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Allorigine dellONMI: riforma sociale o battaglia demografica?*


di Maurizio Bettini

LOpera Nazionale per la protezione della Maternit e della Infanzia (ONMI) fu costituita con la legge 10 dicembre 1925 n. 2277 (il regolamento fu pubblicato con rd del 15 aprile 1926, n. 718), dopo quasi quattro anni di studi e discussioni parlamentari. Si trattava certamente di una significativa novit legislativa tenuto conto che in et giolittiana erano gi stati elaborati alcuni progetti di legge a favore di bambini lattanti e dellinfanzia legittima abbandonata (1907) o contro la delinquenza minorile (1909), ma essi erano poi decaduti dopo tormentati dibattiti. Chiusa la vicenda bellica, si decise di riprendere e di razionalizzare, sintetizzando in un unico provvedimento, tutte le misure a protezione dellinfanzia abbandonata o debole. Liniziativa part dal Senato che vot un ordine del giorno, nel giugno 1922, con il quale invitava il governo a organizzare un sistema coerente di protezione sociale dellinfanzia. Fu cos nominata una prima commissione che elabor un documento preliminare, il quale prendeva in considerazione le esperienze straniere in materia dassistenza. Dopo lavvento di Mussolini al potere, fu costituita una seconda commissione, pi snella essendo composta di 5 membri rispetto ai 32 esperti della precedente, con il duplice compito sia di continuare, approfondendole, le analisi e le osservazioni; sia dapprovare un progetto di legge che doveva esserle nel frattempo sottoposto da un gruppo ristretto di tecnici, i quali avevano gi fatto parte della prima commissione. Sullesempio della belga Opera nazionale dellinfanzia fu concepito un ente centrale di direzione e coordinamento dal quale lazione si sarebbe dovuta irradiare su tutto il territorio nazionale attraverso organi locali. Alle federazioni provinciali spettava il compito di controllare e coordinare le istituzioni minori che avrebbero dovuto avere il compito, specie i patronati comunali, dattuare concretamente le direttive e gli scopi dellente. A differenza del modello belga per lOpera nazionale italiana non si sarebbe dovuta occupare solo della protezione igienica della prima infanzia ma avrebbe dovuto farsi carico di unassistenza assai pi ampia che comprendeva la protezione igienica della maternit; la difesa morale e materiale della fanciullezza e delladolescenza fino al diciottesimo anno di et; leducazione della donna alla maternit 1. Questa scelta non era stata dettata da motivi ideologici, che si rifacevano a una presunta ed enfatizzata assistenza totalitaria o integrale, secondo il lessico propagandistico del regime, la quale si sarebbe ben presto scontrata con una scarsit drammatica di risorse. Tale scelta dipendeva invece dalle disfunzioni
*Questo saggio anticipa alcuni temi che sono al centro di una pi vasta ricerca che concerne lattivit dellOnmi in provincia di Pisa. Desidero ringraziare Guido Melis e Alessandro Polsi per una lettura preliminare del testo. Ovviamente sono lunico responsabile delle tesi sostenute.

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strutturali della beneficenza pubblica e privata, verso i bambini nati illegittimi; dallalta mortalit infantile che era in stretta connessione con il basso tenore di vita delle famiglie industriali urbane e con la povert diffusa nelle campagne anche in strati disomogenei della popolazione (braccianti, mezzadri, coloni); dalla devianza minorile che dipendeva anchessa come fenomeno sociale correlato dalla miseria, dalla disoccupazione e dalla mancanza di cultura e istruzione di massa che avrebbero rappresentato alternative realistiche, solide e durature a una mobilit sociale che era, nella realt, assai pi vischiosa e fondata invece su strategie occasionali e fortuite. Una prima svolta si ebbe l8 dicembre 1924, quando il ministro dellInterno Federzoni present al Senato il disegno di legge definitivamente preparato dalle due commissioni reali 2. Iniziava cos il percorso parlamentare che avrebbe condotto dopo qualche emendamento alloriginaria Opera Nazionale per la Protezione e Assistenza allInfanzia alla costituzione dellONMI nel 1925. LItalia giungeva ultima, tra i paesi pi industrializzati, allistituzione di un organismo nazionale parastatale specificamente indirizzato verso lassistenza sociale della maternit e dellinfanzia. La Norvegia aveva gi da qualche anno promulgato una legislazione a protezione dellinfanzia (1915). In Gran Bretagna era stato promulgato il Maternity and Child Welfare Act nel 1918 3, a cui era seguito lEducation Act nel 1921. In Belgio lOpera nazionale dellinfanzia era stata fondata nel 1919, mentre in Francia erano stati costituiti un Consiglio superiore della natalit e della protezione dellinfanzia ed era stata emanata una legge a favore dellinfanzia maltrattata o moralmente abbandonata nel 1921. Sempre nel 1921, negli Stati Uniti una legge provvide a proteggere ligiene della maternit e della prima infanzia. Nel 1922 vennero promulgate due leggi: una in Germania sullassistenza materna e sulla protezione dei fanciulli illegittimi e quelli collocati a baliatico; una in Danimarca sui fanciulli moralmente abbandonati. Lintervento dello Stato, nel settore dellassistenza allinfanzia e alla maternit, era un fatto che accomunava, dunque, i maggiori paesi industrializzati. Lassistenza sociale faceva parte di un insieme pi ampio di politiche, per mezzo delle quali i governi europei post-bellici dopo anni dintenso fermento politico cercarono dimprimere maggiore coesione alle rispettive compagini sociali. Gli altri due segmenti dellintervento sociale dello Stato erano rappresentati dalla previdenza e dal consolidamento dei livelli retributivi con la garanzia legale di un salario minimo bastevole per le necessit della vita (living wage) 4. La societ europea era stata, infatti, profondamente scossa, tra il 1917 e il 1920, anche se in luoghi e con modalit e intensit assai diverse, da proteste violente, duri scioperi generali, rivolte o rivoluzioni sociali che dipendevano da fattori economici e politici intimamente connessi tra loro 5. Le conseguenze economiche negative della guerra si erano fatte sentire sui prezzi e sui salari reali; sulla quantit disponibile di beni alimentari di largo consumo (pane, pasta, latte); sulla drastica limitazione di consumi fondamentali non alimentari (abiti, calzature); mentre la militarizzazione delle maestranze e labolizione del diritto di sciopero; limposizione di relazioni industriali finalizzate allincremento dello sfruttamento tayloristico e produttivistico nelle fabbriche; la repressione dellattivit politica dei partiti e dei sindacati di sinistra, specie di quelli contrari alla guerra, erano segni di una precisa volont di scontro frontale con una classe operaia pi forte, numerosa, essendosi ampliata la base industriale dei paesi pi direttamente coinvolti nel conflitto, e animata senza dubbio da una volont di profondo cambiamento che era alimentata dal successo della rivoluzione comunista in Russia. Per quanto riguardava le assicurazioni sociali, nel 1919 si era ampliato e completato, in Italia, lo schema assicurativo obbligatorio, gi realizzato negli altri paesi 6, che concerneva

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lassicurazione contro la disoccupazione involontaria, gli infortuni sul lavoro e linvalidit e la vecchiaia. Sono da menzionare in particolare il dlgt 21 aprile 1919 n. 603, che contemplava lassicurazione obbligatoria delle persone dambo i sessi contro linvalidit e in previsione della vecchiaia, che prestassero lavoro in qualit di operai, garzoni, apprendisti, inservienti, commessi, sorveglianti, impiegati delle industrie, dei commerci e dellagricoltura; e il dl 19 ottobre 1919 n. 2214, che fissava norme per lassicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria. Lo sviluppo lento delle assicurazioni sociali, in Italia, era dipeso da molteplici fattori. Prima di tutto, dal ritardo del processo di industrializzazione che avrebbe potuto accelerare lammodernamento dei rapporti sociali. La formazione e la concentrazione di una classe operaia in grandi fabbriche cittadine implicava sempre lintegrazione sociale, il pluralismo politico e lo sviluppo di rapporti democratici di lavoro, essendo la classe operaia portatrice di nuovi fabbisogni che concernevano la lotta al sovraffollamento e la politica di edilizia popolare; lerogazione di servizi di trasporto efficienti di massa per giungere economicamente sui posti di lavoro; la fornitura di assistenza sanitaria e sociale ai poveri e ai disoccupati, specie nelle fasi basse del ciclo economico. I governi liberali avevano avuto viceversa scarsa consapevolezza dellesistenza di una questione sociale, fino a quando essa non era scoppiata tumultuosamente nel 1898, determinando poi la svolta riformista di Giovanni Giolitti. La mancanza di un programma sociale nella politica interna dei governi della Destra e Sinistra storica era dipesa dalla conformazione della loro base sociale, omogenea e ristretta, e anche dal fatto che il ceto liberale sidentificava con lo Stato e con il governo. Il suffragio censitario manteneva, infatti, rigidamente separati i ceti subalterni dallo Stato, quasi fossero un corpo estraneo confitto casualmente nel paese e nella societ e a cui fosse lecito negare i diritti di cittadinanza, fino alla riforma elettorale a suffragio universale maschile del 1912. La mancata percezione della gravit della questione sociale inoltre era dipesa anche dallideologia liberista (laissez faire, laissez passer) del ceto dirigente liberale che credeva fermamente ed erroneamente nella capacit del mercato di auto-regolarsi. Un mercato senza regole e controlli era concepito, soprattutto, per la gestione del fattore meno inerte della produzione: il lavoro. Cos, per non vincolare o intralciare la libert del lavoro (non quella dei lavoratori), il diritto di sciopero e di associazione avevano incontrato difficolt a trovare consenso legale come legittimi strumenti di lotta sociale e per questa ragione, ancora, le prime timide misure di previdenza e assistenza sociale avevano avuto a lungo un carattere facoltativo e volontario. Con i provvedimenti del 1919, fortemente voluti dai liberali democratici giolittiani e dai democratici riformisti di matrice nittiana, lo Stato aveva viceversa abbandonato finalmente il principio della mutualit volontaria per farsi portatore di istanze di eguaglianza e di solidariet sociale che si esprimevano attraverso la redistribuzione delle ricchezze con lerogazione diretta di una somma anche da parte dello Stato 7. Per quanto riguardava, invece, la fissazione di minimi legali di salario lo Stato liberale italiano, sia nella componente conservatrice che in quella democratico-riformista, aveva deciso di procedere assai diversamente rispetto ad altri paesi industrializzati europei ed extraeuropei (USA, Canada e Australia), risentendo in ci maggiormente linfluenza contraria della grande industria che non voleva scostarsi dalla politica di bassi salari. I governi italiani bellici e post-bellici non erano dunque intervenuti in alcun modo per regolare i salari n stabilendo minimi legali n organizzando agenzie statali su base territoriale (sullesempio dei Trade Boards britannici) che di fatto imponessero, con arbitrati obbligatori, minimi di paga nei settori maggiormente sottoposti allo sfruttamento e privi di rappresentanza e di contrattazione

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sindacale. In questo caso era deciso di non intraprendere una politica riformista per ampliare la propria base sociale verso i ceti pi deboli e poveri della societ, a differenza di quanto fecero Gran Bretagna e Irlanda (1909 e 1912), Francia (1915, 1922), Norvegia, Austria e Cecoslovacchia (1918), Polonia (1919), Svizzera, Olanda e Ungheria (1920) e Germania (1911, 1923), che avevano applicato minimi obbligatori nei settori pi faticosi e fisicamente logoranti dellindustria mineraria o nelle branche marginali dellindustria tessile a domicilio, delle sartorie, dellindustria alimentare delle aringhe, in agricoltura oppure tra gli impiegati di grado pi basso del commercio 8. Impegnato a non contrastare la politica di bassi salari, specie femminili, vigente nellindustria italiana, lo Stato liberale aveva mantenuto una sostanziale inerzia legislativa durante il periodo di guerra, mentre nel dopoguerra erano falliti ben due progetti di legge che, riguardando lindustria a domicilio, avrebbero seriamente potuto incidere sulle retribuzioni in vigore soprattutto nel mercato femminile del lavoro 9. Si trattava di una grave mancanza se si tiene solo presente che le operaie occupate nelle confezioni militari erano state, nellultimo anno di guerra, circa 600.000 rispetto alle appena 200.000 donne occupate nelle fabbriche ausiliarie che producevano armi, munizioni e altri beni per lesercito. Per difendere il livello del reddito e il benessere familiare, molte donne mogli, sorelle e figlie dei richiamati si erano rese disponibili sul mercato delle confezioni militari, ampliando cos il numero delle lavoranti a domicilio e inasprendo la feroce concorrenza sui salari che esisteva con le operaie riunite nelle cooperative di lavoro 10. Gi durante la guerra, alcuni governi europei avevano instaurato minimi di paga obbligatori (legali o contrattuali) in rami tuttaltro che marginali dellindustria. In Europa, la Gran Bretagna era stato certamente il paese pi avanzato in tema di riforma della retribuzione 11. La questione dei minimi era saldamente connessa con la salvaguardia del tenore di vita, compromesso, oltre che dallinflazione, anche dalla penuria di generi alimentari. Solo in Gran Bretagna la razione alimentare aveva subito minori riduzioni rispetto al resto dei paesi belligeranti, grazie agli approvvigionamenti dagli Stati Uniti e dalle colonie doltremare. La razione media giornaliera pro-capite di calorie delluomo medio era passata da 3.398 nel 19091913 a 3.379 nel 1918. In Italia la razione media giornaliera di calorie pass invece da 3.119 nel 1909-1913 a 2.985 nel 1918 12. Secondo Riccardo Bachi il razionamento colpendo i generi di pi largo consumo (pane) aveva avuto conseguenze peggiori sul tenore di vita della popolazione povera che ne consumava in misura maggiore rispetto ai ceti borghesi 13. Il peggioramento delle condizioni di vita (alimentazione, vestiario, alloggio), durante la guerra, avevano prodotto conseguenze immediate sulla salute della popolazione. In tutte le classi di et della popolazione italiana si era verificato un aggravamento di mortalit dovuto allepidemia influenzale del 1918, mentre minori conseguenze le manifestazioni epidemiche di colera (1915-1916), meningite cerebro-spinale (1915-1917), di vaiolo (1919-1920) e di tifo petecchiale (1919). Nelle et infantili erano state soprattutto le malattie dellapparato digerente (colera, enterite, diarrea, gastroenterite) e dellapparato respiratorio (bronchiti, broncopolmoniti, polmoniti e pleuriti) a causare una mortalit pi elevata per le insufficienze dellorganizzazione igienica; per linadeguato riparo dalle intemperie e per la disadatta alimentazione 14. Erano aumentate nei bambini le morti per anemia; mentre oltre i cinque anni di et alle crescenti affezioni bronchiali, polmonari, gastriche e intestinali si erano aggiunte le malattie sociali (malaria, tubercolosi). La sifilide aveva colpito duramente le et infantili, poich il calo della mortalit, che risaltava in termini assoluti, era solo apparente, in quanto la rappresentanza delle et infantili si era ridotta, nella popolazione, col diminuire della natalit in tempo di guerra. Nel dopoguerra, il lento e conflittuale ritorno a migliori condizioni di vita 15, sisa-

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rebbe riflesso in una diminuzione della mortalit nelle et superiori a cinque anni, ma non nelle et infantili, dove persistette un sensibile aggravamento della mortalit 16. Lazione della Cassa Nazionale di Maternit, sorta nel 1910 per fornire una copertura assicurativa alle lavoratrici madri (L. 17 luglio 1910 n. 520 ma il regolamento dattuazione del 5 gennaio 1912) e per tutelare il nascituro e la madre con un adeguato periodo di riposo prima e dopo il parto, per evitare aborti, parti prematuri o gracilit congenita 17, non si era dimostrata efficace. Il sussidio elevato a 100 lire nel 1920 era assolutamente insufficiente a risarcire loperaia della perdita del salario e non [poteva] in ogni modo permetterle di far fronte alle straordinarie esigenze del periodo di puerperio, dato lenorme rincaro della vita 18. Alle migliori condizioni di vita della classe operaia europea e italiana, conquistate nel biennio 1919-1920 19, quando era stato migliorato il consumo, ridotto lorario e attenuato il ritmo di lavoro, sarebbe seguito un nuovo peggioramento causato dalla crisi economica che ridusse, nel biennio 19211922, il lavoro e aument la disoccupazione 20. A complicare la situazione economica contribuirono anche le politiche economiche dei governi europei, i quali intrapresero politiche di bilancio severe, che incisero sulla spesa pubblica, specie su quella sociale. In Italia, la spesa totale dello Stato (la maggior parte della quale era incomprimibile) era stata sostenuta anzich con un incremento delle entrate, solo con tagli indirizzati soprattutto a contenere la spesa sociale. Solo la diminuzione dei prezzi agricoli in Gran Bretagna e negli Stati Uniti permise ai consumatori meno abbienti di sopportare meglio labolizione del prezzo politico del pane nel 1921 21. I tagli colpirono anche le finanze degli enti locali, i quali erogavano servizi sociali e sanitari direttamente ai figli illegittimi non riconosciuti, ai bambini e alle madri povere. Alla contrazione della spesa sociale si aggiunsero, con fasi e con intensit diverse in Europa, le manovre monetarie deflazionistiche che, intese a ripristinare la parit aurea, compressero i salari e ridussero i consumi interni. In Europa furono in particolare la classe operaia inglese e scandinava che dovettero affrontare gli effetti negativi, diretti e indiretti sui bilanci familiari, di politiche di spesa austere e di restrizione creditizia. Finalizzate dallimmediato dopoguerra alla lotta contro linflazione e poi al ritorno alla parit aurea prebellica delle rispettive monete (quella della sterlina fu raggiunta infine nel 1925), le suddette politiche provocarono, specialmente nel caso britannico, una frenata dei consumi interni e una depressione dellesportazione di manufatti che erano divenuti assai meno competitivi rispetto ai concorrenti internazionali. Il ripristino del gold standard in Gran Bretagna coincise, ovviamente, con una linea di reazione sociale e di forte compressione salariale che culmin dopo il 1921-1922, quando furono colpiti i salari dei minatori nella sconfitta del movimento operaio durante lo sciopero generale del 1926 22. La dura reazione del governo, che voleva mantenere la parit aurea della sterlina, ebbe la massima espressione con il Trade Disputes and Trade Unions Act (1927) che introdusse rigide limitazioni al diritto di sciopero. In Norvegia fu deciso di concedere, nel 1927, unaggiunta di famiglia temporanea per integrare i redditi dei dipendenti pubblici che erano stati decurtati. Si giustific la concessione affermando che madri e bambini avrebbero altrimenti sofferto a causa dei tagli 23. Al contrario, i governi francese, belga, italiano e tedesco favorirono subito dopo la guerra lattuazione di politiche monetarie pi espansive. In Germania la consapevolezza degli effetti sui salari, in termini di compressione e di conseguente inasprimento del conflitto sociale, lasci dubbiosi molti osservatori circa lopportunit pratica nella situazione data dallo sconvolgimento economico provocato dalla guerra di perseguire immediatamente una politica monetaria deflazionistica 24. In Germania,

