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Il sistema Bismarck ed il sistema


Beveridge sono sistemi sanitari che
garantiscono a tutti l’accesso alla
sanità e sono i due principali sistemi
sanitari d’Europa.
Il primo venne creato, come dice il
nome, durante il governo di Bismarck e
prevede delle assicurazioni sociali
obbligatorie. Lo Stato ha un ruolo di
controllo della concorrenza, nella
legiferazione in materia e nel
sussidiare il sistema, solitamente per i
meno abbienti o le persone con
condizioni preesistenti. E, di solito, le
assicurazioni sono delle mutue no
profit.
Questo modello è basato praticamente
tutto sulla competizione: Tra pubblico
e privato, tra assicurazioni e
assicurazioni, tra medici e medici, tra
cliniche e cliniche. Il sistema Bismarck
è stato coniugato in più modi: In
questo articolo trovate una
spiegazione del sistema adoperato in
Germania, che non solo prevede una
competizione tra assicurazioni in
generale ma anche tra assicurazioni
“di Stato”, mutualistiche e pagate in
base al reddito, e private, che coprono
di più ma si pagano in base al proprio
stato di salute e sono dunque
accessibili solo a chi ha un
determinato livello di reddito.
Un modello derivato da Bismarck
spesso citato come esempio di
eccellenza è il modello israeliano,
descritto qui, inoltre è ritenuto molto
interessante, specie per la rapidità con
il quale si è sviluppato dopo la fine del
comunismo, il modello ceco, descritto
qui. Comunque, ogni Stato che usa un
sistema Bismarck ha delle proprie
peculiarità che lo caratterizzano e che
possono portare vantaggi o svantaggi.
Sarebbe impossibile trattare
estensivamente ogni variante, quindi in
questo articolo mi ispirerò al modello
Bismarck in generale e non ad una
particolare implementazione
nazionale.
Il secondo nacque invece ad opera di
William Beveridge, economista social-
keynesiano, che nel 1942 pubblicò un
rapporto che fu, a furor di popolo, la
base del futuro stato sociale inglese.
In questo sistema, che tutti ben
conosciamo, la gran parte del settore
sanitario è portata avanti dallo Stato o
da un ente pubblico: molti medici sono
dipendenti pubblici, chi ha bisogno di
una visita deve iscriversi in una lista e,
quando ci sarà un medico disponibile,
potrà farla.
Chiaramente non esiste un modello
giusto, né esistono solo sistemi
Beveridge puri contro Bismarck puri,
tant’è che tra i dieci sistemi sanitari
migliori d’Europa si contano sia
Bismarck sia Beveridge in quantità
simili.
Si può dire che, in uno Stato normale e
serio, avere un sistema Bismarck o un
Beveridge è una scelta più politica che
sanitaria.
Per quale motivo è, a mio parere,
preferibile un sistema ispirato a quello
Bismarck rispetto a uno puramente
statale?
Responsabilità
Nessuno verrebbe lasciato a morire
per strada in un Paese occidentale, è
chiaro. Però trasformare la sanità da
un deus ex machina ad un qualcosa
che esiste, si paga e dove esiste una
certa libertà di scelta rende l’individuo
più partecipe nelle scelte relative alla
propria vita e meno succube di un
sistema che, più che sanitario, sembra
burocratico.

Quando si parla di Welfare State si fa


riferimento alla presenza dello Stato
nella gestione delle questioni
economiche e sociali attinenti ad un
determinato territorio. Come
vedremo più avanti, nel corso degli
anni si sono sviluppate diverse
tipologie e diversi piani nei quali viene
esplicato l’intervento statale.

