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UNIVERSIT DEGLI STUDI DI TRIESTE

FACOLT DI LETTERE E FILOSOFIA Corso di Laurea in Lettere

Tesi di Laurea

OLTRE MEDEA: MADRI ASSASSINE E PADRI SACRIFICATORI FRA MITO, RITO E CRONACA

Laureanda: LARA LAFFRANCHINI

Relatore: Prof.ssa ILEANA CHIRASSI COLOMBO

Correlatore: Prof.ssa LETIZIA BINDI

ANNO ACCADEMICO 2002-03

INDICE:
INTRODUZIONE: _______________________________________________________ 3 CAP. 1: IL FIGLICIDIO MITICO__________________________________________ 6 1.1 - LALTRA MADRE: MADRI ASSASSINE NEL MITO GRECO ____________ 9 a) Un caso classico: i figli di Medea__________________________________________ 11 b) Figlicidio e mania: le madri impazzite. Cadmeidi, Pretidi, Miniadi____________ 24 c) Vendetta e cannibalismo: i casi di Edona e Procne ____________________________ 31 1.2 - IL FIGLICIDIO PATERNO NEL MITO GRECO __________________________ 33 a) La mania, lerrore, la punizione _________________________________________ 34 b) Eracle: un caso eccezionale_____________________________________________ 36 c) Alcuni sacrifici anomali: _______________________________________________ 39 d) Il modello del padre devoto: il sacrificio del figlio nel mito greco ________________ 40 1.3 - I SACRIFICI DEL FIGLIO NEI MITI SEMITICI ________________________ 45 CAP. 2: FIGLICIDI, UCCISIONI RITUALI E SACRIFICI. UN EXCURSUS ____ 65 2.1 - SACRIFICI UMANI E UCCISIONI RITUALI NELLA GRECIA ANTICA. MITO E PRASSI RITUALE_______________________________________________________ 65 2.2 LINTERPRETAZIONE INIZIATICA___________________________________ 74 CAP. 3: IL MITO DEL RITO SEMITICO ________________________________ 79 3.1 IL SACRIFICIO SEMITICO: LOFFERTA DEI PRIMI NATI E IL RITO MOLOCHITICO _______________________________________________________ 79 3.2 IL MITO DELLINFANTICIDIO RITUALE NELLACCUSA AGLI EBREI __ 94 3.3 IL SANGUE DEL BAMBINO ________________________________________ 114 CAP. 4: LA MESSA A MORTE NECESSARIA_____________________________ 117 4.1 BURKERT, GIRARD E IL GENE DELLA VIOLENZA__________________ 117 4.2 LUCCISIONE ORIGINARIA IN FREUD_____________________________ 128 4.3 LA MORTE DEL DEMA __________________________________________ 130 1

4.4 LA VIA IRRAZIONALISTA: ELIADE E IL COLLEGIO DI SOCIOLOGIA ___ 133 4.5 LA SCUOLA STORICO-RELIGIOSA E IL CONTRIBUTO DI ERNESTO DE MARTINO ____________________________________________________________ 138 CAP. 5: I SACRIFICI NELLA CRONACA ______________________________ 143 5.1 INFANTICIDIO E ISTINTO MATERNO _____________________________ 151 5.2 IL FIGLICIDIO OGGI: ATTO RITUALE O ASSASSINIO? ________________ 162 BIBLIOGRAFIA: ______________________________________________________ 173 SITOGRAFIA: ________________________________________________________ 187 VOCI ENCICLOPEDICHE:_____________________________________________ 189

INTRODUZIONE:
La presente ricerca si occupa principalmente del tema del cosiddetto figlicidio, luccisione di un figlio gi cresciuto da parte del genitore, nella ricchezza delle sue implicazioni. Certo essa non pretende di essere esauriente, e di affrontare nel dettaglio tutte le numerose problematiche connesse a questo tema. Si vuole comunque fornire una traccia, un orientamento, su un particolare tipo di violenza che pare essere particolarmente attuale e che tanto rilievo ha avuto anche nelle cronache degli ultimi anni. Vedremo che dietro la cronaca terribile dei figlicidi le implicazioni ideologiche e simboliche sono molteplici e rimandano a nodi irrisolti che condizionano la complessa costruzione del comportamento di uomini e donne come soggetti culturali. Luccisione del bambino, e del proprio figlio in particolare - soprattutto se compiuta dalla madre - appare nella nostra cultura, e in quei discorsi che tanto hanno contribuito alla sua formazione - quello greco e quello biblico - latto eccezionale, latto da evitare per eccellenza. Eppure, proprio a garanzia di questo necessario rifiuto dellatto figlicida nella realt, il tema ha assunto un rilievo notevole ed rimasto centrale nel mito greco antico cos come anche nel discorso biblico e le diverse soluzioni mitiche e rituali proposte pesano per cos dire nel nostro campo culturale. Limitiamo il nostro campo di indagine a queste due culture, perch queste ci appaiono quelle che pi hanno esercitato uninfluenza decisiva nel costituirsi della identit occidentale attuale. Vedremo quindi come si presenta il tema in questi due tipi di discorso che definiamo mitico proponendo il valore di base di mito come discorso, narrazione, al di l di ogni implicazione di vero e falso. In particolare noteremo
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nei miti la volont di evidenziare precise differenze nelle rappresentazioni del figlicidio in rapporto allidentit di genere del genitore che lo compie. A questo proposito sceglieremo come esempi emblematici due miti assai celebri: quello dei figli di Medea e quello del sacrificio di Isacco. Essi infatti ben rappresentano questa separazione, comune a molti dei miti analizzati: il figlicidio materno accentua le caratteristiche di marginalit e devianza di donne che sono anzitutto assassine; quello paterno al contrario linserimento in un quadro di religiosit ufficiale e di devozione agli dei di un padre, che anzitutto sacrificatore. Vedremo poi come proprio in corrispondenza di questa centralit del tema mitico, la corrispondente prassi di un uso sacrificale - e nella fattispecie del figlicidio o dellinfanticidio rituale - stata fortemente rifiutata in entrambe le culture che sono oggetto del nostro studio. La rilevanza e la frequenza del tema mitico viene qui interpretata proprio come fondazione e garanzia della non sacrificabilit dellessere umano, e del bambino in particolare. In questo senso i numerosi miti di figlicidi, compiuti dai padri come dalle madri, appaiono strettamente funzionali ad un controllo sociale che vieta e preclude quanto pericoloso e non deve accadere nella realt ordinaria, storica, del quotidiano. Il mito distingue e classifica gli atti, rituali e non, che sono considerati praticabili in una determinata cultura rispetto a quelli che sono impossibili, o possibili solo per dimensioni del tutto diverse. Cos il mondo greco e quello ebraico-semitico attraverso il dispositivo mitico paiono aver posto degli argini culturali e garantito una risoluzione innocua a quelle tensioni e conflittualit che minacciano ogni societ. Ancora per tutto il medioevo e let moderna, il discorso sul figlicidio rimasto principalmente discorso mitico su quello che potevano concepire e attuare solo dei gruppi religiosi marginali, che venivano diffamati proprio mediante la rappresentazione di riti indicibili.
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In questo quadro di indicibilit si iscritta appunto laccusa di infanticidio. Allo stesso tempo vedremo come questi stessi riti, intesi come riti altrui, centrati sullo spargimento e sulluso del sangue infantile erano tanto frequentemente evocati proprio in virt di una loro supposta efficacia. Il discorso sullinfanticidio rituale, e sulla messa a morte dellessere umano in generale, investito di valenze ideologiche forti, stringenti. Tali valenze si sono conservate fino al moderno per scivolare ambiguamente nel postmoderno. Tutto un filone di studi si concentrato infatti sul valore fondante, efficace e necessario del sacrificio umano e delluccisione in generale. Latto che coinvolge il bambino pare allora quello che pi desta sconcerto, orrore, ripugnanza, e tuttavia proprio in quanto caso estremo - caso limite - si qualifica in questottica come la massima offerta possibile, e dunque come latto pi efficace. Tale era stato appunto il messaggio dello stesso mito greco e biblico, dove i padri disposti a sacrificare i figli in circostanze critiche di guerra erano premiati generalmente con la vittoria. Scomparso, o quasi, il discorso mitico sacrificale, il tema ricompare oggi su un nuovo piano, quello della storia quotidiana. Giungeremo infatti ad osservare come si ripresenta oggi il problema del figlicidio, nellattualit della cronaca. Ne emerge un quadro che coinvolge principalmente le donne, le madri, e che le vede compiere sempre pi spesso questatto straordinario ed eccezionale, anche al di fuori dei contesti di disagio sociale e deculturazione nei quali si anniderebbero le debolezze culturali e psichiche apparenti. Limpressione che questi casi, cos come del resto molte altre esplosioni di violenza incontrollata, allinterno della famiglia e non, siano espressione di un disagio latente antico sempre pi irrisolto, anche per carenza di dispositivi culturali efficaci.

CAPITOLO 1: IL FIGLICIDIO MITICO


Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per scannare il figliolo. Ma langelo del Signore lo chiam dal cielo e gli disse: Abramo, Abramo!. Rispose: Eccomi!. Riprese: Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che rispetti Dio e non mi hai risparmiato il tuo figliolo, lunico tuo!. Allora Abramo alz gli occhi e guard; ed ecco: un ariete ardente, ghermito dal fuoco, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo and a prendere lariete e loffr in olocausto al posto del suo figliolo. (Genesi 22, 10-13) FIGLI: Ahi, ahim! CORO: Senti, senti il grido dei figli? Ahi, o sventurata, infelice donna! 1 FIGLIO: Ahim, che fare? Come sfuggire alle mani della madre? 2 FIGLIO: Non so, o fratello carissimo, siamo perduti. CORO: Devo entrare in casa? Mi par bene stornare la strage ai figli. 1FIGLIO: S, per gli dei, soccorreteci; necessario. 2FIGLIO: Siamo ormai vicini al cappio di questa spada. (Euripide, Medea, 1271-1278)

Sono questi solo due estratti significativi dei miti pi noti nella cultura delluomo occidentale: entrambi propongono rappresentazioni di genitori che uccidono, o sono comunque pronti ad uccidere, i loro figli. Luccisione da parte dei genitori dei propri stessi figli un dato ampiamente attestato, possiamo dire anzi frequente, in varie tradizioni sul piano mitico come su quello rituale. Il tema esiste a vario titolo nel discorso mitico allargato di numerose culture ed presente presso numerosi racconti e nella letteratura di molte civilt antiche del Mediterraneo, ivi comprese quelle che hanno esercitato uninfluenza decisiva nel costituirsi dellidentit culturale occidentale. Ci riferiamo a quei discorsi che definiamo mito greco e mito biblico.
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I casi di uccisione dei propri figli da parte di un genitore sono ampiamente attestati. Tuttavia i due casi particolari, sopra citati, appaiono particolarmente emblematici, e si presentano come i casi in qualche modo centrali di figlicidio anche per la riflessione culturale occidentale contemporanea. Il primo esempio che abbiamo scelto, tratto dal testo biblico, propone un modello di padre pronto a sacrificare il proprio figlio unigenito ed amatissimo quale prova di massima devozione religiosa, di fede; laltro, invece, appartenente ad un testo del teatro greco, mette in scena il modello di una madre che compie lassassinio brutale dei propri figli per soddisfare un mero proposito di vendetta. Si tratta, chiaramente, del motivo del sacrificio di Isacco e di quello dei figli di Medea. Simili e allo stesso tempo divergenti, i due racconti mettono ugualmente in scena due genitori disposti ad uccidere i propri figli. Tuttavia, nel primo caso luccisione si configura come un sacrificio particolarmente sofferto da parte del padre, sacrificio che comunque non viene portato a termine, anzi il racconto sembra fondare proprio il rifiuto del sacrificio umano. Nel secondo caso si assiste invece al compimento dellatto sanguinario da parte di una madre, in una cornice che non ha, apparentemente, nulla di rituale, secondo un modello che vuole evidenziare barbarie e scelleratezza di un tale atto violento, ma anche qualche altro risvolto sul quale ritorneremo. Questi sembrano essere, in effetti, i modelli ai quali riportare il tema delluccisione dei figli nel mondo greco e in quello biblico. Vedremo come anche allargando il campo dindagine il comportamento delle madri figlicide accentua chiaramente la caratteristica della messa a distanza, della devianza, della straordinariet; quello dei padri al contrario sottolinea lobbedienza e la fede dimostrata nella cornice di un quadro religioso ufficiale. Potremmo pertanto opporre madri assassine, per le quali la brutalit e lefferatezza dellatto compiuto paiono aver fine in s, e dunque apparentemente

ingiustificabili, a padri devoti sacrificatori dei propri figli nellossequio di un comportamento ritualmente coordinato. I due modelli paiono rispondere a situazioni precise. E interessante sottolineare che nel mondo greco antico, in particolare nel mondo post-omerico della polis, la donna, relegata ai margini dello spazio politico, non appare mai, almeno ufficialmente, nella veste della sacrificatrice1: alle donne era infatti precluso di praticare personalmente dei sacrifici e di maneggiare il coltello sacrificale. Come dimostra giustamente Marcel Detienne2, il femminile era assolutamente incompatibile con la dimensione sacrificale - e quindi anche alimentare nel senso della grande cucina di carne - proprio in virt di unavvertita presunta pericolosit della donna che giustifica il preciso intento di inserire il femminile in un ordine a parte, un ordine diverso. Due racconti di carattere aneddotico, quello del re di Cirene Batto e quello di Aristomene, riportati da Detienne3, rappresentano significativamente unattivit sacrificale femminile che sfocia in violenza generalizzata. Anche nella realt quotidiana una serie di precauzioni era adottata allo scopo di escludere completamente il genere femminile da quanto avesse a che fare con luso di armi, con lo spargimento di sangue, con il possibile compimento di gesti violenti. Per quanto, quindi, le donne rivestissero spesso delle cariche nel contesto di molti rituali religiosi e avessero accesso a vari sacerdozi, a esse era comunque sempre vietato di maneggiare personalmente la machaira, il coltello sacrificale. Secondo Detienne, nel corso delle stesse Tesmoforie, feste a partecipazione esclusivamente femminile, nel momento per cos dire cruciale del sacrificio e dello spargimento di sangue, si rendeva necessario lintervento estemporaneo di un uomo, un mageiros, rigorosamente maschio, che aveva il solo compito di sgozzare le vittime sacrificali e che subito dopo veniva congedato. Vale la pena
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Per gli stretti rapporti fra pratica sacrificale, alimentare e politica, vedi DETIENNE, Pratiche spirito di sacrificio, 1982 (1979) 2 DETIENNE, Eugenie violente 1982 (1979) 3 DETIENNE, Eugenie violente 1982 (1979): 131-132

culinarie e

ricordare che mageiros indica genericamente il cuoco, sempre e solo al maschile in greco. Questa precauzione, cos come i due racconti che Detienne riporta, testimonierebbe dunque di una certa angoscia nei confronti del mondo femminile, di cui si temevano chiaramente gli eccessi pericolosi; in realt il dispositivo appare un efficace strumento per articolare simbolicamente il ruolo femminile dalla parte del margine in uno spazio dominato dalla centralit del ruolo ufficiale, rappresentativo, maschile. 1.1 - LALTRA MADRE: MADRI ASSASSINE NEL MITO GRECO La madre, dunque, quanto meno nellideologia del cittadino greco, non pu uccidere come non pu sacrificare il proprio figlio, senza che a questa immagine non sia associata una fortissima e totale valenza di trasgressivit. Luccisione appare un atto impossibile gi a prescindere dal fatto che la vittima sia il proprio figlio. Inoltre la donna che si macchia personalmente del sangue della propria prole si dissocia dal gruppo rifiutando la funzione a cui la societ la destina - quella di generare e allevare i figli - e in questo modo attacca quella che la struttura fondamentale della societ, la famiglia. Anche nella rappresentazione mitica essa non pu essere una figura accettabile ed connotata secondo i canoni di una devianza assoluta rispetto alla norma della vita quotidiana. Per questo nel mito la madre assassina o impazzita o una straniera, una feroce primitiva, dunque comunque altra, come Medea che straniera, barbara, orientale, oltre che essere donna. Luccisione dei figli da parte di una madre greca non potrebbe trovare in alcun caso la propria collocazione allinterno di un rituale istituzionalizzato accettato ed accettabile: si tratta di una rappresentazione per ogni verso impossibile. Luccisione del figlio da parte di una madre, nel mito, si colloca spesso significativamente nella sfera del menadismo, dunque del culto di Dioniso, che la divinit diversa per eccellenza nel pantheon greco, il dio apolitico - e tuttavia centrale e necessario alla polis stessa - il dio della follia e degli eccessi,
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il dio che i Greci stessi rappresentavano come straniero, proveniente dalla Tracia o dal lontano oriente, ma che ben presente nella citt4. Se partiamo dal presupposto che ci che definiamo in modo assai lato dionisismo, nel mito come nel rito, appariva come una negazione e un ribaltamento delle norme civiche e dellordine consueto delle cose, accettiamo che il suo ruolo fosse proprio quello di rappresentare uninversione di valori rispetto alla norma: in questo quadro, dunque, la donna poteva apparire nellinatteso ruolo della sacrificatrice, ma allo stesso tempo anche il sacrificio tradizionale presso laltare era sostituito dallo smembramento feroce della vittima. Si pu spiegare cos la presenza nel mito di racconti di uccisione e smembramento del proprio figlio da parte di madri, come modello fondante proprio ci che non doveva essere, modello di un accadere diverso per eccellenza rispetto alla norma e soprattutto rispetto allo stereotipo della donna intesa come madre amorevole e protettiva. Le donne che compiono figlicidi nel mito greco si profilano quindi anzi tutto come delle grandi violatrici e rappresentano in vario modo tutta una serie di infrazioni e trasgressioni. Il caso pi significativo pare essere quello di Medea: diversamente da molte altre madri figlicide del mito, essa tuttavia non una baccante impazzita n inconsapevole; anzi estremamente lucida ed connotata come una donna dotata di una particolare sapienza. La sua diversit contrassegnata in altro modo: la donna-maga, manipolatrice di pharmaka, guaritrice e avvelenatrice, che proviene da un paese collocato agli estremi confini del mondo conosciuto. Diversamente, le varie collettivit mitiche che si macchiano di infanticidio Pretidi, Miniadi, Cadmeidi - agiscono in uno stato di invasamento, in uno stato di coscienza altro che in modo altrettanto efficace, sia pure diversamente, le colloca al di fuori della normale rappresentazione della donna greca.
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La bibliografia a questo proposito infinita, ma vedi CHIRASSI COLOMBO 1991

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Passiamo in rassegna dunque il caso di Medea e quei casi del mito greco che vedono delle madri assassinare, dilaniare, persino imbandire i propri figli in dei pasti cannibalici, generalmente offerti ai mariti. a) Un caso classico: i figli di Medea Medea una figura estremamente complessa, come rileva S. I. Johnston5, che sottolinea nel suo saggio la straordinaria gamma di sfaccettature del comportamento e della personalit di questo personaggio. Possiamo dire che dallVIII sec. a.C. ad oggi Medea ancora non cessa di esercitare un fascino particolare, come dimostra lingente numero di opere a lei dedicate fin dallantichit, dalla IV Pitica di Pindaro allomonima tragedia euripidea, alle Argonautiche di Apollonio Rodio, a Seneca e Ovidio, fino ad arrivare al trattamento cinematografico di Pasolini6. Ancora al giorno doggi molto si discute sulla natura di questa figura, tanto che continuano ad essere avanzate numerose chiavi di lettura, non da ultime quelle psicanalitiche, per cercare di spiegare e di avvicinarsi a questo sconcertante personaggio7. Nonostante la molteplicit delle versioni del mito che sono state fornite Euripide che nel V secolo conferisce alla figura di Medea la sua identit per cos dire canonica, scegliendo di rappresentarla, forse per la prima volta, come la donna che uccide i propri figli pur di vendicarsi del marito Giasone, deciso ad abbandonarla per sposare una principessa greca.

JOHNSTON 1997, pp. 5-7 Ci riferiamo ovviamente al film Medea. Qui Medea diventa loggetto di una riflessione del tutto attuale sui luoghi della marginalit nel mondo contemporaneo. In questo senso, leroina del mito e della tragedia greca diventa la rappresentante, e il paradigma, dellappartenenza ad un mondo arcaico e religioso, che nellattualit pu essere identificato con quello, altrettanto incomprensibile e lontano, del sottoproletariato. La relazione fra Giasone e Medea allora anzitutto la storia di un rapporto, sempre irrisolto, fra il mondo borghese colto e lirrazionalit di un mondo ancora arcaico, di cui difficile comprendere le ragioni. Medea dipinta da Pasolini con i tratti della ferocia innocente, perch immersa in una sfera, quella del sacro e della religiosit, che prima di tutto impossibile da comprendere - per il laico e razionale borghese oggi, come per laltrettanto razionale cittadino greco nellantichit - che pur sembra essere portatrice, nella lettura pasoliniana, di una qualche verit ultima ed essenziale. In questa sorta di nostalgia per i valori di un mondo arcaico ancora immerso nel sacro, Pasolini segue certamente la linea irrazionalista e fenomenologica che tanta parte ha avuto nel pensiero storico-religioso del Novecento e che trova uno dei suoi pi accreditati esponenti in Mircea Eliade. Sulla lettura pasoliniana del personaggio di Medea, vedi CHIRASSI COLOMBO 2001. 7 In particolare vedi i vari saggi raccolti nel volume a cura di CLAUSS JOHNSTON (1997)
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Nella Teogonia di Esiodo, secondo una tradizione certamente molto antica, Medea la figlia delloceanina Idia, dotata di una sapienza particolare, e di Eeta, re della Colchide; quindi, attraverso di lui, nipote di Elio, il Sole. Significativamente Esiodo la presenta anche come nipote di Circe, laltra celebre e pericolosa donna maga del mito greco. Attraverso questa genealogia, il poeta enfatizza dunque i suoi poteri e la rappresenta come una sorta di dea, anche se gli autori pi tardi preferiscono piuttosto inserirla nella categoria delle eroine8. Fin dal principio, comunque, e indipendentemente dalle varie rielaborazioni del mito, Medea la straniera, detentrice di un sapere particolare e pericoloso, quello della pharmakeia, la scienza dei farmaci che guariscono e uccidono, un sapere che possiamo definire magico. In Euripide la personalit di Medea, ancor prima dellinfanticidio, gi definita come quella di una donna eccessiva. Una serie di azioni sembrano prefigurare, infatti, quanto accadr poi a Corinto: padrona di un sapere eccessivo, e per questo temibile, Medea unabile manipolatrice, disposta a tutto pur di raggiungere i suoi scopi: al fratricidio ai danni di Apsirto (e forse lo stesso Apsirto era ancora un bambino!), e a convincere le figlie di Pelia ad uccidere inconsapevolmente il padre9.

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Sul modello eroico, dato specifico del politeismo greco, A. BRELICH 1958, e per le eroine D. LYONS 1997 Per il mito di Medea vedi come testo ampio di riferimento il lungo racconto in APOLLODORO, Biblioteca I, 9, 126-147. I dati sono comunque raccolti in GRIMAL 1987: 396-398. La donna si innamora di Giasone quando gli Argonauti giungono in Colchide alla ricerca del vello doro, e lo aiuta con le sue arti magiche e con i suoi filtri a realizzare limpresa in cambio della promessa di portarla via con s e di sposarla. Gli consente di superare le prove impostegli dal padre e per amore sottrae alla sua stessa famiglia il vello doro. Fugge con Giasone sulla nave Argo portando con s anche il fratello Apsirto e, pur di ritardare linseguimento del padre, lo fa a pezzi, gettando i brandelli del suo corpo nel mare. Come previsto, infatti, Eeta si ferma per raccogliere le membra del figlio e dargli sepoltura. Dopo il matrimonio, al ritorno a Iolco, Medea con le sue arti magiche vendica il marito: fa s che le figlie di Pelia uccidano il padre, che aveva affidato a Giasone limpresa della ricerca del vello doro per liberarsi di lui e aveva sterminato la sua famiglia. La maga le convince di essere capace di ringiovanire qualunque essere vivente facendolo bollire in una pozione magica, di cui lei sola possedeva il segreto; per persuaderle, sotto i loro occhi squarta un vecchio ariete, ne getta i pezzi in un paiolo che aveva messo sul fuoco, e di l a poco ne fa uscire un agnello. Convinte da questo esempio, le figlie di Pelia fanno a pezzi ugualmente il loro padre e lo gettano nel paiolo, ma questi ovviamente non ne esce, lasciandole inorridite da quanto hanno fatto. Dopo ci, Medea e Giasone riparano a Corinto, ove vivono felici per dieci anni e dove ha luogo la tragedia finale, luccisione da parte della donna dei suoi bambini.

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Il personaggio costruito da Euripide si presenta come un compendio significante di una temibile ed oscura diversit, carattere che si palesa pienamente nellatto finale della tragedia, con linfanticidio. Lassassinio dei figli da parte di Medea sembra comparire per la prima volta ad opera di Euripide stesso o di un altro tragediografo dello stesso secolo, Neofrone. Molto si discusso se si tratti di uninvenzione del tragediografo o piuttosto di una variante del mito allargato. Secondo Sarah Iles Johnston10, come si vedr, la tradizione della Medea infanticida sarebbe ereditata da un patrimonio folklorico tradizionale. In ogni caso, nella tragedia euripidea, che consacra lidentit canonica di Medea cos come ancora oggi ricordata, Medea e Giasone, cacciati da Iolco dopo luccisione di Pelia, giungono a Corinto, ove vivono felici per dieci anni, finch luomo non decide di abbandonare la moglie barbara per sposare la figlia del re Creonte (chiamata Glauce o Creusa nelle varie versioni del mito; Euripide non la nomina mai). Medea, tradita e abbandonata in terra straniera da un marito spergiuro per cui ha lasciato e tradito la sua stessa famiglia, deve subire anche lumiliazione dellesilio: Creonte infatti, temendo la donna che conosce come saggia ed esperta di molti malefici11, bandisce lei e i suoi figli dalla citt, intimandole di andarsene subito. Con la sua eloquenza, Medea riesce a convincere il re ad accordarle ancora un solo giorno prima dellesilio ed in quellunico giorno che progetta e porta a compimento la sua vendetta. Stabilisce di punire Giasone privandolo di quanto ha di pi caro, cio della sua discendenza e della nuova sposa, che avrebbe potuto generargli altri figli. Da questo momento in poi lazione si svolge rapidamente, avviandosi verso il tragico finale. Assicuratasi da Egeo la promessa di ospitarla e proteggerla ad Atene, Medea manda i suoi figli a supplicare la giovane di risparmiare loro lesilio, facendole recapitare in dono un peplo ed un diadema preziosi. In realt i
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JOHNSTON 1997 EURIPIDE, Med. 285

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doni sono avvelenati e, appena li indossa, Glauce divorata dalle fiamme; anche Creonte, abbracciando la figlia, resta avvinto al peplo e incontra la morte. Lultimo gesto a cui Medea si costringe il pi difficile: il figlicidio. Euripide evidenzia opportunamente la conflittualit intima fra lesigenza di vendetta e il dolore personale che fortissima, e tuttavia Medea non pu impedirsi di agire: Ors, o misera mano mia, prendi la spada, prendila, muovi verso la dolorosa meta della vita: non essere vile e non ricordarti dei tuoi figli, che ti sono assai cari, che li partoristi, ma solo per questo breve giorno dimenticati dei tuoi figli; e poi piangi. Anche se li ucciderai, nondimeno essi ti sono cari; e una donna sventurata sono io.12 Dopo vari cedimenti e lultimo straziante saluto la donna infatti si fa coraggio e finalmente, pur di ferire il marito infedele, d personalmente ai figli la morte con la spada, con lestrema consapevolezza di causare con il suo agire la propria stessa sofferenza, prima ancora che quella del marito, e pur tuttavia decisa a portare a compimento il proprio proposito. Compiuto latroce gesto, nellultimo incontro con Giasone al termine della tragedia, la donna gli impedisce di dare sepoltura ai figli e di abbracciarli per lultima volta, prendendosi unulteriore rivincita. Interessante la soluzione proposta dal tragediografo. La figlicida elabora ritualmente quindi d senso alla sua azione, orientando per cos dire culturalmente e cultualmente la crisi. Annuncia che lei stessa seppellir i bambini nel santuario di Era Acraia e che per espiare il delitto istituir a Corinto una festa solenne; infine vola via con i loro corpi su un carro alato donatole dal Sole, suo avo. Questa la versione pi celebre del mito, quella che ci stata tramandata da Euripide nellomonima tragedia, ma sembra non sia anche la versione originaria.

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EURIPIDE Med. 1244-1250

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Angelo Brelich ha dedicato un suo contributo13 al rapporto fra il mito, o meglio i miti, che hanno per protagonista il personaggio di Medea, e il culto che si tributava a Corinto ai suoi figli, reinterpretando questultimo non gi come un rito di espiazione, come sembra essere e come presentato dalle varie fonti - ivi compreso Euripide stesso - ma piuttosto come un rito dai caratteri tipicamente iniziatici14. Rievocando i miti diversi che narrano luccisione dei figli di Medea, emerge un diverso racconto, antecedente a quello euripideo, che individuava piuttosto nei Corinzi gli artefici del delitto e dunque anche i fondatori della presunta festa annuale di espiazione. I Korinthiak di Eumelo, poeta epico corinzio dellVIII-VII sec. a.C., forniscono la testimonianza pi antica. Un frammento in versi riportato da uno scoliasta di Pindaro (Schol. Pind. Ol. 13, 74), che parla piuttosto di un tentativo fallito, da parte di Medea, di rendere immortali i suoi figli: sembra che la dea Era, grata a Medea per aver rifiutato le profferte di Zeus, avesse promesso alla donna di rendere immortali i suoi figli se li avesse portati nel suo santuario; Medea obbed, ma la promessa non fu mantenuta e anzi i bambini morirono. Anche Pausania (2, 3, 7; 2, 3, 10-11) riassume un passo dello stesso poeta corinzio, e qui non solo ribadisce il motivo del tentativo fallito di dare limmortalit ai bambini - si dice che Medea nascondeva i suoi figli nel temenos di Era a questo scopo - ma narra esplicitamente di come i Corinzi li lapidarono15 e di come furono costretti a fondare il culto per far fronte alla morte dei loro stessi figli, conseguente al sacrilegio commesso. Lo stesso Pseudo-Apollodoro, dopo aver narrato la versione, per cos dire, pi tradizionale della vicenda di Giasone e Medea, ricorda brevemente anche questa diversa versione del mito:

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BRELICH 1959 Sul tema delle iniziazioni in Grecia si rimanda allo stesso BRELICH 1969 15 In questo caso la lapidazione dei Corinzi potrebbe inserirsi nel contesto dei cosiddetti delitti rituali. A questo proposito, si veda CANTARELLA1991, e il testo Le delit religieux dans la cit antique, Roma, 1981 (Collection de lcole franaise de Rome, 48)

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Si dice anche che [Medea] fugg abbandonando i figli ancora piccoli, dopo averli fatti sedere come supplici sullaltare di Era Acraia; ma gli abitanti di Corinto li portarono via di l e li percossero a sangue16. Esistevano dunque in et arcaica svariate versioni del mito, che differivano fra loro nei dettagli, ma tutte concordavano sullinnocenza di Medea, ritenuta non direttamente responsabile per la morte dei figli; per cui gi anticamente si era diffusa la diceria che in realt fosse stato lo stesso Euripide ad attribuire per primo lassassinio dei bambini a Medea, e che lavesse fatto perch pagato a questo scopo dai Corinzi stessi. La sostanzialmente tarda, come si visto, definizione di Medea come donna pericolosa, maga e per di pi infanticida, secondo Ileana Chirassi Colombo17, si iscrive nel contesto del tentativo di Atene, proprio nel V secolo a.C., allorch emerse la democrazia ateniese, di darsi una forte identit culturale autonoma, mediante unopposizione sempre pi marcata con lorientale, inteso come laltro da s. Il polo opposto della relazione, allora, il diverso, lesterno, lorientale, si configura immediatamente anche come polo negativo, una modalit questa di svalutare laltro da s che, potremmo dire, pare essere stata ereditata per molti aspetti dalla stessa cultura occidentale. Medea in questo quadro importante in quanto immagine dellalterit per eccellenza, veicolo ideale per definire, attraverso una particolare rappresentazione dellaltro, lidentit del s. A Medea vengono dunque attribuiti in modo mirato regole e costumi diametralmente opposti rispetto a quelli che definivano, e dovevano definire, il comportamento delluomo greco. Questa dicotomia, questa polarizzazione, era inoltre necessaria a rinforzare dei comportamenti sociali desiderabili, in questo caso a istituire un modello cui tendere per tutte le donne, lo stereotipo della donna feconda e materna. Proprio nel V secolo, dunque, quando si rende necessario istituire dei modelli e dei

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APOLLODORO, Biblioteca, I, 9, 28 CHIRASSI COLOMBO 2001

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parametri identificanti, la colca Medea diventa la madre che assassina i suoi figli, paradigma negativo per eccellenza. Nella tradizione greca arcaica Medea era un personaggio proveniente dalloriente e unesperta di pharmaka, in Pindaro (Pitica IV) addirittura una potente profetessa, tuttavia non era ancora definibile come personaggio del tutto negativo. E solo a partire dal V secolo che essa viene a qualificarsi sempre pi come il tipo della maga negativo, e in questo contesto, come si visto, si iscrive anche lassassinio dei propri figli. Da Euripide in poi Medea la donna eccessiva, passionale, diversa sotto tutti gli aspetti rispetto al paradigma e al modello delluomo e del cittadino greco, caratterizzata da un insieme di abbinamenti significativi di uninteressante negativit (oriente, femminile, eros eccessivo e smoderato, ma anche il sapere trasgressivo della pharmakeia e della profezia e luccisione rituale o sacrificale di esseri umani) che ne fanno loutsider per eccellenza, fino a divenire un prototipo della figura della strega. E dunque questa Medea maga, strega18, padrona di un sapere occulto e produttrice di veleni, quella che a pi riprese, nella tragedia euripidea, invoca linquietante e possente dea Ecate (la tricorpore, tricapite patrona della magia), la Medea sulla quale si stende la lunga ombra del primitivo - un primitivo orribile e sinistro19 quella che uccide i suoi figli per vendetta, accecata dalla gelosia. Interessante appare anche la posizione della Johnston, che accosta questa particolare rappresentazione della Medea infanticida ad un paradigma folklorico ben noto in molte culture tradizionali antiche e moderne del Mediterraneo, non esclusa la stessa Grecia antica: si tratta di un modello che riguarda delle figure demoniache.

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Strega come noto deriva dal latino stryx, che indica un uccello notturno. Il vocabolo entra nelluso attraverso la nota e potente immagini delle streghe romane di Orazio. Qui le streghe, rappresentate con tutti gli stereotipi che ne connoteranno pi tardi la fisionomia, sono pericolose assassine di giovanetti, al contrario delle pi innocue pharmakides greche. Vedi TUPET 1976, ma anche GRAF 1995, sulla magia nel mondo antico; con riferimento in particolare allarte della pharmakeia, vedi SCARBOROUGH 1991 19 DI BENEDETTO, Introduzione a EURIPIDE, Medea, p. 22

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Secondo la studiosa il personaggio di Medea non potrebbe in alcun modo essere stato creato dal nulla: svilupperebbe piuttosto un paradigma folklorico diffuso nellantica Grecia come in molti altri paesi del Mediterraneo, il paradigma dei child-killing demons o reproductive demons. Queste figure femminili sarebbero contraddistinte da due tratti principali. In primo luogo si credeva che esse uccidessero o comunque minacciassero la vita dei bambini o delle loro madri al momento della gravidanza o del parto, quindi erano chiamate in causa per spiegare i frequenti casi di morte o malattia che potevano colpire gli infanti o verificarsi in queste occasioni. In secondo luogo esse spesso si qualificavano come donne che avevano fallito, per un motivo o per un altro, il loro compito riproduttivo, in quanto erano morte vergini, o non avevano avuto figli o, ancora, questi erano morti precocemente. In conseguenza di questa loro incompletezza si pensava che queste donne si fossero trasformate in demoni che infliggevano il loro stesso destino ad altre donne, uccidendone i figli. Molte creature di questo tipo, quali Lamia, Mormo e Gello, solo per citare alcuni casi greci (ma non bisogna dimenticare la Lilith degli ebrei e la lilu della Mesopotamia)20, erano infatti temute nellantichit. Gello era morta vergine; Lamia invece aveva generato molti figli a Zeus, ma Era, gelosa, li aveva uccisi tutti poco dopo la loro nascita; Mormo divenne un demone per aver ucciso e divorato in un momento di pazzia i propri stessi figli. Medea stessa, del resto, secondo la versione molto antica di Eumelo, aveva visto morire i suoi figli a causa del mancato aiuto fornito da Era, che aveva promesso di renderli immortali. Questo, per la Johnston, secondo il modello folklorico noto, avrebbe fatto di lei una demone assassina di bambini. Poi il discorso mitico, manipolato da Euripide o Neofrone, avrebbe polarizzato e accentuato questa caratteristica rendendo Medea lassassina dei propri stessi figli, fatto assolutamente pi inquietante, passando sotto silenzio luccisione dei
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Sui cosiddetti Child-killing demons vedi Johnston 1995 e su Lilith in particolare J. BRIL 1990

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bambini altrui, tipica dei demoni - ma anche accusa ripetuta pi volte nellambito della grande persecuzione delle streghe nellEuropa medievale e moderna. Questo tratto sarebbe divenuto incompatibile con la nuova rappresentazione di Medea, consona agli interessi della cultura di V secolo. In ogni caso il figlicidio di Medea non appare mai disgiungibile da certe particolari caratteristiche di marginalit, di eccezionalit per la quale sono state usate diverse chiavi di lettura. Nella lettura che possiamo definire irrazionalista di Pasolini, ad esempio, Medea assolta proprio in nome della fondamentale innocenza del sacro originario. Pur se resta crudele nella sequenza di apertura del film colta mentre compie un sacrificio umano la sua una crudelt innocente, ingiudicabile in quanto appartenente ad un mondo diverso, arcaico e ormai incomprensibile, quello permeato dal sacro. Al di l del giudizio pasoliniano, comunque, gi nella tragedia euripidea la Medea che uccide i suoi figli la sacrificatrice di un mondo ancora primitivo, la maga che non conosce moderazione, in quanto non greca21. Il figlicidio si inserisce dunque nel contesto di unaccesa conflittualit fra i due coniugi, che sono separati da uneccessiva distanza culturale. Il matrimonio fra Giasone e Medea infatti il matrimonio esogamico per eccellenza: se altri personaggi celebri del mito e della tragedia sono votati allo scacco perch contaminati da uneccessiva vicinanza, evidente in unioni direttamente o indirettamente incestuose si pensi solo al caso emblematico di Edipo il matrimonio fra leroe greco e la maga della Colchide naufraga e porta ad esiti inauditi e sconcertanti proprio per la lontananza eccessiva, esagerata, di due mondi che non possono raggiungersi, secondo i parametri della cultura dominante, la greca, che comunque si pone emblematicamente il problema.

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Sul rapporto di Medea con il mondo primitivo si veda DI BENEDETTO, Introduzione a EURIPIDE, Medea: 19-23 Per la lettura particolare che ne ha dato Pasolini, vedi CHIRASSI COLOMBO 2001 Sul tema della magia nel mondo antico : GRAF 1995 e FARAONE OBBINK (eds.) 1991

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Lontana com la patria barbara di Medea, la scelta di lei come moglie sembrerebbe ottimale nel quadro dei numerosi divieti che, in ogni societ, sono preposti a regolamentare le unioni matrimoniali22. E tuttavia lesito dimostra che anche leccessiva lontananza, come leccessiva prossimit, fonte dellavvenimento tragico; in questo caso il risultato anzi il delitto efferato ed impensabile per eccellenza, il figlicidio. Ma lo scontro fra questi due mondi, portato in scena da Euripide, sarebbe, secondo la particolare interpretazione fornita da L. Bindi23, lespressione drammatizzata non solo di una conflittualit insanabile interna al nucleo familiare, ma anche di tensioni ben radicate nel contesto storico dellAtene del V secolo: il riferimento alle recenti disposizioni sulla cittadinanza emanate da Pericle nel 451-450 a.C.24 (la tragedia euripidea di Medea fu infatti rappresentata solo un ventennio dopo, nel 431). La legge che limitava lestensione della cittadinanza ai soli figli di genitori entrambi ateniesi si inseriva infatti - proponendo sostanzialmente una soluzione bilineare - nel pi vasto e spinoso problema relativo alla linea di discendenza dei figli. Notevoli dovevano essere le tensioni sociali, e i conflitti legali, sorti dalle rivendicazioni di entrambe le parti per assicurarsi diritti e prerogative connesse alla genitorialit25. In questottica, il conflitto fra Giasone e Medea sarebbe prima di tutto espressione di un problema assai vivo e cogente nel tempo in cui viveva, e scriveva, Euripide. Esso potrebbe essere letto infatti come rappresentazione delle problematiche connesse al discorso sulla legittimit e sul diritto sui figli e ai conflitti sociali sorti dalle rivendicazioni da parte delle due linee di discendenza.

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In riferimento alle problematiche relative allincesto, anche indiretto, e alle regolamentazioni nel campo delle scelte matrimoniali per evitare la contaminazione pericolosa di umori e fluidi identici si rimanda a F. HRITIER 1997 (1996), e HRITIER 1999 (1994). Si veda anche lintroduzione allo studio della parentela di R. FOX 1973 (1967) 23 BINDI 1999: 115-131 24 Vedi A.R.W. HARRISON 1968 (pp.25-29; 61-70) 25 Vedi BINDI 1999: 153-170

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Giasone pretende di gestire il futuro dei figli, certo che il nuovo matrimonio porter vantaggi anche a loro; rivendica quindi, indirettamente, la loro appartenenza al proprio oikos, ignorando la mescolanza di cui essi sono frutto, disconoscendo il legame profondo che lega i figli, nel corpo e nel sangue, ad entrambi i genitori. Medea non solo rifiuta questa pretesa, ma esplicitamente si afferma padrona del destino dei bambini, rivendicando, per lei che li ha creati, anche la possibilit di ucciderli, pur di tenerli legati a s, in quello che stato definito dalla prospettiva psicanalitica26 un desiderio di realizzazione allucinatoria del possesso totale dei propri figli, con levidente estromissione del padre: Eassoluta necessit che essi muoiano, e poich necessario, li uccideremo noi che li abbiamo generati (Medea, 1240-1241) Il figlicidio di Medea sarebbe quindi spiegabile in termini, ovviamente inconsci, di reimpossessamento di quanto si percepisce come proprio. Eppure essa uccide i bambini anzitutto in quanto figli del marito, per amputarlo, privandolo della sua discendenza: e significativamente solo con la loro uccisione, con leliminazione fisica che pu realmente appropriarsene. Nel finale una Medea trionfante li porta via con s sul carro del Sole, riconducendoli dunque alla propria linea divina di discendenza, e gestisce personalmente anche la loro sepoltura, istituendo inoltre lei stessa il rituale annuale di espiazione che li riguarda, risolvendo cos il dramma mitico della messa a morte - un atto conclusivo, irripetibile - con la sequenza liturgica ripetibile - del rito, che inserisce nella storia. Interessante quindi la soluzione del dramma: paradossalmente il conflitto pu essere risolto, e a vantaggio della madre, ma solo con leliminazione dei figli stessi.

