetti di natura cognitiva; mentre il terzo, relativo alla sfera interpersonale, rappresenta un effetto di natura comportamentale, con conseguenze sulle azioni e sulle relazioni sociali. Gli studi sullargomento hanno evidenziato che i soggetti pi sensibili ad un possibile effetto dagenda sono quelli con elevati livelli desposizione ai media e con bassi di livelli dintegrazione e di comunicazione interpersonale nei gruppi sociali (risultati, questi, gi emersi nelle ricerche degli anni Quaranta e Cinquanta sul comportamento elettorale). Anche in questapproccio emerge, dunque, limportanza dellinfluenza dei rapporti interpersonali e del patrimonio cognitivo individuale come agenti di mediazione nel rapporto tra media e pubblico.

Lipotesi della spirale del silenzio


La premessa che sta alla base della teoria dellagenda setting, secondo cui i media indicano su cosa avere unopinione e non quale opinione avere, ribaltata da Noelle-Neumann (1) in coerenza con la sua ipotesi dei powerful mass media: attraverso i media, i gruppi di potere possono esprimere ripetutamente e con maggiore forza le proprie opinioni; il che lascia supporre al pubblico che queste siano pi diffuse e condivise di quanto non sia effettivamente nella realt.

Tale supposizione finisce con il configurarsi come una sorta di profezia che si autoadempie, nel senso che le opinioni considerate maggioritarie, pur non essendolo, finiscono col diventarlo realmente.
(1) E. Noelle-Neumann, Turbulence in the Climate of Opinion: Methodological Application of the Spirale of Silence, Public Opinion Quarterly, 41, 1977.

Ci accade perch coloro che sono portatori dopinioni diverse da quelle dominanti, sentendosi socialmente isolati, tacciono rinunciando a far valere il proprio punto di vista. Questo processo, che porta allannullamento simbolico delle opinioni minoritarie (avverse a quelle dominanti) denominato spirale del silenzio. Un elemento importante, messo in rilievo da questipotesi, riguarda il concetto di opinione pubblica la quale, per via di quella caratteristica squisitamente sociale dellessere umano che porta ad evitare lisolamento, tenderebbe generalmente a conformarsi alle idee dominanti.

La teoria della coltivazione

Anche la teoria della coltivazione (o dellincubazione culturale) riconducibile allipotesi dei powerful mass media. Formulata da G. Gerbner (1) sulla base dei risultati di un programma pluriennale di ricerca, condotto tra gli anni Sessanta e Settanta, essa si occupa dellinfluenza della televisione sui processi di costruzione sociale del sapere comune, considerandone la funzione dagente costruttore della realt.
(1) G. Gerbner, Toward Cultural Indicators: the Analysis of MassMediated Public Message System, Audiovisual Communication Review, 2, 1969; Id., Living with Television: the Dynalic of Cultivation Process, in J. Bryant, D. Zillman (eds), Perspectives on Media Effects, Erlbaum, Hillsdale 1986.

Lipotesi sulla quale si fonda questa teoria che il processo di trasmissione e deventuale accettazione delle immagini di realt proposte dalla televisione un processo di coltivazione a lungo termine, cumulativo e non intenzionale. A questipotesi fa da sfondo una concezione della televisione, e della sua funzione sociale, che si basa sulle stesse prerogative dei media indicate da Noelle-Neumann (ubiquit, consonanza, cumulazione), estendendone la portata dallinformazione giornalistica a tutti gli altri prodotti mediali, e in particolare alla fiction.

Agli effetti di coltivazione della televisione sono sensibili, soprattutto, i telespettatori pi assidui che, rispetto a quelli meno assidui, sarebbero maggiormente portati a rappresentare la realt secondo modelli televisivi, anche se come sottolinea lo stesso Gerbner - altri fattori, oltre allesposizione ai programmi televisivi, intervengono a determinare le differenze tra i due tipi di telespettatore quali, ad esempio, un basso livello distruzione, di mobilit sociale e di aspirazioni, un alto livello dansiet e altre variabili quali il sesso, let, letnia.

Secondo Gerbner, i forti consumatori di programmi televisivi, e in particolare di fiction, assorbono immagini della realt congruenti pi con i contenuti televisivi (television answers) che non con la realt vissuta. Conseguentemente, essi percepiscono la realt in maniera totalmente differente da coloro che, invece, guardano poco la televisione. Manifestano, inoltre, una vasta gamma di stati emotivi e cognitivi comprendenti unaccentuata mancanza dautostima, uninsoddisfazione per il proprio stile di vita, una marcata sfiducia nei rapporti interpersonali, un forte timore di rimanere vittime della criminalit.

Tra le critiche sollevate contro questapproccio emerge, innanzi tutto, un dato empirico: le ricerche sullargomento condotte in contesti nazionali diversi dagli Stati Uniti non hanno fornito medesimi risultati; di conseguenza, si pu supporre che il processo di coltivazione non generalizzabile in modo indifferenziato, ma va circoscritto ad un determinato contesto sociale e culturale.

