Medea è la maga della Colchide, regione che si trova nel Mar Nero ed è una figura che non viene
trattata solo da Euripide, ma anche da Apollonio Rodio, però i due autori trattano del mito di Medea
due momenti diversi della sua vita. Euripide, pur essendo più giovane di Apollonio, tratta l’età
matura di Medea, Apollonio tratta la giovinezza di Medea.
Medea, donna barbara, ha aiutato l’eroe greco Giasone nella conquista del vello d’oro e dopo
averlo aiutato il loro amore si è coronato con il matrimonio. Giasone ha portato con se in Grecia
Medea, ha concepito due figli, ma allo stesso tempo una legislazione greca diventa nei confronti
degli stranieri per la cittadinanza, perché sono considerati cittadini greci coloro che sono nati da
entrambi cittadini greci, quindi i figli di Giasone e Medea non sono cittadini greci e Giasone per
dare cittadinanza ai suoi figli, ripudia la donna che aveva sacrificato tutta la sua vita, i suoi affetti
famigliari, aveva abbandonato la patria, il padre, pur di aiutare Giasone. Viene ripudiata e si sposa
con una sposa regale, con la figlia del re di Corinto, che nella tragedia non viene mai nominata per
nome e si allude a lei tramite delle perifrasi. Alcuni l’hanno identificata con il nome Glauce, altri con
Creusa. Medea viene ripudiata, bandita da Creonte, re di Corinto dalla città e decide non solo di
uccidere la nuova sposa, ma anche di colpire Giasone in quello che ha di più caro, i suoi figli.
Prologo: espositivo, di solito recitato da protagonista o divinità, ma in questo caso lo espone la
nutrice, che è umile, quindi è un prologo innovativo perché la nutrice è di rango inferiore e grazie
alle sue parole possiamo capire le parole della nutrice, grazie alla quale si avrà un’immagine
positiva di Medea, ma anche duplice, come tutto il personaggio della Medea, come una vox media:
da un lato è positivo perché ha subito un’ingiustizia, dall’altro è un personaggio negativo, uccide i
figli. Attraverso le sue parole la nutrice ha la funzione di suscitare simpatia, solidarietà nei confronti
della protagonista, di suscitare pietà, come se questa donna fosse stata oltraggiata e ferita nel suo
orgoglio, ma allo stesso tempo, con le parole della nutrice, Medea ha un carattere esasperato,
temibile, con delle arti magiche. Perché è strano che la madre odi i propri figli.
INIZIO DEL PROLOGO CON TRE PERIODI IPOTETICI DELL’IRREALTA’: per privare Medea di
ogni responsabilità, per togliere ogni colpa a Medea. Se lei ha agito in una tale maniere, non è
stata colpa sua, ma sono gli eventi che l’hanno trascinata a farlo. Se la nave non fosse mai giunta
nella Colchide, lei non si sarebbe mai innamorata, non avrebbe mai aiutato lui, non sarebbe mai
giunta i Grecia e non avrebbe mai ucciso i suoi figli.