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Per le interpretazioni in chiave psicanalitica del mito di Medea si rimanda ai due articoli di S. BCACHE e M. COURNUTJANIN nel numero XLVI della Revue francaise de psychanalyse, 1982

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Del resto il tema, il problema delle modalit e delle linee di discendenza e di filiazione era assai attuale e discusso non solo nel discorso politico, ma anche in quello filosofico e scientifico del tempo. Pu essere interessante volgere lo sguardo ad unimportante teoria della filiazione, proposta da Aristotele: il filosofo attribuiva al solo uomo il principio strettamente fecondante e creatore. Il maschio infatti avrebbe fornito la forma e il principio del movimento, la femmina solo il corpo e la materia (De generatione animalium 729a); il maschile sarebbe stato lattivo, colui che muove ed agisce, il femminile lelemento passivo, che patisce . Le donne dunque avrebbero partecipato alla procreazione, ma in modo marginale, fondamentalmente con un ruolo di ricettacolo. Ricordiamo a questo proposito la celebre metafora utilizzata nel lessico di Eschilo che propone la donna come una terra arabile, solco per il vomere che la rende terra produttiva per il contadino-marito, per rendere a lui quelli che sono i suoi frutti. Contrariamente a quanto proposto dalla medicina ippocratica, che riconduceva sostanzialmente il concepimento alla fusione dei due semi maschile e femminile - Aristotele proponeva la sua teoria dello sperma maschile dotato di pneuma, cio del principio divino del movimento in s, rendendo solo il maschio fecondo. Se la donna davvero fosse stata dotata di un tale principio fecondo, sosteneva Aristotele, allora essa, essendo anche ricettacolo, avrebbe potuto generare per partenogenesi; ma di fatto ci non accade. Egli ne concludeva che la teoria della riproduzione pangenetica fosse palesemente errata e che la responsabilit del concepimento fosse prioritariamente maschile. Alla donna era attribuita una funzione essenzialmente contenitiva e nutritiva del feto, ma il principio fisico, e soprattutto formale, era dato dalluomo. Si stabiliva cos una netta asimmetria fra il ruolo maschile e il femminile nella generazione dei figli27.

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Vedi CHIRASSI COLOMBO 1985, ma anche BINDI 1999: 171-180

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Del resto nello stesso mito di fondazione della popolazione ateniese - mito importante fondante la sua autoctonia - il capostipite quellErittonio che nasce da Ge, la Terra, ma in realt generato dal solo seme maschile di Efesto, il dio fabbro. Atena, la madre, e resta vergine; non coinvolta nella generazione: oggetto del desiderio di Efesto, si limita a raccogliere il seme del dio con un fiocco di lana e a gettarlo a terra. Alla stessa Terra spetta la mera funzione di accogliere, tenere in gestazione, nutrire, per poi offrire al mondo il bambino. Ge quindi la madre patria, luogo dei padri28. Il mito pare confermare lattribuzione alla donna di una funzione legata alla cura, alla nutrizione, alla crescita, ma la costruzione della discendenza vera e propria, la generazione, passa attraverso la figura maschile. Ritornando a Medea, la tragedia che la vede protagonista pu quindi essere interpretata come conflitto familiare che coinvolge le due figure genitoriali nella rivendicazione del diritto genetico sulla prole. In certo senso possiamo dire che Medea uccide lucidamente i figli perch i figli sono essenzialmente i figli di Giasone. In ogni caso resta indubbio il carattere di marginalit, di alterit, con cui Euripide sceglie di rappresentare la sua Medea infanticida. Nelle altre varianti mitiche le figlicide saranno comunque donne altre, ma questa alterit, questa devianza, si presenta in modo molto diverso. Le altre madri figlicide sono per lo pi donne impazzite, alienate, che agiscono in uno stato alterato di coscienza. Nella stessa Medea di Euripide citato un altro caso mitico, definito eccezionale, di madre figlicida dove lassassina comunque pazza. E Ino, cos ricordata dal Coro: Una sola, una sola fra quelle di un tempo conosco che sui propri figli la mano avvent, Ino, dagli dei resa folle, quando la sposa di Zeus la scacci dalla casa, errabonda. Si getta la sventurata nel mare con sacrilega strage dei figli,

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Vedi N. LORAUX 1981

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tendendo il piede di l dalla marina sponda, destinata a perire con i suoi due figli.29 b) Figlicidio e mania: le madri impazzite. Cadmeidi, Pretidi, Miniadi Secondo il mito30, Ino, figlia di Cadmo e sorella di Semele, uccide il proprio figlio Melicerte in quanto impazzita, trovandosi in quello che noi ora possiamo definire uno stato alterato di coscienza, provocato dallintervento eccezionale di una dea. Tuttavia, il mito dice anche che Ino aveva gi precedentemente tentato di uccidere dei bambini, i figliastri Frisso ed Elle, intervenendo in modo diretto. Per gelosia - la stessa motivazione che aveva spinto Medea a uccidere i propri figli - Ino aveva infatti progettato una trappola assai mirata: aveva causato segretamente una carestia facendo tostare i chicchi che servivano per la semina del grano, rendendoli cio non pi in grado di germinare e determinando oltre alla carestia anche una situazione che possiamo definire simmetricamente anticerealicola, quindi antiattuale, se si considera il ruolo centrale del pane nel simbolico greco. Quando Atamante manda dei legati ad interrogare loracolo di Delfi sul modo di porre fine alla carestia, questi ultimi, su ordine di Ino, riferiscono che si rende necessario sacrificare Frisso. Atamante acconsente; tuttavia, appena prima dellimmolazione, il giovane e la sorella riescono a fuggire, trasportati nel cielo dallariete dal vello doro. Frisso raggiunge cos la Colchide, mentre si narra che Elle cadde nel mare e mor annegata, dando il nome allEllesponto. Annotiamo di sfuggita come il padre sacrificatore figlicida molto spesso, come in questo caso, non riesce - o gli viene impedito, in realt - di sacrificare. Il mito dipinge invece Ino come assassina diretta ed efficace di suo figlio Melicerte in una situazione drammatica che coinvolge anche il padre, che diventa figlicida, ma per errore.

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EURIPIDE Medea 1282-1289 GRIMAL 1987: 77-78; 377 APOLLODORO Biblioteca I, 9, 1-2; III, 4, 3

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Dopo il sacrificio di Frisso la dea Era, adirata con i due coniugi perch avevano allevato il piccolo Dioniso, figlio del rapporto adulterino di Zeus con Semele, li fa impazzire: Atamante, scambiando il figlio maggiore, Learco, per un cervo, gli d la caccia e lo uccide; Ino invece getta Melicerte in un paiolo pieno dacqua bollente, poi si getta in mare con il cadavere del bambino. Da allora, racconta sempre il mito, Ino e Melicerte si trasformarono in due divinit marine, Leucotea e Palemone, divinit salvatrici per i naviganti nelle tempeste per i quali abbiamo interessanti testimonianze di culto anche in et romana31. Ino appare dunque come unemblematica figura di assassina di bambini, e in generale il mito complessivo che vede come protagonisti lei e il marito pu essere considerato un racconto esemplare sul tema del rischio delluccisione dei figli, propri o altrui, che segna lo statuto estremamente fragile dellinfanzia nellinsieme della famiglia. Tuttavia, nel caso delluccisione di Melicerte, sembra si possa avanzare anche una lettura diversa: il fatto che egli sia gettato in un calderone pieno dacqua bollente, richiama infatti anche un modello narrativo del tutto diverso, quello della bollitura intesa come mezzo magico per rendere immortale un essere vivente. Il tema del fuoco come mezzo per rendere immortale una creatura - e spesso si tratta in effetti di bambini - o per ringiovanirla, infatti ampiamente attestato nel mito greco e non solo. La stessa Medea, come si visto, convince le figlie di Pelia a smembrare il padre e a gettare il suo corpo in un calderone per ringiovanirlo, cosa che lei stessa del resto aveva gi fatto a scopo esemplificativo con un ariete. Si riportano brevemente altri celebri miti che raccontano esplicitamente il tema della tentata immortalizzazione di bambini attraverso il fuoco. La dea Demetra (Inno omerico a Demetra 231-274) aveva tentato di garantire limmortalit al figlio del re di Eleusi, Demofonte, ponendolo sul fuoco.
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Vedi PIERART 1998; su Ino Leucotea, anche BONNET 1986

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Tuttavia il tentativo non riusc, poich Demetra fu interrotta, probabilmente dalla stessa madre del bambino, spaventata. Lepisodio riassunto cos nello pseudo Apollodoro: Celeo aveva avuto un figlio da sua moglie Metanira; Demetra lo prese e ne divenne la nutrice. Voleva renderlo immortale: perci durante la notte poneva il bimbo sopra il focolare e consumava le sue carni. Demofonte (questo era il nome del bambino) cresceva prodigiosamente di giorno in giorno; perci Metanira si mise a spiare che cosa facesse la dea e quando scopr il figlio fra le fiamme lanci un grido. Perci il bambino fin bruciato nel fuoco e la dea rivel la propria identit.32 Un episodio simile vede coinvolta unaltra grande dea, legiziana Iside. Iside aveva tentato di conferire limmortalit al figlio neonato del re di Biblo (Plutarco, De Iside et Osiride, 16). Anche loceanina Teti, madre extraumana delleroe pi forte dei Greci, Achille, tenta per il figlio il processo di immortalizzazione, come ricorda ancora Apollodoro in un racconto piuttosto simile a quello precedente: Quando Teti gener un figlio a Peleo, volendo renderlo immortale lo poneva dentro il fuoco, di notte, di nascosto dal marito e cos distruggeva quanto in lui era mortale e gli proveniva dal padre, mentre di giorno lo ungeva con ambrosia. Ma Peleo la spi e quando vide il bimbo che si dimenava sopra le fiamme lanci un grido: cos Teti, a cui era stato impedito di compiere la sua opera, abbandon il bambino per tornare dalle Nereidi33. E chiaro, quindi, dalla sua struttura ricorrente, che questo doveva essere uno schema narrativo ben noto e ampiamente usato nellantichit. E interessante notare che tutte e tre le dee falliscono per lintervento di mortali, benevoli ma ignari, che sono spaventati dallapparenza del rito magico. Sembra ci sia infatti una certa ambiguit fra pratica dellimmortalizzazione e uccisione dei bambini, ambiguit che spesso non viene risolta e che d adito anzi a fraintendimenti. Dal fallimento della prima si pu giungere facilmente alla morte diretta e prematura del bambino, con esito diametralmente opposto alle aspettative.
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APOLLODORO, Biblioteca I, 5, 1 APOLLODORO Biblioteca III, 13, 6

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Come ricorda C. Bonnet in un suo articolo dedicato ai culti di Leucotea e Palemone, il calderone , come il fuoco, strumento di passaggio per eccellenza, e in quanto tale fortemente ambivalente: pu essere strumento di morte come di resurrezione34. Nella linea di questa ambiguit potrebbe facilmente collocarsi anche lo stesso caso di Ino e Melicerte.35 In ogni caso i motivi per i delitti, sempre a danno di bambini, compiuti o tentati da Ino sono in un caso la gelosia, proprio come Medea - e questa sembra essere una motivazione tipicamente femminile - nellaltro la follia, indotta dallira di una divinit, nel caso specifico Hera. In moltissimi altri esempi mitici in cui dei genitori - e specialmente delle madri - uccidono i figli, alla follia, alla mania, assegnato un ruolo fondamentale: la follia per eccellenza quella di Dioniso. Il mythos dionisiaco riporta numerosi casi di figlicidio, sempre compiuti in uno stato modificato di coscienza, come possiamo appunto definire la mana36. Un caso eclatante quello di Agave, laltra figlia di Cadmo, sorella di Ino e come lei figlicida, il cui mito stato messo in scena nelle Baccanti da Euripide. Lelemento mana in questo caso centrale. Tutta lazione dominata dal tema degli effetti della mania e dei suoi ambigui, strabilianti e controversi risultati. Ma nel dominio della follia, come in molti altri casi del genere, luccisione appare del tutto inconsapevole. Nella tragedia euripidea Dioniso giunge a Tebe, sua terra di origine, ove regna Penteo, figlio di Agave e dunque suo cugino. Qui il dio decide di vendicare la madre Semele, che Agave aveva ingiustamente calunniato. Semele infatti era morta colpita da un fulmine per aver chiesto al divino amante Zeus di mostrarsi in tutta la sua potenza; la sorella invece andava dicendo che essa era stata punita dal dio per aver sostenuto falsamente di essere incinta di lui, mentre

BONNET 1986: 55-56 Sui bambini nel fuoco, e per una prospettiva comparativa, vedi FRAZER 1995, Appendice ad APOLLODORO Biblioteca: 479-486 e HALM-TISSERANT 1993 36 Sul tema della mania dionisiaca si rimanda ai testi ormai classici di DODDS 1959 (1951) e JEANMAIRE 1972 (1951)
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avrebbe avuto una relazione con un semplice mortale. Dunque Agave, e con lei anche Penteo, negavano lidentit divina di Dioniso, reputandolo il figlio di un semplice mortale, e per di pi nato da una relazione illecita. Dioniso, come si conviene ad un dio offeso, punisce per lingiuria sia Agave sia Penteo, re di Tebe, che si opponeva alla diffusione del suo culto. Con il pungolo della follia il dio spinge tutte le donne del luogo, Agave compresa, a celebrare i suoi misteri sul monte Citerone; poi persuade Penteo ad andare a vedere personalmente gli eccessi delle Baccanti, dopo averlo indotto a travestirsi da donna. Le donne, come previsto, lo scoprono nascosto su un abete e straziano il suo corpo. La prima fra queste proprio la madre Agave, che, scambiando il figlio per un leone feroce, anzi per un cucciolo di leone, e come cacciatrice selvaggia, insieme alle sorelle ed alle altre donne, se ne impadronisce senza usare gli arnesi tecnici della caccia, ma le mani, e ne strazia il corpo. Trasforma poi la testa in un trofeo che, conficcato in cima a un tirso, porta fieramente a Tebe. Solo a questo punto, esaurita la crisi, Agave, guidata dal padre Cadmo, potr vedere ci che realmente ha tra le mani, non un trofeo di caccia ma la testa del figlio. La pena qui la presa di coscienza, accompagnata dallobbligo dellesilio in una ignota terra straniera. Non possiamo qui prendere in considerazione le innumerevoli interpretazioni del senso o dei sensi del testo euripideo, che usiamo solo come un documento prezioso di una variante del mito. In ogni caso importante sottolineare come il figlicidio da parte di madre sia collocato nella logica di uno stato alterato. Altre donne dopo le tebane sono colpite da follia sempre ad opera di Dioniso. Dioniso si reca infatti ad Argo - racconta il mito - e, poich anche qui non lo si vuole onorare, fa impazzire le donne del luogo: ancora una volta, si racconta che esse andavano sui monti con i loro figli lattanti e ne divoravano le carni37.
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APOLLODORO, Biblioteca III, 5, 2

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Luccisione dei propri figli qui contraddistinta inoltre dallatto estremo del cannibalismo ed , anche in questo caso, lespressione di unestrema incapacit a distinguere il vero dallillusorio, di una perdita di contatto con la realt e con la propria stessa coscienza38. Ricordiamo brevemente che il cannibalismo coinvolge nel mito greco anche macabri e celebri dispetti di padri fratelli come Tieste ed Atreo, il caso forse pi celebre.39 Oltre alla gi citate Cadmeidi, Ino e Agave, anche altre celebri collettivit mitiche femminili si qualificano ugualmente come trasgressive e devianti, portate ad uccidere e smembrare dei bambini, spesso i loro stessi figli, nel contesto del menadismo e quindi nello stato di trance indotto dallira del dio. Prime fra tutte si ricordano le figlie di Preto, Lisippa, Ifinoe e Ifianassa. Nella Melampodia di Esiodo40 (quindi in una versione molto arcaica del mito), le giovani, giunte allet adulta, divengono folli perch non hanno accettato i riti iniziatici di Dioniso. In preda a mana, vanno vagando per tutta la regione di Argo, attraversano lArcadia e il Peloponneso, correndo per luoghi desolati in atteggiamenti scomposti e indecenti e si rendono anche colpevoli di uccisione di bambino In altre versioni del mito sono presentate come particolarmente ripugnanti, oltre che come lussuriose; in particolare si dice che le Pretidi erano abbruttite dalla scabbia, dalla vitiligine, dalla calvizie. Come ricorda W. Burkert, limmagine delle Pretidi invasate lantitesi radicale dellimmagine della vergine graziosa e morigerata, limmagine del sabba delle streghe41. Questa volta per si ricorre alla terapia e ci si rivolge ad un mantis, un indovino che funge anche da guaritore. E Melampo, Piede nero.

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Del resto, come mette in luce Paolo Scarpi, Dioniso , per eccellenza, il dio del mutevole, dellibrido, della trasformazione (dunque dellincerto), e anzi, proprio per questo suo carattere sarebbe la divinit tutelare della tragedia quale rito di trasformazione e metamorfosi culturale (SCARPI, Commento ad APOLLODORO, Biblioteca III, 4, 3) 39 Il numero 6 della Nouvelle Revue de Psychanalise, 1972, dedicato ai Destins du Cannibalisme 40 BURKERT 1981 (1972): 129-132 APOLLODORO, Biblioteca II, 2, 2 41 BURKERT 1981 (1972): 130

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Melampo promette al padre di guarire le giovani, a patto di ottenere da lui la terza parte del regno. Preto rifiuta di pagare la guarigione con un compenso cos esoso, ma il delirio delle fanciulle diviene ancora pi acuto, e insieme a loro impazziscono anche le altre donne: abbandonano le loro case, uccidono i figli e corrono in luoghi deserti. Preto allora si risolve a concedere la ricompensa, ma Melampo risponde che accetter solo se anche suo fratello Biante otterr unuguale porzione di terra. Preto, temendo di dover concedere una ricompensa ancora pi elevata procrastinando ancora, accetta. Melampo, con i pi vigorosi fra i giovani, insegue quindi le donne fino al monte Sicione, con grida e una forma di danza estatica. Durante linseguimento Ifinoe muore, ma le altre, sottoposte a esorcismi, recuperano la ragione, cos Preto le assegna in moglie a Melampo e Biante. Significativamente la guarigione si conclude con il matrimonio, e dunque con il ritorno delle ragazze, dallambito dinfluenza di Dioniso, dio degli eccessi, a quello di Era, dea del matrimonio ordinato, dunque con il ritorno alla consueta e tranquillizzante funzione di moglie e madre. Alla dissoluzione, con la rappresentazione delle ragazze come antitesi dellideale della vergine graziosa prima, e della madre amorosa poi, segue la re-istituzione dellordine con il reinserimento della donna nel quadro del matrimonio e della soggezione maritale. E interessante che il momento selvaggio, fuori dalle regole, preveda anche luccisione di un bambino, che risulta un atto dovuto ad una situazione di disordine dalla quale si pu ritualmente guarire Anche ad Orcomeno si narrava un mito simile. In questo caso sono le figlie del re Minia, Leucippe, Arsippe e Alcatoe, che figurano come vittime dellira di Dioniso e per questo assassine inconsapevoli del figlio di una di loro. Esistono varie versioni di questa leggenda, ma tutte concordano nel narrare che le tre sorelle erano rimaste a casa, durante una festa in onore di Dioniso, a dedicarsi alle loro occupazioni, mentre tutte le altre donne del luogo
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percorrevano il monte come Baccanti. Per punizione sono colte esse stesse dalla mania dionisiaca e finiscono per dilaniare il figlio di Leucippe, Ippaso, che scambiano per un cerbiatto. Respinte anche dalle Menadi per essersi contaminate, vengono trasformate in uccelli notturni continuamente in fuga42. Queste tre collettivit mitiche, Cadmeidi, Pretidi, Miniadi, testimoniano dunque di un frequente rapporto fra luccisione dei propri figli e lo stato di trance, in rapporto ad una divinit, Dioniso, che prevedeva nel contesto del suo campo mitico-rituale linversione sistematica dei consueti valori della vita civica ordinata e dove forse proprio per questo si assegnava un ruolo cos importante alla presenza femminile. E importante notare che questa partecipazione femminile al culto dionisiaco - culto destinato ad orientare culturalmente il disordine, come direbbe De Martino - sfocia significativamente in preoccupanti immagini di violenza ai danni dei bambini. c) Vendetta e cannibalismo: i casi di Edona e Procne In qualche modo affini a questo racconto, bench questa volta non compaia il motivo della mana dionisiaca, sono anche le diverse versioni che narrano la storia di Procne, o Edona, assassina di suo figlio Itilo o Iti43. Il motivo principale che spinge qui a uccidere il proprio figlio , in due delle tre versioni in cui il mito conservato, come nel caso di Medea, la vendetta nei confronti di un marito, che si sceglie di punire privandolo della propria discendenza. Nella versione attica del mito, Iti figlio di Tereo e Procne. Il padre, re della Tracia, violenta la cognata Filomela e le taglia la lingua perch non possa riferire laccaduto. Ma la donna riesce comunque a comunicare con la sorella ricamando le sue disgrazie su una stoffa. Procne, per vendicarsi, uccide Iti con una scure e lo offre in pasto al padre, poi fugge con la sorella. Tereo le insegue
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GRIMAL 1987: 421 Sul tema della mania dionisiaca inserita nel quadro dei complessi di trance, intesi come dispositivi di controllo e risoluzione della crisi esistenziale, che colpiva specialmente il mondo femminile, e in modo particolare le fanciulle, vedi DE MARTINO 1961: 199-208 43 GRIMAL 1987: 185, 287

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fino in Focide, finch gli dei, impietositi, li trasformano in uccelli: Procne diviene un usignolo, Filomela una rondine e Tereo un upupa. Nella versione milesia, invece, Iti figlio di Edona e dellartigiano Politecno. I due un giorno si vantano di essere pi felici di Era e Zeus, cos la dea, per punirli, invia loro la Discordia, che ispira nei coniugi il desiderio di emulazione: lui si mette a costruire un carro, lei a tessere, con laccordo che chi dei due finir per primo la propria opera regaler una serva allaltro. Vince Edona e il marito, per vendicarsi, violenta la cognata Chelidona, la veste da schiava, le impone di non parlare e la porta alla moglie come serva. Tuttavia Edona riconosce la sorella. Le due donne, insieme, si vendicano: uccidono Iti e, come nella versione attica, lo offrono come vivanda al padre, poi fuggono. Politecno le insegue, ma in questo caso fermato dal suocero, che lo fa cospargere di miele e legare su un prato. In questo caso a uccidere sono madre e zia materna; ancora una volta da segnalare labbinamento con il tema del cannibalismo inconsapevole come completamento della vendetta. NellOdissea (19, 518 ss.), dunque secondo una versione molto antica, Edona uccide suo figlio Itilo per errore: in realt voleva uccidere il figlio maggiore di sua cognata Niobe, di cui invidiava la fecondit, ma finisce per assassinare il proprio unigenito; poi trasformata dagli dei pietosi in usignolo. In questultimo caso il figlicidio reso possibile solo dallerrore, ma lerrore implica comunque una mancata uccisione di minore, un nipote. Il nipoticidio sarebbe volontario, il figlicidio inconsapevole. A dimostrazione della onnipresenza dei disturbi della parentela, oltre alle madri evidentemente sono pericolose anche le zie. In moltissimi casi, dunque, le donne nel mito uccidono i loro figli in stati di trance per effetto della mana dionisiaca. Agiscono in modo del tutto inconsapevole, spesso scambiando i propri figli per animali e smembrandoli a

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mani nude44. Negli altri casi, il motivo appare essere lerrore, dunque unaltra forma di inconsapevolezza, oppure la gelosia, linvidia, la vendetta. Lalienazione mentale, lappartenenza ad un mondo primitivo, o anche lerrore, sono dunque alcuni dei modelli con i quali cui viene segnata la necessaria distanza rispetto alla realt storica, quotidiana, in cui un tale scenario di madri assassine non era immaginabile e doveva essere assolutamente evitato. Da evidenziare comunque la connotazione ambigua sottesa al concetto di mania, follia, che, non dimentichiamo, il mondo greco interpreta anche come conoscenza allargata. Se infatti il Corpus Hippocraticum e la letteratura medica in generale ne danno una lettura essenzialmente psico-patologica45, la mania invece interpretata come momento di allargamento delle proprie potenzialit nel modello platonico. Ricordiamo che Socrate, in un celebre passo del Fedro, dice che i beni pi grandi ci vengono dalla pazzia concessa per dono divino (Platone, Fedro, 244a). La mania dionisiaca, telestike nella definizione di Platone, ha un posto assolutamente centrale nella religione greca46. 1.2 - IL FIGLICIDIO PATERNO NEL MITO GRECO Assai diversi sono gli esiti di unanalisi sul figlicidio compiuto dai padri. Anche qui il mito greco presenta un certo numero di casi significativi, seppure, forse, molti siano meno celebri dei precedenti. Accanto, anche in questo caso, ad alcune uccisioni compiute per tragico errore da padri per nulla intenzionati a privarsi della propria discendenza - il

Il tema dello smembramento rimanda al noto modello degli esseri dema, introdotto nella riflessione antropologica da Jensen. Vedi JENSEN 1952 (1948) e 1954 (1951) 45 Vedi J. PIGEAUD, 1987 46 In particolare, al complesso dionisiaco E. R. DODDS attribu una funzione sociale importantissima, quella di garantire una catarsi e uno sfogo rituale, quindi controllato, a degli impulsi e a delle ansiet che altrimenti avrebbero procurato notevoli danni sociali, se lasciati liberi di sprigionarsi incontrollatamente. Lestasi, a sua volta, assolveva la funzione psicologica di soddisfare e svincolare laspirazione a respingere ogni responsabilit, che certo doveva essere unesigenza vitale in determinate situazioni sociali. Tali riti, sia quelli dionisiaci sia quelli simili coribantici, erano considerati del resto utili strumenti di igiene sociale dagli stessi Platone ed Aristotele. Vedi DODDS 1959 (1951):75-117; 319-334. Sulla mania dionisiaca vedi anche il testo ormai classico di H. JEANMAIRE 1972 (1951) e lultimo testo di K. KERNYI 1992 (1972)

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tema dellerrore frequentissimo nel mito, e soprattutto nella tragedia - si nota lemergere di nuovi temi che, fino ad ora, non stato possibile osservare. a) La mania, lerrore, la punizione Paga le conseguenze della vendetta di Dioniso e uccide per errore, in preda a follia, secondo il racconto di Apollodoro47, Licurgo, figlio di Driante e re degli Edoni; ma si tratta di un caso particolare, piuttosto anomalo nel panorama generale dei padri figlicidi mitici. Il re aveva infatti cacciato Dioniso e fatto imprigionare le baccanti e lo stuolo dei satiri che lo seguivano, rifiutando di tributare il giusto culto e i giusti onori alla divinit. Il dio, secondo il consueto modello narrativo, lo fa impazzire e Licurgo, credendo di tagliare un tralcio di vite, uccide suo figlio con un taglio di scure e solo in seguito recupera la ragione. Infine, su esortazione di Dioniso il re stesso viene messo a morte: legato sul monte Pangeo, Licurgo muore sbranato dai cavalli. In questo caso dunque il padre uccisore per errore diventa anche la vittima prototipica. Il tema si presta comunque a letture su diversi livelli. Anche Atamante, come si visto, uccide suo figlio Learco scambiandolo per un cervo, sempre secondo la modalit delluccisione inconsapevole in stato di forte alterazione mentale, gi osservata per molte donne del mito. Per errore uccide leroe beota Pimandro, che, durante i lavori di fortificazione della sua citt, colpisce il figlio Leucippo anzich un muratore che laveva offeso48. In un certo senso, potremmo dire che per errore agisce anche Crotopo, che uccide la figlia Psamate credendo che lei avesse avuto suo figlio Lino non da Apollo, ma da un semplice mortale. Qui per il tema si inserisce piuttosto nella ben nota sequenza dei padri punitori, soprattutto di figlie, che conta molti esempi. Frequentemente, infatti, nel mito, si danno casi di figlie punite dal loro padre; nel caso di Crotopo, come si visto, la punizione costituita dalla messa
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APOLLODORO Biblioteca III, 5, 1-2 GRIMAL 1987: 510

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a morte, ma pi frequentemente essa costituita dallespulsione e dallallontanamento della figlia impura, in genere colpevole di aver avuto rapporti illeciti extra-matrimoniali49. E con la figlia si allontana anche il nipote, che non sempre tuttavia muore ma anzi, salvato da solo o con la madre, ha dopo lavventuroso inizio una gloriosa esistenza50. Unaltra celebre modalit di messa a morte in qualche modo indiretta, perpetrata da un padre a danno di una figlia, quella dellesposizione al mostro in obbedienza allingiunzione di un oracolo, per salvare con una vittima sola lintera comunit ecc. Celebre, in questo senso, il motivo di Andromeda51, che appartiene a un vasto gruppo di racconti in cui giovani donne e uomini vengono offerti a mostri di vario tipo per placarne la collera. In questo caso le giovani vittime, tuttavia, non sono uccise sacrificalmente ma allontanate, esposte, e la loro eventuale morte risulta essere solo un esito indiretto, non scontato, dellesposizione. Analizzando i miti di uccisione dei propri figli che hanno come protagonisti i padri si fanno per strada, oltre allerrore in seguito a follia indotta o per fatale distrazione, anche nuovi motivi. Il principale, vedremo, sar quello sacrificale, che costringe il padre a rinunciare al proprio figlio, ma pi spesso alla propria figlia, in nome di un bene pubblico superiore. Ma esiste anche un altro tipo di situazione che ugualmente giustifica il figlicidio paterno.
Il motivo pi famoso in questo senso certamente quello di Danae, figlia del re dArgo Acrisio e di Euridice. Acrisio era stato informato da un oracolo che sua figlia avrebbe generato un erede che lavrebbe ucciso. Per timore di ci, luomo fece costruire una stanza di bronzo sotterranea dove teneva rinchiusa Danae; tuttavia la fanciulla venne violata, secondo alcuni dallo zio Preto, secondo altri da Zeus stesso, che penetr nella stanza trasformandosi in una pioggia doro. Quando Acrisio venne a sapere che dalla figlia era nato Perseo, non volle crederlo figlio di Zeus; quindi rinchiuse la figlia ed il neonato in unarca e la gett in mare. Zeus tuttavia fece giungere larca a Serifo, dove i due furono raccolti e tratti in salvo da Ditti, fratello del tiranno Polidette. (APOLLODORO, Biblioteca II, 4, 1; GRIMAL 1987: 152) 50 Il motivo dellesposizione della fanciulla si inserisce spesso nella serie delle biografie eroiche: la nascita particolare infatti segno della futura grandezza delleroe. Vedi O. RANK 1994 51 Secondo la vulgata mitologica il padre di Andromeda, il re dEtiopia Cefeo, fu costretto ad esporre la figlia ad un mostro pur di placarne la collera e liberare il paese da questa temibile creatura, che lo stava devastando. Andromeda non mor, perch fu salvata da Perseo, che si era innamorato di lei e che in seguito la spos, tuttavia il motivo appare essere ancora quello di una particolare messa a morte indiretta da parte del padre. Il tema ha avuto una straordinaria ricezione nel mondo classico come nella cultura europea moderna. FRONTISIDUCROUX 1996: 135-166
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Questa situazione esemplificata dal caso, straordinario sotto tutti i punti di vista, di Eracle, il pi eccezionale degli eroi greci. b) Eracle: un caso eccezionale Numerose sono le varianti del mito che vedono Eracle uccidere i sui figli, ma possiamo dire che le due fonti principali che ci consegnano questepisodio sono Apollodoro ed Euripide. Secondo Apollodoro (Biblioteca, II, 4, 12), Eracle, impazzito per la gelosia di Era, getta nel fuoco i suoi stessi figli, avuti da Megara, e due fra quelli dellamico Ificle: Dopo la battaglia con i Minii accadde che Eracle, a causa della gelosia di Era, fu colto da follia e gett nel fuoco i figli che aveva avuto da Megara e due dei figli di Ificle. Per questo motivo si condanna lui stesso allesilio e viene purificato da Tespio. Solo dopo la Pizia gli impone di stabilirsi a Tirinto e di servire per dodici anni Euristeo, compiendo le imprese che gli saranno ordinate. Ancora una volta il figlicidio avviene attraverso il fuoco, elemento fortemente ambivalente, che abbiamo visto, in abbinamento al calderone, in funzione di strumento di passaggio. Anche in questa versione, come in altri casi analoghi, lambivalenza non risolta. Molto pi estesa, e straordinariamente particolareggiata, la descrizione del figlicidio che fornisce Euripide, nella tragedia Eracle (vv. 967ss.). Qui leroe, impazzito, uccide di propria mano i figli scambiandoli per i figli del suo nemico Euristeo. La strage raccapricciante, compiuta in questa versione in modo diretto e inequivocabile, con larco e con la clava - e a cui non sfugge nemmeno la moglie Megara - narrata con grande dovizia di particolari: appresta la faretra e larco per servirsene contro i propri figli, credendo di uccidere quelli di Euristeo. E loro, tremanti di paura, si precipitavano chi qua chi l, luno per aggrapparsi alle vesti della sventurata madre, laltro per acquattarsi allombra di una colonna, il terzo, simile ad un uccello, si
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rannicchi sotto laltare. E la madre grida: Tu li hai generati, che fai? Uccidi i tuoi figli?. Grida anche il vecchio e tutta la servit. Ma lui, dando la caccia al figlio intorno alla colonna in una giostra crudele, gli di fronte allimprovviso e lo colpisce al fegato; cadde riverso e, mentre esalava lultimo respiro, bagn col suo sangue lo zoccolo di pietra. Lui allora proruppe in un grido di trionfo, seguito da questo vanto: Ecco che un pulcino della nidiata di Euristeo morto, caduto per ripagarmi dellodio di suo padre!. E tendeva larco contro laltro figlio, che si era rannicchiato vicino al basamento dellaltare credendo di non essere scorto. Ma lo sventurato lo previene, prostrandosi alle ginocchia del padre e toccando con la mano il mento ed il collo: Padre carissimo grida non uccidermi! Sono io, tuo figlio: non il figlio di Euristeo che stai per ammazzare!. Ma lui torcendo lo sguardo feroce di Gorgone, poich il ragazzo si trovava al di qua della gittata dellarco letale, levando sulla sua testa la clava, a immagine del fabbro che batte il ferro rovente, labbatt sul capo biondo del figlio e ne frantum le ossa. Ucciso il secondo figlio, si scaglia contro la terza vittima per immolarla sulle altre due. Ma linfelice madre lo precede, sottraendoglielo per portarlo dentro al palazzo e serra la porta a chiave. E lui, proprio come se fosse davanti alle mura ciclopiche, la scalza, divelle i battenti e, demoliti gli stipiti, con una sola freccia stese al suolo la moglie e il figlio. Quindi si lancia al galoppo per uccidere il vecchio; ma ecco giungere unapparizione, Pallade come si rivel allo sguardo dei presenti, che brandiva la lancia e scagli contro il petto di Eracle un masso che pose fine alla strage furente e lo fece sprofondare nel sonno. E questo, potremmo dire, un caso che pare speculare, per certi aspetti, alluccisione dei figli di Medea, con i bambini che pregano di essere risparmiati e tuttavia restano vittime di un delitto eccezionalmente efferato e cruento nelle sue modalit. Eppure le ragioni del figlicidio, e soprattutto il giudizio che pu essere formulato, nelluno e nellaltro caso, sono molto diversi: Medea la donna barbara che lucidamente porta a termine latto per gelosia; Eracle uccide in uno stato di incoscienza, ma soprattutto uccide perch la sua natura quella delleccessivo, nel male come nel bene, sotto tutti gli aspetti, e in quanto tale non pu essere giudicato. Eracle infatti un melanconico, categoria questa a cui Aristotele ha dedicato il famoso trattato Problema XXX52 dei Problemata physika. I melanconici devono la loro natura, il loro stato, al fatto di avere la bile nera, un eccesso di
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PIGEAUD 1988

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pneuma, di aria, di moto, di qualit divina: per natura, per fisiologia, sono dei perittoi, degli eccessivi, uomini di genio nel bene come nel male. Eracle citato da Aristotele stesso come esempio di melanconico, e significativamente in questo contesto il filosofo rievoca proprio lepisodio dellassassinio dei figli. Il figlicidio infatti dovuto proprio alla natura eccezionale delleroe, che lo porta a realizzare gesta straordinarie nel male cos come nel bene. Eracle, nel mito greco, luccisore spietato di moglie e figli, ma non bisogna dimenticare che anzitutto, e in virt di questa stessa natura melanconica, leroe liberatore dai mostri. Proprio per questo il giudizio sul personaggio deve essere sospeso; il figlicidio non pu essere condannato, in quanto espressione di quella physis smisurata ed eccezionale in ogni circostanza, che anche motivo della sua grandezza e ne fa leroe salvatore per eccellenza del mito. Nelluccisione dunque presente una necessit, uninevitabilit, che deriva dalla stessa natura dellassassino stesso e che lo rende non valutabile. Per le ragioni citate, possiamo dire che questo un caso assolutamente eccezionale di figlicidio, che non trova corrispondenza in nessun altro personaggio mitico. Molto diverse sono le modalit con cui in genere rappresentato il padre che uccide i figli nel mito greco. Oltre alla gi citata categoria dei padri figlicidi per errore, si affaccia con particolare frequenza un nuovo motivo, quello del sacrificio, o meglio delluccisione rituale vera e propria53, per stornare qualche calamit, gratificare gli dei, ottenere da essi qualche beneficio per il proprio popolo, per il proprio esercito, per unimpresa, oppure ancora semplicemente per punire unazione sacrilega che li abbia offesi. Tutti questi motivi hanno in comune il fatto di collocarsi nella cornice di ci che noi definiamo religione - utilizzando acriticamente il termine latino entrato
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nelluso

comune54

rendendo

dunque

luccisione

un

fatto

La distinzione fra sacrificio e uccisione rituale tracciata in HUGHES 1999: 13-30 Rimandiamo alla definizione di Angelo Brelich che giustamente sottolinea il fatto che religione un termine identificante occidentale. BRELICH 1988 (1970): 4-13.

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istituzionalizzato, pubblicamente accettato, quando non palesemente o implicitamente ammirato in quanto massima prova di devozione. Pur se in modo assai diverso da Eracle, anche i padri sacrificatori agiscono in nome di una necessit, in genere quella di un bene pubblico superiore o di unimposizione divina, che porta a sospendere il giudizio. c) Alcuni sacrifici anomali: In realt, se molto spesso i padri del mito greco uccidono i figli in contesti che hanno a che fare con la devozione ad una divinit, non tutte queste uccisioni si possono definire propriamente sacrificali. Alcuni atti si collocano infatti al di fuori del contesto della religio istituzionale e dei suoi riti ufficiali; altri ancora, come vedremo, sono anzi nettamente anti-devozionali. Prima di passare al motivo del sacrificio vero e proprio, citiamo quindi alcuni di questi casi anomali. Alcatoo uccide il figlio Calidone, che interrompe un sacrificio in onore di Apollo per avvertire il padre della morte dellaltro suo figlio, Ischepoli. Alcatoo lo uccide colpendolo con un ceppo in fiamme, adirato perch la cerimonia stata turbata55. Una motivazione affine giustifica latto di Eumelo: un giorno, mentre offre un sacrificio ad Apollo, suo figlio Botre, che lo assisteva, divide il cervello dellagnello sacrificale prima di averlo posto sullaltare per lofferta. Irritato, il padre lo colpisce con un tizzone del ceppo sacro e lo uccide. Si narra che poi, vedendo la disperazione delluomo, Apollo lo avesse trasformato in un uccello chiamato eropo56. In questi casi luccisione ha corrispondenze con lo scenario religioso ufficiale e con la devozione dei padri agli dei, tuttavia non si pu certo dire che si tratti di uccisioni sacrificali: la messa a morte dettata da un semplice moto dira improvviso.
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GRIMAL 1987: 30-31 GRIMAL 1987

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Rientrano poi nel filone cannibalico i sacrifici compiuti da Licaone e da Tantalo. Entrambi, nel corso di un banchetto solenne, offrono agli dei sperando di ingannarli le carni di un giovane. Nel caso di Tantalo si tratta di un figlio, Pelope; in quello di Licaone la vittima varia a seconda delle versioni: molte riferiscono che si sarebbe trattato proprio del suo stesso figlio Nittimo, secondo altre invece la vittima sarebbe stata il nipote Arcade57. In entrambi i casi, comunque, gli dei scoprono linganno e puniscono i colpevoli. In questi casi la dimensione sacrificale appare rovesciata, la situazione nettamente anti-devozionale: lofferta non gradita agli dei e appare anzi sotto la forma dellinganno. Il sacrificio qui non un atto di devozione e sottomissione agli dei, ma al contrario di superbia: si tratta di hybris, una sfida. Lofferta della vittima umana, non richiesta, appare assolutamente sacrilega; il quadro non certo quello della religio ufficiale. Invece esaudiscono un voto, quindi rientrano in una possibile ortodossia, molti altri padri celebri del mito, sia in Grecia, sia nellarea semitica. d) Il modello del padre devoto: il sacrificio del figlio nel mito greco Spessissimo il sacrificio del proprio figlio presentato come atto necessario per assicurare la salvezza allo stato o al proprio popolo in circostanze di particolare crisi, in occasione di guerre, calamit naturali, carestie. In quanto rinuncia di ci che si presume essere il bene pi prezioso per un uomo, latto assume una particolare efficacia, e vi si ricorre come ultima misura laddove i mezzi rituali ordinari risultino non essere sufficienti. In particolare il sacrificio della propria prole per stornare una grave calamit o risolvere situazioni di crisi eccezionale prende spesso la forma, specialmente nel mito greco, del sacrificio di vergini di nobile stirpe, a pi riprese richiesto soprattutto per garantire un esito positivo alle imprese di guerra, perch questa si
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Il modello tipico del pasto cannibalico certamente quello di Atreo e Tieste. Qui in realt non il padre che uccide il proprio figlio, ma se ne ciba inconsapevolmente. Da notare che lassassino comunque uno zio, quindi un parente molto stretto.

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possa intraprendere o perch si possa finire, in ogni caso perch la vittoria spetti alla parte degli immolatori. In questi casi i sacrificatori, coloro che accettano di ubbidire per salvare la patria, sono molto spesso i padri. Sappiamo che ad Atene esistevano molti casi di culti tributati a vergini mitiche, sacrificate dai padri in conformit ad una richiesta oracolare per la salvezza della citt in occasioni di pericolo eccezionale (guerre o altri flagelli). Il motivo abbastanza tipico e risulta ampiamente sfruttato anche nellambito della tragedia58. Il caso di Ifigenia, sacrificata dal padre Agamennone - il sacrificio pi o meno volontariamente accettato dalla giovane, a seconda delle versioni - per assicurare una partenza favorevole alla flotta greca per la guerra di Troia, certamente il pi celebre. Ma Agamennone non solo un modello di devozione alla divinit. Erik Peterson, nel suo testo Il monoteismo come problema politico59, ricorda e commenta il passo di Iliade II, 204s, citato dallo stesso Aristotele alla fine del XII libro della Metafisica, in cui Ulisse, per riportare lordine nellesercito, si impadronisce dello scettro di Agamennone, dicendo: Non bene vi siano pi signori; uno solo sia il signore. In quanto comandante dellesercito, quindi, Agamennone esercita un potere assoluto e straordinario, una sorta di regalit totale che gli conferisce il diritto di vita o di morte sugli altri. Sempre in quanto detentore di questo potere regale e assoluto, Agamennone non ha scelta: deve eseguire lordine del mantis e sacrificare la figlia, altrimenti la flotta, di cui responsabile, semplicemente non potr partire. Ma il mito conosce molti altri casi: una o pi figlie di un personaggio celebre della storia ateniese, Eretteo, vengono sacrificate durante una delle mitiche guerre tra Atene ed Eleusi, dove Atene ed Eleusi, sede del celeberrimo culto

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Sul motivo del sacrificio di vergini nella tragedia greca, LORAUX 1988: 33-50 PETERSON 1983 (1935)

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misterico di Demeter e Kore, si propongono nella specifica tensione di polo sacro polo profano60. Allo stesso modo nel mito, quando la peste e la carestia funestano Atene durante la mitica guerra con il re di Creta Minosse, vengono uccise le figlie di Giacinto. E anche le mitiche figlie di Leo sono sacrificate con il consenso del padre per allontanare una peste o una carestia dalla citt di Atene, cos che in seguito erano loro tributati onori quasi divini. Demostene (Or. Fun., 29), la fonte pi antica, passa sotto silenzio laccettazione paterna, ma essa ben presente nei racconti pi tardi, in particolare nella testimonianza di Elio Aristide61. Sono tutte ragazze offerte dai loro padri, o quanto meno con la loro approvazione, in seguito alla prescrizione di un oracolo, in circostanze di pericolo per la patria. Il sacrificio si rivela sempre efficace, tranne che nellunico, eccezionale, caso delle Giacintidi. Si istituisce comunque un collegamento significativo, che lega nel mito le fanciulle con la guerra, storicamente riservata agli uomini, e che stato variamente spiegato62. Sempre una vergine protagonista di un altro mito che vede il padre nella condizione del sacrificatore della figlia nel quadro di un rito religioso ufficiale. Ci riferiamo al complesso rituale dellarkteia, che recuperando un antico schema di tipo iniziatico, prevedeva la reclusione di giovanissime ateniesi nel tempio di Artemide a Brauron, localit a nord-est di Atene, sede di un famoso santuario che gli scavi archeologici hanno riportato ampiamente alla luce. Qui le ragazze (ragazzine?) comparivano vestite da orse (arktos in greco) durante unimportante festa. Il culto ha un interessante mito di fondazione: esso narra che un tempo unorsa fu uccisa nel temenos della dea; secondo un modello

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SABBATUCCI 1965: 173-194 BONNECHERE 1994: 79-80 62 BURKERT 1981 (1972): 58-63 LORAUX 1988 (1984): 35-36 BONNECHERE 1994: 74 ss.