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comunque, il ripristino della parit aurea avvenne assai rapidamente tra la fine del 1923 e linizio del 1924. In Francia la restaurazione del gold standard fu pi lenta e avvenne nel 1926. In Italia una prima crisi valutaria causata da esportazioni di capitali a medio e lungo termine e da un deficit della bilancia commerciale, la quale risentiva gli effetti congiunti della contrazione della domanda estera e dellaumento delle importazioni di derrate alimentari (lannata agricola era stata sfavorevole), di materie prime di origine agricola, di semilavorati e minerali per lindustria siderurgica, meccanica e elettromeccanica aveva sollevato, nella seconda met del 1925, numerosi dubbi e profonde inquietudini nella compagine industriale del paese, che attendeva con ansia la disponibilit di prestiti esteri. Dopo quella dellestate 1925, una seconda crisi valutaria colp nuovamente il paese da maggio a settembre 1926. Questultima fu affrontata meglio dal governo e dalle autorit monetarie in virt dei prestiti esteri ricevuti per stabilizzare la moneta nella crisi precedente. In ogni caso, essa indusse Mussolini a preferire noto laffermazione di una decisa politica di rivalutazione monetaria rispetto a una semplice e meno traumatica (dal lato delle esportazioni) stabilizzazione. Questa decisione ebbe importanti riflessi anche sul piano sindacale poich la compressione salariale e la contrazione dei consumi erano i due fattori che avrebbero dato immediato sollievo sia alla spesa per le importazioni sia al conto economico delle imprese, che rischiavano di vedere compromesse le vendite allestero 25. Daltra parte, se autorit monetarie e governo erano daccordo sulla politica di rivalutazione, anche le imprese convergevano su questo obiettivo, sebbene venisse invocata una certa cautela 26, non solo perch la svalutazione faceva crescere i costi delle materie prime, dei combustibili e dei semilavorati o perch alimentava linflazione, sottoponendo a forti tensioni la spesa per salari, ma anche perch le imprese avevano bisogno di ricorre a crediti esteri per completare o estendere investimenti produttivi (immobili, impianti, macchinari, reti distributive) o per ridurre le quote di indebitamento 27. Fin dai primi anni di governo, Mussolini prosegu, comunque, la politica di bilancio che era gi stata iniziata dagli ultimi governi liberali. Per quanto riguardava la spesa sociale che gravava sul bilancio dello Stato, alcuni problemi erano gi stati risolti nel 1921 (abolizione del prezzo politico del pane); altri come la spesa per il personale furono affrontati direttamente dal nuovo regime con minori preoccupazioni circa le reazioni sociali 28. Il pareggio del bilancio raggiunto nel 1925 fu ottenuto attraverso una radicale contrazione delle spese, colpendo il personale dello Stato e degli enti locali con decurtazioni e licenziamenti (90.000 persone persero il lavoro). Particolari conseguenze sugli organici delle amministrazioni locali ebbe il regio decreto n. 1177 del 1923, con il quale il governo intendeva rivedere le tabelle e i regolamenti organici dei comuni, delle province e delle istituzioni pubbliche di beneficenza. I criteri che furono seguiti nella ristrutturazione amministrativa erano ispirati soprattutto alla politica di bilancio che gli enti locali avrebbero dovuto perseguire. Infatti, nella determinazione delle paghe e nella compilazioni dei ruoli le amministrazioni locali avrebbero dovuto tenere conto delle condizioni finanziarie dellente e delle specifiche qualifiche e attribuzioni del personale. Furono colpiti per primi con i licenziamenti gli impiegati e gli operai avventizi. Poi fu il turno del personale di ruolo, salendo tutti i gradini della scala gerarchica. Quando le fonti lo permettono, possibile ricostruire la dinamica dei salari nominali dei dipendenti pubblici locali negli anni 1923-1929 per notare cos una lenta crescita a cui corrispose per una caduta del potere dacquisto causato dal costo della vita, che aumentava pi in fretta 29. La stagnazione dei salari nominali non deve meravigliare, in quanto era convinzione

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del governo [] che lunica possibile soluzione al risanamento del dissesto finanziario dei Comuni e delle Province fosse la limitazione delle spese per il personale 30. Fu a fronte del peggioramento delle condizioni economiche della classe operaia che la Cassa Maternit decise dintraprendere la fornitura di servizi dassistenza sanitaria, preventiva e curativa, nei suoi consultori a partire dal 1927. Solo che la Cassa organizzava lassistenza per determinate categorie escludendo gran parte delle donne occupate nel settore primario e terziario. Negli anni di ulteriore espansione della base industriale del paese, durante la prima guerra mondiale, su 1.397.607 donne potenzialmente iscrivibili nei ruoli della Cassa solo 476.722 erano registrate, in quanto lavoranti a domicilio; braccianti e impiegate erano escluse da tali benefici.
Tabella 1 - Lavoratrici assicurate alla Cassa maternit (1920-1938). Anni 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1927 1928 1929 Nr. (migliaia) 641 618 644 675 725 822 888 874 903 955 Anni 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 Nr. (migliaia) 963 957 826 866 912 1.009 1.072 1.890 2.057

Fonte: ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, Notizie statistiche 1940-41-42, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1946, p. 73.

Nel 1929 i benefici furono dapprima estesi alle lavoratrici del commercio e alle impiegate delle amministrazioni pubbliche e private; mentre nel 1936 lassicurazione obbligatoria fu applicata anche alle lavoratrici dellagricoltura con un aumento di circa 820.000 assicurate dal 1936 al 1937 31.
Tabella 2 - Contributi riscossi e prestazioni liquidate per assicurazione maternit 1920-1939 (migliaia di lire correnti). Anni 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1927 1928 1929 contributi 1.441 1.390 1.449 4.681 5.072 5.754 6.215 6.115 6.320 6.688 prestazioni 2.436 3.519 3.379 3.499 3.521 3.719 3.953 4.033 3.978 4.127 differenza -995 -2.129 -1.930 1.182 1.551 2.035 2.262 2.082 2.342 2.561 anni 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939* contributi 6.741 8.540 5.304 5.876 6.241 6.929 7.500 12.985 15.006 142.482 prestazioni 4.753 5.323 5.433 5.235 5.738 6.610 14.858 20.849 30.288 38.434 differenza 1.988 3.217 -129 641 503 319 -7.358 -7.864 -15.282 104.048

* ha inizio lassicurazione nuzialit e natalit Fonte: ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, Notizie statistiche 1940-41-42, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1946, pp. 84 e 86.

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Nel 1927-1933 furono creati 21 consultori distribuiti nei centri di maggiore attivit industriale. In quegli anni, le assicurate che ricorsero al consultorio sarebbero state secondo alcune stime non ufficiali in numero di 92.339 (mentre secondo i dati ufficiali dellInps furono 34.881 come dimostra la Tabella 3); le visite mediche 115.966; le donne sottoposte a cure ambulatoriali e a domicilio 3.752; le ricoverate in istituti di cura 2.359; mentre gli esami specialistici prescritti furono probabilmente 5.983 e 905 le somministrazioni di medicinali 32. Cifre ufficiali sono disponibili solo per il numero di assicurate che furono assistite nei consultori della Cassa. Secondo i dati dellIstituto Nazionale della Previdenza Sociale le assicurate che ricorsero ai consultori furono, dal 1927 al 1941, in numero di 119.598.
Tabella 3 - Assistite nei consultori materni della Cassa nazionale della maternit, 1927-1941. Anni 1927 1928 1929 1930 1931 1932 1933 1934 Nr. assistite 1.109 3.012 3.718 5.003 7.674 7.016 7.349 7.650 Anni 1935 1936 1937 1938 1939 1940 1941 Nr. assistite 8.638 8.616 10.429 12.435 13.750 10.468 12.731

Fonte: ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, Notizie statistiche 1940-41-42, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1946, p. 83.

Il peggioramento dellalimentazione e del tenore di vita pi in generale; la recrudescenza della mortalit infantile; il pericoloso riaffacciarsi di endemiche malattie sociali costituivano come si detto le conseguenze sociali e sanitarie della prima guerra mondiale. Queste conseguenze ebbero un effetto duraturo nel dopoguerra, specie quelle sanitarie. Non meraviglia quindi che fossero vivissime le preoccupazioni per un eventuale pericolo degenerativo; il che stimol anche la ripresa degli studi eugenetici, i quali culminarono nel primo congresso italiano di eugenetica sociale nel 1924 33. Lo studioso di igiene ed esperto di malaria, Giuseppe Tropeano, sottolineava, gi nel 1919, la necessit di bonificare il materiale umano partendo proprio dalla maternit e dallinfanzia per rettificare gli effetti della guerra mondiale 34. Sorsero cos nel dopoguerra diversi istituti e organizzazioni che rivolsero lattenzione a gestanti e bambini, alcuni come lIstituto di igiene, previdenza e assistenza sociale fondato dal neurologo Ettore Levi indirizzati a combattere le infezioni veneree, la tubercolosi, lalcolismo, la malaria, le malattie mentali 35; altre finalizzate come lOpera di Assistenza Materna di Roma (con sedi staccate a Bari, Macerata, Pisa e Livorno) a combattere la mortalit infantile e lesposizione degli illegittimicon unassistenza morale e materiale alle gestanti, alle madri nubili o bisognose 36. Al conseguimento degli scopi, lOpera di Assistenza si proponeva di giungere soprattutto con listituzione e il mantenimento di refettori materni, di consultori settimanali, di asili nido e cucine infantili; con il collocamento delle madri al lavoro e con la distribuzione di piccoli corredi, culle, saponi, vaschette da bagno, alimenti e altro. La diffusione dellistituzioni dellOpera di Assistenza Materna in ogni quartiere popolare delle citt in cui era presente, e gli scopi stessi della sua missione, dimostrano

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quale poco margine di manovra fosse lasciato alla prevenzione dei pi gravi problemi sociali, mentre buona parte dello sforzo operativo era destinato agli aspetti della cura. Non si trattava neppure di prestazioni avanzate in campo medico, poich la cura e lassistenza vertevano sulla fornitura di cibo, vestiti e oggetti per ligiene personale alle famiglie povere. Questa circostanza deve essere tenuta presente poich sar da questo contesto di societ urbana povera, dove vigevano bassi redditi e scarsissimi servizi sociali, che muover successivamente lazione dellONMI. LOpera di Assistenza Materna di Roma svolgeva anche unattivit fatta propria poi dallONMI di vigilanza igienica a domicilio per mezzo di signore visitatrici, le quali occorrendo potevano prestare assistenza legale alle madri. Alcuni problemi concreti legavano tra loro questioni di medicina sociale (lotta alla tubercolosi e alla sifilide) e dassistenza allinfanzia (lotta alla mortalit ma anche alla morbilit). Il primo era costituito dalla diffusione della sifilide tra i bambini legittimi per mezzo del baliatico. Ci dipendeva dal fatto che le madri lavoratrici erano costrette a lasciare i propri piccoli, durante le ore di lavoro, in custodia presso delle nutrici retribuite. In questo caso per combattere la mortalit infantile, oltre che insistere sullaspetto medico, occorreva istituire in tutti i comuni, specie nei centri industriali, asili nido specializzati nella sorveglianza e nelligiene dei lattanti. Esisteva poi un problema inverso. Ossia la potenziale diffusione della sifilide tra le famiglie di campagna che allevavano i bambini illegittimi loro affidati, i pi soggetti alla malattia venerea 37. Un terzo problema era rappresentato dai figli dei genitori tubercolotici. Nel primo dopoguerra era stata emanata la legge 24 luglio 1919 n. 1382, che prevedeva lo stanziamento annuo di L. 1.500.000 sul bilancio del Ministero dellinterno per lerogazione di sussidi a favore di comuni e province, delle istituzioni pubbliche di beneficenza, dei consorzi o di altri enti allo scopo di favorire il ricovero di infermi di tubercolosi in speciali luoghi di cura, quando tale ricovero fosse dipeso da reali necessit di difesa dalla diffusione del contagio (a); lo stanziamento annuo di L. 500.000 da erogare in sussidi e per assicurare il funzionamento del comitato provinciale contro la tubercolosi (b); lo stanziamento annuo di L. 2.000.000 per contributi alle spese di funzionamento dei dispensari antitubercolotici istituiti dalle province e dai comuni (ma anche da altri enti). Ai dispensari spettavano compiti molto importanti e in special modo quello di provvedere allinfanzia nellambito familiare del tubercolotico e quello davviare i bambini presso colonie marine e montane o presso altre opere di prevenzione. I fondi del Ministero dellinterno non erano tuttavia tali da consentire unazione incisiva nel campo specifico della profilassi antitubercolare infantile, cos molto era lasciato allintervento di enti minori o dei privati con grave disomogeneit sia su scala geografica sia nella quantit e qualit delle prestazioni. Era un dato, questultimo, che emergeva anche dalla citata relazione del ministro dellInterno, Federzoni, con la quale si presentava al Senato il disegno di legge definitivamente preparato per creare dellONMI. Il ministro non aveva potuto fare a meno di rilevare che:
anche in Italia [erano] sorte nellultimo ventennio numerose istituzioni pubbliche e private a favore della maternit e dellinfanzia; ma tali istituzioni dispo[nevano] di mezzi economici assolutamente inadeguati ai bisogni. Esse inoltre [erano] irregolarmente distribuite nel territorio dello Stato e limita[vano] la loro azione a determinate zone territoriali; ond che alcune province specie nel mezzogiorno e nelle isole i piccoli derelitti manca[vano] di unadeguata assistenza 38.

