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Enrico Buffagni

Wikìpolis:
un manifesto
Idea ambiziosa ma interessante.
Anonimo Italiano del XXI secolo

Federico Fellini terminò quello che finì per essere il suo ultimo film mettendo queste
parole in bocca ad un matto (interpretato da Roberto Benigni):” … Eppure io credo
che se ci fosse un po’ più di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse
qualcosa potremmo capire…”.

Vorrei iniziare questo libro con quel tipo di silenzio.


Con una serie di respiri profondi.
Indice
Parte Prima 5

La sovranità appartiene al popolo 7

Nella pancia dell’America 19

Il costo (occulto) delle umane opportunità 49

…nel frattempo 52

Backlash 57

Re-think, Re-design, Re-build 68

Parte Seconda 79

I.R.I 2.0 81

Relazioni Stato-Wikipolis 93

Risorse 102

Quali Imprese 109

Benefici per i membri 121

Ecphrasis 125

Sinergie 140

Visibilità e rilevanza come nuovi commons 141

Wikipolis come Club 143

Lo Status 144

Wikipolis come bottom-up brand conglomerate 150

Tribù e mercati 153


Tecnologie della decisione 161

Reclutamento 163

Score 166

Ranking 167

Appendice 172

Crown agents 173


Parte Prima
La Sovranità appartiene al popolo
Se vendi soluzioni, ingigantisci i problemi. Se sono già enormi, prepara la valigia.
Anonimo

Gli Stati-Nazione come fondamentali unità organizzatrici della vita dell’uomo hanno
cessato di essere la principale forza creatrice: Corporations e Banche Internazionali
pianificano ed agiscono in termini che superano di gran lunga il concetto politico
dello Stato-Nazione.
Zbignew Brzezinski: Between Two Ages: The Technetronic Era, 1969

Forse quando scriveva queste parole, più di quarant’anni fa, il vecchio Zbig doveva
pensare che nessuna lobby sarebbe mai stata abbastanza influente da condizionare
l’America, non al punto da legarle le mani. Forse la gioventù gli faceva sottostimare
o comunque circoscrivere il monito di Eisenhower riguardo ad una delle più potenti
tra quelle lobbies, il Complesso Militare Industriale. Per non parlare della vicenda dei
fratelli Kennedy avvenute in quegli anni.
Oggi, vecchio e sazio di giorni, Zbig dice7 che proprio le lobbies, grazie alla loro
disponibilità finanziaria o all’appoggio di interessi stranieri:”stanno promovendo
interventi senza precedenti nella politica estera americana, al punto che non è chiaro
che gli interessi americani siano i primi ad essere presi in esame al momento di
delineare il corso delle azioni”.
Francesco Zaccaria scrive su Gnosis, la rivista dell’intelligence italiana: ”…la finanza
e l’economia costituiscono oggi aspetti fondamentali della vita dello Stato: una crisi
finanziaria o la situazione di insolvenza di un complesso industriale oppure di una
grande azienda di credito costituiscono una turbativa alla continuità dello Stato di
pari (se non superiore) livello rispetto a quello delle azioni militari, di terrorismo o di
rivoluzione. La continuità dello Stato passa, infatti, per la stabilità economica. E
l’interesse alla stabilità finanziaria ed economica non solo è, nel mondo attuale,
qualificante ma rappresenta ormai una parte rilevantissima degli interessi supremi del
Paese. Le guerre dei secoli passati si svolgevano essenzialmente attraverso lo
strumento militare. Oggi le guerre sono condizionate dall’economia e dalla finanza e
talora sono sostituite da manovre che toccano soltanto il mondo dell’economia e della
finanza. Si può conquistare il potere in un territorio o annetterlo alla propria sfera di
influenza senza sparare un colpo di cannone o lanciare alcun missile ma
semplicemente determinando una crisi finanziaria ed impadronendosi della
maggioranza del capitale delle principali industrie e banche che operano nel territorio
stesso. Nei casi in cui decenni fa avrebbero operato come decisivi soldati o divisioni
corazzate oggi si muovono accordi per la fornitura di fonti di energia o per la

7
http://bit.ly/4sRF94
costruzione di nuovi mezzi per il trasporto e la fornitura delle fonti energetiche
stesse”.

Alla luce di questa lucida e serena analisi, la recente dichiarazione del direttore del
Fondo Monetario, Dominique Strass-Kahn, riportata da Bloomberg, getta un’ombra
inquietante sul futuro8. Quando una persona nella sua posizione parla, lo fa
normalmente per rassicurare. Se la versione “rassicurante” della verità è che la metà
delle perdite delle banche restano da dichiarare, è ragionevole temere che possano
essere di più. Ma quel che è peggio, naturalmente, è che in Europa il processo sia
ancora in uno stadio anteriore rispetto agli USA.
Naturalmente ogni tentativo di riforma del sistema finanziario dovrebbe essere
condivisa almeno dai paesi del G20. La finanza naturalmente non è l’unica materia
per la quale ci sia una enorme ed urgente necessità di coordinamento internazionale,
possibile solo in presenza di una reciproca fiducia difficile da stabilire e quasi
impossibile da sostenere.

Il testo che segue, pubblicato sul Taipei Times nel febbraio del 2006, è stato scritto da
Richard Haas, presidente del Council on Foreign Relation. In esso Haas, una delle
menti più brillanti in tutto l’establishment americano, vi delinea il futuro che
sembrava imminente all’apice della globalizzazione: prima dell’ennesimo fallimento
della Conferenza di Doha (giugno 2008) e della successiva crisi finanziaria.Un futuro
verso il quale erano state stanziate vaste risorse nell’arco di decenni.
Come vedremo nel corso del libro, se l’idolatria verso l’idea di Sovranità è idealista
al punto di impedirci di affrontare le sfide transnazionali, allo stesso tempo appare
insufficiente il realismo di coloro, come Haas, che, pur partendo da un analisi

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http://bit.ly/7Pp2ZN
condivisibile, propongono politiche che non danno sufficienti garanzie a cittadini già
insoddisfatti del livello di rappresentanza offerto loro dalle attuali democrazie.
Ora, se avanzare quel tipo di agenda sarebbe stato difficile con un’economia ancora
felicemente drogata dal debito, farlo oggi, con milioni di disoccupati sembra
un’impresa disperata. I rischi per la stabilità sociale sono infatti talmente concreti da
spingere gli analisti di Moody’s a prendere in considerazione diversi modi per tener
conto della coesione sociale al momento di valutare il rischio di insolvenza di un
paese9. Leggendo l’articolo di Gillian Tett, ad un ingenuo sarebbe permesso chiedersi
se non siamo effettivamente in guerra. Di solito la bandiera del patriottismo viene
inalberata solo quando è strettamente necessaria e forse “il difficile compito di
assegnare il dolore (allocating pain) senza scatenare una rivoluzione” è una
circostanza quasi-bellica che necessita di una retorica accorde.

Credo sia essere utile partire da una diversa visione della World Governance, una che
meglio ci aiuti a situarci. Mi riferisco a quella di un’istituzione come la Chiesa
Cattolica, che proclama apertamente il suo universalismo e che ha un grande peso in
alcuni dei paesi emergenti (soprattutto dell’America latina,). Questo è il pensiero di
Papa Benedetto XVI, espresso nella sua ultima enciclica, Caritas in Veritate:
“Manifestazione particolare della carità e criterio guida per la collaborazione
fraterna di credenti e non credenti è senz'altro il principio di sussidiarietà,
espressione dell'inalienabile libertà umana. (...) La sussidiarietà rispetta la
dignità della persona, nella quale vede un soggetto sempre capace di dare
qualcosa agli altri. Riconoscendo nella reciprocità l'intima costituzione
dell'essere umano, la sussidiarietà è l'antidoto più efficace contro ogni forma di
assistenzialismo paternalista.(...) Si tratta quindi di un principio particolarmente
adatto a governare la globalizzazione e a orientarla verso un vero sviluppo
umano. Per non dar vita a un pericoloso potere universale di tipo monocratico,
il governo della globalizzazione deve essere di tipo sussidiario, articolato su
più livelli e su piani diversi, che collaborino reciprocamente. La
globalizzazione ha certo bisogno di autorità, in quanto pone il problema di un
bene comune globale da perseguire; tale autorità, però, dovrà essere
organizzata in modo sussidiario e poliarchico, sia per non ledere la libertà sia
per risultare concretamente efficace.

Le parole di Benedetto XVI sembrano prefigurare un maggior autonomia morale e


materiale dell’uomo nell’indirizzare il suo destino e un peso assai minore delle
istituzioni Ultra-Umane (Stati e Corporations, essenzialmente) rispetto alla visione di
Haas:
“Per 350 anni l’idea che gli stati sono gli attori decisivi sulla ribalta del mondo
e che i governanti sono essenzialmente liberi di agire nell’ambito del loro
territorio ma non nel territorio di altri stati - ha fornito il principio
organizzatore delle relazioni internazionali. É giunto il tempo di ripensare

9
http://bit.ly/8wNUBH
quest’idea. Gli oltre 190 stati in cui si divide il pianeta coesistono con un
numero ancora maggiore di potenti attori non-sovrani che vanno dalle ONG
alle Corporations, dai gruppi terroristici e criminali alle istituzioni regionali e
globali, alle banche e ai fondi di private equity. Lo stato sovrano é influenzato
da questi attori (nel bene o nel male) almeno quanto esercita un’influenza su di
loro. Il virtuale monopolio di cui hanno goduto nel passato le entità sovrane é
stato eroso. Di conseguenza, sono necessari nuovi meccanismi per la
governance regionale e globale, meccanismi che includono attori non sovrani.
Questo non significa che a Microsoft, Amnesty International o Goldman Sachs
verranno assegnati seggi nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ma
significa includere rappresentati di queste organizzazioni in deliberazioni
regionali o globali quando hanno la capacità di influire nelle sfide da
affrontare.
Non solo, se vogliamo che gli organismi internazionali possano funzionare, gli
stati devono essere pronti a cedere parte della loro sovranità. Questo sta già
avvenendo nel commercio mondiale. I governi hanno accettato la supremazia
del WTO perché, tutto considerato, traggono benefici dall’ordine commerciale
internazionale. Alcuni governi sono pronti a rinunciare ad elementi di sovranitá
se questo può facilitare la lotta al cambio climatico. Sotto il Protocollo di
Kyoto, che scade nel 2012, i firmatari hanno accettato di contenere specifiche
emissioni. É necessario un altro accordo in cui un maggior numero di paesi, tra
i quali USA, China e India, accettano limiti alle loro emissioni o adottano
standard comuni perché riconoscono che sarebbero danneggiati dalla mancanza
di un accordo. Tutto questo sembra suggerire che per adattarsi alla
globalizzazione la sovranitá debba essere ridefinita. In ultima istanza la
globalizzazione porta ad un aumento di volume, velocità e importanza dei
flussi, inter e transfrontalieri, di persone, idee, anidride carbonica, beni,
dollari, droga, virus, e-mails, weapons e molto altro. Sfidando una delle
caratteristiche fondamentali della sovranitá: l’abilità di controllare ciò che
attraversa le frontiere, in entrambe le direzioni. Gli stati sovrani sempre più
misurano la loro vulnerabilità non rispetto ai loro dirimpettai ma rispetto a
forze che sono al di là del loro controllo. La globalizzazione implica dunque
che la sovranitá non sta solo diventando più debole, ma deve diventarlo. Gli
stati sarebbero saggi se indebolissero la loro sovranitá in modo da proteggersi,
perché non possono isolarsi da ciò che avviene altrove. La sovranitá di per sé
non assicura più la protezione di un Santuario. Questo é stato dimostrato
chiaramente dalla reazione Americana e Mondiale al terrorismo. Il governo
talebano dell’Afghanistan é stato rovesciato per la protezione accordata ad Al
Qaeda. Similarmente, la guerra preventiva contro l’Iraq, che era ritenuto in
possesso di ADM, rappresenta un’altro esempio di come la Sovranità abbia
smesso di essere una protezione definitiva. Pensiamo a come il mondo
reagirebbe se qualche governo fosse ritenuto in procinto di usare o trasferire un
ordigno nucleare o lo avesse già fatto. Molti sosterrebbero – a ragione – che la
protezione della sovranità non sarebbe sufficiente per quello stato. La necessità
potrebbe portare ad una riduzione e perfino eliminazione della sovranità
quando un governo é incapace di coprire le necessità minime dei suoi cittadini.
Questo non per uno scrupolo umanitario ma per la consapevolezza che il
fallimento di uno stato o un genocidio può portare ad un flusso di rifugiati e
creare le condizioni per il radicamento di gruppi terroristi. L’intervento della
NATO in Kosovo rappresenta l’esempio di un ampio numero di governi che
decidono di violare la sovranità di un’altro governo (Serbia) per fermare una
pulizia etnica e una genocidio, i casi contrari del Rwanda un decennio fa e del
Darfur (Sudan) oggi, dimostrano l’alto prezzo intrinseco nel giudicare come
suprema la sovranità e non fare nulla per prevenire il massacro di innocenti.
La nostra idea di sovranità deve dunque essere condizionale, perfino
contrattuale, piuttosto che assoluta. Se uno stato manca alla sua parte di doveri,
sponsorizzando terrorismo, trasferendo o usando ADM o perpetrando un
genocidio, rinuncia automaticamente ai benefici della sovranitá e si e espone ad
attacco, rimozione o occupazione. La sfida diplomatica di quest’era é ottenere
un diffuso sostegno per principi di condotta statale e una procedura per trovare
soluzioni condivise quando i principi vengono violati. L’obiettivo dovrebbe
essere ridefinire la sovranità per l’era della globalizzazione, trovando un
equilibrio tra un mondo di stati pienamente sovrani e un sistema internazionale
che oscilli tra gli estremi di Governo Mondiale o Anarchia. L’idea di
sovranità, che costituisce un utile argine alla violenza tra stati, deve essere
preservata. Ma il concetto deve essere adattato ad un mondo in cui le principali
sfide all’ordine vengono da ciò che forze globali fanno agli stati e da cio´ che i
governi fanno ai loro cittadini, piuttosto che da ciò che gli stati si fanno a
vicenda10.