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mitico ricorrente, unepidemia colp la citt e si consult un oracolo. Qui le fonti si dividono: in alcune versioni si dice che loracolo ordin di istituire il rito dellarkteia, secondo altre invece il rimedio era il sacrificio di una ragazza. Un uomo di nome Embaros offr spontaneamente sua figlia, ma in realt la nascose nel tempio di Artemide e sacrific al suo posto una capra vestita da ragazza. Nonostante fosse un raggiro, la dea accett comunque lofferta facendo cessare lepidemia; da allora, anzi, secondo il mito, vigeva luso di sacrificare capre anzich vergini e di praticare larkteia. In questo caso, dunque, si assiste al ripresentarsi del modello consueto che richiede che un padre rinunci e uccida la propria figlia pur di risolvere una situazione critica, sebbene in questo caso essa sia determinata non da una guerra, ma da una contaminazione, da unoffesa alla divinit. Ci che appare pi interessante, tuttavia, il modo in cui il padre, in questo caso, si sottrae eccezionalmente al proprio compito, ingannando la divinit destinataria del sacrificio; nonostante la mancata disponibilit paterna alla rinuncia, la crisi comunque risolta e la dea anzi accetta di buon grado la sostituzione come nuova norma rituale63. Il caso sembra essere piuttosto inconsueto, se si pensa a tutta la serie di immolazioni ufficiali di figli da parte dei padri - tutte compiute e particolarmente sofferte - in cui si sottolinea piuttosto il valore positivo della disponibilit paterna alla rinuncia e alluccisione del figlio. Sempre secondo il mito greco, si narrava ad esempio che Idomeneo, re di Creta, avesse partecipato alla guerra di Troia; secondo alcune versioni, al suo ritorno in patria la flotta fu assalita da una tempesta. Il re allora fece voto di sacrificare a Poseidone la prima persona che avesse incontrato nel suo regno se fosse ritornato sano e salvo. Questa fu proprio sua figlia (o suo figlio); Idomeneo, fedele al voto, la sacrific comunque, anche se alcuni autori assicurano che lazione fu soltanto simulata. Latto di Idomeneo comunque
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Tra labbondante letteratura sul tema, soprattutto BRELICH 1969

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incoller gli dei, tanto che scoppi una pestilenza e che egli fu bandito dalla citt64. Curiosamente, questo caso appare speculare a quello precedente: se nelluno un padre fondamentalmente premiato per non aver adempiuto alla richiesta divina, nellaltro il padre invece punito per essere stato fedele fino in fondo al proprio voto, a costo di una grande perdita personale. Il racconto del voto di Idomeneo trova delle analogie anche al di fuori del mondo greco, e sembra anzi corrispondere ad un tema frequente. Il motivo del sacrificio del figlio di Idomeneo ricorda in particolare un altro celebre voto, desunto dal mondo biblico, quello della figlia di Iefte (Giudici 11, 29-40). Anche questo personaggio, che era un capo militare, aveva fatto un voto a Dio, promettendo che, se avesse vinto gli Ammoniti in guerra, avrebbe offerto in olocausto colui che per primo sarebbe uscito dalle porte di casa sua per andargli incontro. Gli Israeliti sconfissero gli Ammoniti, ma quando torn a casa gli venne incontro proprio la sua unica figlia. Iefte, nonostante il dolore, comp il suo voto e la sacrific come promesso65: Quando Iefte torn a casa sua in Mizpa, sua figlia gli usc incontro per prima, guidando un gruppo di fanciulle che danzavano al suono dei cembali. Era lunica sua figlia, perch egli non aveva altri figli, n maschi n femmine. Quando egli la vide, si stracci le vesti ed esclam: Ahim, figlia mia, davvero tu mhai prostrato nel dolore! Sei tu la causa del mo turbamento, perch io lho promesso al Signore e non posso tirarmi indietro! Essa gli rispose: Padre, se hai fatto una promessa al Signore, poich egli ti ha concesso di vendicarti dei tuoi nemici, gli Ammoniti, fa di me secondo la tua promessa. (Giudici 11, 3436)

GRIMAL 1987: Vari paralleli mitici e folklorici di questo motivo sono riportati da FRAZER nellAppendice ad APOLLODORO, Biblioteca: 564-574
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Tuttavia, anche in questo caso, lesaudimento del voto connotato negativamente: esso esplicitamente condannato e giudicato empio e sconsiderato da tutta la tradizione della patristica cristiana66. Secondo linterpretazione cristiana, il sacrificio non sarebbe stato affatto gradito a Dio, ma si sarebbe basato su un fraintendimento di Iefte. Tuttavia padre e figlia sono comunque esaltati per la fede e la grandezza dello spirito di sacrificio; su di esso, infatti, oltre che sulla lotta tenuta contro i nemici del popolo di Dio, si basa la lode di Paolo, che definisce Iefte un eroe della fede67. 1.3 - I SACRIFICI DEL FIGLIO NEI MITI SEMITICI Iefte tuttavia non lunico personaggio biblico che immola la propria figlia o il proprio figlio in circostanze di guerra critiche per il suo popolo. Similmente accadde infatti anche per un re biblico, il re Mesha di Moab, che giunse a sacrificare il proprio figlio - e questa volta il voto del tutto consapevole - per assicurare un esito fasto ad unimpresa bellica. Assediato dagli eserciti degli Israeliti, prese il suo figlio primogenito, che doveva regnare al suo posto, e lo immol in olocausto sulle mura. Ma si scaten una grande collera contro gli Israeliti, che si allontanarono da lui e ritornarono al loro paese. (2 Re 3, 27) Tuttavia si tratta di un sacrificio altamente negativo, ampiamente respinto dalla Legge ebraica. Lepisodio del re di Moab apre il vasto capitolo dei miti e dei racconti sacrificali collegati al mondo fenicio e punico, che vedono, ancora una volta, i padri come principali agenti di un atto rituale avente per vittima il proprio figlio e motivato dalla necessit di risolvere circostanze particolarmente critiche.
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Vedi, per le varie interpretazioni del voto e del sacrificio SCHUSTER e HOLZAMMER 1951 (1925): 559562, e il commento di POIROT CLAMER al passo di Giudici XI, 34-40. 67 Dopo un lungo elenco di quelli che sono considerati dei modelli di fede (fra cui No, Abramo, Mos), Paolo afferma infatti: E che dir ancora? Mi mancher infatti il tempo, se vorr discorrere di Gedeone, Barac, Sansone, Iefte, di Davide, di Samuele e dei profeti? I quali mediante la fede vinsero i regni, esercitarono la giustizia, conseguirono le promesse, chiusero la bocca dei leoni, estinsero la violenza nel fuoco, sfuggirono il filo della spada, furono rinvigoriti dalle infermit, divennero forti in battaglia, misero in fuga eserciti di stranieri. (Ebrei XI, 32-34)

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Ai Fenici - semiti ma non ebrei - era attribuito anche quello che sembra essere un vero e proprio mito di fondazione del sacrificio del figlio, inteso come mezzo per risolvere particolari situazioni di crisi. La fonte Filone di Biblo, autore del I secolo a.C., di cui Eusebio di Cesarea (IV d.C.) nella Praeparatio Evangelica (1, 10) riporta alcuni frammenti. Filone rammenta che anticamente era costume presso i Fenici, nei casi di grande pericolo, che quelli che detenevano il potere sacrificassero i loro figli pi amati, offrendoli come un riscatto alle divinit adirate per evitare la rovina di tutti. Cos in origine - riporta il passo - il dio Crono, che essi chiamavano El e che era originariamente un re, in un momento di crisi, durante una guerra, aveva adornato il suo unico figlio, Ieudo, con gli abiti regali e lo aveva sacrificato. Questo era presentato come il prototipo dei sacrifici fenici e cartaginesi. Una tradizione cartaginese simile riportata da Giustino nellEpitome allHistoria Philippica di Pompeo Trogo (XVIII, 7). Vi si narrava di come Malchus, primo grande comandante militare di Cartagine (ma il nome, in rapporto con la radice mlk, significa re), avesse fatto crocifiggere davanti alla citt suo figlio Carthalo, che gli si era ribellato, dopo avergli fatto indossare le sue vesti sacerdotali ufficiali. Il passo in realt parla solo di unuccisione, ma questa in realt - rileva C. Grottanelli, che riporta questa tradizione in un saggio dedicato al tema del sacrificio68 - doveva avere tutti gli attributi di un vero e proprio sacrificio. I testi che riprendono il tema riguardano tutti, direttamente o indirettamente, larea semitica. Sembra di poter scorgere ununit coerente e organica che doveva essere molto antica: in tutti questi casi lofferta dellunigenito si configura come sacrificio del figlio (ed erede) di un re, o comandante, che deve essere offerto dal padre stesso in situazioni di particolare pericolo per la patria. Nel caso di El si tratta addirittura della divinit pi importante del pantheon dei Fenici.
68

GROTTANELLI 1981: 185-189

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E stato pi volte messo in luce, per questi casi, il valore sostitutivo della vittima, che appare evidentemente essere offerta in luogo del re stesso e pi in generale, attraverso di lui, a nome dellintera nazione. Lo stesso Frazer puntualizza che il figlio del re chiaramente inteso come il pi adatto a sostituire il padre, a essere sacrificato in sua vece per il bene del popolo, in quanto egli ne condivide, meglio di chiunque altro, lafflato divino: But no one could so well represent the king in his divine character as his son, who might be supposed to share the divine afflatus of his father. No one, therefore, could so appropriately die for the king and, through him, for the whole people, as the kings son.69 Vale la pena notare che moltissimi miti e tradizioni di svariati popoli mettono in scena la morte del figlio del re, come un sacrificio sostitutivo per il padre, il re, che nella prospettiva frazeriana come in quella dei sostenitori della regalit sacra considerato garante dellordine delle cose e potenzialmente salvifico per il suo popolo, quindi deve essere sempre mantenuto in efficienza. E comune a molti popoli la tradizione che associa il sacrificio del re, o dei suoi figli, ad una carestia, proprio per questa particolare concezione che attribuisce al sovrano funzioni magiche, oltre che regali. In particolare, egli appare responsabile per il tempo e per i raccolti e paga dunque con la sua vita il cattivo andamento delle cose70. Laddove si renda necessaria la messa a morte, il sacrificio, il re in carica pu essere sostituito dal figlio, che pi di ogni altro pare essere dotato degli stessi poteri. Tuttavia quella dei figli regali solo una particolare categoria di sacrifici dei figli, categoria comunque molto significante sulla quale si potrebbe a buon titolo insistere. Quello che risulta interessante che, non di rado, nei racconti di sacrificio di figli, questi ultimi si qualificano spesso come dei figli che sono particolarmente amati e importanti per il genitore, perch unigeniti o primogeniti.

69 70

FRAZER 1914 (1911), vol. 4, The Dying God: 160 FRAZER 1914 (1911), vol. 4, The Dying God: 165

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In un suo articolo pubblicato sulla rivista Studi storico-religiosi71, Francesca Cocchini analizza la tradizione del titolo cristologico di Unigenito; nelle Sacre Scritture, infatti, il termine ebraico jahd tradotto nella versione greca dei LXX sia come monogenes (unigenito, appunto), sia come agapetos (amato), ed usato sempre, nellAntico come nel Nuovo Testamento, in concomitanza con situazioni di lutto e di morte, quando non esplicitamente di sacrificio. Secondo la Cocchini questo indicherebbe che proprio la fragile condizione del figlio unigenito lo rendeva prezioso in modo particolare agli occhi dei genitori e che loffrirlo doveva rappresentare dunque il sacrificio perfetto - e in quanto tale pi efficace, si potrebbe aggiungere. Il modello paradigmatico in questo senso, del figlio amatissimo perch unico e atteso per lungo tempo, che il padre devoto tuttavia pronto a sacrificare, ovviamente quello di Isacco. E questo il prototipo ideale di ogni sacrificio del figlio compiuto da un padre, inteso come la massima prova di fede di un uomo nei confronti della divinit. Lepisodio, narrato in Genesi 22, uno dei pi noti: Dio chiede ad Abramo di offrirgli in olocausto il suo unico figlio, Isacco, avuto miracolosamente dalla moglie Sara, quando essa era ormai vecchia e disperava di poter dare dei figli legittimi al marito. Un giorno, infatti, Dio tent Abramo dicendogli: Abramo, Abramo!. Rispose: Eccomi!. Riprese: Su, prendi tuo figlio, il tuo diletto che tu ami, Isacco, e va nel territorio di Moria, e offrilo ivi in olocausto su di un monte che io ti dir! (Gn. 22, 1-2) Abramo obbedisce e porta con s il figlio presso il luogo indicato dal Signore. Durante il cammino Isacco si rivolse a suo padre Abramo e disse: Padre mio!. Rispose: Eccomi, figlio mio!. Riprese: Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov lagnello per lolocausto?. Rispose Abramo: Dio si provveder da s lagnello per lolocausto, figlio mio!. E proseguirono tutti e due insieme. Cos arrivarono al luogo che Dio gli aveva detto e ivi Abramo edific laltare, vi depose la legna, leg Isacco suo figlio e lo depose sullaltare sopra la legna.
71

COCCHINI 1977

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Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per scannare il figliolo. Ma langelo del Signore lo chiam dal cielo e gli disse: Abramo, Abramo!. Rispose: Eccomi!. Riprese: Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che rispetti Dio e non mi hai risparmiato il tuo figliolo, lunico tuo!. Allora Abramo alz gli occhi e guard; ed ecco: un ariete ardente, ghermito dal fuoco, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo and a prendere lariete e loffr in olocausto al posto del suo figliolo. (Gn. 22, 7-13) Alla prova, seguono la promessa di Dio ad Abramo di una numerosa discendenza e la sua benedizione, per lessere stato il patriarca pronto a sacrificare a Dio il suo bene pi prezioso. Cos si pronuncia lAngelo del Signore: perch tu hai fatto questo e non hai risparmiato il tuo figliolo, lunico tuo, io ti benedir con ogni benedizione e moltiplicher assai la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia ch sul lido del mare; la tua discendenza si impadronir della porta dei suoi nemici e si diranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, in compenso del fatto che tu hai ubbidito alla mia voce. (Gn. 22, 16-18) Questo passo trova chiaramente il suo contrappunto in quello gi citato di Giudici 11, 29-40 sul sacrificio della figlia di Iefte: in entrambi i casi, infatti, un padre si mostra disponibile a rinunciare e a sacrificare personalmente un figlio o una figlia unigeniti e dunque particolarmente preziosi. Limportanza dellofferta evidenziata dal riferimento ripetuto che si tratta proprio dellunico, ed amatissimo, figlio, e che esso rappresenta quindi la pi grande rinuncia a favore della divinit. Certo, nel caso di Iefte il sacrificio accettato ed eseguito e la fanciulla muore, mentre nel caso di Isacco il figlio amatissimo salvato tramite la sostituzione con una vittima animale, lariete. Tuttavia in entrambi i passi citati laccento posto sulla disponibilit da parte del padre a rinunciare e a sacrificare a Dio il proprio unico figlio, e a questa disponibilit viene chiaramente assegnato un valore positivo72.

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Sul voto di Iefte e del suo compimento, e sulle sue implicazioni morali, si molto discusso fin dallantichit. A questo proposito vedi SCHUSTER e HOLZAMMER 1951 (1925): 559-562, e il commento di POIROT CLAMER al passo di Giudici XI, 34-40.

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Il racconto del sacrificio di Isacco in particolare, che appartiene certamente allo strato elohistico del Pentateuco73, nella forma in cui ci giunto intende chiaramente proporre un esempio e perseguire una scopo paradigmatico e didattico; Abramo presentato come un modello etico perch, messo alla prova, dimostra lautenticit della propria fede affidandosi completamente alla volont divina e rinunciando a quanto ha di pi caro e di pi prezioso. Lepisodio, quindi, da un lato propone chiaramente Abramo come un modello per la disponibilit che dimostra verso un tale sacrificio. Dallaltro, per, attraverso lintervento di Yahw stesso che interrompe latto del patriarca e soprattutto attraverso la sostituzione della vittima umana con una vittima animale, lariete, fonda anche il rifiuto, nella prassi rituale reale, di un tale genere di sacrificio e la sua non praticabilit storica presso gli ebrei. La sostituzione, come anche nel caso del mito greco, uno degli espedienti con cui viene fondato il presunto abbandono di mitici sacrifici umani delle origini e con esso fondato dunque definitivamente, per il tempo storico della realt, il divieto assoluto del sacrificio umano. E interessante ricordare che secondo il Targum palestinese di Esodo XII, 4274 Isacco era un adulto, un uomo di trentasette anni, allorch fu offerto a Yahw sullaltare. Ancor pi significativo quanto afferma il Targum di Genesi
Al sacrificio di Iefte viene infatti tendenzialmente attribuito dai moderni esegeti un senso piuttosto spirituale che letterale, contrariamente ad una pi antica tradizione che, daccordo con la tradizione giudaica, faceva capo agli stessi padri della Chiesa ed agli esegeti antichi. Secondo lesposizione letterale, Dio avrebbe permesso il sacrificio umano proprio per punire Iefte della sua sconsideratezza e dellempiet del voto stesso di sacrificare un essere umano, e Iefte avrebbe compiuto il voto nella convinzione - del tutto falsa, in realt - di doverlo mantenere. Il voto esplicitamente condannato e giudicato empio e sconsiderato da tutta la tradizione della patristica cristiana. Secondo la tradizione cristiana antica, dunque, il sacrificio era reale, e comunque non gradito a Dio, ma basato su un fraintendimento di Iefte; tuttavia, padre e figlia sono allo stesso tempo esaltati per la fede e la grandezza dello spirito di sacrificio; su di esso, infatti, oltre che sulla lotta tenuta contro i nemici del popolo di Dio,si basa la lode che San Paolo ha fatto di Iefte (Ebrei XI, 32), di essere stato un eroe della fede. Contro linterpretazione letterale del sacrificio si pone invece unaltra corrente esegetica, che chiama in causa limpossibilit di un tale genere di voto, esplicitamente proibito dalla Legge, da parte di un personaggio come Iefte, che presentato come un eroe della fede (in Paolo appunto) e come uomo timorato di Dio. Il sacrificio sarebbe stato piuttosto una consacrazione della figlia al servizio del Santuario, con la conseguente rinuncia al matrimonio e ad una discendenza. Tuttavia, una tale interpretazione solleverebbe non pochi problemi e sembra difficile in ogni caso poter tradurre lebraico olh come una semplice consacrazione; un tale uso traslato del termine, infatti, cos come la stessa pratica di una simile consacrazione di vergini, non risultano altrimenti attestati. 73 Sulla storia della tradizione di Genesi 22, KILIAN 1976 (1970) 74 I Targmm sono interpretazioni e traduzioni in aramaico di testi dellantico Testamento, redatte in Babilonia e Palestina nel periodo intertestamentario.

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XXII. In questa versione, infatti, Isacco accetta liberamente di offrire la propria vita per obbedienza alla volont di Dio e a questo scopo si fa anzi legare dal padre - tale legatura detta aqedah - proprio per assicurarsi di non opporre resistenza al sacrificio. Au moment du sacrifice, Isaac dit Abraham: Mon pre, lie-moi bien pour que je ne te donne pas de coups de pied de telle sorte que ton offrande soit rendue invalide et que je sois prcipit dans la fosse de la perdition dans le monde venir. 75 Anche in questo caso si accentua il valore positivo del gesto di rinuncia e di fede del padre, a cui si aggiunge per anche quello del figlio. Dopo la prova di fede data da Abramo e Isacco, infatti, una voce proveniente dal cielo afferma Venez, voyez deux (personnes) uniques en mon univers. Lune sacrifie et lautre est sacrifie: celui qui sacrifie nhesite pas et celui qui est sacrifi tend la gorge. 76 Anche in questo caso, allaqedah segue significativamente la ricompensa; le infatti riconosciuto un valore salvifico per lintera discendenza di Isacco: Et maintenant, lorsque ses fils se trouveront dans un temps de dtresse, souviens-toi de laqedah de leur pre Isaac et entends la voix de leur supplication. Exauce-les et dlivre-les de toute tribulation.77 Tuttavia, con la libera scelta del figlio, che accetta consapevolmente di offrire la propria vita per obbedienza alla volont di Dio, si prefigura un diverso modello sacrificale, che trover la sua piena realizzazione nel sacrificio di Ges, non pi un figlio immolato sullaltare dal proprio padre, ma il figlio che sceglie volontariamente di offrire se stesso per la salvezza dellumanit. Il modello dellaqedah di Isacco dovette certamente influire fortemente sullelaborazione di questa nuova ideologia sacrificale.

75 76

Riproduco il testo dalla traduzione francese del Dictionnaire de la Bible. Supplement, vol. 10: 1508 Dictionnaire de la Bible. Supplement, vol. 10: 1508 77 Dictionnaire de la Bible. Supplement, vol. 10: 1508

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Il valore positivo e salvifico attribuito allofferta, questa volta di s, resta immutato. Rimane sempre comunque sospeso sullo sfondo del messaggio cristiano il tema del sacrificio del dio figlio voluto dal Dio padre.78 Accenniamo solo brevemente alla situazione simile, ma posta in termini ancor pi radicali, del sacrificio del figlio nella letteratura devozionale ind. D. Shulman, in un suo testo dedicato alle narrazioni ind di figlicidio e devozione79, parla di un comune tipo narrativo, da lui denominato aqedah type, e caratterizzato dal fatto che dei genitori realizzano il sacrificio del proprio figlio per un comando divino che apparentemente non trova alcuna spiegazione razionale e che si colloca al di fuori della logica umana. Questo modello paradigmatico appare particolarmente fondamentale e centrale tanto nellarea semitica quanto in quella ind, tanto che viene a funzionare come root metaphor per le rispettive culture. Interessante in particolare un racconto Tamil, avente per protagonista il piccolo devoto Ciruttntar, che particolarmente si avvicina, per le sue caratteristiche, al modello biblico del sacrificio di Isacco. Nella versione tradizionale del mito (XII sec.), al protagonista, il piccolo devoto, cos soprannominato perch il suo principale interesse di nutrire i devoti di Shiva, un giorno appare il dio stesso nella forma di un asceta. Egli chiede a Ciruttntar di essere nutrito con le carni di un bambino, ponendo come condizione che questi sia ucciso dai genitori in uno stato di gioia. Il piccolo devoto e sua moglie, per nulla scoraggiati, offrono allospite il loro unico figlio, ben lieti di poter esaudire il suo desiderio; luccisione, come ordinato, accompagnata dalle risa dei genitori. Al momento del pasto lospite impone alla coppia di chiamare a tavola anche il bambino; straordinariamente egli riappare, mentre il pasto scompare dalla mensa e lospite svanisce. Shiva rivela la sua

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Vedi la seconda parte del testo curato da FIORENSOLI 2002, dedicata alle interpretazioni del sacrificio di Cristo, pp. 91-185 79 SHULMAN 1993

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vera identit apparendo in cielo; Ciruttntar e la sua famiglia sono assunti in paradiso. Il tema trova un ulteriore interessante sviluppo nella tradizione medievale Telugu, dove il sacrificio del piccolo devoto palesemente messo in ridicolo, superato da un ben pi valido esempio di fede: qui leroe, conosciuto come Siriyla, una volta giunto in paradiso si vanta della propria impresa terrena; Shiva allora si reca con lui, sempre sotto mentite spoglie, presso la casa di una donna, Nimmavva. Mentre questa prepara loro il pranzo, suo figlio ne assaggia un pezzo; la donna, offesa, gli spacca il cranio. Al momento del pasto, il dio chiede a Nimmavva che chiami suo figlio, ma la madre, conoscendo la storia di Siriyala, si rifiuta sdegnata: lei, veramente devota, non vuole che suo figlio riappaia sminuendo il suo sacrificio. Neppure la rivelazione di Shiva pu farle cambiare idea; la donna si impone facendo consumare davvero il pasto ai suoi ospiti, anche contro la loro volont. Alla fine il dio resuscita comunque il bambino, ma la donna rifiuta di unirsi a lui in paradiso per restare sulla terra a nutrire i devoti. Due modelli questi, dunque, affini a quello ebraico del sacrificio di Isacco in quanto narrano ugualmente una prova, superata, in cui un genitore dimostra la propria fede sacrificando quanto ha di pi caro per soddisfare una richiesta apparentemente irrazionale e illogica sul piano delle ragioni umane. Tuttavia il racconto ind esaspera fortemente il valore dellofferta e della fede del sacrificante, portandolo fino allultima conseguenza delluccisione reale, compiuta, del figlio e proponendo lo scenario del pasto cannibalico, che se in un caso risparmiato, nellaltro esso stesso compiuto. Nel primo caso lagente ancora il padre; la madre presente e partecipa alluccisione, ma come figura in qualche modo passiva, che accetta la decisione del marito; sorprendente invece la figura di Nimmavva, la donna sacrificatrice che anzi supera il modello maschile, quasi sbeffeggiandolo per la scarsa devozione dimostrata.
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Questo breve excursus dunque conferma il valore positivo attribuito allofferta del figlio anche per il mondo ind - qui anzi molto pi accentuato - a conferma di quanto gi osservato per il discorso biblico, ma anche per il mito greco antico. Per concludere, ritornando a quelli che sono i miti che pi interessano la cultura delluomo occidentale, quello greco e quello biblico, potremmo presentare una tabella riassuntiva con i dati relativi ai figlicidi mitici osservati:

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Madri assassine nel mito greco: Medea

Chi uccide Motiva(o tenta di zioni: uccidere). Sesso:


M (due figli maschi) M e F (figli del marito) M (suo figlio minore) Gelosia, vendetta verso il marito Gelosia

Consapevolezza:

Modalit:

Luccisione portata a termine?


S

S, molto accentuata S

Con la spada

Ino

No Follia indotta dalla dea Era Mania dionisiaca Mania dionisiaca Mania dionisiaca Mania dionisiaca No (crede sia un leone) No

Cerca di farli sacrificare dal padre. Lo getta in un calderone Lo dilania a mani nude Li divorano (cannibal.) Indet. (probabilmente li dilaniano) Lo dilaniano

No

Agave Donne di Argo Pretidi

M (il figlio Penteo) Indet. (i propri figli) Indet. (i propri figli) M (il figlio di una di loro) M Suo figlio) M (suo figlio) M (figlio unigenito)

S S

No

Miniadi

No, lo scambiano per un cerbiatto

Procne

Per vendetta S verso il marito Vendetta verso il marito Errore S

Edona (due versioni)

Con una scure, S poi lo d in pasto al marito (cannibal.) Indet., ma poi S lo offre in pasto al marito Indet. S

No (lo scambia per il figlio della cognata

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Padri assassini nel mito greco: Licurgo

Chi uccide (o tenta di uccidere) Sesso:


M (Il figlio)

Motivazioni:

Consape- Modalit: volezza:

Luccisione portata a termine?


S

Atamante

MeF (i suoi figli di primo letto) M (il maggiore dei figli avuti da Ino) M (figlio) F (la figlia Psamate) F (la figlia Danae, ma anche il nipote Perseo) F (la figlia Andromeda) M (tre figli maschi) M (tre figli maschi)

Mania, indotta da No, crede Dioniso di tagliare un tralcio di vite S Ordine di un oracolo per porre fine ad una carestia (in realt inganno della moglie) Follia indotta da No, lo scambia Era per un cervo Errore, voleva colpire un muratore Punizione Punizione della figlia impura, paura che Perseo un giorno lo uccida No

Lo colpisce con la scure

Sacrificio

No

Come se fosse S una preda di caccia

Pimandro Crotopo Acrisio

Indet.

S S

Indet. Messa a morte indiretta, esposizione: li abbandona su unarca nel mare Messa a morte indiretta, esposizione Li getta nel fuoco

S No, la figlia e il nipote non muoiono No, la figlia salvata S

Cefeo

Eracle (due versioni)

S Per liberare il paese dal mostro, per linteresse pubblico Pazzia indotta da No Era Pazzia, ma sostanzialmente per la sua natura eccessiva Moto dira, perch il figlio ha turbato un rito No, crede siano i figli di Euristeo S e no

S Li insegue, poi li uccide con le frecce e con la clava Lo colpisce con un ceppo in fiamme S

Alcatoo

M (il figlio Calidone)

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Eumelo

M (il figlio Botre) M (il figlio Pelope) M (il figlio o il nipote) F (sua figlia Ifigenia) F (una o pi figlie) F (le figlie) F (le figlie) M/F (la figlia o il figlio) F

Licaone Tantalo Agamennone

Moto dira: ha compiuto un errore nel corso di un rito Vuole offrirlo agli dei, presunzione Garantire esito positivo ad unimpresa bellica Guerra, ma anche una peste o carestia Porre fine a una peste o carestia Obbedienza ad un voto fatto a Poseidone in circostanze critiche Prescrizione oracolare in seguito ad unoffesa alla dea Artemide

S e no

Lo colpisce S con un tizzone Lo offre in pasto agli dei S S Sacrificio No

S S S

Eretteo Giacinto Leo Idomeneo

S S S S

S S S Dipende dalle versioni No, nasconde la figlia nel tempio e sacrifica una capra al suo posto

Embaros

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Analizzando i dati cos riassunti, risulta ancor pi chiara la distinzione proposta fra la rappresentazione delle madri e dei padri figlicidi nel mondo greco. In particolare da mettere in evidenza la particolare componente di barbarie, marginalit, follia e determinazione nella rappresentazione delle figlicide. Le donne del mito, infatti, non solo pu essere interessante notarlo in tutti i casi studiati, senza eccezioni, indirizzano il loro istinto omicida verso i figli maschi, ma significativamente portano sempre a termine latto con una determinazione che non trova corrispondenza nel mondo maschile. Lunico caso in cui lesito non quello voluto, cio la morte di un figlio, infatti quello dellinganno ideato da Ino nei confronti di Frisso ed Elle, tuttavia si tratta evidentemente di un caso del tutto sui generis: infatti, anzitutto per Ino si tratta dei figli del marito, non dei propri; in secondo luogo la messa a morte vera e propria doveva essere attuata dal loro padre, Atamante, nella forma di un sacrificio; anche in questo caso, quindi, il padre, non la madre, che fallisce e non riesce a portare a termine latto omicida. Con riferimento alle motivazioni e alla consapevolezza sottese al figlicidio materno nel mito greco, si notano poi due modelli situazionali nettamente distinti, a cui si possono ricondurre tutti i casi osservati. La donna del mito greco infatti uccide il figlio o per gelosia / vendetta nei confronti del marito, e allora lazione estremamente consapevole e prevede anzi, come nel caso emblematico di Medea, uno sforzo e una rinuncia particolarmente dolorosi da parte della madre oppure agisce nel contesto dellinvasamento e della mania indotta dalla divinit e in questo caso luccisione del tutto inconsapevole. In genere la madre baccante che uccide il figlio lo fa infatti scambiandolo per un animale, per una preda di caccia (tipico il caso di Agave); solo poi apprende, con grande dolore, la natura del proprio gesto. Pu essere interessante rilevare, inoltre, che non solo la donna porta sempre a termine latto; luccisione spesso anche particolarmente cruenta nelle sue
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modalit. Nei casi di mania il figlio dilaniato a mani nude dalla madre furente, il che trova, almeno, una sua giustificazione nello stato di incoscienza della madre allorch compie questo gesto. Ma tutti gli altri casi vedono madri, evidentemente rappresentate con i tratti di una sorprendente ferocia, che lucidamente uccidono, e con grande spargimento di sangue, la loro prole con la spada (Medea) o con la scure (Procne), o che addirittura la offrono in pasto in un empio banchetto ai mariti. Lo scenario dunque quello di un assassinio fra i pi efferati e sconvolgenti che si possano immaginare, con delle madri determinate che, spinte spesso da motivazioni passionali, riescono a uccidere con le proprie mani i loro figli nel modo pi diretto e brutale possibile. Lo scenario del cannibalismo, che si affaccia in alcuni di questi casi, non fa che accentuare la lontananza culturale del gesto. Queste caratteristiche sono ancora pi rilevanti se confrontate con la rappresentazione, certamente assai diversa, almeno nelle tendenze generali, dei padri figlicidi del mito greco. La grande maggioranza dei casi aventi il padre come agente, infatti, come si gi ampiamente avuto modo di notare, riguarda dei sacrifici umani di fanciulle, attuati per il bene pubblico in circostanze particolarmente critiche per la nazione. In realt le vittime dei padri, a differenza di quanto osservato per le madri, sono tanto i figli maschi quanto le femmine, ma cambiano le modalit delluccisione in rapporto al genere della vittima: infatti il padre sovente uccide il figlio maschio assalito da un moto dira o per errore, ma sacrifica invariabilmente secondo il modello consueto, o uccide per punizione, la figlia femmina. In questo caso, il padre sacrificatore non solo costretto a compiere latto in vista di un bene pubblico superiore o per adempiere ad un voto manca quindi completamente la ferocia che pertiene alla rappresentazione delle madri figlicide
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ma sovente non riesce neppure, o non vuole, portare a termine latto e sacrificare realmente (come nei casi di Atamante, Agamennone, Embaros). Eccezionale, come si gi avuto modo di notare, il caso di Embaros, che si rifiuta di compiere latto, deliberatamente inganna la divinit ed in qualche modo premiato con la salvezza della figlia, giacch il sacrificio sostitutivo accettato dalla divinit. Ma linteressante etimologia di Embaros come sciocco e anche furbo sposta linterpretazione complessiva del suo atto su un piano pi complesso dove possono convergere diverse letture. Embaros fonda levitazione del figlicidio sacrificale ma non un campione di ubbidienza, di devozione Latto sacrificale prevede, nella grande maggioranza dei casi, una sofferta rinuncia al figlio da parte del padre. Il sacrificio, infatti, la modalit tipica del figlicidio paterno, richiede sempre questa dolorosa consapevolezza. Anomale, ma in ogni modo ugualmente consapevoli, sono certamente anche le offerte agli dei di Tantalo e Licaone. Fanno eccezione dunque soltanto tre casi, assai atipici in verit, di padri che uccidono i figli in stato di mania (Licurgo, Atamante ed Eracle), ma il motivo certamente assai raro in riferimento al mondo maschile. Quello di Eracle, poi, un caso del tutto particolare: possiamo dire che la vera causa del figlicidio la melanconia delleroe. Il padre figlicida risulta comunque essere anzitutto colui che sacrifica consapevolmente, e con sofferenza, la propria figlia, una vergine nobile nel fiore degli anni, in risposta ad una volont trascendente superiore, quella divina, o comunque per assicurare, con tale rito, la salvezza dellintera nazione. Manca ogni componente di brutalit ed efferatezza, componente enfatizzata al contrario nella rappresentazione delle madri figlicide; il comportamento di questi padri difficilmente stigmatizzabile nella maggioranza dei casi. Talora lesito della loro azione, differentemente da quanto notato per le madri assassine, non comporta neppure la morte effettiva del figlio o della figlia.

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Spostandoci da questo contesto a quello del mondo semitico, dunque anzitutto al mito biblico e al discorso sugli usi rituali di fenici e cartaginesi, colpiscono alcune particolarit, evidenziate dalle tabelle seguenti: Chi uccide Motiva(o tenta di zioni: uccidere) Sesso:
M (il figlio unigenito) F (la figlia unigenita) Richiesta divina Voto fatto a Dio in circostanze di guerra

Padri assassini nel mito biblico: Abramo

Consapevolezza:

Modalit:

Luccisione portata a termine?


No

Sacrificio (olocausto) Sacrificio (olocausto)

Iefte

Re di Moab

Per superare S M (primogenito una situazione ed erede) bellica critica (assedio)

Sacrificio (olocausto presso le mura)

Acaz

M (il figlio maschio)

Inserimen-to in una situazione religiosa corrotta dai riti fenici

Sacrificio a Moloc (passaggio per il fuoco)

Manasse

I suoi figli (generico)

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Sui riti fenici / cartaginesi El

Chi uccide Motiva(o tenta di zioni: uccidere) Sesso:


M (Ieudo, figlio unigenito) In circostanze di guerra critiche

Consapevo- Modalit: Luccisione lezza: portata a termine?


S Sacrificio (il figlio adornato con i paramenti reali) S

Malcus

M (suo figlio Cartalo)

punizione (Cartalo gli si era ribellato)

Crocifissio- S ne (atto sacrificale) con le vesti sacerdotali Sacrificio a S Kronos (li fanno precipitare in una fossa infuocata dalle mani della statua del dio)

Cartagine- I loro figli (generico) si

Circostanze S critiche (assedio di Agatocle)

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Come non notare che non esiste nelle testimonianze relative allarea semitica alcun caso di madre figlicida? Lunico agente possibile sembra essere il padre, e anche la vittima, tranne che nel caso di Iefte, un figlio maschio, nella fattispecie lunigenito o primogenito, e quindi lerede. Luccisione, che sempre uccisione da parte di padre, si configura inoltre, ancora senza eccezioni, nella modalit del sacrificio, dunque della rinuncia estremamente consapevole; non troviamo testimoniato alcun caso di figlicidio non rituale per tutta larea semitica. Luccisione del proprio figlio concepita solo nella forma della rinuncia sofferta del bene pi prezioso che si possieda, del sacrificio del figlio nel contesto di un atto religioso ufficiale. E proprio per questo che esso riguarda esclusivamente, in modo ancora pi accentuato che nel mito greco, i soli membri maschi della famiglia: non solo la figura della madre assassina, ma anche quella della figlia sacrificata per lo pi assente. La rappresentazione ideale, e prototipica, infatti quella della coppia padre figlio, che trova il suo modello pi caratteristico nella relazione Abramo - Isacco. Il gesto sempre portato a termine, sia nelle testimonianze sugli usi fenici e cartaginesi sia nel racconto biblico, tranne che in un unico eccezionale caso, quello del sacrificio di Isacco, e tuttavia si tratta proprio del caso centrale, quello che segna lo stacco fra un presunto prima mitico ed il tempo dellattualit, necessariamente contrassegnato dalla diversit. Il racconto fondava infatti quello che era e doveva essere il reale uso cultuale, cio quello di non compiere sacrifici umani, non graditi a Yahw. Se comunque il sacrificio del figlio appare il modello mitico paradigmatico della devozione totale a Dio nella Bibbia, e se un tale modello sacrificale si presenta costantemente anche nel mito greco, soprattutto come espediente risolutivo in particolari momenti di crisi, ci si pu chiedere quale dovesse essere la situazione nella realt storica.

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Il tema del sacrificio umano vistosamente frequente nel mito greco antico, cio in quello che possiamo considerare il mito per eccellenza delloccidente, inserito in un contesto, quello del politeismo, che mette al suo centro comunque la pratica rituale del sacrificio cruento animale. Insistiamo sulla dimensione greca dal momento che non sembra possibile prescindere, in quanto necessario fondamento dellattuale identit culturale occidentale, dallimponente eredit comunicataci da essa in termini di elaborazione del pensiero ed organizzazione del simbolico. Il mito in particolare, poi, pare esserne unespressione privilegiata, se vero che esso fu il discorso che i Greci raccontarono a se stessi e soprattutto su se stessi80. Tuttavia, ormai opinione corrente della maggior parte degli studiosi che il sacrificio umano fosse tanto frequentemente commemorato nel mito e presente in vario modo nella letteratura quanto raro e tendenzialmente evitato doveva essere invece nella prassi rituale, almeno in quella ordinaria, e dunque nella storia.