Ma vi era ormai consapevolezza che occorresse organizzare un regolare servizio di vigilanza su tutti i bambini, e non soltanto sugli illegittimi affidati a nutrici, ad allevatori o a istituti pubblici o privati per ottenere che fossero custoditi e curati in modo razionale e assicurare loro il normale sviluppo 39. Vi era anche la certezza che la lotta contro la mortalit infantile, ancora molto elevata in Italia, richiedesse pi coordinamento e maggiori

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risorse per integrare le iniziative insufficienti degli istituti dassistenza e beneficenza privati, facendo in modo che non vi fossero pi intere regioni italiane prive di servizi di base per lassistenza alla prima infanzia. Quindi occorreva che in tutti i comuni vi fossero, oltre agli asili nido per i figli delle lavoratrici, come gi sopra ricordato, anche i dispensari di latte e altri alimenti infantili per i divezzi e per i piccoli che necessitavano dallattamento artificiale o misto. Era necessaria listituzione di ambulatori che effettuassero anche un servizio di controllo a domicilio per la sorveglianza sanitaria dei bambini e leducazione igienica delle madri; e di preventori per i bambini gracili o per i figli di genitori tubercolotici. Il punto era che leredit sociale della guerra, con le sue privazioni, con i lutti e i conseguenti provvedimenti a favore degli orfani (L. 18 luglio 1917 n. 1143 per la protezione e lassistenza degli orfani di guerra), con il peggioramento delle condizioni di salute degli italiani e lo snervamento e lesaurimento psico-fisico a causa degli estenuanti orari, aveva fatto aumentare, nel dopoguerra, il numero di prestazioni sociali che lo Stato, attraverso comuni e province o altri enti legalmente riconosciuti, avrebbe dovuto fornire ai cittadini bisognosi. La politica concreta, invece, fu di non impegnare risorse significative, e si tradusse a fronte di una crescita tendenziale dei fabbisogni in tagli ai servizi sociali e sanitari. Senza una riforma fiscale pi equa che ridistribuisse il reddito, finanziando una maggiore spesa sociale, lo Stato scelse di imboccare la strada del risparmio, senza peraltro usufruire di sufficienti margini di manovra a meno che non si volesse tagliare a fondo la spesa complessiva per assegni e pensioni di guerra a favore di mutilati, di invalidi, di vedove; oppure i sussidi ai disoccupati. Quando fu possibile si provvide, in parte, a creare risorse proprio per sussidiare le istituzioni di assistenza, con misure estemporanee, come il dlgt 3 ottobre 1918, che istituiva uno speciale contributo sul prezzo di consumi ritenuti voluttuari (spettacoli pubblici, scommesse); oppure, ancora, tagliando come pi sopra ricordato le sovvenzioni alimentari indirette (prezzo politico del pane) alle famiglie urbane industriali che ne usufruivano, per evidenti ragioni, in misura maggiore. Lo Stato scelse di imboccare la strada del risparmio sulla spesa sociale poich i provvedimenti fiscali, che il governo avrebbe voluto attuare, costituivano il vero punto dattrito degli imprenditori con il potere politico 40. Gli industriali erano riusciti criticando e contrastando il governo, soprattutto dopo loccupazione delle fabbriche nel settembre 1920 a rendere inefficaci (o a fare sospendere) alcune disposizioni in materia fiscale prese nel dopoguerra. Era il caso del provvedimento sullavocazione allo Stato dei sopraprofitti di guerra, la cui legge istitutiva (24 settembre 1920, n. 1298 e rd 27 marzo 1921 n. 319 per lapplicazione) era stata dichiarata inapplicabile dai rappresentanti degli industriali; oppure il provvedimento circa la nominativit obbligatoria dei titoli azionari, sospeso nel 1921 durante il governo Bonomi 41. Uno degli ultimi attacchi era stato portato, nel giugno 1921, da Gino Olivetti che aveva stigmatizzato duramente la condotta fiscale del governo per aver reso ancora pi faticoso allindustria italiana lo sforzo per uscire dalla crisi che colpiva, in quel momento, leconomia mondiale 42. stato notato che la mancata attuazione della riforma fiscale, che prevedeva anche unimposta complementare sul reddito delle persone fisiche, unimposta patrimoniale e la modifica delle imposte reali che gi esistevano al fine di renderne migliore la riscossione e laccertamento , aveva contribuito a fare crescere la disponibilit dei profitti per banche e imprese che avevano, in quegli anni, grossi problemi di liquidit. Stesso esito ebbero le misure di esenzione fiscale, di rateizzazione di imposte gi accertate, di riduzione o annullamento in via amministrativa di debiti di grandi imprese verso lerario 43. Prima dellavvento del fascismo quindi la reazione degli industriali alla riforma fiscale era stata

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dettata dalla paura che questa potesse significare soprattutto un prelievo concentrato sui propri redditi. Certo, gli industriali invocavano manovre forti per risanare il bilancio nazionale; queste per dovevano riguardare il prelievo fiscale sui redditi di altre classi sociali e incidere sui consumi 44. Essi evidenziavano il bisogno di diminuire energicamente le spese dello Stato, sempre meno coperte dalle entrate, colpendo la spesa pubblica in maniera selettiva. Bisognava comprimere la spesa sociale senza toccare la domanda di beni allindustria che, al contrario, andava ampliata per permettere la riconversione meno traumatica alla produzione di pace. La reazione degli industriali verso unequa politica fiscale (soprattutto se fondata sullinasprimento del prelievo sui loro redditi) e la richiesta dincremento degli aiuti alle imprese implicavano la scelta inflazionistica delle autorit monetarie italiane. Imposta dal deficit dello Stato dal 1919 fino agli inizi del 1920 (deficit sul quale non si poteva agire con misure drastiche in regime democratico e per motivi di ordine sociale), la politica inflazionistica fu indirizzata successivamente a salvare grosse imprese in crisi (Ansaldo, Banca italiana di sconto e Banco di Roma) e a sostenere lindustria con una politica di spesa in funzione anticiclica 45. La politica di bilancio incuteva timore negli imprenditori per leventuale orientamento della politica monetaria verso la deflazione anzich verso lespansione dellofferta di moneta come mezzo di sostegno allindustria 46. Insomma, la spinta inflazionistica della spesa pubblica era criticata solo quando era indirizzata a mantenere la spesa sociale: altrimenti questa, quando serviva a finanziare piani di ristrutturazione industriale o programmi di salvataggio, o serviva a sostenere il livello della domanda aggregata, era ritenuta pi che giustificata. Lobiettivo dincrementare le entrate, per perseguire il pareggio del bilancio dello Stato non venne completamente abbandonato, ma solo rivolto, con lavvento del fascismo, sui consumi e verso i redditi che fino allora per criteri di giustizia sociale ne erano stati esentati. Sgravi fiscali furono concessi allindustria per oneri speciali e normali; venne definitivamente soppressa la nominativit dei titoli, mentre furono applicate imposte reali sul reddito di categorie in precedenza escluse (applicazione della ricchezza mobile ai salari) 47. La politica di pareggio del bilancio, con i tagli alle prestazioni sociali dello Stato, indebol la capacit di spesa degli enti locali. Questo appare tanto pi vero poich com stato notato gli enti amministrativi (comuni, province) svolsero prevalentemente un ruolo, perlomeno fino al secondo dopoguerra, da ente pagatore, il quale riscuoteva alcuni tributi o sovvenzioni dallo Stato e li spendeva per lordinaria amministrazione 48. Per quanto concerne la Provincia di Pisa, al centro di questo studio, stato rilevato che la mansione di ente pagatore si adattava bene alla sua attivit amministrativa compresa nel periodo 1900-1939. La Provincia spendeva quanto incassava mantenendo in pareggio il bilancio anche se ricorreva talvolta allaccensione di mutui. Le fonti dentrata, oltre ai mutui, erano rappresentate dai tributi, in mezzo ai quali aveva una funzione preponderante la sovrimposta provinciale. La spesa invece si distribuiva pi uniformemente tra i capitoli inerenti la sanit, lassistenza, la costruzione e la manutenzione di opere pubbliche, la gestione e manutenzione del patrimonio provinciale (tra cui caserme e prefettura) e, ovviamente, lammortamento del debito dovuto allassunzione secondo gli anni degli occasionali mutui 49. Negli anni Venti la centralizzazione amministrativa del fascismo ebbe come conseguenza lulteriore limitazione della gi ridotta autonomia operativa degli enti locali. Negli anni Trenta, con la promulgazione del Testo unico sulla finanza locale (1931), fu ridotta ancora la capacit di spesa dellente provinciale poich simpose la riduzione della sovrimposta sui terreni. La diminuzione delle risorse non fu

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compensata dalla riduzione degli obblighi in alcuni settori come listruzione o la manutenzione di opere idrauliche e stradali. Tra 1921 e 1925, disponendo di entrate non suscettibili daumento consistente gli enti locali, ma anche gli istituti pubblici e privati (che vivevano grazie ai contributi e alle rette, alle donazioni o ai lasciti, oltre che con le rendite dei propri patrimoni), furono dunque costretti a restringere sensibilmente le rispettive attivit assistenziali o a chiudere addirittura le porte, di modo che il numero, gi elevatissimo, dei fanciulli abbandonati e privi di soccorso aument notevolmente 50. Inoltre crebbe il costo pro-capite di mantenimento e cura dei bambini, che correlato con landamento stabile delle nascite di figli illegittimi fece crescere la spesa complessiva di mantenimento. La legge 20 marzo 1865 obbligava comuni e province a prestare lassistenza agli illegittimi non riconosciuti. Le province, poi, avevano lassunzione della quota comunale obbligatoria per il mantenimento degli esposti tra le voci di spesa facoltative, iscritte nel bilancio. Fino al 1927, inoltre, fu a carico delle province lassistenza facoltativa degli illegittimi riconosciuti dalla sola madre. Ma con il dl 8 maggio 1927 n. 798 e la l. 13 aprile 1933 n. 313 lassistenza agli illegittimi fu resa obbligatoria ripartendo per la spesa tra lONMI (un terzo) e gli enti locali (due terzi). In sostanza, ci fu un aggravio delle spese per beneficenza, a carico degli enti locali, mentre il governo e autorit monetarie stavano effettuando una politica di bilancio tesa a sostenere la manovra di rivalutazione monetaria e poco prima di ridurre lentrate fiscali degli enti locali, come sopra accennato 51. Qualche elemento di valutazione in pi si ottiene grazie allanalisi degli unici due bilanci consuntivi di cui si dispone nel caso dellamministrazione provinciale pisana (il 1924 e il 1925), i quali coincidono, rendendone cos apprezzabile e significativo lutilizzo, proprio con il periodo in cui era in studio e in discussione il progetto di costituzione dellONMI. Nel 1924, lamministrazione provinciale pisana fu costretta a selezionare e a tagliare le spese previste a causa della decurtazione, introdotta con decreto reale dal Ministero delle finanze, della sovrimposta fondiaria (-882.227,50 lire pari al 10,5% della sovrimposta originariamente preventivata). Anche nel 1925 ci fu un taglio per la rilevantissima somma di 884.345,25 lire, come si faceva notare nella relazione allegata al conto amministrativo. Si aggiungeva che le non lievi difficolt incontrate ne corso dellesercizio avevano causato un disavanzo finanziario di L. 486.461,21 che sarebbe potuto essere maggiore se non si fossero verificate entrate di entit inaspettata rispetto alle iniziali previsioni 52. Nel 1924, economie furono fatte sulla manutenzione delle strade e sullacquisto di provvista di materiali stradali. Ci permise di contenere lincremento dei costi delle opere pubbliche. La spesa complessiva per opere pubbliche fu, comunque, coperta grazie alle entrate non previste e grazie ai risparmi ottenuti su altre voci di bilancio (oneri patrimoniali, sicurezza pubblica e istruzione). La spesa sociale ordinaria (beneficenza) registr un incremento di circa 86.000 lire a causa dei costi destinati al mantenimento dei maniaci poveri. Le spese totali straordinarie registrarono nel 1924 un incremento rilevante, rispetto alle previsioni iniziali, a causa dei costi per il completamento di un tratto del canale navigabile Livorno-Pisa (il canale dei Navicelli) e per la rettifica del tratto stradale MontegemoliPiombino della provinciale di Val di Cornia. Le maggiori spese straordinarie di beneficenza si riferivano invece a rimborsi per ospedalizzazione di malati di mente. Nel 1925 il taglio della sovrimposta sui terreni e fabbricati, come gi detto, fu in parte compensato da maggiori entrate determinate da ulteriori accertamenti circa i rimborsi da effettuare per il man-

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tenimento dei malati di mente poveri e dallincremento nella riscossione sia di tasse per segreteria e archivio, per concessioni di fabbricazione; sia di sovrimposte sui terreni bonificati e sulle industrie e i commerci. Per quanto concerne la spesa sociale ordinaria, pur incrementandone la previsione tra 1924 e 1925, essa non fu sufficiente e si accertarono maggiori uscite a causa di un aumento, superiore alle aspettative, sia del numero di malati di mente (L. 61.879,45); sia del numero di esposti (L. 20.214,13) da mantenere, a fronte di un risparmio di sole L. 4.488,00 per i sussidi a sordomuti e ciechi. La spesa sociale straordinaria registr un incremento per rimborsi alle consorelle delle rette per il mantenimento dei malati di mente poveri. Economie furono realizzate nelle spese facoltative ordinarie e straordinarie eseguendo tagli ai sussidi per gli impiegati e ai salariati; per le loro vedove e orfani; per il mantenimento dei fanciulli tardivi e nervosi. Furono colpiti anche i sussidi di caro viveri ai pensionati e alle vedove degli impiegati e dei salariati dipendenti dallamministrazione pisana. Sempre con riferimento alla spesa sociale tra 1930 e 1950, si dispone di serie storiche ricavate dai bilanci preventivi, cos che possibile tracciare landamento della politica di spesa delle ente pisano. Nel decennio dei Trenta, la spesa per assistenza e sanit costitu, specie nel quadriennio 1930-1933, la seconda voce di uscita dei bilanci preventivi, assestandosi su una percentuale compresa tra il 25 e il 31% della spesa complessiva. Tra il 1935 e il 1939 essa divenne, invece, la voce di spesa primaria, assestandosi tra il 32 e il 45% della spesa complessiva; posizione che avrebbe mantenuto fino al biennio 1950-1951 53. Per quanto concerne la spesa per lassistenza ai fanciulli, dato che interessa in questo studio, dopo il 1930, fatto uguale a 100 lanno base 1938 (cfr. Tabella 4), lindice della spesa preventiva deflazionata (ossia convertita ai valori della lira 1938) fu superiore in tutti gli anni per i quali sono disponibili le cifre.
Tabella 4 - Indici della spesa preventiva per beneficenza e assistenza ai fanciulli stimata dallAmministrazione della provincia di Pisa 1907-1942 (indici dei totali a lire correnti e ai valori della lira 1938; percentuali sulla spesa sociale complessiva). Anni Spesa totale assistenza (indici in lire correnti) 1938=100 4,8 4,8 5,0 5,4 6,6 58,3 58,6 61,6 61,3 57,7 58,3 58,0 100,0 93,1 84,9 133,1 Spesa totale riferita ai fanciulli (indici in lire correnti) 1938=100 4,9 5,1 5,5 6,6 6,3 86,5 86,3 107,8 100,6 84,2 85,8 85,8 100,0 118,0 115,8 138,3 Spesa totale riferita ai fanciulli (indici in lire 1938) 1938=100 30,9 32,3 34,8 41,2 39,2 145,9 144,9 178,1 187,9 132,0 115,2 85,8 100,0 116,6 113,6 138,2 Spesa per i fanciulli sulla spesa sociale complessiva. % 14,2 14,7 15,2 16,7 13,3 20,5 20,3 24,1 22,7 20,1 20,3 20,4 13,8 17,5 18,8 14,3

1907 1908 1909 1910 1911 1930 1931 1932 1933 1935 1936 1937 1938 1939 1941 1942

Fonti: Elaborazioni personali da cifre tratte dai bilanci preventivi della Provincia di Pisa gentilmente fornite da Roberto Di Quirico.

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Solo nel 1937 si ebbe un consistente calo delle previsioni di spesa. Il particolare incremento della spesa preventivata, nel 1932-1933, sia in termini correnti sia in termini reali, fu dovuto ai costi di mantenimento dei figli illegittimi non riconosciuti. La spesa per lassistenza ai fanciulli gravava per circa il 20-22% sulla spesa sociale complessiva, calando vistosamente dal 1938 (14-19%) e assestandosi allincirca sui livelli relativi del periodo 1907-1911 (15-18%). Al difettoso funzionamento e allinerzia degli organi di difesa morale dellinfanzia abbandonata o allinsufficienza di mezzi assistenziali il ministro Federzoni faceva risalire la notevole diffusione del vagabondaggio, della mendicit e del traviamento fra i minorenni delluno e dellaltro sesso 54. Per il paese, non si trattava duna novit del 1924. Gi nel 1912 una commissione reale (nominata nel 1909 dal ministro Orlando), incaricata di indagare sulle motivazioni e sugli effetti sociali della delinquenza minorile, aveva evidenziato nellindustrialismo, nellemigrazione e nellinsufficienza del sistema educativo e assistenziale le cause maggiori della devianza giovanile. La Grande Guerra, poi, se aveva visto diminuire il numero dei condannati minorenni, specie nella fascia di et compresa tra i 18 e i 21 anni soggetta al richiamo alle armi, aveva provocato di converso un aumento della delinquenza nella classe di et compresa fra i 9 e i 13 anni 55. Questa circostanza dipese dalladozione di criteri di maggiore severit da parte dei giudici (atteggiamento confermato dalla diminuzione dei proscioglimenti) che colpirono con particolare durezza anche coloro che si rendevano colpevoli di reati di lieve entit contro la propriet, che i commentatori coevi ritenevano per essere gli indicatori pi validi del contestuale disordine sociale; reati a loro volta determinati senza dubbio dalle condizioni di particolare disagio economico provocato dalla guerra 56.
Tabella 5 - Numero dei minorenni condannati per reati previsti dal codice penale e di commercio divisi per classi di et e totale dei condannati, 1914-1919. Anni Nr. 2.530 1.809 3.245 3.711 3.423 1.816 9-13 % 2,09 1,74 3,61 4,19 4,73 2,31 14-17 Nr. 13.656 12.130 14.654 15.193 13.938 13.579 % 11,25 11,69 16,29 17,17 19,26 17,29 18-20 Nr. 14.370 11.410 9.380 7.172 4.756 7.451 % 11,84 10,99 10,43 8,10 6,56 9,49 Totale Nr. 30.556 25.349 27.279 26.076 22.117 22.846 % 25,17 24,40 30,65 29,46 30,56 29,09

1914 1915 1916 1917 1918 1919

Fonte: B. BIANCHI, Crescere in tempo di guerra. Il lavoro e la protesta dei ragazzi in Italia 1915-1918, Venezia, Cafoscarina, 1995, p. 156 che utilizza dati tratti da Ministero della giustizia e degli affari di culto, Statistica della criminalit. Notizie complementari alla statistica giudiziaria e penale per gli anni 1914-1915; 1916-1917, 1918-1919, Roma, 1920-1924.