“Oh magari la nave Argo non avesse mai attraversato le Simplegadi scure verso la terra dei Colchi
e non fossero mai caduti i pini (sineddoche: plurale espresso attraverso il singolare) tagliati nelle
vallate del Pelio, né avessero fornito remi per le braccia degli uomini valorosi che andarono a
recuperare il vello d’oro per Pelia hapax: parola utilizzata una sola volta nell’opera ”la nutrice sta
facendo riferimento a quando Giasone giunse nella terra dei Colchi, lui era il figlio del re della
Tessaglia e suo padre si chiamava Esone, che era il re di Iolco e questo Esone viene spodestato
dal fratello Pelia che vuole usurpargli il trono, quindi uccide Esone e prende il posto e affida le cure
di Giasone al centauro Chirone, che risiedeva nel Pelio. Divenuto grande Giasone, torna a Iolco
per riavere il regno paterno e chiede allo zio Pelia di restituirgli il regno e lui accetta ad una
condizione, ovvero che Giasone vada a prendergli un vello d’oro, un mantello rappresentato dalla
pelle di un ariete sacro a Zeus. Questo vello d’oro è custodito in un bosco sacro a Zeus, nella
Colchide, quindi bisogna andare in quella regione a prendere un vello custodito da un drago, era
un’impresa impossibile e sarà Medea ad aiutarlo. Pelia sa che il nipote non potrà mai conquistare il
vello d’oro e non potrà mai avere il trono. Questo vello apparteneva ad un ariete sacro mandato da
Ermes per aiutare due giovani greci, Frisso ed Elle, che vogliono sfuggire alle ire della matrigna e
Ermes invia loro un ariete sacro, grazie al quale voleranno verso l’Oriente. Durante il viaggio Elle
cadde nello stretto, che da lei prenderà il nome Ellesponto. Frisso arriva nella Colchide, sacrifica
l’ariete a Zeus e fa custodire il vello al drago.
Giasone accetta la sfida ed ordina ad Argo, il costruttore della nave da cui prende il nome, di
costruire questa nave e raccoglie il corpo di spedizione, costruito dai più importanti come Polluce,
ecc.. per aiutarlo nella conquista del vello d’oro e Giasone giungerà nella Colchide e grazie
all’aiuto di Medea riuscirà a conquistare il vello, portarlo allo zio e riconquistare il trono. La nutrice
quindi sta rievocando la spedizione della nave di Argo che riuscì ad attraversare addirittura lo
stretto delle Simplegadi, delle isole che ostacolavano il passaggio delle navi che si cimentavano
nell’ingresso del mar Nero. Però la nave di Argo fu aiutata nel passaggio dalla dea Atena.
“La mia padrona non avrebbe navigato verso le torri della terra di Iolco, ferita nell’animo,
dall’amore per Giasone” non sarebbe mai successo tutto se non si fosse innamorata. La
collocazione dei due termini, Medea, all’inizio e l’altro Giasone, alla fine, sono fatti apposta per
sottolineare la contrapposizione dei due personaggi, la loro diversità. In Omero tumon non viene
inteso come qualcosa che fa parte dell’io del personaggio, come sede del cuore come organo
fisico, invece in Euripide è la sede dell’interiorità della figura umana. Si ha un passaggio
dall’oggettività omerica al pathos.
“Né sarebbe andata ad abitare questa terra corinzia con il marito e i figli, dopo aver persuaso le
figlie di Pelia ad uccidere il padre”Medea con un inganno costringe le fanciulle a tagliare a pezzi
il padre cosi che il padre possa ringiovanire da quella cottura. La nutrice allude, di passaggio, a
questo delitto di Medea, non si sofferma nei dettagli cruenti dell’uccisione di Pelia perché non
vuole mettere in chiave negativa la padrona, anzi al verso 11 dice Euripide: “cercando di
compiacere il favore dei cittadini nel cui paese giunse in fuga” vuole sottolineare la figura
positiva di Medea, dichiarando in maniera quasi fugace il delitto di Pelia, con un dettaglio che
Euripide non inserisce, ma che noi ricaviamo da Pindaro, ovvero che Medea riuscì a salvare
Corinto da una terribile pestilenza, un elemento che mette in chiave positiva la figura di Medea.
“assecondando in tutto lo stesso Giasone”quello che ha fatto Medea, l’ha fatto perché ha
assecondato il marito ed Euripide conclude questi versi con una sentenza (gnomai), una massima,
un proverbio e dice al vv 14-15:”e questa la grandezza più grande quando una moglie non sia in
disaccordo con il marito”attraverso le parole della nutrice Euripide sta facendo riferimento al
contesto socio-culturale dicendo che la saldezza famigliare dipende dalla sottomissione di una
donna nei confronti di un marito, VISIONE MASCHILISTA.
v.16 “Ora, invece, tutto le è ostile, soffre degli affetti più cari.” (nosei verbo utilizzato da Euripide,
nosossofferenza di Medea sia fisica, che psicologica e ta filtata è un accusativo di relazione, un
superlativo irregolare, perchè lui grazie all’allitterazione del tau e la presenza del suono alfa riesce
a sottolineare la situazione psicologica di Medea, il suo dramma psicologico.