Questa, è bene non dimenticarlo mai, è la voce dell’Establishment americano.


Basta guardare a chi è rappresentato nel Board del Council: Carlyle, Blackstone,
Kohlberg Kravis, Atlantic Media, NBC News, KPCB, Kissinger Associates, Bob
Rubin e altri household names come: Fareed Zakaria, Madeleine Albright, Colin
Powell, Peter Ackerman, Alan S, Blinder, Joseph S. Nye jr e Martin Feldstein. E
Stephen Friedman.
Stephen Friedman, classe 1937, aveva passato praticamente l’intera carriera dentro
Goldman Sachs, essendone per anni presidente. Ed era arrivato a succedere a
Timothy Geithner alla FED di New York, prima che il conflitto di interesse tra quella
posizione e l’aquisto di azioni di Goldman Sachs (nel frattempo salvatasi
convertendosi in Bank Holding Company, coperta dalla FDIC) divenisse intollerabile
alla stampa e al pubblico americano. Il suo non è certo l’unico caso di revolving
doors, ma è certo uno dei più illustri. In effetti sarebbe intollerabilmente riduttivo
applicare a Stephen Friedman una categoria così middle-ranking come quella delle
revolving doors. Friedman è una mente brillante, la persona più lontana immaginabile
dal cliché del corrotto o dell’opportunista.

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http://bit.ly/GEmIe
Semplicemente, come tanti, non sembra vedere un potenziale conflitto di interessi tra
la “militanza” nel Board di Goldman Sachs (dal 2 maggio 2002) e le simultanee
posizioni nel National Economic Council prima o nel President's Foreign Intelligence
Advisory Board11 poi.
Questo tuttavia ha delle conseguenze. Le più gravi riguardano proprio le relazioni tra
Stati. Quando le frontiere tra una carriera e l’altra sono così porose è difficile credere
all’esistenza di un vero mercato o all’assoluta estraneità degli Stati nell’operato di
alcune imprese. Quando il livello di “interlocking” è così avanzato è difficile sapere
se una situazione di instabilità finanziaria è stata causata solo per accrescere il valore
dei C.D.S detenuti o non ci siano obiettivi più distruttivi forieri di conseguenze più
drammatiche. Ad uno Stato che (rinsavito) difenda sé stesso e il futuro dei suoi
cittadini può non importare se una banca operi per il suo profitto o per il paese nella
cui amministrazione servono tanti suoi ex-membri.

Atene ha scelto un ex banchiere di Goldman Sachs per gestire l’esorbitante debito


pubblico che sta facendo tremare Eurolandia. Petros Christodoulou, che ha sostituito
Spyros Papanikolaou al vertice dell’Agenzia greca per la gestione del debito
pubblico, ha lavorato per Goldman Sachs, quindi per Jp Morgan e per la National
Bank of Greece. Goldman Sachs, insieme a Jp Morgan, avrebbe anche aiutato la
Grecia «a truccare» il bilancio per soddisfare i parametri di Maastricht e aderire
all’euro12. Sono certo che Petros Christodoulou13 sarà senz’altro una persona onesta e
che userà le informazioni altamente confidenziali (e in grado di muovere il mercato)
delle quali verrà a conoscenza nel miglior interesse del suo paese e dell’Eurozone.
Peccato che ci siano precedenti non incoraggianti, almeno fra quelli di dominio
pubblico.
Clamorosi l’incontro tra Paulson e i suoi ex-colleghi in un Hotel di Mosca alla vigilia
di un importante discorso del Ministro del Tesoro, discorso che non poteva che
muovere i mercati ma del quale anticipò le linee guida. O, forse ancora più

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http://bit.ly/c9Shvx
12
http://bit.ly/bkh6UM
13
http://bit.ly/aTqRU1
compromettenti, le pressioni su Lehman Brothers perché aprisse i suoi libri alla gente
di Goldman Sachs che Paulson gli avrebbe mandato.
Le recenti speculazioni contro il debito pubblico sono materia d’indagine per gli 007.
Dopo aver indagato sulla febbre greca che ha sconvolto le borse europee,
l’intelligence di Atene - l’Eyp – ha accusato quattro fondi d’investimento: tre
americani (Moore Capital, Fidelity International e Paulson & Co14), e un inglese
(Brevan Howard, il maggior gestore di hedge funds d’Europa). Non solo: anche le
barbe finte del Cni, il servizio segreto spagnolo, sono coinvolte, insieme coi colleghi
francesi ed inglesi.
«I quattro fondi hanno assunto posizioni corte sul debito greco vendendo
massicciamente e quotidianamente i nostri bond a dicembre per poi ricomprarli una
volta scese le quotazioni – ha sostenuto un report dell’Intelligence ellenica rivelato
dal quotidiano greco To Vima -. Approfittando del clima sfavorevole all’economia
del nostro Paese e di rapporti che mettevano in dubbio la capacità di Atene di far
fronte ai suoi debiti, questi fondi hanno incassato elevati utili».
La teoria del complotto, era già stata avanzata dal premier greco Papandreou («Gli
attacchi sospeculativi contro la Grecia non hanno come obiettivo solo il mio Paese
ma la moneta unica», ha più volte dichiarato il capo dell’esecutivo di Atene) e
nonostante la smentita di Brevan Howard - ma non degli altri fondi - è stata
confermata anche dal ministro dell’Economia di Parigi, Christine Lagarde: «Ci sono
difficoltà nella zona euro perché la Grecia è sotto attacco», ha detto la ministra
francese. Ma che i James Bond spagnoli indaghino i brokers ha provocato una
durissima risposta del Wall Street Journal. «Addossare ad una cospirazione contro
l’euro i problemi che esistono nel mercato del debito su Paesi europei come Spagna e
Grecia, spaventa gli investitori più che qualsiasi editoriale critico - ha stigmatizzato la

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http://bit.ly/9D0d6e
Bibbia Usa-. Spendono male i soldi che gli costa sempre più chiedere in prestito»15.
È difficile dire fino a che punto stiamo vivendo un vero attacco speculativo. Angela
Merkel, che non è esattamente nella posizione di gettare benzina sul fuoco ha
comunque attaccato furente: « è scandaloso che le banche che ci hanno portato al
bordo del precipizio abbiano anche partecipato alla falsificazione dei bilanci greci »16.
Di certo ci sono livelli di manipolazione e contro-manipolazione che perfino gli
insider più consumati possono ignorare. Ma qui torna la questione delle doppie
appartenenze. Come quella di Otmar Issing, ex chief economist della BCE ma attuale
consigliere di Goldman Sachs. Jean Quatremer (che scrive su Liberation, quotidiano
di proprietà di Eduard de Rothschild e degli eredi di Carlo Caracciolo) non ha trovato
interlocutori loquaci presso Goldman Sachs, in effetti non ne ha trovati affatto. Ciò
che ha scoperto è comunque interessante:
“Mercoledì 27 gennaio, il Financial Times, scrive che la Cina ha rifiutato di
sottoscrivere 25 miliardi di debito greco 25 miliardi attravero la mediazione di
Goldman Sachs
Sarebbe stato Gary Cohn in persona (COO della banca) , scrive il FT, ad aver
proposto l’accordo al primo ministro greco. La notizia, come prevedibile, semina il
panico. Per i traders, Atene è nei guai perché è ormai obbligata a sollecitare
direttamente la Cina. Ora gli investitori esigono immediatamente uno spread più alto.
Ancora più strano è che tutti gli investitori abbiano capito in fretta che l’informazione
fosse…dubbia?. «Nessun paese compra 25 miliardi di euro di debito in un colpo
solo” », ricorda un banchiere francese. Un’altro professionista considera: «Non
posso pensare che il Financial Times non abbia verificato presso Goldman Sachs
un’informazione così importante. Questo significa che la banca aveva un interesse nel
far si che questo tipo di voci si propagassero, anche se false». E per quale ragione?
Cash. Perchè quando ci si chiama Goldman Sachs, - considera Quatermer- pare che
non ci si accontenti d’incassare con la mano destra le commissioni di intermediazione
nel collocamento di bond (oltre che sui ben noti forex swaps) ma che si speculi anche
con la mano sinistra contro… la Grecia17”.
Alla voce lip service (frasi di circostanza, atti dialettici dovuti):
Il Financial Times riporta che perfino la Federal Reserve, nella persona del suo
presidente Ben Bernanke, rispondendo a richieste di chiarimenti del Congresso ha
parlato dei CDS ricordando quale è l’appropriato contesto di utilizzo anche se nelle
sue parole ha indisposto l’eccessiva (sebbene comprensibile) prudenza che lo spinto a
definire come “controproducente18” (traduzione letterale) l’uso deliberatamente
destabilizzante di tali strumenti.
Cosa intende? Controproducente per chi? Per Goldman o per la Grecia/EU? Perché
che sia stato controproducente per la Grecia/EU se n’erano accorti proprio tutti.
La SEC (Securities and Exchange Commission) “sta esaminando potenziali abusi ed
effetti destabilizzanti legati all’uso di CDS e altri opachi prodotti finanziari”. Phil

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http://bit.ly/94HhHo
16
http://bit.ly/abEAsg
17
http://bit.ly/csLMke
18
http://bit.ly/93YH6T ma anche http://bit.ly/9Df3Zo
Angelides, presidente del US Financial Crisis Inquiry Commission, ha detto al
Financial Times che era preoccupato riguardo alla pratica di creare titoli per
scommettervi contro e in particolare per il ruolo di Goldman nella vicenda. Goldman
ha declinato ogni commento.
In presenza di attività di questo tipo, nel conto degli interessi e degli equilibri è
necessario considerare anche il peso militare del paese di origine. È difficile pensare
al Credit Swiss impegnato in attività simili a quelle appena descritte.
Non bisogna tuttavia dimenticare che l’origine della situazione greca odierna sta in
una classe politica irresponsabile che, pur di non annunciare misure di aggiustamento,
pur di non dire la verità agli elettori e costringerli a vivere con i propri mezzi o
convincere le élites a scendere a patti, ha messo la Nazione greca alla mercé di forze
esterne. Nulla avrebbe potuto indurli a credere che le informazioni che stavano
rivelando non avrebbero potuto essere usate contro la Grecia, presto tardi, qualora le
circostanze lo richiedessero. Ad aggravare la loro irresponsabilità è l’assenza di
qualunque peso della Grecia sui media internazionali, istanza ultima di giudizio.
Anche qualora avessero avuto elementi per articolare una strategie difensiva, non
avrebbero avuto dove presentarli.
In tutto questo, il giudizio negativo colpisce indiscriminatamente tutti gli short-
sellers.
Un vero short-seller (non un vigliacco che operi via CDS19) è come il medico che ti
dice che hai il cancro. La verità, preferisci saperla prima, quando ancora puoi salvarti
o dopo, quando è troppo tardi? Non è dunque un problema di short-selling, per se.
Il problema è piuttosto quello della scala. Hedge funds troppo grandi, o troppo
strettamente legati a banche che accedono alle migliori fonti dell’intelligence o, Dio
non voglia, godano perfino di garanzie implicite da parte del tesoro di qualche stato
sovrano, ecco, hedge funds di questo tipo sono di una natura fondamentalmente
diversa da quella degli innocui moralizzatori.
Tuttavia, se il debito fosse una droga (e non pochi sostengono che lo sia) chi altri
sarebbero i moralizzatori se non gli short-sellers? Lo stato che si indebita è come una
madre single ed eroinomane che invece di cercare la forza di emendare i suoi
comportamenti consegna i propri figli a saldo del debito. Se il debito fosse una droga,
perché gli stati nazione che vanno dal pusher dovrebbero essere meno colpevoli del
pusher che vende? Noi abbiamo trasformato tutto in ricreazione, la droga e le puttane,
e sembriamo non capire che l’oppio distrusse la Cina come il debito sta distruggendo
l’occidente. Il debito inteso come l’intera idea di spendere denaro non guadagnato.
Purtroppo gli squilibri globali non saranno sanati in un evento unico, nella
palingenesi di una nuova Bretton Woods che tanti sembrano evocare, semplicemente
perché, sebbene la guerra sia stata persa, a differenza di una guerra militare, un fiasco
finanziario si può occultare meglio e più a lungo. Si potrebbe perfino farla franca.
Dopo Bretton Woods (firmato nel 1944 e quindi con gli Usa all’apice del loro
bargaining power) la situazione era invece chiara. Le tombe piene e le pance vuote.
Abbiamo avuto quattro decenni di mondo bipolare e un ventennio guidato da una
“Iperpotenza Globale”. La situazione attuale è assai più fluida e questo rende
particolarmente difficile la formazione di un consenso. Concordare capital ratios
comuni con economie come l’India o il Brasile che hanno età medie di 25-27 anni
(mentre Italia e Germania sono a quota 44 e tutta l’Europa ricca, con l’eccezione
della Francia, veleggia ben al di sopra dei 40) implica una decisione in ultima istanza
politica. Siccome le economie crescono a ritmi diversi, le banche dei paesi più vecchi
e sviluppati dovrebbero usare una leva più alta e avere accesso ad investimenti più
redditizi, a parità di rischio, per accrescere i loro assets. Nello loro economie infatti,
ci sono sempre meno profitti da fare. Sempre meno capitale viene creato e quindi
occorrono più prestiti per unità di capitale per poter continuare ad aumentare gli
assets e non perdere terreno nei confronti della altre banche, specialmente dei paesi
emergenti. Anche in questo caso, come in quello del tetto alle emissioni di CO2, si
tratta di una decisione politica. Siccome l’attuale fluidità multipolare sembra
destinata a durare nel tempo, i paesi in relativo declino hanno tutti gli incentivi per
disegnare immediatamente l’architettura istituzionale del futuro, mentre i paesi
giovani ed ascendenti, hanno tutti gli incentivi per ritardare il momento della
cristallizzazione. Le relazioni South-South sono già iniziate e l’occidente, che ha