Oltre a ci, si pu aggiungere anche un dato di natura teorica: guardare la televisione unattivit che avviene secondo differenti modalit di consumo e di percezione; un importante elemento di variazione, in questambito, rappresentato dai differenti gradi di realt attribuiti dai telespettatori alle rappresentazioni televisive.

In altre parole, si possono avanzare nei confronti della teoria della coltivazione le stesse considerazioni critiche relative allipotesi della spirale del silenzio, le quali rinviano allopportunit di tenere in debito conto anche le condizioni psicologiche, sociali e culturali che differenziano il pubblico nel suo rapporto con la televisione ed i suoi possibili effetti.

Infatti, nella Cultivation Analysis sono considerate, rilevate e controllate soltanto le variabili socio-demografiche di base (sesso, et, etnia, livello distruzione) e quelle relative al consumo televisivo (alta e bassa esposizione), mentre rimangono fuori dal disegno della ricerca (e, quindi, dai dati e dalla teoria che su di questi si basa) le variabili relative alla personalit del telespettatore, alle sue esperienze di socializzazione, alle modalit di ricezione, comprensione e interpretazione dei contenuti televisivi, con uninevitabile sottostima del loro ruolo di variabili intervenienti nella relazione tra esposizione televisiva e concezioni della realt ispirate ai modelli televisivi.

Il modello del knowledge gap


Gli studi sulla diffusione delle conoscenze veicolate dai media costituiscono la cornice di riferimento del modello del knowledge-gap (differenziale o scarto di conoscenza), formulato da P. Tichenor (1) e altri. Le ricerche sullargomento hanno dimostrato che, generalmente, coloro che appartengono ad un livello socio-economico elevato rivelano alte predisposizioni nei confronti della stampa; coloro che invece appartengono ad un livello socio-economico basso rivelano predisposizioni nei confronti di radio e televisione. Inoltre la parte di popolazione motivata ad acquisire le informazioni, e per la quale le informazioni sono funzionali, tende ad acquisirle pi velocemente rispetto a chi non motivato, cos che lo scarto di conoscenza tra ricchi dinformazione e poveri dinformazione inevitabilmente aumenta.
(1) P. Tichenor ed al., Mass Media and and Differential Growth in Knowledge, Public Opinion

Il paradigma degli scarti di conoscenza, dopo aver subito una certa marginalit tra gli anni Settanta e Ottanta, sta conoscendo negli ultimi tempi maggiore fortuna a seguito dei problemi posti in essere dalle nuove tecnologie digitali della comunicazione che agirebbero da agenti di disuguaglianza intervenendo a marcare dinamiche di differenziazione sociale.

Alcuni Autori evidenziano, al riguardo, una rottura di continuit tra il modo in cui operavano i mass media e quello messo in atto dai new media. In ogni caso, al di l delle possibili differenze diniquit tra i media tradizionali e nuovi, significativa lattualit del nucleo origario di questa teoria: i media producono scarti di conoscenza tra le classi e i gruppi sociali; cos facendo, aprono nuove forme di disuguaglianza e questo impatto, oltre che evidente, altrettanto rilevante della loro presunta capacit di omogeneizzare ed appiattire ogni differenza.

Anche in questo caso, si pu osservare una stretta relazione con il paradigma dellinfluenza mediata, laddove si tende a rafforzare lipotesi che lofferta multimediale ampia e differenziata, lesposizione ai media selettiva (al pari della percezione, memorizzazione, comprensione e interpretazione dei messaggi da essi veicolati) e, dunque, limpatto dei media sul pubblico non lo stesso per tutti.

La teoria delle rappresentazioni sociali


Alla fine degli anni Sessanta, a partire dal presupposto che il nostro rapporto con la realt mediato da rappresentazioni che esprimono la condivisione sociale dimmagini e significati senza i quali nessuna collettivit potrebbe operare, la teoria delle rappresentazioni sociali (1) postula che le rappresentazioni della realt proposte dai media esercitano una influenza nei processi in virt dei quali lindividuo: apprende quanto richiesto per vivere in una data societ in un determinato momento storico (socializzazione); costruisce il suo sapere sul mondo (costruzione sociale della realt).
(1) R.M. Farr, S. Moscovici, Rappresentazioni sociali, Il Mulino, Bologna 1989.

La realt, per lindividuo, in grande misura determinata da ci che socialmente accettato come realt. Kurt Lewin

Le informazioni che ricaviamo dal rapporto con lambiente attivano un processo nel quale intervengono, simultaneamente:

la percezione (di oggetti, persone,


eventi);

la memoria (del gi noto); lelaborazione concettuale


(categorizzazione).