Come prima conclusione, si pu asserire che allorigine dellONMI stavano cause di breve periodo e cause di lungo periodo. Le prime risalivano alla guerra mondiale e alle sue conseguenze sul tenore di vita e sulle condizioni sanitarie. Le seconde risalivano alle trasformazioni strutturali delleconomia e della societ italiana i cui fabbisogni di benessere sociale crescevano in relazione con lo sviluppo industriale e lurbanizzazione del paese. Le cause di breve periodo si innestarono ovviamente su quelle strutturali inasprendone gli aspetti negativi.

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Per quanto concerne lONMI, la sua esistenza fu concepita per assolvere a diverse finalit. Nella fattispecie lOpera aveva come scopo principale quello di combattere, volendo migliorare e razionalizzare lassistenza sanitaria ai bambini, la morbilit e la mortalit infantile (specie nel primo anno di vita); ma aveva anche funzioni di assistenza alle gestanti prima del parto; di educazione delle madri nutrici sul corretto allevamento dei figli e di assistenza sociale verso i fanciulli e gli adolescenti a grave rischio di devianza. Non tutti gli scopi dellONMI erano dunque tesi a proteggere i neonati dalla morte, e cera una forte commistione di aspetti sanitari e aspetti sociali. Questa circostanza dipendeva dalla generale condizione di povert del paese. Nel 1928, il patronato comunale ONMI di Milano concesse 400 buoni da spendere presso lo spaccio alimentare dellAzienda consorziale del Comune e in casi eccezionali erog sussidi in denaro per aiutare 60 famiglie a pagare fitti arretrati per evitare gli sfratti. Con questa spesa non propriamente sanitaria, lOpera milanese avrebbe evitato comunque di accollarsi lonere del ricovero di numerosi bambini sfrattati. Pur volendo limitare i casi di ricovero ai minori bisognosi di cure speciali o ai casi di profilassi antitubercolare, fu inevitabile occuparsi anche di orfani, di abbandonati e di bambini senza tetto, e pur mancando di prorogare alla scadenza ben 153 dei 200 ricoveri effettuati nel 1928, il patronato milanese dovette sostenere la spesa per 150 nuovi ricoveri previsti nel 1929 57. Il caso milanese non era isolato. Ci preoccupava i vertici dellONMI in quanto le spese per ricoveri ordinari coprivano una quota pari al 50% del bilancio dellOpera 58. Ma la disoccupazione e lo stato di degrado e povert delle popolazioni urbane avevano altre implicazioni sociali per lOpera; implicazioni non propriamente sanitarie. Sempre nel 1928, lONMI fu pronta a istituire nelle province dei refettori materni. Ci dipese dalle segnalazioni allarmate che provenivano dai pediatri dei consultori, i quali avevano verificato un cattivo stato di nutrizione delle madri lattanti che si erano presentate agli ambulatori. Questa circostanza era stata a sua volta determinata dalla disoccupazione stagionale che aveva particolarmente infierito durante linverno. I risultati, che erano stati conseguiti con la distribuzione di abbondanti razioni alimentari, erano stati giudicati soddisfacenti bench lintervento fosse costato allOpera 10 milioni di lire 59. Nonostante lampliamento degli interventi dellOpera, sia in termini di persone assistite che di provvedimenti assistenziali (una persona infatti poteva essere soggetta a pi di un provvedimento), e lincremento costante delle somme spese per madri, lattanti, fanciulli e ragazzi, gravi difficolt impedirono allONMI dattuare pienamente la legge. Secondo Sileno Fabbri, si trattava da un lato di difetti di carattere organizzativo (burocratismo e mancanza di un indirizzo organico), che portarono gi nel 1927 a sciogliere gli organi direttivi centrali e a nominare un regio commissario; dallaltro lato di deficienza di mezzi finanziari e di incomprensioni ed equivoci sulle finalit dellOpera 60. Uno di questi equivoci era stato quello di credere che lOpera avesse una funzione caritativa, ricoverando donne ed erogando sussidi. Un secondo equivoco era stato quello di concepire lONMI come organismo dedito alle cure dei bisognosi anzich essere organismo con funzioni profilattiche e di prevenzione 61. Da questi due equivoci derivava una distorsione di natura economica poich lONMI anzich coordinare e integrare i compiti e le mansioni degli altri variegati istituti di beneficenza era stata invece costretta assai spesso a sostituirle e a disperdere una buona parte delle proprie risorse in spese esorbitanti dai propri compiti diretti 62. Ma, come abbiamo pi volte sottolineato, per lONMI era stato fin dallinizio molto difficile sottrarsi alla

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commistione di funzioni sanitarie, di assistenza o di beneficenza data la situazione generale delle condizioni materiali di vita nel paese per la classe lavoratrice e per strati consistenti di piccola borghesia impiegatizia, specie dopo la manovra di rivalutazione monetaria del 1927 e poi con lavvento della grande crisi. Del resto, fin dal dibattito parlamentare istitutivo del 1924, era risultato evidente che lONMI nasceva sia per colmare un vuoto specifico nellattivit di assistenza sanitaria alle gestanti, ai neonati e alle madri nutrici, ma anche per compensare le manchevolezze di istituti o congregazioni di carit pubbliche e private che disponevano di mezzi assolutamente inadeguati ai bisogni. Senza contare lirregolare distribuzione sul territorio italiano, specie nel Mezzogiorno e nelle isole, degli istituti di assistenza con uno squilibrio sociale e geografico nella fornitura di servizi essenziali. Questa pessima situazione era stata denunciata dal ministro Federzoni nel 1924 63, ma aveva origini pi antiche. Le statistiche sociali ufficiali, esigue prima del fascismo e inesistenti dopo il suo avvento 64, avevano messo debitamente in evidenza il fallimento della beneficenza pubblica. La prova concreta era intravista nel tasso troppo elevato di mortalit dei figli illegittimi non riconosciuti (o esposti). Nel 1883, la percentuale di morti nel primo anno di vita su 100 nati era stata del 19,04% per i bambini legittimi, del 21,99% per gli illegittimi (dichiarati tali dagli uffici dello stato civile ma riconosciuti dai genitori uniti nel vincolo religioso del matrimonio oppure dalla sola madre) e del 45,65% per gli esposti (nelle ruote o in luogo pubblico).
Tabella 6 - Morti nel primo anno di vita secondo la causa 1881-1883, (per 1000 nati). Cause Atrofia infantile, immaturit, debolezza congenita Sifilide Tubercolosi, scrofola e tabe mesenterica Malattia degli organi respiratori Malattia dellapparato digerente Malattia della bocca (afte, noma) Malattia della pelle e del tessuto sottocutaneo legittimi 41,3 0,9 6,8 27,2 36,4 1,9 3,7 illegittimi 94,1 25,4 16,6 35,8 74,4 19,9 13,5

Fonte: elaborazione da E. Raseri, Dei provvedimenti a favore dellinfanzia abbandonata in Italia ed in alcuni stati dEuropa, in Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Direzione Generale della Statistica, Annali di statistica, s. III, vol. 12, Roma, Tip. F.lli Bencini, 1884, p. 251.

Le spiegazioni sulla maggiore mortalit dei bambini illegittimi (particolarmente concentrata nel primo mese di vita) vertevano soprattutto sulla scarsa sollecitudine con cui si provvedeva al loro allevamento, sulla cattiva assistenza, sullincuria e infine sulle dissolutezza dei genitori che li avevano procreati 65. Per quanto concerneva le cause di morte dei bambini illegittimi, si riteneva di poter fare poco contro le malattie sociali (sifilide, tubercolosi e altre malattie respiratorie) nonch contro la gracilit congenita (questultima alta, come causa di morte, anche tra i figli legittimi); mentre si riteneva di poter mitigare con opportuni interventi la mortalit determinata dalle malattie infettive della bocca, della pelle e dellapparato digerente. Non si menzionava il fatto che una maggiore igiene dellambiente di lavoro e il miglioramento del tenore di vita delle famiglie avrebbero potuto influire positivamente sulle cause di morte determinate dalle tradizionali malattie sociali.

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Ed infatti, in una successiva statistica ufficiale del 1894, si lamentava il fatto che su parecchi istituti gravava il costo dellassistenza ai bambini di nascita legittima, ma ammessi ugualmente a godere di benefici, per antica consuetudine o per disposizione degli statuti di fondazione, quando era possibile riscontrare uno stato di estrema povert dei genitori o in caso di detenzione o di morte degli stessi. Generalmente, per, questassistenza cessava appena trascorso il periodo dellallattamento 66. La povert e lemarginazione sociale, pi grave in caso di disoccupazione, di infortunio, malattia o di morte del capofamiglia, erano rischi diffusi che potevano colpire tutte le fasce deboli della comunit sociale non solo alcune categorie particolarmente svantaggiate (mendicanti, vagabondi, ambulanti). In una societ povera e arretrata come quella italiana di fine XIX secolo, incapace ancora di realizzare uno sviluppo economico duraturo nei settori pi avanzati della produzione e soggetta, perci, sia a subire in mancanza di spinte auto-propulsive la variabilit della domanda estera; sia a utilizzare, quando possibile, la domanda statale (opere pubbliche, infrastrutture e armi) in funzione anticiclica, il rischio di scivolare nel degrado sociale per le categorie della povert laboriosa (artigiani, piccoli commercianti, addetti ai servizi alla persona e alla famiglia a basso valore aggiunto) o della classe operaia di nuova formazione era altissimo in caso di rallentamento del ciclo economico 67. Alla classe dirigente liberale, spesso culturalmente arretrata 68, sarebbe dovuto spettare il compito di creare compensazioni sociali alla miseria, fuori dagli ambiti della famiglia, del vicinato, del mutualismo, della carit privata o della solidariet compassionevole di matrice religiosa. La legge Crispi 17 luglio 1890 n. 6972 aveva definito i rispettivi ruoli che pubblico e privato avrebbero dovuto svolgere. Lo Stato avrebbe assunto una funzione regolatrice, promuovendo e garantendo sul territorio i servizi sanitari e la sorveglianza sulla correttezza amministrativa delle societ che fornivano e in parte finanziavano tali servizi. Tuttavia, lo Stato non prese in considerazione la gestione diretta dei servizi sanitari, n increment i finanziamenti che comuni e province usualmente concedevano alle opere pie 69. Le statistiche non potevano che mettere in evidenza, alla fine del XIX secolo, quattro questioni critiche sullassistenza ai fanciulli. La prima: la misera consistenza delle risorse pubbliche che obbligava alla selezione delle categorie di bambini che potevano essere ammessi, con una nuova definizione legislativa, negli ospizi degli esposti, eliminando cos dal bilancio della carit legale (cio dei comuni e delle province) le rette per il mantenimento dei lattanti legittimi poveri 70. Quei costi dovevano essere completamente assunti dagli istituti di pubblica beneficenza senza concorso di enti locali. La seconda: la grande mortalit tra gli esposti. Fra i lattanti che erano assistiti a spese pubbliche il quoziente di mortalit era il doppio di quello che concerneva sia i legittimi che gli illegittimi allevati dalle famiglie e allattati dalla madre. Da qui discendeva la terza questione critica: occorreva organizzare meglio il servizio di sorveglianza sui fanciulli affidati dai comuni e dai brefotrofi a baliatico mercenario. Infine la quarta questione critica concerneva la grande diversit di trattamento assistenziale sul piano nazionale. La crescita della spesa pro-capite per abitante, di comuni e province, sarebbe variata molto lentamente. Con la legge n. 6972/1890 si riusc quindi a regolamentare lazione delle istituzioni pubbliche di beneficenza, senza riuscire ad apportare per alcun cambiamento sostanziale ai criteri informatori dellassistenza, la quale rimaneva fortemente ancorata alle iniziative e alle risorse locali disponibili a fini sociali e benefici. Siccome spettava ai comu-

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ni il compito di sostenere la spesa maggiore, in confronto alle province o allo Stato, tenuto conto della critica situazione delle finanze municipali, non meraviglia il fatto che le prestazioni fossero, per qualit e quantit, assi frastagliate sul territorio nazionale. Questa circostanza ha fatto ritenere che anche il periodo giolittiano, fervido s di iniziative legislative sul piano sociale, mostrasse poi una sostanziale stabilit della quota complessiva della spesa del settore della sicurezza sociale, portando a ridimensionare, in sede storiografica, il carattere innovativo del sostrato economico e sociale che era alla base della politica di mediazione con le organizzazioni politiche e sindacali del movimento operaio, voluta dallo statista piemontese 71.
Tabella 7 - Spese di beneficenza sostenute dai Comuni e dalle Province 1880-1899 (lire correnti). Comuni Lire 1880 1881 1882 1883 1884 1885 1886 1887 1888 1889 1890 1891 1895 1897 35.249.215 35.880.357 36.272.196 37.092.919 37.754.065 38.619.613 40.135.354 40.837.395 42.683.917 41.601.353 43.396.826 44.150.859 Media per abitante 1,25 1,27 1,27 1,29 1,30 1,32 1,37 1,38 1,42 1,37 1,39 1,39 1,42 Lire 17.817.636 18.281.799 18.541.701 18.684.029 19.092.183 19.656.467 19.508.895 20.796.517 20.164.460 20.273.500 20.594.014 20.724.960 21.331.024 21.597.712 22.995.797 Province Media per abitante 0,63 0,64 0,65 0,65 0,66 0,67 0,66 0,70 0,68 0,68 0,68 0,68 0,68 0,68 0,72 Lire 53.111.851 54.162.156 54.786.897 55.776.948 56.846.248 58.276.080 59.644.249 61.633.912 .. 62.957.417 .. 62.326.313 64.727.850 65.748.631 68.674.952 Totale Media per abitante 1,88 1,91 1,92 1,94 1,96 1,99 2,03 2,08 .. 2,10 .. 2,05 2,07 2,07 2,14

1899 45.679.155 dati sconosciuti.

Fonte: Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Direzione Generale di Statistica, Beneficenza e assistenza pubblica, in Annuario Statistico Italiano, 1905-1907, Roma, Bertero, 1908, p. 231, che utilizza cifre tratte dai bilanci preventivi.

Il fascismo, perci, ebbe la pretesa di razionalizzare, non senza contraddizioni, lassistenza alla maternit e infanzia diffondendo maggiormente le norme digiene materna e infantile, digiene scolastica; combattendo gli effetti della tubercolosi, dellalcolismo e curando una maggiore igiene sul lavoro (assai pi controversa la lotta del fascismo alle malattie professionali) e tentando di realizzare, soprattutto, una nuova organizzazione della puericultura intrauterina. Ma questo programma esposto dal ministro Federzoni nel 1924 aveva fragili fondamenta finanziarie, poich alle spese di funzionamento dellOpera avrebbe concorso lo Stato con una quota fissa, stornata da altre voci di spesa (senza maggiore aggravio perci per il bilancio dello Stato) e una quota aleatoria connessa con la munificenza di privati cittadini o di istituti creditizi oppure, ancora, con la variabilit degli utili di gestione dei monti di piet. Laspetto finanziario stato uno dei primi elementi, giudicato negativamente dalla storiografia. stato scritto infatti che lOpera condensava uno sforzo normativo notevole,

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ma realizzava poi un mero travaso di fondi insufficiente a raggiungere gli scopi prefissati dalla legge. LONMI sarebbe stato, inizialmente, uno strumento di propaganda nelle mani del regime mentre si stava consolidando; successivamente avrebbe rappresentato invece la migliore arma per la vasta campagna propagandistica finalizzata alla battaglia demografica 72. Da questo punto di vista lOpera nella lotta contro la mortalit infantile fall, avendola affrontata esclusivamente da un punto di vista sanitario, non sufficiente a contrastare le condizioni di vita e di lavoro peggiorate sotto il regime. Il fascismo non riusc con lONMI a superare gli steccati della beneficenza caritativa e sporadica per trasferire veramente la cura della madre e del bambino sui pi solidi pilastri della previdenza sociale 73. Nonostante che la legge istitutiva avesse lobiettivo di migliorare il livello dei servizi sanitari, lONMI non introdusse un diritto universale allassistenza sanitaria gratuita, che rimase cos circoscritta ai poveri iscritti nellelenco comunale. Il regime, grazie agli interventi sanitari dellOpera, per quanto limitati, poco sistematici e qualitativamente inadeguati, riusc per a creare una vasta area di consenso popolare al fascismo proprio quando imperversava la grande crisi che con la disoccupazione o la sottoccupazione compromise definitivamente i gi magri bilanci familiari 74. Pi in generale, stato notato che la modernizzazione corporativa impressa dal fascismo alla politica sociale dello Stato se aveva comportato delle novit in campo istituzionale e normativo (significative rispetto allassenteismo dello stato liberale), enfatizzate per dal regime era crollata nei fatti sotto il peso delle scarse risorse finanziarie messe a disposizione dal governo, cos che era stata gravemente minata la capacit stessa di fornire prestazioni da parte delle nuove istituzioni. Del resto, lintervento dello Stato assistenziale fascista era coerente con il modello reazionario di sviluppo economico e politico, che fascismo e grandi industriali avevano pensato per il paese e che destinava realmente poche risorse al benessere dei cittadini, comprimendone di converso il tenore di vita 75. Di modernizzazione imperfetta, tuttavia si parlato quando si pure constatato che, nonostante i difetti del welfare fascista, la mortalit infantile cal di un quinto in Italia tra 1925 e 1940. Si poi distinto tra lattivit dellOpera in senso stretto e la politica del regime: se il fascismo cio scelse di non finanziare generosamente lassistenza alla maternit e infanzia ci non dipese dallONMI. LOpera sarebbe stata anche disposta spendere di pi, pur di migliorare molte sue iniziative o pur di realizzarne di nuove secondo i fabbisogni della societ. Semmai i limiti dellOpera possono essere visti nel burocratismo; nella scarsa professionalit del personale sanitario; nella squilibrata distribuzione territoriale degli ambulatori; nella incapacit di tenere dentro il mercato del lavoro le donne con una adeguata politica di collocamento pubblico; negli scarsi risultati conseguiti in materia di asili nido allinterno o nelle vicinanze delle fabbriche 76. Un giudizio pi sfumato consiste nel giudicare positivamente il fatto che i servizi dellONMI furono i primi servizi pubblici moderni nellassistenza alle madri e allinfanzia anche se non stimolarono i tassi di natalit 77. Nel complesso la condizione infantile miglior nei due decenni interbellici ma il buon lavoro dellONMI era controbilanciato dalle cattive condizioni di vita dei ceti popolari. In particolare, la funzione innovativa dellOpera era destinata ai neonati e alle ragazze madri nonch alla medicalizzazione del parto, che alla met degli anni Trenta pot registrare un netto incremento 78. Pi in generale, dunque, per quanto concerneva lintero sistema di servizi alle famiglie, esso aveva un carattere bifronte: un aspetto moderno rappresentato dallONMI, che parlava il linguaggio degli esperti, era universalistico e affidabile, non-