“Giasone, dopo avere tradito la mia padrona e i suoi figli, si corica con una sposa regale,
essendosi legato alla figlia di Creonte, che ora regna su questa terra.” La nutrice, per sottolineare
l’offesa di Giasone, e per renderla ancora più colpevole, dice che Giasone non ha tradito solo la
padrona, ma anche i suoi figli e così ha commesso un oltraggio molto importante, negativo,
offendendo non solo la moglie, ma anche i figli. Figura etimologica: gamois, ghemas, per
sottolineare l’importanza del tradimento.
“Medea, oltraggiata(htimasmenè), invoca i giuramenti e richiama la fedeltà solenne all’impegno
preso (Giasone le aveva promesso eterna fedeltà) e chiama a testimonianza gli dei, di quale
ricompensa riceve da Giasone.”Medea viene contrassegnata come dustenos, l’infelice, (prefisso
dus+ radice del verso istemi, stanon, chi sta in una condizione negativa. Talaina(v.34), dal
telamon, cignhia dove era appesa la spada, per cui l’aggettivo talas, indica l’infelicità di chi
sopporta tribolazioni, prove e viene spesso utilizzato quando si nutre commiserazione nei confronti
dell’infelice.
Per descrivere lo stato psicologico di Medea, Euripide si serve di frasi collegate per asindeto “giace
senza cibo, avendo abbandonato il corpo al dolore, consumando tutto il tempo in lacrime”: per farlo
Euripide chiama scene topoi care alla tradizione greca. Lo stare senza cibo ricorda altri episodi,
scene omeriche: situazione di Achille quando gli viene annunciata la morte di Patroclo, o quando a
Penelope le viene annunciata la minaccia che incombeva sul figlio
“da quando ha saputo di essere stata oltraggiata dal marito, senza alzare lo sguardo e senza
sollevare il volto da terra, come una roccia o un’onda marina non ascolta gli amici quando è
consigliata (similitudine), se non piange fra se volgendo altrove il candido collo, il padre caro, la
sua terra e la sua casa, abbandonando i quali se ne andò con il marito che ora l’ha disprezzata.”
“l’infelice sa, a causa della sventura, che cosa significhi essere primi di una terra patria, odia i figli
(στυγει παιδας v.36) e non è felice di vederli. Temo che lei macchini qualcosa di nuovo. Infatti ha
un carattere violento e non sopporterà di essere oltraggiata. Io la conosco e temo che spinga un
pugnale acuminato attraverso il fegato entrando in silenzio in casa dove giace lo sposo o uccida il
tiranno e la figlia e, in seguito compia una sciagura più grande. Infatti, è implacabile. Certamente
chi incorre nel suo odio non canterà un canto di trionfo. Ma ecco, i bambini che tornano dopo
aver finito le corse senza pensare per nulla ai mali della madre. Infatti, una mente giovane, non
ama, non è solita, addolorarsi.”
συμφορας υπο, “a causa della sventura” anastrofe
“A causa della sventura”eco di Eschilo, del suo Páthei Máthos, apprendimento dalla sventura.
Il prologo è diviso in due parti: la prima recitata dalla nutrice, la seconda fra la nutrice e il pedagogo
che entrato in scena con i bambini e ha sentito che Creonte ha bandito Medea con i suoi figli
perché teme ripercussioni per la figlia Glauce (o Creusa).
Prologo che mette in guardia su Medea, una madre che odia i figli, che viene temuta δεδοικα la
“la temo, perché ha un carattere violento e teme posa sguainare il pugnale verso Giasone oppure
verso Creonte o la figlia, oppure compia una sciagura maggiore.”