Poich il mondo con cui abbiamo a che fare sociale, il nostro rapporto con la realt mediato da rappresentazioni sociali (RS) che condividiamo con altri culturalmente situati e alle quali si adatta il nostro sistema percettivo, cognitivo, valoriale.
Anche se siamo noi a crearle, sono esse a costruirci come attori sociali, ovvero a costruire il nostro comportamento simbolico in societ.
G. Greco, Comunicazione, cultura e rappresentazioni sociali, Rubbettino, Soveria Mannelli 1997.

Le rappresentazioni sociali rappresentano ci che socialmente rappresentato. Serge Moscovici

Secondo Moscovici, le RS sono fatti che sono sociali nella misura in cui hanno a che fare con luniverso consensuale, ovvero nella misura in cui esprimono una condivisione sociale della realt.

La sua concezione deriva, con originali innovazioni, dal concetto di rappresentazioni collettive elaborato, a suo tempo, da mile Durkheim.
. Durkheim, Le formes lmentaires de la vie religieuse (1912), trad. it. Le forme elementari della vita religiosa, Edizioni di comunit, Milano 1971.

Ma, mentre Durkheim ha considerato le rappresentazioni nella loro funzione teorica, ritenendole essenzialmente una entit esplicativa (un concetto), Moscovici, ritenendole invece un fenomeno sociale, interessato a studiarne la dinamica. Le rappresentazioni di cui si occupa Moscovici non sono quelle delle societ primitive, n le loro vestigia che giacciono nel sottosuolo della cultura dai tempi della preistoria, bens quelle della societ attuale.

Nella societ contemporanea, limportanza delle RS tende ad aumentare in proporzione diretta alla eterogeneit ed alla fluttuazione dei sistemi unificanti scienza, religione, ideologia ed ai cambiamenti che esse devono intraprendere per penetrare la vita quotidiana e divenire parte della realt comune. I media hanno accelerato questa tendenza: siamo circondati da parole, idee, immagini che ci penetrano le orecchie, gli occhi, la mente, che ci sollecitano senza che ne siamo per lo pi consapevoli.
S. Moscovici, Le rappresentazioni sociali, Il Mulino, Bologna 2005.

Ci premesso, il primo punto da prendere in considerazione il seguente: perch creiamo delle rappresentazioni sociali della realt? Lintuizione avanzata da Moscovici che lo scopo di tutte le rappresentazioni quello di rendere qualcosa di inconsueto, o lignoto stesso, familiare. Latto di rappresentazione , dunque, un mezzo per trasferire ci che ci disturba, ci che minaccia il nostro universo consensuale, dallesterno allinterno, da un luogo lontano a uno spazio prossimo.

Le rappresentazioni che noi fabbrichiamo sono sempre il risultato dello uno sforzo costante di rendere consueto (familiare) e reale (concreto) qualcosa che inconsueto o che ci d un senso di estraneit.

Attraverso le RS noi dominiamo ci che non conosciamo e lo integriamo nel nostro universo consensuale.
Tale processo ci rassicura e ci conforta, restituiendoci un senso di continuit.

Ma in che modo le RS rendono familiare e concreto ci che ci appare inconsueto ed estraneo? I meccanismi fondamentali che consentono questo processo sono: lancoraggio, che porta a familiarizzare linsolito e il non noto nel contesto cognitivo conosciuto; loggettivazione, che comporta la trasformazione dallastratto nel concreto e trasforma gli oggetti mentali in cose che esistono nella realt quotidiana.

Se accettiamo lidea che, in qualunque ambiente, esiste sempre un certo grado di autonomia e un certo grado di costrizione, possiamo ritenere che le RS hanno per cos dire una doppia natura, convenzionale e prescrittiva: In primo luogo, le RS convenzionalizzano gli oggetti, le persone, gli eventi che incontriamo nel nostro percorso, fornendo loro una forma precisa, assegnandoli ad una data categoria e definendoli quale modello di un certo tipo, distinto da un altro ma, comunque, socialmente condiviso. In secondo luogo, le RS prescrivono cosa dobbiamo pensare circa gli oggetti, le persone, gli eventi che incontriamo nel nostro percorso.

Qual , dunque, il ruolo dei media nei processi di formazione, consolidamento e mutamento delle RS?

I media propongono, implicitamente o esplicitamete, RS la cui influenza appare quanto mai evidente nei processi di socializzazione e di costruzione sociale della realt, anche se le valutazioni sugli esiti di tale influenza risultano diverse.

Gli studi, in questo ambito, si sono prevalentemente concentrati sullantinomia uniformit/diversit; cos, la questione attorno alla quale si sono interrogati gli studiosi stata: i media uniformano o diversificano le persone, inducono consenso o dissenso, educano al conformismo o alla devianza? Impostata in questi termini, la questione, per, ha finito con lassumere i toni e gli esiti di una sterile contrapposizione.
G. Losito, Il potere dei media, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1994.