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ch del tutto paragonabile a tratti persino a favore del fascismo agli sviluppi contemporanei degli altri paesi occidentali (questa modernit si concentrava nelle metropoli industrializzate del centro-nord); e un altro aspetto, al contrario, assolutamente arcaico essendo fatto di premi demografici, cucine o ranci per i poveri, assegnazioni di lavori da custode o di altre modeste sinecure (concentrato nelle citt del sud 79). Se la modernit dei servizi offerti dallONMI, dunque, stata ristretta da alcuni studiosi allassistenza alle donne in gravidanza, alle madri e ai bambini fino a tre anni 80, stato pure messo in evidenza che tale politica assistenziale non era tanto indirizzata al reale benessere delle famiglie quanto alla crescita quantitativa della popolazione. Ci detto, il pro-natalismo fascista viene considerato come la facciata di un edificio dentro cui risiedeva la reale e ultima finalit su cui poggiava lintera politica sociale familiare del fascismo: il rafforzamento duna concezione autoritaria della famiglia nella quale dominava incontrastata la figura del marito-padre. Questo modello sociale (poi anche giuridico) era necessario, nellottica fascista, per fare della famiglia listituzione direttamente impegnata e responsabile di fronte agli obiettivi e ai valori del regime 81. Tant che le politiche maternaliste del regime non sciolsero il nodo del rapporto tra cittadinanza e maternit specialmente se questo rapporto era considerato dal punto di vista del lavoro. Ed infatti, che le condizioni di salute delle lavoratrici industriali fossero difese dallintervento domiciliare e ispettivo delle visitatrici dellOpera piuttosto che dai fiduciari sindacali, stato interpretato come prova della politica attiva demarginazione delle donne dal mercato del lavoro e come testimonianza concreta del valore sociale della donna in quanto riproduttrice di bambini e non in quanto produttrice di beni 82. Pur senza smentire la tesi che evidenzia il ruolo sociale subalterno destinato alla donna come moglie-madre, fattore riproduttivo nella famiglia, e come lavoratrice, fattore produttivo in fabbrica, soggetta a discriminazioni retributive e a vincoli ingiustificati dimpiego nei lavori pi qualificati o nelle libere professioni, si ritiene che tra le cause che dettero origine allONMI non possano andare poste n la volont dintraprendere una battaglia demografica, n la volont di realizzare un prerequisito sanitario che contribuisse a costruire un tipo ideale di famiglia fascista (sana, numerosa, curata e ingentilita dalla madremoglie, comandata, protetta e mantenuta dal padre-marito). Del resto la tesi, che evidenzia il ruolo sociale subalterno, mantiene una sua validit storiografica intrinseca poich possiede unoriginalit che attiene alla specifica tematica della relazione tra i sessi nella societ, la quale indipendente dalle questioni di politica assistenziale che sintendono immediatamente illustrare. LOpera s diventata strumento della politica demografica del regime ma pi tardi, ossia verso la fine degli anni Trenta e non gi dalla seconda met degli anni Venti come comunemente si crede. La propaganda fascista, invece, ne ha fatto, fino dallistituzione nel 1925, unicona delle migliori realizzazioni del regime. del tutto ovvio che la propaganda spiegasse ideologicamente agli italiani che lONMI esisteva per adempiere a fini biologici e politici pi alti e nobili, quali il miglioramento della razza, lincremento delle nascite e la politica di potenza; cos com del tutto ovvio che fossero tenuti in secondo piano i problemi strutturali di funzionalit e mediazione sociale per i quali lOpera era stata concepita, che non rientravano tra le questioni demografiche. Vediamo perch. La prima guerra mondiale costituisce uno spartiacque nella storia demografica europea sia per le perdite direttamente imputabili al conflitto tra la popolazione militare e civile, sia

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per quelle provocate indirettamente a causa della caduta del tasso di natalit. Nella struttura demografica dei paesi belligeranti si cre uno squilibrio tra classi produttive e classi non pi produttive. La ripresa demografica, la quale non si distribu omogeneamente tra tutti i paesi, fu pi rapida negli anni Venti che negli anni Trenta 83. Per quanto concerne lItalia, stato osservato che la struttura della popolazione italiana non presentava, alla data del censimento del 1921, una depressione accentuata del sesso maschile nelle classi di et tra 22 e 45 anni (pi evidente sia in Francia che in Germania) per la falcidia provocata dal conflitto, in quanto le perdite erano state compensate piuttosto rapidamente dalla mancata emigrazione e dai rimpatri avvenuti negli anni di guerra dai paesi doltreoceano 84. Lelaborazione di medie triennali ha mostrato un saldo negativo di -17.423 unit, nel triennio 1914-1916, dai paesi come lArgentina e il Brasile 85. Un vuoto al contrario poteva essere notato nelle classi di et comprese tra 3 e 7 anni per le mancate nascite. Questa circostanza aveva creato lapparente paradosso che dava sensibilmente in crescita il tasso degli individui in et economicamente attiva tra 1911 e 1921 86. Per quanto riguardava il tasso di natalit, in Italia esso pass dal 32,7% del decennio prebellico 1901-1910, al 28,2% del decennio 1921-1930 al 23,6% del decennio 19311940 87. Una svolta significativa nellandamento del tasso di natalit rappresentato dal 1931 quando esso cal sotto il 25%. Nel 1929 aveva toccato il 25,6% per poi risalire al 26,7% nel 1930 grazie alla buona annata nella produzione di frumento e granoturco che fece aumentare i matrimoni tra aprile e settembre 1929 in una popolazione prevalentemente agricola come quella italiana 88. Gli anni 30 segnano invece un declino costante della natalit con punte significative nel 1936-1937 a causa della mobilitazione e dellimpiego di truppe nella campagna dellAfrica Orientale, che fece diminuire la nuzialit tra settembre 1935 e settembre 1936. Negli anni 1931-1936, poi, incominci a farsi sentire leffetto della diminuzione del numero di donne feconde fra i 15 e 44 anni per effetto in particolare della scarsa potenzialit numerica del gruppo di donne fra i 15 e i 19 anni nate negli anni di guerra 89. Negli anni 30, comunque, i tassi di fecondit totale in Italia furono superiori a quelli di Francia, Germania, Inghilterra, Svezia; e inferiori solo a quelli di Russia e Spagna (nel 1937-1939, solo a quelli della Russia) 90. evidente per che la diminuzione della fecondit generale rispetto allinizio del secolo era incontrovertibile come lo era la diminuzione della natalit bench essa si presentasse quasi prevalentemente come fenomeno demografico concentrato geograficamente al Nord e socialmente nelle grandi citt industriali come effetto dei processi di urbanizzazione e delle mutate abitudini di vita e condizioni di lavoro 91. Listituzione dellONMI dunque non pu essere fatta risalire direttamente a una questione demografica, che nasce molto pi tardi. Questo equivoco interpretativo dipende forse dal continuo richiamo degli osservatori coevi al discorso che Mussolini tenne il 27 maggio 1927 (detto discorso dellAscensione), cio appena un anno e mezzo dopo la fondazione dellONMI, con il quale il duce esaltava la potenza demografica della nazione come prerequisito della sua potenza politica ed economica. In alcuni osservatori pi avvertiti, lOpera non figurava, quando era messa in relazione con la politica demografica del regime, come strumento di sviluppo quantitativo della popolazione, ma figurava pi che altro come strumento per migliorare la cosiddetta qualit della razza lottando contro le cause di morte dei lattanti e impegnandosi per il sostegno dei minori psichicamente o fisicamente anormali, per il recupero morale dei fanciulli traviati o delin-

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quenti 92. Per altri, lONMI non poteva certamente essere assimilata n alle misure positive dincremento demografico, come i premi di natalit, di nuzialit o di allevamento igienico del bambino (1933), lesenzione o la riduzione delle tasse alle famiglie numerose con a carico almeno sette figli (1928) 93, i prestiti agli sposi (1937), gli assegni familiari (1929 agli impiegati dello stato, estesi prima allindustria (1936) e poi a ogni capofamiglia 1937); n tanto meno alle misure restrittive, punitive o repressive come le leggi sulle restrizioni allemigrazione (1927); la lotta contro lurbanesimo (1928); la legge che accordava preferenze alle famiglie con prole nellassegnazione di case popolari (1929); le leggi contro laborto o luso di sistemi anticoncezionali (1926); la normativa sulla tassazione dei celibi (1926-1927); le leggi che ostacolavano la carriera degli uomini senza figli nonch i provvedimenti di esclusione delle donne dal mondo del lavoro. In questo senso, lattivit dellONMI rientrava utilizzando unottica meno centrata sul caso italiano in ci che ogni Stato moderno avrebbe dovuto fare (e stava facendo come evidenziato in precedenza) per garantire un livello minimo di reddito, dassistenza e di salute ai propri cittadini indipendentemente dallandamento del tasso di natalit 94. Se lONMI non nasceva per risolvere una questione demografica, essa rispondeva invece a un problema di miglioramento della funzionalit della vita sociale messa a dura prova da tre fenomeni correlati tra loro e in rapporto di reciproco rafforzamento: lindustrializzazione, lurbanizzazione e le migrazioni interne. Dopo la prima guerra mondiale il settore industriale italiano era risultato fortemente accresciuto a causa della produzione su vasta scala imposta dallo sforzo bellico. Nel dopoguerra lespansione industriale era continuata specie nel quadriennio 1923-1926. Dopo la frenata della produzione industriale, determinata dalla politica di rivalutazione di quota 90 che pes negativamente, per esempio, su un settore come il tessile che deteneva ancora un peso relativamente significativo nella struttura industriale italiana in termini di occupati o di esportazioni, il 1928 segn un andamento molto positivo ma breve. Giunti e superati gli effetti della grande crisi nel triennio 1930-1932, la produzione industriale italiana riprendeva lentamente a crescere salvo registrare una variazione negativa nel 1934 e un marcato rallentamento nel 1938. Negli anni 20 nei comparti pi dinamici (energia elettrica, chimica, automobili, meccanica per lagricoltura, fibre artificiali, navigazione) si compirono investimenti per rinnovare, ampliare o costruire nuovi impianti, immobili o reti distributive e commerciali 95. La crescita dellindustria italiana era testimoniata anche dallaumento degli occupati (una delle variabili che pi interessa il presente studio per gli effetti sociali del fenomeno). I censimenti industriali del 1911, 1927 e 1937-1939 presentano dati che possono essere raffrontati a titolo puramente indicativo (con pi tranquillit quelli del 1927 e 1937-1939), essendo condizionati da differenti criteri di indagine in ordine allestensione del campo di investigazione, allunit di rilevazione, alla classificazione delle diverse attivit, alla diversa estensione dei confini del territorio nazionale. Tuttavia, diversi studiosi hanno provveduto a ricostruire attendibilmente landamento della popolazione attiva su basi omogenee e ai confini attuali, utilizzando i censimenti industriali e della popolazione. Da questi studi risulta pi che evidente lincremento degli occupati nellindustria manifatturiera, delle costruzioni e installazione di impianti, dellenergia elettrica, gas e acqua tra 1911 e 1937-1939. Ai processi dampliamento della struttura industriale e despansione dei settori produttivi era correlato quello dellurbanizzazione. Si trattava di un fenomeno comune a molti paesi europei nel periodo tra le due guerre 96.

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Tabella 8 - Popolazione attiva in condizione professionale per settore di attivit ai censimenti dal 1911 al 1951 (cifre omogenee ai confini attuali). 1911 Industrie estrattive Industrie manifatturiere Industrie delle costruzioni, installazione impianti Produzione distribuzione energia elettrica gas acqua Totale 124.294 3.457.049 729.201 36.470 4.347.014 1921 104.868 3.258.825 877.645 43.474 4.284.812 1931 117.155 3.730.804 1.025.827 66.297 4.940.083 1936 126.552 3.926.449 1.042.646 70.270 5.165.917

Fonte: ORNELLO VITALI, Aspetti dello sviluppo economico italiano alla luce della ricostruzione della popolazione attiva, Roma, Failli, 1970, p. 372.

In particolare in Italia, durante la grande crisi le migrazioni interne sostituirono le emigrazioni verso lestero. Le grandi citt industriali del nord, Torino, Milano e Genova, registrarono incrementi dellimmigrazione. Tra 1926 e 1941 il movimento migratorio verso le citt del triangolo industriale fu particolarmente rilevante nel 1926-1929 e nel 1934-1937 97. Al centro era Roma ad attirare, negli stessi anni, il maggior numero di immigrati; mentre al sud il primato spettava a Napoli. Anche in una provincia periferica e meno sottoposta ai cambiamenti strutturali delle regioni che trainavano lindustrializzazione italiana, come Pisa e la sua provincia, che costituiscono lambito geografico privilegiato in questo studio, si verific un aumento degli addetti allindustria tra la fine degli anni 20 e la fine degli anni 30. Questa circostanza dipese prevalentemente dal fatto che singrandirono gli stabilimenti di produzione meccaniche, specie aeronautiche (la Piaggio di Pisa e Pontedera e la Costruzioni meccaniche aeronautiche societ anonima Cmasa di Marina di Pisa), mentre altri comparti subirono ridimensionamenti, come il tessile, o si riorganizzarono consolidando le proprie posizioni come nel caso dellindustria del vetro, della ceramica e dei laterizi. La trasformazione dellassetto economico e sociale, se non fu strutturale, per questo occorreva attendere la crescita pi consistente e costante dellindustria meccanica pisana nel secondo dopoguerra, fu comunque rilevante se le fabbriche insediate nella provincia assorbirono circa il 58% dellaumento demografico tra 1928 e 1936 98. Ora, industrializzazione, urbanizzazione e migrazioni dalla campagna alla citt produssero un inasprimento dei disagi sociali e sanitari che duravano da lungo tempo, ma ne crearono anche di inediti. Lafflusso di nuova e ingente manodopera nei centri urbani coinvolti nella prima fase di industrializzazione, tra fine XIX secolo ed et giolittiana, oppure in aree di recente localizzazione per imprese pi moderne, cre improvvisi squilibri sociali e sanitari che difficilmente gli enti locali sarebbero stati in grado di affrontare con i consueti strumenti della beneficenza legale e della carit privata. Gi allinizio del XX secolo i riformatori sociali avevano evidenziato che lalto tasso di mortalit infantile (specie nel primo anno di vita) si concentrava nelle classi urbane meno agiate, specie tra i figli della classe operaia. Svolta dalla Societ Umanitaria a Milano nel 1903, uninchiesta sociale aveva dimostrato che, pi che le condizioni della famiglia in generale, erano determinanti nella speranza di vita del nascituro le condizioni di vita e di lavoro della madre, nonch il modo di allattamento: se al seno o artificiale; se eseguito dalla madre o dalla balia. La mortalit era particolarmente elevata se il bambino era allattato con il poppatoio: il 68% dei lattanti moriva se la madre era operaia di fabbrica e non allattava al seno 99. Nellindustria tessile cotoniera, con un elevato tasso di occupa-