Chi incorre nel suo odio non potrà cantare un canto di trionfo. L’immagine che noi apprendiamo
dalla nutrice è questa.
Nell’aparodo il pubblico sentirà delle grida disperate di Medea che però entrerà in scena nel
primo episodio. Dalle grida di Medea nell’aparodo il pubblico si aspetterebbe l’uscita di una folle
sulla scena, invece no, l’ingresso in scena di Medea è un ingresso equilibrato, come lo è il
suo linguaggio. Appare come una donna saggia ed equilibrata. Questo mutamento si ha perché
Euripide viole abituare il suo pubblico al personaggio di Medea, dibattuto fra il θυμός, la passione e
βουλεματα(?), la ragione. Medea è ambivalente fra passione e ragione.
Nel primo episodio infatti si dirà “sono uscita di casa, o donna di Corinto”. Medea è uscita dalle
pareti domestiche al mondo pubblico, dall’universo femminile a quello maschile, pertanto cambia il
suo linguaggio da quello da folle delle pareti domestiche, riservato alla donna del quinto secolo,
esce in un mondo pubblico e maschile usando un linguaggio differente, più controllato. Nella prole
che seguiranno, Medea stigmatizza la condizione femminile della donna nel quinto secolo,
definendo le donne come le creature più infelici fra gli esseri viventi, alludendo alla donna
segregata fra le mura domestiche.
1 episodio di Medea (classroom) 214-229
1 slide:Il primo episodio é diviso tra: - ρησις di Medea con piccolo intervento del coro; - Dialogo tra
Medea e Creonte, chiuso dalle parole del coro; - Lunga ρησις di Medea che chiude l’episodio.
Medea é assente dalla scena fino al v. 214: la sua é un’entrata ritardata nonostante gli spettatori
abbiano sentito già precedentemente i suoi lamenti e le sue accuse.
In effetti, mentre fino a quel momento il pubblico aveva sentito dei lamenti irrazionali e convulsi,
ora invece Medea si mostra padrona di sé, un personaggio razionale, lucido, in cui l’emotività
caotica é superata e finita nel momento in cui é uscita da casa.
2 lide: Nel primo episodio entra in scena Medea, che conoscevamo grazie alle parole della nutrice
del prologo che aveva presentato la sua padrona come una donna che giace senza cibo e che si
dispera da mane a sera perché è stata umiliata nel suo animo dal tradimento del marito Giasone.
Medea entra in scena con un brusco cambiamento che sorprende gli spettatori ateniesi perché si
erano fatti di lei un’immagine di una folle mentre quando esce in scena ha un atteggiamento
equilibrato, lucido.
Euripide presenta Medea con questo cambiamento per abituare i lettori al duplice aspetto della
personalità di Medea, dibattuta fra il tumòs (passione) e la boulemata (ragione) e dunque alterna
momenti di lucidità a momenti di follia.
v. 214 il verbo exelton, aoristo II di exerkomai, indica un passaggio chiave nella tragedia e ha un
duplice valore sia fisico sia simbolico: segna l’uscita dalla casa e l’ingresso sulla scena: questo é
stato studiato da Williamson che ha attribuito all’azione un significato simbolico.
Infatti il verbo exelton significa “sono uscita” e regge il genitivo di allontanamento dòmon.
La prima sezione dell’episodio è un appello alle donne di Corinto che formano il coro: Medea
cerca di ottenere solidarietà e comprensione evocando i tratti comuni della condizione femminile
nella società greca e dice alle donne di Corinto di non dover interpretare Medea come una donna
superba e arrogante solamente perchè conduce una vita riparata; infatti spesso chi fa una vita
solitaria può apparire un asociale e una persona superba. Medea utilizza il verbo “me mempseste”
= perché non mi rimproveriate qualcosa; congiuntivo aoristo I e si tratta di una proposizione finale
negativa.