In realt, pur assumendo modalit tendenzialmente analoghe a quelle delle agenzie tradizionali (famiglia e scuola), la funzione di socializzazione dei media presenta rilevanti differenze.
Lofferta multimediale , attualmente cos ampia e differenziata da consentire margini di scelta individuali pi ampi di quelli possibili nellinterazione con le agenzie tradizionali.

Essendo orientata da competenze, bisogni e motivazioni individuali, lesposizione ai media selettiva: ogni attore sociale costruisce i suoi percorsi di consumo in riferimento a segmenti trasversali ai media, cercando nei vari strumenti il genere o i generi che preferisce e ai quali abitualmente si espone. Altrettanto diversificata la percezione, memorizzazione e assimilazione dei messaggi dei media.

Pertanto, mentre determinati percorsi di consumo, centrati su un sotto-genere prevalente (come, ad esempio, la fiction), sono al loro interno tendenzialmente omogenei, altri invece, centrati su pi generi e, dunque, sollecitati da contenuti quantitativamente e qualitativamente diversificati, sono al loro interno eterogenei, al punto che, piuttosto che uniformare, tendono a differenziare sul piano cognitivo e valoriale i consumatori.

Questo significa che i media possono contribuire a favorire sia conformit che devianza e indurre, dunque, sia consenso che dissenso. Dunque, limpatto dei media non lo stesso per tutti.

Linfluenza dei media sui processi di socializzazione tanto pi rilevante quanto pi deboli e inefficaci sono le altre agenzie di socializzazione, quanto pi poveri sul piano cognitivo e culturale sono gli individui che ad essi si espongono, quanto pi i media costituiscono per loro il prevalente, se non lunico, contatto con il mondo esterno. Linfluenza dei media pu risultare pi forte per quanti sono coinvolti in un processo di crisi o destrutturazione della sub-cultura di cui sono partecipi.

In questo quadro generale, che riferisce la funzione di socializzazione dei media al contesto socio-culturale in cui essa si esplica, vanno considerati anche i loro effetti sui processi di costruzione sociale della realt; ovvero linfluenza dei media su quello che la gente conosce come realt nella vita quotidiana (senso comune).

P.L. Berger, T. Luckmann, La realt come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna 1969.

Come si gi accennato, le RS esprimono la condivisione sociale del senso comune, quella forma di comprensione che crea il substrato di immagini e significati senza i quali non potremmo interagire e comunicare: noi organizziamo i nostri pensieri in base ad un sistema che condizionato dalle RS che condividiamo, e vediamo solo ci che esse ci permettono di vedere, per lo pi senza esserne nemmeno consapevoli.

Ci non significa che non siamo in grado di divenire consapevoli dellaspetto convenzionale della realt e di sottrarci ai vincoli che questo impone alla nostra percezione e al nostro pensiero. Ma, poich non riusciremo mai ad essere liberi da tutte le convenzioni o ad eliminare tutti i pregiudizi, piuttosto che cercare di evitare o negare gli uni e le altre, una strategia migliore potrebbe essere quella di scoprire e rendere esplicita una determinata rappresentazione sociale, portando al centro della scena ci che sta dietro le quinte.

Lindividuazione e la descrizione sul piano empirico di una determinata rappresentazione sociale, nonch laccertamento delleventuale influenza dei media sulla stessa, comportano una definizione delle dimensioni che la caratterizzano. Sulla base di quanto evidenziato fin qui, possibile individuarne almeno tre:

conoscenze relative rappresentazione sociale;

linformazione, ovvero linsieme delle


alloggetto della

lorganizzazione gerarchizzata degli elementi costitutivi della rappresentazione sociale; generale, di segno positivo o negativo, nei confronti delloggetto della rappresentazione sociale.

il campo di rappresentazione, ovvero

latteggiamento, ovvero lorientamento

I media costituiscono una componente di primaria importanza del contesto in riferimento al quale si realizzano i processi (oggettivazione e ancoraggio) di formazione, consolidamento o trasformazione di una rappresentazione sociale. Essi, infatti:

forniscono informazioni nuove e riproducono informazioni gi disponibili relative alloggetto di una data rappresentazione sociale;

gerarchizzano tali informazioni, attribuendo ad esse un senso nellambito di schemi organizzati sulla base di un riferimento esplicito e/o implicito a valori; essi, cio, contribuiscono con le altre possibili fonti dinfluenza a costituire il campo di quella determinata rappresentazione sociale;

degli individui nei confronti delloggetto di quella data rappresentazione sociale.

possono influenzare gli atteggiamenti

Linfluenza dei media nei processi di socializzazione e di costruzione sociale della realt non sortisce gli stessi effetti sugli individui che ad essi si espongono, perch:
lesposizione ai media, essendo orientata da competenze, bisogni e motivazioni individuali, selettiva (1).

la percezione e la memorizzazione dei messaggi e delle immagini veicolate dai media, essendo mediata da condizioni e fattori di natura psicologica, sociale e culturale che pertengono allindividuo e al contesto sociale in cui egli vive, sono anchesse selettive.
(1) Ogni individuo, infatti, costruisce percorsi di consumo in riferimento a segmenti dofferta multimediale trasversali ai media, piuttosto che in riferimento ai media stessi, cercando nei vari strumenti di comunicazione il genere o i generi che preferisce, e ai quali abitualmente si espone.