Breve storia del Welfare State


A livello economico, il trionfo dello
stato sociale si ebbe con uno dei più
grandi economisti che il mondo abbia
mai conosciuto: John Maynard
Keynes.
A differenza dei suoi predecessori,
Keynes, che ha vissuto a cavallo tra la
prima e la seconda guerra mondiale,
faceva i conti con un sistema
economico (regolato e descritto dalla
Teoria Marginalista) in profonda crisi,
in cui la disoccupazione assumeva un
carattere strutturale e dove le
differenze sociali erano
particolarmente accentuate.
Osservando questa realtà Keynes
proponeva l’intervento dello Stato
per regolare fenomeni
macroeconomici quali la
disoccupazione e la produzione
industriale.
Le radici del Welfare State però
risalgono a molto prima. Già nel tardo
medioevo, infatti, con la
promulgazione della Poor Law, in
Inghilterra si cominciava a delineare un
certo grado di assistenzialismo a
favore di mendicanti e poveri.
Tuttavia, il primo vero intervento
strutturato si ebbe con la prima
rivoluzione industriale. Nella prima
metà dell’ 800, a causa della
migrazione dei contadini dalle
campagne alle città, le autorità
inglesi dovettero fare i conti con un
enorme quantità di poveri che si
riversavano nelle strade delle
città alla ricerca di una casa e di
un’occupazione. Fu così che nel 1834
venne emanata la New poor Law (che
seguiva la Poor Law del tardo
medioevo) in cui si prevedeva
l’assistenza di alcune classi sociali
svantaggiate. In questo contesto
nacquero le prime assicurazioni
sociali che garantivano la sicurezza
sul posto di lavoro. In Germania, nel
1883, Otto von Bismarck introdusse la
prima forma di assistenza sociale
contributiva, in cui i lavoratori
versavano una quota del loro salario
per tutelarsi dagli infortuni sul mondo
del lavoro. Tale misura riceve tuttora
molte critiche, in quanto più che una
vera e propria forma di welfare,
tutelava i capitalisti dalle ingenti spese
per la sicurezza sul lavoro, e proprio
su pressione di questi ultimi venne
applicata.
Sia la New Poor Law che la
previdenza sociale di Otto Von
Bismarck rientrano nel contesto del
modello occupazionale di welfare,
ossia rivolto a determinate categorie.
Dal modello occupazionale, si
distingue il modello universalistico: in
questa direzione si può collocare il
New Deal di Roosvelt degli anni ’30
del 900 e, per quanto riguarda il
contesto europeo, il piano Beveridge,
varato in Inghilterra nel 1942 (da cui
modello Beveridgiano), che estendeva
i servizi sociali a tutti i sudditi inglesi in
quanto tali, e non solo alla categoria
dei lavoratori come previsto nel
modello di welfare di tipo
occupazionale.
Welfare State in Europa
Nel corso della storia, il Welfare
State in Europa ha assunto caratteri
differenti a seconda del contesto
sociale, economico e territoriale nel
quale si è sviluppato. In molti casi il
modello occupazionale si è fuso con
quello beveridgiano (o universalistico)
dando vita a modelli misti di Welfare
State.
In generale si distinguono 4 diversi tipi
di Welfare State in Europa:
. Welfare liberale (Regno Unito e
Irlanda):Il regime liberale, che
deriva dal modello beveridgiano,
si pone l’obiettivo di ridurre la
povertà e l’esclusione sociale
tramite l’erogazione di sussidi e
l’adozione di programmi di
assistenza, verificando
l’effettivo bisogno. Gli interventi
sono in genere di tipo
categoriale, riferito a
determinate categorie, in cui si
delinea un forte carattere duale:
welfare dei ricchi e walfare dei
poveri. La mano dello stato è
ridotta e si lascia molto spazio
all’iniziativa dei privati per la
socializzazione dei rischi. La
sanità si finanzia tramite la
fiscalità generale mentre le
prestazioni monetarie sono
finanziate dai contributi sociali.
Il sistema pensionistico
anglosassone è costituito da
due pilastri, il primo
redistributivo ad opera dello
stato (poco cospicuo e che mira
a fornire una base economica)
ed il secondo a capitalizzazione,
in cui si investono i contributi
sul mercato dei capitali.
. Welfare conservatore (Francia,
Germania, Austria e Olanda)
Il regime conservatore, di
origine bismarckiana, si
concentra sulla protezione dei
lavoratori e delle loro famiglie.
tale modello si ispira ad un
principio di sussidiarietà e
dunque lo Stato interviene solo
nel caso in cui la famiglia non
riesca a provvedere ai suoi
componenti. I sindacati
agiscono attivamente nella
gestione delle prestazioni di
categoria in un sistema
finanziato dai contributi sociali.
La dipendenza dal mercato è
ridotta. Il sistema pensionistico
tedesco, così come quello
francese, è fortemente
previdenziale, ossia i benefici
sono fissati in percentuale del
salario percepito dai lavoratori,
o di una sua media nel tempo.
. Welfare social-democratico
(Svezia, Danimarca e
Norvegia)