Medea successivamente fa una distinzione di tre categorie di mortali che vengono giudicati come
tali: ci sono coloro che vivono in isolamento, ci sono coloro che vivono fra gli estranei, coloro che
mostrano atteggiamenti altezzosi in pubblico (v. 215-216) e coloro che sono giudicati superbi dalla
comunità perché conducono una vita tranquilla (v.217).
v.218: ektésanto kai ratumian “hanno acquistato una cattiva fama di inerzia” → figura retorica
dell’endiadi che permette di inglobare in un'unica espressione due termini separati dalla
congiunzione. Ektèsanto aoristo I medio di ktaomai, con valore gnomico= hanno acquistato
Questo discorso sembrerebbe non avere a che fare con l’intervento di Medea: il critico Di
Benedetto dice che però qui si sta facendo una distinzione tra ciò che é e ciò che appare. Il suo
essersi tenuta nascosta nella casa fino a questo momento potrebbe infatti aver fatto pensare alle
donne del coro di essere superba e arrogante.
Questo piccolo discorso serve a far capire che in realtà é solo un’apparenza la sua superbia: il coro
non deve lasciarsi attraversare da un giudizio affrettato nei suoi confronti.
v. 219 Successivamente Medea afferma che non si può giudicare una persona da come si
comporta se non la si conosce a fondo. Medea dice che è importante che un estraneo acquisti la
benevolenza della comunità che lo ospita e che si adatti alla città che lo ospita, ma non approva la
comunità che giudica l’estraneo senza averlo conosciuto prima.
“ξενος”
«Certo è necessario che uno straniero si adatti alla città che lo accoglie; ma non apprezzo neppure
il cittadino arrogante che per la sua ignoranza si rende odioso agli altri.»
Slide 3: Poi, al v. 225, passa con “εµοι” al caso personale e parlando di sé dice che ormai, su di lei,
si é abbattuto un fatto inatteso che l’ha distrutta “dall’alto” (qualcosa di esterno che travolge).
Il suo animo si é abbattuto, poi ha perso tutti i piaceri della vita e ora desidera solamente morire.
Si ha una climax che fa vedere gli effetti devastanti e che insistono sulla carica autolesionista, il
desiderio di morire e di annullarsi.
Canter invece integra il γιγνωσκειv in γιγνωσκω, come ad insistere sulla consapevolezza piena di
Medea dei fatti e sta ad indicare il completo e fiducioso abbandono di Medea nei confronti di
Giasone.
Successivamente chiarisce che gli effetti devastanti sono legati allo sposo, colui nel quale aveva
riposto tutto e che é divenuto il peggiore degli uomini.
Al v. 229 c’é l’antitesi: all’inizio della frase c’è “κάκιστος ἀνδρῶν “,il peggiore degli uomini, alla fine
il soggetto οὑμὸς πόσις “il mio sposo”.
Slide 4: METRICA. Trimetro Giambico E' il verso tipico della struttura delle tragedie. Si chiama così
perché è composto da tre "metri" giambici; e poiché il "metro" è costituito da due "piedi" giambici
(giambo: ∪ —), di fatto esso risulta composto da sei giambi.
Schema Metrico: ∪ — ∪ —, ∪ — ∪ —, ∪ — ∪ —
Per i piedi dispari 1, 3, 5: Spondeo — — (accentato sulla seconda sillaba) Dattilo — ∪ ∪ (accentato
sulla seconda sillaba)
Per i piedi pari 2 e 4: Anapesto ∪ ∪ — (accentato sulla terza sillaba) Tribraco ∪ ∪ ∪ (accentato
sulla seconda sillaba) Se si hanno nomi propri nel primo piede si può avere un trocheo: — ∪
[accentato sulla prima]
FINEEEE
v.257: frase lapidaria, Euripide sta anticipando in maniera nascosta ciò che accadrà dopo.
Euripide pone sulla bocca di Medea una stigmatizzazione della condizione femminile in Grecia.
Attraverso le parole di Medea si può capire qual era la condizione della donna nella Grecia del V
secolo.