Il ricorso alla teoria delle rappresentazioni sociali consente, in ultima analisi, di valutare in modo pi cauto il potere dei media, consapevoli che il rapporto tra media e pubblico non avviene in un vuoto sociale e culturale, e che il potere dei media va riconsiderato in termini di influenza mediata anche nel caso degli effetti a lungo termine (1).

Tale teoria consente, inoltre, di considerare la continuit tra la ricerca sugli effetti a breve termine e quella sugli effetti a lungo termine e, conseguentemente, lopportunit di reintegrare questi due filoni dindagine e, con essi, anche le dimensioni micro e macrosociale.
(1) Ovviamente, sempre che il sistema dei media sia pluralistico e regolamentato, e siano operanti i fattori e le condizioni che rendono possibile la mediazione, ribadendo con ci la relativit del potere dei media il quale direttamente proporzionale alla presenza/assenza di altre possibili fonti dinfluenza.

Infine, si pu ipotizzare che il quadro teorico di riferimento per questa operazione di riconnessione vada rintracciato, piuttosto che in una teoria dei media, in una teoria generale dellazione sociale, in cui i media siano considerati insieme alle altre fonti dinfluenza e in relazione con esse, e che il filone di ricerca sulle rs possa dunque indicare un possibile percorso per realizzarla sul piano empirico.

IV FASE (dal 1980)


INFLUENZA NEGOZIATA DEI MEDIA

Negli ultimi decenni, lintero sistema dei media stato investito da profonde trasformazioni tecnologiche, che ne hanno rivoluzionato le caratteristiche operative e sociali. Per questa via, mentre nuovi media sono intervenuti a modificare il nostro modo di comunicare, conoscere e svolgere numerose attivit (creative, ludiche, professionali), anche i media tradizionali si sono trasformati, tanto che oggi il panorama appare multimediale e globale. Contestualmente, si ulteriormente trasformata la nostra esperienza del mondo, le modalit di interagire con le sue diverse realt, con gli altri, con noi stessi.

Con lavvento del digitale, oggi si pongono (o si ripropongono sotto una nuova luce) tutta una serie di questioni (sociali, politiche, culturali, educative) che richiedono un rinnovato e pi inventivo sforzo di indagine empirica e riflessione teorica da parte della ricerca sociale (1). Le questioni poste dagli studi pi recenti evidenziano linadeguatezza di buona parte delle teorie e metodologie fino ad oggi utilizzate.
(1) G. Greco (a cura di), Mediamorfosi. Conversazioni su comunicazione e societ, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000; G. Greco (a cura di), ComEducazione. Riflessioni su comunicazione e educazione, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002; G. Greco (a cura di), La comunicazione nelle scienze delleducazione, Anicia, Roma 2009.

In altre parole: lavvento di una nuova realt (antropologica oltre che tecnologica) interviene a riaprire il dibattito sullinfluenza dei media, tanto su temi di ordine metodologico e teorico, quanto su temi di ordine pi strettamente sociale, politico, culturale, educativo (1).

(1) G. Greco, Lavvento della societ mediale. Riflessioni su politica, sport, educazione, FrancoAngeli, Milano 2004.

La crescente mediatizzazione dellesperienza, cui si pu fare riferimento per descrivere la configurazione che essa tende ad assumere nella postmodernit, rimanda alla crescita esponenziale dei rapporti interpersonali, attraverso molteplici e differenti tecnologie di comunicazione.

Nel descrivere i tratti salienti dellesperienza mediata, Paolo Jedlowski osserva che, in essa, la presenza del corpo, linterazione con lambiente fisico, il fare, sono ridotti ai minimi termini; al contrario, si ampliano i contenuti di ci che veniamo a sapere, che possiamo immaginare, o al cui suono possiamo vibrare. Sapere, immaginare, vibrare emotivamente hanno sempre fatto parte dellesperienza in ciascuna delle sue accezioni ma mai si erano sganciati a questo modo dal fare, dal rischiare almeno un po in prima persona, dal fatto che il soggetto provi attivamente la propria presa sul mondo (1).
(1) P. Jedlowski, Il sapere dellesperienza, il Saggiatore, Milano 1994, pp. 119-120.

Linterconnessione abituale con uno schermo, e tramite questo con altri, intervenendo a modificare in profondit il modo di considerare il corpo e la mente, noi stessi e gli altri, ovvero il modo in cui pensiamo e sentiamo, sta svolgendo un ruolo determinante nella nascita di una nuova sensibilit culturale e sociale, particolarmente evidente nelluniverso giovanile (1).
(1) S. Turkle, Life on the screen (1996), trad. it. La vita sullo schermo. Nuove identit e relazioni sociali nellepoca di Internet, Apogeo, Milano 1997.