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Wolfgang Münchau: Time to outlaw naked credit default swaps: FT http://bit.ly/ajNTdV
rinnegato la propria cultura ed ha cresciuto generazioni di adoratori di Michael
Jackson, nutriti di frattaglie intellettuali, non sembra avere il nerbo per competere con
popoli che hanno dato all’eccellenza il posto che le compete nell’educazione di un
popolo forte e sicuro di sé.
Se ho mostrato questa fusione di interessi pubblici e privati, questa matassa
inestricabile di doppie appartenenze (tra settore pubblico e privato), è per ricordare
che questo è ciò che i pundits chiamano free market, Tuttavia l’accessibilità dei
mercati, la loro effettiva concorrenzialità e trasparenza, sono l’equivalente economico
della democrazia nella politica. Ecco perché, stante la vischiosa e irriformabile
opacità di questa, il mercato è (dovrebbe essere) il terreno sul quale sperimentare
nuovi modelli economici. Dedicherò la prima parte del libro a mostrare come operano
alcuni dei soggetti dai quali l’umanità , secondo Haas e tanti altri, non sembra poter
prescindere al momento di concepire, disegnare ed implementare politiche di portata
globale.
Nel percorso verso il cuore della visione di Wikipolis mi servirò il più possibile delle
parole di membri di quella che David Rothkopf chiama Superclass.
Parlando dell’America mi atterrò ad una regola che Norberto Bobbio dava a se stesso,
quella di criticare sempre solo la propria parte politica. Non avendo io una parte
politica e usando spesso parole di altri, adatto il principio di Bobbio alle citazioni.
Salvo diversa indicazione, tutte le persone che cito, appartengo a quell’area che
potremmo definire liberal-progressive. Il primo testo che cito risale alla metà di
agosto del 2009 e proviene dal blog di Robert Reich che è stato ministro del lavoro
della prima amministrazione Clinton ed è autore di libri molto dibattuti e blogger
influente.
Ho scelto il tema della riforma sanitaria perché, avendo dominato l’ultimo anno della
vita politica americana è perfetta per raccogliere argomentazioni sedimentate.
Nella pancia dell’America

“Sono un grande sostenitore dell’assicurazione sanitaria universale ed un fan


dell’amministrazione Obama. Ma sono costernato dall’accordo che la Casa Bianca ha
fatto con le lobbies dell’industria farmaceutica per comprare il loro appoggio.
La scorsa settimana, dopo che era stato riportato dal Los Angeles Times, la Casa
Bianca ha confermato di aver promesso a Big Pharma che il governo rinuncerà alla
possibilità di usare il suo potere di negoziazione per ottenere prezzi minori nei
medicinali.
Si tratta essenzialmente dello stesso accordo negoziato da George W. Bush per
Medicare (essenzialmente over 65) e che si è dimostrato una benedizione per
l’industria farmaceutica.
Lasciate che ve lo ricordi: un beneficio per l’industria farmaceutica significa costi più
alti per tutti noi. Ecco perché i critici di questo progetto di riforma, tra i quali perfino
la Commissione Bilancio della Camera, sono così preoccupati riguardo alla sua
inadeguatezza rispetto alla restrizione della futura spesa sanitaria. Come parte
dell’accordo Big Pharma avrebbe promesso di tagliare il costo futuro di medicinali
per un valore di 80 miliardi.
Ma né l’industria né la Casa Bianca o nessuna commissione congressuale ha
annunciato esattamente da dove salteranno fuori gli 80 miliardi o come si gestirà
l’intero processo.
(Alcuni giorni dopo, il 12 agosto del 2009, Greg Palast, giornalista indipendente e
autore di vari bestsellers, aveva le idee più chiare, sia sulle dimensioni reali dello
sconto per il contribuente che sui veri vincitori della vertenza20 e sulle dimensioni del
risparmio, intorno al 2%, portato dalla riforma).
In cambio, Big Pharma non si limita solo ad appoggiare la riforma. Sta anche
spendendo un sacco di soldi in pubblicità televisiva e radiofonica.
Il New York Times riporta che Big Pharma ha preventivato più di 150 milioni di
dollari di pubblicità televisiva a supporto dell’assicurazione sanitaria universale ( per
avere una proporzione è più di quanto John McCain spese delle sue pubblicità
televisive nella sua intera campagna presidenziale) e questo dopo aver già speso belle
somme attraverso gruppi come Healthy Economies Now e Families USA.

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http://bit.ly/10wZG4
Intendiamoci: voglio questa riforma e, essendo stato in prima fila nel 1994, quando
Big Pharma ed il resto dell’Health-Industry Complex decise di combattere il tentativo
di Clinton, posso dirvi quanto violenta ed efficace possa essere la loro opposizione.
Apprezzo quindi il loro appoggio e il fatto che stia facendo l’inverso di ciò che fecero
l’ultima volta. Ma mi importa anche delle democrazia e l’accordo tra Big Pharma e la
Casa Bianca mi preoccupa. È già abbastanza grave quando i lobbisti ottengono
concessioni dai membri del Congresso. Ma quando un industria riceve segrete
concessioni dalla Casa Bianca, in cambio dell’appoggio ad una legge, allora siamo
davvero nei guai.
Quella si chiama estorsione: un industria sta usando la sua capacità di minacciare o
perfino prevenire una legislazione come modo per alterare, a suo vantaggio, quella
stessa legislazione. E lo sta facendo nella sfera più alta del nostro governo, l’ufficio
del presidente.
Quando poi l’appoggio di quell’industria si manifesta nella forma di un campagna
pubblicitaria in favore di quella stessa legislazione, la minaccia alla democrazia è
ancora più grave. I cittadini finiscono per pagare il conto di pubblicità concepite per
persuaderli che la suddetta legge è nel loro interesse.
Non voglio fare l’anima bella. La politica è un gioco duro nel quale mezzi e fini
spesso vengono mischiati e fusi. Forse l’accordo della Casa Bianca con Big Pharma è
un passo necessario nella direzione di una copertura assicurativa universale. Ma se è
così la nostra democrazia se la passa davvero malissimo. Siamo su una strada
pericolosa e dovunque essa conduca, non è verso la democrazia21.

Howard Dean è stato eletto per cinque volte governatore dello stato del Vermont tra il
1991 ed il 2003 (si, il mandato in Vermont dura solo due anni). Sebbene la
costituzione del Vermont sia la unica che non lo richiede esplicitamente, Dean
raggiunse il pareggio di bilancio in undici esercizi su dodici, migliorò il rating del
debito provinciale e abbassò l’equivalente dell’Irpef.
Per la sua difesa del secondo emendamento (semplificando: diritto di detenere e
portare armi) venne sostenuto dalla N.R.A., potente lobby raccontata da Michael
Moore in Bowling for Colombine (con il suo tipico talento per i mezzi toni) ma è
anche stato il primo governatore in America a firmare, già nel 2000, una legge che
permetteva le unioni civili. Il sostegno dell’NRA ad un candidato democratico è un
evento piuttosto infrequente ed un chiaro indizio di by-partisanship.
Dean venne battuto da John Kerry nelle primarie del 2004, ma le enormi innovazioni
della sua campagna elettorale sono state perfezionate con successo da Barak Obama
nel 200822. Howard Dean è stato a lungo tra i possibili ministri della sanità di Barak
Obama o fino all’ultimo ha cercato di tenere aperte le porte per un accordo sulla
riforma sanitaria. Ecco cosa ha scritto un uomo politico col suo “pedrigree”:

21
http://bit.ly/asYJ1Q
22
http://bit.ly/clS8Jx
“Se fossi un senatore, non voterei per l’attuale disegno di legge sulla Sanità. Ogni
misura che espanda il monopolio delle assicurazioni private e trasferisca milioni di
dollari dei contribuenti verso Corporations private non è una vera riforma.
Una vera riforma inserirebbe vera competizione nel mercato delle assicurazioni, li
spingerebbe a tagliare spese amministrative superflue e a spendere il denaro che
riceve avendo cura delle persone. Una vera riforma abbasserebbe significativamente i
costi, migliorerebbe le cure e darebbe a tutti gli americani una significativa scelta in
termini di copertura. L’attuale progetto non soddisfa nessuna di queste necessità. Una
vera riforma è supposta eliminare la discriminazioni basate su condizioni pre-
esistenti. Ma la legislazione permette alla compagnie di assicurazione di richiedere
agli americani più anziani, fino a tre volte il premio che paga un giovane,
escludendoli di fatto dalla copertura. La riforma era supposta dare agli americani la
possibilità di scegliere in quale tipo di sistema (pubblico o privato) volevano stare.
Invece, multa gli americani che non sottoscrivono una assicurazione privata, che può
usare fino al 30% del premio per le compensazioni dei CEOs o nel pagamento di
dividendi. Pochi americani vedranno qualche beneficio prima del 2014, quando già i
premi saranno probabilmente duplicati. In breve, i vincitori con questa legge sono
compagnie di assicurazione; il contribuente sta per essere tosato molto peggio che nel
bailout di AIG”
…Ho lavorato ad una riforma sanitaria per tutta la mia vita politica. Riconosco una
riforma quando la vedo, e non ce n’è rimasta molta nella legge al Senato. Non posso
che concludere che, così com’è, questa legge creerebbe più danni che benefici per il
futuro dell’America”23.
Le parole di Dean erano ispirate anche ad una verità incontrovertibile, la verità che
conta. Al 21 dicembre, gli investitori vedevano le 2074 pagine del disegno di legge
presentato al Senato, come un enorme sussidio pubblico per le imprese di
assicurazione. Questa è l’unica lettura che è possibile trarre dall’impennata nei prezzi
delle azioni del settore sanità, in chiara controtendenza rispetto alla media dell’indice
generale. L’aumento nei prezzi delle azioni è stato particolarmente evidente dopo il
27 ottobre 2009 quando il Senatore Lieberman ha reso noto che si sarebbe opposto ad
una riforma che contenesse un’opzione pubblica.
Ecco un rapido resoconto delle performance dei titoli delle principali imprese dal 27
ottobre al 21 dicembre 2009:

Coventry Health Care, Inc. + 31.6 %



• CIGNA Corp. + 29.1 %
• Aetna Inc. + 27.1 %;
• WellPoint, Inc. + 26.6 %
• UnitedHealth Group Inc. + 20.5 %
• Humana Inc. + 13.6 %
Nello stesso arco di tempo il Dow Jones ed il NASDAQ non sono aumentati che di
un misero 2.3 e 1.4 %, rispettivamente24.
23
http://bit.ly/6IMdUC
24
http://bit.ly/7M0j1Y
A dispetto di tutte queste proteste da parte dei progressive democrats, alla fine la
riforma è stata approvata con tutti i loro voti e non hanno ricevuto nulla in cambio.
Perfino Dennis Kucinich, veterano deputato dell’Ohio, ha ceduto e, dopo un viaggio
sull’Air Force One, ha comunicato che, seppur conservando tutte le sue obiezioni,
avrebbe votato si. Questo fatto ha scatenato i dietrologi che hanno paragonato la resa
di Kucinich al sospetto ritiro dell’indipendente populista Ross Perot nelle elezioni
presidenziali del 1996
È ufficiale: il 2009 è stato un anno record per le lobbies, a dispetto della recessione.
Le relazioni sul 2009 dimostrano al di là di ogni ragionevole dubbio che si trattato
dell’anno più redditizio per gli addetti di K-Street, il Lobbying-Industrial Complex.
I bonus di Wall Street sono ai massimi, il budget militare continua a crescere e le
lobby hanno il loro miglior anno. Tre indizi fanno una prova?
I dati del nonpartisan Center fo Responsive Politics(CRP) hanno messo assieme
decine di migliaia di disclosures e i dati mostrano che la spesa combinata di tutti gli
interessi speciali nell’anno 2009 è passata da 3.3 a 3.47 miliardi.
Sarebbe facile usare questo dato contro i critici dell’Obama attendista e come prova
di una volontà di riforma più concreta di quella percepita da osservatori esterni. La
storia però non è una scienza e non potremmo mai produrre in laboratorio una
simulazione che dimostri quanto avrebbero effettivamente speso con Rodham Clinton
o McCain alla Casa Bianca. Quello che invece sappiamo è che stiamo vivendo una
situazione con pochi precedenti storici (virtualmente nessuno). Un passaggio epocale
che obbliga a grandissime riforme, una situazione fluida nella quale si genera un
“effetto asta” tra i vari settori dell’economia, per mantenere o migliorare quella che
viene percepita come la “propria quota” di spesa pubblica.
Restano i dati: ciascuno dei settori importanti ha speso di più, a cominciare
dall’industria farmaceutica e sanitaria, che ha speso 266.8 milioni – secondo il CRP,
la somma più alta mai spesa da una singola industria in un solo anno. Oil&Gas 168.4
milioni mentre il settore delle assicurazioni ha sborsato 164.2 milioni. Eppure, a
dispetto della bonanza, il CRP nota come il 2009 abbia visto un consolidamento nel
processo di declino nel numero totale dei lobbisti registrati iniziato già nel 2008.
Orde di lobbisti sono usciti dai pubblici registri negli ultimi due anni dopo che il
Congresso ha preteso rendiconti più dettagliati e che l’amministrazione Obama ha
messo in piedi una serie di politiche anti-lobby.
Solo nel secondo trimestre (del 2009), dopo l’aumento delle restrizioni, più di un
migliaio di lobbisti hanno sono usciti dai pubblici registri (dati OMB Watch e del
Center for Responsive Politics), tremila dall’inizio del 2008.
A livello federale, molte persone nella lobbying industry adottano titoli come 'senior
advisor' o altri titoli dirigenziali che permettano loro di evitare le maglie del
Lobbying Disclosure Act."
Se i lobbisti stanno aggirando la legge, non hanno molti incentivi per fermarsi. Da
quando il Lobbying Disclosure Act divenne legge nel 1996, il Senato ha trasmesso
più di 8.000 denunce di potenziali violazioni al Dipartimento di Giustizia, 4,400
circa, solo nel 2009, ma quasi tutte senza conseguenze. È opinione diffusa che molte
delle violazioni del 2009 riguardino irregolarità commesse da lobbisti nella procedura
di de-registrazione.
Per più di quattro anni, da quando ha lasciato i Senato, Mr. Daschle è stato la metà
democratica di un potentissimo team bipartisan insieme ad un altro ex leader del
Senato, il repubblicano Bob Dole che lo portò ad Alston & Bird quando ciccò la sua
ri-elezione.
Tom Daschle, per dieci anni leader della maggioranza democratica al Senato e vicino
al Presidente Obama (che lo aveva nominato Ministro della Sanità, incarico che
dovette lasciare a causa di un’imbarazzante controversia col fisco) è ora sul punto di
passare da un grande studio legale nazionale, Alston & Bird appunto, ad uno, DLA
Piper, di portata globale e che rappresenta un portfolio di clienti che vanno da grandi
Corporations a governi stranieri. Mr. Daschle non si era registrato come lobbista e ha
detto che non lo farà nemmeno presso DLA Piper, anche se continuerà ad essere un
“consigliere strategico” per clienti corporatativi. Seppure si astenesse dal contattare
direttamente ex-colleghi per conto di clienti, i clienti di DLA Piper riceverebbe
comunque tutti i benefici dei suoi contatti e della sua esperienza e quegli assets
verrebbero essere usati per influenzare la legislazione. Di certo questo gli permette di
mantenere l’identità dei clienti e l’ammontare dei compensi, interamente segreti.
Craig Holman, un lobbista presso Public Citizen, sostiene che mentre Daschle
potrebbe non star violando la lettera della legge, di certo ne sta violando lo spirito.
"Viene pagato una fortuna, passa più del 20 % del suo tempo in attività di lobby, ed
incontra regolarmente membri dell’esecutivo". "Quel tipo si sta davvero burlando
della legge!25"

Se questi non fossero già segni di una situazione piuttosto compromessa, la Corte
Suprema ha voluto fare la sua parte, sancendo l’incostituzionalità delle limitazioni ai
finanziamenti che le Corporations possono fornire alla politica. Il giudice Anthony
M. Kennedy, leader della maggioranza che si è imposta, ha sostenuto che se il primo
emendamento ha qualche forza, questa sta nel proibire al Congresso di multare o
imprigionare cittadini, o associazioni di cittadini, semplicemente per la pubblicità
delle loro opinioni politiche. La sentenza (Citizen United v. Federal Election
Commission) ha annullato due precedenti: Austin v. Federal Election Commission
(1990) e McConnell v. Federal Election Commission(2003), una decisione, questa,
che recepiva il Bipartisan Campaign Reform Act del 2002, il cosiddetto McCain-
Feingold bill26.
Naturalmente nessuna di queste sentenze sarebbe possibile se alle Corporation non
fossero riconosciuti quasi tutti i diritti fondamentali delle persone fisiche, situazione
specialmente grave negli USA, dove sono presi molto più sul serio che nella vecchia
Europa. Ecco quindi che il diritto di parola, il primo e più sacrosanto, diviene l’
ideale cavallo di Troia.
Il giudice John Paul Stevens (parte della minoranza sconfitta) ha scritto invece che:
”le Corporations non sono membri della nostra società. Non possono votare o
candidarsi. Se le Corporations non possono votare – sostiene - perché dovrebbero
poter soverchiare coloro che invece godono a pieno titolo di quei diritti?”27.
Il direttore del OSCE Officio per le Institutioni Democratiche e i diritti umani
(ODIHR), l’Ambasciatore Janez Lenarcic, si è detto preoccupato per la sentenza della
Corte Suprema degli Stati Uniti d’America visto che la sentenza potrebbe privare gli
elettori della scelta ed i candidati di una chance, visto che minaccia di marginalizzare
ulteriormente candidati che non godano di un forte sostegno finanziario e di vaste
risorse personali, restringendo di fatto l’arena politica.
La Corte Suprema ha messo una nuova arma nelle mani dei lobbisti che possono ora
dire ad ogni funzionari eletto:”se voti nel modo sbagliato, la mia impresa o il mio
settore spenderà somme

25
http://bit.ly/8l6txk
26
http://bit.ly/4ueTWe
27
http://bit.ly/7ZuLaA
illimitate esplicitamente dirette ad impedire la tua ri-elezione. Abbiamo un milione,
possiamo spenderlo per te o contro di te, scegli tu!”.
La decisione aumenterà drammaticamente il potere dei gruppi di interesse a spese dei
candidati e di quel che resta dei partiti politici. I più grossi beneficiari potrebbero
essere i candidati uscenti i cui favori potrebbero essere contesi a partire da un prezzo
tanto più alto quanto migliore la loro performance e quanto più alta la loro credibilità.
Un grande impatto la sentenza potrebbe averlo anche a livello locale, dove alcuni
milioni possono fare la differenza e in generale non potrebbe cadere in un momento
più appropriato, quando tutti hanno un enorme necessità di assicurarsi influenza in un
momento storico che obbliga/erebbe a grandi discontinuità con il precedente status
quo. Da Detroit a Wall Street ci sono da riscrivere le regole per vasti settori
dell’economia.
Il Presidente Obama ha definito la sentenza “luce verde ad una nuova ondata di
denaro sulla nostra politica”. In pratica, grandi corporations come Microsoft o
General Electric potrebbero non approfittare della possibilità offerta loro dalla
decisione della Corte Suprema per timore di perdere il favore di investitori, clienti o
altri funzionari già in posizioni di potere.
In pratica basterebbe che ci fossero abbastanza passaggi intermedi tra committente ed
esecutori da rendere impossibile risalire alla verità o almeno dimostrarla al di là di
ogni ragionevole dubbio.
La sentenza potrebbe anche spianare la strada ad un ruolo più prominente per
interessi stranieri, siano essi corporations od altri soggetti 28.
Inoltre, secondo Lucian Bebchuk, professore alla Harvard Law School, autore tra gli
altri libri, di Pay without Performance: The Unfulfilled Promise of Executive
Compensation e una della massime autorità in materia di corporate governance,
sarebbe contro l’interesse delle stesse Corporations29.

Come anche Lawrence Lessig (altro grande giurista, padre di Creative Commons) fa
notare, il problema non si riduce alla (pur grave) recente sentenza e agli ultimi due
mesi di campagna elettorale. In fondo, con un elezione ogni due anni, quei 60 giorni
rappresentano meno del 10% del totale (8,3% per la precisione). Il problema,
semmai, sarebbe il monopolio dei Corporate Media nel rimanente tempo. News Corp,
Disney, TimeWarner, CBS, Viacom, NBC (ComCast+General Electric) che si
dividono una quota sempre maggiore del mercato. E sappiamo anche che non è
necessario produrre direttamente i contenuti per influenzare l’agenda, basta offrire
contributi pubblicitari richiedendo specificamente un certo tipo di copertura su un
certo argomento. Ovvero, meglio ancora, ottenere che in alcuni programmi che
trattano temi che sensibili per la produzione di un impresa o di un settore, vengano
invitati in qualità di esperti persone che sono a libro paga di quell’impresa o di quel
settore.

Il 4 dicembre, mentre Obama incontrava lavoratori di Allentown, Pennsylvania, e


discuteva con loro della crisi economica l’ex governatore di quello stato (ed ex-
Homeland Security Secretary per George W. Bush), Tom Ridge, stava offrendo il suo
piano su MSNBC. Azioni “modeste” che la Casa Bianca avrebbe potuto tentare. Il

28
http://bit.ly/4MDBTs
29
http://bit.ly/9clDus Bebchuk, ben conscio dell’inefficacia di una semplice opposizione frontale nell’opposizione a
certe decisioni, cerca di raggiungere il suo obiettivo attraverso un percorso più accidentato ed indiretto, ma forse più
efficace: adottando il punto di vista dell’avversario e mostrandogli costi occulti che poteva aver ignorato .
vero passo nella direzione giusta., tuttavia, sarebbe stato quello di creare nuove
centrali nucleari. Mentre parlava le sue opinioni potevano perfino sembrare
spassionate, ma ciò che gli spettatori non sapevano era che dal 2005 in poi Ridge
aveva intascato 530.659 dollari per sedere nel board di Excelon, la più grande
impresa americana nel settore nucleare. O che nel marzo del 2009, stando ai dati della
S.E.C. , aveva all’incirca 250.000 dollari in azioni della Exelon. Immediatamente
prima di lui, Barry McCaffrey, generale a riposo ed analista militare della NBC disse
agli spettatori che la guerra in Afghanistan avrebbe richiesto tra i tre e i dieci anni di
ulteriore impegno e un bel po’ di denaro. Ciò che non gli era sembrato rilevante era
che DynCorp (contractor militare) lo aveva pagato 182.309 nel solo 2009 e che il
governo aveva appena assegnato a DynCorp una commessa per cinque anni, del
valore stimato di 5.9 miliardi. Nello spazio di una sola ora erano apparsi su MSNBC
due uomini che avevano occultato grandi interessi in gioco. La domanda è, si tratta di
un caso o della norma? Gli indizi raccolti da The Nation 30in quattro mesi di inchiesta
avvalorano la seconda ipotesi.
È importante chiarire il contesto in termini di libertà.
Tutto sembra indicare che le corporations abbiano il diritto alla libertà di espressione.
Quale che sia la nostra opinione in materia, il fatto che l’uomo pre-esista le
Corporations ci induce a credere che queste si siano ispirate a diritti&libertà che “si
originano in capo all’uomo”.
Abbiamo appena visto prove egregie della capacità corruttive che è possibile
scatenare grazie ad un interpretazione convenientemente ampia del primo
emendamento. È venuto il momento di vedere come quello stesso diritto
insopprimibile diritto di parola venga declinato quando si tratta di uomini e non di
Corporations.

30
http://bit.ly/auVsgi
Se il prossimo titolo (il suo riferimento ad un silenzioso colpo di stato) vi sembra
eccessivo vi invito a considerare che anche il CEO del gruppo Atlantic Media, il
neo-con David Bradley, siede nel Board del Council on Foreign Relations. E l’autore
dell’articolo è Simon Johnson, ex Chief Economist del FMI e senior fellow del
Peterson Institute for International Economics31.
Nel saggio Johnson , nel maggio del 2009, che la ripresa nell’economia americana
sarebbe fallita a meno che, quella che chiama “l’oligarchia finanziaria”, responsabile
della crisi e attivamente schierata contro le necessarie riforme, non fosse stata
smembrata. Il governo, prigioniero dell’industria finanziaria, apparentemente
impotente o contrario ad ogni modificazione dello status quo, sarebbe stato sul punto
di esaurire il tempo a sua disposizione per prevenire una vera depressione32.
Sempre in quei giorni, un altro ex-chief economist, il premio Nobel Joseph Stiglitz,
non aveva nascosto la sua insoddisfazione ricordando che è meglio guardare avanti
che indietro, ridurre il rischio nei nuovi prestiti e assicurarsi di creare nuova capacità

31
http://bit.ly/8Y84dt
32
http://bit.ly/9fxYST
di prestito per l’economia reale. Per dare un ordine di grandezza, se i 700 miliardi del
TARP, fossero stati affidati ad una nuova entità che li prestasse con una leva del 10,
avrebbero finanziato nuovi prestiti per 7.000 miliardi, ben oltre quelli necessari.33

E difficile snobbare ciò che un ex-chief economist del FMI ha da dire sull’economia.
Almeno altrettanto difficile è snobbare ciò che un giurista moderato come Lawrence
Lessig (professore a stanford, creatore di Creative Commons, e a lungo considerato
tra i giudici “papabili” che Obama dovrà nominare) ha da dire sullo stato della
democrazia nel suo paese.