Medea elenca gli aspetti che rendono le donne creature infelici: prima fra tutto il matrimonio che
non è un matrimonio d’amore ma un contratto sociale (“noi dobbiamo comprarci un marito con
un enorme somma di danaro”). v.233: posin priastei (allitterazione) kakou kakon (poliptoto).
Quando Medea dice che al momento del matrimonio le donne sborsano una notevole somma di
danaro, oltre che far riferimento alla dote fa anche riferimento al fatto che spesso gli uomini
quando si riunivano nei loro discorsi, giudicavano le donne come creature dispendiose e inutili.
Quindi Medea dicendo che le donne sborsano una notevole somma di danaro, sta alludendo al
discorso che era solito venirsi a creare fra gli uomini cioè che non sono le donne ad essere
dispendiose mai sono le donne stesse che pagano per sposarsi.
Il divorzio non era onorevole per una donna ateniese del V secolo, era possibile divorziare ma
considerando che la donna non aveva alcun diritto politico, quando si faceva la richiesta di
divorzio, era il padre della donna o il fratello a presentare la richiesta in tribunale. Solamente una
donna ebbe il coraggio di presentarsi personalmente → ci viene descritta da Plutarco nelle Vite
parallele e fa riferimento alla moglie di Alcibiade, la quale prima se ne andò di casa e andò ad
abitare nella casa del fratello, poi presentò lei la richiesta di divorzio.
Successivamente Medea allude al fatto che era possibile per l’uomo aver più donne (la moglie,
l’etera e la concubina).
Creonte è a parlare.
“A te Medea, dallo sguardo torvo e adirata nei confronti dello sposo, ho ordinato di abbandonare
(andare fuori da) questa terra /ANASTROFE/ esule, prendendo con te i due figli e non indugiar,
poiché io sono l’esecutore di questo editto e non ritornerò al palazzo prima di averti portata fuori
dai confini di stato”
Creonte entra in scena in maniera autoritaria, rappresenta la legge, egli è garante del bando di
esilio che ha emesso nei confronti di Medea. Egli è la legge in persona, una figura autoritaria che
si presenta più potente e forte di Medea.
Medea risponde:
“Ahimè, infelice, sono rovinata in tutto. Infatti, i nemici allettano ogni fune e non c’è un approdo
accessibile dalla sciagura. Chiederò, benchè io soffra molto, per quale ragione, oh Creonte, mi
scacci da questa terra”
Medea sottolinea come i nemici procedano contro di lei con ogni forza, ogni violenza, come i
naviganti quando allentano le funi che trattengono le vele. Usando questa metafora inizia a
mostrare le sue abilità oratorie.
Creonte risponde:
“Temo, non bisogna mascherare le parole, che tu faccia a mia figlia qualche danno irreparabile.
Concorrono a ciò molte paure: tu sei saggia (sofè) e conoscitrice di molti mali. Soffri, perché sei
stata privata del letto nunziale. Sento dire che tu minacci, come mi riferiscono, di fare qualcosa
contro colui che ha dato sua figlia in matrimonio, la sposa e lo sposo. Sarò in guardia, che non
succeda nulla. E’ meglio, per me, ora, essere odiato, oh donna, piuttosto che piangere dopo, per
essere stato tenero.”
“Spesso, la mia fama, mi ha danneggiato e mi ha procurato grandi mali. Bisogna che chi è saggio,
educhi i figli in modo da non renderli straordinariamente saggi. Inoltre, alle altre accuse di
indolenza, attirano su di sé, l’invidia ostile da parte dei cittadini. Portando a degli ignoranti nuove
conoscenze, apparirai inutile e non sapiente. Se sei considerato migliore di coloro che ritengono di
possedere un sapere variopinto, apparirai, sembrerai odioso alla citta.”