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zione femminile, dilagava la tubercolosi tra le operaie che dovevano aspirare il filo attraverso la navetta con la bocca (il bacio della morte) con conseguenze micidiali, in caso di gravidanza, sulla salute del feto. Lincremento dellapparato industriale del paese, ampliando la massa occupata, accentuava la questione sanitaria connessa con le malattie professionali, con il loro riconoscimento ai fini assicurativi (non a caso la legge sullassicurazione obbligatoria contro le malattie professionali del maggio 1929), con la loro cura e con le loro pi vaste conseguenze sul piano del benessere sociale. La costituzione di poli chimici, presso alcuni porti nazionali dove si localizzavano depositi di stoccaggio, raffinerie, industrie metallurgiche, chimiche per la lavorazione della pirite e della bauxite, fabbriche di lavorazione dei catrami e del carbone, se soddisfaceva i bisogni immediati delle popolazioni locali, creando posti di lavoro e redditi sicuri, avrebbe presto fatto conoscere la seconda faccia della medaglia con le malattie professionali, il degrado ambientale e lincidenza delle malattie mortali per inquinamento 100. Quella collegata con lindustrializzazione e con lurbanizzazione non era soltanto una questione sanitaria, esplicitata dal nesso che si era finalmente istituito, a dire il vero gi in et giolittiana, tra professione industriale, salute della madre e sopravvivenza del nascituro, ma era anche una vera e propria questione sociale che contemplava la drammatica carenza di servizi essenziali per la madre lavoratrice. Questo era un problema che aveva origini lontanissime e che aveva avuto conseguenze importanti sullassistenza ai bambini abbandonati. Alla met del XIX secolo, a Milano, lesposizione al torno dei figli legittimi era quasi un obbligo per quelle donne che dovevano per forza svolgere un lavoro retribuito per mantenere se stesse e il resto della famiglia, non potendo cos accudire i figli. Riformatori e medici dellepoca progettarono allora di fondare ricoveri per bambini lattanti e slattati oppure di assegnare sussidi di allattamento alle madri che avrebbero potuto, in questa maniera, prendere cura dei propri figli rinunciando momentaneamente al lavoro. Ben presto tuttavia ci si dovette accorgere che la questione era assai pi vasta, poich non riguardava solo le operaie della fabbrica di tabacchi o delle seterie, ma anche le lavoranti a domicilio per cui, onde prevenire lesposizione dei bambini, gli aiuti monetari furono estesi anche alle suddette lavoratrici accogliendo negli asili pure i loro figli pi piccoli101. chiaro che con lestensione della massa femminile occupata nellindustria si creavano, dunque, fabbisogni collettivi nuovi o di pi ampia incidenza sociale a cui lo Stato doveva rispondere organizzando servizi pubblici, sanitari e sociali, efficienti. Questo legame tra industrializzazione e nuovi fabbisogni sociali pu essere rilevata almeno sotto due altri punti di vista che chiamano in causa lattivit dellONMI. Lurbanizzazione di giovani donne, trasferitesi dalla campagna alla citt per occuparsi nellindustria o nei servizi domestici o nel piccolo commercio al minuto o ambulante, aveva provocato un incremento di nascite di figli illegittimi a causa della prostituzione che costituiva uneventuale alternativa alla strada del ritorno o allinedia in caso di perdita del lavoro102. Le migrazioni, poi, dalla campagna alla citt e dalla regioni meridionali a quelle settentrionali avevano creato nuove povert nei quartieri popolari dei grandi centri industrializzati. A Milano, nel 1928, si presentava, presso il patronato ONMI del comune, una lunga schiera di infelici, immigrati da ogni parte dItalia (siciliani, pugliesi, napoletani, calabresi, veneti) attratti [nel capoluogo lombardo] dalla speranza di fare fortuna o quanto meno di trovare lavoro [Erano] per lo pi storie lunghe di stenti e di

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patimenti, quelle che si racco[glievano], storie di miseri sfrattati, affamati, talora vittime logorate dal vizio 103. Da quanto finora esposto, si comprende quindi che listituzione dellONMI non fu dovuta alla necessit dintraprendere una battaglia demografica come prerequisito della politica di potenza e despansione coloniale del regime, n fu concepita inizialmente come strumento per condizionare gli atteggiamenti procreativi delle donne, le scelte matrimoniali o una qualche specifica concezione reazionaria dei ruoli familiari che servisse da puntello al rafforzamento del regime fascista. LOpera nacque per combattere la mortalit infantile, come problema sociale secolare, e per rispondere, sul breve periodo, agli effetti sanitari della Grande Guerra, agli squilibri sociali e alla nascita di nuovi fabbisogni collettivi che lampliamento della base industriale del paese, con lurbanizzazione e le migrazioni interne a fungere da volano, aveva creato nel decennio 1921-1931 e ai quali lassistenza e la beneficenza degli enti locali non bastava pi. Se nel perseguimento di queste finalit, lOpera fu, poi, utilizzata incidentalmente per scopi ideologici o propagandistici, ci non deve meravigliare e non deve essere elemento di equivoco in sede storiografica scambiando un effetto per una causa. Non deve sorprendere quindi se, nonostante le affermazioni propagandistiche del regime sullassistenza sociale totalitaria o integrale che avrebbe dovuto svolgere, lOpera concentr soprattutto la sua attivit nelle citt piuttosto che nelle campagne, al nord piuttosto che al sud. Dati i finanziamenti esigui, stanziati dal regime, lOpera li convogli prevalentemente laddove servivano di pi a contrastare i nuovi squilibri, certo non senza difetti e contraddizioni. La struttura della mortalit infantile in Italia aveva delineato, gi allinizio degli anni 80 del XIX secolo, un andamento che registrava tassi sovradimensionati rispetto alla media nazionale nei grandi centri urbani piemontesi, liguri, pugliesi, nonch nelle citt di provincia del Settentrione. Essa decresceva consistentemente nei piccoli agglomerati e nelle campagne del Centro Italia; mentre nel Mezzogiorno era pi bassa nelle citt che nelle campagne, a causa della diffusione della malaria (non quindi per squilibri determinati dallinsediamento di moderni impianti industriale), anche se simpennava nuovamente negli agglomerati urbani con pi di 100.000 abitanti104. Si comprende, dunque, perch al centro dellattivit dellONMI ci fosse la protezione della maternit e dellinfanzia bisognosa e perch si dedicasse particolare energia e attenzione alle condizioni sanitarie durante e immediatamente dopo la gravidanza con la medicalizzazione del parto a fungere da punta avanzata dellassistenza. Si comprende, pure, perch fosse la maternit illegittima a impegnare la politica assistenziale fascista essendo considerata unantinomia patologica dellindustrializzazione e della recente urbanizzazione. Non ci meraviglia di converso la scarsa attenzione prestata alla questione del collocamento femminile; mentre una delle gravi contraddizioni, come richiamato pi sopra, costituita dalla scarsissima diffusione di asili nei pressi delle fabbriche. In questo campo furono le grandi aziende che, ricevuto dal fascismo il pieno controllo sulla disciplina e sui salari, si mossero verso il regime con una politica di armonizzazione dei rapporti tra capitale e lavoro con la costruzione di villaggi operai o quartieri operai dove erano previsti servizi socio-sanitari per i dipendenti. Si trattava ovviamente di iniziative di inquadramento e normalizzazione sociale che solo le grandi aziende potevano intraprendere per i costi connessi. Cos la Fiat, la Terni, la Montecatini, lAnsaldo, la Falck, la Olivetti, la Saint-Gobain, la Solvay proseguirono vecchi progetti o iniziarono nuovi programmi di paternalismo pro-

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tetto o burocratizzato, mentre altre come la Marzotto continuarono a fare da battistrada, su una via intrapresa con spiccato senso pratico gi durante la prima industrializzazione del paese, costruendo organismi di gestione dei servizi, come il Palazzo delle Istituzioni sociali (1935) di Valdagno, che vantava 12 posti letto per la maternit, un asilo nido e una scuola materna per complessivi 800 bambini, il poliambulatorio e a cui si aggiunger nel 1945 lorfanotrofio femminile105. Laspetto meno progredito dellattivit dellONMI, ossia i refettori, gli spacci alimentari, i sussidi alle madri povere e lelargizione gratuita di corredini, di tessuto o di prodotti per ligiene personale o del bambino erano conseguenza del fatto che il fascismo aveva ampliato, con una compressione dei salari e dei consumi gia dal 1926-1927, larea del bisogno che era stata, poi, colpita drasticamente dallinaspettata crisi economica dei primi anni 30. Concludendo, si pu affermare che listituzione dellONMI rispose a un problema di migliore funzionalit sociale. Nella seconda met degli anni 20, i problemi secolari di lotta alla mortalit infantile conversero su un punto critico dove sintrecciarono, prima, alle conseguenze sanitarie (non demografiche) della Grande Guerra e dove sinnestarono, poi, sugli effetti sociali dirompenti provocati, questi ultimi come fenomeno prevalente, dallulteriore allargamento della base industriale del paese. LONMI non fu strumento diretto della battaglia demografica, se non dal punto di vista dello sforzo per la riduzione della mortalit infantile o per parto. LOpera costitu senza dubbio una tappa muova nel concetto dassistenza sociale in quanto lo Stato assunse la consapevolezza dei propri doveri dintervento sociale diretto a sostegno dei nuovi fabbisogni collettivi e prese il posto dellassistenza caritativa, inefficiente e saltuaria, di stampo ottocentesco. La questione che nasce dalla domanda se alle intenzioni corrisposero totalmente o solo parzialmente dei risultati concreti legittima, ponendo un nodo problematico che deve essere verificato, ma non congruente con lo scopo di definire innanzitutto quali siano i motivi per cui anche in una dittatura fascista o in uno Stato autoritario il partito al potere scelga, o meglio sia obbligato a scegliere per fronteggiare trasformazioni strutturali economiche e sociali , di impegnarsi nella costruzione di alcune funzioni dello stato del benessere106. Semmai, la suddetta domanda riguarda unaltra questione. Ossia la reale disponibilit finanziaria per lesecuzione degli interventi socio-assistenziali, e, quindi, per una pi equa ripartizione del reddito nazionale con la fornitura di servizi o con i trasferimenti alle famiglie. Una problematica che connessa nel caso dellItalia degli anni 20 e 30 sia con la natura di classe della dittatura fascista, che non utilizza la leva fiscale a scopi perequativi, sia con il fatto che lItalia era un paese povero che avrebbe risentito pi di altri gli effetti negativi di una scarsa capacit di spesa sociale, quando si manifestarono violentemente i segni della crisi economica107. Questa specificazione credo serva a sgombrare il campo da un dibattito fuorviante, di natura squisitamente ideologica, circa le realizzazioni (buone o cattive) del fascismo. Nel caso dellONMI occorrer, allora, interpretare prima il significato statistico del numero di persone complessivamente assistite tra 1929 e 1939: 14.256.821 (di cui 10.256.309 fanciulli e 4.000.512 madri)108, tenendo conto anche delle prestazioni assistenziali che furono in numero maggiore, considerato il fatto che un paziente del consultorio poteva ricevere pi di una visita oltre ad altre forme dassistenza materiale. In questo senso, una valutazione approssimativa si pu fare osservando i dati nazionali disponibili, stampati per gli anni 1929-1935, quando a fronte di 6.798.498 assistiti

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lONMI erog 13.087.246 prestazioni assistenziali109. Secondariamente sar necessario compiere unanalisi sulla qualit e sulla diffusione territoriale dei servizi offerti dallONMI alla popolazione italiana. Per comprendere, dunque, laspetto qualitativo e, con esso, il significato reale della quantit di prestazioni erogate, bisogner compiere unanalisi diffusa che parta dalle realt territoriali locali (comuni e province), poich non esistono ancora elementi sufficienti da assemblare per tracciare un giudizio generale, scientificamente ponderato e attendibile, sullefficacia dellattivit nazionale dellOpera. Ci si pu attendere una certa diversificazione defficienza e defficacia su base territoriale in rapporto alle risorse disponibili. Tuttavia si deve radicare la ricerca quantitativa e qualitativa allattivit locale delle Federazioni provinciali per avere almeno la certezza di fondare giudizi storici per quanto limitati a un ambito locale di politiche sociali su elementi concreti e non su opinioni personali. Infine, cos com necessario verificare in che misura la riforma fascista dellassistenza sociale alle madri e allinfanzia rappresenti una discontinuit significativa con il precedente criterio dintervento in campo sociale da parte dello Stato liberale, verificando puntualmente le compatibilit funzionali, cos non si deve giudicare lopera dassistenza sociale svolta dallONMI con criteri di valutazione che appartengono a unepoca storica successiva e assai diversa da quella nella quale lOpera fu concepita e costituita per soddisfare i bisogni specifici che la societ esprimeva in quel determinato periodo storico. La politica economica del fascismo, lasciando mano libera agli industriali e agli agrari nella gestione della forza lavoro e scegliendo in alcune congiunture specifiche di attuare una politica monetaria e valutaria che andava sostenuta con un controllo dei salari e una compressione dei consumi, allarg senza dubbio larea del bisogno sociale. La grande crisi degli anni 30 si aggiunse, come fenomeno esterno negativo, a una condizione gi gravemente compromessa dalle scelte del regime incidendo sul tenore di vita e i piccoli privilegi di un pi vasto strato di italiani. Lestensione dellattivit previdenziale nel 1934-1939 fu una conseguenza, in effetti, dellimmiserimento della classe operaia110. In questo senso la politica sociale del fascismo, pur statalizzando111 la fornitura di tradizionali servizi assistenziali a madri e fanciulli o cercando di migliorare la qualit di altri pi innovativi (almeno in campo medico), non poteva per superare una concezione dellassistenza sociale intesa esclusivamente come azione riparatrice delle disfunzioni della societ. Del resto, questa concezione obsoleta dellassistenza, intesa appunto come rimedio alle piaghe sociali, durer a lungo nella politica del paese anche dopo la fine del fascismo, fino a quando non emergeranno potenti istanze di democrazia sociale, pi lenta a instaurarsi. La mancata prevenzione del malessere sociale e la fornitura di prestazioni a specifiche categorie o a singoli assistiti sarebbe durata fino a quando sotto la spinta di un forte movimento rivendicativo nel 1969-1975, che era stato comunque preceduto da un rinnovamento politico di centrosinistra , fu concepita dai governi la necessit duna politica economica di programmazione, con al centro la lotta alla disoccupazione, alla sottoccupazione e alla emarginazione creata da fenomeni migratori interni di vasta portata, cos che la politica sociale sintegrasse nella politica economica perdendo quella frammentariet dazione e di competenze che laveva caratterizzata. Il nuovo obiettivo fu quello di acquisire, invece, organicit e completezza nelle prestazioni dei servizi che dovevano essere

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garantiti dallo Stato in modo unitario allinsieme dei cittadini (si pensi alla riforma pensionistica o sanitaria degli anni 70). Agli inizi degli anni 70, poco prima del suo scioglimento, lONMI era perfettamente consapevole della necessit di passare dalla cura alla prevenzione, per esempio evitando di ricorrere allistituzionalizzazione forzata dei giovani, ma le difficolt di bilancio condizionavano ancora lattivit amministrativa rendendo difficile passare dalla fase teorica allesecuzione concreta di nuove concezioni dellassistenza sociale112.
NOTE
1) Per quanto descritto finora cfr. Opera nazionale per la protezione della maternit e dellinfanzia, Origine e sviluppi dellOpera nazionale per la protezione della Maternit e dellInfanzia 1926-1935, Roma, Stabilimento Tipografico C. Colombo, 1936, pp. 11-31. 2) Cfr. Atti parlamentari, Senato del Regno, Leg. XXVII, 1 sessione 1924, doc. n. 79, Relazione del governo sul Disegno di legge per la protezione e assistenza della maternit e infanzia (tornata 8 dicembre 1924). 3) La legge del 1918 si occupava in particolare dei bambini sotto i cinque anni che sfuggivano ai controlli del servizio sanitario scolastico, cfr. S. Ferguson e H. Fitzgerald, Studies in the social services, London, HMSO, Longmans, Green, 1954, pp. 144. 4) In Europa la legislazione sui minimi legali di salario non era una novit della guerra o del dopoguerra. Il cambiamento consisteva, invece, in una diversa concezione che integrava quella precedente senza eliminarla. Se prima del conflitto lattenzione era rivolta al giusto salario (fair wage) nelle occupazioni marginali (sartorie, fabbriche di scatole di cartone, merletti e di catene) con la guerra divenne prioritario definire, a causa dellinflazione accelerata, un salario sufficiente per vivere, cfr. E.M. Burns, Wages and the state. A comparative study of the problems of state wage regulation, London, P.S. King & S, 1926. 5) Sul rapporto di continuit tra le tensioni sociali del tempo di guerra e quelle del dopoguerra in tutta Europa cfr. C.S. Maier, La rifondazione dellEuropa borghese, Bologna, Il Mulino, 1999 [1975], p. 24. 6) Cfr. G.A. Ritter, Storia dello stato sociale, Roma-Bari, Laterza, 1999 [ed. originale 1991], p. 87. 7) La legislazione del 1919 era stata preceduta da altri provvedimenti meno universalistici che riguardavano lassicurazione contro gli infortuni della gente di mare (dl. 15 luglio 1915) e in agricoltura (dllgt. 23 agosto 1917 n. 1450. Su tutto ci cfr. E. Bartocci, Le politiche sociali nellItalia liberale (1861-1919), Roma, Donzelli, 1999, pp. 226-249. 8) Cfr. E.M. Burns, Wages and the state cit., pp. 88-113. Per quanto concerne il caso italiano cfr. M. Roccella, I salari, Bologna, Il Mulino, 1986. Mi permetto inoltre di rimandare a M. Bettini, Fabbrica e salario. Stato, relazioni industriali e mercato del lavoro in Italia 1913-1927, Livorno, Belforte & C., 2002, pp. 176-182. 9) Si trattava del progetto di legge Fino, diniziativa parlamentare, svolto e preso in considerazione nel dicembre 1921, e del progetto di legge Labriola, diniziativa del governo, del 20 giugno 1921, modificato dalla Commissione parlamentare con Relazione del 30 giugno 1922. 10) Cfr. B. Pisa, Una azienda di stato a domicilio: le confezioni di indumenti militari durante la grande guerra, in Storia contemporanea, XX, 1989, 6, pp. 953-1006, in particolare pp. 975 e 987. 11) La rglementation lgale des salaries dans les metiers mal rmunrs en Europe, in Revue Internationale du Travail, vol. IV, 1921, 2, pp. 351-384 in particolare p. 381. 12) Cfr. G. Zingali, La bilancia alimentare prebellica, bellica e postbellica di alcuni Stati di Europa, in Giornale degli Economisti e Rivista di Statistica, ottobre 1925; P. Dewey, Nutrition and living standard in wartime Britain, in J. Winter e R. Wall (eds.), The upheaval of war. Family, work and welfare in Europe 1914-1918, Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1988, p. 204. 13) Cfr. R. Bachi, Lalimentazione e la politica annonaria in Italia, Bari, Laterza, 1926, p. 510. Svolgendo unanalisi originale e opposta a quella compiuta dalla totalit degli economisti coevi, anche Giorgio Mortara mise in evidenza che il salario reale rimase stabile in Italia solo grazie alla diminuzione quantitativa e al peggioramento qualitativo del consumo alimentare, cfr. G. Mortara, Sulle variazioni dei salari nellindustria italiana dal 1913 al 1922, in Rassegna della Previdenza sociale, 1923, 4, pp. 2-20. 14) Cfr. G. Mortara, La salute pubblica in Italia durante e dopo la guerra, Bari, Laterza, 1925, pp. 190, 208, 356. Non casuale che le sommosse sociali dellestate 1919, contro il carovita, avessero spesso origine dallassembramento di uomini, donne e soldati di fronte a negozi di abiti, stoffe o calzature, cfr. R. Bachi, LItalia economica nel 1919, Citt di Castello, Lapi, 1920, p. 343 e D.J. Forsyth, The crisis of liberal Italy. Monetary and financial policy 1914-1922, Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1993, p. 343.