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CHIRASSI COLOMBO 1999: 346

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CAPITOLO 2: FIGLICIDI, UCCISIONI RITUALI E SACRIFICI. UN EXCURSUS

2.1 - SACRIFICI UMANI E UCCISIONI RITUALI NELLA GRECIA ANTICA. MITO E PRASSI RITUALE Si potrebbe dire che la messa a morte programmata di un essere umano al di fuori dei quadri obbligati della guerra rappresentasse, nella prospettiva del cittadino greco, lantivalore per eccellenza, lespressione privilegiata della feritas degli altri, il segno distintivo di unalterit identificata con la degradazione morale e con losservanza di un ethos opposto e antitetico rispetto a quello greco. Il sacrificio umano appare infatti al cittadino greco come latto violatore per eccellenza, commemorato spesso nel mito ma ostinatamente rifiutato nella propria realt rituale e proiettato in genere in dimensioni in qualche modo diverse. Cristiano Grottanelli, nel suo testo dedicato alla presentazione critica del sacrificio come modello rituale81, ma pi diffusamente in un suo contributo specifico pubblicato nello stesso anno sulla rivista Archiv fr Religionsgeschichte82, mette in rilievo le strategie ideologiche di negazione che sono sottese in genere al discorso sul sacrificio umano nel mondo romano, come in quello greco e in quello biblico vetero-testamentario. Esse paiono caratterizzate dalla necessit di mettere a distanza il fenomeno in vario modo, proponendolo come latto che caratterizza lesistenza dei popoli altri, dei

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GROTTANELLI 1999: 62 GROTTANELLI 1999

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barbari, o comunque che si colloca in una dimensione diversa, perch lontana nel tempo e/o nello spazio, ed estraneo invece allo spirito dei civili cittadini greci (o romani o ebrei). In generale, infatti, nel discorso biblico come nel mito greco intorno al sacrificio umano, si possono riconoscere quattro temi fondamentali, tutti ugualmente volti a negare la sua prassi riconducendola a delle situazioni altre, o comunque non ordinarie. In questo tipo di discorso: a) il sacrificio umano relegato in un passato remoto della storia greca o ebraica, ma anche romana; esso sarebbe stato praticato molto anticamente dagli antenati in unet diversa, nel tempo altro del mito, appunto, che precedeva le attuali condizioni di esistenza; b) esso fu poi abbandonato e rigorosamente proibito; in genere il suo superamento fondato nel mito attraverso una prima sostituzione, che divenne poi la regola. Furono cos abbandonati definitivamente quei presunti sacrifici umani primordiali che sono narrati nel mito; c) talora il sacrificio umano pu essere ancora praticato, ma solo in circostanze del tutto eccezionali, di straordinario pericolo per la nazione, per far fronte a delle difficolt che appaiono non superabili mediante la normale prassi rituale; d) attualmente esso in auge come rito regolare soltanto presso gli altri, i barbari esterni o anche i sediziosi interni, comunque presso i nemici dellordine. Il tema del sacrificio umano anzi un tema tipico della polemica ideologica contro altri popoli, sovente usato per screditarli, contrapponendo la loro barbarie - dimostrata dalla pratica stessa del sacrificio umano - alla civilt dei Greci o del popolo ebraico o a quella dei Romani. Ad analoghe conclusioni era gi pervenuto anche Albert Henrichs in un suo studio su tre casi particolari di sacrificio umano. Dallanalisi di tre casi rappresentativi, datati in tre periodi ampiamente diversi - il sacrificio mitico di Ifigenia, il caso storico di un sacrificio umano offerto prima della battaglia di
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Salamina e le accuse di infanticidio rituale ai danni dei Cristiani in et tarda egli conclude che: human victims in Greek religion are primarly an ideal construct of the imagination. They represent the most extreme form of sacrifice, which was rarely if ever realized. Whether actually practiced or merely imagined, human sacrifice was invariably considered abnormal and deviant, and was kept at a safe distance. In actual cult, animals were generally substituted for human victims, while stories were told which recalled the time when human blood was still spilled. [] They (le vittime umane) were usually made to die in the public interest. According to the same construct, human sacrifice was to be reserved for special purposes, preferably as a last resort in times of national crisis. Greek authors credited the mythical period or the remote past more readily with the practice of human sacrifice than their own contemporaries or immediate ancestors. On the whole, however, they preferred to look for human sacrifice among the barbarians, rather than the Greeks. From the classical period onward, human sacrifice was identified as a non-Greek and foreign institution 83 . Il messaggio dunque era chiaramente che il sacrificio umano fosse ci che i popoli non civilizzati praticavano, ma che nessun greco, in circostanze normali, avrebbe mai potuto realmente considerare. E importante tuttavia distinguere il sacrificio umano vero e proprio da quelle che nella prospettiva storico-religiosa e antropologica sono pi propriamente dette uccisioni rituali, o, per usare lespressione inglese, ritual killings. La distinzione stata infatti proposta da molti studiosi: viene ricordata anche dallo stesso Brelich84 e da Dennis Hughes nel suo testo sul sacrificio umano nella Grecia antica85. I sacrifici umani in senso proprio costituirebbero solo un sottoinsieme delle uccisioni rituali di esseri umani, cio non tutte le uccisioni rituali si potrebbero correttamente definire sacrifici umani. Il sacrificio propriamente detto, infatti, presuppone lofferta ad un destinatario sovrumano, laddove luccisione rituale non si inserisce necessariamente nellambito di un culto tributato ad un essere
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HENRICHS 1981: 232-233 BRELICH 1969: 200, n. 7 85 HUGHES 1999 (1991): 17

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sovrumano. Nel ritual killing, dunque, laccento non posto sul destinatario del rito, che pu anche non esserci, quanto piuttosto sulla vittima e ancor pi sulle circostanze del rito stesso: in genere luccisione rituale aveva luogo in occasione dei riti funerari, di fondazione o di purificazione, nei riti agrari e nei riti per la pioggia, nonch nei riti celebrati in occasione di calamit di vario tipo, quali epidemie, carestie, guerre Dunque al sacrificio vero e proprio pertiene una maggiore regolarit, trattandosi di un rito ordinario praticato nella cornice istituzionale del culto di una divinit; alluccisione rituale, al contrario, si pu attribuire un carattere di straordinariet, essendo essa legata alla necessit di risolvere ritualmente situazioni eccezionali di crisi. Se molti studiosi sono disposti a concedere che delle uccisioni rituali abbiano anche potuto aver luogo talora nella Grecia antica in circostanze di particolare crisi e pericolo per la nazione (lo stesso Brelich accetta il valore storico della testimonianza sul sacrificio di Salamina), di sacrifici umani in senso proprio, cos come sono stati appena definiti, sembra non potersi parlare n per il periodo arcaico, n tanto meno per quello classico o ellenistico. Permangono fortissimi dubbi anche su una sua presunta pratica nellet del bronzo e le fonti archeologiche a questo riguardo sono controverse. La rilevanza del discorso sul sacrificio umano vero e proprio appare dunque, fino a prova contraria, interamente mitica, non essendo esso attestato in alcun modo nella dimensione rituale. Lo scetticismo sulla sua prassi ordinaria, regolare e istituzionalizzata, condiviso sempre pi da molti eminenti studiosi che si sono occupati del fenomeno, fra cui, oltre a Brelich e al gi citato Henrichs, Dennis Hughes e Pierre Bonnechere. Ad essi si devono vari interventi dedicati al tema, che spiegano variamente le ragioni di questa notevole discrepanza fra il dire e il fare nella Grecia antica e pi in generale nel Mediterraneo antico.

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Hughes passa in rassegna molti miti e molte narrazioni che pretendono di essere storiche e che come tali sono state interpretate per lungo tempo: lo scopo della sua analisi quello di dimostrarne, caso per caso, linfondatezza e linattendibilit come testimonianze certe. Fra i numerosissimi miti che commemorano quel tempo antico in cui dei sacrifici, o pi genericamente delle uccisioni rituali, furono compiuti, Hughes distingue due categorie: quella dei miti in cui si narra luccisione di individui specifici, di cui spesso si cita anche il nome, e che venivano offerti in momenti di particolare emergenza (ad esempio il caso classico di Ifigenia), e quella dei miti eziologici volti a spiegare lorigine di rituali esistenti (ad esempio il caso dellarkteia di Brauron). Questi ultimi miti, infatti, narrano di come lantica pratica del sacrificio umano determinata in genere, secondo il modello ricorrente, dallesigenza di espiare una trasgressione sarebbe stata in seguito mitigata, mediante la sostituzione di una vittima animale a quella umana oppure mediante listituzione di un rituale (appunto lattuale uso cultuale) in cui la vittima umana non era destinata a morire realmente86. In effetti i sacrifici ordinari, storici, dei Greci prevedevano o delle vittime animali, oppure, laddove la vittima dovesse essere un essere umano, la morte veniva solo evocata o mimata ritualmente e mai effettivamente procurata; in genere si trovava il modo di realizzare il sacrificio senza doverlo eseguire realmente. Un esempio classico citato da Burkert87 e Brelich88; quello che riguarda le feste Agrionie di Orcomeno: il rito prevedeva, infatti, che in questoccasione il sacerdote di Dioniso inseguisse con una spada un gruppo di donne, considerate le discendenti delle antiche Miniadi, e che uccidesse quella fra loro che fosse riuscito a raggiungere. Tuttavia, Plutarco (Quaestiones Grecae, 38) narra che ai

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HUGHES 1999 (1991): 125 BURKERT 1981 (1972): 129-134 88 BRELICH 1969: 198-199

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suoi tempi un sacerdote di nome Zoilo uccise realmente una donna nel corso del rito; le conseguenze furono terribili e alla sua famiglia fu tolto il sacerdozio. E evidente dunque che molte norme esistevano solo per essere puntualmente evase e che il sacrificio doveva essere solo evocato, drammatizzato, ma era impensabile per qualunque cittadino greco che fosse realmente messo in pratica. Luccisione rituale di un essere umano poteva essere cio solo simbolica. In ogni caso, alla categoria dei miti eziologici in particolare, stato spesso attribuito dagli studiosi del passato un valore storico. La divergenza fra mito e prassi rituale era cio spiegata con la diffusa convinzione che il primo conservasse effettivamente la memoria di un periodo molto antico (e che tuttavia restava indefinito), in cui il sacrificio umano doveva essere effettivamente compiuto con una certa frequenza. Si presumeva parimenti che poi, in rapporto alle conquiste culturali della civilt greca, una tale pratica dovette essere gradualmente abbandonata, sostituita da usanze pi umane. Ai miti eziologici veniva dunque conferito un valore storico, essendo interpretati come narrazioni segnalanti levoluzione che avrebbe portato la civilt greca ad abbandonare unantica, reale, pratica del sacrificio umano. Di recente, come si detto, si affermata una diversa tendenza e la grande maggioranza degli studiosi tende a negare totalmente una validit storica al sacrificio umano per la Grecia antica, sulla base dellassoluta mancanza di prove certe in questo senso. Nessun riscontro irrefutabile stato ancora fornito, infatti, dagli scavi archeologici, n nessuna testimonianza propriamente storica ancora emersa a questo riguardo, al di l, appunto, della frequenza del tema nel mito. Inoltre, come si visto, i Greci stessi presentano in qualche modo il rito di sacrificio umano come pratica impossibile e inaccettabile, che poteva essere compiuta regolarmente solo dagli altri, e le narrazioni sulla quale non mancavano comunque di suscitare un certo sconcerto nel civile cittadino greco.

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Brelich in particolare si impegnato a contestare il metodo e linterpretazione ingenua fornita nel passato ai miti di sacrificio umano, ma anche al mito in generale, definendone il dominio e le reali funzioni. Se vero infatti che il mito, in quanto tale, sempre creduto come storia vera dalla societ che lo esprime - ed esso in effetti pu anche essere presentato come storico e veritiero dalle fonti antiche - lo storico delle religioni dovrebbe invece coglierne le ragioni specifiche, il suo valore propriamente religioso. Come Brelich ricorda nella sua celebre Introduzione alla storia delle religioni, il mito per definizione non un resoconto storico, ma anzi caratterizzato proprio dalla diversit qualitativa del tempo in cui si sono svolti i fatti ed al quale appartengono i personaggi che li hanno compiuti : Dal punto di vista del contenuto, ogni mito si svolge nel passato, ma non in un passato qualsiasi, bens in un tempo che era differente da quello presente: vi erano condizioni differenti da quelle che nel tempo della narrazione si ritengono normali, vi agivano personaggi differenti dalla gente, dagli animali e dalle piante comuni. Una definizione cronologica del tempo del mito pu variare da milioni di anni fa (come in certe civilt superiori orientali) a poche generazioni fa (p. es. prima dellarrivo dei bianchi, presso molti popoli coloniali), sebbene la forma pi diffusa di questa definizione sia il vago molto tempo fa (cfr. il cera una volta delle fiabe): ma non la distanza cronologica che caratterizza il tempo del mito, bens la sua diversit rispetto al tempo attuale. Ogni mito narra di un evento (o una serie di eventi, in cicli mitici) che si sarebbe verificato in quel tempo diverso, per opera di personaggi diversi da quelli attuali, in seguito al quale qualcosa che prima non cera stato avrebbe preso origine o qualcosa che prima era stato diverso sarebbe diventato com attualmente. Per lo pi, tuttavia, il mito racconta lorigine di ci che ritenuto importante.89 Non bisogna dunque lasciarsi fuorviare dal racconto mitico, n ha alcun senso interrogarsi sulla sua veridicit e sulla sua attendibilit come fonte storica, poich il mito per definizione il racconto di quei fatti che sono accaduti in un tempo altro, che precede le attuali condizioni di esistenza. Esso trova dunque le sue ragioni in una sfera del tutto diversa da quella della narrazione storica; la

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sua funzione principale, dice Brelich, piuttosto quella di fondare le attuali condizioni del mondo, cos come ora si presenta: I miti fondano le cose, che non solo sono come sono, ma devono essere come sono, perch cos sono diventate in quel lontano tempo in cui tutto si deciso: il mito rende accettabile ci che necessario accettare90. Riassumendo, la funzione principale del mito quella di fondare gli aspetti della realt che paiono vitali per lesistenza di un popolo, garantendo loro una fondazione metastorica e proponendoli cos come immutabili, pena il ritorno al caos primordiale. In una tale linea si pone anche Dario Sabbatucci91, che traccia una fondamentale distinzione tra mito e rito, proprio sulla base della necessit, per una cultura, di distinguere e di tenere separato ci che pu essere modificato dalluomo da ci che invece vitale e deve dunque restare immutato. Il mito ed il rito, dunque, dovrebbero essere intesi come due piani dissociati. Il mito infatti definito come la sfera di ci che deve rimanere immutabile, il piano del metastorico e quindi dellinattivit, della non fruibilit per luomo, ci su cui si pu solo dire e non fare, perch deve rimanere cos come stato deciso nel tempo della fondazione. Il rito invece il campo dazione delluomo, che agisce nella storia, lambito del mutevole e del fruibile, del passibile di intervento umano. Ogni cultura, dunque, assegnando ci che le interessa alluna o allaltra sfera, organizza la realt in modo da definire una volta per tutte il campo dellazione umana, salvaguardando lesistenza dei valori per essa vitali attraverso limmutabilit del mito e garantendo parimenti lo spazio per agire attraverso la prassi storica del rito. Nel caso del rito, infatti, luomo il soggetto, che agisce ritualmente sulla realt; esso servirebbe quindi a introdurre luomo nella storia. Nel caso del mito, al contrario, lunico soggetto possibile linattuale soggetto mitico, che ha gi agito sulla realt una volta per tutte in un tempo
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BRELICH 1966: 11 SABBATUCCI 1978: 236

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altro, metastorico; il valore del mito quindi piuttosto quello di una fuga dalla storia. Si potrebbe dedurne che, se il mito atto a fondare quegli aspetti e quei valori vitali per una societ che devono rimanere immutabili ed immutati, in questo caso, raccontando labbandono o comunque la mitigazione degli originari sacrifici umani, la sua funzione fosse proprio quella di fondare la necessit di non ricorrere a riti di questo tipo nella storia. Il discorso mitico, inteso in questo modo, non avrebbe quindi alcuna attinenza con uneventuale pratica di sacrifici umani in tempi remoti, trovando le sue ragioni su un piano completamente diverso. Evidentemente la ragione della frequenza del tema nel discorso mitico unaltra e non ha niente a che fare con una sua presunta pratica nella storia. Hughes, dopo il suo lungo excursus, conclude semplicemente ed anche banalmente che la funzione dei miti di sacrificio umano era rispondere ai bisogni della cultura che li creava, differenziando i Greci e le loro usanze sacrificali ed alimentari sia dai popoli che li circondavano, sia da un passato immaginato e che il loro valore concettuale era del tutto indipendente dalla reale esistenza delle usanze che descrivevano. Lo studioso si preoccupa infatti soprattutto di negare la realt storica del sacrificio umano per la Grecia antica, ma non si sofferma sulla ragioni della rilevanza del tema nel discorso mitico. W. Burkert92, invece, attribuisce la centralit delluccidere nei complessi mitico-rituali greci - ma anche in altre culture - allimpatto emotivo stravolgente che latto, compiuto in origine per nutrirsi, esercit sullessere umano fin dai primordi. Il mito che ha per tema un sacrificio, anche umano, infatti, trova in genere corrispondenza in un rito, che da un lato rievoca lepisodio violento significativamente per o la vittima umana sostituita da un animale o
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luccisione non realizzata - dallaltro evoca, in funzione di riparazione, la generazione di una nuova vita o comunque un rinnovamento, una rifondazione dellordine delle cose. In ogni caso si tratta di riti cruenti, dove scorre il sangue. Tali riti erano frequentemente legati proprio al momento del cosiddetto Capodanno, inteso come tempo nel quale lordine consueto doveva essere ritualmente infranto allo scopo di rifondare e rigenerare dal caos lesistenza ordinata. Latto delluccisione in generale, anche solo di un animale, quindi, fu sempre percepito come particolarmente violatore, tanto che era necessario il suo inserimento nella sfera mitico-rituale, e dunque religiosa, per giustificare il gesto e superare il trauma che ne conseguiva. Pi in particolare, per, si sono occupati della centralit di questo tema Brelich e Bonnechere, fornendone una diversa chiave di lettura, in rapporto con lo scenario delle cosiddette iniziazioni puberali.

2.2 LINTERPRETAZIONE INIZIATICA Il sacrificio umano, in particolare il sacrificio di ragazzi, sarebbe stato, in questa prospettiva, un modo per rappresentare nel mito la morte simbolica che gli adolescenti dovevano affrontare per accedere alla condizione di adulti. Per poter rinascere al nuovo status nei riti di passaggio era ritenuto necessario infatti separarsi prima definitivamente dalla precedente condizione mediante una morte simbolica. Questa appunto era evocata in vario modo nel rito e nel mito eziologico che lo fondava, ove assumeva in particolare la forma del racconto di antichi sacrifici umani di adolescenti, quali erano, appunto, gli iniziandi. In Symbol of a Symbol93, Brelich concede che, se cos tanti miti affrontano largomento, evidentemente i Greci dovevano avere qualche esperienza di uccisioni rituali e dovevano conoscere le circostanze in cui appariva necessario

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ricorrervi; nondimeno reputa arbitrario, come si visto, dedurre dalla frequenza del tema mitico quella della prassi rituale. La soluzione proposta che the Greeks were parsimonious in sacrificing human victims even though they had the experience of human sacrifice and utilized it on the mythical plane. The Greek myths are not relics of remote cultural epochs; they are significant myths for the historical epoch which retains them in function94. La ragione della centralit del discorso sullimmolazione di esseri umani, dunque individuata da Brelich in un diverso ordine delle cose, nel suo essere il simbolo di unaltra realt, assai pi vitale e necessaria per la societ greca. Lo studioso tratta in particolare dei miti eziologici, quelli che narrano cio lorigine di determinati usi cultuali. Spesso il mito narrava infatti di come un tempo fossero richiesti dei sacrifici umani, per lo pi per espiare qualche trasgressione che aveva offeso o incollerito una divinit. Nel mito si spiega come tali vittime umane fossero poi sostituite da vittime animali, o come luso delluccisione fosse stato poi comunque mitigato in altro modo, e da allora questo divenne lattuale uso cultuale. La conclusione di Brelich che questi complessi mitico-rituali servissero in realt a rendere il sacrificio, praticato, della vittima animale, pienamente equivalente ad un sacrificio umano, cio essi ne erano un simbolo. Questo era il caso, ad esempio, del culto di Dioniso Aigobolos, uccisore di capre, a Potniai in Beozia. Il mito, narrato da Pausania (9, 8, 2), raccontava che un tempo il popolo di quel luogo, per effetto del vino, uccise il sacerdote del dio. Secondo lo schema ricorrente, ormai noto, unepidemia colp il popolo e loracolo delfico prescrisse di immolare periodicamente alla divinit un adolescente. Alcuni anni dopo, si dice, Dioniso stesso sostitu una capra come vittima. Il mito dunque riferiva la nota pratica di sacrificare una capra ad un presunto e mitico uso originario di sacrificare esseri umani; in questo modo il sacrificio della capra assumeva lo stesso valore di un sacrificio umano, tanto pi che la sostituzione era stata istituita dal dio stesso; luso attuale era quindi un simbolo del sacrificio
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BRELICH 1969: 196

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umano, avendone lo stesso valore e significato. Tuttavia, altri casi appaiono pi complessi in quanto in essi si aveva una doppia simbolizzazione, che aveva a che fare con lo scenario della morte iniziatica e dunque dei riti di passaggio. A una tale categoria appartenevano ad esempio la citata arkteia di Brauron95 e la flagellazione degli adolescenti presso laltare di Artemide Orthia a Sparta96. A Sparta luso di fustigare i giovani presso laltare di Artemide Orthia aveva un significante mito di fondazione: si narrava che un tempo fosse nata una rissa nel corso di un sacrificio alla dea; il solito flagello allora colp la citt a causa del comportamento sacrilego dei suoi abitanti e loracolo prescrisse di bagnare laltare di sangue umano. Cos sorse luso di sacrificare dei giovani, che venivano estratti a sorte, finch Licurgo non riform il culto: non sarebbe stato pi necessario, egli stabil, immolare realmente i giovani, giacch era sufficiente flagellarli per bagnare di sangue laltare della dea e rispettare cos limposizione divina. In questi casi, dunque, la reclusione delle vergini e la flagellazione degli adolescenti sostituivano s un sacrificio umano avvenuto nel mito, di cui erano il simbolo, ma allo stesso tempo esso era, a sua volta, nella prospettiva di Brelich, il simbolo della morte iniziatica che i giovani e le giovani devono affrontare per poter rinascere alla loro nuova condizione nei riti di passaggio. La flagellazione, la reclusione degli iniziandi e altre prove di resistenza, che si spingono fino al maltrattamento ed alla vera e propria tortura, sono elementi tipici, che si trovano frequentemente in moltissimi riti di passaggio di popoli cosiddetti primitivi. In questo caso si tratterebbe di simboli di un presunto sacrificio originario, che a sua volta simboleggiava per abbastanza chiaramente la realt della morte iniziatica dei giovani. Quindi, sembra che la pratica del sacrificio umano fosse fortemente limitata negli usi rituali dei Greci, ma essi ne utilizzavano valori e significati attraverso una serie di miti e di riti che lo attualizzavano indirettamente tramite simboli. In questo modo il tema del
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Vedi supra, n. 63 cfr. BRELICH 1969

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sacrificio umano, bench si riferisse ad una pratica che era solo sporadica e per nulla frequente nella Grecia antica, poteva comunque essere centrale e di vitale importanza, motivo per cui era tanto frequente nel mito. Bonnechere, ancor pi di Brelich, prosegue su questa strada. In Le sacrifice humain in Greece ancienne97, infatti, rivisita i numerosissimi miti greci che trattano di sacrifici umani e li spiega ancora in chiave iniziatica. Il loro significato sarebbe dunque, come in Brelich, levocazione di un aspetto assai vitale per la societ greca, cos come del resto per moltissimi altri popoli: la morte dei giovani necessaria a garantire il loro accesso alla condizione di adulti, facenti parte integralmente della societ, e dunque anche il rinnovamento della comunit stessa. La morte rituale degli adolescenti durante i riti di passaggio sarebbe dunque la realt simboleggiata dai vari miti, da quelli eziologici gi trattati da Brelich e da Hughes, ai tantissimi miti dionisiaci che rappresentano lo smembramento e il cibarsi della vittima, compresi quelli gi visti relativi alle Miniadi, Pretidi e Cadmeidi. Il mito sceglieva di rappresentare la morte simbolica e rituale degli iniziandi sotto la forma del sacrificio umano reale (proprio perch solo mitico) dei giovani, fenomeno che nella realt non affatto documentato. Bonnechere tuttavia sostiene che il tema delliniziazione non sia n isolato n esclusivo, quindi non rappresenterebbe la ragione unica e il motivo di interesse principale per la societ greca. Tira cos in ballo il tema vecchio, abusato, della fertilitfecondit: il rinnovamento della comunit doveva iscriversi infatti nel pi ampio contesto e in stretta correlazione con i temi della fertilit della terra e della fecondit di uomini e animali; il rinnovamento della societ non poteva essere disgiunto da quello della natura e del cosmo (infatti, proprio questi riti iniziatici si svolgevano in genere in primavera, in coincidenza con il rinnovamento dellanno e con la maturazione dei raccolti). Ne risulta che, se anche il sacrificio
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umano non era praticato dai Greci, proprio in quanto simbolo ricorrente di una realt tanto vitale e necessaria - esso fondava quei riti che soli potevano garantire il rinnovamento e la necessaria rifondazione del corpo sociale e civico - esso era comunque un tema centrale che trovava posto al cuore stesso della vita della polis98. Il tema era evocato in quanto assolveva due diverse funzioni complementari: da un lato, come si detto, simboleggiava la morte iniziatica propria di quei riti che erano necessari a rifondare periodicamente lordine e la societ; dallaltro lato rivelava il ritorno allo stato selvaggio come risultato dellabolizione dei valori tradizionali. La reintegrazione allordine normale doveva infatti passare per la sua abolizione e questo era ottenuto proprio attraverso levocazione dellantivalore, della realt inversiva per eccellenza rispetto alla tradizione greca, cio attraverso levocazione del sacrificio umano. Il tema appare centrale per questi motivi nel pensiero greco e tale rimase anche quando non ne fu pi compreso il reale significato. Potremmo dunque dire che nel mondo greco antico il motivo delluccisione sacrificale di esseri umani - ivi compresa la categoria particolare del sacrificio del figlio da parte del padre - era assai frequente nel mito, ma questa frequenza non trovava corrispondenza nella prassi rituale ordinaria e storica; tuttavia per quella realt storica era assolutamente importante. I due piani del mito e del rito, come si visto, sono nettamente disgiunti e separabili99. Il sacrificio umano, in particolare, ci che il mito racconta e che, sempre secondo il mito, si faceva in un tempo remoto e diverso. Tuttavia, allo stesso tempo, ancora il mito che fonda la sua non praticabilit nella realt attuale e storica, proprio attraverso la narrazione di come quelloriginaria, presunta, pratica delle origini fosse stata poi proibita e sostituita da diversi usi cultuali, quelli appunto attuali di cui si narra lorigine e a cui, proprio attraverso il mito, si garantisce una fondazione metastorica e con essa limmutabilit.
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BONNECHERE 1994: 164-180 Il tema del rapporto mito rito stato affrontato nella prima met del Novecento nellambito della scuola dei ritualisti di Cambridge (Myth Ritual School) e in particolare nellambito degli orientalisti gli studiosi della cosiddetta regalit sacra orientale.

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CAPITOLO 3: IL MITO DEL RITO SEMITICO

3.1 IL SACRIFICIO SEMITICO: LOFFERTA DEI PRIMI NATI E IL RITO MOLOCHITICO Pi complessa invece la questione sullesistenza o meno di una pratica rituale, nella storia, del sacrificio umano - e nella fattispecie proprio del sacrificio di bambini - nellarea semitica e in particolare nel mondo ebraico e fenicio. La nostra prima documentazione parte da pi passi dellAntico Testamento a cominciare dallevitazione del sacrificio di Isacco, che abbiamo posto allinizio del nostro discorso. Molti altri dati sembrano tuttavia far riferimento ad un uso sacrificale di questo tipo, dove il sacrificio umano - e per lo pi si tratta di sacrifici di infanti - sempre presentato come una deviazione dal vero culto yahwista. Questo dato tuttavia ben si attaglia alla constatazione, gi ricordata, di Grottanelli, sulla strategie di negazione nel discorso sul sacrificio umano, che appaiono comuni al mondo ebraico come a quello greco e latino. Secondo lo schema consueto, infatti, il sacrificio umano rifiutato mediante un discorso che si articola secondo i quattro motivi fondamentali gi osservati: il ricordo della sua prassi nel tempo dei primordi, in particolare proprio il caso di Genesi 22; il rigetto di tale rito (sempre in Genesi 22, ma anche nei numerosi passi che trattano della sostituzione del primogenito con un animale da sacrificare a Yahw); il racconto di sacrifici umani in occasioni eccezionali (ad esempio il sacrificio della figlia di Iefte, che stato spesso accostato a quello di

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Ifigenia); infine lattribuzione di questi riti al culto straniero del dio Moloc o ai Fenici100. Il discorso biblico sul sacrificio di infanti si pu articolare secondo due nuclei fondamentali: il primo riguarda lofferta primiziale, ossia la dedicazione sacrificale a Yahw di tutto ci che primo prodotto, animale, vegetale e anche umano, secondo una pratica che diffusa in moltissime culture; il secondo si ricollega invece alla discussa questione dei presunti sacrifici umani a Moloc in quel tipo particolare di area cultuale che convenzionalmente denominata tofet. In un articolo pubblicato nel 1999 sulla rivista Archiv fr Religionsgeschichte101, T. Rmer, avanzando unipotesi poco diffusa e non accreditata dai pi, riconosceva una veridicit storica ad entrambi questi tipi di sacrificio per il mondo ebraico antico, nonostante lesplicita condanna che formulata per entrambi in svariati passi dellAntico Testamento. Secondo lo studioso, infatti, le due parti della Bibbia che affrontano largomento sacrificio umano, il Pentateuco (Torah) e i libri storici e profetici (Nebiim), sarebbero il prodotto dellideologia dellelite sacerdotale degli uomini del ritorno dallesilio in Babilonia (alla fine del VI secolo a.C.) piuttosto che testimonianze di una prassi effettiva dellepoca. Essi sarebbero in particolare fortemente marcati dalla necessit di elaborare uno yahwismo ortodosso nato dallincontro con il mondo persiano secondo un modello teologico in qualche modo in sintonia con i suggerimenti del modello di Ahura Mazda. Questo sarebbe stato anche il momento di elaborazione del monoteismo assoluto, che appare dunque unelaborazione tardiva datata allet persiana102. In questo stesso contesto, determinato dalla nuova situazione, anche il sacrificio umano, fino ad allora praticato nelle forme dellofferta primiziale e
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GROTTANELLI 19992: 62 RMER 1999: 17-26 102 Limportanza degli uomini del ritorno (da Babilonia dopo la deportazione ad opera di Nabucodonosor) e la riformulazione del monoteismo yahwista sulla base di una rigida osservanza dellortoprassi le leggi speciali della legge mosaica del Levitico e del Deuteronomio - ed anche il rilancio di una nuova teologia yahwista sono dati ampiamente riconosciuti. Vedi SMITH 1996 : 73-84 e SABBATUCCI 2001 : 25-46

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dei riti a Moloc - o molk, come si vedr - fu solo tardivamente rifiutato e stigmatizzato come un costume barbaro. In realt, secondo Rmer, tali riti dovevano essere stati praticati dagli ebrei e solo il giudaismo ufficiale li sradic, per compiacere la sensibilit religiosa degli Achemenidi103. Per quel che riguarda in particolare il sacrificio dei primi nati, lidea che le primizie di un raccolto e i primogeniti del proprio bestiame siano da offrire alla divinit ampiamente attestata. Essa serve a riconoscere simbolicamente che la divinit sia lunica autrice e lunica vera proprietaria di tutti i beni di cui luomo fruisce. Allo stesso tempo, secondo Brelich104, luomo pu godere di tali beni proprio in virt di questa offerta primiziale che, concentrando la sacralit su una prima parte, desacralizza il resto e lo rende disponibile alluomo. Numerosi passi biblici in effetti ribadiscono il dominio riservato a Dio sui primogeniti; lofferta primiziale riguarda non solo il bestiame ed i raccolti, ma anche i primi nati degli uomini, e qui il discorso diventa particolarmente delicato, perch alcuni studiosi individuano nellofferta umana, poi sostituita, per riscatto, da unofferta animale, una probabile traccia di arcaici sacrifici umani di bambini praticati dagli ebrei. Uninterpretazione ossequiosa del metodo evolutivo inferiva che Yahw avesse originariamente preteso lofferta anche dei primogeniti umani, consentendo solo poi che ad essi fossero sostituiti i primi parti animali. La pretesa fondata, come si detto, sullappartenenza a Yahw di tutto ci che creato e che prodotto sulla terra, compresi gli uomini, dato in effetti pi volte ribadito nelle Scritture. Lappartenenza dei primogeniti, anche umani, a Yahw sarebbe fondata in particolare anche attraverso la commemorazione di una grande vicenda mito-

La posizione di Rmer non ha in realt giustificazioni. Non c rapporto tra la costruzione dellortoprassi ebraica della Torah (le famose Leggi Speciali del Levitico con le regole di purit ) ed una non documentata ortoprassi persiana. Il rapporto Persia - mondo ebraico si gioca su unaltra piattaforma, pi significante,quella della riorganizzazione in senso strettamente monoteistico della teologia regale di YHWE, vedi n. 75 104 BRELICH 1966: 45-46

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storica, quella della salvazione del popolo ebraico dalla schiavit e della sua fuga dallEgitto con la liberazione del popolo eletto. Yahw cos Mos: Consacrami ogni primogenito che apre il grembo fra i figli dIsraele: uomo e animale sono miei Esodo XIII, 1-2 E lappartenenza a Dio di tutti i primogeniti, anche umani, ribadita anche poco dopo: Non tarderai a fare lofferta di ci che riempie il tuo granaio e di ci che cola dal tuo frantoio. Mi darai il primogenito dei tuoi figli. Cos farai del tuo bue e della tua pecora: sette giorni sar con sua madre e allottavo giorno lo darai a me Esodo XXII, 28-29 Tuttavia, questa sembra essere solo una dichiarazione di appartenenza simbolica di tutto il creato, di ogni essere vivente, compreso quindi luomo, a Yahw. In numerosi altri passi, infatti, Yahw la ribadisce, ma appare una significativa distinzione fra cucciolo animale e figlio delluomo: i primi dovranno essere realmente offerti a Yahw, come ordinato, i secondi invece dovranno essere riscattati. Ancora una volta, sembra che anche nel mondo ebraico antico, come in quello greco, il sacrificio umano nella realt dovesse essere assolutamente evitato; lofferta reale che lo equiparava ne assumeva il valore, ne era il simbolo, ma si rendeva comunque necessaria una sostituzione. La regola di principio, come nel mondo greco, era fatta solo per essere puntualmente evasa nella prassi. E cos numerosi passi insistono sulla necessit di un riscatto per i figli delluomo: il riscatto salva dalluccisione. Qualunque primogenito di ogni essere vivente, offerto al Signore, uomo o bestia, sar tuo: per farai riscattare il primogenito delluomo e il primogenito dellanimale impuro. Riceverai il loro riscatto da un mese di et, secondo la tua stima in denaro, di cinque sicli del siclo del santuario, che di venti ghera. Ma non riscatterai il primogenito della vacca o il primogenito della pecora o il
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ordina a

primogenito della capra: sono santi. Spanderai il loro sangue sullaltare e farai fumare il loro grasso: sacrificio di fuoco in odore gradevole al Signore. Numeri XVIII, 15-17 E ancora, nellEsodo, si ribadisce a pi riprese lappartenenza dei primogeniti a Dio e la necessit di riscattare e di non sacrificare lanimale impuro, nella fattispecie lasino, e il figlio delluomo, perch anche se per motivi evidentemente diversi - non costituiscono offerta gradita a Dio: Quando il Signore ti avr condotto nel paese del Cananeo, come lha giurato a te e ai tuoi padri, e te lavr dato, riserverai per il Signore ogni essere che apre il grembo e ogni parto dellanimale che avrai: i maschi sono del Signore. Ogni primo nato dasino lo riscatterai con un animale del gregge, e se non lo potrai riscattare, gli spezzerai la nuca. Ogni primogenito duomo, tra i tuoi figli, lo riscatterai. E se tuo figlio domani ti domander: Che cos questo?, gli dirai: Con mano forte il Signore ci ha fatto uscire dallEgitto, dalla casa di schiavit. E poich il faraone si ostinava a non mandarci via, il Signore fece morire tutti i primogeniti in terra dEgitto, dal primogenito delluomo al primogenito dellanimale; per questo sacrifico al Signore ogni maschio che apre il grembo, e riscatto ogni primogenito dai miei figli. Esodo XIII, 11-15 Chiunque apre il grembo mio, ogni primogenito maschio, bovino ed ovino. Riscatterai il primo nato di un asino con un ovino e se non potrai riscattarlo gli spaccherai la nuca. Riscatterai ogni primogenito dei tuoi figli. Non ti presenterai davanti a me a mani vuote. Esodo XXXIV, 19-20 Dio stesso dunque condanna implicitamente luso dellimmolazione dellessere umano, ribadendo la diversit e leccezionalit di questa vittima rispetto a quella animale. Ovviamente anche leccezionalit della non sacrificabilit dellasino particolarmente significante, anche se non possiamo occuparcene qui. In linea di principio dunque luomo appartiene a Yahw come la bestia, ma nella prassi questa appartenenza non doveva esplicitarsi in unofferta sacrificale. Lofferta dellessere umano appare come un fatto empio da evitare. Il sacrificio umano connotato negativamente ed esplicitamente condannato, in un passo in cui, stranamente, Yahw stesso se ne assume la responsabilit:
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Io stesso poi diedi loro decreti non buoni e norme che non danno la vita. Li feci macchiare dimpurit con le loro offerte di consacrazione di ogni primogenito, per gettarli nella costernazione, affinch riconoscessero che io sono il Signore. Ezechiele XX; 25-26 Questa condanna del sacrificio umano, in particolare dellofferta dei propri figli, era intesa come la condanna della degenerazione dei costumi del popolo dIsraele, venuto in contatto con le popolazioni originarie del luogo, i Cananei. Il rito del moloch era interpretato come una deviazione dalla Legge, dovuta alla contaminazione con il cattivo costume degli altri. A pi riprese questi cattivi costumi sono fatti oggetto di una severa condanna da parte degli autori dei testi biblici, soprattutto di quelli storici e profetici. Il Salmista narra con accenti dindignazione questa degenerazione, attribuita senzaltro al contatto con i Cananei: Non sterminarono i popoli, come aveva loro ordinato il Signore, si mescolarono con le nazioni e appresero a compiere le loro opere; prestarono culto ai loro idoli che divennero per loro un tranello. Immolarono i loro figli e le loro figlie ai falsi dei. Versarono il sangue innocente, il sangue dei loro figli e figlie che immolarono agli idoli di Canaan, e fu profanata la terra con delitti di sangue. Salmi CVI 35-38 Il sacrificio dei figli e delle figlie che il Salmista, come molti altri autori biblici, ricorda e stigmatizza, luso di passare per il fuoco i propri figli a quel Moloc, che per lungo tempo stato inteso come una divinit. Il passo pi significativo a questo proposito quello di 2 Re XXIII, 10, in cui si narra di come il re Giosia (fine VII secolo, epoca pre-esilica), dopo aver trovato il libro della Legge, intraprende unopera di riforma religiosa, che rappresenta un primo impegno di recuperare il rapporto fra il popolo eletto e Yahw, purificando e migliorando anzitutto lesercizio del culto. Si assiste cos ad un solenne rinnovamento rituale di quellAlleanza che era stata gi conclusa una prima volta fra Dio e il popolo ebraico sul Sinai. Il programma di Giosia prevede anzitutto la riaffermazione di un monoteismo puro, con lestirpazione di tutti i culti stranieri - politeisti - e degli idoli,
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labolizione della prostituzione sacra, la condanna di tutte le pratiche di magia, infine laffermazione dellunicit del tempio, con lesclusione di tutti gli altri luoghi di culto. In questo contesto, dopo aver distrutto gli oggetti del culto di Baal e Ashera, soppresso i falsi sacerdoti idolatri, fatto abbattere la casa dedicata alla prostituzione sacra, Giosia profan il tofet che si trovava nella valle di Ben-Innm, perch nessuno vi facesse passare il proprio figlio o la propria figlia per il fuoco in onore di Moloc. 2 Re XXIII, 10 E evidente dunque che questo passaggio per il fuoco a Moloc doveva essere una pratica piuttosto diffusa e frequente. Questo rito, sempre stigmatizzato dagli autori biblici, ricordato in numerosi passi dove evidente che esso era percepito come una degenerazione rispetto ai puri costumi delle origini, dovuta allinfluenza di altri culti. Si dice che anche due re immolarono in questo modo i loro stessi figli, re che del resto sono ampiamente condannati per la loro empiet dal redattore dei relativi passi. Il primo fra questi fu Acaz, che non fece ci che retto agli occhi del Signore Dio suo, come aveva fatto il suo antenato Davide. Imit la condotta dei re dIsraele e fece persino bruciare suo figlio, secondo le usanze abominevoli delle genti che il Signore aveva cacciato davanti ai figli di Israele. 2 Re 16, 2-3 Latto ricordato anche in un altro passo, in cui ancora si ribadisce che Acaz offr incenso nella valle di Ben-Innm e bruci nel fuoco i suoi figli imitando labominazione dei pagani che il Signore aveva cacciato davanti agli Israeliti 2 Cronache XXVIII, 3 Laltro re, Manasse, attir su di s e sul suo popolo le ire del Signore, per aver partecipato ai riti stranieri ed aver contaminato cos il vero culto con le credenze dei Cananei. Egli infatti eresse altari a Baal, vener molte divinit e pratic la magia, ma soprattutto, come Acaz, fece passare i suoi figli attraverso il fuoco nella valle di Ben-Innm (2 Cronache XXXIII, 6).
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Al di l dei re celebri che ricorsero a un tale rito, le notizie sono numerosissime e luso, evidentemente diffuso, di far passare per il fuoco i propri figli a Moloc nel luogo detto di Ben-Innm esplicitamente proibito nella Legge e stigmatizzato a pi riprese dai profeti105. Alla pratica ci si riferisce assai spesso come ad un costume depravato ed abominevole connesso con ladorazione di altre divinit e di altri idoli, nel contesto di un culto che era sempre pi corrotto dalle usanze locali dei popoli pagani. In realt, nulla impone di considerare questo passaggio per il fuoco un vero e proprio sacrificio cruento di infanti e di non considerare invece lenunciato un modello metaforico iniziatico, come abbiamo osservato a commento dei miti greci di tentata immortalizzazione attraverso il fuoco. Sergio Ribichini, in un suo contributo specifico sulla natura e la funzione dei luoghi cultuali denominati tofet106, avanza dei dubbi sul valore cruento di questi rituali, che potrebbero piuttosto riguardare una semplice consacrazione o iniziazione. Riassumiamo di seguito le sue argomentazioni. Non solo espressioni analoghe di passaggio sono utilizzate anche altrove nella Bibbia per indicare la consacrazione a Yahw dei primogeniti, ma le antiche traduzioni greche e latine del testo rendono lespressione far passare per il fuoco con altre che chiaramente rinviano ad uno scenario iniziatico e non violento. Solitamente il rito viene inteso, in queste traduzioni, come un far passare in mezzo, consacrare, offrire, porre al servizio di dio, purificare il proprio figlio portandolo attraverso il fuoco. Come si gi avuto modo di notare, anche nel mondo classico al fuoco veniva sovente attribuito un ruolo di mediatore: passaggi attraverso il fuoco e bolliture erano considerati come abbiamo visto un mezzo simbolico, un modello mitico per ringiovanire gli esseri viventi o per assicurare loro limmortalit.

Per citare alcuni dei passi, vedi Deuteronomio XII, 31 e XVIII, 10; Levitico XVIII, 21; Geremia VII, 31-32, XIX, 5 e XXXII, 35; Ezechiele XVI, 20 segg. e XX, 30-31 106 RIBICHINI 1987: 14-15

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Per molto tempo si creduto comunque che questo Moloc, di cui si trovano ampi riferimenti nella Bibbia, fosse il nome di una particolare divinit, destinataria del sacrificio. In realt, cos veniva trascritto nelle traduzioni greche e latine il termine ebraico mlk, che sempre posto in relazione a questi presunti sacrifici di infanti, che si sarebbero svolti - almeno secondo 2 Re XXIII, 10 e Geremia XXXII, 35 nel luogo cultuale denominato tofet e situato nella valle di Ben-Innm, a Sud di Gerusalemme. I massoreti curatori del testo ebraico dellAntico Testamento vocalizzarono in modo volutamente peggiorativo il termine mlk come mlk, invitando a leggerlo con le stesse vocali di bsht, cio onta, infamia (come del resto accadde anche per il luogo di culto ad esso collegato, tpt in ebraico, vocalizzato tophet). Secondo una particolare interpretazione che stata data in passato al termine, questo mlk sarebbe stato in origine, prima della vocalizzazione peggiorativa, un dio mlk, cio un dio re. Gli autori per divergevano sul possessore di questo nome; alcuni infatti identificavano in lui Yahw stesso (ad esempio Robertson Smith), altri vi vedevano invece una divinit canaanita (Lagrange). In seguito per, in territorio punico - quindi fenicio - furono fatte delle importanti scoperte, che sembravano attinenti alla questione e che apportarono in effetti nuovi elementi per valutare la natura del Moloc biblico. Esse misero in discussione lesistenza di una divinit con questo nome nel culto cananeo, dimostrando invece lesistenza, nella lingua punica, di un termine mlk, vocalizzato molk e avente chiaro valore sacrificale. Furono infatti portate alla luce numerose stele recanti delle iscrizioni che contenevano tale termine, isolato o abbinato ad altre locuzioni. Con il procedere delle scoperte si rese sempre pi chiaro che esso riguardava in qualche modo un voto, unofferta, e che i principali interessati erano gli infanti, anche se questi non erano necessariamente le vittime di un sacrificio umano.