33
http://bit.ly/9H38y4
E a quanto pare non si tratta solo di una percezione delle elites.
Non si tratta solo di grave malcontento nei confronti dei soggetti largamente percepiti
come all’origine della crisi, ma dell’intero Sistema.

Il già citato Glenn Greenwald, prestigioso giornalista indipendente americano ha


recentemente scritto su Salon34:“Cass Sunstein (autore di Nudge, edito in Italia da
Feltrinelli) è da molto tempo35 uno dei più stretti collaboratori di Barack
Obama. Considerato spesso come uomo del Presidente per la Corte Suprema,
Sunstein dirige attualmente l’Ufficio di Informazione e Regolazione. E cosa fanno, vi
chiederete voi, in un’istituzione con un nome così fumoso? Beh, supervisionano tutte
le politiche legate alla privacy, i programmi statistici e la “qualità dell’informazione”.
Nel 2008, ancora alla Harvard Law School, Sunstein suggerì, in un pernicioso paper,
che il governo

34
http://bit.ly/7h4LYD
35
http://bit.ly/8MNtip
americano usasse agenti in incognito e attivisti pseudo-indipendenti per “infiltrare
cognitivamente” gruppi on-line e siti di attivisti che sostengano opinioni che Sunstein
definisce come “false teorie cospirative” sul governo. Questo al fine di aumentare la
fiducia dei cittadini nei funzionari e minare la credibilità dei supposti complottisti.
Sunstein sostenne anche che il governo dovrebbe infiltrare i suoi agenti non solo in
chat rooms e social networks ma anche in gruppi che fossero attivi off-line. Propose
di pagare in segreto autori “credibili” e “indipendenti” che potrebbero supportare
(con discrezione) le posizioni del governo, basandosi sull’idea, forse fin troppo ovvia,
che gli oppositori del governo sarebbero più inclini ad ascoltare quanti potessero
esibire credenziali di indipendenza. Al cuore di questo programma sta la definizione
di “teoria cospirativa” che Sunstein considera come “il tentativo di spiegare un
evento o una pratica attraverso la macchinazione di persone insieme molto potenti e
poco appariscenti”. Non ci sono prove del fatto che l’amministrazione Obama abbia
realmente implementato un programma con caratteristiche simili a quelle proposte da
Sunstein, di certo combinando il paper e la posizione che egli occupa
nell’amministrazione, la domanda sembra legittima. Questo non è uno di quei casi in
cui qualche funzionario viene messo in difficoltà da un paper bizzarro scritto
tren’anni prima su un argomento slegato dall’ambito nel quale si sta ora
disimpegnando. Il paper è stato scritto negli ultimi 18 mesi, quando l’ascesa alla
presidenza di un giovane amico di Sunstein e collega alla Chicago Law School
sembrava probabile e riguarda proprio la materia di cui si sta occupando ora”.

Nel marzo del 2008, appena due mesi dopo la pubblicazione del paper di Sunstein,
uscì Superclass (tempestivamente edito in Italia da Einaudi) i cui contenuti
difficilmente potrebbero essere tacciati di complottismo.
David Rothkopf, il suo autore, è a mio giudizio la persona di maggior talento che
scriva oggi di relazioni internazionali. Rothkopf, dal suo blog su Foreign Policy, ha
messo a punto un vero e proprio genere letterario, che mescola l’aneddoto quotidiano
e la big picture, ma è soprattutto maestro nell’arte di integrare i diversi piani del
discorso in un unico “piano-sequenza”. Lì risiede il suo virtuosismo. Mentre stai
leggendo un “post” tanti attori e temi vengono fugacemente presentati. Nessuno è più
importante degli altri ma le relazioni tra loro non hanno mai la casualità che
apparentano. Mentre uno segue quello che crede essere il plot, Rothkopf,
magistralmente, impollina i suoi lettori con un intero Consensus.

Ma lasciamo parlare Repubblica:


“Rothkopf è convincente perché non è un giornalista, ma un "insider": lavora nella
finanza, offre consulenze ai poteri forti, si aggira per Davos, è stato accanto a Henry
Kissinger (un po’ più che accanto, è stato Managing Director di
Kissinger&Associates n.d.r.). Ci dice che il principio di Pareto, per cui l’80% dei
risultati dipende dal 20% delle cause è superato. Basta molto meno del 20% dei suoi
abitanti per far girare la Terra in un senso o nell’altro. Davvero bastò convocare 14
superdirigenti di banca (da Germania, Svizzera, Gran Bretagna, Stati Uniti, zero
italiani, zero asiatici) per risolvere la crisi dei derivati. E davvero un nucleo ristretto e
saldamente collegato determina l’agenda mondiale. Non è una teoria del complotto,
non si va a parare dalle parti di Bildeberg o del Nuovo Ordine Mondiale, qui si gioca
con dati di fatto. Il potere è economia, la politica viene a ruota. I ruoli sono
intercambiabili. Chi ha soldi entra in politica. Chi ha finito con la politica passa ad
incarichi economici. Sono sempre gli stessi: dalla Casa Bianca al Carlyle Group,
aguzzate la vista, cambia la foto di gruppo, non le facce che sorridono. Non è un'
illusione ottica, ci governano gli stessi "happy few", i pochi felici e fortunati che
stanno in cima, oltre le nuvole, dove né i nostri occhi né i nostri cannocchiali a buon
mercato arrivano”.36
Rothkopf non può che riconoscere la strutturale subalternità della politica (e quindi
dello Stato Nazione) rispetto alle Corporations, che creano lavoro e quindi le risorse
che mantengono la coesione sociale e, in ultima istanza, nel sistema finanziario che è
insieme il cuore ed il sangue dell’economia. Ma soprattutto l’ubiquità di un fenomeno
che ha sperimentato lui stesso, le cosiddette porte girevoli (revolving doors) tra
incarichi nella P.A. e nelle imprese.

Il professor Guido Rossi nel suo ultimo libro citava la paradossale situazione di un
fondo di “private equity” come l’americano Blackstone, che si dedica a comprare
aziende per delistarle (portarle fuori) dalla Borsa e che però si quota, aprendo il 10%
del suo capitale ad un fondo sovrano (quello della Repubblica Popolare Cinese).

Blackstone ha due fondatori, il più anziano, Peter George Peterson ministro del
commercio nel secondo governo Nixon, chairman e ceo di Lehman Brothers dal 1973
al 1984, presidente del Council on Foreign Relations fino al 2007, etc. etc.
L’altro co-fondatore di Blackstone? Stephen Schwartzman.
I due hanno ricavato miliardi di dollari di dollari dalla IPO di Blackstone.
Schwartzman detiene tuttora il 23% delle sue azioni.37
Secondo quanto riferisce Arianna Huffington a Davos 2009 Schwartzman era di un
buon umore quell’anno inusuale tra le persone nel suo settore.
Disse loro (la Huffington era in compagnia di Jeffrey Rosen di Lazard LLC) che
stava riunendosi solo con banchieri centrali e che, disse ancora facendo spallucce,
“non c’erano altri affari da fare”. “Cammini a testa alta”, gli fece notare Arianna. “È
ancora al suo posto” –replicò- questa è la buona notizia”. La cattiva? Quando gli
chiese quanto a lungo sarebbero durati i tempi difficili lui le disse: ” Non trattenere il
respiro! E non comprare nuovi vestiti.38"
Un paio di mesi dopo, Schwartzman si guadagnò i titoli di tutte le pagine economiche
quando, ai minimi di marzo 2009 dichiarò che una percentuale compresa tra il 40 e il
45% della ricchezza mondiale era stata distrutta.39
All’ultimo Davos, mentre erano ancora fresche sia a storica sconfitta dei Democratici
in Massachussetts che creava uno virtuale stallo (gridlock) del Congresso, che la
“Volker Rule”, che i proclami di congelamento di certe spese (ma non quelle militari),
e nel mezzo di una violentissima campagna stampa contro le banche Schwartzman
disse:
“La mia più grande preoccupazione è che, vuoi in conseguenza delle proposte
o del tono, le istituzioni finanziarie si sentano sotto assedio e riducano il
credito. Ci sono enormi incertezze, non tanto nell’economia quanto piuttosto,
ed in forma crescente, nell’atteggiamento della politica.

36
http://bit.ly/8Y3Huv
37
http://bit.ly/bWi0Oe
38
http://bit.ly/1mYDnZ
39
http://bit.ly/9CWUfZ
E ci sono buone probabilità che le banche, a cominciare dagli USA, possano
iniziare a restringere il credito semplicemente a causa dell’incertezza e del tono
che è tale da togliere loro la fiducia per assolvere alle loro normali funzioni.40"

Schwartzman, e come lui molti altri, sembra faticare misurare la straordinaria


sensibilità che c’è nel pubblico rispetto a questi temi. A dispetto della battuta auto-
ironica precedentemente citata, la finezza antropologica non sembra avere una natura
(esclusivamente) intellettuale e pertanto non basta uno sforzarsi per ottenerla.
Nel 1614, settant’anni dopo la Iniunctus nobis con cui Papa Paolo III Farnese
toglieva i precedenti limiti al numero dei gesuiti (60), Hyeronim Zahorowski, un
transfuga polacco della Compagnia pubblicava I Monita Privata della Compagnia di
Gesù, un testo che avrebbe finito per godere di più credito che gli autentici Monita
generalia del padre generale Claudio Acquaviva che, nel 1608, invitava i fratelli a
«non entrare in contatto con i principi, né ad impegnarsi in altri affari secolari...»,
nello spirito opposto ai Monita privata. Il testo apocrifo, una sorta di breviario di
comportamento del gesuita ad uso interno, si rivelò nei secoli un formidabile
strumento contro la Compagnia; ebbe molte edizioni, aggiornate con i tempi, fino alla
più recente uscita a Mosca per screditare i gesuiti nella Russia post-comunista. Più
che soldati di Cristo, i membri vi appaiono figli di Machiavelli, pronti a usare ogni
mezzo a fini di potere temporale, manovrando regnanti o ricche vedove attraverso
quell' arte della «dissimulazione» che, nel linguaggio comune, avrebbe reso la parola
«gesuita» sinonimo di «ipocrita».41
La percezione pubblica della banche, specialmente negli Usa e in UK, non è oggi di
molto preferibile a quella dei Gesuiti de l’après 14 juillet. La vulgata sul loro passato
li condanna ad un odio preventivo. I loro successi rappresentano, nella percezione
collettiva, la prova della loro colpevolezza. Se si mostrano circospetti e silenti è
perché sono cospiratori, se sono aperti e attivi sono arroganti e prevaricatori.
Qualunque cosa Schwartzman e la sua “casta” dicano oggi, sarà usata contro di loro.
Ecco quindi la necessità di moltiplicare l’attenzione. Attenzione a non indulgere in
dichiarazioni malconcepite,42 le ricadute delle quali, purtroppo, colpiscono tutti i
membri dell’industria, indiscriminatamente. Schwartzman, a distanza di due
settimane, è tornato sulle sue dichiarazioni in un editoriale sul Washington Post, dal
quale non si evince chiaramente se intendesse chiarire il pensiero precedentemente
espresso o portare un secondo e più deciso attacco:

40
http://bit.ly/beQbPM
41
http://bit.ly/dv5ewn
42
In questa intervista Jon Corzine (ex-ceo di Goldman Sachs ammette l’esistenza di superficialità nella comunicazione
di GS anche se attribuisce al successo di Goldman gran parte della cattiva stampa: http://bit.ly/9Et9ht
“Se c’è un tema di comune preoccupazione che negli ultimi mesi ho sentito
nelle conversazioni con i loro dirigenti è che il loro modello di business è sotto
assedio.
(…) L’America ha naturalmente bisogno di una profonda riforma del sistema
di regolazione finanziaria, ma sta dibattendo questa importantissima questione
in un’atmosfera politica infiammata, nella quale importanti attori sembrano
determinati a richiedere per le banche una punizione speciale, in reazione alla
crisi finanziaria. Produrre una crisi delle dimensioni di quella che abbiamo
sperimentato richiede un gran numero di attori, ciascuno dei quali deve
affrontare un certo grado di responsabilità per la situazione in cui ci troviamo.
Prendersela solo con le banche è pericoloso per l’economia. Se, in
conseguenza di questo risentimento, il credito diviene indisponibile nella
quantità necessaria ad alimentare la crescita economica e la creazione di
impiego, allora, alla meglio l’economia rallenterà e, alla peggio ci troveremo
in una drammatica situazione alla quale avremo tutti contribuito. Serve
sobrietà, razionalità e civiltà nella discussione sulla regolazione delle
istituzione finanziarie così che le banche possano ritornare con decisione al
loro ruolo centrale nel finanziare l’economia. Siamo sulla strada della ripresa.
Restiamoci” 43
Da una parte l’Establishment sta cercando di impedire ad Obama di prendere misure
nei confronti della istituzioni finanziarie che finirebbero per isolare l’America,
dall’altra c’è un problema morale ed antropologico che è lungi dall’essere capito.
Una cosa certa, se vogliono che il presidente li aiuti, devono metterlo nella
condizione di poterlo fare. Perché la coscienza dei problemi esiste ma la difficoltà sta
nel risolverli senza tagli dolorosi (e politicamente costosi). Peccato che ciò che oggi è
caro ma possibile, domani rischia di essere fuori portata (unaffordable).