Alla costante ricerca di punti di riferimento e di connessione, i giovani tendono oggi a coltivare una vita sullo schermo in cui apprendono pratiche di superficie che, in quanto tali, non richiedono limpegno di andare in profondit e a trasferire, poi, questa abitudine anche nella vita quotidiana (al di qua dello schermo) e, persino, nella sfera dellintimit.

Tra le conseguenze pi rilevanti di questo processo di trasformazione dellesperienza, si pu ipotizzare lemergenza nelluniverso giovanile di nuove forme di socievolezza che, se da una parte sembrano poter fare a meno della presenza e del contatto fisici, dallaltra sembrano intervenire a sollecitare una pubblica sovraesposizione della propria intimit.

, questo, uno dei risultati pi interessanti emersi da uno studio condotto presso lUniversit della Calabria, il quale individua nelluniverso giovanile: un cambiamento nel modo di percepirsi e di mostrarsi agli altri; una crescente difficolt di espressione delle emozioni in situazioni dinterazione in presenza; un diffuso utilizzo delle tecnologie della comunicazione mediata, che sembrano rendere pi agevole la comunicazione delle emozioni.

I giovani coinvolti nella ricerca (1), pur apprezzando le molteplici opportunit offerte dalle tecnologie digitali, dichiarano di preferire la comunicazione faccia a faccia per via degli indubbi vantaggi offerti e dalla presenza fisica e dal contatto diretto. Al tempo stesso, per, individuandovi alcuni limiti evidenti quali, ad esempio, lesposizione in prima persona con tutte le conseguenze che ne derivano, la possibilit di sentirsi a disagio, di provare (a seconda dei casi) timore, imbarazzo, vergogna, il rischio di dire o fare qualcosa di spiacevole e, soprattutto, di essere feriti, la necessit di doversi trattenere o censurare, e dunque di sentirsi meno liberi, tengono a precisare che una persona pu esprimersi di pi e meglio nascondendosi dietro uno schermo.
(1) La ricerca ha esplorato, mediante la metodologia del focus group, le pratiche comunicative dei giovani di et compresa fra i 15-18 e i 21-24 anni.

Le ragioni che li inducono ad affidare la propria vita emotivo-relazionale alla mediazione di uno schermo si possono desumere dalle loro stesse parole: le persone insicure possono mostrarsi per quello che non sono si ricorre ad uno strumento per esprimere qualcosa che faccia a faccia non si ha il coraggio di esprimere se sei davanti a uno schermo, ti esce tutto quello che devi dire una persona riesce a esprimersi di pi nascondendosi dietro un mezzo di comunicazione, si ha meno paura molto pi semplice comunicare a distanza perch non c limpatto emotivo, il guardarsi negli occhi.

In altre parole, la comunicazione mediata consente di esprimere ci che non si riesce a dire quando si luno di fronte allaltro, soprattutto perch offre la possibilit di sottrarsi allo sguardo dellaltro.

Torniamo alle loro parole: per dire cose per cui io mi emoziono, e penso che laltro si possa emozionare, devo usare un telefono no, nemmeno un telefono, un messaggio le emozioni fanno paura perch ti fanno diventare unaltra persona. In realt, rimandando a quel regno dellautentico e dellimprevedibile della vita personale che comprende affetti, sentimenti, passioni, le emozioni fanno paura perch svelano la persona che siamo.

Fatto sta che, di fronte alle crescenti difficolt di mostrarsi allaltro in situazioni di presenza, le tecnologie della comunicazione mediata sembrano non solo favorire una pi agevole espressione del s ma indurre, anche, una pubblica sovraesposizione della propria intimit.

Sembra farsi strada una nuova cultura dellintimit fondata, al tempo stesso, sul disimpegno emotivo in situazioni di comunicazione in presenza e su una esibizione delle emozioni in situazioni di comunicazione mediata le cui tecnologie, grazie alla loro capacit di rendere vicino il lontano e lontano il vicino, oltre a promuovere una perenne connessione potenziale oltre i limiti spaziotemporali connessi alla fisicit dei corpi, consentono di comunicare senza incontrare le difficolt e i rischi connessi alla comunicazione faccia a faccia, e di realizzare il desiderio di mettersi a nudo, rendendo pubblici aspetti intimi di s per farli riconoscere e convalidare dal proprio entourage (1).

Un esempio emblematico rappresentato dalle pratiche di condivisione materiale e affettiva attivate dai siti di social network (1), la cui popolarit nel corso degli ultimi anni sensibilmente aumentata anche nel nostro Paese, soprattutto (ma non solo) tra i giovani, che li utilizzano come parte integrante delle loro pratiche di vita quotidiana (2).
(1) d. boyd, N.B. Ellison, Social Network Sites: Definition, History and Scholarship, in Journal of Computer-Mediated Communication, 13(1), II, 2007. (2) M. Ito et al., Living and Learning with New Media: Summary of Findings from the Digital Youth Project, MacArthur Foundation, Chicago 2008.