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Gi fra il 1870 e il 1880 furono trovate sulla collina di El-Hofra, presso Costantina, delle stele; vi si leggeva la parola mlk in due diverse espressioni, mlkmr e mlkdm. Nel 1930 unaltra importante scoperta riapr la questione: si trovarono infatti a Ngaous altre stele, recanti iscrizioni redatte in latino, che chiarivano il significato del precedente ritrovamento; si parlava infatti di un sacrificio denominato molchomor, che era un sacrificio di sostituzione per la vita di un bambino. Dunque anche il mlkmr della stele di Costantina si chiar come un sacrificio sostitutivo di un agnello per la vita di un uomo. Il significato dellaltra espressione, mlkdm, resta invece tuttora incerto, sebbene taluni labbiano definito come un sacrificio umano, senza sostituzione. Sulla natura di questi sacrifici molk molto si discusso; le iscrizioni sulle stele, infatti, non dicono molto sullo svolgimento del rito. Nel 1935 O. Eissfeldt, in un celebre opuscolo107, stabil per primo un collegamento fra il mlk delle iscrizioni puniche e quello ebraico, fino ad allora ancora inteso come il nome di una divinit, proponendo di riconoscergli un valore genericamente sacrificale. I dati biblici contribuirono cos, insieme con quelli delle fonti classiche greche e latine, a fornire una particolare interpretazione dei riti fenici e punici, riti semitici, praticati in svariati territori dellAfrica settentrionale, ma anche della Sicilia e della Sardegna. Qui infatti si sono trovati numerosissimi tofet, cio aree sacre a cielo aperto, contenenti stele in pietra, con figurazioni e iscrizioni votive, ma anche urne cinerarie con ossa cremate di bambini e di piccoli animali, e oggetti cultuali di vario tipo. Per lungo tempo, sulla base del ritrovamento di queste urne, delle testimonianze bibliche sul passaggio nel fuoco dei bambini, e delle numerose fonti classiche, che parimenti attribuivano ai Fenici e ai Cartaginesi la pratica
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EISSFELDT 1935

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del sacrificio umano, in particolare infantile, si ritenuto che questa fosse la vera, e unica, funzione del tofet, cio che si trattasse di unarea preposta al sacrificio di infanti. A questa conclusione, infatti, sembravano portare lanalogia fra il passaggio nel fuoco dei bambini nel corso di riti molk descritto nei testi veterotestamentari, il ritrovamento di numerosissimi resti cinerari di bambini nelle urne, le iscrizioni sulle stele che facevano un ambiguo riferimento al coinvolgimento di questi ultimi nel rito, ma soprattutto le affermazioni degli autori greci e latini. In particolare, una notizia di primaria importanza nellinterpretazione dei riti sacrificali cartaginesi, dovuta ad un autore di et augustea, Diodoro Siculo (XX, 14). Egli riferisce un particolare rito, compiuto dai Cartaginesi in un momento storico critico: lassedio da parte di Agatocle. Credendo che la loro sventura fosse dovuta allira di Baal, giacch essi avevano smesso di immolargli i propri figli e sacrificavano invece dei bambini acquistati appositamente, per placare il dio fecero precipitare in una fossa infuocata dalle mani di una statua bronzea, definita come una statua di Kronos, pi di duecento fra i figli delle famiglie pi nobili. Anche Plutarco (De Superstitione, 13), nel I secolo d.C., ricorda che i Cartaginesi sacrificavano i loro figli a Kronos e che coloro che erano senza figli li acquistavano dai poveri come se fossero degli animali. Il cristiano Tertulliano, che possiamo considerare fondatore della patristica latina, assicura che in Africa si immolavano pubblicamente fanciulli a Saturno interpretazione latina del greco Kronos - fino al tempo del proconsolato di Tiberio, e aggiunge che ancora ai suoi tempi si compiva segretamente questo sacrum facinus (Apologetico IX, 2-3). Nella Teogonia di Esiodo Crono Kronos il figlio castratore e il padre cannibale, ma non bisogna dimenticare che egli presentato nelle Opere e i giorni come il dio pi antico, il dio dellet delloro e cos interpretato pi tardi e nella tradizione romana dove si presenta
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come Saturnus - Saturno.

Non dimentichiamo quindi il coinvolgimento di

questa divinit in una dimensione nettamente preattuale. Tuttavia anche Filone di Biblo, nel passo gi citato riportato da Eusebio di Cesarea (Praeparatio Evangelica 1, 10), ricorda lantico costume fenicio del sacrificio dei pi cari dei figli nei casi di grande pericolo. C dunque chi, sulla base di queste e altre testimonianze, attribuisce fondatezza storica alla presenza di sacrifici di infanti nel mondo fenicio108. In particolare, quanto meno fino al 1987 - anno in cui sono stati pubblicati due studi innovativi, che proponevano conclusioni simili, di Sabatino Moscati e Sergio Ribichini109 - questa era lopinione corrente negli studi: i semiti, fenici e punici, sacrificavano bambini agli dei per propiziarsene il favore, specialmente in casi di pericolo o calamit. Si aggiungeva che le vittime erano bruciate, dopo essere state uccise o per essere uccise, e che il rito era stato importato in area fenicio-punica dalloriente, dal momento che ne parla a pi riprese lAntico Testamento. Le ossa di animali rinvenute nei tofet sarebbero state riferibili solo a pratiche tardive di sostituzione. Tuttavia, negli ultimi anni, sulla base dei nuovi ritrovamenti archeologici e delle pi accurate indagini osteologiche, nonch della pi recente critica delle fonti, si reimpostato il problema. Come si detto, si fatta strada negli studi una nuova posizione, che ridefinisce la funzione dei tofet punici non pi come il luogo votato al sacrificio sistematico dei bambini, ma piuttosto come un luogo cultuale dallo statuto complesso, che fungeva piuttosto, fra laltro, da necropoli infantile.

In realt le testimonianze, al di l dei controversi dati biblici, riguardano i soli luoghi dellespansione fenicia in Occidente, sicch questa pare essere piuttosto una caratterizzazione autonoma della religione punica. Come si vedr, infatti, circa leredit orientale della pratica, sono stati avanzati numerosi dubbi sulla presunta equivalenza fra il rito biblico del passare per il fuoco e la fenomenologia del molk nel mondo fenicio dOccidente. Vedi XELLA 1981: 17 Una diversa posizione quella di Garbini, per cui invece il sacrificio in questione ebbe in effetti origine in Fenicia verso linizio del I millennio a.C. sulla base di un apporto egeo-anatolico. Poi la pratica scomparve dalla madrepatria, mentre prosegu e forse si svilupp nelle colonie occidentali. GARBINI 1981: 29-42 109 RIBICHINI, Il tofet e il sacrificio dei fanciulli, Sassari, 1987; e MOSCATI, Il sacrificio punico dei fanciulli: realt o invenzione?, Roma, 1987

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Di questo parere sono i due eminenti studiosi della civilt fenicia gi citati, Ribichini e Moscati, che in un loro contributo hanno riepilogato la situazione degli studi sulla questione110. Le loro posizioni, bench elaborate indipendentemente, convergono in gran parte; i due studiosi infatti concordano sulla necessit di ridimensionare la portata delle testimonianze antiche, per lo pi tendenziose e viziate da scopi propagandistici e politici, in funzione anticartaginese e anti-pagana (per quel che riguarda gli autori cristiani). Non solo i dati vetero-testamentari sulla religione fenicia sono molto tendenziosi111, ma, come ricorda Ribichini112, anche gli autori antichi che affrontano largomento, dimostrano di non averne affatto una conoscenza diretta. Le loro testimonianze sono divergenti su pi fronti. Sulla stessa et delle vittime in realt non c accordo, e solo raramente le vittime sono indicate come dei bambini, mentre non mancano indicazioni su adolescenti o anche adulti di et ben superiore. Per quel che riguarda il luogo, nessuna fonte indica lesistenza di aree sacre riservate allimmolazione dei fanciulli, quali avrebbero dovuto essere i tofet. Lunico punto su cui sembra esserci un certo accordo riguarda le circostanze del rito, a cui si sarebbe fatto ricorso in circostanze eccezionali e di estrema gravit per tutti. Dunque, anche volendo attribuire un valore storico a queste testimonianze, chiaro che esse trattavano piuttosto di sporadiche uccisioni rituali, comuni del resto a moltissime civilt antiche, e non di veri e propri sacrifici umani, inseriti nella pratica cultuale, e tanto meno di infanti. Le uccisioni rituali, riferite dalle fonti classiche, non hanno comunque legami diretti n con il rito dellolocausto di fanciulli, n con larea cultuale del tofet, n hanno mai per destinataria una figura identificabile con la dea punica Tanit, che invece indicata nelle stele, insieme a Baal Hammon, quale destinataria dei riti molk. Ribichini inoltre rileva che a queste due divinit

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MOSCATI RIBICHINI 1991 A questo proposito vedi SOGGIN 1981: 81-88 112 RIBICHINI 1987

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pertiene un carattere tuttaltro che sanguinario e crudele: Tanit, infatti, avrebbe piuttosto i caratteri di una grande e benefica dea, preposta alla fecondit della donna e alla crescita dei fanciulli; Baal Hammon, spesso identificato con Kronos o Saturno, ne condividerebbe il vigore, la saggezza e la benevolenza, pi che la ferocia - anche se, ribadiamo, Kronos il padre cannibale di unet preattuale. Inoltre, nota Ribichini, se leccezionalit e il valore comunitario dellimmolazione rituale caratterizzano gran parte degli episodi riportati dalle fonti classiche, regolarit e forma privata contraddistinguono invece le dediche rinvenute nei tofet. Esse commemorano in genere sacrifici celebrati in ringraziamento, in supplica o in adempimento di un voto, e paiono legate a bisogni individuali. Sembra evidente dunque che i riti che avevano luogo nel tofet non dovevano avere nulla a che fare con quelli testimoniati dagli autori antichi. Le stele inoltre non parlano con evidenza di fanciulli sacrificati; anzi, le formule usate paiono indicare che il sacrificio molk fosse un sacrificio di sostituzione per la salute o la salvezza di qualcuno. I fanciulli sembrano essere i principali beneficiari del rito: la loro incolumit veniva affidata alle divinit Tanit e Baal Hammon mediante il rito molk. Questo poteva essere un rito legato alla gravidanza e ai pericoli della prima infanzia e consisteva in una consacrazione del bambino agli dei protettori in una sorta di rinascita culturale. A ci si aggiunga che dalle recenti analisi osteologiche emerso che le ossa appartenevano per lo pi a dei feti o a dei neonati, dunque a soggetti che non avevano ancora acquisito il loro status definitivo nella societ, non essendo ancora stati sottoposti ai necessari riti di passaggio. Nonostante le molte ambiguit non chiarite, la conclusione di Ribichini, e di molti altri studiosi, stata dunque che il cosiddetto tofet fosse piuttosto una necropoli infantile, preposta ad accogliere i bambini, ancora esclusi dalla societ degli adulti, perch defunti prima di aver subito i riti necessari allingresso in
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essa, e conseguentemente votati alle divinit con un rito specifico. Tuttavia il tofet era pi di questo: doveva essere anche il luogo del culto a quelle due divinit, Tanit e Baal Hammon, in quanto preposte alla sfera del parto, della nascita e delle morti precoci. Vi si sarebbero dunque conservati i piccoli defunti ancora non iniziati - cio non accolti nellambito dei riconosciuti dalla famiglia e dal gruppo - ma anche mantenuto il culto delle divinit protettrici. I riti assicuravano ai bambini deceduti un oltretomba tranquillo e garantivano ai sopravvissuti la protezione divina. Probabilmente il tofet aveva a che fare anche con i riti iniziatici concernenti i fanciulli, relativi alla loro crescita e al loro inserimento nella societ. Inoltre il culto degli dei del tofet si metteva in rapporto con la sorte ultraterrena di quanti morivano precocemente. Allo stato attuale, tuttavia, il dibattito aperto e ci sono ancora molte incertezze, per cui non stata data ancora una risposta definitiva al problema. Linterpretazione sacrificale dei riti compiuti nel tofet ancora infatti proposta da molti studiosi. E stata anche avanzata unipotesi, che gode fra laltro di un certo credito, per cui linfanticidio rituale sarebbe stato praticato da Fenici e Cartaginesi come mezzo per il controllo della crescita demografica. Tuttavia si spesso ribattuto che una tale teoria appare inverosimile per un mondo, come quello antico, in cui il tasso di mortalit infantile doveva essere assai elevato; in questo contesto, ovviamente, la scelta di sacrificare dei bambini sani sarebbe stata controproducente, del tutto irrazionale. Molto meglio si attaglia, allalto tasso di mortalit infantile, lipotesi che definisce il tofet come una necropoli infantile, deputata allaccoglimento, appunto, dei numerosi bambini nati morti o deceduti in tenera et, bench il tofet fosse certamente molto pi di questo. Tanto meno appare fondata lopinione corrente, per cui il sacrificio del tofet corrispondesse ad un voto passato, fatto da coppie che non riuscivano ad avere figli, o a cui era nato un figlio morto, di sacrificare il primo bambino che fosse loro nato e che fosse in salute. Di fronte infatti ad una situazione cos critica,
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non si riesce a comprendere come una coppia che finalmente abbia raggiunto il proprio scopo, quello di avere un bambino nato in perfetta salute, lo possa sacrificare per adempiere ad un voto fatto in passato113. Tuttavia, come si detto, il dibattito ancora aperto e ci sono ancora moltissime incertezze, tanto vero che si assistito persino, in tempi non troppo remoti, ad un ritorno del dio Molek. Lipotesi, che ripropone linterpretazione del mlk biblico come teonimo - e in particolare come nome di una divinit che esigeva sacrifici umani - stata infatti proposta da G.C. Heider in una monografia del 1985114 e ripresa poco dopo anche da uno studio di J. Day115. Lopinione corrente oggi, comunque, appare essere quella che tende a negare la realt della pratica dellinfanticidio rituale presso il mondo fenicio. Anche se non mancano, come si detto, opinioni contrarie, Grottanelli rileva lesistenza di unattuale tendenza negazionista e sottolinea che tuttavia esiste, anzi appare centrale, ed talvolta chiaramente espresso, un sottofondo ideologico nel modo che hanno di accostarsi al problema tanto i moderni negatori quanto i moderni assertori della realt del sacrificio umano. 116

3.2 IL MITO DELLINFANTICIDIO RITUALE NELLACCUSA AGLI EBREI Il sottofondo ideologico a cui si alluso ha le sue esemplificazioni. Campione in tempi recenti di una lettura ideologica, che tendeva ad avvalorare la realt del sacrificio a Moloc, addirittura attribuendolo agli ebrei stessi anzich ai fenici, fu certamente il filosofo e grafologo tedesco Ludwig Klages, sul cui antisemitismo si molto discusso117. Grottanelli, nel suo excursus sulle concezioni sacrificali del Novecento, si sofferma in particolare su una sua opera, Der Geist als Widersacher der Seele
Una critica dellinterpretazione che vede linfanticidio rituale presso i cartaginesi come mezzo di controllo demografico in RIBICHINI 1987: 44-45, e in MOSCATI RIBICHINI 1991: 20-21 114 HEIDER 1985 115 DAY 1989 116 GROTTANELLI 19991: 56 117 In particolare, una polemica sullantisemitismo di Klages testimoniata da due articoli, pubblicati entrambi nel 1997, di S. BARBERA e G. MORETTI
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(Lo spirito come avversario dellanima), che Klages pubblic fra il 1929 e il 1932. Il testo comprendeva infatti un capitolo, Sul significato originario del sacrificio, molto interessante per il valore che veniva attribuito al sacrificio umano. In una prospettiva nettamente irrazionalista, e nel contesto di una rivendicazione della priorit delle ragioni dellanima e della sfera vitale rispetto a quella spirituale, il filosofo si soffermava sul valore cosmico del sacrificio umano. Esso avrebbe permesso, nel suo pensiero, di trasformare quella che era la semplice catastrofe del morire e dellessere partorito in un nuovo ritmo cosmico, quello del trapassare e del risorgere. Cos viene espresso questo principio nel passo citato da Grottanelli: Soltanto se il morire rassomigliava al trapassare elementare, e lessere partorito al sorgere elementare, il morire si presentava nella luce di un processo in cui un nuovo divenire poteva accendersi tramite il ritorno in forma rinnovata di ci che stato. In quali modi ci sia raggiungibile,e se in assoluto venne mai completamente realizzato dalluomo qualcosa di cos grandioso, resta da vedere; sufficiente che un modo fosse lofferta della divinit dellanima attraverso il sacrificio delle immagini reali del dio. Nel brivido della fine, che era esperito dalla vittima e partecipato dai presenti, la morte svaniva e limmagine del demone nuovamente nascente si ergeva dalle profondit di un morire trasformatosi completamente in trapassare.118 Il sacrificio delle immagini reali del dio, dunque, preludeva alla sua rinascita, gli restituiva la vita, trasformando finalmente la morte in un semplice trapasso. La sostituzione, nella prospettiva del filosofo tedesco, poteva rappresentare un ingentilimento dei costumi, ma non doveva necessariamente essere attuata. E cos il filosofo esaltava in particolare i riti sacrificali del popolo azteco, presso cui - secondo una apparentemente almeno documentata tradizione - venivano offerti indistintamente esseri umani o immagini sostitutive della divinit, e i due tipi di offerta non erano distinti. Se il sacrificio degli Aztechi realizzava pienamente, nella prospettiva di Klages, il modello cosmico da lui

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descritto, non si poteva per dire altrettanto di un altro genere di sacrificio umano, quello da lui definito come molochitico. Con questa espressione, e con un rovesciamento significativo, Klages attribuiva al popolo ebraico quei riti di sacrificio infantile, che nellAntico Testamento erano in realt stigmatizzati e attribuiti al Moloc fenicio. Questi sacrifici molochitici erano definiti, dal filosofo tedesco, come riti orribili, offerti ad una divinit, Moloc, che era altrettanto palesemente denigrata come uno spiacevole idolo che si nutre di bambini.119 Nella prospettiva di Klages, questo sacrificio, contrariamente al modello del sacrificio umano, cos come era praticato, ad esempio, dagli Aztechi120, era un sacrificio ostile alla vita. Il concetto di molochismo, a pi riprese proposto da Klages, si connotava infatti come una tendenza distruttiva, una caratteristica costitutiva insita nel sangue della cosiddetta razza ebraica. Questo principio distruttivo era dunque concepito come una caratteristica anzitutto biologica, cos come lo era il principio cosmico, insito altrettanto naturalmente nel sangue degli ariani. Klages stesso riprendeva da Schuler, laltro cosiddetto cosmico di Monaco insieme a Klages stesso e Wolfskehl, il concetto di Blutleuchte, splendore del sangue, sottolineando che in questa parola-chiave si compendiava una valutazione completamente nuova, per quei tempi, del sangue come sostanza che decide dellimpronta dellanima.121 Dunque lazione, anche sacrificale, in questa prospettiva biologica, era chiaramente gi determinata dalla natura delle sostanze razziali contenute nel sangue. Veniva cos accettata come stabilita una netta gerarchia che poneva la razza germanica (per Klages) o quella romana (per Schuler) ai vertici, quella ebraica chiaramente agli antipodi. Sulla base di questa opposizione, dunque, gli ariani rappresentavano il principio cosmico, quello edificante la vita vera,
GROTTANELLI 1999: 95 Sul sacrificio umano degli Aztechi si pronunciato, in termini di risposta ad un fabbisogno alimentare e a dei condizionamenti ambientali, M. HARRIS in due suoi testi: vedi HARRIS 1981 (1977) e 1990 (1985). 121 BARBERA 1997: 31
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immediata, e creatore per eccellenza, gli ebrei invece il principio disgregatore, distruttivo, cio, appunto, secondo lespressione usata dai Cosmici, molochitico. Questi principi si applicavano anche alla definizione delle tipologie del sacrificio: quello ariano era inteso come cosmico, quello ebraico come anticosmico, distruttivo. In questo modo il filosofo tedesco si avvaleva del discorso sul sacrificio umano, nella fattispecie di bambini, secondo uno schema consueto che fu, come si vedr, per secoli riferito agli ebrei, ma anche ad altri gruppi minoritari, religiosi e non. Tuttavia, quello che pare straordinario e peculiare della prospettiva klagesiana, che non tanto il sacrificio umano in s che caratterizza negativamente il popolo ebraico, ma piuttosto la natura stessa degli ebrei a rendere distruttivo un atto che, invece, in Klages, era almeno potenzialmente inteso come creatore e fonte di vita. Questo discorso del tutto particolare trovava in realt le sue fonti in due pensatori. Anzitutto, Klages faceva certamente riferimento a Eugen Dring, che non solo nella Judenfrage aveva gi ricollegato la corruzione ebraica ad una determinazione biologica, ma aveva gi fatto riferimento anche al cosiddetto molochismo. Anche questo personaggio, del resto, coinvolto nel clima antisemita di caccia allebreo conseguente al caso di Damasco122, faceva ugualmente riferimento alle supposte orge omicide che avrebbero caratterizzato i culti ebraici. Ma Klages dovette ispirarsi anche a Georg Friedrich Daumer, oggi noto pi che altro per essere stato amico e corrispondente di Feuerbach. Questultimo in particolare ne ricordava in una lettera le fantasie malate: Daumer infatti aveva tentato di dimostrare lesistenza di riti di antropofagia nella religione ebraica e cristiana. Barbera123 cita una lettera scritta proprio a Feuerbach, in cui Daumer sosteneva di aver scoperto nel Nuovo Testamento tracce evidenti dei riti
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A questo caso dedicato il testo di JESI 1993 BARBERA 1997: 39-40

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sanguinari degli ebrei: essi avrebbero ucciso dei fanciulli per preparare con il loro sangue il pane consacrato. Questi riti non sarebbero stati estranei neppure alla stessa religione cristiana. Il motivo del sacrificio umano, e in particolare quello avente per vittime degli infanti, era del resto assai frequente e tipico di un certo tipo di discorso, usato a pi riprese per screditare gruppi avversi. Si gi visto, con Grottanelli, che un sottofondo ideologico soggiace in genere ad ogni tentativo di negazione, cos come a quelli di asserzione, sulla realt della pratica del sacrificio umano, e che la negazione si articola secondo una strategia, che, fra laltro, attribuisce tendenzialmente questo rito agli altri. Proprio in virt della sua non praticabilit rituale nelle culture storiche delloccidente, il sacrificio umano, e soprattutto quello che ha come vittime dei bambini innocenti, diviene il mezzo ideale per screditare gruppi o personaggi avversi. In particolare, questaccusa diventa il mezzo ideologico di una propaganda mirante ad affermare determinati valori, costumi, o la superiorit della propria religione, mediante un discorso che fa apparire i valori, i costumi, o la religione altrui come barbari o disumani. In questo frangente assume appunto un particolare valore laccusa non solo di praticare sacrifici umani, ma nella fattispecie quella di uccidere ritualmente dei bambini. Con questa accusa, che abbiamo definito come un discorso mitologico124, sono stati certamente colpiti nella storia gli ebrei e le donne, quelle donne che spesso sono state imputate, nellet moderna, in processi di stregoneria125. Non ne furono esenti, comunque, altre minoranze non esclusa quella cristiana delle origini.

JESI 1993 Sulla stregoneria si rimanda ai testi ormai classici di BONOMO 1985 (1959), GINZBURG 1989 e al celebre Malleus Maleficarum di INSITOR - SPRENGER 1977 (1486-1487). Si veda anche B.P. LEVACK 1990 (1987); M. DOUGLAS (ed.), 1980 (1970); H.R. TREVOR ROPER, 1969; K. THOMAS 1971
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Nel mondo greco e romano laccusa di sacrificare esseri umani fu rivolta a pi riprese a popoli barbari (Sciti, Egiziani, Fenici), ma anche a personaggi interni scomodi, quelli che erano considerati in qualche modo come dei sediziosi, dei nemici dellordine. Grottanelli, nel suo articolo sulle ideologie del sacrificio umano, ripercorre le tappe di questattribuzione a quelli che erano considerati in particolare i nemici dellordine romano126. Il caso pi celebre forse quello di Catilina, al quale veniva attribuita, da parte della fazione avversa, lesecuzione di sacra orrendi, fra i quali anche il sacrificio umano abbinato agli estremi esiti del cannibalismo. Varie sono le testimonianze a questo riguardo: secondo Sallustio (De coniuratione Catilinae XXII), Catilina avrebbe fatto bere ai congiurati sangue umano misto a vino per legarli a s in un atroce patto; Plutarco, invece, nella Vita di Cicerone (X, 4), ricorda, a proposito dei congiurati corrotti da Catilina, che essi si scambiarono numerosi pegni di fedelt: arrivarono addirittura ad uccidere un uomo e a mangiarne le carni. Ma laccusa pi grave forse quella mossa da Dione Cassio (XXXVII, 30, 3), in cui compare, appunto, il motivo topico delluccisione di un bambino e del conseguente pasto cannibalico per suggellare un patto. Secondo questa testimonianza, infatti, il sovversivo avrebbe fatto uccidere un pais, avrebbe fatto giurare i pi autorevoli dei suoi seguaci sulle sue viscere e con essi avrebbe mangiato gli spalanchna. Meno noto laltro caso, ricordato ancora da Grottanelli127, dellimputazione attribuita ad un altro nemico dellordine romano - o almeno come tale veniva presentato dal suo avversario Cicerone. Nellorazione In Vatinium (13-15), questo tribuno della plebe, un pitagorico che - sempre a detta di Cicerone amava dirsi dotto per i propri particolari costumi, accusato di tutte le nefandezze e fra queste di aver praticato inaudita ac nefaria sacra. Fra questi sacra spicca laccusa di aver evocato le anime degli Inferi, ma anche quella,
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altrettanto nefanda, di puerorum extis deos manis mactare, cio di onorare gli dei Mani con le viscere di fanciulli. La variabilit e flessibilit di applicazione di questo modello daccusa difficilmente dimostrabile ha vasta documentazione. Gli stessi Cristiani delle origini dovettero sovente difendersi dallaccusa di infanticidio rituale, che, unita a quella di incesto, serviva a convalidare uno stereotipo della cristianit improntato allempiet e alla pratica di riti percepiti come orrendi. Era questa dunque una modalit di discredito assai diffusa nella polemica contro i singoli oppositori politici cos come contro gruppi minoritari, religiosi e non. Che gli stessi Cristiani fossero accusati di ogni nefandezza e fra queste spicca appunto laccusa di sacrificare bambini testimoniato da numerosi passi di autori cristiani, in cui evidente la necessit di difendersi da un tale capo daccusa128. Cos Tertulliano, alla fine del II secolo, rovescia le accuse tradizionalmente rivolte contro la nuova religione sugli accusatori stessi dei cristiani, i pagani. I capi daccusa tradizionali, come si detto, sono anzitutto quelli di praticare lincesto e linfanticidio rituale: Siamo gli uomini pi scellerati, voi dite, perch ci macchiamo di infanticidio, ci nutriamo delle carni delle vittime immolate e, dopo il banchetto, commettiamo lincesto con la complicit di cani che rovesciano i lumi e, quasi lenoni nelle tenebre, ci risparmiano la vergogna della pi ampia delle libidini. Questo, da sempre, si dice di noi Apologetico VII, 1-2 Poco dopo, lapologeta si preoccupa di smentire tale diffusa convinzione, facendo appello alla stessa natura delluomo, che al di l delle differenze religiose, impedisce la praticabilit di un atto tanto atroce (Apologetico VIII). Infine, lultima confutazione un rovesciamento dellaccusa ai danni dei pagani stessi, che forse possono concepire una tale atrocit, quella di cui accusano i
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Sullaccusa di infanticidio rituale e di cannibalismo ai cristiani, si veda anche HENRICHS 1981: 224-232

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cristiani, in quanto ne sono essi stessi colpevoli. Cos Tertulliano ricorda, nel passo gi citato (IX, 1-15), il presunto uso del sacrificio a Moloc: afferma che in Africa venivano pubblicamente immolati dei fanciulli a Saturno fino al tempo del proconsolato di Tiberio. Questi fece appendere i sacerdoti a degli alberi, come a tante croci votive, dunque luccisione stessa dei sacerdoti doveva essere in qualche modo intesa come unuccisione rituale. Tertulliano ricorda anche che tale rito continuava ancora ai suoi tempi, seppure segretamente. Laccusa in questo caso eticamente mirata: comunque non dissimile, bench non rituale, era luso, evidentemente non raro, di abortire129 o di sopprimere ed esporre i bambini. Tali costumi al contrario erano del tutto estranei e vietati ai Cristiani. Ancora, per Tertulliano, i pagani che si cibano delle fiere del circo e degli animali cacciati, alimentandosi con carne nutrita di membra umane (Apol. IX, 11), sono molto vicini ai banchetti cannibalici attribuiti ai cristiani; questi ultimi, al contrario, non si contaminano col sangue e sono dunque certamente estranei anche alluso di sacrificare esseri umani, e ancor pi, di nutrirsi delle loro carni. Laccusa ai cristiani di sacrificare esseri umani e di cibarsi delle loro carni doveva essere certamente dovuta, almeno in parte, anche ad un fraintendimento del simbolismo della commensalit eucaristica. Essa palesemente intesa, infatti, come un atto cannibalico in un brano del libello Contra Christianos, generalmente attribuito al neoplatonico Porfirio, e citato da Grottanelli: Molto discussa la dichiarazione del Maestro (dei cristiani): Se non mangiate la mia carne, e se non bevete il mio sangue, non avrete vita in voi. Questo non solo bestiale e assurdo, ma assurdo al di l di ogni assurdit e bestiale al di l di ogni bestialit: che un essere umano, cio, debba assaggiare carne umana e bere il sangue degli umani, membri della sua stessa specie, e cos facendo abbia vita eterna!130

Il tema dellaborto ci porta su un piano molto delicato. Noi non entriamo nel merito delle varie legislazioni sullaborto. In ogni caso nel Mediterraneo antico regolamentazioni esplicitamente antiabortive compaiono nelle cosiddette leges sacrae leggi di purit diffusesi a partire dal V secolo a.C. in parallelo alla fondazione delle leggi speciali della Torah. Sul tema dellaborto, vedi M.J.H.M. POORTHUIS J. SCHWARTZ 2000 e R. PARKER 1983. Vedi anche Reallexikon fur antike und christentum, voce Abtreibung. 130 GROTTANELLI 19992: 76

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Il simbolismo eucaristico dovette dunque concorrere a suscitare, a causa del fraintendimento del citato passo di Giovanni (VI, 53)131 un clima di sospetto verso i riti praticati dai cristiani dei primi secoli, e ad accrescere le dicerie su riti segreti e orrendi, testimoniate da Tertulliano e contro cui reagirono numerosi padri della Chiesa. Nonostante limpegno apologetico di Tertulliano, tali accuse continuarono ad essere attribuite ai Cristiani ancora a lungo, se vero che ancora S. Agostino, nel IV-V secolo, deve difendersene. Un passo del De Civitate Dei (XVIII, 5354) testimonia evidentemente di un oracolo in greco, che doveva circolare a quei tempi, e che attribuiva allapostolo Pietro luccisione di un puer anniculus, il suo smembramento e la sua sepoltura, per garantire alla setta cristiana la durata di trecentosessantacinque anni. I pagani, infatti, secondo la testimonianza del Padre della Chiesa, immaginarono allora non saprei quali versi in greco che sarebbero stati fatti udire durante la consultazione di un oracolo. In esso considerano Cristo innocente di questa supposta profanazione, ma soggiungono che Pietro ha compiuto atti di stregoneria perch il nome di Cristo fosse venerato per altri trecentosessantacinque anni; quindi, terminato questo numero di anni il cristianesimo senza indugio avrebbe avuto fine. Questo il buon senso dei dotti. [] Con esso (il misfatto malefico dello stregone Pietro), dicono, un bimbo di un anno fu ucciso, squartato e sepolto con un rito infame per permettere che la setta, a loro avversa, potesse essere in vigore per un lungo tempo non respingendo, ma superando con la pazienza tante orribili crudelt delle grandi persecuzioni e giungere allannientamento dei loro idoli, templi e oracoli sacri. (De Civitate Dei, XVIII, 53-54) Significativamente, per, quando la religione cristiana era ormai

pubblicamente riconosciuta e liberamente praticata - e la configurazione di un canone di ortodossia aveva moltiplicato le varie sette ereticali - lo stesso S. Agostino rivolge unaccusa simile ad una nuova minoranza religiosa, quella dei Montanisti: egli infatti li accusa di confezionare la propria eucaristia con il sangue di un puer anniculus, estratto dal corpo dellinfante e misto a farina. Se
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In verit, in verit vi dico: se non mangiate la carne del Figlio delluomo e non bevete il suo sangue, non avrete la vita in voi, Giovanni VI, 53

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il bambino moriva - diceva lautore cristiano - era trattato come un martire; se invece sopravviveva, era considerato un grande sacerdote: Sacramenta perhibentur habere funesta: nam de infantis anniculi sanguine, quem de toto eius corpore minutis punctionum vulneribus extorquent, quasi eucharisitiam suam conficere perhibentur, miscentes eum farinae, panemque inde facientes: qui puer si mortuus fuerit, habetur apud eos pro martyre; si autem vixerit, pro magno sacerdote (De Haeresibus 26: P.L. XLII). La polemica che si serviva dellaccusa di infanticidio per screditare i propri avversari, coinvolse anche due imperatori, Didio Giuliano e Valeriano, di cui si voleva evidentemente fornire una caratterizzazione negativa. In generale, il motivo dellaccusa di praticare sacrifici umani, e particolarmente di infanti, era certamente volto a caratterizzare negativamente, per varie motivazioni, degli imperatori in qualche modo tirannici. Secondo la testimonianza di Eusebio (Historia ecclesiastica VII, 10, 4), in particolare, limperatore Valeriano sarebbe stato indotto dal capo dei maghi egiziani a sacrificare dei bambini e a smembrare i loro corpi, come se ci potesse portargli fortuna. In questo caso si assiste certamente ad un rovesciamento dellaccusa, essendo il dettaglio fornito da un autore cristiano su un imperatore persecutore di cristiani, qual era appunto Valeriano. Tuttavia, laccusa fu mossa dai cristiani soprattutto ai membri delle varie sette ereticali - Catafrigi, Marcioniti, Carpocraziani, Borboriani, oltre ai gi citati Montanisti - e divenne presto un topos della polemica antieretica e antigiudaica. Con i tempi mutavano infatti i bersagli dellaccusa, ma non i contenuti. C. Ginzburg ricostruisce in parte questo fenomeno, che dalle accuse ai cristiani dei primi secoli fino alla rappresentazione del sabba delle streghe nellet moderna convalida uno stereotipo improntato alla negativit, per cui gruppi diversi, in vari momenti storici, vengono fatti oggetto di accuse infamanti e come tali perseguitati dai gruppi maggioritari e dominanti132.

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GINZBURG 1989:43-61

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Nel primo Medioevo, comunque, le vittime principali erano prevalentemente gli eretici. In un sermone pronunciato verso il 720, ricorda Ginzburg133, Giovanni di Ojun, capo della chiesa armena, scrisse che i Pauliciani134 si riunivano di notte per commettere incesto con le proprie madri e adorare il demonio; essi inoltre impastavano unostia col sangue di un bambino e la mangiavano e usavano anche passarsi di mano in mano un neonato attribuendo la dignit suprema della setta a colui nelle cui mani la vittima avesse esalato lultimo respiro. Una serie di elementi stereotipati, come lincesto e linfanticidio, gi osservati, contribuivano dunque a formare unimmagine deformata dei riti praticati dalle varie sette ereticali. Allo stesso stereotipo si conformarono, in Occidente, dopo il 1000, molti discorsi su Catari, Valdesi e Fraticelli. Riti simili vennero attribuiti anche ai Bogomili, importante movimento di tipo gnostico con vistose scelte eversive antiautoritarie presente in Tracia (Bulgaria) a partire dal X secolo135, con vaste diramazioni fino alla Lombardia. Verso il 1090 il monaco benedettino Paolo di Saint-Pre di Chartres afferm che gli eretici di Orlans, dopo aver dato alle fiamme i figli nati dalle proprie orge incestuose, ne raccoglievano le ceneri e le custodivano come i cristiani fanno con le specie eucaristiche; il potere di queste ceneri era grande, tanto che chi ne assaggiava non avrebbe pi potuto abbandonare la setta. Pochi anni pi tardi, Guilbert de Nogent rifer accuse analoghe agli eretici dualisti processati a Soissons nel 1114, aggiungendo un particolare che sembra provenire in qualche modo dal sermone di Giovanni di Ojun: egli disse che i membri della setta si
GINZBURG 1989: 49 Si tratta di una setta eretica gnostica e manichea, sviluppatasi in Armenia a partire dal VII secolo e poi diffusasi in Asia Minore. Scompaiono alla fine dellVIII secolo per poi ricomparire nel movimento dei Bogomili. La dottrina centrale consiste in una svalutazione del mondo materiale e terrestre, creato da un demiurgo inferiore e cattivo, con conseguente squalifica delle autorit religiose e delle strutture sociali esistenti. 135 I Bogomili, cos denominati dal nome del loro fondatore, il pope Bogomil, costituiscono un gruppo eretico legato a dottrine di tipo gnostico dualistico, caratterizzato da forti potenzialit eversive, rifiuto delle gerarchie, della propriet privata, ecc.. Permangono in Bosnia fino alloccupazione turca del 1463, dopo la quale sono riassorbiti dallislam.
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sedevano attorno ad un fuoco lanciandosi lun laltro, attraverso le fiamme, un bambino nato dalle loro orge incestuose fino a farlo morire. Dopo questa data, laccusa di omicidio rituale non venne pi riferita ai membri delle varie sette ereticali e, per lungo tempo, divenne appannaggio esclusivo del discorso polemico anti-ebraico. Il tema dellinfanticidio rituale, che fino ad allora - assieme ad altre rappresentazioni stereotipe, quali quella dellincesto - era stato utilizzato per screditare gruppi minoritari avversi, trova qui un nuovo sviluppo e si arricchisce di motivi nuovi. Quella che fu poi definita laccusa del sangue - o blood libel - costitu una vera e propria mitologia136, che pervase lEuropa per quasi un millennio, dalle prime accuse allinizio dellXI secolo fino al recupero del tema in tempi recenti, durante il nazismo. Con lespressione blood libel lEncyclopedia Judaica indica: the allegation that Jews murder non-Jews, especially Christians, in order to obtain blood for the Passover or other rituals.137 Il primo caso noto, in realt, risale a tempi molto antichi: secondo lo storico ebreo Flavio Giuseppe (Contro Apione 2: 89-102), Apione avrebbe raccontato che gli ebrei avevano rapito un greco e lo avevano fatto ingrassare per un anno, per poi sacrificarlo, spartirsi le sue carni, e fare contemporaneamente un giuramento di ostilit contro i Greci. Questo fatto sarebbe stato riferito al re Antioco Epifane da un uomo che stava per subire la stessa sorte e che fu trovato nel tempio ebraico e salvato dal re stesso. In realt, un tale racconto doveva essere stato diffuso intenzionalmente per motivi propagandistici, per giustificare la profanazione del tempio da parte del re Antioco. Questo fu tuttavia un caso isolato: possiamo dire che laccusa del sangue vera e propria nacque in ambiente cristiano nel XII secolo e port da allora, e in
Cos la definisce Furio Jesi, in un testo che tratta in particolare del caso di Damasco del 1840, quando i membri della comunit ebraica del luogo furono accusati della scomparsa di un missionario cristiano e del suo servitore. JESI 1993 137 Encyclopedia Judaica, vol. 4: 1120
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tutta Europa, a numerosi processi e massacri di ebrei che perdurarono nel Medioevo e nella prima et moderna, per essere poi ripresi dai nazisti. Laccusa del sangue raccoglieva alcuni motivi tipici della propaganda contro i gruppi religiosi minoritari gi osservati - quale appunto laccusa centrale di infanticidio rituale - ma trov altres una sua rielaborazione assai specifica sulla base di una rappresentazione, evidentemente distorta, della religione ebraica e dei suoi riti. Si fiss, cos, gradualmente, unimmagine stereotipa e convenzionale, quella che vedeva gli ebrei assetati di sangue cristiano, e nella fattispecie del sangue dei bambini, il kinderblut, per praticare una serie di riti efficaci magico religiosi. Il motivo si basava non solo sul ricordo delle accuse di infanticidio perpetrate gi nellantichit - e che ora, secondo un meccanismo simile, erano rivolte contro la pi consistente e persistente minoranza religiosa nel mondo cristiano, quella ebraica, appunto - ma anche su una nuova sensibilit religiosa. Il supposto martirio dei bambini cristiani, infatti, rievocava limmagine del Cristo sofferente, assai cara alla religiosit popolare, soprattutto da quando, proprio nel XII secolo, la Chiesa propose la dottrina della transustanziazione. In concomitanza con laffermazione di questa dottrina, infatti, crebbe enormemente fra le masse il sentimento di coinvolgimento emotivo in rapporto alla Passione di Cristo e allEucaristia. Questo contribu al formarsi di un discorso che vedeva gli ebrei, gi assassini di Cristo, rapire ed uccidere anche i bambini cristiani, nuovi martiri innocenti, vittime sacrificali della crudelt degli ebrei come Cristo stesso lo era stato. Si diffonde cos in Europa il cosiddetto Hostienfrevelverdacht, il sospetto della profanazione dellostia che coinvolge gli Ebrei, che come deicidi si sarebbero ora accaniti sul corpo di Cristo transustanziato. Una leggenda edificante su uno scempio dellostia-corpo da parte di un ebreo circolava a Parigi alla fine del secolo XIII: lebreo si fa dare lostia come pegno da una ragazza che vuole comperarsi un pezzo di stoffa, ma
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quando lostia reagisce alle sevizie di aghi, coltelli, martelli, provocando una serie di miracolose apparizioni - luci, crocifisso, colomba - tutta la famiglia dellebreo si converte138. Ma poco dopo, tra il 1298 e 1336 le persecuzioni per profanazione dellostia - corpo del dio vivente e del dio bambino - fanno migliaia di vittime soprattutto nei paesi tedeschi139. Il discorso su quello che con termine moderno definiamo ritual murder attivava lesperienza del sacrificio, tanto cara alla piet popolare tardomedievale. Non a caso, infatti, le accuse sorgevano con particolare frequenza proprio nel periodo pasquale. In questa prospettiva, luccisione rituale dei bambini cristiani era percepita come una riattualizzazione del sacrificio di Cristo, e in effetti per molti non doveva essere difficile immaginare che gli ebrei deicidi facessero scorrere ancora il sangue puro cristiano, ora identificato con quello dei bambini. Per questo nuovo genere di misfatti furono proposte diverse interpretazioni. Jesi ne ricorda in particolare due140. La prima quella fornita da Henrich Kormann allinizio del XVII secolo in due scritti intitolati rispettivamente Miracula vivorum e Miracula mortuorum. Luomo riferiva che, dopo la lavanda delle mani di Ponzio Pilato, gli ebrei fecero ricadere sulle proprie teste il sangue del Cristo; seppero poi che si sarebbero potuti riscattare solo mediante sanguine cristiano, ma intesero male lespressione. Anzich capire che la loro salvezza dipendeva dal sangue di Cristo, cio dalla loro conversione, dal battesimo e dalleucaristia, presero ad uccidere ogni anno un cristiano per berne il sangue e riscattarsi dalla maledizione dei loro padri. Questa interpretazione collegava gli omicidi rituali degli ebrei, da un lato ancora con la condizione del popolo deicida, dallaltro invece con la magia e con i processi contro le streghe. Essa implicava infatti un uso magico del sangue cristiano come strumento di

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Vedi la raccolta di P. BROWE edita significativamente nel 1938 F. LOTTER 1988: 533-583 140 JESI 1993:43-48

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salvezza, mentre daltra parte le accuse di vampirismo e di antropofagia rituali accomunavano ebrei e streghe. Uninterpretazione simile risultava testimoniata anche da un altro testo, un manoscritto molto pi tardo - risalente verosimilmente al XIX secolo - e rinvenuto nella Biblioteca Civica di Torino141, che riguardava un celebre caso di ritual murder, il cosiddetto affare di Damasco. Lautore affermava che negli ebrei la sete di sangue cristiano era suscitata da un equivoco compromesso. Da un lato, gli ebrei non vogliono rinunciare alla fede dei loro padri; dallaltro, per, si trovano di fronte a prove irrefutabili della divinit di Cristo, e sono persuasi che un orrendo equivalente delleucaristia, il cibarsi di sangue cristiano, possa permettere loro di accedere alla salvezza. In questo caso, bench simile al precedente, il prototipo quello dellebreo inteso piuttosto come eretico che come mago, interpretazione certo pi adatta al contesto della Damasco cosmopolita del 1840. In ogni caso, laccusa nasceva evidentemente dallanalogia con il sacrificio di Cristo, cui si aggiungevano il fraintendimento del valore salvifico del suo sangue e il ribaltamento, in negativo, delleucaristia (il pane azzimo e il vino mescolati al sangue cristiano). Nella mentalit popolare, era diffusa la convinzione che gli ebrei avessero bisogno del sangue dei cristiani per un gran numero di riti, inseribili nel contesto liturgico, ma anche liberamente usati per interventi magici. Esso serviva loro, ad esempio, per preparare gli azzimi, per consacrare i rabbini, per curare le ferite della circoncisione e i disturbi della vista, per fermare le mestruazioni che, sempre secondo le dicerie popolari, presso gli ebrei affliggevano tanto gli uomini quanto le donne per prevenire attacchi epilettici, evitare il malocchio, fare amuleti, pozioni damore e polveri magiche

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(Ms. B 11, in -4, Relazione storica del P.G.B. da Mondov M.A.C. contenente il compendio della vita del P. Tommasoil processo verbalele note spiegative ecc.)