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15) Cfr. L. Einaudi, I tumulti popolari e il dovere del governo (luglio 1919) e Tesseramenti e occupazioni delle case poco utilizzate (dicembre 1919), in Id., Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. V (1919-1920), Torino, Einaudi, 1961. 16) Cfr. G. Mortara, La salute pubblica in Italia cit., p. 356. 17) Cfr. C. Ficola, Legislazione sociale e tutela della maternit nellet giolittiana, in M.L. Betri e A. Gigli Marchetti, Salute e classi lavoratrici in Italia dallUnit al fascismo, Milano, Angeli, 1982, pp. 699-712; e anche A. Buttafuoco, Motherhood as a political strategy: the role of the italian womens movement in the creation of the Cassa Nazionale di Maternit, in G. Bock e P. Thane (eds.), Maternity and gender policies. The rise of the european welfare states 1880s-1950s, London, New York, Routledge, 1991, pp. 179-193. 18) Cfr. A. Lo Monaco-Aprile, La protezione sociale della madre e del fanciullo in Italia e allestero, Bologna, Zanichelli, 1923, p. 7. A. Lo Monaco-Aprile, fu direttore dellOnmi. Era previsto un contributo annuale obbligatorio da pagarsi in L. 1 per ogni operaia in et dai 15 ai 20 anni e di L. 2 per ogni operaia in et dai 20 ai 50 anni. Il contributo era per met a carico dellimprenditore e per met a carico delloperaia. La Cassa avrebbe corrisposto a ogni operaia in occasione di parto o aborto un sussidio di L. 30. Lo stato avrebbe conferito L. 10 di supplemento nel periodo di puerperio. Nel 1913 la Cassa si trovava gi in disavanzo a causa di una stima calcolata troppo bassa del quoziente di natalit operaia. Nel 1917 un decreto estese i benefici alle telefoniste. Il contributo era di 1 lira allanno per le operaie e 1,25 lire per gli industriali; mentre lassegno arrivava a 40 lire. Nel 1920 i contributi furono elevati a 1,50 lire per le operaie e 2 lire per gli industriali e lassegno a cui lo stato contribuiva con una somma di 20 lire fu portato a 100 lire. Con legge 22 marzo 1934 liscrizione alla Cassa maternit divenne obbligatoria per le donne in et da 15 a 50 anni, che fossero addette quali operaie o impiegate nelle aziende industriali e commerciali, con esclusione delle impiegate che percepivano retribuzioni mensili superiori a lire 800. Il contributo dei datori di lavoro ammontava a 7 lire lanno, qualunque fosse stata la durata del lavoro, e ammontava a lire 3 per le operaie o le impiegate. 19) Cfr. Bureau internationale du travail (Bit), Les fluctuations des salaires dans diffrents pays de 1914 1925, Etudes et documents, Srie D, n. 16, Genve, 1926, p. 21. Bit, Fluctuations des salaires dans diffrents pays de 1914 1921, Etudes et documents, Srie D, n. 2, Genve, 1922; National Industrial Conference Board, Wages in Great Britain, France and Germany. Research Report Number 40 (August, 1921), National Industrial Conference Board, 1921. P. Scholliers, Index-linked wages, purchasing power and social conflict between the wars: the belgian approach (internationally compared), in The Journal of European Economic History, vol. 20, 1991, 2. Per unanalisi di lungo periodo cfr. C. Hanes, Changes in the cyclical behavior of real wage rates, 1870-1990, in The Journal of Economic History, vol. 56, 1996, 4. 20) La disoccupazione annuale pass da 327.451 nel 1919 a 163.752 nel 1920, a 390.578 nel 1921 a 470.702 nel 1922, cfr. R. Tremelloni, La disoccupazione in Italia nel dopo-guerra, in Rassegna della previdenza sociale, X, 1923, 8, p. 9. Il dato del 1921 fortemente influenzato dalla mancanza di rilevazioni sulla disoccupazione nei mesi di gennaio-marzo e maggio. 21) Cfr. D.J. Forsyth, The crisis of liberal Italy cit., p. 238. 22) Cfr. A. Maddison, Politica economica e andamento delleconomia in Europa (1913-1970), in C.M. Cipolla, Storia economica dEuropa, vol. V, Il XX secolo, Torino, Utet, 1980, pp. 375-432, in particolare pp. 387-388. Cfr. inoltre Les fluctuation des salaires en Grande-Bretagne de 1922 1927, in Rit, vol. XVII, 1928, 5, pp. 768-776, in particolare p. 769; J.R. Bellerby e K.S. Isles, La politique des salaires et ltalon-or en Grande-Bretagne, in Rit, vol. XXII, 1930, 2, pp. 141-161. Cfr. inoltre alcune considerazioni sul livello dei salari inglesi in confronto a quelli europei (stimati inferiori del 30%) in J.M. Keynes, Le conseguenze economiche di Winston Churchill, in Esortazioni e profezie, Milano, Il Saggiatore, 1994 [1931], p. 191 sgg. 23) Cfr. A.-L. Seip e H. Ibsen, Family welfare, which policy? Norways road to child allowances, in G. Bock, P. Thane (eds.), Maternity and gender policies cit., p. 47. 24) Cfr. C.-L. Holtfrerich, Moneta e credito in Italia e Germania dal 1914 al 1924, in La transizione dalleconomia di guerra alleconomia di pace in Italia e in Germania dopo la prima guerra mondiale, a cura di P. Hertner e G. Mori, Bologna, Il Mulino, 1983, p. 679. 25) Sulla necessit di ridurre i salari per compensare la rivalutazione cfr. G. Olivetti, Lorganizzazione scientifica della produzione e del commercio, in Ei, IV, 1927, 3, p. 42. Il governo comunque aveva anche varato una politica di dazi doganali per sostenere lindustria sul mercato interno contro limportazione di beni esteri a buon mercato. Sulle compensazioni ai produttori nazionali cfr. J.S. Cohen, La rivalutazione della lira dal 1927: uno studio sulla politica economica fascista, in Gianni Toniolo, Lo sviluppo economico italiano 1861-1940, Bari, Laterza, 1973, pp. 349-350. Per P. Corner, Leconomia italiana fra le due guerre, in G. Sabbatucci e V. Vidotto, Storia dItalia, vol. IV, Guerra e fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1997, p. 324, il governo, di fronte alla necessit di rivalutare la moneta, scelse di sacrificare in parte le industrie esportatrici e di aiutare le industrie importatrici di materie prime e combustibili a sostenere i costi di produzione poich le industrie pesanti avevano anche importanza militare. 26) Cfr. LAssemblea ordinaria della Confederazione Generale dellIndustria Italiana (discorso di A.S. Benni), in O.i., V, 1925, 9, p. 66.

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27) Cfr. L. Conte, I prestiti esteri, in Storia dellindustria elettrica in Italia, a cura di L. De Rosa, vol. II, RomaBari, Laterza, 1992, pp. 625-707. Sulle imprese elettriche cfr. anche M. Storaci e G. Tattara, The external financing of italian electric companies, in European Review of Economic History, vol. 2, 1998, 3, pp. 345-375. Tra 1924 e 1928 anche lindustria telefonica ricorse a prestiti esteri americani e svizzeri per lingente fabbisogno finanziario necessario a completare la ristrutturazione degli impianti (centrali telefoniche automatiche), la riorganizzazione amministrativa e lammodernamento delle reti (posa di grandi cavi), cfr. B. Bottiglieri, Sip. Impresa, tecnologia e Stato nelle telecomunicazioni italiane, Milano, Franco Angeli, 1990, pp. 85-86, 101-103, 108, 127-128. Sui prestiti esteri cfr. ancora R. Di Quirico, Il sistema Comit. Le partecipazioni estere della Banca Commerciale Italiana tra il 1918 e il 1931, in Rse, vol. XII, 1995, 2, pp. 175-217, in particolare pp. 196-197, 201. 28) Cfr. A. Aquarone, Lorganizzazione dello stato totalitario, Torino, Einaudi, 1965, pp. 6-7, cfr. la delega al governo dei pieni poteri per il riordinamento del sistema tributario e della pubblica amministrazione. 29) Cfr. M. Bettini, Una categoria di privilegiati? Occupazione e stipendi dei dipendenti della Provincia di Pisa, 1923-1942, in A. Varni e G. Melis, Nelle tasche degli impiegati. Retribuzioni e stili di vita della burocrazia italiana nellOtto e Novecento, Bologna, Bonomia University Press, 2004, p. 148. 30) Cfr. G. Rolla, I dipendenti comunali e provinciali. Rapporto di lavoro e organizzazione, Torino, Utet, 1996, p. 23. 31) Cfr. Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, Notizie statistiche 1940-41-42, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1946, p. 72. Nel 1939 lassicurazione per la maternit fu trasformata in assicurazione obbligatoria per la nuzialit e la natalit con R.D.L. 14 aprile 1939 n. 639 convertito in L. 6 luglio 1939 n. 1272. Erano soggette allassicurazione obbligatoria le persone di ambo i sessi dai 14 ai 60 (uomini) o 55 (donne) anni e che prestassero lavoro retribuito alle dipendenze di altri. Erano esclusi dallassicurazione gli impiegati che iniziavano la carriera con uno stipendio mensile superiore a 1.500 lire, i dipendenti dalle amministrazioni pubbliche purch per essi fosse predisposto un trattamento non inferiore a quello stabilito dalla legge. Erano soggetti alla legge le famiglie mezzadrili e coloniche. 32) Cfr. G. Giannini Alessandri, La tutela della maternit nel regime fascista, Firenze, Stab. Grafico Ruffilli, 1935, p. 95. 33) Cfr. R. Maiocchi, Scienza italiana e razzismo fascista, Firenze, La Nuova Italia, 1999, p. 14. 34) Come riferisce R. Maiocchi, Scienza italiana cit., p. 14, Tropeano indic questa necessit nel 1919 quando riprese la pubblicazione della rivista La medicina sociale, cfr. G. Tropeano, Ricominciando, in La medicina sociale, 1919, IX, pp. 1-2. Cfr. anche G. Tropeano, Lassistenza sociale dellinfanzia, Napoli, Borrelli, 1924. 35) Cfr. R. Maiocchi, Scienza italiana cit., p. 14. 36) Cfr. A. Lo Monaco-Aprile, La protezione sociale della madre cit., pp. 21-22. 37) Come gi era stato rilevato da Ministero Agricoltura Industria e Commercio, Direzione Generale della Statistica, Statistica dellassistenza allinfanzia abbandonata. Anni 1890, 1891 e 1892, Roma, Tipografia Elzeviriana 1894, pp. 16-17. 38) Cfr. Atti parlamentari, Senato del Regno, Relazione del governo sul Disegno di legge per la protezione cit. 39) Cfr. A. Lo Monaco-Aprile, La protezione sociale della madre cit., p. 35. 40) M. Abrate, Problemi economici dellindustria italiana. Valutazioni imprenditoriali 1919-1921, in La transizione dalleconomia di guerra cit., a cura di P. Hertner e G. Mori, pp. 249-267. 41) Ivi, pp. 265-266. 42) G. Olivetti, La crisi industriale in Italia, in Nuova antologia. Rivista di lettere, scienza e arti, 56, 1921, f. 1182, pp. 359-362. 43) G.C. Falco, Per uno studio sulla politica monetaria e fiscale in Italia fra 1918 e 1925, in Mezzosecolo, 3, 1978-1979, p. 135. 44) Cfr. il discorso di Giovanni Silvestri, presidente della Confindustria, Il Convegno Nazionale degli industriali per discutere sullattuale situazione economica e politica del paese, in LItalia industriale, II, 1920, 2, pp. 51-56. Silvestri invocava politiche fiscali dirette a prelevare dai redditi di proprietari terrieri, di esercenti e intermediari. Inoltre per compensare il deficit della bilancia dei pagamenti (a differenza del passato erano diminuite le entrate di valuta pregiata a causa delle scarse rimesse degli immigrati e del minore turismo), auspicava una politica di forte restrizioni dei consumi (costringere i cittadini a consumare meno) da ottenere con il tesseramento e il divieto di importazione per determinati beni. Una causa dellaumento dei consumi popolari, ovviamente, era la crescita dei salari (crescono, crescono a dismisura). 45) Cfr. G.C. Falco, Per uno studio sulla politica monetaria e fiscale cit., p. 134. 46) Cfr. A. Lay e M.L. Pesante, Produttori senza democrazia. Lotte operaie, ideologie corporative e sviluppo economico da Giolitti al fascismo, Bologna, Il Mulino, 1981, p. 216.