43
http://bit.ly/cVTGO7
Tutto questo sembra complicare fino al punto di impedire una ri-composizione
organica degli interessi nell’attuale Congresso, terrorizzato da qualunque tipo di
azione e senza una vera direzione.
Fino al fallimento di Lehman, chiunque avesse sostenuto che l’America batteva per
prima i sentieri del futuro, non avrebbe necessitato di una voluminosa bibliografia per
essere creduto. Un esempio eloquente di questa leadership viene da un memorabile
dibattito tra Sir James Goldsmith e Laura Tyson (ospitato dal sempre stimolante
Charlie Rose) tenutosi nel 1994 e che ha anticipato tre lustri di commercio
internazionale.
Oggi, sebbene si sia ridotta la sua preminenza, è ragionevole sostenere che le cose
non siano (ancora) troppo diverse.
Eppure l’ansia per il futuro e la frustrazione nei confronti del Congresso diventano
palpabili (ed innegabili) quando il pundit-in-chief della Nazione,44 Thomas Friedman
del New York Times, inizia a vedere le virtù del monopolio del potere politico da
parte del Partito Comunista Cinese: ”C’è solo una cosa peggiore di una autocrazia
monopartitica (il pleonasmo è dell’originale, n.d.r), – dice Thomas Friedman – ed è
una democrazia monopartitica come quella che abbiamo oggi in America.
L’autocrazia ha certamente i suoi inconvenienti. Ma quando è guidata da un gruppo
di persone ragionevolmente illuminate, come la Cina oggi, può anche avere grandi
vantaggi45".

Sempre dall’articolo di Friedman:

44
http://bit.ly/ciD04q
45
http://nyti.ms/1iXYuf L’apprezzamento, al limite dell’infatuazione, per l’illuminata leadership cinese, può essere
fatto risalire almeno ad un famoso articolo di David Rockefeller pubblicato nel 1973 sul New York Times
http://bit.ly/6EtFkM
“La Globalizzazione ha castrato il partito repubblicano, lasciandogli non già la
rappresentanza degli sconfitti dalla recessione, ma degli sconfitti dell’America
globalizzata. Le persone lasciate indietro dalla realtà o dalle loro paure” dice
Edward Goldberg, un consulente che insegna al Baruch College. “La necessità di
competere in un mondo globalizzato ha obbligato la meritocrazia, i finanzieri dell’est
e gli imprenditori della tecnologia a riconsiderare ciò che il partito repubblicano ha da
offrire. E sembrano averlo lasciato, il partito, lasciando indietro, non una coalizione
pragmatica ma un gruppo di ostruzionisti ideologici.”
Personalmente tendo a sospettare sempre delle verità facili, quali che siano gli
interessi che favoriscono. Non fosse perché non aiutano molto in fase di policy, a
meno che uno non riesca a convincere la maggioranza degli elettori che quelle
semplificazioni sono sensate e maggioritarie, ma questo discorso ci porterebbe
lontano.
In questa sede sarà sufficiente elencare alcune istantanee che mostrano ad uno
straniero quello che bolle davvero nella pancia dell’America e che renderà difficile,
per chiunque detenga il potere politico, continuare il business as usual.
Tanto per cominciare è necessario inquadrare il “rischio” di un’ulteriore stretta
creditizia, ventilato da Schwartzman, nel contesto appropriato. E la verità è che già
ora, la quantità di prestiti, è diminuita alla massima velocità da quando esistono
registri storici.
Gli ex-funzionari sono spesso meno reticenti di quelli in carica. L’ex chief-
economist della BCE, Otmar Issing, ha detto che le sfide che attendono la BCE
sono tremende. I moltiplicatori monetari hanno collassato ovunque. Chiaramente
manca la fiducia eppure una delle ragioni chiave dietro alla contrazione del
credito è la pressione sulle banche perché migliorino i loro capital ratios.
L’attuale spinta a ridurre la leva delle banche e ad aumentarne la sicurezza sta
avendo la perversa conseguenza di rafforzare le tendenze deflazionistiche già
all’opera nell’economia mondiale. La cosa più folle è che siano proprio i
governi, ovvero i soggetti che pagherebbero un prezzo più alto in caso di rottura
dell’ordine sociale, a spingere le banche in questa operazione che drena ulteriore
liquidità dall’economia. Dominique Strauss-Kahn46 direttore del FMI, riconosce
che l’insegnamento delle precedenti crisi finanziarie dovrebbe spingerci a cercare
di impedire la caduta della quantità di moneta e, idealmente, nel farla
nuovamente aumentare. La Moneta, come tutti sappiamo, non si limita alle sole
banconote, ma include tutto il credito. Il denaro nasce come debito, come prestito
e, come Mish Shedlock, Steve Keen e altri hanno segnalato, i governi possono
creare tutto il credito che vogliono, ma se le persone non hanno un lavoro, non si
indebiteranno.

46
http://bit.ly/170JHk
Una persona disoccupata equivale ad una carica esplosiva. La carica ha una miccia o
un timer e lo Stato non sa né quanto è lunga la miccia né quanto tempo durerà il
countdown. Non sa neanche se le esplosioni saranno isolate o sincronizzate,
coincidenti a quelle di altre persone.

47

Di nuovo, non si tratta solo del popolino.


Sicuramente, pur obbedendo a ragioni di opportunità e convenienza politica lo stesso
Warren Buffett, ha segnalato un chiaro mismatch tra performance e ricompensa.

Il vero problema è che la sfiducia nei confronti di un settore costringa, anche chi non
voleva, a vedere. I sondaggi sono sempre più chiari in questo senso. Lo stesso
ammiraglio Dennis Blair direttore dell’Intelligence Nazionale ha detto chiaramente
che questa crisi, “la più seria in decenni se non in secoli” rappresenta la più grave e
multiforme minaccia alla sicurezza nazionale americana.

47
http://bit.ly/cu8gG7
48

48
http://bit.ly/9r4p8y
Lo U.S. Army War College ha lanciato un avvertimento nel novembre del 2008 in
una monografia intitolata “Known Unknowns: Unconventional ‘Strategic Shocks’ in
Defense Strategy Development” of crash-induced unrest49.
"L’Esercito deve essere pronto, recita il documento, per una “violenta,
dislocazione strategica all’interno degli Stati Uniti” che potrebbe essere
provocata da un “imprevisto collasso economico”, “resistenza domestica”,
“pervasive emergenze sanitarie” o “interruzioni nel funzionamento
dell’ordine legale e politico”. “Fenomeni estesi di violenza civile”, dice il
documento, forzerebbe l’establishment militare a “ri-orientare in extremis le
priorità per difendere l’ordine domestico e la sicurezza umana”.
“Un governo Americano (e un apparato difensivo) che sottostimi i rischi per
l’ordine domestico sarebbe costretto dagli eventi a distogliere rapidamente
assets da alcuni, o perfino dalla maggior parte, degli impegni esterni per
affrontare l’escalation d’insicurezza domestica”, proseguiva.
“Nelle più estreme circostanza, questo potrebbe includere l’uso della forza
contro gruppi ostili all’interno degli Stati Uniti”.
Il Dipartimento della Difesa sarebbe, necessariamente, il fulcro delle attività volte
al mantenimento della continuità dell’autorità politica nell’ambito di un conflitto
che abbracciasse diversi stati o si estendesse all’intera nazione”.50

Edward Goldman (e Thomas Friedman) hanno ragione nell’affermare che la


globalizzazione ha prodotto degli sconfitti e, cosa non sorprendente, che questi si
trovano tra coloro che sono più facilmente sostituibili.

49
http://bit.ly/5BzdGT
50
http://bit.ly/6BxczD
La domanda tuttavia, rimane questa: quante persone sono realmente insostituibili?
Che alternative hanno, coloro che non lo sono, in mercato globale nel quale le merci
e le informazioni si scambiano ad un costo virtualmente nullo?

Già nel 2006 Alan Blinder faceva, su Foreign Affairs, la seguente stima: so
Forza lavora U.S.A. = 154 mln persone
Manifattura = 15 mln
La metà di questi, 7.5 mln lavorano in settori che non possono essere “esportati”
(industria mineraria e costruzioni. Gli altri sono tutti potenzialmente a rischio.
L’aspetto particolarmente nefasto di questi tagli è che riguardano essenzialmente solo
uomini. Ma le cose si fanno ancora più difficili nel mercato dei servizi, dove Blinder
stimava potessero essere a rischio un numero di posti di lavoro compreso tra 2 e 3
volte quelli della manifattura. Lì, al di là dell’evoluzione dei mercati, i veri
interrogativi riguardano quella delle tecnologie. Sono queste, infatti, a decidere della
sostenibilità di un settore nei paesi sviluppati. La distinzione essenziale sarà tuttavia
quella tra back office e front office, con questi ultimi vincenti sui primi. Ce n’è
abbastanza per scatenare ondate di luddisti.
Friedman ha scritto a lungo del gap educativo ma forse non abbastanza della
relazione tra la necessità di un’educazione certificata (anche se non necessariamente
superiore) e la possibilità reale di ottenerla. L’enorme differenza evidenziata dal
grafico non può dipendere solo dal Baumol’s disease.51

51
Baumol’s disease è il nome che si è dato all’inflazione di costi in certi servizi, per i quali gli aumenti di produttività
sono impossibili (apprendere più rapidamente a suonare il pianoforte) o indesiderabili (raddoppiare la produttività di
un’insegnante raddoppiando il numero degli alunni).
Alla crudele ironia che l’offshoring di tanti posti di lavoro ha creato una situazione
nella quale 1 americano su 8 riceve voucher alimentari dallo stato (food stamps) se
n’associa un’altra. J.P. Morgan, il più gran player in questo mercato in rapidissima
crescita, lo gestisce essenzialmente dall’India, esportando, di fatto, anche i lavori
creati come misero palliativo del problema originario.
Il Costo (occulto) delle Umane Opportunità
A questo punto credo sia opportuno citare le parole di Papa Benedetto XVI e della
sua ultima enciclica, la già citata Caritas in Veritate:
“La convinzione di essere autosufficiente e di riuscire a eliminare il male
presente nella storia solo con la propria azione ha indotto l'uomo a far
coincidere la felicità e la salvezza con forme immanenti di benessere materiale
e di azione sociale. La convinzione poi dell’esigenza di autonomia
dell'economia, che non deve accettare “influenze” di carattere morale, ha spinto
l'uomo ad abusare dello strumento economico in modo persino distruttivo. A
lungo andare, queste convinzioni hanno portato a sistemi economici, sociali e
politici che hanno conculcato la libertà della persona e dei corpi sociali e che,
proprio per questo, non sono stati in grado di assicurare la giustizia che
promettevano.
La giustizia riguarda tutte le fasi dell'attività economica, perché questa ha
sempre a che fare con l'uomo e con le sue esigenze. Il reperimento delle risorse,
i finanziamenti, la produzione, il consumo e tutte le altre fasi del ciclo
economico hanno ineluttabilmente implicazioni morali. Ogni decisione
economica ha una conseguenza di carattere morale.
Il mercato, se c'è fiducia reciproca e generalizzata, è l'istituzione economica
che permette l'incontro tra le persone. (…) Ma non bisogna mai smettere di
evidenziare l'importanza della giustizia distributiva e della giustizia sociale per
la stessa economia di mercato. Infatti, il mercato, lasciato al solo principio
dell'equivalenza di valore dei beni scambiati, non riesce a produrre quella
coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben funzionare. Senza forme
interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente
espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta
a mancare, e la perdita della fiducia è una perdita grave”.

Nella “offerta” che una Corporation fa ad un quarantenne ingegnere occidentale di


trasferirsi in India per conservare il suo posto di lavoro ci sono così tante infrazioni
del contratto sociale che sarebbe necessario un intero libro solo per passarle in
rassegna. Questo parallelismo dovrebbe far accapponare la pelle di quanti abbiano
avuto una formazione cristiana.
Prendiamo per un attimo esempio da padre Jim Wallis e paragoniamola, quella
pretesa, ad un “vieni e seguimi”. Non era forse ciò che Gesù disse ai 12 apostoli?
Questo implicherebbe che le Corporation hanno una pretesa divina. Lasciare tutti i
propri affetti è, infatti, la prova suprema che l’evangelista usa per mostrare i sacrifici
che Cristo esige da chi crede in lui, sacrifici che si suppone saranno compensati da
qualcosa di più che non la mera possibilità di pagare le rate del mutuo. Che saranno
compensati dalla Bellezza, dall’Ordine, dal Senso, tutte metafore terrene del grande
Mistero della vita eterna e della resurrezione.
Se invece non avessero ambizioni divine tutto ci autorizzerebbe a pensare che stiano
effettivamente venendo meno alle promesse del contratto sociale. Quelle stesse
promesse che, attraverso tutti i canali destinati a formarlo (Scuole e Media, sui quali
Stato e Corporations agiscono, diretta o indirettamente), hanno convinto
quell’ingegnere ad investire la sua adolescenza e giovinezza preparandosi per un
matrimonio che però non si è celebrato, perché quelle promesse non erano altro che
promesse da marinaio. E, come il più tipico dei marinai, la Corporation è salpata per
un altro porto, con un altro aneddoto da raccontare giocando ai dadi tra l’ osceno
bestemmiare di altri avvinazzati.