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Questa rappresentazione si fondava sulla credenza che gli ebrei fossero degli abili maghi, anche se la loro magia in effetti fu connotata come essenzialmente demoniaca solo nellEuropa medievale cristiana142. Per quanto riguarda il riferimento al sangue, esso era dovuto probabilmente ad unancor pi arcaica convinzione, diffusa tanto nel folklore ebraico quanto in quello cristiano, che gli attribuiva un potere peculiare. Nellimmaginario, il sangue era ritenuto un mezzo capace di guarire e allo stesso tempo di causare danni. Se per gli ebrei il sangue aveva uno statuto del tutto peculiare, in quanto era considerato essere la sede della vita, laccusa cristiana di avvalersene per scopi magici o rituali era fondata su un grosso fraintendimento: proprio in quanto il sangue contiene la vita, la Torah ne vieta assolutamente luso come sostanza contaminante, imponendo la macellazione per dissanguamento (Levitico 17). Ci nonostante, per uninteressante combinazione di credulit popolare e di interessi politici ed economici, le accuse proliferarono in tutta Europa per secoli, diffondendosi dallInghilterra e dalla Francia, attraverso le terre di lingua tedesca dellEuropa centrale, fino ad arrivare allEuropa orientale, in particolare in Polonia, nel XVI sec. Il numero delle accuse raggiunse lapice fra il XV e il XVI secolo, soprattutto nelle terre di lingua tedesca dellEuropa centrale, ma il tema conobbe un particolare sviluppo anche negli ultimi due secoli: in particolare, la Russia fu lo stato che maggiormente perpetu la lunga serie dei processi e delle accuse, ma anche nella Germania nazista laccusa del sangue fu recuperata ed impiegata in piena forza per servire gli scopi del regime nel

In effetti, a parte laccusa infondata riguardante luso del sangue, gli ebrei avevano un ricco patrimonio magico, in parte connesso alla medicina popolare, in parte derivante dalla Cabala. Il giudaismo riconosce effettivamente presenze di schiere demoniche di vario tipo e il ricorso ad amuleti, talismani, formule magiche per proteggersi ampiamente documentato. Vedi gli amuleti per difendere i bambini da Lilith nella cultura yiddish. HSIA 1988: 6-8. Per quanto riguarda specificamente la cabala, con questo termine ci si riferisce al misticismo ebraico elaborato a partire dal XII secolo, in cui assume particolare rilievo la componente magico teurgica. Dopo lespulsione dalla Spagna la proiezione dellebreo mago si potenzi ulteriormente. Vedi Encyclopedia of Religions (M. Eliade ed.), voce Qabbalah

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contesto della propaganda anti-ebraica. Furono cos istituiti inchieste e processi nei territori occupati dai Tedeschi ancora nel XX secolo143. Linfanticidio, allinfuori dei legami familiari, costituisce comunque il motivo principale nelle accuse contro gli ebrei gi nel medioevo. Il primo caso noto di accusa del sangue, quello del supposto martirio di William di Norwich, avvenuto nel 1144. La vittima era un ragazzino cristiano di dodici anni, che, secondo laccusa, sarebbe stato comprato dagli ebrei prima della Pasqua, torturato, come gi Cristo lo era stato, e poi impiccato ad una croce. Il motivo della crocifissione e del martirio del resto era frequente, e si spiega con levidente equiparazione delle vittime degli ebrei a quella prima vittima, il Cristo, altrettanto ingiustamente sacrificata dagli stessi carnefici. Non a caso si dice che gli ebrei comprarono il bambino poco prima della Pasqua. Seguirono nel medesimo secolo altre accuse simili (a Gloucester nel 1168, a Blois nel 1171, a Saragoza nel 1182), che avevano sempre come vittime privilegiate bambini, a cui ebrei avrebbero estratto il sangue per poter praticare i loro riti segreti. Nel secolo successivo i casi di accusa del sangue triplicarono, dagli otto del XII secolo a ben ventiquattro, di cui quindici solo nelle terre di lingua tedesca144. Ai motivi gi noti - quale ad esempio quello della crocifissione e della derisione delle vittime sul modello di Cristo, che non scomparve mai completamente - si aggiunse quello, nuovo, dellinsofferenza degli ebrei per tutto ci che era innocente e puro. Si afferm cio una concezione che vedeva gli ebrei odiare i bambini cristiani proprio per la loro innocenza, e in particolare li vedeva detestare il loro aspetto e il loro canto gioioso. Un secolo dopo, questo motivo compare ancora in un racconto di G. Chaucher, The Prioress Tale145.

Numerosi casi di accusa del sangue sono analizzati in H.L. STRACK, The Jews and Human Sacrifice, tr. ingl., London, 1909 144 Una tabella con i dati relativi alla frequenza e alla collocazione geografica delle accuse del sangue fra XII e XVI secolo si trova in HSIA 1988: 3 145 Encyclopedia Judaica, vol. 4: 1122

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Il motivo dellaccusa del sangue si diffuse soprattutto nel XV e XVI secolo, in particolare nel periodo immediatamente precedente la Riforma. Non furono estranee a questa straordinaria diffusione motivazioni di carattere politico ed economico; non di rado, infatti, queste vicende processuali si svilupparono nellambito di conflitti giurisdizionali, nelle aree di lingua tedesca, fra le autorit locali e il potere centrale degli imperatori. Lespulsione degli ebrei, tutelati dal regime centrale, era interpretata in molte realt territoriali come una rivendicazione di autonomia e di libert146. Notevole fu la responsabilit della autorit ecclesiastiche e politiche, che spesso approfittarono dei conflitti per motivi di interesse e non sempre presero posizioni inequivocabili a riguardo. Se, infatti, ufficialmente, la maggioranza delle autorit della Chiesa cattolica si oppose alla circolazione dellaccusa del sangue, in realt i predicatori popolari e la diffusione dei vari racconti miracolistici sui presunti martiri tendevano ad avvalorare e a radicare sempre pi nellimmaginario popolare limmagine dellebreo assetato di sangue cristiano. Rilevante fu soprattutto la circolazione di numerosi racconti di carattere miracolistico riguardanti le piccole vittime, che spesso portarono alla loro canonizzazione, nonch alla fortuna, come mete di pellegrinaggio, di molte delle citt in cui si sarebbero svolti i presunti delitti. Emblematico lesempio del piccolo Simone di Trento, un bambino di due anni e mezzo scomparso nel periodo pasquale dellanno 1475, e che secondo laccusa fu ucciso dagli ebrei del luogo147. Gli imputati furono sottoposti a tortura per confessare il delitto, e la legalit di quel processo fu pi volte messa in discussione negli anni seguenti. Ci nonostante, si attribuirono al piccolo martire innumerevoli miracoli e Trento divenne meta di pellegrinaggio. Il piccolo Simone fu beatificato dalla Curia. Questa beatificazione, e con essa dunque anche la corrispondente accusa del sangue, stata cancellata dalla
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Per unanalisi dei processi intentati agli ebrei per ritual murder fra il 1470 e il 1584 si veda HSIA 1988 HSIA 1988: 43-50

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Chiesa cattolica, insieme con le celebrazioni in onore del piccolo martire, solo nel 1965148. Il tema medievale, costruito letterariamente, sugli orrendi delitti compiuti dagli ebrei nei confronti degli innocenti bambini cristiani, cos avvalorato e sfruttato da pi parti per ragioni politiche, fu ulteriormente diffuso, nonch standardizzato, grazie allinvenzione della stampa. Con essa, infatti, il discorso sul ritual murder non solo si diffuse ugualmente fra elites e masse popolari, ma si fiss sempre pi in una forma canonica. Una grande svolta si ebbe con la Riforma: essa contribu notevolmente al declino della diffusione dellaccusa del sangue. La nuova attenzione per la lettura della Bibbia nel suo complesso port alla rivalutazione dei testi dellAntico Testamento, in conformit con la volont di contestare tutte le superstizioni e le mistificazioni che si consideravano per lungo tempo alimentate dalla Chiesa cattolica, dai papisti. Il programma si inseriva nella volont di decostruire il discorso magico in generale. Tutto ci port ad un generale disincanto delle masse che signific anche la fine della caccia alle streghe e la fine dellaccusa del sangue. Non tuttavia la fine della serie di sospetti sugli ebrei149. Una volta resa disponibile anche ai cristiani la conoscenza della natura dei riti ebraici e della loro religione, dissoltosi il mistero che regnava sulla Cabala, sulluso del sangue e sui riti pasquali ebraici, il discorso sul ritual murder
Sulla devozione popolare nei confronti dei piccoli martiri, presunte vittime degli ebrei, e sullatteggiamento delle autorit ecclesiastiche, vedi VAUCHEZ 1989 (1981): 99-107. Lautore mette in luce in particolare i meccanismi della devozione religiosa popolare, che tende a considerare come martiri e conseguentemente a canonizzare e venerare dei personaggi, soprattutto sulla base del contrasto fra sofferenze subite e innocenza. In questo caso i bambini assassinati con torture dagli ebrei sono un caso tipico. Tuttavia, sempre lo stesso autore rammenta la differenza fra questa rappresentazione popolare e la concezione ufficiale del martirio, che prevedeva laccettazione consapevole della propria morte pur di affermare la propria fede e che non poteva certo riguardare questi bambini. 149 Per quanto riguarda la Riforma In realt, lo stesso Lutero era fortemente ostile nei confronti degli ebrei e aveva anzi avvalorato pi volte anche il discorso sulluccisione dei bambini: i suoi attacchi sono vistosamente presenti in due sue opere, entrambe del 1543, Sugli ebrei e le loro menzogne e Sul nome ineffabile. Cambiavano per i termini della polemica: gli ebrei erano attaccati, insieme ai papisti e ai turchi, anzitutto in quanto rappresentanti della vecchia, falsa, religione, che tanto spazio lasciava alle superstizioni. In questo senso gli ebrei erano strenuamente combattuti proprio per il loro ricco patrimonio magico (vedi n.142). Nel discorso sulluccisione dei bambini, Lutero, pur credendo che gli ebrei si macchiassero di questo delitto, riteneva altres che lo facessero per odio e vendetta verso i cristiani, non per scopi magici e rituali. Le dicerie popolari a questo riguardo sarebbero state dettate esse stesse dalla superstizione.
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difficilmente poteva essere ancora sostenuto, ma la riforma non sradic lostilit per gli ebrei; alter piuttosto i termini del discorso che li riguardava: limmagine dellebreo pericoloso come possibile assassino, mago in cerca di sangue innocente, fu gradualmente sostituita da quella dellebreo usuraio, un pericolo essenzialmente economico150. Anche una diversa situazione giudiziaria rese sempre pi impraticabile il ricorso allaccusa di ritual murder contro gli ebrei. Non solo Carlo V aveva nel 1544 espressamente proibito ogni processo per uccisione rituale e ogni violenza ai danni di ebrei, ponendoli sotto la propria personale protezione, ma questi, forti ormai di un diverso sistema legislativo, potevano far appello allImperial Chamber Court, un nuovo organo giudiziario che garantiva il rispetto e lapplicazione delle leggi imperiali nei processi per uccisione rituale. Al sistema giudiziario di tipo ancora tardo-medievale - per cui a diversi gruppi sociali corrispondeva un diverso statuto giuridico - era ormai subentrato un sistema che si basava sulle leggi imperiali e recuperava molti principi del diritto romano. Sulla base di questo recupero, gli ebrei dovevano ora essere considerati dei cives, aventi gli stessi diritti di tutti gli altri cittadini dellimpero, in nome del principio dellaequalitas. A partire gi dal XVII secolo, dunque, nessun ebreo fu pi condannato a morte nelle terre tedesche per accuse di uccisione rituale di bambini. Laccusa del sangue si spost piuttosto, nello stesso secolo, nellEuropa orientale, dove conobbe una notevole diffusione; i luoghi pi interessati furono la Polonia, la Lituania e la Russia. Tuttavia laccusa torn ad interessare ancora la Germania, e i territori sotto la sua influenza, nel corso del XX secolo. Nuovi processi furono istituiti a Memel nel 1936, a Bamberg nel 1937, a Velhartice in Boemia nel 1940. Il primo maggio del 1934, un quotidiano nazista, il Der Strmer, dedic allaccusa del sangue un numero speciale illustrato, in cui gli
Sul cosiddetto antisemitismo, L. POLIAKOV 1974-1994. Si vedano anche la voce antisemitismus in Handbuch religionswissenschaftlicher Grundbegriffe, Stuttgardt, 1988, pp. 495 ss., e D. PETROSINO 1999. Finita laccusa del sangue, lantisemitismo moderno si avvale di altre false accuse, che si concretizzano ad esempio nel celebre falso del manoscritto dei savi di Sion. C. DE MICHELIS 1998
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scienziati servivano palesemente gli scopi propagandistici nazisti in funzione anti-ebraica. Del resto, il discorso era ormai avvalorato dalla teorizzazione, avvenuta solo pochi anni prima in seno al gruppo dei gi citati cosiddetti Cosmici di Monaco che lanciarono il tema del molochismo, inteso come caratteristica biologica insita nel sangue degli ebrei. Lo stereotipo dellebreo assetato di sangue infantile tornava cos, dopo lunghi secoli, ad operare e a radicarsi nuovamente nellimmaginario popolare.

3.3 IL SANGUE DEL BAMBINO Possiamo dire che il tema delluccisione del bambino, figlicidio o semplice esecuzione rituale, ha avuto unimportanza centrale nella nostra storia culturale. Si fondava anche su una particolare, e pericolosa, concezione del sangue di bambino ed in genere del sangue come mezzo potente, in grado di sortire effetti particolari151. Per quanto riguarda il patrimonio culturale europeo ricordiamo solo brevemente alcuni tipi folklorici e narrativi, desunti dal celebre compendio stilato da A. Aarne e S. Thompson. Di particolare importanza appare soprattutto un particolare motivo narrativo, che conferisce al kinderblut, il sangue di bambino, le caratteristiche di rimedio potente per molti mali. Nel ciclo dei racconti del fido Giovanni, il protagonista, un servo, dopo aver aiutato in vario modo il principe, suo padrone, a superare una serie di ostacoli e prove, resta magicamente pietrificato. Lunico modo che il principe ha per liberarlo dallincantesimo e restituirlo alla vita quello di versare il sangue del proprio figlio. Egli dunque uccide il bambino e restituisce la vita al fido Giovanni; il finale in qualche modo stempera questa macabra ed evidentemente

Non voglio affrontare qui il tema, assai complesso, dellinvestimento di valore del sangue. Vedi Encyclopaedia of Religions (M. Eliade ed.), vol. 2, voce Blood

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troppo forte scena facendo ritornare magicamente alla vita anche il bambino sacrificato152. Similmente, in una variante novellistica conservata nel patrimonio italiano, un re cieco pu riacquistare la vista solo spalmando sugli occhi il sangue della propria figlia153. Il kinderblut appare dunque, per un certo immaginario popolare, come il rimedio potente per eccellenza. Da notare che, negli esempi citati, ancora il padre, o comunque la figura maschile, che agisce sacrificando la vita dellinnocente. In altri casi il motivo dellinfanticidio, o dellaborto, si ricollega esplicitamente alle cattive madri, che non vogliono avere figli154 o che comunque rifiutano la loro funzione riproduttiva ed educativa155. Talora questo rifiuto esplicitamente legato al motivo dellonore e linfanticidio compiuto senza nessuna finalit di utilizzo magico. In molti racconti o leggende torna insistentemente il motivo dellinfanticidio per vergogna, per paura di sanzioni ecclesiastiche e della famiglia. Si tratta di un dato che in effetti doveva trovare precisa corrispondenza nella realt dei fatti. Per lunghissimo tempo, e fino a tempi assai recenti, linfanticidio stato sovente collegato alla motivazione dellonore della fanciulla. Il kindermord si inserisce comunque in un discorso pi generale che ha attribuito per lungo tempo, e continua ad attribuire, unefficacia particolare alla messa a morte e al sacrificio, in particolare quello dellessere umano. Il fatto che poi la vittima sia proprio un bambino, quando non addirittura il proprio figlio,
AARNE THOMPSON 516 Bibliografia sul tema in Enzyklopdie des Mrchens, Handwrterbuch zur historischen und vergleichenden Erzhlforschung , B 7, Berlin, 1993,1267 ss. 154 AA. TH. 755, Sin and honour: la moglie del predicatore magicamente impedisce la nascita dei suoi bambini. Suo marito, vedendo che lei non getta alcuna ombra, la caccia come colpevole fino a quando una rosa non spunter da una tavola di pietra. Un altro uomo di chiesa accoglie la donna nella notte nelledificio consacrato; i bambini riappaiono e perdonano la madre. Tornano tutti insieme a casa mentre dalla pietra spuntano le rose. 155 AA. TH. 765: The mother who wants to kill her children: il padre che li salva, nascondendoli alla madre; ma dopo molti anni essi riappaiono e la madre muore di paura. Vedi anche AA. TH. 781: The princess who murdered her children: in questo caso leroe - comunque unaltra figura maschile - che interviene; conoscendo il linguaggio degli uccelli, egli scopre dove si trovano le ossa delle piccole vittime e svela il fatto.
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amplifica ed accentua straordinariamente, insieme alla barbarie e alla violenza della rappresentazione, anche lefficacia dellatto stesso.

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CAPITOLO 4: LA MESSA A MORTE NECESSARIA


4.1 BURKERT, GIRARD E IL GENE DELLA VIOLENZA Laccusa del sangue e il tema dellinfanticidio si inseriscono bene nel discorso allargato sul sacrificio umano in generale, tema certo non scevro di implicazioni ideologiche. Queste sembrano aver assunto una notevole portata soprattutto nel pensiero di alcuni studiosi del XX secolo, che si sono variamente accostati al problema del senso delluccisione sacrificale. In particolare tutta una corrente di studi andata nel senso di attribuire a questo gesto una particolare potenza ed efficacia, giungendo a rivendicare la necessit e il valore cosmico, se non cosmogonico, dellatto di uccidere in s e per s. Nella riflessione storico religiosa e antropologica del ventesimo secolo il tema delluccisione o della messa a morte violenta, soprattutto quella raggiunta mediante lo spargimento e leffusione del sangue, occupa, come abbiamo pi volte sottolineato, una posizione centrale. Da pi parti, infatti, studiosi e autori di diversa formazione e diversa inclinazione concordavano nellattribuire in qualche modo allatto violento una particolare efficacia. Si fatta strada, in modo sempre pi insistente, una pericolosa concezione delluccisione come atto in qualche modo centrale e fondante per lesistenza umana. In svariate teorie che sono state proposte in questo secolo, infatti, il gesto violento appare come latto per eccellenza, quello che assicura la stabilit degli edifici e laccesso agli alimenti fondamentali, che inaugura le istituzioni e le rende accessibili al gruppo, quello con cui si deve inaugurare ogni nuovo corso, che garantisce lordine, ma soprattutto la possibilit stessa del vivere in societ.
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Luccisione si configura come atto necessario e vitale, quello da cui non si potrebbe in alcun modo prescindere senza dover rinunciare al tempo stesso anche a quegli elementi che costituiscono lessenza stessa della cultura umana nella sua specificit. In questa linea si sono posti in particolare due celebri testi che riassumono, per cos dire, un filone forte del pensiero storico-antropologico occidentale del Novecento e appaiono fondamentali per comprendere il problema della funzione fondante attribuita al sacrificio, inteso come messa a morte cruenta di una vittima scelta. Su questi testi vale la pena di soffermarsi: si tratta di Homo necans156, del grecista Walter Burkert, e de La violenza e il sacro157, del critico letterario Ren Girard. Pubblicate nel medesimo anno, nel 1972, le due opere, attingendo a fonti diverse e perseguendo scopi altrettanto differenziati, pongono ugualmente il problema delle origini violente di ogni fenomeno culturale, quindi anche religioso. Violenza che fonda e giustifica la possibilit stessa per luomo di vivere in societ. In particolar modo inquietante appare laffermazione della necessit di un collegamento fra la violenza e il sacro, principio affermato da Girard gi programmaticamente nel titolo della sua opera, ma presente nondimeno anche nel pensiero di Burkert. Anzi, proprio il grecista Burkert definisce lonnipresenza del sacrificio cruento un paradosso, unanomalia sconcertante158, uno scandalo159, riferendosi al fatto che al cuore stesso delle religioni e dei loro riti si ritrovi proprio luccisione, il versamento di sangue. Il sacrificio sarebbe solo lespressione pi palese di questa violenza sacra. Le prospettive e i metodi dindagine dei due autori, come si detto, sono molto diversi. Burkert approda alla sua teoria mediante unanalisi dei complessi mitico-rituali della Grecia antica. Recuperando la tesi di Karl Meuli sulla continuit fra rituali di caccia e sacrificio (da lui proposta nel 1946 nel saggio
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BURKERT, 1981 (1972) GIRARD, 2000 (1972) 158 BURKERT 1987: 162-163 159 BURKERT 1987: 177

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Griechische Opferbruche), propone una lettura in qualche modo biologica dellimmolazione rituale, incentrata sul concetto di colpa come reazione umana ad una prima uccisione. Girard, invece, attinge da pi fonti e deduce la sua ipotesi scientifica da un vasto repertorio di studi in primo luogo letterari, ma anche etologici, etnologici, nonch dalla conoscenza di miti e riti di varie culture. Attraverso unanalisi che spazia fra i fenomeni pi diversi, egli individua nel meccanismo dellunanime violenza indirizzata contro una vittima espiatoria il principio unico e universale che garantisce ogni forma di espressione culturale umana. Per Girard il concetto chiave quello di capro espiatorio, espressione mutuata dallepisodio biblico narrato nel Levitico (16, 5-10), che riguarda il caper emissarius della Vulgata, ma piegato ad un significato nuovo. Notevoli sono infatti le differenze formali, intenzionali, come pure lorigine del sacrificio e la natura del capro espiatorio girardiano rispetto a quello biblico. Nel Levitico, infatti, si racconta il rito per il Giorno dellEspiazione (Yom Kippur), quando Aronne, fratello di Mos e sacerdote prototipico, prese due capri e tir a sorte per deciderne il destino: uno lo offr al Signore, laltro invece lo invi nel deserto come offerta ad Azazel, dopo aver imposto su di lui tutte le colpe del popolo dIsraele. Il capro espiatorio di Girard, invece, non inserito nel quadro di un rituale: la vittima casuale di un linciaggio ripetibile, sulla quale si scarica la violenza collettiva da lungo tempo accumulata in seno alla comunit ed in cerca di sfogo. Esso dunque condivide con quello biblico solo il concetto molto generico di un trasferimento di qualcosa che riguarda la collettivit su un solo soggetto arbitrariamente scelto. In un caso tuttavia si tratta dellinsieme delle colpe del popolo, nellaltro delle tendenze aggressive dellintera comunit. Le funzioni sono palesemente diverse. Se questo il concetto-chiave intorno al quale si articola il pensiero di Girard, per Burkert, invece, si pu dire che tutto ruoti intorno al problema del sentimento di colpa del gruppo stesso dal quale deriva laggressivit.
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Questultima descritta come un sentimento insito nelluomo, da lui convogliato verso degli oggetti esterni, non appartenenti alla specie (ma poi in realt anche verso gli appartenenti alla specie). Luomo si qualifica rispetto agli altri primati in primo luogo in quanto hunting ape. La caccia implica infatti la cooperazione fra gli individui, la differenziazione di ruoli fra i sessi, la distribuzione della carne conquistata, luso del fuoco e delle armi, nonch la stessa postura eretta delluomo. Si tratta di quella che Burkert definisce hunting hypothesis of hominization160. E dunque la caccia che fa luomo nella sua specificit e che gli permette di soddisfare il bisogno naturale di nutrirsi; attraverso la caccia inoltre che si istituisce la prima comunit umana. Konrad Lorenz per primo aveva osservato questo meccanismo, per cui dal comportamento aggressivo poteva facilmente generarsi un legame di solidariet fra gli aggressori. In particolare, per, in Burkert la societ appare retta non solo dallaggressivit, ma anche dalla condivisione del senso di colpa delluomo per quel gesto di uccidere, che doveva apparirgli tanto necessario quanto terribile. Il versare il sangue di un altro essere vivente, anche non umano, animale, in cui luomo in ogni caso si identificava, avrebbe prodotto infatti uno shock traumatico, legato ad uninibizione biologica mirante alla conservazione della specie. Tuttavia, per nutrirsi, proprio questa inibizione naturale doveva essere superata attraverso dei dispositivi culturali: per far fronte al senso di colpa sarebbero stati inventati i primi riti, ascrivibili gi ai cacciatori del paleolitico, consistenti per lo pi in tentativi di negazione dellatto compiuto e di restituzione simbolica della vittima, con probabili manifestazioni di lutto161. Atti di tale tipo sono descritti, secondo lefficace espressione coniata da Meuli, come delle vere e proprie commedie dellinnocenza. In ogni caso, per

BURKERT 1987: 164 Le problematiche relative alla presenza del sacrificio, ma in genere della dimensione rituale, presso lumanit preistorica hanno una vasta ed ambivalente letteratura. Ad esempio tutto un filone di ricerca tende a demolire linterpretazione ritualistica di molti celebri ritrovamenti preistorici, come le serie di crani allineati di orsi Vedi CHIRASSI COLOMBO 1975 e R.B LEE I. DE VORE 1968
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elaborare il senso dangoscia che ne conseguiva, allatto di uccidere sarebbe stato conferito un valore sacro, religioso. Luomo dunque diventa homo religiosus in quanto homo necans. Da questa esperienza preistorica, e per far fronte alle stesse esigenze, deriv poi il sacrificio vero e proprio, in cui la ritualizzazione dellatto di uccisione aveva, ancora una volta, la stessa palese funzione di riparazione e di discolpa. E luccisione, lo spargimento di sangue, dunque, lesperienza fondamentale e fondante del sacro. Ogni forma religiosa deve interpretarsi come la risposta al conflitto intimo vissuto dalla hunting ape delle origini, scissa fra la necessit naturale di nutrirsi e il trauma che necessariamente ne derivava. In questa chiave, secondo questa interpretazione, si dovrebbero leggere tanto i tentativi di restituzione dei cacciatori del Paleolitico quanto il sacrificio poi praticato nella Grecia antica: si tratta di ritualizzazioni atte a giustificare la messa a morte dellanimale per nutrirsi. Quella di Burkert appare dunque come una lettura, in qualche modo, bio(storico) antropologica: lhomo sapiens, infatti, per sua costituzione e per la sua (presunta) necessit di cibarsi di carne, non poteva non essere allo stesso tempo homo necans e in conseguenza, come si visto, homo religiosus. Il sacrificio, rito fondamentale e centrale nella religione greca - ma non solo - fatto derivare dalla caccia, attivit necessaria a soddisfare il bisogno biologico di nutrirsi, come uno schema di reazione allansiet delluccidere. Del resto Burkert, in un altro suo testo pi recente, intitolato Creation of the Sacred. Tracks of Biology in Early Religions162, individua per linsieme dei modelli simbolici che possiamo definire religione delle matrici biologiche. La religione infatti collocata nellincerto confine fra biologia e cultura, in quanto ripropone degli schemi biologici di azione, reazione e sentimenti163. Essi esistono in natura gi presso gli animali; luomo li ha per rielaborati attraverso la pratica rituale e gli insegnamenti verbali, allo scopo di superare
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BURKERT 1996 BURKERT 1996: 177

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situazioni dangoscia. Programmi biologici pi antichi ancora dellhomo sapiens si conservano dunque sviluppando caratteristiche particolari: essi vengono incorporati nella tradizione che definiamo religiosa allo scopo di superare e controllare angosce che sono tutte profondamente umane. Tale appare in modo evidente latto sacrificale: il rito, partendo da presupposti puramente biologici, li rielabora sul piano culturale in modo da controllare langoscia umana delluccidere. Biologica infatti la necessit di cibarsi, altrettanto biologica allo stesso tempo linibizione ad uccidere un altro essere vivente; religioso e dunque biologico-culturale il ciclo di aggressione rimorso - compensazione, con cui luomo controlla langoscia e il conflitto mediante la ritualizzazione dellatto traumatico. Si tratta, come si detto, di un modo di reagire allansiet, volgendo questultima in un controllo attivo della realt mediante la ritualizzazione di comportamenti che hanno, in origine, radici meramente biologiche. Il comportamento rituale, in questo caso quello sacrificale, anche prospettato da Burkert, in un altro suo testo164, in termini ancora socio-biologici, come una strategia, che nellambito della selezione di gruppo si dimostrata di successo ed stata dunque tramandata come proficua per levoluzione delle societ. La ritualizzazione di situazioni traumatiche, come quella che ha luogo nel sacrificio, deve aver garantito alluomo notevoli vantaggi ed essersi dimostrata funzionale al suo sviluppo. Nel gi citato testo dedicato alla presentazione critica del sacrificio come modello rituale165, Cristiano Grottanelli rileva che, bench la teoria di Burkert derivazione del sacrificio dai rituali dei cacciatori del Paleolitico - possa incontrare delle difficolt, tuttavia al grecista si deve riconoscere lindubbio merito di aver messo in luce per primo il problema del trauma sacrificale, di quel senso di malessere diffuso che evidentemente appare legato alluccisione. Esso sarebbe dimostrato da quella volont di negazione, che tanto palese nel mito di fondazione dei Bouphonia, letteralmente Uccisione del bove,
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BURKERT 1987: 156-158 GROTTANELLI 1999: 28-33

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unantica festa ateniese. Il complesso mitico rituale greco scelto da Burkert come un tipico caso di commedia dellinnocenza. Il complesso mitico-rituale, giuntoci attraverso il De Abstinentia del neopitagorico Porfirio (2,10), che riassume per un testo pi antico di Teofrasto, commemora il primo spargimento di sangue e con esso lintroduzione del sacrificio cruento e dellalimentazione carnea nella polis ateniese166. Un contadino - non cittadino ateniese - Sopatro, indignato perch il suo bue da lavoro aveva disturbato unazione sacra, in un moto dira uccise lanimale. Consapevole della gravit del suo gesto - nella situazione pre-attuale del tempo mitico ogni effusione di sangue era irreparabile e comportava uninsanabile impurit, per cui il colpevole non avrebbe pi potuto far parte del gruppo luomo fugg, ma una prescrizione oracolare - il solito intervento dal grande centro di Delfi - impose di richiamarlo e di ripetere simbolicamente luccisione a scopo di espiazione, abbinando tuttavia il rito ad una valutazione di tipo giudiziario. Al rito doveva partecipare lintera comunit, Sopatro compreso, e tutta la comunit doveva rispondere della colpa. Cos si fece, ma alla fine si condann il coltello sacrificale, la machaira con la quale il bove era stato ucciso, che fu gettata nel mare. Ogni anno ad Atene si ripeteva ritualmente questa vicenda in occasione di unantica festa in onore di Zeus. Il senso del complesso mitico-rituale emblematico: si trattava di un estremo tentativo di negare, riparare e giustificare ritualmente quellatto violento, che era tuttavia necessario per nutrirsi. E evidente dunque che luccisione dellanimale, in questo caso poi si parla del compagno delluomo nelle fatiche rurali, doveva essere percepita come un atto particolarmente empio (o almeno, di certo lo era nella lettura di un filone di pensiero ben presente nella cultura greca come movimento di margine, quello definito orfico-pitagorico) e doveva accompagnarsi ad un notevole senso di disagio.

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CHIRASSI COLOMBO 1994 (1983): 91-94

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Il malessere avvertito nellesecuzione del sacrificio cruento pare ugualmente dimostrato anche da unaltra usanza, quasi sempre presente nei riti sacrificali ordinari dei Greci, la ricerca di un assenso della vittima, prima di procedere alla sua uccisione. Questo gesto, cos come i vari tentativi di restituzione e di rinnovamento, che Burkert osserva nei vari complessi mitico-rituali greci, testimonierebbe di un tentativo di negare la morte o quanto meno di renderla funzionale in una prospettiva che la veda necessaria per riaffermare la vita, in un contesto di rinnovamento. E per questo che i tre momenti fondamentali del sacrificio individuati da Burkert, preparazione, atto indicibile e restituzione, trovano una particolare espressione nelle feste di dissoluzione e rinnovamento che avevano luogo in Grecia al termine dellanno. In ogni caso i Bouphonia testimoniano parallelamente, oltre che il disagio dello spargimento del sangue, anche il potere fondatore che attribuito a questo stesso gesto che pur suscita orrore. Anche se qui ci troviamo nellambito puramente mitico, infatti, luccisione del bue, bench percepita come sacrilega (o forse proprio per questo), detta essere allorigine di aspetti importanti della vita umana: fonda lalimentazione carnea delluomo, prima non consentita, e poi ammissibile solo in seguito alluccisione sacrificale167, nonch lessere cittadini, il vivere politicamente. La vita politica infatti fondata con la partecipazione dei cittadini alla colpa, cio alluccisione del bove da lavoro, compagno dellagricoltore168. Marcel Detienne, grecista, antropologo e storico delle religioni, mette giustamente in luce come la pratica sacrificale in Grecia rinvii contemporaneamente alla pratica alimentare e a quella politica: nessuna alimentazione carnea poteva aver luogo senza sacrificio e nessun potere politico poteva essere esercitato senza offerta sacrificale: tutte le attivit pi importanti della citt, infatti, dovevano essere sancite da questo rito e dal conseguente
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DETIENNE 1982 (1979): 7-10 CHIRASSI COLOMBO 1994 (1983): 91

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pasto comune. Erano chiaramente in rapporto al tessuto politico e alla gerarchia sociale anche le modalit di spartizione della vittima sacrificale: ad Atene, una volta prelevati i pezzi di prima scelta, cio la porzione particolare accordata a coloro che avevano un onore o una dignit particolari, il resto era oggetto di una divisione egualitaria169. In questo caso dunque luccisione sacrificale - lo spargimento di sangue - si collega direttamente alla sfera non di un sacro inteso in modo assoluto, il sacro, ma di un sacro che organizza ed organizzato dalla dimensione politica . Girard, rispetto a Burkert, rispetto a Detienne, si spinge oltre, riconducendo esplicitamente qualsiasi forma di espressione culturale, dal potere politico a quello giudiziario, dal teatro alla filosofia, allatto violento, fino al punto di affermare lunit, non solo di tutte le mitologie e di tutti i rituali, ma della cultura umana nella sua totalit, religiosa e antireligiosa, e questa unit delle unit tutta quanta sospesa a un unico meccanismo sempre operativo perch sempre misconosciuto, quello che assicura spontaneamente lunanimit della comunit contro la vittima espiatoria ed intorno ad essa170. Lidea centrale del testo di Girard, infatti, che la violenza insita in ogni societ umana, che porterebbe naturalmente alla sua distruzione, possa essere domata solo se canalizzata da tutti i suoi membri, uniti, contro un unico capro espiatorio. Nellipotesi girardiana, infatti, la violenza appare come un fatto che non si pu in alcun modo neutralizzare, in quanto connaturata allessere umano. Riassumiamo qui i termini estremi dellipotesi girardiana: si pu solo opporre alla cattiva violenza, indifferenziata e dilagante senza controllo allinterno della comunit, una violenza buona, perch regolata e diretta in genere contro un oggetto in qualche modo esterno e quindi sacrificabile, di solito un animale, altrimenti dei soggetti comunque marginali, come gli schiavi, i prigionieri di guerra, il pharmakos nella Grecia antica, oppure il re nelle monarchie sacre africane studiate da Frazer, o altro.
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DETIENNE 1982 (1979): 18-19 GIRARD 2000 (1972): 416

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Per Girard la necessit del sangue nasce dal fatto che il conflitto tra gli uomini inevitabile, giacch lessere umano, per sua natura, portato a desiderare solo quanto gli altri desiderano. Questa natura mimetica del desiderio lo porta inevitabilmente ad entrare in conflitto con i suoi antagonisti, e dal momento in cui la violenza si scatena, essa si propaga come un contagio in una catena infinita di vendette e ritorsioni, tale da minacciare lesistenza stessa della comunit. Questo rischio pu essere evitato solo a patto che la comunit intera ritrovi la propria unit nel polarizzare tutte le tensioni aggressive contro un unico oggetto, accettato da tutti e, come si detto, ritenuto sacrificabile perch marginale e quindi non suscettibile di vendetta. La sua uccisione, o comunque la sua espulsione, permette di porre termine al contagio violento e di restaurare lordine e la pace, tanto che il capro espiatorio, in principio considerato malefico e terrificante, si configura come salvatore. Questo meccanismo continua ad essere ripetuto (e tuttavia sempre misconosciuto) in ogni societ da tempi immemorabili, da quando gli uomini una prima volta ne avrebbero sperimentato casualmente lefficacia. Secondo Girard, infatti, se la violenza unanime contro la vittima espiatoria condizione necessaria per lesistenza di una societ, proprio una prima uccisione spontanea, avvenuta in tempi remotissimi, dovette essere allorigine di ogni ordine culturale. Tutti i riti e i miti conosciuti, tutte le forme culturali a noi note, anche profane, da allora, anche se non sempre esplicitamente, riattualizzano questatto fondamentale che port una prima volta la pace nella societ, per vivificare e rinnovare lordine culturale. La violenza contro il capro espiatorio sarebbe quindi levento fondatore per eccellenza, garante di qualsiasi forma culturale attuale e necessaria perch una qualsiasi societ possa esistere. Secondo una lettura recente - e molto di parte - dei testi girardiani171, solo il Cristianesimo sarebbe riuscito a porre fine a questa prospettiva di eterna violenza, rivelando per la prima volta il meccanismo della vittima espiatoria.
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COLOMBO 2002: 44-54 GIRARD 1987: 140-145

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Bench correntemente si tenda ad interpretare la Passione di Cristo come lennesimo caso di sacrificio di un capro espiatorio, Girard tenta di dimostrare che non affatto cos. Gi nellAntico Testamento, infatti, i profeti iniziarono a ripudiare il culto sacrificale, preferendogli il dono di s, cio lamore, non i sacrifici, la conoscenza di Dio, non gli olocausti (Osea 6,6). Tuttavia, sono solo i testi evangelici che portano a compimento definitivo questo processo: Ges, infatti, non solo non la vittima di una violenza spontanea e unanime (al contrario, egli la vittima programmata delle autorit religiose e politiche), ma soprattutto smaschera il processo mimetico rivale dei suoi linciatori, rovesciando la vendetta in perdono e accettando liberamente di offrire se stesso per amore verso il prossimo e verso Dio. Girard aggiunge inoltre che la morte di Ges non mai definita come un sacrificio nei Vangeli, che negano la validit di qualsiasi sacrificio. Solo sulla base dellEpistola agli Ebrei di Paolo i Cristiani avrebbero adottato questo termine per definire la morte di Cristo e, con esso, anche lideologia tipica dellantica Legge, che attribuiva al sangue il potere di redimere, riscattare, purificare, ma nello stesso tempo il sangue, come abbiamo precedentemente osservato, era tabuizzato. Cos, infatti, recita un passo emblematico dellAntico Testamento (Levitico. 17, 11-12): Infatti la vita dellessere vivente nel sangue e io la do a voi per espiare allaltare per le vostre vite; il sangue, infatti, in quanto vita, espia. Per questo ho detto ai figli dIsraele: nessuno fra voi mangi sangue e neanche il residente in mezzo a voi mangi sangue. Conseguentemente, fra le varie tipologie di sacrificio elencate nel Levitico, da annoverare quella dei sacrifici espiatori, necessari a purificare laltare, e i luoghi santi in generale, e ad allontanare dal popolo limpurit, la contaminazione procurata mediante i suoi peccati. Purificando laltare, si credeva, il sangue sacrificale contribuiva in qualche modo anche a conservare il popolo in santit e dunque in comunione con Dio172. Nei Vangeli invece, secondo Girard, non si ha alcun sacrificio di questo genere, ma al contrario il
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Dictionnaire de la Bible. Supplement, vol. 10: 1494-1497

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rovesciamento della consueta tradizione sacrificale, con la vittima che offre spontaneamente se stessa, orientando per la prima volta la violenza sacrificale al servizio della libert e dellamore. Quindi i Vangeli, nella prospettiva girardiana, non possono essere letti come dei miti; al contrario essi sarebbero dei demistificatori di miti, giacch la prospettiva adottata non qui quella dei persecutori, con lattribuzione della colpa alla vittima, ma quella del perseguitato, di cui ampiamente riconosciuta linnocenza; non c dunque alcuna vittima espiatoria in senso stretto, se con espiatorio si intende che la vittima sia diversa dal colpevole. La lettura di Girard, appare per molti aspetti sbilanciata nella supervalutazione della novit cristiana173, e differentemente da quella di Burkert implica s la necessit delluccisione, sacrificale o meno, di una vittima, ma al tempo stesso prevede anche la possibilit di un superamento del meccanismo vittimario violento. La differenza fondamentale riconosciuta dai due stessi studiosi, tuttavia, riguarda il momento stesso del basic dark event, la scena originaria: per Burkert si tratta non di un accadimento fortuito e isolato, ma di una pratica necessaria che si svilupp con la caccia; per Girard, al contrario, sembra di avere a che fare con un generico avvenimento fondante che poi funse da modello per le ripetizioni successive. Per entrambi, pur nelle loro differenze, si possono rilevare numerose analogie con la scena originaria descritta da Freud in Totem e tab174.