Stando ai risultati delle ricerche internazionali, luso prevalente di questi siti appare legato alla estensione in senso qualitativo e quantitativo dei rapporti esistenti, pi che alla creazione di nuovi legami con soggetti conosciuti in rete. Questa prevalente tendenza verso pratiche guidate dallamicizia non esclude, tuttavia, la presenza di pratiche guidate dallinteresse che sollecitano lesigenza di ampliare il proprio network di conoscenze per includere soggetti con cui condividerlo.

lungo questa linea di demarcazione fra mantenimento ed estensione del proprio capitale sociale che si pone, oggi, la ristrutturazione della distinzione fra pubblico e privato, cui rimanda anche il neologismo publicy, forma contratta dei due termini inglesi public e privacy, che allude alla commistione tra una dimensione pubblica e una privata, propria di molte forme di comportamento del nostro tempo e tipica forma comunicativa del web.

Certo che i contenuti generati e pubblicati dagli utenti nei SNSs sono, in un certo senso e al tempo stesso, pi pubblici e pi privati: se da una parte la necessit di privacy sembra essere ancora molto sentita, come dimostra il successo di Facebook che permette di scegliere i confini della propria esposizione in pubblico, dallaltra essa tende a sfumare a fronte di una sovraesposizione delle proprie vite in cui lintimit diventa pubblica sotto forma di foto, commenti, note e stati danimo estemporanei (1).
(1) F. Giglietto, Io, i miei amici e il mondo: uno studio comparativo su Facebook e Badoo in Italia, in L. Mazzoli (a cura di), Network effects. Quando la rete diventa pop, Codice edizioni, Torino 2009; G. Boccia Artieri, SuperNetwork: quando le vite sono connesse, in L. Mazzoli (a cura di), cit.

Altrettanto evidente appare il fatto che le pratiche attivate da questi siti tendano a rafforzare o sviluppare relazioni che, grazie alla mediazione di uno schermo, sembrano favorire una pi agevole espressione e condivisione delle emozioni: lintimit digitale consente di vivere forti condivisioni emotive senza che queste siano, necessariamente, un preludio alla capacit di dare vita a relazioni profonde (1).

(1) G. Boccia Artieri, SuperNetwork: quando le vite sono connesse, in L. Mazzoli (a cura di), cit.

In altre parole: ci troviamo in presenza di uno stato nuovo di sperimentazione della relazione, in cui si produce un vicinato digitale senza necessit di profondit relazionale; uno stato di difficile gestione emotiva e affettiva che rende complesso pensare oggi se stessi in chiave relazionale nellequilibrio fra ambienti quotidiani reali e ambienti quotidiani digitali (1).
(1) G. Boccia Artieri, SuperNetwork: quando le vite sono connesse, in L. Mazzoli (a cura di), op. cit.

Con lavvento del digitale, che ridefinisce sia gli strumenti che le modalit di consumo dei media, si assiste ad una profonda trasformazione dello scenario culturale che le giovani generazioni contribuiscono a costruire, il quale si configura sempre pi come una media cultura.

La media cultura una cultura caratterizzata da una socializzazione orizzontale, dalla ridefinizione delle logiche temporali (annullamento del passato, perdita del futuro, enfatizzazione del presente), dalla integrazione e dalla sovraesposizione della comunicazione mediata nella vita individuale e sociale, dal prevalere della dimensione tattile ed emozionale, dal protagonismo nellappropriazione del sapere di forme di lettura brevi (perch si contraggono i tempi dellattenzione), intermittenti (perch lo zapping, il consumo a singhiozzo la regola), nomadi (in relazione alla portabilit degli strumenti) (1).
(1) P.C. Rivoltella, La Media Education, fra tradizione e sfida del nuovo, in P.C. Rivoltella, P. Ardizzone (a cura di), New Media Education, in Scuola e Didattica, 15, 2007.

La media cultura, esercitando la sua influenza tanto nei processi comunicativi quanto nei processi educativi, richiede una ridefinizione delle acquisizioni su cui ha riposato fino ad oggi la Media Education (ME). Tali aspetti riguardano essenzialmente: la portabilit e la personalizzazione degli strumenti digitali; la configurazione multitasking delle giovani generazioni; e il fatto che i giovani siano diventati produttori di media.

La portabilit, affrancando lutente da una postazione fissa (pocket culture), una caratteristica che, nel ridefinire le modalit di consumo dei media, contribuisce anche ad invalidare o, perlomeno, a rendere insufficienti gli accorgimenti educativi fin qui perseguiti, dal momento che laccesso diviene attivit che sfugge completamente al controllo diretto delladulto e che ricade del tutto sotto la responsabilit del ragazzo.