L’immortalità del “corpo legale” garantita alle Corporations52 unita


all’onnipervasività della presenza sua e dei suoi paradigmi, hanno conseguenze in
ogni singolo aspetto della vita e del pensiero umano. La nostra difficoltà nel
riconoscerle è un chiaro indizio di un avanzato processo di assuefazione.
Prendete l’idea di opportunity cost: è talmente radicata in un’economia totalmente
finanziarizzata che essa si estende ad ogni aspetto della vita e a relazioni che non
dovrebbero reggersi su nulla di riconducibile all’idea di costo-opportunità.
A volte può essere utile transitare coscientemente tutto un paradigma per vederne le
profonde e molteplici implicazioni. Non è questa la sede per farlo, ma riflettendo sul
costo di opportunità si arriva ad un momento in cui ci si chiede: “Perché si parla di
costo di opportunità solo a proposito di Capitale (sia esso individuale o
corporativo) e mai di Persone? Eppure, come comparare la giovinezza perduta di
un essere irripetibile con qualche punto percentuale? Tutti parlano delle agenzie di
regolazione finanziaria degli stati, delle loro intollerabili negligenze (o peggio) che
hanno permesso la commercializzazione di “prodotti tossici”, ma che dire delle
persone che sono state indotte ad investire non già il loro denaro ma qualcosa di ben
più prezioso, il loro tempo, quello della loro giovinezza? E che sono state indotte a
farlo, in virtù della loro fiducia nel sistema. A quelle persone è stato venduto un
futuro che non c’era. Chi doveva proteggerle allora? Chi dovrebbe salvarle oggi?

Parimenti oltraggioso, da un punto di vista morale, è che la Corporation, non solo voti
(seppure indirettamente, attraverso la sua influenza continua nel discorso pubblico)
ma che, come detto, viva in eterno. Gli individui, che avrebbero ragioni reali (di
carne e sangue) per voler lasciare qualcosa di materiale che continuasse a vivere nei
figli, nei nipoti e nella loro comunità, vengono privati della remunerazione dei loro
sudati risparmi a causa di tassi di interesse bassissimi, che servono a generare uno
spread sufficientemente alto da permettere alle controparti di sanare in tempi più
rapidi i buchi nei loro bilanci e tornare a sedersi al tavolo del casinò.
La pura e semplice verità è che senza capitale non è possibile costruire nulla.
E non è possibile creare capitale senza risparmi. Ma da troppo tempo coloro che
vogliono risparmiare vengono disincentivati a farlo.

52
Le Corporations possono morire solo di “morte violenta”: acquisizione o fallimento. Fintanto che siano ben
amministrate e abbastanza potenti da contribuire a forgiare il mondo del futuro, saranno virtualmente immortali.
Il capitale, quando eccede di molto le necessità individuali o famigliari, tende ad
affrancarsi da usi produttivi che beneficino la comunità e ricercare più alti
rendimenti. Questa è una cosa che sappiamo da secoli se non da millenni. I primi
francescani avevano un livello di riflessione sulla Moneta che lascerebbe sbalorditi
molti economisti attuali.

Quasi tre quarti degli adulti britannici ritengono che i risparmiatori non riescono ad
ottenere un trattamento equo, secondo la ricerca di un nuovo gruppo d’azione di
consumatori53.
Save our savers si è formata dall’unione di 10 persone, tra cui un imprenditore, un
economista e un prete, uniti sotto la convinzione che "il governo deve rispettare,
sostenere e incarnare l'etica del risparmiatore".
Il suo obiettivo è quello di fare pressioni sui politici su temi relativi al risparmio. Il
Rev. John Strain, un portavoce di Save Our risparmiatori e uno dei fondatori del
gruppo d'azione, ha detto: "Il risparmio per il futuro, con prudenza e saggezza, è una
componente fondamentale del bene comune. "I risparmiatori sono stati fuori dai
radar della politica ormai da decenni, ma il disprezzo per la condizione dei
risparmiatori ha distrutto la fiducia del pubblico nei politici." Ha poi aggiunto: "Chi
avrebbe pensato che il governo non vuole che le persone provvedano a se stesse, non
ha bisogno di imprese costruite sul risparmio della nazione, e che noi tutti
sprofondassimo nei debiti, come gli schiavi dell’antichità.
Il lancio del gruppo giunge in un momento difficile per i risparmiatori. In
conseguenza dei forti tagli operati l’anno scorso dalla Banca di Inghilterra i tassi di
risparmio sono drasticamente ridotti, e la notizia che il mese scorso l'inflazione è
salita al 2,9% significa che molti risparmiatori stanno perdendo denaro in termini
reali.
Secondo la ricerca di Save our savers, quasi la metà degli adulti si aspettano che il
governo (presente e futuro) faccia di più per incoraggiare il risparmio, mentre per il
79% eccessivi sono stati negli ultimi anni gli incentivi all’indebitamento. Il gruppo ha
lanciato una campagna online, che si svolgerà sul proprio sito così come su Facebook
e Twitter. Il lancio è avvenuto durante un seminario condotto da Frank Field, ex
ministro per la riforma del welfare, e David Gauke, il ministro ombra per il Tesoro.

53
http://bit.ly/8sFZid
…nel frattempo (vi invito ad osservare le date degli articoli)…

John Paulson aveva lanciato il suo hedge fund nel 1994. Il suo forte era sempre stato
investire in fusioni che vedeva come le più probabili. Una delle forme di
investimento meno rischiose. I suoi clienti erano a volte sorpresi dalla sua stretta di
mano, dalle cravatte spente e dai modi circospetti, così inusuali in un mondo pieno di
arroganza.
I suoi colleghi più giovani mostravano il loro successo permettendosi di non
soggiacere al dress code. Mr. Paulson che era stato eclissato da investitori che
avevano ammassato grandi fortune in pochi anni, non se lo poteva permettere.
La sua vita improvvisamente cambiò, nel 2006, a 49 anni, al tramonto di una carriera
che a Wall Street è sempre più accelerata. Quell’anno era il quarto consecutivo in cui
i prezzi delle case avevano visto aumenti straordinari. Tutti sembravano star facendo
vagonate di soldi. Tutti, lo avrete capito, eccetto John Paulson. Se non entri in un
trade nella prima fase puoi sempre scommettere sul suo declino. I problemi sono
sempre due. Essere sicuri che quel trade è insostenibile. E, cosa ben più difficile,
indovinare i tempi. La certezza che quel trade fosse insostenibile Paulson la ebbe
quando un analista italiano, Paolo Pellegrini, assemblò un grafico che mostrava
come, mentre i prezzi delle case erano aumentati di un misero1.4% l’anno tra il 1975
e il 2000 (a prezzi costanti) lo avevano fatto di più del 7% nei successivi cinque anni,
fino al 2005. Il margine: i prezzi avrebbero dovuto calare di circa il 40% per ritornare
al trend storico. Non solo, in passato quelle correzioni avevano ecceduto al ribasso,
cosa che insinuava l’eventualità di un atterraggio ancora più brutale.
Quel grafico fu la Stele di Rosetta che permise a Mr. Paulson di interpretare il
mercato immobiliare. A quel punto doveva capire come approfittarne.
Alcuni mesi più tardi Mr. Paulson era convinto di aver scoperto il trade perfetto.
Questa cosa del trade perfetto è come l’onda per I surfisti, qualcosa che esercita un
magnetismo quasi soprannaturale anche su persone altrimenti non inclini al
trascendente. Le assicurazioni sui mutui rischiosi erano letteralmente regalate.
Avrebbe comprato una valanga di CDS.
Quando la gente avrebbe smesso di pagare le rate le sue assicurazioni sarebbe
aumentate di valore.

Dopo pochi mesi Paulson si rese conto che aveva bisogno di modi più rapidi per
accumulare le assicurazioni di cui aveva bisogno e che lui chiaramente mancava
dell’infrastruttura. Qui è dove entrarono in gioco Deutsche Bank, Goldman Sachs, e
altre imprese, che avrebbero creato titoli chiamati collateralized debt obligations, o
CDOs—contro i quali Paulson & Co. erano ansiosi di scommettere. La banche che
assemblavano quei CDOs li avrebbero venduti a clienti che credevano avrebbero
mantenuto il loro valore. Mr. Paulson avrebbe comprato assicurazioni CDS sui
CDO dei mutui—una scommessa che sarebbero calati di valore. Questo gli facilitò
enormemente la vita visto che ora poteva scommettere contro centinaia di milioni in
un sol colpo.
Nel 2007, il suo miglior anno, fece quasi 4 miliardi, più di chiunque altro nella storia
dei mercati finanziari. L’anno successivo, altri 5 miliardi per il suo hedge fund,
speculando contro le imprese finanziarie che erano esposte all’immobiliare. Durante
le discussioni di lavoro con i colleghi, vedendo il gonfiarsi del debito pubblico (e alla
luce di studi recenti come quello di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff54, che hanno
dimostrato come le crisi finanziarie storicamente abbiano portato ad aumenti
drammatici dei deficit statali e quindi dei debito, fino al possibile default) ha iniziato
a comprare oro e a scommettere contro il debito sovrano. E questo ci riporta alla
presenza di Paulson in Grecia, segnalata nelle prime pagine del libro.
In termini di etica non sembra essere cambiato nulla. La principale differenza è che
per timore di esporsi denunce dal gennaio del 2010 ha preso ad avvisare i clienti del
fatto che, tra le altre cose, potrebbero cambiare idea sulle loro strategie senza per
questo sentirsi obbligati ad avvisarli delle novità. Tra queste novità, naturalmente, ci
potrebbe essere una diversa valutazione sugli assets venduti ai clienti, contro i quali
deve poter essere in grado di scommettere.
54
http://bit.ly/beFf4L
55

55
http://nyti.ms/6fm0bN
Quando i leaders della finanza si oppongono a regole più stringenti (e ad autorità
esterne capaci di farle rispettare) lo fanno spesso citando l’interesse dell’intera
economia. Si sono dette molte parole, si sono pronunciate scuse collettive, più o
meno convinte e celebrate sentite auto-assoluzioni. Eppure, a soli 18 mesi dalla
caduta di Lehman e a 12 dai minimi di Marzo 2009, già riappaiono gli irresponsabili
strumenti di speculazione di cui credevamo esserci liberati.

Se creare un’intera infrastruttura per un mercato di futures basati sui risultati del box
office non vi sembra un pessima idea, pensate al senso che possa avere creare un altro
mercato, quando (è dimostrato che) siamo ancora lontani da un’illusione di reale
trasparenza in mercati ben più essenziali per la vita umana (quello commodities su
tutti).

Ma non è il peggio. Il peggio in assoluto è quella che sembra essere la nuova


prodezza di Citi. Questo quando ancora non conosciamo l’esatto ammontare delle
perdite di AIG. Quando non sappiamo cosa succederebbe se ne emergessero di nuove
e il Congresso rifiutasse di firmare nuovi assegni per salvare le controparti. Ecco,
esattamente in questo contesto, Citigroup ha deciso che sarà l’AIG del prossimo
Crash, perché il punto, lo sappiamo, non è se ma quando.
Barry Ritholtz, lo stimato blogger ed investitore, ha ricordato che ogni prodotto
assicurativo, CDS, ogni contratto vale quanto le condizioni finanziarie della
controparte. È difficile sovrastimare la Chutzpah di chi, vivo per miracolo (grazie al
cash necessario e alla suddetta garanzia implicita) venda assicurazioni contro rischi
sistemici, costituendone uno egli stesso. Lo Zio Sam non ha bisogno di intermediari,
sta già garantendo l’intero sistema, da Fanny e Freddy in giù. Se si è ricevuta una
garanzia implicita da parte del Tesoro, questo non autorizza ad usare (di nuovo!) il
contribuente per garantire assicurazioni altrimenti senza valore perché prive del
minimo capitale di copertura (eccetto quantitative easing o ulteriore debito pubblico).
Backlash
Il rev. Wallis è una figura molto popolare (una figura, è bene notare, che non ha
eguali in Italia e certo non nel resto dell’Europa secolarizzata). Un uomo sicuro di se,
che scrive libri che vendono moltissimo, viene invitato nei salotti televisivi, una
persona intellettualmente acutissima ma anche capace di carità. Una persona curiosa
che parla con i protagonisti della politica senza dimenticarsi mai del suo ruolo, lucida
ma capace di empatia. Parentesi: a dispetto del fatto di non essere cattolico, era stato
perfino preso in considerazione come possibile ambasciatore americano presso la
Santa Sede. Megli così, probabilmente si sarebbe sentito ingabbiato. Jim Wallis
infatti, questa la principale differenza nei confronti di alti prelati italiati non è
abituato ad avere boss al di sopra di lui, nessuna gerarchia e certo non una Segreteria
di Stato, che pensi in termini di relazioni istituzionali, mitighi il naturale istrionismo
dei leaders e lo canalizzi ad maiorem dei gloriam.
Ecco la breve cronaca di Jim Wallis permetterà di mostrare alcune differenze :
“Una fredda mattina pre-natalizia mi trovavo in Pennsylvania Avenue, tra la
Casa Bianca e l’edificio del Tesoro, intruppato in un gruppo di manifestanti.
Oltre che da leaders religiosi, il grosso del gruppo era composto da persone che
avevano lavorato duro per comprare la loro prima casa. La maggior parte di
loro aveva messo insieme abbastanza denaro da poter accedere ad un mutuo a
tasso fisso ma si era vista proporre uno di quei finanziamenti esotici ed ora
erano sul punto di essere espropriate. Negli ultimi tempi ho parlato sempre più
spesso con persone in quella situazione. L’aumento degli espropri è diventato
per noi una questione insieme personale e pastorale e stiamo cercando di fare i
conti con l’ingiustizia che sta dietro a questa emergenza. E cioè che le banche e
le altre istituzioni finanziarie il cui comportamento è più responsabile per
questa crisi sono state salvate dal contribuente americano, mentre molti dei
meno responsabili stanno perdendo il loro lavoro e la loro casa.
Ora che cerco di riconciliare questa contraddizione ritorno continuamente al
concetto di grazia. Quando il governo cercava di salvare l’economia dal
collasso una grazie reale venne estesa sulle grandi banche, ma ora le banche
sembrano non voler estendere, a loro volta, quella grazia alle comunità e tra
loro ai proprietari, in difficoltà con le rate dei mutui. Questo mi ricorda di una
parabola di Gesù, nella quale il Padrone, impietosito per la sua condizione,
perdona un debito ad uno dei suoi servi. Successivamente, venuto a conoscenza
del rifiuto opposto da quell’infelice a rimettere il misero debito di un suo
compare, il Padrone farà prendere il debitore ingrato e lo farà gettare in
prigione. I cambia-monete nei templi di Wall Street farebbero bene a prendere
nota.56