4.2 LUCCISIONE ORIGINARIA IN FREUD Anche per Freud una prima messa a morte fondante. Un primo linciaggio spontaneo, quello del padre da parte dei figli nellorda primitiva, fece sorgere
Ovviamente il modello rivoluzionario del magistero del Cristo rispetto alle regole di santit ebraiche molto evidente ed parte qualificante del monoteismo cristiano. Lidentit cristiana si delinea sin dal principio in un rapporto dialettico rovescio rispetto allebraismo; compiuta la vecchia Legge, i cristiani sono invitati a pensare, e comportarsi, diversamente, in funzione del nuovo patto. 174 FREUD 2002 (1913)
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infatti i due fondamentali tab delle religioni totemiche, quelli relativi allincesto e alluccisione del totem, nellipotesi storica freudiana. Si postulava che un tempo i fratelli, cacciati dallorda paterna, avessero ucciso e divorato il loro genitore, verso cui nutrivano sentimenti ambivalenti: da un lato egli era per loro un modello, dallaltro si opponeva ai loro desideri e alle loro esigenze sessuali, tenendo per s le donne del gruppo. Dopo il gesto, terribile e memorabile insieme, i fratelli, placato il sentimento dodio, sentirono lesigenza di dar sfogo a quelli che erano stati gli impulsi affettuosi verso il padre. Si proibirono allora da s quello che il padre prima impediva, cio laccoppiamento endogamico e incestuoso; inoltre divenne tabu uccidere lanimale totem, rappresentazione sostitutiva del genitore. Tutte le religioni successive al totemismo175 sarebbero altrettanti tentativi di reagire al dramma primordiale, che ancora non cessa di tormentare la coscienza dellumanit: lo stesso dio delle religioni superiori, dice Freud, non che una forma pi avanzata di quel surrogato del padre, che allorigine era rappresentato dal totem. Dal senso di colpa e dal pentimento avrebbero avuto dunque origine le organizzazioni sociali, le limitazioni morali, le religioni. Come ammette lo stesso Burkert176, Freud, insieme con Konrad Lorenz, ha fornito il common background per i suoi studi come per quelli di Girard. E che il testo freudiano debba evidente. Con Freud, Burkert condivide il fatto che il fenomeno religiosoe la societ sono fatti derivare dalla colpa per eccellenza, unuccisione sanguinaria, avvertita come traumatica e implicante la necessit di una riparazione. Su questa colpa poggia la societ stessa e la possibilit della convivenza fra gli uomini; dal pentimento conseguitone e dal bisogno di riparare che sono sorte tutte le religioni.
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avere notevolmente influenzato entrambi e

evidentemente inteso qui come lo stadio pi semplice e pi primitivo dellesperienza religiosa in un ipotetica scala evolutiva, prospettiva del resto comune anche a Durkheim e Frazer e ormai definitivamente abbandonata. 176 BURKERT 1987: 171

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Anche la teoria di Girard mostra vistose analogie con quella freudiana; in particolare lomicidio originario in entrambi lesito inevitabile di un desiderio mimetico, orientato per in Freud verso una figura particolare, il padre; la sua uccisione da parte dellinsieme dei fratelli dellorda riporta, come nel caso del meccanismo vittimario girardiano, la pace, e, come in quel caso, la vittima espiatoria diviene, in seguito alluccisione, sacra, anzi addirittura divina. La differenza fra le due letture di Burkert e Girard, come si detto, riguarda soprattutto la ricostruzione di questa scena originaria, bench Girard puntualizzi che anche quella da lui postulata non consista affatto in un avvenimento unico e storico, isolato, come quello freudiano, bens in un fatto assolutamente ripetibile, unoccorrenza normale nella storia e nella preistoria dellumanit177. In ogni caso, una lettura delluccisione come atto efficace, potente, in grado di generare e rigenerare, attraverso la sua ripetizione rituale, istituzioni vitali per luomo, stata proposta pi volte nel corso del XX secolo attraverso moduli e modelli diversi.

4.3 LA MORTE DEL DEMA Di miti sacrificali - non di riti - si era occupato Adolf Jensen, nellambito dellistituto di Morfologia culturale, fondato a Monaco dallafricanista Frobenius. Jensen divulg tra antropologi, etnologi e storici delle religioni la conoscenza di una particolare categoria di complessi mitico-rituali, da lui raccolti durante una spedizione nella parte occidentale dellisola di Ceram nelle Molucche e in Nuova Guinea, per i quali tuttavia trov delle corrispondenze in numerosissime culture di tutto il mondo, dai popoli coltivatori primitivi ad alcune culture superiori, come quella greca, vedica ed egiziana. Ci che avevano in comune culture cos diverse era la presenza di miti di fondazione delle attuali condizioni

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GIRARD 1987: 121

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di esistenza incentrati sulla morte di una creatura delle origini, un essere che lui defin dema, adottando il termine usato dai Marind-anim della Nuova Guinea. La prima morte, la morte del dema, era caratterizzata dal fatto di non essere un semplice morire, ma di essere una morte violenta spesso seguita dallo smembramento del corpo, un atto gravido di conseguenze. Il momento delluccisione separa infatti idealmente un prima mitico, in cui vigevano diverse condizioni di esistenza, da un dopo, corrispondente al tempo storico e allattuale stato delle cose. Dal corpo della vittima, infatti, uccisa in modo violento e smembrata, sarebbero sorti per la prima volta gli alimenti fondamentali per la sussistenza di quel dato popolo. Non solo dal momento della morte del dema si sarebbe dispiegata lesistenza umana nella sua realt biologica e culturale (la mortalit, la possibilit di generare, la caccia); ma tutti i riti e le cerimonie di questi popoli coltivatori primitivi dovevano essere intesi, nella prospettiva di Jensen, come delle riattualizzazioni di questo divino accadimento primordiale tanto importante e commemorato dal mito. Emblematico il caso del mito di Hainuwele, essere dema dei Wemali di Ceram: la fanciulla, nata straordinariamente da una palma, fu uccisa nel corso di una grande danza cerimoniale dagli uomini, gelosi del fatto che lei era in grado di distribuire grandi ricchezze. Questi uomini la fecero cadere in una fossa e la seppellirono nel corso della danza, ma il padre estrasse il cadavere, lo fece a pezzi e riseppell le singole parti del suo corpo. Da quel terreno nacquero i bulbi, di cui principalmente si nutrono i Wemali; da allora gli uomini possono anche sposarsi e morire, cosa che prima non accadeva. Tutte le cerimonie, dai riti di iniziazione alla caccia alle teste al cannibalismo, ripetono in qualche modo la vicenda narrata dal mito e sarebbero incomprensibili al di fuori del loro legame con essa. Tutto quanto appare come indispensabile, dunque, trova il suo

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fondamento in una mitica uccisione originaria, che viene quindi ripetuta, con funzione di rifondazione, mediante il rito178. Linteresse di Jensen era rivolto principalmente al mito, da cui era fatto derivare solo secondariamente il rito, come sua commemorazione, pur nella necessaria concatenazione organica dei due aspetti nel totale della vita religiosa di una societ. Il tema del valore delluccisione come atto positivo in s, del potere garantito dalluccisione anche a prescindere dal dema di Jensen era comunque presente nel pensiero di vari intellettuali anche prima del Novecento. Grottanelli, nel suo testo Il sacrificio, ripercorre le tappe dello sviluppo di questa pericolosa concezione positiva della messa a morte, da Joseph De Maistre a Eliade a Klages a Bataille e Caillois179. Liniziatore di una tale interpretazione individuato in Joseph De Maistre, cattolico reazionario della restaurazione della Francia post-napoleonica, che gi nel 1821, nelle Soires de Saint Petersbourg, proponeva una visione della terra come un altare che deve essere perpetuamente bagnato dal sangue di tutti gli esseri viventi in unimmolazione infinita che avr termine solo con lestinzione del male, fino alla morte della morte180. Una tale prospettiva del resto appariva funzionale allideologia cattolica del pensatore, che vedeva in un tale sacrificio infinito la preparazione alle meraviglie della comunione cristiana, dunque alla passione e alleucaristia. Se dunque il precursore dellideologia sacrificale intesa come fatto in s positivo e potente era un uomo dellOttocento, fu per nel secolo successivo che il concetto di sacrificio, bench ormai secolarizzato, divenne predominante nel pensiero di molti intellettuali.

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JENSEN 1952 (1948) GROTTANELLI 1999: 8-10, 92-98 180 GROTTANELLI 1999: 93

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4.4 LA VIA IRRAZIONALISTA: ELIADE E IL COLLEGIO DI SOCIOLOGIA In particolare il valore cosmogonico e lefficacia attribuiti al rito sacrificale e allo spargimento di sangue in generale sono stati al centro della riflessione di numerosi studiosi nel corso degli anni Trenta. Grottanelli, nel suo saggio, prende in esame in particolare la posizione dellintellettuale rumeno, noto e discusso storico delle religioni, Mircea Eliade, che nel Commento alla leggenda di Mastro Manole, scritto fra il 1936 e il 1943, definiva il sacrificio come gesto vivificante e salvifico. Grottanelli distingue i tre principali temi in cui questo pensiero si articola nellopera di Eliade: sacrificio cosmico, inteso come ripetizione della creazione, avvenuta mediante un sacrificio primordiale, e avente lo stesso valore cosmogonico; - valorizzazione della morte in s; - sacrificio di costruzione come atto necessario a conferire stabilit e vita (ad esempio a ponti e monasteri in vari miti, come nella Manole). Eliade appartiene a quel generale movimento di rivalutazione esistenziale della religione, come stato definito da Ernesto De Martino in Mito, scienze religiose e civilt moderna181, che si pu definire sorto per effetto dellinfluenza straordinaria esercitata dal famoso testo Il sacro di Rudolf Otto, pubblicato nel 1917. Vi si affermava non solo lautonomia, ma il valore ontologico del sacro, inteso come il tuttaltro rispetto alla sfera dellusuale e dellordinario, unesperienza irrazionale ed ambivalente, che proprio per questo non poteva essere spiegata mediante il pensiero, ma solo esperita nella sfera emozionale e religiosa. In questo clima di rivalutazione del sacro, il sacrificio, sua manifestazione, non era ovviamente storicizzato o reso oggetto di critica: al contrario esso fu da molti vissuto emotivamente come un atto in grado di per s di sprigionare energie, sortire degli effetti reali, riportare luomo ad una diversa
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leggenda di Mastro

DE MARTINO 2002 (1962)

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modalit di esistenza, ad un mondo pi pieno, pi vitale e pi vero, quello, appunto, del sacro. Tale prospettiva fu comune a gruppi dellestrema destra e dellestrema sinistra del tempo. Eliade fu, infatti, coinvolto in et giovanile nel movimento di estrema destra della Legione dellArcangelo Michele, caratterizzato proprio da un misticismo cristiano ricco di accenti sacrificali, tanto che, come afferma Grottanelli, esisteva una canzone legionaria nella quale il sangue dei martiri metaforizzava il cemento che rinsalda il muro della patria. Ma il tema, oltre ad essere sfruttato nellambito della cultura di destra degli anni Trenta, fu ugualmente al centro anche della riflessione di un altro gruppo di opposto orientamento politico, quello francese di Acphale, che trov espressione anche nel Collegio di Sociologia, facente capo a Georges Bataille e a Roger Caillois. Nel medesimo periodo, infatti, anche questi intellettuali irrazionalisti francesi prestavano la stessa attenzione ai temi del sacro e del sacrificio. Il Collegio di Sociologia sorse nel 1937, definendosi come una: comunit morale, in parte diversa da quella che in genere riunisce gli studiosi e legata proprio al carattere virulento del campo studiato e delle determinazioni che man mano vi si rivelano182: loggetto per sua natura virulento e attivista di tale attivit era la sociologia sacra, cio lo studio dellesistenza sociale in tutte quelle sue manifestazioni in cui si delinea la presenza attiva del sacro183. I principali referenti del gruppo, come si detto, erano Bataille e Caillois, entrambi mossi da uno spirito antidemocratico e antiborghese, decisi a ricreare, mediante la comunit elettiva o societ segreta, un sacro devastatore ed indiscusso che, solo, poteva ancora garantire una forma di esistenza genuina e virile, non asservita; che solo esercitava unattrazione istintiva ed irrazionale verso il massimo dispendio e la massima perdita di s, e solo poteva ancora realizzare il senso vertiginoso della tragedia, lesaltazione della gioia della morte. Questa societ segreta, paragonata da Caillois al sacro sinistro, il sacro
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HOLLIER 1991 (1979): 7 HOLLIER 1991 (1979): 7

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di trasgressione, corrispondente allestasi parossistica e al massimo dispendio, doveva esercitare, come questultimo, la funzione di un ringiovanimento della societ destra e regolata184. In particolare, Bataille, sul modello del dispendio-dono, regola del potlatch praticato dagli indigeni del nord-ovest americano e studiato da Marcel Mauss, affermava la necessit del sacrificio come modo per sottrarsi alla miseria morale del mondo occidentale. Solo il massimo dispendio e la perdita smisurata, infatti, potevano ancora consentire di sfuggire alla realt ordinaria delle cose, alla logica ormai imperante dellutilit e del profitto, per ritrovare la libert dellindividuo nel mondo, pi genuino, del sacro. Tale pensiero da Bataille esplicitamente espresso in una sua conferenza tenuta al Collegio nel 1938, Attrazione e repulsione II, in cui lintellettuale giunge a identificare completamente il dispendio, che portato al suo massimo grado coincide con la morte, con lunica possibilit di sopravvivenza per lindividuo e per la societ: La massima perdita di energia la morte, che costituisce ad un tempo il termine ultimo del dispendio possibile e un freno al dispendio sociale nel suo insieme. Ma, senza libera perdita, senza dispendio di energia, non vi esistenza collettiva. Non vi neanche esistenza individuale possibile. Di conseguenza luomo non pu vivere senza infrangere le barriere da lui stesso elevate contro il suo bisogno di dispendio, barriere che non hanno un aspetto meno spaventoso della morte. Tutta la sua esistenza, vale a dire tutto il suo dispendio, si produce dunque in una sorta di vortice tumultuoso dove sono in gioco al tempo stesso la morte e la tensione pi splendente della vita185. In unaltra conferenza ancora, tenuta nello stesso anno e intitolata Struttura e funzione dellesercito, Bataille esamina nella fattispecie il ruolo del sacrificatore, ponendolo in antitesi con quello del soldato: per gli uomini della morte militare, infatti, la morte solo un accadimento fortuito, mentre al contrario essa la fatalit per gli uomini della morte religiosa. La conclusione che:

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HOLLIER 1991 (1979): 187-189 HOLLIER 1991 (1979): 152

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luomo del sacrificio assegna alla morte un destino pi grande. Per lui c la morte non una semplice constatazione, pi o meno spiacevole; occorre che ci sia la morte: la vittima, umana o bovina, deve perire; infatti lesistenza che tragedia proprio in quanto esiste la morte non pu realizzarsi se la vittima non soggiogata dalla sorte che le capitata e avvinta fino allo stordimento dalla tragedia e dallineluttabile morte. Cos il sacrificatore, e non gi il soldato, pu veramente creare un essere umano, giacch il sacrificio necessario affinch sia pronunciata, rivolta a colui che esso affascina, lunica frase da cui sar fatto uomo: TU sei tragedia. Ancora un passo, questo, da cui traspare palesemente la cosiddetta esaltazione della morte, il senso della tragedia, che solo pu ancora rendere veramente uomo luomo. La gioia dinanzi alla morte anche il titolo di unaltra conferenza tenuta da Bataille, in cui egli descrive il senso di vertigine che prova luomo quando si trova alle altezze della morte, pari a una sorta di potenza che si accresce; questa gioia incita tutta lesistenza umana alla grandezza, lo porta a scivolare fuori dalla limitatezza della sua persona nel mondo del sacro. Il risultato che: chi guarda la morte e si rallegra, gi non pi un individuo soggetto alla putrefazione del corpo; bastata infatti lentrata in gioco della morte a proiettarlo lontano da s [] Bisogna almeno una volta aver provato simile eccesso di gioia per sapere fino a che punto in esso si esprima la prodigalit feconda del sacrificio186 Una definizione in termini positivi della morte sacrificale, intesa come funzionale al rinnovamento necessario di una societ, ma anche dellindividuo, e come unico atto in grado di appagare veramente luomo moderno, presente pi implicitamente anche nel pensiero di Caillois. Ne Luomo e il sacro187, egli defin, sempre sulla scorta del testo di Rudolf Otto, i caratteri fondamentali del sacro, inteso come quel tremendum fascinans che attrae irresistibilmente luomo e appare necessario alla perpetuazione di una societ. Da un lato, per, esso opera a questo scopo come sacro destro, o sacro di rispetto, mediante una serie di interdetti e proibizioni che garantiscono lordine naturale e sociale;
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HOLLIER 1991 (1979) :422 CAILLOIS 2001 (1950)

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dallaltro invece si configura come sacro sinistro, o sacro di trasgressione, necessario per rifondare periodicamente un tale ordine proprio attraverso la sua dissoluzione. E questultimo lambito in cui si colloca la festa, momento diverso per eccellenza, massimamente coinvolgente, parossismo di vita di una societ e regno stesso del sacro (che altrimenti si manifesta solo mediante gli interdetti, dunque in forma negativa). In questa occasione diviene possibile tutto ci che altrimenti vietato, perch la festa riattualizza quei tempi delle origini in cui tutto era ancora permesso, prima che le cose si fissassero nella loro forma definitiva. E appunto in questo caos, in questa dissoluzione, che si pu rigenerare lordine delle cose altrimenti sottoposto a lento logorio. La festa cos intesa, cui strettamente legato il sacrificio, tuttavia, non pi ammessa nelle societ complesse; per Caillois le vacanze, che apparentemente hanno preso il suo posto, hanno una natura completamente diversa e non sono in grado di appagare ugualmente lindividuo e rigenerare la societ. Alla festa, dunque, secondo Caillois, corrisponde oggi per intensit e funzione solo la guerra, che appare dunque come il nuovo tempo del sacro ed esaltata come una nuova specie di principio cosmico e fondatore. Come la festa, e dunque come il sacrificio rituale delle societ tradizionali, a essa strettamente legato, la guerra inevitabile e necessaria, perch rigenera la societ salvandola dal logorio della pace e dal lento deperimento; essa introduce luomo in un mondo inebriante, in cui le sue azioni assumono un valore superiore. Dunque ancora la morte violenta, sacrificale, appare lunica possibilit di salvezza per luomo occidentale contemporaneo, che ha ormai abbandonato la festa, intesa come simulacro, in cui la rovina delluniverso era solamente mimata, rappresentata, per assicurarne la rinascita periodica. In qualche modo, quindi, bench diverse, le teorie di Caillois e Bataille venivano a convergere nella necessit, avvertita da entrambi, di ricorrere alla sfera del sacro, e in particolare di quel sacro sinistro, spesso tremendum, per ritrovare il valore dellesistenza al di l della miseria della realt profana,
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quotidiana. E proprio il sacrificio cruento parve loro, a un certo punto, la massima espressione di questo ideale, tant vero che i membri di Acphale concepirono lassurdo progetto di suggellare la loro fraternit mediante un sacrificio umano. Il rito alla fine non ebbe luogo, narra Caillois188, perch paradossalmente si riusc a trovare una vittima consenziente ma non un boia. Tuttavia resta la testimonianza di come queste ideologie, tendenti ad assicurare un valore cosmico e in ogni caso certamente positivo, potente, alluccisione violenta, poterono arrivare ad un passo dallapplicazione reale del sacrificio umano in un contesto intellettuale e nel centro della moderna Europa, Parigi. Il tutto pu essere in parte spiegato se si tiene conto di quel movimento di rivalutazione esistenziale del sacro come valore assoluto e assolutizzante, in seno al quale, come si visto, una valenza del tutto particolare ha assunto anche il tema della morte violenta e del sacrificio.

4.5 LA SCUOLA STORICO-RELIGIOSA E IL CONTRIBUTO DI ERNESTO DE MARTINO La concezione del ritorno indietro al sacro stata rifiutata, come noto, dalla scuola di Roma e nellambito di questa scuola perde centralit anche il tema sacrificale. Rifiutando la via irrazionalista e fenomenologica fino ad allora prevalente, infatti, gli storici delle religioni Raffaele Petazzoni prima, Angelo Brelich ed Ernesto De Martino poi, propongono una diversa linea interpretativa che trova come suo presupposto principale lanalisi del fatto religioso su basi rigorosamente storiche. Dove infatti i fenomenologi e gli irrazionalisti in generale si arrestano, cio di fronte allesperienza del numinoso come un dato in s, alla ierofania come dato ultimo non suscettibile di indagine critica, i
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HOLLIER 1991 (1979): 493-494

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sostenitori della linea storica si interrogano sulla genesi delloggetto religioso e sulle motivazioni che presiedono a una tale creazione culturale189. In questo contesto di razionalizzazione e riduzione dei fenomeni che possiamo definire religiosi al piano delle necessit e delle creazioni umane, anche allatto sacrificale e violento doveva corrispondere una nuova prospettiva interpretativa. La scuola storica di Roma rifiuta infatti lessenzialit necessaria dellatto violento in s, come era invece espresso dalle tesi sul sacrificio di Burkert e Girard. Il sacrificio come messa in atto mitico-rituale rimane comunque culturalmente importante, almeno sino a quando rimane importante, necessaria, la destorificazione come mezzo di sopravvivenza. Soprattutto De Martino si sofferma sulla validit e sullimportanza funzionale del nesso mitico-rituale come modello di destorificazione necessario per uscire da momenti particolarmente critici, non solo per la societ ma anche per lindividuo. In questo senso il modello demartiniano potrebbe essere sfruttato come filo di possibile lettura per cercare di capire questa centralit ancora onnipresente della messa a morte nella tessitura del vivere. Esso potrebbe anche in qualche modo dare senso alle ricadute, nella cronaca attuale, in atti di violenza incontrollata, come risposta ad una crisi che non pu pi contare su modelli condivisi di risoluzione culturale. De Martino infatti ha non solo messo in luce i limiti sottesi al discorso fenomenologico e irrazionalista sulla natura del sacro190, ma ha proposto una nuova, organica, chiave di lettura del senso del dispositivo mitico-rituale e delle sue funzioni191.
Le tappe principali di questo confronto fra prospettiva storica e fenomenologica, attraverso lanalisi del pensiero dei tre studiosi - Petazzoni, Brelich e De Martino - sono ripercorse da M. MASSENZIO 1997: 23-73. 190 In particolare la polemica con Gerardus Van der Leew al centro del saggio Fenomenologia religiosa e storicismo assoluto, DE MARTINO 1995: 47-74. Ma pi in generale, una critica del movimento di rivalutazione esistenziale della vita religiosa e del mito condotta in DE MARTINO 2002 (1962): 35-83 191 Il contributo specifico della riflessione demartiniana anzitutto la definizione del tuttaltro come risposta delluomo ad un estremo rischio esistenziale, quello della perdita della presenza. Essa definita come il bene supremo per luomo, in quanto consistente nella possibilit di esserci - non solo di esistere - al mondo, al di l
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Il dispositivo mitico rituale infatti appariva come lo strumento mediante il quale luomo poteva risolvere culturalmente la cosiddetta crisi della presenza, riportando le circostanze critiche della vita storica al piano rassicurante, perch metastorico, destorificato, del mito, ove tutto era gi stato deciso una volta per tutte, tenendo pronta la ripetizione controllata del rito, se necessaria. La grande problematica che De Martino solleva riguarda proprio le sorti della civilt occidentale contemporanea, ove un tale sistema protettivo non , e non pu pi essere, attivamente operante come lo nelle societ tradizionali. Il cristianesimo stesso, infatti, ma pi in generale lintera tradizione giudaico cristiana, ha mediato per luomo proprio il valore della storia. La religione cristiana, infatti, come le altre poggia su una concezione del tempo che commemora ritualmente e ciclicamente il suo evento fondatore, che un sacrificio, il sacrificio delluomo-dio; tuttavia un tale evento posto proprio nella storia, e non fuori di essa. Come evento storico, dunque, esso non fondante per sempre, ma inserito nel tempo che tutto pu modificare. Ad una concezione per cos dire ciclica, e dunque rassicurante, del tempo, cos subentrata per la prima volta una prospettiva che potremmo definire lineare.

della mera esistenza organica; la presenza quindi ci che qualifica luomo come agente nel mondo, come essere in grado di operare scelte e decisioni trascendenti il livello puramente naturale. Esistono tuttavia, secondo De Martino, particolari momenti critici nella vita di una comunit, ma anche di un individuo, in cui questa presenza chiamata a rivelarsi e ad agire, e in questi momenti si fa pi forte langoscia che essa si smarrisca, si alieni a se stessa, e che il soggetto finisca per essere agito da una realt che non pu pi attivamente controllare. Luomo perderebbe in questo caso quanto ha di pi prezioso, lethos del trascendimento, cio ci che permette di valorizzare la realt traducendola in forme di coerenza culturale. Di fronte alle contingenze imprevedibili della vita storica, il riscatto avviene per lo pi nei modi di quella che detta da De Martino la destorificazione religiosa o destorificazione istituzionale, e in particolare attraverso il dispositivo mitico-rituale proprio delle religioni. Essa infatti interviene sul tuttaltro della presenza alienata a se stessa e sulla destorificazione irrelativa, cio sul ritorno irrelato e non controllato di un passato angoscioso. Di fronte al rischio estremo costituito della perdita della presenza, connesso allimprevedibilit del divenire storico, cio quando teme di essere agito e di subire passivamente la realt angosciosa, infatti, luomo tenta di riprendere il controllo, identificando le contingenze della vita storica con il paradigma metastorico e rassicurante del mito. Nel mito, infatti, lesito gi stato dato una volta per tutte, dunque baster ripetere, mediante il rito, la situazione archetipica per garantirsi ugualmente un esito positivo. Dunque la ripetizione, attraverso il rito, dellevento primordiale mitico, dallesito assicurato, consente alluomo di sfuggire allangoscia della storia e di vivere in essa come se non lo facesse, in questo modo consentendogli tuttavia di far fronte alla crisi, di dedicarsi alle attivit mondane, di ridischiudersi, attraverso il simbolo, al valore. Lalterit del sacro, pur ponendosi dunque negli stessi termini dellalterit - in qualche modo negativa - della crisi della presenza, invece, in quanto alterit istituzionalizzata e regolata, terapeutica e consente anzi di riaccedere proprio al mondo profano delle attivit quotidiane.

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Ci ha permesso una crescente laicizzazione dei costumi e ha permesso il costituirsi di quella coscienza storicistica che pu guardare allatto sacrificale come simbolo religioso sempre pi inattuale e anacronistico rispetto alla coscienza delluomo occidentale contemporaneo. Tuttavia non stata ancora elaborata una nuova risposta, consona ai tempi, che svolga le stesse funzioni che assolveva il dispositivo mitico-rituale nelle societ tradizionali. E cos che fra lancora attuale terrore della storia, limpossibilit di recuperare quel tempo ormai perduto in cui non si era ancora dischiuso alluomo il senso della storia e con esso lumanesimo integrale, e la nostalgia delle protezioni tradizionali, sorto e si sviluppato nel secolo scorso il cosiddetto movimento di rivalutazione della vita religiosa e del mito. De Martino certamente ne riconosce i meriti, ma tuttavia rivendica linattualit e limpossibilit del ritorno indietro al sacro e la necessit di elaborare nuove strategie di risoluzione della crisi. Questo getta ovviamente una nuova luce anche sul problema del sacrificio, se in esso si credeva di poter rivivere intensamente un rapporto col sacro inteso come tutto altro. Una volta ricondotta la ierogenesi, la costruzione del sacro come attivit umana, la contemporaneit desacralizzata sembra non avere dispositivi dinanzi allesplosione della violenza. De Martino stesso infatti riconosceva lesistenza di ci che da Freud fu definito istinto di morte, cio di una cieca nostalgia del nulla e del caos risolventesi spesso in comportamenti distruttivi ed esplosioni di aggressivit incontrollata. E questo furore, questa eversione fine a se stessa, che il dispositivo simbolico delle religioni ha sempre fronteggiato, in genere mediante una distruzione dellordine, attuata per nella cornice istituzionale e simbolica del rito e seguita dal ripristino e dalla rifondazione dei valori sociali e morali precedentemente distrutti. In questo modo linevitabile impulso distruttivo connaturato alluomo e legato in particolare a determinate circostanze critiche, trovava la sua risoluzione nel piano simbolico del rito e non in quello, storico,
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della realt. Cos attraverso i riti di capodanno, di iniziazione, ecc., le societ tradizionali hanno sempre contrastato il rischio di riprecipitare nel caos e nella violenza incontrollata. Il dramma della societ contemporanea occidentale proprio quello di non conoscere pi adeguati modelli di risoluzione culturale della crisi e di rischiare continuamente di ricadere nel caos e nella distruttivit incontrollata. In un suo saggio intitolato Furore in Svezia192, De Martino descrive appunto un episodio di cronaca, unesplosione immotivata di violenza nel corso di un Capodanno a Stoccolma: esso interpretato appunto come lesito di una crisi delluomo, e dellistinto di morte, che non trova pi adeguati modelli di risoluzione culturale. Latto violento dunque si ripresenta, da gesto sacrificale inserito in una cornice rituale non pi possibile, a esplosione incontrollata di una crisi esistenziale che investe parimenti lindividuo e la societ di oggi. In tale chiave sembra si possano leggere molti attuali episodi di cronaca. Linfanticidio, il figlicidio, latto violento inspiegabile della madre che uccide potrebbe rientrare in questa irrisolta angoscia di non esserci, per la quale non stata elaborata ancora la piattaforma della consapevolezza della propria condizione umana alla quale tende il demartiniano etnocentrismo critico.

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DE MARTINO 2002 (1962): 167-174

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CAPITOLO 5: I SACRIFICI NELLA CRONACA


Diamo di seguito, nella prosa immediata della notizia dagenzia, una serie di dati che possono in qualche modo essere collegati alla demartiniana esplosione incontrollata della crisi. Una brutale serie di dati di madri che uccidono: 29 giugno 2001 - Cretone, frazione di Palombara Sabina (Roma): una donna macedone di 36 anni accusata di aver ucciso i suoi due figli con 35 coltellate. Il marito lha trovata, al suo ritorno a casa, mentre pugnalava il figlio pi piccolo, di 4 anni; laltro, di 6 anni, era gi morto. 12 settembre 2001 - Limidi di Soliera (Modena): un uomo di 43 anni, al rientro a casa, trova il figlio autistico di 14 anni ucciso, soffocato da un sacchetto di plastica stretto attorno alla testa e la moglie, Paola Mantovani, 39 anni, legata e gettata in piscina. La donna attribuisce la responsabilit ad una banda di rapinatori, ma il 16 ottobre accusata di omicidio premeditato. 27 ottobre 2001 - Nove (Vicenza): una donna di 28 anni uccide, strangolandola con una calza di nylon, la figlia di 7 anni appena rientrata a casa da scuola. Due giorni dopo confessa l'omicidio. 2 dicembre 2001 - Vittuone (Milano): una donna di 40 anni uccide la figlia di 7 anni, infilandole un sacchetto di cellophane sulla testa e stringendoglielo al collo con i suoi collant di nylon. Poi si siede sul divano di casa, attendendo l'arrivo del marito.
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30 gennaio 2002 - Cogne (Aosta): il piccolo Samuele Lorenzi, di 3 anni, viene ritrovato morto nel letto dei genitori, ferito dai colpi di un non precisato oggetto contundente. La madre, Annamaria Franzoni, sostiene che qualcuno si introdotto in casa nel breve lasso di tempo in cui lei era assente, ma tuttora lunica indiziata per lefferato delitto. 19 febbraio 2002 - Novara: una donna di 21 anni uccide la figlia di poco pi di un mese, cercando con violenza di farla smettere di piangere. 12 maggio 2002 - Madonna dei Monti, frazione di Santa Caterina Valfurva (Sondrio): una donna di 31 anni uccide la figlia di 8 mesi mettendola nella lavatrice, alla quale fa compiere un ciclo di lavaggio. 17 maggio 2002 - Imola (Bologna): una donna di 34 anni uccide con un coltello da cucina la figlia di 7 anni, poi si suicida usando la stessa arma. 24 giugno 2002 - Saint Marcel (Aosta): Olga Cerise, 31 anni, annega nel laghetto di Les Iles i suoi due figli, Davide di 20 giorni e Matteo di 4 anni. Poco dopo confessa. Gli esperti parlano di Sindrome di Medea. 17 settembre 2002 - Napoli: Giuliana Alparone, 27 anni, prende il figlio Vincenzo, di sei mesi, e lo lascia cadere dalla finestra. Al magistrato spiega: Mi perseguitava.
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24 agosto 2003 - Desenzano (Brescia): Pamela Canestrini, 27 anni, prende in braccio la figlia Olivia partorita solo otto giorni prima e si lascia cadere con lei dal balcone dellappartamento al secondo piano. La bambina muore, la madre viene arrestata. E cos che il tema del figlicidio, dopo essere stato per secoli protagonista del mito, della tragedia, accettato sia pure con gravi cautele nel rito, in ogni caso motivo fondamentale dellaccusa e del discredito di gruppi minoritari, si ripropone nellattualit come mero, tragico, fatto di cronaca nera, a cui pare sempre pi difficile, se non impossibile, fornire una spiegazione. Sono questi infatti solo alcuni dei numerosi casi che negli ultimi anni sono saliti agli onori della cronaca e hanno turbato gli animi per la paradossalit e la difficolt di immaginare una situazione come quella di una madre che uccide, spesso anche in modo molto brutale, i propri figli. La paradossalit e lincredulit derivano certamente anche da una visione assai stereotipata della figura materna e della maternit in generale, basata su un concetto, quello dellistinto materno inteso come sentimento naturale e immutabile, che pare essere una costruzione rassicurante creata dalluomo occidentale pi che corrispondere ad un dato di fatto. Come si vedr, infatti, nello stesso mondo animale linfanticidio assai frequente, praticato dalle madri come dai padri nelle circostanze pi disparate; esso non assente, ed anzi comunemente accettato, anche in numerose culture diverse dalla nostra. Tuttavia anche in queste circostanze luccisione del figlio si configura nella forma dellinfanticidio piuttosto che in quella del figlicidio, cio latto compiuto sul figlio nato da poco e in circostanze in qualche modo critiche. Se questo fenomeno in vistoso calo nella societ occidentale contemporanea, contando ormai un numero molto limitato di casi, sconcerta la crescente
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frequenza di episodi che vedono genitori coniugati, di una certa cultura, benestanti, senza apparenti difficolt, uccidere in modo brutale dei figli gi cresciuti, per cui dovrebbero aver gi sviluppato dei sentimenti di attaccamento. E questa la principale paradossalit, la fonte dellincredulit, dei recenti casi di cronaca. Lunico modo per accettare la realt di gesti di questo tipo, e per spiegarli, come si vedr, allora quello di invocare il deus ex machina della follia, che continuamente chiamata in causa in questi episodi quale causa scatenante di fatti altrimenti impossibili. Sembra infatti che non si possa fare a meno di chiedersi se la madre assassina non sia pazza, depressa, affetta da disturbi della personalit, o quanto meno se non sia stata colpita da un raptus improvviso. Di fronte a questa specifica categoria di crimini, tanto la societ in senso pi lato quanto la giurisprudenza in senso pi stretto tendono a considerare frequentemente lautrice del delitto come incapace di intendere e di volere. Nellaffrontare il problema pare indispensabile quindi introdurre anzitutto una distinzione preliminare fra quei due fenomeni, linfanticidio e il figlicidio, che riguardano entrambi luccisione dei figli da parte di un genitore e che risultano in realt assai diversi nella loro natura e nelle loro implicazioni. Si deve inoltre tracciare unulteriore distinzione fra questi due fenomeni e la pratica dellabbandono e dellesposizione dei neonati, di cui non ci occuperemo. Sebbene infatti lesito anche in questo caso sia frequentemente la morte del bambino, tuttavia non vi si pu riscontrare chiaramente unesplicita volont omicida da parte dellabbandonante (al contrario, spesso i neonati vengono abbandonati con lintento di lasciare loro una seppur tenue speranza di sopravvivenza), n soprattutto una responsabilit diretta del genitore, responsabilit che invece caratterizza il comportamento, che possiamo definire direttamente sacrificale, dellinfanticida come quello del/della figlicida. La pratica dellabbandono e dellesposizione, inoltre, a differenza del figlicidio, sembra essere stata per lungo tempo attuata e in qualche modo
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socialmente accettata come metodo di controllo demografico della popolazione. Basti pensare ai diversi modi con i quali autorit ecclesiastiche e laiche nellEuropa moderna hanno predisposto diversi meccanismi destinati ad accogliere i neonati non voluti, proprio per arginare il fenomeno di un infanticidio non completamente intenzionale.193 Tornando allinfanticidio e al figlicidio, nelluso corrente, per denotare in modo generico luccisione di un bambino di qualunque et, ad opera dei genitori come di estranei, si fa ricorso al termine infanticidio. In realt, esso, bench derivante in effetti dal latino infantis caedes, che significa genericamente luccisione di un infante, designa giuridicamente un reato assai pi specifico. Attualmente il Codice penale italiano stabilisce infatti che deve essere punita per il reato di infanticidio solo la madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il fatto determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto. [art. 578 del Codice Penale]. Dunque, giuridicamente, a rigore definiscono linfanticidio: il fatto che lagente necessariamente la madre; limmediatezza dellatto compiuto nella primissima fase di vita del

bambino (lespressione si riferisce alla situazione di perturbamento psichico conseguente al parto e si pu limitare ai soli due giorni immediatamente successivi ad esso); infine, le condizioni di abbandono materiale e morale della donna al momento del parto (riconducibili ad una situazione economica gravemente deficitaria, allassenza di assistenza pubblica o privata, ad una situazione affettiva gravemente carente)194. Linfanticidio nella sua specificit sembra quindi essere individuato da una serie di attenuanti, tant vero che la pena che spetta allinfanticida stabilita
In particolare, sullistituzione di apposite ruote per accogliere i bambini abbandonati e prevenire dunque linfanticidio, vedi DI BELLO MERINGOLO 1997: 46-60 e, con riferimento alla situazione particolare di Trieste, DE ROSA 1995: 22-30. Sullabbandono dei bambini vedi anche A. BUTTAFUOCO 1985 194 Codice Penale esplicato (2003)
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nella reclusione dai quattro ai dodici anni, una pena assai pi mite rispetto a quella prevista per chi si renda colpevole dellomicidio di una qualsiasi altra generica persona. In realt su questa legge molto si discute e si discusso fin dalla fine del XVIII secolo. Per riassumere solo brevemente le tappe principali che hanno portato alla sua attuale formulazione, basti ricordare che fino alla met del Settecento linfanticidio era considerato un delitto assai pi grave rispetto allomicidio volontario, e dunque era punito molto pi severamente. Solo poi fu proposta la prima grande attenuante allinfanticidio, la cosiddetta motivazione donore, destinata a permanere nel codice e nelle leggi italiane fino al 1981. Essa rendeva pi miti le condanne verso le infanticide, qualora esse, ma anche i loro cari, uccidessero il neonato per nascondere una trasgressione sessuale, cio un rapporto avuto prima o comunque al di fuori del matrimonio. Secondo Giulia Di Bello, che ha proposto uninteressante rassegna storica sullargomento195, lindulgenza che allora si prestava nei confronti di questo reato era strettamente funzionale allobiettivo di rafforzare un modello assai rigido di madre e di donna e a tutelare non la capacit biologica di dare la vita, ma una maternit culturale complementare al potere maschile e realizzata nellambito dellistituzione familiare 196. Infatti il riconoscimento della causa donore come attenuante per le madri che uccidevano i figli illegittimi e la maggior mitezza delle pene comminata verso queste particolari ree coincise con una crescente rigida standardizzazione del modello della moglie e madre esemplare, ove la moralit della donna era valutata prima di tutto in relazione al suo comportamento sessuale. Proprio nella seconda met del XVIII secolo fu infatti abolito il diritto femminile, fino ad allora riconosciuto, di ottenere delle garanzie dal padre del bambino, in primo luogo il suo mantenimento e poi, qualora fosse stato
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DI BELLO MERINGOLO 1997: 15-68 DI BELLO - MERINGOLO 1997: 42-43

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promesso, il matrimonio. Da allora la responsabilit della trasgressione sessuale divenne un fatto esclusivamente femminile e i figli naturali perdettero il loro status per divenire figli di genitori ignoti. Lo stesso atteggiamento delle autorit civili e del clero si fece conseguentemente pi severo, tanto che le donne non di rado erano incoraggiate allabbandono e allinfanticidio pur di preservare la morale pubblica. Si pu dire che i vari codici, in fondo, pur di preservare questa cosiddetta morale pubblica, legittimassero linfanticidio, in questo modo avvalorando lo stereotipo della madre culturale - la donna coniugata, con una retta condotta sessuale - a scapito della maternit biologica, non riconosciuta al punto che non era poi cos grave uccidere il frutto di una relazione illegittima. Nel 1889 il Codice penale Zanardelli, in base alla suddetta motivazione donore, defin per la prima volta linfanticidio come unattenuante dellomicidio volontario: Quando il delitto preveduto dallart. 364 (lomicidio) sia commesso sopra la persona di un infante non ancora iscritto nei registri dello stato civile, e nei primi giorni dalla nascita, per salvare lonore proprio, o della moglie, o della madre, della discendente, della figlia adottiva o della sorella, la pena della detenzione da tre a dodici anni [art. 369]. Nel 1930 il Codice Rocco rese addirittura linfanticidio per causa donore un delitto a s stante, estendendo inoltre la possibilit della riduzione di pena dai familiari ad altri: Chiunque cagiona la morte di un neonato immediatamente dopo il parto, ovvero di un feto durante il parto, per salvare lonore proprio o di un prossimo congiunto, punibile con la reclusione da tre a dieci anni. Alla stessa pena soggiacciono coloro che concorrono nel fatto al solo scopo di favorire taluna delle persone indicate nella disposizione precedente [art. 578]. Solo nel 1981 la legge n. 442 cancell la causa donore da tutti i reati che la prevedevano, e larticolo 578 fu riformulato nella versione attuale. In questa sua riformulazione non solo la causa donore sostituita dal turbamento psichico della madre dopo il parto e dalle condizioni di abbandono materiale e morale,

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ma la pena pi mite viene riservata alla sola madre, mentre sono finalmente esclusi parenti, congiunti e quanti altri erano prima previsti197. In conclusione, si pu affermare che linfanticidio era in passato, ed tuttora, generalmente considerato un delitto meno grave e trattato con maggior indulgenza rispetto allomicidio generico nel cui ordine rientra anche il figlicidio. Le leggi sono cambiate, in rapporto allevoluzione della societ, ma persiste lidea che questo sia un reato del tutto particolare, da valutare secondo criteri autonomi. Laccento posto sulla supposta condizione di forte instabilit emotiva di madri, che, gi confuse per il parto, dovendo far fronte a condizioni di vita particolarmente difficili (oggi labbandono materiale e morale, ieri lonta di una trasgressione sessuale), giungono ad uccidere un bambino molto piccolo, appena nato, con cui non hanno comunque ancora avuto modo di stabilire alcun rapporto. Molto diverso dunque il caso dellinfanticidio da quello del figlicidio. Poste le rigide condizioni - cio in sostanza le attenuanti - che definiscono oggi linfanticidio, infatti, ogni altro omicidio commesso da uno o da entrambi i genitori nei confronti del proprio figlio, che esuli da esse, si definisce come figlicidio. Quindi compiono questo reato le madri, ma in questo caso anche i padri, che uccidano il proprio figlio a distanza di pi di due giorni dalla nascita, o comunque non versino affatto in condizioni di vita difficili o di abbandono. Il reato di figlicidio non contemplato dal nostro codice penale: chi lo commette imputato genericamente di omicidio volontario, quindi punibile con la reclusione per un periodo non inferiore ai ventuno anni; dunque in questo caso non prevista alcuna attenuante. Semmai, il fatto che un genitore, e soprattutto una madre, uccida i propri figli ormai cresciuti dopo averli allevati, apparentemente senza alcuna plausibile attenuante, getta una luce pi sinistra e
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Per un profilo storico sullevolversi del discorso giuridico sullinfanticidio, vedi DI BELLO - MERINGOLO 1997 e ALESSI 1995

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inquietante su questi casi. Sembra in ogni caso che il tempo in cui si costruisce, o dovrebbe costruirsi, la relazione affettiva tra madre e bambino sia il discriminante fondamentale. Lasciando da parte per il momento le ragioni, senza dubbio assai pi complesse, che sono sottese alluccisione di un figlio gi cresciuto da parte di un genitore - la madre come il padre - sembra opportuno soffermarsi anzitutto sulla portata del fenomeno dellinfanticidio.

5.1 INFANTICIDIO E ISTINTO MATERNO Secondo Robert Briffault198, che ha dedicato una vasta opera alle varie problematiche connesse con la maternit, listinto materno non affatto un sentimento necessario e universale, ma si sviluppa solo secondariamente, laddove esso comporti dei vantaggi e possa operare con qualche utilit. La riprova data dal fatto che in effetti linfanticidio comunemente praticato, in particolari circostanze, da numerosissime specie animali, nonch dalluomo stesso presso numerose popolazioni. Briffault ricorda che negli animali, effettivamente, le cure parentali si limitano ad un periodo molto breve e che molto spesso anzi i genitori tendono a divorare i loro cuccioli quando sono appena nati. Le stesse tigri, tanto feroci nella difesa dei loro cuccioli, quando sono affamate possono giungere ad ucciderli e a divorarli199. Briffault sottolinea inoltre che anche nelle singole donne, e questo il punto fondamentale, lamore materno per i figli non appare come un istinto primario, ma si sviluppa solo con linstaurarsi e il consolidarsi della relazione fra madre e bambino. Sarebbe dunque lesperienza, e non la natura, a garantire laffetto per la propria prole. Anzi, la prima reazione istintiva e spontanea della madre alla vista del figlio non di rado quella del rifiuto e della repulsione.