Tale considerazione ne implica unaltra, relativa alla personalizzazione, ovvero al carattere personale delluso della tecnologia: la riconfigurazione dello spazio domestico indotta dalla personalizzazione (bedroom culture) vissuto dai giovani come un sistema di pratiche giustamente sottratto al controllo delladulto che, a sua volta, trova assolutamente normale non violare i limiti del mondo privato del proprio figlio.

A ci si aggiunga la configurazione multitasking delle nuove generazioni, che rimanda al nuovo stile cognitivo incoraggiato dalle tecnologie digitali, ovvero alla capacit di svolgere diverse attivit allo stesso tempo, gestendo contemporaneamente diversi livelli di comunicazione. Tale inedita tendenza, se da una parte implica lacquisizione di nuove competenze (velocit di esecuzione, flessibilit cognitiva, adattabilit, propensione a gestire situazioni complesse), dallaltra solleva dubbi circa la sua compatibilit con lesigenza di approfondimento del dato culturale o linfluenza sulla compressione dei tempi di attenzione.

Lultimo aspetto da considerare relativo al fatto che i giovani sono diventati produttori di media, una pratica favorita dai tools multimediali del cellulare, dai blog, dai siti di social network. Sul piano educativo, questo comporta come sempre inedite opportunit e innegabili rischi, puntualmente registrati dalla cronaca (il caso del cyberbullismo uno di questi).

Le sfide educative cui la ME deve rispondere di fronte alla diffusione dei media digitali investono dunque, al tempo stesso, pi livelli: culturale, metodologico, organizzativo.

Sul piano culturale, la questione stata efficacemente sintetizzata da J. Jacquinot (1): Un educatore del XXI secolo deve saper padroneggiare e utilizzare la comunicazione nelle sue diverse forme (oralit, multimedialit, in rete o fuori rete), e saperne fare al tempo stesso una risorsa e un obiettivo di apprendimento per leducazione. I media sono partner cognitivi e agenti di socializzazione; urgente riconoscere che la cultura non pi quella di un tempo: esiste piuttosto una mediacultura di cui la scuola deve tenere conto.
(1) J. Jacquinot-Delaunay, Dalleducazione ai media alle mediaculture: ci vogliono sempre degli inventori, in M. Morcellini, P.C. Rivoltella (a cura di), La sapienza di comunicare. Dieci anni di media education in Italia ed Europa, Erickson, Gardolo 2007, pp. 140-141.

questo che permetter di passare da un nuovo relativo in questo caso introdurre i media o le nuove tecnologie a scuola a una vera innovazione fondata sul desiderio di costruire unaltra societ e, dunque, unaltra scuola. Una scuola dove si impara, come sempre, qualcosa che non si pu apprendere altrove, ma a partire da ci che si sa, si vede, si sente e si comprende tenuto conto delle modalit di comunicazione hic et nunc.
(1) J. Jacquinot-Delaunay, Dalleducazione ai media alle mediaculture, cit., pp. 140-141.

Sul piano metodologico, gli aspetti evidenzati inducono a riflettere sui paradigmi che hanno orientato finora le pratiche di ME, primi fra tutti quelli del consumo condiviso e della lettura critica: il primo posto fortemente in discussione dal carattere portabile e personale delle tecnologie digitali che, oggi, consentono ai giovani di portare con s il proprio mondo di connessioni e di pratiche, sottraendolo al controllo degli adulti; la seconda si rivela del tutto insufficiente nel momento in cui videofonini, blog, siti di social network contribuiscono sinergicamente a trasformare i giovani da consumatori ad autori. Pertanto il problema pi urgente da affrontare, a questo livello, rimane quello di educare i giovani alla responsabilit.

Sul piano organizzativo, si tratta di superare i termini del dibattito sullintroduzione della ME nella scuola che, per anni, ha visto contrapporsi i disciplinaristi, fautori della necessit che la ME diventi una materia curricolare come le altre, ai trasversalisti, fautori della possibilit di pensarla come un insieme di temi e di metodologie da spalmare sulle diverse discipline, secondo le loro competenze.

Dalla ricerca di questi anni emerge il sospetto che la ME sia diventata semplicemente educazione: C, infatti, qualche aspetto della nostra esistenza che non sia in qualche modo mediato? Si pu immaginare che leducazione provi a svolgere il suo compito senza occuparsi dei media?. La ME diventa una postura delleducatore: Questa ipotesi sta, di fatto, alla base di quello che si annuncia come un cambio di paradigma teorico. un problema di sguardo, lo sguardo comunicativo che suggerisce di pensare alla media education come a una svolta comunicativa per leducazione (1).
(1) P.C. Rivoltella, Introduzione, in M. Morcellini, P.C. Rivoltella (a cura di), op. cit.,
pp. 9-10.

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