Il modello social-democratico è
di stampo universalistico,
dunque si pone come obiettivo
la protezione di tutti i cittadini,
in base ai loro bisogni.
Il rapporto col mercato è
ridotto al minimo e si punta a
raggiungere eguaglianza tra
tutti i cittadini. Il sistema
pensionistico danese, si
compone di quattro pilastri, il
primo è costituito dall’assegno
di base che viene fornito a tutti i
cittadini secondo gli anni di
residenza; il secondo ed il terzo
pilastro sono costituiti dalle
pensioni supplementari pagata
ai lavoratori con più di nove ore
di lavoro a settimana che sono
l’ATP (Arbejdsmarkedets
Tillaegspension), finanziata in
parte dai lavoratori (2/3) e in
parte dai datori di lavoro (1/3), e
l’SP, finanziata solo dai
lavoratori; il quarto pilastro è
costuito da uno schema
pensionistico collettivo che
differisce a seconda dei settori
e del soggetto che eroga il
servizio, se pubblico o privato.
. Welfare mediterraneo
(Portogallo, Italia, Grecia e
Spagna)

Nel regime mediterraneo, che


viene definito anche “familista”,
l’assetto culturale e sociale ha
fatto si che l’assistenza e la cura
degli individui è stata delegata
quasi interamente alla famiglia.
L’intervento statale è di natura
residuale e si attiva solo
quando le reti sociali primarie
(come il volontariato e la
famiglia) falliscono nel
fornire adeguata assistenza ad
individui in situazione di
evidente bisogno. Tale
approccio tende a ritardare la
creazione di un’assistenza di
base, ma soprattutto tende a
creare situazioni di forte
disuguaglianza.

Welfare, un nemico per il


neoliberismo?
“Non esiste la società, esistono solo
gli individui”
A partire dall’inizio degli anni’80, con
l’elezione in America e in Gran
Bretagna rispettivamente di Ronald
Reagan e Margaret Tatcher, si andò
verso la destrutturazione della società
welfaristica che aveva caratterizzato
l’epoca della Golden Age (ossia
quell’epoca che vide per circa venti
anni, tra il ’50 e il ’70, un basso tasso
di disoccupazione nel mondo
economico occidentale) a favore di
una società di stampo individualista e
neoliberista.
La Golden Age, oltre ad avere un
forte impatto a livello sociale – le
disuguaglianze si erano
notevolmente ridotte – ebbe
ripercussioni anche in termini
economici. La lotta dei movimenti
operai portò a strappare salari sempre
più alti, e con essi cresceva
l’inflazione, la spesa pubblica
aumentò e così il debito pubblico.
Questo contesto creò l’humus adatto
affinché si potesse diffondere la
preoccupazione di una insostenibilità
del debito. Con l’elezione di Reagan e
di Tatcher, questa preoccupazione
divenne priorità assoluta di buona
parte dei governi occidentali. Sulla
spinta degli anni ’80, delle paure e
delle incertezze che avevano
caratterizzato quegli anni, si
cominciò a diffondere uno spirito
fortemente liberista, volto alla
destituzione di qualsiasi forma di
welfare e che mirava alla
realizzazione di un mercato
deregolamentato, ossia senza
intervento statale.
Si cominciò a diffondere il concetto
di paese “virtuoso”, identificando
con tale aggettivo paesi con una
basso regime di spesa pubblica. In
questo contesto, in Europa, si
crearono le premesse per la ratifica
del trattato di Maastricht che poneva
vincoli specifici al rapporto tra il debito
pubblico ed il PIL (che deve essere
non superiore al 60%) e al rapporto tra
disavanzo pubblico annuale e PIL (che
deve essere nei limiti del 3%). Questi
vincoli, ovviamente, hanno contribuito
fortemente allo smantellamento del
welfare – i famosi tagli alla spesa
pubblica – a fronte di tasse sempre più
alte. A livello politico, all’inizio degli
anni ’90 veniva destituita l’Unione
Sovietica, l’unica vera alternativa ai
sistema di welfare appena descritti.
La caduta dell’URSS ha minato la
possibilità di pensare ad un modello di
assistenza improntato su radici
totalmente diverse.
Da un punto di vista pratico, l’onda di
riflusso degli anni ’80 si è tradotta in
un aumento esponenziale delle
disuguaglianze economiche e sociali,
con un tasso di disoccupazione
raddoppiato rispetto al ventennio
della Golden Age e con dei salari
enormemente ridotti. Ad esempio in
Italia, il tasso di disoccupazione è
passato dal 7% della prima metà degli
anni ’80 al quasi 10% dei primi anni
’90 (fonte OECD).
L’interrogativo che quindi
bisognerebbe porsi è se sia davvero
necessario sacrificare sull’altare del
libero mercato, l’eguaglianza sociale
ed economica ed il diritto ad una vita
dignitosa, o se invece è necessario
formulare uno schema alternativo,
che prenda le distanze dai dettami
neoliberisti e che ponga le radici
nella ricerca della vera e concreta
giustizia sociale.

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