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BRIFFAULT 1969 (1927), vol. 1: 112 BRIFFAULT 1969 (1927), vol. 1: 112-116

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Prima che lamore materno si sviluppi trascorre un intervallo di tempo che pu addirittura essere pericoloso per il bambino: in quel momento, infanticide is common among both savage and civilised mothers, whereas a little later it would be difficult or impossible. The death of an infant at birth generally leaves the mother, except for the disappointment of the generalised desire for offspring, comparatively indifferent200. Dunque la differenza fra infanticidio e figlicidio consiste fondamentalmente nel diverso tempo intercorso fra il parto e il delitto, inteso come diverso grado di affezione che si presume sia intervenuto fra madre e figlio con linstaurarsi di una relazione: luccisione dei figli di regola ha luogo, sia negli animali che negli esseri umani, quando il piccolo appena nato e non si ancora sviluppato lattaccamento materno. Similmente, anche Cesare Lombroso, nellUomo delinquente201, aveva smentito lesistenza della cosiddetta voce innata del sangue e dellaffetto materno sulla base di comuni osservazioni di fatto. Lombroso ricordava infatti il comportamento criminale di alcune specie animali, presso le quali per - lui specificava - il delitto legato a delle necessit naturali e tende dunque provvidenzialmente a degli scopi salutari (la sopravvivenza del singolo o della specie). Per questi motivi di necessit naturale, linfanticidio assai comune presso molte specie animali: la femmina del coccodrillo uccide i piccoli che non sanno nuotare, la gallina abbandona nel nido i pulcini malati o storpi, il topo mangia i suoi piccoli se il suo nido viene molestato. Anche fra le scimmie, che pur sono gli animali pi prossimi alluomo, le femmine degli uistiti schiacciano i figli contro un albero quando sono stanche di portarli. Lo stesso avverrebbe, sempre secondo Lombroso, anche presso i cosiddetti selvaggi: qui, come negli animali, lomicidio, e in particolare linfanticidio, corrisponderebbe spesso ad una necessit naturale, funzionando come un

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BRIFFAULT 1969 (1927), vol. 1: 112 LOMBROSO 1897, vol. 1: 6-7

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sistema equilibratore violento tra popolazione e mezzi di sussistenza202. Lombroso riconosce tuttavia che nelluomo, rispetto al mondo animale, questo delitto in qualche modo si evolve, da finalizzato al vantaggio del singolo a delitto organizzato, codificato dalla morale e dalla religione, utile alla sopravvivenza dellintero popolo o della trib. Le motivazioni e le modalit dellinfanticidio presso luomo sono assai varie e Lombroso riporta una serie di casi provenienti da diverse parti del mondo: in Giappone, in Cina, nelle Isole Sandwich, presso i Boscimani, gli Ottentotti, i Figiani, gli indigeni americani, linfanticidio anzitutto un mezzo violento di maltusianismo203; le madri Guarany ucciderebbero spesso le figlie femmine per rendere pi desiderabili le superstiti; presso i Tasmaniani e gli Eschimesi verrebbero uccisi i bambini a cui muore la madre, insieme per la credenza che la madre li chiami dal mondo dei morti e per limpossibilit di allevare i piccoli orfani; in moltissimi luoghi i gemelli venivano uccisi, perch creduti prova dellinfedelt della moglie; fra gli Ottentotti si sotterrava vivo il bambino mal conformato; si danno inoltre talvolta casi di infanticidio praticato da donne per motivi puramente edonistici204 Pu essere interessante rilevare, comunque, che per Lombroso e per i casi da lui considerati linfanticidio riguarda assai pi luomo che la donna.205 In ogni caso, linfanticidio non affatto frequente nei soli popoli cosiddetti primitivi: esso ha rappresentato anzi un problema concreto, e di notevole portata, nellOccidente europeo fino a tempi piuttosto recenti. In particolare questo comportamento delittuoso pare essere stato legato per lungo tempo, come si gi avuto modo di accennare, soprattutto al contesto particolare delle maternit illegittime.
LOMBROSO 1897, vol. 1: 46-49 LOMBROSO 1897, vol. 1: 46 204 Per una casistica sui vari tipi di infanticidio, vedi anche BRIFFAULT 1969 (1927), vol. 2: 25-29. Inoltre vedi Enciclopedia delle religioni, Vallecchi, vol. 1: 564-565 (sugli Arabi pre-islamici); 987 (sui Batacchi); vol. 4: 328-331(sugli Aztechi) e 1594,1600 (sul Per antico) ed Encyclpoedia of Religions and Ethic, Hastings, vol. 1: 3-7; vol. 3: 526-527 (indigeni americani, Assiro-babilonesi), 539-541 (India e Grecia antica); vol. 5: 442-443 (Australia) 205 LOMBROSO 1927: 146-147
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Per quanto linfanticidio sia una pratica antica e diffusa, i primi dati certi a nostra disposizione risalgono solo alle registrazioni civili e ai censimenti compiuti nel XIX secolo. Gi nella seconda met del Settecento tuttavia una serie di scritti composti in piena temperie umanistica testimoniava la gravit e lenorme diffusione del problema, strettamente collegato alla situazione delle nubili illegittimamente fecondate, che vi ricorrevano principalmente per nascondere la loro colpa. E proprio agli scrittori e pensatori illuministi che si deve infatti lo sviluppo di una nuova riflessione e valutazione sulla condizione della donna infanticida. Verso la fine del secolo, la discussione sulle pene previste per questo reato divenne infatti un tema di grande attualit, sul cui fronte si impegnarono anche pensatori del calibro di Cesare Beccaria e Johann Heinrich Pestalozzi. A quel tempo le pene previste per le infanticide erano assai severe - in genere le madri infanticide nubili non potevano sfuggire alla pena capitale, mentre quelle sposate venivano generalmente assolte - e tuttavia questo sembrava non bastare ad arginare la portata di un fenomeno, che doveva essere anzi sempre pi diffuso fra le masse. Il contributo di Beccaria, Pestalozzi e di molti altri pensatori illuminati fu quello di proporre piuttosto una maggior attenzione ai problemi del popolo, cercando il modo per prevenire, se possibile, linsorgere del crimine fra le masse attraverso una riforma generale dello Stato e delle sue leggi. In particolare linfanticidio appariva motivato, ad unanalisi pi attenta, dalla necessit di molte donne di nascondere una colpa, per la quale sarebbero incorse in sanzioni assai severe e sarebbero state duramente stigmatizzate. Come si gi detto, inoltre, la posizione della donna doveva essere particolarmente difficile, se vero che essa non aveva nemmeno il diritto di rivalersi sul proprio seduttore, agevolato dalla legge vigente e non soggetto ad alcuna sanzione. Nel 1764 Beccaria pubblic la sua opera pi celebre, Dei delitti e delle pene, concepita nel clima del gruppo milanese dellAccademia dei Pugni e destinata
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ad ottenere un enorme successo in Italia ed in Europa. Vi si mettevano in discussione quel sistema giudiziario e quella tradizione giuridica che per secoli avevano punito i reati pi gravi con la tortura e con la pena di morte. Separando il delitto dal peccato, Beccaria proponeva di misurare piuttosto le pene in base al danno arrecato alla societ. Nel XXXI paragrafo dellopera, intitolato Delitti di prova difficile, lintellettuale si occupava anche del comportamento delittuoso delle infanticide: Linfanticidio parimenti leffetto di una inevitabile contraddizione, in cui posta una persona, che per debolezza o per violenza abbia ceduto. Chi trovasi tra linfamia e la morte di un essere incapace di sentirne i mali, come non preferir questa alla miseria infallibile a cui sarebbero esposti ella e linfelice frutto? La miglior maniera di prevenire questo delitto sarebbe di proteggere con leggi efficaci la debolezza contro la tirannia, la quale esagera i vizi che non possono coprirsi col manto della virt. Io non pretendo diminuire il giusto orrore che meritano questi delitti; ma, indicandone le sorgenti, mi credo in diritto di cavarne una conseguenza generale, cio che non si pu chiamare precisamente giusta (il che vuol dire necessaria) una pena di un delitto, finch la legge non ha adoperato il miglior mezzo possibile nelle date circostanze duna nazione per prevenirlo.206 Beccaria metteva dunque anzitutto in discussione il principio che una pena esemplare potesse di per s prevenire linsorgere di comportamenti devianti, laddove riteneva piuttosto fondamentale unopera di prevenzione da parte dello Stato. E notevole inoltre lattenzione per la difficile condizione sociale delle donne, che si trovavano nellimpossibilit di conciliare la loro condizione di nubili con quella della maternit, e dunque ricorrevano comprensibilmente al delitto, spinte dalla disperazione e dalla debolezza. A simili conclusioni giungeva, pochissimi anni dopo, anche il pedagogista svizzero J.H. Pestalozzi. Egli pubblico infatti nel 1783 un saggio intitolato Della legislazione e dellinfanticidio. Verit e sogni, inchieste e rappresentazioni207, con cui si inseriva anchegli nella vivace polemica sullinfanticidio e sulle pene con cui questo delitto doveva essere punito. Del resto, linteresse delleducatore
BECCARIA 1989 (1764) Pubblicato in Italia solo recentemente; noi seguiamo questa nuova edizione, curata da Giulia DI BELLO (1999)
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per i comportamenti marginali o devianti era centrale nelle sue riflessioni pedagogiche e in diverse sue opere, orientate per lo pi a individuare le forme educative pi adatte per i soggetti svantaggiati socialmente. Il testo sullinfanticidio si apre significativamente con lestrema incredulit e lo stupore dinanzi a questo genere di delitto: Infanticidio: sogno o son desto? E davvero possibile un tale atto? Accade veramente? Accade questo crimine inaudito no, non inaudito, ha un nome, esiste un preciso termine per indicarlo! [] Europa! Cosa spinge le tue puerpere ad uccidere i figli? Da dove nasce la disperazione nel petto della ragazza, tal che o Dio! nellora del parto freme di paura e nella febbre del suo dolore stende le mani del furore e soffoca il figlio del suo dolore. Nessun essere umano in senno uccide la carne delle propria carne; e nessuna giovane in s protende le mani verso il collo del figlio appena nato e lo stringe finch illividisce. Rinfodera le spade dei tuoi boia, Europa! Inutilmente essa dilania le assassine! Senza muto delirio e senza disperata angoscia nessuna donna soffocherebbe il figlio; e nessuna delle disgraziate teme la tua spada.208 Stupore e incredulit tanto pi comprensibili, se pensiamo che proprio nel metodo naturale seguito dalle madri nei primi anni di vita del bambino Pestalozzi vedeva il modello di ogni educazione possibile e su questo modello aveva plasmato il proprio progetto didattico. Di fronte a una tale concezione della madre intesa come figura naturalmente positiva e socialmente utile - e fonte di quelleducazione naturale che sola poteva garantire una formazione sana dellumanit - linfanticidio doveva apparire a Pestalozzi necessariamente come la conseguenza di una corruzione innaturale. Cos leducatore ricercava le cause di un tale, innaturale, comportamento delittuoso, rintracciandole prima di tutto nella disperazione cui queste donne erano indotte dai loro seduttori e dallo Stato stesso, che con le sue leggi severe e la sua pretesa di regolamentare la condotta sessuale del popolo - cosa che non gli spettava - induceva le donne alla disperazione e a delitti ancor pi gravi.

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PESTALOZZI 1999 (1783): 5

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Il pedagogista adottava dunque una posizione che teneva conto anzitutto della debolezza sociale della donna e che potremmo oggi definire femminista: la sua era anzitutto una difesa spassionata dellinfanticida, non colpevole, ma vittima essa stessa, degli uomini e di leggi ingiuste. Le cause del delitto secondo Pestalozzi erano infatti molteplici e complesse e facevano riferimento ad una serie di mali sociali preesistenti, ma la colpa primaria era anzitutto quella dello Stato, che, anzich incoraggiare la naturale propensione al bene di uomini e donne che sarebbero stati portati a svolgere i loro doveri genitoriali interveniva censurando un comportamento naturale ed inevitabile, cio listinto sessuale del popolo. Proprio la severit delle pene sarebbe stata la causa principale dellinfanticidio, tanto che Pestalozzi parla di un vero e proprio infanticidio di Stato209. Nel suo pensiero, si rendeva piuttosto necessario un intervento di prevenzione: lo Stato, inteso dalleducatore in senso paternalistico, avrebbe dovuto incoraggiare la naturale inclinazione al bene del popolo attraverso una generale educazione a sentimenti alti e nobili. In particolare, nel caso dellinfanticidio, questo Stato paternalistico avrebbe dovuto consentire alle nubili gravide di nascondere la propria vergogna e incoraggiare comunque lallevamento dei figli, anche se illegittimi; avrebbe dovuto quindi salvaguardare i doveri genitoriali, anche al di fuori del matrimonio. Tuttavia, la generale opera di educazione del popolo doveva avere inizio anzitutto dallalto, dal miglioramento dei costumi dei ceti superiori. Erano anzitutto la severit, la corruzione e legoismo delle autorit che indebolivano i primi, edificanti, impulsi del popolo e lo portavano allattuale corruzione dei costumi. Era dal perfezionamento dei ceti superiori che sarebbe derivata dunque leducazione al bene del popolo stesso, con un conseguente calo degli atti criminosi.

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Grazie allintervento di uomini come Beccaria e Pestalozzi, e grazie allo sviluppo di una riflessione che teneva conto, per la prima volta, della debolezza sociale della donna, il discorso sullinfanticidio mut radicalmente di segno e anche dal punto di vista giuridico le pene previste per questo reato si fecero pi miti. Ma ancora nel secolo seguente il problema continuava a costituire una vera e propria piaga sociale, che interessava un numero allarmante di donne, nella fattispecie ancora le gravide nubili. I dati tuttavia segnalano da allora fino ad oggi un costante decremento dei casi. Linfanticida dellOttocento era ancora per lo pi la donna nubile che doveva affrontare una gravidanza illegittima in un mondo in cui la riprovazione sociale per una tale condotta sessuale doveva essere assai forte e cogente. Si trattava per lo pi di ragazze giovani, che commettevano il delitto nella prima et fertile, e povere, che giungevano in citt dalla campagna in cerca di lavoro, o comunque ma in misura assai minore - di donne sole perch vedove, separate o con il marito emigrato. Erano quasi sempre analfabete o con un livello di istruzione minimo. Solo in casi estremamente eccezionali si trattava di donne coniugate o benestanti. In genere le ragazze coinvolte provenivano da ambienti deculturati e si trovavano in situazioni insostenibili. Venivano sedotte, e poi deluse, con la promessa del matrimonio, ma non erano affatto infrequenti neanche i casi di violenza subita dai padroni nelle case in cui le giovani lavoravano. Le infanticide nascondevano a tutti, e talora anche a se stesse, il loro stato di gravidanza: la rimozione era cos forte che molte pensavano di essere solo malate. Affrontavano poi il parto in completa solitudine; spinte dalla disperazione e dalla paura si liberavano della prova della loro colpa uccidendo e nascondendo subito il corpo del neonato, per poi riprendere normalmente le loro occupazioni. Gli stessi familiari, nella maggioranza dei casi, dichiaravano di non aver mai saputo n sospettato nulla. In genere si giungeva al processo
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sulla base delle chiacchiere popolari, allorch ci si accorgeva di quanto doveva essere accaduto. Nei giudizi dei processi ottocenteschi prevalevano comunque le assoluzioni, motivate dallinnocenza o dallinfermit di mente delle colpevoli; frequenti erano anche le condanne al minimo possibile della pena210. Con riferimento alla capacit di intendere e di volere delle madri infanticide, nellOttocento si assiste in particolare - parallelamente alla nascita della medicina alienista - anche al sorgere, nella letteratura medica, di un vivace dibattito sulla cosiddetta mania puerperale, assai spesso invocata nei processi quale attenuante al comportamento delittuoso femminile. Si sarebbe trattato di una specifica e particolarissima forma di follia, che avrebbe colpito le donne nel delicato momento del parto, e che, nei suoi esiti pi estremi, avrebbe potuto anche portarle a sopprimere il neonato211. La medicina aveva infatti dimostrato che il sesso femminile va soggetto ad impazzire pi del mascolino [] a causa delle rivoluzioni che si compiono nel debole ed eccitabile organismo muliebre allepoca della pubert, della gravidanza, del puerperio e dellallattamento. La debolezza fisica trova riscontro nella debolezza morale ed in essa si riproduce.212 Le teorie sullorigine di una tale malattia erano assai contrastanti: per taluni la mania puerperale era indotta da motivazioni assolutamente organiche, per altri invece da cause morali ovvero da disordini del contesto sociale. Nella letteratura medica ottocentesca, se non si riesce a definire la natura di queste supposte cause organiche, la mania puerperale invece insistentemente indicata come la malattia sociale che colpisce principalmente le giovani nubili, sedotte e rese madri. Si afferma quindi per la prima volta una strettissima correlazione fra infanticidio, gravidanza illegittima e follia. Lo stesso nesso che abbiamo riscontrato nei miti greci delle madri assassine!
In particolare, vedi DE ROSA 1995 per una rassegna sui ventuno casi di infanticidio registrati al Tribunale criminale provinciale di Trieste fra il 1878, anno della chiusura per immoralit della ruota destinata ad accogliere i neonati non voluti, e il 1892. 211 Sulla mania puerperale vedi FIUME 1995 e DI BELLO MERINGOLO 1997: 227-233 212 A. STOPPATO, Infanticidio e procurato aborto. Studio di dottrina , legislazione e giurisprudenza penale, Verona Padova 1887, pp. 35-36, citato in FIUME 1995:105-106
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Le madri infanticide sono le protagoniste indiscusse dei trattati medico-legali ottocenteschi, nella grandissima maggioranza dei casi rappresentate come transitoriamente furiose per tali disordini morali e del contesto; verso queste nubili, disperate, temporaneamente folli, si rivolgeva la clemenza dei giudici. La norma era ovviamente lassoluzione. Secondo Giovanna Fiume213, le donne avrebbero poi appreso i modi e le forme di una tale rappresentazione stereotipata della mania puerperale e dellinfanticidio, e ne avrebbero dato unauto-rappresentazione coerente; solo quando la pressione di questa rappresentazione culturale divenne meno cogente, diminu dunque anche il numero delle puerpere impazzite e delle infanticide. La mania puerperale sarebbe stata principalmente, sempre secondo la lettura della Fiume, la lettura che i medici alienisti davano di un soggetto sociale, quello della madre illegittima, serva, sola di fronte al parto. I dati statistici confermano in ogni caso, dalla fine del XIX secolo ad oggi, un costante decremento dei casi di infanticidio. Gli Annuari Statistici Giudiziari dellIstat raccolgono infatti i dati relativi ai vari delitti, infanticidio compreso, dal 1896 fino al 2001. Ne risulta un quadro che vede come colpevoli nel 93% dei casi le madri; gli uomini sono denunciati generalmente solo per concorso in questo tipo di reato. La correlazione fra crimine e illegittimit si va sempre pi attenuando nel tempo e le infanticide sono sempre meno frequentemente delle nubili costrette ad affrontare gravidanze illegittime. Se nel periodo compreso fra il 1947 e il 1975, infatti, il 67% delle infanticide era costituito da nubili, nel ventennio successivo il loro numero si sensibilmente ridotto ed esse costituivano solo la met delle infanticide, mentre aumentava il numero delle coniugate (41% dei casi). Si tratta dunque spesso di madri che sarebbero socialmente legittimate ad esserlo, ma che rifiutano comunque il bambino; forse il fatto si pu spiegare tenendo conto delle
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FIUME 1995: 83-117

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particolari condizioni economico - sociali e culturali che limitano la possibilit di scegliere la maternit e di viverla in modo consapevole. Infatti, con riferimento alla distribuzione geografica degli infanticidi, essi avvengono generalmente in zone economicamente depresse, lontane dalle vie di comunicazione, con scarsit di opportunit educative e lavorative e carente diffusione di servizi, oppure nelle grandi citt, che attirano criminalit e devianza, e dove si esercitano spesso attivit di prostituzione, che possono essere legate a gravidanze indesiderate e dunque a questo tipo di delitto. Le colpevoli inoltre sono persone dalla cultura estremamente limitata, in genere analfabete o quasi, al massimo in possesso della scolarit elementare. I casi di infanticidio compiuto da donne o ragazze con un livello distruzione superiore veramente esiguo e limitatissimo (l1% dei casi).214 Linfanticidio oggi dunque un crimine assai raro, per cui si possono contare pochissimi casi allanno, che ha luogo in particolari condizioni di disagio e marginalit sociale. Madri dalle possibilit culturali estremamente ridotte si trovano verosimilmente ad affrontare una maternit non consapevolmente scelta e vissuta in modo problematico. A ci si pu aggiungere inoltre linsorgere di psicopatologie temporanee legate alla fase puerperale, dal cosiddetto baby blues alla depressione postpartum fino alla vera e propria psicosi puerperale. Si tratta comunque di quello che Giulia Di Bello e Patrizia Meringolo definiscono come un crimine di situazione, in cui cio si evidenziano con particolare salienza alcuni dati di contesto (lassenza di reti di sostegno, lemergere di nuove forme di marginalit, oggi legate alla tossicodipendenza, allimmigrazione, ecc...): le infanticide non sono pi le nubili, ma provengono comunque dalle aree di popolazione socialmente pi fragili. A queste difficolt sociali si aggiungono non di rado anche problematiche psicologiche individuali,

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Per un profilo statistico dellinfanticidio dallOttocento ad oggi, vedi DI BELLO MERINGOLO 1997: 185219.

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che spesso derivano da abusi e deprivazioni subiti nellinfanzia, e che non consentono il costituirsi di unadeguata identit materna.

5.2 IL FIGLICIDIO OGGI: ATTO RITUALE O ASSASSINIO? Se dunque lo scenario delle infanticide di ieri e di oggi rimanda a realt spesso assai problematiche e in ogni caso alla soppressione di un neonato con cui non si ancora avuto modo di stabilire alcuna relazione affettiva, ci si pu chiedere chi siano invece le vere Medee di oggi, le feroci esecutrici dei propri figli di cui tanto spesso si legge nelle cronache nere. Anzitutto bisogna certamente ricordare che si parla di donne, di madri assassine, in quanto linfanticidio come il figlicidio sembrano essere delitti specificamente femminili. Se infatti generalmente luomo delinque assai pi della donna, una recente ricerca dellIstituto di Formazione e Ricerca Scientifica CEIPA215, condotta su 170 casi di reati rispetto ai quali era stata disposta perizia psichiatrica fra il 1978 e il 1994, ha dimostrato lesistenza di una differenza qualitativa fra criminalit femminile e criminalit maschile. Nella fattispecie, prendendo in considerazione i soli delitti maturati allinterno della famiglia, ove esista dunque un forte vincolo affettivo primario (quindi infanticidio, figlicidio, matricidio, parricidio, parenticidio e fratricidio), i dati sulla criminalit femminile giungono quasi ad eguagliare quantitativamente quelli relativi ai delitti compiuti da uomini. Dunque la donna compirebbe molti meno delitti rispetto alluomo, ma questa ridotta attivit omicidaria si esplicherebbe prioritariamente nellambito domestico familiare e in particolare nei confronti dei figli. La stessa ricerca infatti indica come, fra questi reati compiuti allinterno della famiglia da donne, quelli aventi come vittime i figli costituiscano il 91% del totale dei casi, mentre sono totalmente assenti nel

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CAPRI LANOTTE MANSUETO MARIANI 1996

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campione scelto i parricidi e fratricidi e sono comunque scarsamente rappresentati anche i parenticidi (4%) e i matricidi (sempre 4%). Le donne dunque non solo delinquono in misura molto maggiore laddove esista uno stretto legame fra autore e vittima, ma in particolare sembrano capaci di esprimere lagito aggressivo quasi esclusivamente verso i loro figli, manifestando quindi un atteggiamento rivolto verso linterno, di tipo introversivo. Al contrario, nel gruppo maschile linfanticidio risulta totalmente assente e il figlicidio rappresenta solo il 18% dei casi; piuttosto laggressivit maschile si concentra significativamente sulla figura materna (32%), quindi su un soggetto almeno apparentemente esterno allIo nellottica delle relazioni oggettuali primarie. Il dato parrebbe comunque testimoniare una sorta di difficolt, di problematicit particolare connessa al rapporto madre figlio. Riportiamo qui di seguito la tabella con i dati stilata dagli studiosi del CEIPA: TIPOLOGIA DI REATO: Figlicidio Infanticidio Matricidio Parricidio Parenticidio Fratricidio Numero maschi 5 0 9 4 6 4 Percentuale maschi 18% 0% 32% 14% 21% 14% Numero femmine 13 9 1 0 1 0 Percentuale femmine 54% 37% 4% 0 4% 0

Dunque i reati di infanticidio e figlicidio, elevatissimi nel gruppo femminile, non raggiungono in totale frequenze superiori al 18% nel gruppo maschile. Interessante anche la valutazione sulla capacit di intendere e di volere delle donne e degli uomini accusati di tali delitti domestici: nell83% dei casi la donna giudicata totalmente incapace di intendere e di volere, e nel restante
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17% dei casi le si attribuiscono comunque capacit ridotte, dunque la donna assassina non risulta mai completamente imputabile. In particolare, soprattutto le donne figlicide sono considerate completamente incapaci di intendere e di volere in misura molto maggiore rispetto ai padri accusati di aver compiuto lo stesso reato (85% di donne incapaci, contro il 57% degli uomini). La tendenza ad attribuire alla donna che uccide i suoi figli delle limitate capacit mentali non solo propria del discorso giuridico, ma pi in generale riguarda il modo comune di accostarsi al fenomeno. Si tratta, forse, di un discorso in una certa misura stereotipato, fondato su una rappresentazione culturale della donna, che la vede completamente incapace di uccidere e di esprimere una tale violenza fisica se non per cause psicopatologiche216. Questa concezione certamente carica di pregiudizi, e non aiuta a comprendere la natura e le vere ragioni di un fenomeno del tutto particolare quale quello del figlicidio. Del resto sembra questo il modo di reagire allo sgomento provocato dallirruzione nel nostro immaginario - che tende ad attribuire alla maternit un valore assoluto - di immagini di violenza e di brutalit sui propri bambini da parte di donne in apparenza normali. Scomparse le attenuanti che per lunghi secoli avevano giustificato il comportamento delittuoso delle infanticide, come spiegare dunque il comportamento improvvisamente violento e sanguinario di queste donne spesso benestanti, coniugate, viventi in situazioni assolutamente diverse da quelle di disagio sociale in cui si muovevano, e si muovono ancor oggi, le infanticide? Scomparsa anche la prospettiva del disturbo psichico puerperale, che si limita al momento critico immediatamente conseguente al parto, non resta che affidarsi al quadro della patologia, al raptus improvviso, alla malattia mentale.
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In particolare una ricerca compiuta da VALENTINI HALLER 1996 sulla percezione sociale della criminalit femminile dimostra come linfanticidio sia comunemente considerato come il crimine pi grave che una donna pu compiere e quello che pi colpisce limmaginario popolare per la presunta incompatibilit fra questo delitto e il presunto istinto materno. Secondo l84% degli intervistati inoltre luomo sarebbe capace di qualsiasi crimine, mentre solo il 56,1% la pensa allo stesso modo con riguardo alle donne. Linfanticidio poi considerato fra laltro contrariamente ai fatti molto pi impossibile per la donna (10,1% delle risposte) che per luomo (1,4%)

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Lomicidio di un bambino per mano materna troppo culturalmente destabilizzante perch possa essere accettato; diventa allora necessario trovare delle attenuanti, e il binomio violenza psicosi appare forse come il pi confortante. Molti psichiatri ammoniscono contro questa tendenza assai diffusa; solo una minima parte delle donne figlicide, infatti, sarebbero realmente affette da vere e proprie patologie mentali217. Secondo il professor Gian Carlo Nivoli, presidente della societ italiana di Psichiatria Forense, la presenza nelle madri figlicide, protagoniste dei recenti casi di attualit, di una vera e propria malattia mentale, non supererebbe un terzo dei casi. Nei restanti due terzi queste donne sarebbero affette piuttosto da disturbi della personalit (borderline, immaturo, antisociale, dipendente ecc), che non permetterebbero loro di gestire situazioni di vita difficili, in contesti caratterizzati dalla difficolt ad acquisire un ruolo materno consapevole e responsabile218. I motivi per cui una donna pu uccidere i propri figli in realt sono molteplici, cos come lo sono le modalit dellatto. In particolare pu essere interessante segnalare, fra le numerosissime tipologie di figlicidio, il ricomparire nella cronaca del motivo di Medea, cio delluccisione violenta del proprio figlio per soddisfare un proposito di vendetta nei confronti del proprio compagno. Si definisce nei termini della cosiddetta Sindrome di Medea luccisione del figlio o dei figli, quasi sempre da parte della madre, per vendicarsi di torti, reali o presunti, subiti dal proprio compagno. Il richiamo evidentemente al motivo mitico antico delluccisione dei figli di Medea: come il loro modello mitico, queste madri vendicative attuali (retaliating mothers) utilizzano, nel conflitto

Sul collegamento fra figlicidio e follia si possono trovare molti contributi di psichiatri e criminologi. In particolare, si vedano alcuni articoli: P. GUARNIERI, Le attenuanti di Medea, articolo da Il Manifesto del 15/6/2002; il contributo della criminologa I. MERZAGORA BETSOS in Psichiatria. Mamme folli o senza cuore?, su www.dica33.it/argomenti/psicologia/schizofrenia/ infanticidio.asp. La stessa ha anche scritto un testo in proposito intitolato Demoni del focolare. Mogli e madri che uccidono, Torino 2003. Contrario ad un necessario rapporto fra malattia mentale e figlicidio anche lo psichiatra sistemico relazionale M. Barone: vedi una sua intervista su www.lapagina.ch/2002/20021030/primopiano.html 218 NIVOLI 2002

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con il partner, il figlio come se fosse unarma, un oggetto inanimato. Le somiglianze fra il figlicidio mitico di Medea e i casi attuali sono notevoli. Il figlicidio di Medea, in una prospettiva psicanalitica, si iscrive infatti in una dinamica di invidia in senso kleiniano: i figli sono uccisi perch si interrompa la linea di discendenza del marito, quindi, in quanto sono parte di lui, per amputarlo, o anche vicariamente alluccisione del padre stesso. Ma oltre al mero proposito di vendetta, sembra essere sotteso a questo genere di uccisione anche un desiderio di realizzazione allucinatoria del possesso totale dei propri figli, con unevidente estromissione del padre, quasi che il figlio fosse stato generato per partenogenesi. Il figlicidio di Medea apparirebbe quindi spiegabile in termini, ovviamente inconsci, di reimpossessamento senza remissione di quanto si percepisce come proprio e che viene invece dato come possesso totale dellaltro. Esiti di una impostazione patriarcale della societ, se non deprivazione del riconoscimento del ruolo femminile nella procreazione come nella Grecia del V secolo a. C., la Grecia di Medea. In realt abbiamo visto che questa interpretazione andrebbe rivista in luce della particolare concezione della filiazione in auge nella Grecia del V secolo: infatti se Medea uccide i bambini non affatto perch li percepisce come propri, ma proprio perch sa che essi sono del loro padre. Lappropriazione da parte della madre alla fine avviene, ma al prezzo paradossale della morte stessa dei figli. E quindi per sua stessa natura impossibile. Non di rado, anche nellattualit, luccisione dei figli da parte di madri per la cosiddetta sindrome di Medea ha luogo in effetti in contesti di accesa conflittualit col partner, laddove la madre teme, a ragione o a torto, che il compagno le voglia sottrarre i figli. Luccisione coincide allora anche in questo caso con lestromissione del padre e con la realizzazione di questo desiderio di possesso totale sui propri figli, quindi fondamentalmente con un ritorno a s del bambino mediante la sua morte. I figli diventano in questa prospettiva una sorta

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di bene materiale cui la madre ha dato la vita e a cui ella pu conseguentemente anche toglierla pur di riappropriarsene. In questo contesto la madre finisce, in ultima analisi, per agire contro il figlio quellaggressivit e quella conflittualit che in realt ha maturato nei confronti del compagno, e che tuttavia non riesce, o non pu, rivolgere direttamente verso di lui. Il figlio diventa lo strumento per creare sofferenza o attirare lattenzione di quello che il vero oggetto dellostilit materna, il partner. Lodio nei suoi confronti viene cio indirizzato verso il figlio, che rappresenta concretamente il frutto dellunione, ma anche un antagonista meno temibile del partner stesso. Del resto, abbiamo gi visto che lagito aggressivo della donna, allinterno della famiglia, riesce a trovare sfogo quasi esclusivamente nei confronti dei figli, un oggetto considerato evidentemente in qualche modo interno a s, o quanto meno appartenente al s, mentre molto pi difficile per una donna uccidere una qualsiasi altra persona o familiare. Secondo lo psichiatra G.C. Nivoli, anche queste nuove Medee presenterebbero in genere non una vera e propria patologia, ma piuttosto dei disturbi di personalit caratterizzati da aspetti aggressivi, comportamenti impulsivi, tendenze suicidarie e frequenti ricoveri in ospedale psichiatrico219. Al di l della Sindrome di Medea, come ricorda lo stesso psichiatra, sono comunque moltissime le motivazioni che spingono le madri al figlicidio, di cui egli fornisce una breve rassegna nel suo testo Medea fra noi. Le madri che uccidono il proprio figlio. Si danno infatti casi di donne che sono solite maltrattare i figli e che un giorno, in seguito ad uno stimolo - come ad esempio pu essere il pianto del bambino - giungono ad ucciderlo; in genere queste donne vivono in situazioni particolarmente problematiche e hanno subito esse stesse violenze nellinfanzia.

Sulla cd. Sindrome di Medea, NIVOLI 2002: 40-42 e MERZAGORA BETSOS 1996: 205-212. Si vedano inoltre alcuni contributi su: www.dirittoefamiglia.it/Docs/Altri/Scienza/La%sindrome%20di% 20Medea.htm

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Altre volte il bambino trasformato in un vero e proprio capro espiatorio di tutte le frustrazioni della madre, fino ad assumere le caratteristiche del vero e proprio persecutore in donne che soffrono di malattie con elementi deliranti e paranoidei; in altri casi ancora, al contrario, il figlio ucciso perch la madre vuole salvarlo da un mondo che percepisce come particolarmente ingiusto e cattivo. Particolarmente interessante il caso delle madri che procurano la morte dei loro figli per negligenza. In questi casi lomicidio avviene in modo passivo e per omissioni, ad esempio per unalimentazione incongrua o insufficiente, malattie non curate, incidenti apparentemente casuali La morte sopraggiunge quindi in modo pi lento e non giustificata nemmeno dal cosiddetto raptus di follia, da unesplosione di violenza in un momento particolarmente critico e difficile per la madre. Colpisce la carenza, non tanto del cosiddetto istinto materno, che abbiamo visto essere una costruzione culturale, inesistente in natura. Quello che manca proprio listinto, questo s naturale, del mothering, cio della cura dellaltro essere vivente esercitata dalluomo come dalla donna, e indipendente dai legami di sangue220. Lo psichiatra cita poi i cosiddetti mercy killings, od omicidi compassionevoli, in cui la madre uccide il figlio per sottrarlo al decorso doloroso di una malattia reale, e gli omicidi cosiddetti pseudo-compassionevoli, in cui luccisione di un figlio malato o handicappato motivata invece dal desiderio della donna di liberarsi dalle proprie preoccupazioni pi che da quello di evitare al proprio figlio delle sofferenze. Unaltra particolare sindrome che induce frequentemente al maltrattamento del bambino e al figlicidio, e che riguarda, come quella di Medea, principalmente le madri, la cosiddetta Sindrome di Munchausen per procura. Essa porta il bambino alla morte per un eccesso di cure materne. In questo caso si ha infatti a che fare con donne che non sembrano affatto negligenti o cattive
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Si veda N. CHODOROW 1991

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madri, ma che anzi appaiono straordinariamente premurose. Esse ricercano continuamente laiuto e lintervento di medici sul proprio bambino, fino a portarlo alla morte per eccesso di trattamenti terapeutici. Non di rado esse, inventando sintomi che i figli non hanno, o procurando loro personalmente tali sintomi e disturbi (per esempio somministrando sostanze dannose), li espongono ad una serie di accertamenti, esami ed interventi che finiscono per danneggiarli o addirittura ucciderli. Questa categoria di figlicide in genere agisce in un tale modo principalmente per coprire uno stato di sofferenza psichica propria, cio per chiedere in realt lintervento degli operatori sanitari quale aiuto per s. Anche queste donne secondo Nivoli assai raramente soffrono di vere e proprie malattie mentali; piuttosto si pu parlare anche per loro di disturbi della personalit221. Nella maggioranza di questi casi non si pu parlare di vera e propria patologia psichiatrica, eppure palese una sorta di difficolt, di crisi sempre pi accentuata, che investe principalmente la figura femminile, e in particolare trova sfogo sempre pi spesso in esplosioni di violenza incontrollata verso i propri figli. Cos questo lungo excursus sul figlicidio segnala quello che sembra essere un cambiamento importante e assai problematico della nostra societ: dalla presenza, ed anzi centralit, del motivo nel mito greco antico e nel testo biblico centralit che per garantiva proprio la sua necessaria evitazione nella prassi, intesa come prassi rituale al suo ripresentarsi nellattualit dove il mito e il rito sacrificali non esistono pi come episodio singolo incontrollato, esplosione improvvisa di follia in contesti del tutto inaspettati, quali quelli di molte normali famiglie italiane. Potremmo azzardare unipotesi e concluderne, seguendo un po il filo del discorso demartiniano, che di questo dilagare disordinato della violenza nello

Sulla sindrome di Munchausen, NIVOLI 2002: 57-61; MERZAGORA BETSOS 1996: 213-225; della stessa anche il gi citato (v. supra, n. 217) Demoni del focolare, 2003

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stesso ambiente domestico e familiare sia responsabile proprio lattuale carenza, nella societ occidentale, di un dispositivo di orientamento e di deflusso della crisi - che resta quindi irrisolta - pari a quello mitico-rituale che nelle societ tradizionali operava ed opera attraverso la cosiddetta destorificazione religiosa. In questo mondo desacralizzato e soprattutto desacrificalizzato, infatti, luomo resterebbe preda dellangoscia dellesserci e soprattutto in balia di quellistinto di morte, che non pi soddisfatto da orizzonti di evocazione e deflusso simbolici e si risolve ormai in comportamenti meramente distruttivi sul piano della realt. Mancando il riscatto culturale, il cosiddetto furore prenderebbe infatti il sopravvento, nella forma di una mai sopita tendenza distruttrice e regressiva delluomo, di una nostalgia del nulla fine a se stessa. Suggestive sono le parole con cui lo stesso De Martino descrive il nuovo scenario del mondo occidentale: E da tempo che una cupa invidia del nulla, una sinistra tentazione da crepuscolo degli dei dilaga nel mondo moderno come una forza che non trova adeguati modelli di risoluzione culturale, e che non si disciplina in un alveo di deflusso e di arginamento socialmente accettabile e moralmente conciliabile con la coscienza dei valori umani faticosamente conquistata nel corso della millenaria storia dOccidente.222 In questo ordine di idee potrebbe inserirsi anche il crescente numero di delitti straordinari e apparentemente incomprensibili maturati recentemente nella nostra societ anche allinterno della famiglia, non da ultimi quelli, sempre pi frequenti, che vedono delle madri assassinare i propri stessi figli. I simboli religiosi, anzitutto il mito ed i rito - nei cui ambiti, come abbiamo osservato, il motivo sacrificale giocava un ruolo fondamentale - rientravano infatti nelle strategie difensive e protettive con cui le varie societ favorivano il deflusso del furore e spianavano la strada alla continua affermazione del valore, attraverso la continua rifondazione del sistema culturale.
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DE MARTINO 2002 (1962): 173

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E interessante rilevare come nellantica Atene la crisi, che investiva evidentemente in modo assai cogente il mondo femminile - del resto la donna era assai penalizzata socialmente, relegata allangusto ruolo di moglie e madre trovava il proprio orizzonte di deflusso e di riscatto culturale proprio in quel menadismo, che abbiamo visto assegnare un posto tanto importante al figlicidio, che veniva tuttavia confinato nella non attualit del mito. Come abbiamo visto, infatti, nel mito la rappresentazione della sovversione dei valori consueti della vita civica ordinata era affidata proprio allimmagine della madre che dilania, nel modo pi bestiale e ferino, i propri figli. Nel rito non accadeva nulla di simile, ma le crisi di disadattamento che minacciavano le donne, e soprattutto le giovani, erano comunque fatte defluire attraverso la proposta del modello simbolico del mito. Proprio la fuga ed il rifiuto delle norme civiche, ampiamente rappresentata nel mito in via diretta, e attuata nel rito in via simbolica, consentiva e garantiva il conseguente ritorno e la reintegrazione allordine consueto223. Il figlicidio del mito dionisiaco si inseriva dunque in questo quadro simbolico e prioritariamente mitico di risposta creativa alla crisi, anzitutto individuale, che colpiva prioritariamente la figura femminile. Luccisione di un figlio da parte della madre era infatti - ed tuttora - il valore inversivo per eccellenza rispetto alla norma e alla realt desiderata e stereotipata dellimmaginario comune. Tuttavia proprio la sua presenza nella sfera del simbolico, nel nesso miticorituale, consentiva e garantiva efficacemente la rifondazione continua dellordine e con essa la non praticabilit dello stesso atto nella realt storica quotidiana. Oggi tali dispositivi mitici e rituali sono divenuti inattuali e certamente non sono pi proponibili, pur senza essere stati sostituiti, come ammonisce De

Lo stesso vale, sempre per citare gli esempi demartiniani, anche per il tarantismo pugliese, che con il menadismo pare apparentato: anche il tarantismo orizzonte, a partecipazione prevalentemente femminile, di evocazione, deflusso e risoluzione di conflitti psichici irrisolti che rimordono nellinconscio. Vedi DE MARTINO 1961

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Martino, da una valida ed adeguata alternativa consona allo spirito dei tempi ed alle esigenze del cosiddetto umanesimo integrale. Dal nichilismo totale contemporaneo - percepibile anche come abbandono di strutture culturali risolutive proprie - sembrano sorgere dunque gli episodi di follia quotidiana che riempiono le cronache dei giornali, ma anche i nuovi richiami, egualmente pericolosi, per un ritorno al sacro, anche ad un sacro sacrificale. Il figlicidio allora non pi tema propriamente mitico, evocato nel rito solo da diverse modalit di fuga dalla vita ordinata, ma diviene lesito - purtroppo assai reale - dellesplosione ormai incontrollata dellistinto di morte. Ecco che allora il mito di Medea si ripresenta oggi nella veste della Sindrome di Medea, cio il simbolo, creatore ed efficace, nonch mezzo di comunicazione, ha ceduto il posto al sintomo, al cattivo dispiegarsi della crisi nella forma, cifrata ed incomunicabile, della cosiddetta patologia. La sfera del dire ha lasciato luogo a quella di un fare sacrificale domestico, che tuttavia non pi inserito nella cornice simbolica, e creatrice, del rito. La distruzione risulta infatti in questi casi del tutto fine a se stessa, non essendo pi inserita in alcun quadro utile alla periodica rifondazione del cosmo. Insomma, dalla Medea puramente mitica dellimmaginario collettivo greco, che pur assolveva una sua reale funzione, saremmo giunti oggi ad una nuova pratica per cos dire sacrificale, e tuttavia ormai del tutto fine a se stessa, disorganica, isolata. Chiaramente, come De Martino ha opportunamente sottolineato, per far fronte a pericoli come questo, urge sempre di pi lesigenza di trovare nuovi modelli culturali positivi di ripresa attiva, capace di individuare la crisi e indicare i nuovi modi per la sua destorificazione.

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