Medea risponde dicendo che la saggezza le ha procurato molti mali e consiglia di educare i figli
senza renderli troppo sapienti, perché, chi è sapiente, attira su di sé, l’invidia dei cittadini che si
presumono di sapere più di chi è sapiente dietro le parole di Medea si nasconde Euripide. Chi
porta conoscenza agli ignoranti appare inutile. Euripide aveva portato sulla scena saperi nuovi, che
avevano sconvolto il pubblico ateniese. Egli, come Medea, è inviso e odiato dai cittadini per il suo
essere sofòs che attira su di sé la critica (Bersagliato da Aristofane) e il non successo delle sue
tragedie in vita (Egli si rifugiò in Macedonia poiché ai Greci non piaceva il suo modo di fare
tragedia). Dietro la posizione di Medea si nasconde Euripide che non piacque agli ateniesi, così
come non piacque Socrate.
Lo studioso Del Corno ha vinto in questo trionfo del sapere che non piace al pubblico greco
come Euripide non rappresenta il primo intellettuale che incarna in sé l’intelligenza, la sofia, la
sapienza. Egli vede un punto di inizio non tanto in Euripide, quanto in un passo di Omero, quando
le armi di Achille vengono consegnate a Odisseo anziché ad Aiace, erede legittimo, poiché è l’eroe
più prode e forte dal punto di vista fisico. Del Corno ha visto in questo passaggio il trionfo della
sofia, dell’intelligenza (armi consegnate ad Ulisse, simbolo di astuzia, intelligenza).
Medea ha esposto la sua considerazione riguardo la sofia, che per lei è stato uno svantaggio e per
lei non bisogna educare i figli in maniera eccessivamente sapiente.
v.324: ha inizio la stikomitia (“botta e risposta”). Inizia una sorta di preghiera da parte di Medea, la
quale si mette in ginocchio davanti alla figura di Creonte per provare a farlo restare ancora un
giorno. Ci sono tutti gli atteggiamenti tipici di una supplice: mettersi in ginocchio e
successivamente prende la mano di Creonte per non lasciarlo andare.
Fino al 357 Creonte concede il giorno a Medea. La situazione di Creonte si è ribaltata rispetto a
come è entrato in scene, era apparso come un tiranno e aveva detto di essere garante del ballo e
non se ne sarebbe andato in esilio fino a che Medea non obbedisse.
Alla fine dice che non ha mai avuto l’indole del tiranno (v.348) e riconosce la sua inferiorità nei
confronti della sofia e di Medea. Medea che appariva come la sottomessa all’inizio del dialogo, ora
è lei che sottomette Creonte, grazie alla sua sofia e grazia agli artifici di retorica che sa usare con
destrezza.
Questo dialogo è importante sia perché consente a Medea di rimanere un giorno in più in maniera
da attuare la sua vendetta a Corinto ma anche ci fa capire un altro aspetto del carattere di Medea.
Medea è una figura sola come la descrive la nutrice: è sola quando compare sulla scena per la
prima volta sulla scena, quando compirà il delitto e dopo aver ucciso i figli volerà sul carro del sole
del dio Helios. La solitudine caratterizza il personaggio di Medea dall’inizio fino alla fine.
Altro aspetto è la sua condizione di straniera: è una donna senza patria, senza famiglia perché ha
ucciso ogni legame pur di seguire il suo amore in Grecia, è una moglie barbara, abbandonata da
Giasone per una sposa regale. Incarna in sé il dramma di tutte le donne straniere che furono
vittime all’epoca della legislazione di Pericle, che considerava cittadini ateniesi coloro che sono
nati da entrambi i genitori ateniesi.
È una maga anche se l’essere maga viene lasciato in ombra da Euripide a differenza di come
verrà sottolineato nella Medea di Apollonio Rodio nelle Argonautiche.
Euripide allude alle sue arti magiche quando fa riferimento all’uccisione di Peria (zio di Giasone)
tramite le mani delle figlie.
È sapiente ed è proprio la sapienza che fa paura a Creonte. Medea illustra la condizione di donna
intelligente ma esclusa dal potere e quindi per affermare la sua esclusione del potere e per
affermare il suo diritto di donna ricorrerà all’infanticidio.