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47) Secondo Bruno Buozzi, Le condizioni della classe lavoratrice in Italia 1922-1943, a cura di A. Andreasi, Milano, Feltrinelli, 1973 [il manoscritto di Buozzi risale al 1942-1943], p. 52, i provvedimenti legislativi 21.12.1922 n. 661 e 04.01.1923 n. 32 stabilirono unimposizione sui salari pari al 10%. Cfr. anche G. Toniolo, Leconomia dellItalia fascista, Roma-Bari, Laterza, 1980, pp. 46-48, che riferisce che laliquota di ricchezza mobile sulle mercedi operaie era del 12,4%. Le imposte sui consumi, che pi colpivano le classi popolari, crebbero nel 1922-1925 a un tasso medio annuo composto del 12,2% (5% in termini reali). 48) Cfr. R. Di Quirico, I bilanci della provincia. Spunti per una ricostruzione della storia dellEnte, in Elena Fasano Guarini, La Provincia di Pisa (1865-1990), Bologna, Il Mulino, 2004, p. 459. 49) Ivi, pp. 460-461. 50) Cfr. A. Lo Monaco-Aprile, La genesi della legge per la Protezione della Maternit e dellInfanzia (estratto dal bollettino Maternit e infanzia, 2, 1927, a. II), Roma, Stab. Tip. Garroni, 1927, p. 6. 51) Pi precisamente: nel 1925 quando fu costituita lonmi allassistenza ai bambini riconosciuti dalla sola madre, dopo che erano stati ammessi a beneficiare dellassistenza come figli di ignoti, erano tenuti a provvedere le province, i comuni e i brefotrofi autonomi in conformit delle disposizioni del rdl 16 dicembre 1923, n. 2900. Erano esclusi dallassistenza obbligatoria (ma non da quella facoltativa) i fanciulli riconosciuti allatto stesso della nascita poich considerati non esposti allabbandono. Il rdl 8 maggio 1927 n. 798 emanato su pressione dellOnmi si ispirava la concetto che dovesse essere favorito lallattamento materno e quindi estese lobbligo dellassistenza a favore di tutti i minori illegittimi riconosciuti dalla sola madre senza pi distinguere tra chi era stato riconosciuto prima e chi dopo lammissione allassistenza come figli di ignoti. Il decreto attribu lonere dellassistenza allOnmi, pur restando ferme ogni altra disposizione che ammetteva allassistenza i fanciulli riconosciuti dopo la nascita. Il rdl 798/1927 favor sensibilmente il riconoscimento facendo ridurre il numero degli illegittimi e sollev comuni e province da un onere continuativo fino al 14 anno di et dei minori. Di converso il decreto port un gravame maggiore alle casse dellOpera, anche in considerazione del fatto che gli enti locali avvalendosi di una facolt riconosciuta dal Consiglio di Stato (pareri 14 gennaio 1930 e 3 febbraio 1931), abolirono le proprie norme regolamentari e statutarie in forza delle quali erano originariamente obbligati allassistenza. Per ridurre lonere di spesa che gravava sullOpera fu allora emanata la L. 313/1933 che trasfer il servizio alle province ripartendo in parti uguali la relativa spesa fra provincia, comune e onmi. Su questo cfr. Opera Nazionale per la protezione della Maternit e dellInfanzia [Giovanni Festa], LOpera Nazionale per la protezione della maternit e infanzia dalla sua fondazione, Roma, Staderini, 1962, pp. 85-88. Questi passaggi normativi, senza dubbio contorti, sfuggono per esempio a B. Wanrooij, Mobilitazione, modernizzazione, tradizione, in G. Sabbatucci, V. Vidotto, Storia dItalia, vol. IV, Guerre e fascismo cit., p. 392 il quale facendo riferimento solo al decreto 2900/1923 giudica lattivit dellonmi limitata in termini di efficacia, essendo circoscritta alla sola assistenza degli illegittimi esposti al brefotrofio come figli di ignoti. Commentando, inoltre, che la normativa non promuoveva certamente il riconoscimento da parte della madre. 52) Cfr. Archivio di Stato di Pisa (ASPi), Archivi Amministrazione Provinciale di Pisa (aapp), carteggio C/37 (1879-1926), fasc. 3 (non numerato), sf. I smembramento della provincia pisana, carteggio ufficiale, Amministrazione Provincia di Pisa, Consuntivi provinciali 1924-1925 e nomina di una commissione riveditrice, conto amministrativo per lesercizio 1925 (Allegato E), dattiloscritto, p. 1. 53) Cfr. R. Di Quirico, I bilanci della provincia cit., p. 495. 54) Cfr. Atti parlamentari, Senato del Regno, Relazione del governo sul Disegno di legge per la protezione cit. 55) Cfr. B. Bianchi, Crescere in tempo di guerra. Il lavoro e la protesta dei ragazzi in Italia 1915-1918, Venezia, Cafoscarina, 1995, pp. 148-156. Lautrice rileva giustamente che i dati statistici sulla delinquenza non comprendevano i condannati dai tribunali militari che durante il conflitto condannarono 61.927 civili. 56) Il reato contro la propriet pi diffuso tra i ragazzi [] era il furto semplice, di lieve e lievissima entit. Furti campestri, di frutta e legna, furti di carbone erano diffusi nelle comunit contadine e nei quartieri popolari e considerati endemici e ineliminabili anche dalle autorit di polizia. Ivi, p. 161. 57) Cfr. S. Fabbri, Lattivit della Federazione provinciale milanese dellOpera Nazionale per la protezione della Maternit e dellInfanzia durante il 1928, Milano, S.a. poligrafica degli operai, 1928, p. 34. Fabbri fu commissario straordinario poi presidente dellOpera dal gennaio 1932 al luglio 1937. 58) Cfr. F. Valagussa, Lattivit dellOpera nazionale Maternit ed Infanzia dal Congresso di pediatria di Napoli (XII) a quello di Torino (XIII), Roma, Stab. Tipografico Garroni, 1929, p. 6 (estratto del bollettino Maternit e Infanzia, IV, n. 9). F. Valagussa, Direttore del preventorio per lattanti E. Marani; medico primario dellOspedale infantile Bambin Ges; docente di clinica pediatrica nelluniversit di Roma, sub-commissario dellOnmi. 59) Ivi, p. 8. 60) Cfr. S. Fabbri, LOpera Nazionale per la protezione della Maternit e dellInfanzia, Verona, Mondadori, 1933, p. 37. 61) Ivi, p. 43. 62) Ivi, p. 46.

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63) Cfr. Atti parlamentari, Senato del Regno, Relazione del governo sul Disegno di legge per la protezione cit.: E non solo difettano le norme legislative, ma quelle stesse che vi sono rimangono in gran parte inapplicate, o per deficienza di mezzi, o per inadempienze degli organi locali incaricati di eseguirle, o per la mancanza o lirregolare funzionamento dei servizi di vigilanza. 64) Cfr. C. Scorolato, Assistenza sociale, in Le rilevazioni statistiche in Italia dal 1861 al 1956. Statistiche demografiche e sociali, in Annali di Statistica, s. VIII, vol 6, a. 86, Roma, A.B.E.T.E., 1957, p. 223. 65) Cfr. E. Raseri, Dei provvedimenti a favore dellinfanzia abbandonata in Italia ed in alcuni stati dEuropa, in Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Direzione Generale della Statistica, Annali di statistica, s. III, vol. 12, Roma, Tip. F.lli Bencini, 1884, pp. 245-247. 66) Cfr. Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Direzione Generale della Statistica, Statistica della assistenza allinfanzia abbandonata. Anni 1890, 1891 e 1892, Roma, Tip. Elzeviriana, 1894, p. 8. 67) Cfr. V. Hunecke, I trovatelli di Milano. Bambini esposti e famiglie espositrici dal XVII al XIX secolo, Bologna, Il Mulino, 1989, ha messo in evidenza che alla met dellOttocento pi della met di tutti gli esposti del suburbio milanese (Corpi Santi) provenivano dai quartieri pi industrializzati, mentre gli esposti della citt provenivano in prevalenza dai quartieri della povert laboriosa (p. 184). 68) Cfr. G. Vicarelli, Alle radici della politica sanitaria in Italia. Societ e salute da Crispi al fascismo, Bologna, Il Mulino, 1997, p. 89, parlando della estrema prudenza dello Stato in campo sociale estende la critica a tutte le forze politiche, anche di sinistra. Per quanto concerne il ceto dirigente, La borghesia liberale, se pur in parte preoccupata dellautonomia delle opere pie e dal loro crescente patrimonio, era rimasta sostanzialmente fedele ai principi del laissez faire ritenendo che i compiti dello stato non dovessero estendersi al di l del mantenimento dellordine pubblico. 69) Cfr. P. Battilani, I protagonisti dello stato sociale italiano prima e dopo la legge Crispi, in Povert e innovazioni istituzionali in Italia dal Medioevo ad oggi, a cura di V. Zamagni, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 661. 70) Com stato evidenziato, lintervento sociale dello Stato rest molto contenuto e la dinamica della spesa si mantenne, dallunit alla prima guerra mondiale, in linea con quella del reddito nazionale. Una prima crescita si verific fra 1880 e 1900, quando secondo stime la spesa sociale si port probabilmente al 2% del reddito nazionale. Cfr. P. Battilani, I protagonisti dello stato sociale cit., p. 644. 71) Tende a ridimensionare la politica giolittiana P. Battilani, I protagonisti dello stato sociale cit., p. 644. 72) Cfr. A. Bresci, LOpera nazionale maternit e infanzia nel ventennio fascista, in Italia contemporanea, 1993, 192, pp. 421-442, in particolare pp. 423 e 425. 73) Ivi, pp. 428, 431 e 433. 74) Cfr. B. Wanrooij, Mobilitazione, modernizzazione, tradizione cit., pp. 389-390, 393. 75) Cfr. D. Preti, La modernizzazione corporativa (1922-1940). Economia, salute pubblica, istituzioni e professioni sanitarie, Milano, Franco Angeli, 1987, p. 110. Sulla specifica attivit dellOpera e sulla scarsa incidenza sul tasso di mortalit infantile cfr. anche Id., Per una storia sociale dellItalia fascista: la tutela della salute nellorganizzazione dello stato corporativo (1922-1940), in Salute e classi lavoratrici in Italia dallUnit al fascismo, a cura di M.L. Betri e A. Gigli, Milano, Franco Angeli, 1982, p. 799. Tuttavia, nel campo sociale c chi ha notato che (per esempio nel ramo specifico della lotta antitubercolare), pur essendo state poste le basi della legislazione e dellorganizzazione nel 1917-1920, limmagine propagandistica costruita dal fascismo, di regime impegnato a fondo nella lotta antitubercolare, non era delle pi artificiose, cfr. T. Detti, Salute, societ e stato nellItalia liberale, Milano, Franco Angeli, 1993. 76) Cfr. E. Vezzosi, Madri e lavoratrici: lOpera nazionale maternit e infanzia nel periodo fascista, in Lavoratrici e cittadine nellItalia contemporanea, a cura di S. Soldani e M. Palazzi, Bologna, Eurocopy cd-rom, 2000 (dattiloscritto gentilmente fornitomi dallautrice). 77) Cfr. V. De Grazia, Le donne nel regime fascista, Venezia, Marsilio, 1993, p. 75. 78) Ivi, pp. 97 e 102. 79) Ivi, p. 137. 80) Cfr. C. Saraceno, Redifining maternity and paternity: gender, pronatalism and social policies in fascist Italy in G. Bock, P. Thane (eds.), Maternity and gender policies cit., p. 206. 81) Cfr. C. Saraceno, Mutamenti della famiglia e politiche sociali in Italia, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 16. Su questo anche G. Vicarelli, Alle radici della politica sanitaria cit., p. 297. 82) Cfr. E. Vezzosi, Madri e lavoratrici cit., p. 17. Ed anche I. Piva e G. Maddalena, La tutela delle lavoratrici madri nel periodo 1923-1943, in Salute e classi lavoratrici cit., che evidenziano pure i limiti giuridici della Cassa maternit illustrando lo scostamento tra contributi riscossi e sussidi pagati. Infine, sulla funzione della maternit come strumento di disciplinamento di massa delle donne nei regimi dittatoriali cfr. A. Rossi-Doria, Maternit e cittadinanza femminile, in Passato e presente, XIII, 1995, n. 34, pp. 171-177.

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83) Cfr. D. Kirk, Europes population in the interwar years, League of Nations, Princeton Univ. Press, 1946, pp. 21-26. 84) Cfr. F. Vinci, Problemi demografici, Bologna, Zanichelli, 1939, p. 18. 85) Cfr. G.C. Falco, La bilancia dei pagamenti italiana tra la prima guerra mondiale e il 1931, in Ricerche per la storia della Banca dItalia, vol. VI, Roma-Bari, Laterza, 1995, p. 53 su dati Istat, Sommario di statistiche storiche 1861-1955, Roma, 1958, pp. 66-67. 86) Cfr. F. Vinci, Problemi demografici cit., p. 18. 87) Cfr. Istat, Sommario di statistiche storiche 1861-1955 cit., p. 44 e Istat, Sommario di statistiche storiche 19261985, Roma, 1986, p. 36. Per il decennio 1921-1930 il tasso di natalit riportato nel volume 1926-1985 leggermente inferiore (28,2 ) a quello del volume 1861-1955 (28,6 ). 88) Cfr. F. Vinci, Problemi demografici cit., pp. 74-75. 89) Cfr. U. Giusti, Landamento della natalit in Italia nel decennio 1931-1940 e le sue caratteristiche ambientali, in Societ Italiana di Demografia e statistica, Atti della VII riunione Firenze 28 dicembre 1940, Tipografia dellUnione Arti Tipografiche, Citt di Castello, 1942, pp. 11-12. 90) Cfr. G. Vicarelli, Alle radici della politica sanitaria cit., p. 290. Per i tassi di fecondit generale lautrice cita J.C. Chesnais, The demographic transition. Stages, patterns and economic implications, Oxford, Clarendon, 1992. 91) Cfr. i saggi di L. Lenti, Alcuni recenti aspetti della natalit milanese e di S. Golzio, Qualche dato sulla relazione fra natalit e sviluppo industriale e urbano in provincia di Torino in Regia Universit degli studi di Firenze, Facolt di economia e commercio, scuola di statistica, Atti della II riunione del comitato di consulenza per gli studi sulla popolazione (Firenze 12 aprile 1938), Firenze, Casa Ed. Pol. Universitaria C. Cya, 1938. Lenti individuava nella durata inferiore di convivenza feconda (per la differente et media di matrimonio) degli appartenenti alle libere professioni e al ceto impiegatizio la diminuzione della natalit a Milano. Il Golzio invece individuava in unaccentuata instabilit economica delle classi agricole costrette a migrare giornalmente o settimanalmente a Torino le cause dei ritardi nella contrazione dei matrimoni nella popolazione tendenzialmente pi prolifica. 92) Cfr. S. Somogyi, La concezione fascista della politica demografica (estratto dalla rivista Economia, a. XII, vol. XIII, n. 2. 93) Cfr. Istat, Lazione promossa dal governo nazionale a favore dellincremento demografico e contro lurbanesimo, in Annali di Statistica, s. VI, vol. XXXII, 1934, Roma, Failli, 1934, p. 21, furono circa 100 mila le famiglie che, nel 1928-1931, usufruirono di esenzioni dalle principali imposte dirette per un mancato introito di lire 40 milione da parte delle casse dello Stato. 94) Cfr. D.V. Glass, Population policies and movements in Europe, London, Frank Cass & Co. Limited, 19672 [ma prima edizione Oxford, Clarendon Press, 1940], pp. 222-267. 95) Confederazione Generale dellIndustria Italiana, Lindustria italiana alla met del secolo XX, Roma, Tip. Bardi, 1953; G. Gualerni, Storia dellItalia industriale. DallUnit alla seconda repubblica, Milano, Etas, 1994. 96) Cfr. D. Kirk, Europes population cit., p. 147. 97) Cfr. E. Sori, Lemigrazione italiana dallunit alla seconda guerra mondiale, Bologna, Il Mulino, 1979, p. 448. 98) Cfr. G.C. Falco, Lindustrializzazione imperfetta. Un profilo dellesperienza industriale della provincia di Pisa nella prima met del Novecento, in E. Fasano Guarini, La Provincia di Pisa cit., p. 280. 99) Cfr. C. Ficola, Legislazione sociale e tutela della maternit cit. p. 703-704. LA. cita A. Schiavi, La mortalit infantile in Milano. Risultati di uninchiesta sui nati nel 1903 in rapporto ai modi di allattamento, e alle condizioni economiche dei genitori, (pubblicazione dellUfficio del Lavoro della Societ Umanitaria) ed. LUfficio del lavoro, Milano, 1908. 100) Cfr. B. Bianchi, Leconomia di guerra a Porto Marghera: produzione, occupazione, lavoro 1935-1945, in G. Palladini e M. Reberschak, La resistenza nel veneziano. La societ veneziana tra fascismo, resistenza e repubblica, Stamperia di Venezia, s.d., pp. 163-293. 101) Cfr. V. Hunecke, I trovatelli di Milano cit., p. 186, 192-193. 102) Cfr. G. Vicarelli, Alle radici della politica sanitaria cit., p. 134. 103) Cfr. S. Fabbri, Lattivit della Federazione provinciale milanese cit., p. 34. 104) Cfr. G. Vicarelli, Alle radici della politica sanitaria cit., p. 60. 105) Cfr. L. Guiotto, La fabbrica totale. Paternalismo industriale e citt sociali in Italia, Milano, Feltrinelli, 1979, p. 160; si cfr. anche la Prefazione di Franco Ramella alle pp. 30-31 in cui si parla di paternalismo protetto o burocratizzato. Nel caso della Saint-Gobain di Pisa, G.C. Falco (Lindustrializzazione imperfetta cit., p. 275) mette in evidenza che le infrastrutture e gli edifici di carattere sociale e ricreativo (tra cui appunto lasilo infantile) erano moti-

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vati, oltre dalla necessita di stabilizzare la manodopera in una congiuntura di reclutamento sostenuto, prima dellentrata in guerra, dalla volont di ossequiare la politica sociale del fascismo per ottenere benemerenze in un momento delicato dei rapporti tra Francia e Italia. 106) Su questo cfr. G.A. Ritter, Storia dello stato sociale cit., pp. 15-16. 107) Anche in Gran Bretagna, le difficolt economiche degli anni 20 e 30 inibirono lattivit delle autorit locali. I servizi sociali allinfanzia e alla maternit ne risentirono in termini di scarso coordinamento amministrativo, di discrepanza nella distribuzione territoriale e di disuguaglianza nel livello qualitativo delle prestazioni, cfr. S. Ferguson, H. Fitzgerald, Studies in the social services cit., pp. 144 e 147. 108) Cfr. Onmi, LOpera Nazionale per la protezione della Maternit e Infanzia cit., 1962, p. 198. 109) Cfr. Onmi, Origine e sviluppi dellOpera nazionale cit., p. 147. 110) Cfr. L. Conti, Lassistenza e la previdenza sociale. Storia e problemi, Milano, Feltrinelli, 1958, p. 84. 111) Sullo statalismo e sul particolarismo come le due facce della politica sociale del fascismo negli anni 30 non posso che rimandare al fondamentale contributo di F. Bonelli, Appunti sul welfare statein Italia, in Studi Storici, 1992, n.2-3, pp. 669-680. 112) Cfr. Onmi, Relazione sullattivit dellOnmi nel 1973, p. 22, dattiloscritto, firmato dal direttore generale Attilio Caliento, Roma 17 ottobre 1975 [recte: 1973].

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