56
http://bit.ly/6eXPTm
A cosa mi riferisco? Ma alla perniciosa metafora del padrone che condona il debito,
naturalmente. Non ci aiuta affatto a raggiungere una soluzione. Capisco la sofferenze
che giorno dopo giorno si sono accumulate nell’animo di tante persone e capisco che
possano aver riempito l’anima di Padre Wallis. Non solo, proprio perché quella
metafora contiene una parte di verità (una parte grande), proprio perché ha la capacità
di risuonare molto a fondo in un gran numero di persone, va usata con senso di
responsabilità. Prima declinazione del principio di precauzione: non liberare energie
che non sapresti governare. In fondo, chi meglio degli uomini di fede, che fanno un
lavoro così meritorio nel presidiare i confini della biopolitica, dovrebbe capire il
principio di precauzione? Le sofferenze di cui siamo testimoni non devono esimerci
dal pensare alle conseguenze delle nostre parole.
È vero, le parole del rev. Wallis non hanno pretese magistrali né di policy, ambiscono
piuttosto a galvanizzare persone scoraggiate da anni di sconfitte personali e collettive.
Nella sua crociata però, Padre Wallis è andato oltre le parole. Ha aderito a Move
Your Money, ha ritirato il denaro che aveva depositato in una banca too-big-to-fail e
lo ha trasferito in una piccola banca, di quelle che non hanno alzato a livelli usurari
(29%) il tassi delle carte di credito.

Peccato che la maggior parte delle banche regionale siano piuttosto sotto-
capitalizzate e quindi difficilmente potrebbero prestare più che le grandi.

Questo naturalmente non significa che non mandi un segnale importante, tant’è vero
che, puntualissima, è immediatamente arrivata la campagna di demoralizzazione da
parte di Big Media.
Questo titolo segnala come, almeno all’inizio, Move Your Money si vedeva (ed era
visto) come essenzialmente antagonistico/reattivo nei confronti dell’establishment.
Una nemesi, una rappresaglia dei cittadini vessati. Una rivolta non una rivoluzione.
Certo non un cambio di paradigma. Sebbene dopo pochi mesi questa percezione stia
un poco sfumando, lasciando intravedere la possibilità di un’evoluzione costruttiva e
responsabile, è prevedibile che, a causa di questo suo peccato originale gli sarà
precluso l’accesso al mainstream.

Queste due immagini rappresentano un presidente amatissimo, Andrew Jackson. Nella prima, bambino e orfano, si
ribella all’oppressore inglese. Nella seconda, presidente dopo una gloriosa carriera militare, lotta contro la banca
centrale, alla quale riuscirà a revocare la licenza per ritornare ad una visione della moneta e dell’economia, vicina a
quella che fu di Benjamin Franklin57. La storia dell’America è segnata in filigrana dalla lotta tra un’idea Jeffersoniana
di autorità diffusa e una, Hamiltoniana, di autorità centralizzata.

Questo non significa che non possa raggiungere importanti obiettivi di


sensibilizzazione. Il mio timore semmai riguarda la gente dell’ I.R.A.
(Institutional Risk Analytics, collaboratori abituali di Nouriel Roubini). Spero di
sbagliarmi ma temo che abbiano scommesso sul cavallo sbagliato. La percezione
pubblica di Move your money, purtroppo sembra prescindere completamente dalla
qualità dei loro rating delle banche regionali, frutto di anni di lavoro.
57
http://bit.ly/dwwKeE
Nella percezione pubblica, largamente guidata dai media, sta prevalendo l’idea che
Move your money sia poco più che un modo per dire alle grandi banche:”Attente! Vi
stiamo tenendo d’occhio, non pensiate di averci alla vostra mercé!”
Intendiamoci, n-e-s-s-u-n-o discute che il credito sia molto meno del necessario o che
le grandi banche stiano esigendo interessi ridicolmente alti sulle carte di credito.
Ad essere in discussione semmai è il fatto che Move your money sia o meno la
soluzione più costruttiva ed efficace per ottenere il risultato desiderato (aumento della
quantità & qualità del credito nell’economia). La mia impressione è che non lo sia.
Per quel che riguarda il problema delle carte di credito, non c’è discussione. La stessa
rivista Forbes ha elencato non una ma ben cinque ragioni per le quali conviene
passare ad una credit union bank (l’equivalente americano del credito cooperativo)58.
Massimale tassi. Le credit union non possono eccedere il 18% mentre le imprese for-
profit non hanno restrizioni sul massimale di interessi che possono applicare.
Tassi di interesse. Gli interessi applicati sulle carte di credito delle credit union sono,
mediamente, inferiori di un 20%. In un campione di 400 carte, il miglior tasso delle
secondo era del 9.9%, mentre il più basso delle banche for-profit era del 12.2%.
Minori commissioni.
Le credit unions sono possedute dai membri.
Tasso di soddisfazione attorno al 70% contro il 40% di Wells Fargo, la meno
odiata delle grandi (HSBC attorno al 20%) Dati: Forrester Research.

58
http://bit.ly/9MG533
Per quel che riguarda l’urgente (e, dal punto di visto sistemico, ben più grave)
problema del credito, una soluzione che sta rapidamente affermandosi e che potrebbe
guadagnare momentum andando verso le elezioni di novembre è quella sulla Banca
del North Dakota. Prima una brevissima digressione.

Vedete quella ND a nord, al confine con il Canada?


Tra tutti e 50 gli stati solo il North Dakota (ND) e il Montana (MT) non avranno
deficit di bilancio.
In realtà le meraviglie che si vantano del North Dakota riguardano soprattutto
l’occupazione. L’unico stato a non aver perso occupazione, anzi in effetti ne ha
incredibilmente guadagnata.
E siccome è anche l’unico stato ad avere una specie di banca centrale pubblica coloro
che vogliono rompere il monopolio di Wall Street, centralizzato attraverso il sistema
della Federal Reserve (all’interno della quale sono emerse profonde fratture tra la
sede di New York , ovvero Wall Street, e le altre sedi sopra-regionali) sono più che
disposti nel vedere nella sua Banca, l’unica origine delle sue fortune.
Non dico che non possa essere vero. Solo che è lungi dall’essere stato provato al di là
di ogni ragionevole dubbio.
Ci sono tantissimi fattori di cui tenere conto. In generale, ad esempio, una maggiore
densità di popolazione non sembra avere una correlazione diretta con una maggiore
disoccupazione, mentre, a parità di risorse naturali, una minore densità sembra più
facilmente correlabile ad una minore disoccupazione. Poi c’è la questione delle
entrate/uscite fiscali. Il North Dakota riceve ben più tasse di quelle che paga ed è
anche un produttore di energie fossili. Il Montana, che gode delle stesse
caratteristiche, ha il bilancio in attivo anche senza una Banca centrale pubblica.
L’esperienza positiva del Nord Dakota sembra difficilmente ripetibile. È uno stato di
180mila km2 ( 6/10 dell’Italia) e con la popolazione della provincia di Modena,
ovvero appena il doppio dell’Islanda. Uno stato che riceve $1,68 per ogni dollaro di
tasse pagate59 e che è virtualmente privo di quell’immigrazione clandestina, che
invece preme sul welfare degli stati del sud-ovest.

L’esperienza del North Dakota si sta comunque propagando, installandosi nel


dibattito. NYTimes60, MSNBC61, ABC62 e CBSnews63 hanno tutti ripreso un recente
articolo di Associated Press.
Il candidato a Governatore dell’Oregon (democratico, favorito) ha già anticipato la
creazione di una banca statale simile a quella del Nord Dakota. Lo stesso hanno fatto
recentemente in New Mexico, mentre in Florida il tema è presente nella campagna
grazie ad un indipendente democratico che, sebbene non abbia chance di essere
eletto, potrebbe influenzare l’agenda del vincitore. Come detto l’impressione è che
comunque che non possa attecchire a livello nazionale.

59
http://bit.ly/m1gdp
60
http://nyti.ms/9TE2kj
61
http://bit.ly/diHsIf
62
http://bit.ly/bFpNB2
63
http://bit.ly/du4rFx
CPAC

Uno degli eventi più incredibili nella recente storia americana, dopo l’approvazione
da parte dei ¾ della Camera dei Rappresentanti di H.R. 2755 (il disegno di legge che
esige la trasparenza nei confronti del congresso degli atti della Federal Reserve) è
stata la recente Conservative Political Action Conference (CPAC).
Come sempre, alla fine dei lavori, ai presenti (una decine di migliaia di persone) è
stato chiesto chi, tra i leaders repubblicani, avrebbero appoggiato se fosse stato anno
di elezioni. Voglio che sia chiaro che al CPAC partecipano, da sempre, tutti i pezzi
grossi: da George W. Bush a Dick Cheney, John Ashcroft, John Bolton, ex
ambasciatore alle Nazioni Unite, il Senatore John McCain, e Rudy Giuliani, il Gov.
Mitt Romney ex Governatore del Massachusetts, il Governatore Mike Huckabee,
Newt Gingrich, e tutti i pezzi da 90 della “intellighenzia” neo-con (so to speak) Glenn
Beck, Ann Coulter, Rush Limbaugh e Sean Hannity.
E in mezzo a tutti costoro, l’incredibile, inverosimile presenza di Ron Paul, deputato
per il Texas e pendant ideale con Move Your Money. Se non conoscete Ron Paul e
volete farvene un’idea rapida, pensate ad un medico di provincia (della provincia
americana più apple pie che riuscite ad immaginare), così come James Stewart in La
Vita è Meravigliosa, era un bancario di provincia. Pensate a quel James Stewart,
70enne eterno outsider di Washington, ridicolizzato quando non ignorato, per più di
30 anni.
Libertario, seguace ferreo della dottrina economia di Von Mises e della scuola
austriaca. Pensate cosa deve aver provato quando più del 70% della suo ramo del
Congresso ha approvato il suo disegno di legge, che intende aprire per la prima volta
dalla sua fondazione nel 1913, i libri della Federal Reserve, la Creatura da Jekyll
Island, da molti americani considerata la sede del potere ed in quanto tale
proporzionalmente osteggiata. La loro convinzione è che basterà mostrare quei libri
per scatenare un’ondata di indignazione che porti alla sua chiusura. Naturalmente
sembra una follia ma la notizia, guardate con i vostri occhi, è che i seguaci di Ron
Paul, fino a poco fa inesistenti, poi stabili al 12-13%, sono esplosi, nel febbraio del
2010, facendo segnare un distacco senza precedenti dal secondo. Sembra chiaro che,
credendo Ron Paul in uno Stato minimo decentrato, un idea come quella della banca
del North Dakota, potrebbe non disturbarlo, visto che sarebbe locale e quindi esposta
allo scrutinio dei cittadini.
CPAC 2007

Mitt Romney 21%


Rudy Giuliani 17%
Sam Brownback 15%
Newt Gingrich 14%
John McCain 12%

CPAC 2008

Mitt Romney 35%


John McCain 34%
Mike Huckabee 12%
Ron Paul 12%

CPAC 2009

Mitt Romney 20%


Bobby Jindal 14%
Ron Paul 13%
Sarah Palin 13%
Newt Gingrich 10%

CPAC 2010

Ron Paul 31%


Mitt Romney 22%
Sarah Palin 7%
A completare il quadro dei Federal Reserve’s bashers, dall’altro lato dello spettro
economico (quello dei keynesiani) è arrivato perfino l’economista premio Nobel
Joseph Stiglitz. Le obiezioni di Stiglitz sono tuttavia riformiste e non puntano ad un
decentramento dell’autorità monetaria che è invece uno dei possibili obiettivi dei
proponenti del H.R. 2755 (anche se certo non della maggioranza dei firmatari).
Le obiezioni di Stiglitz sono le stesse che da mesi sentiamo fare dai presidenti di
varie sedi regionali della Federal Reserve che si sentono marginalizzati e che sentono
che la FED di New York (leggi Wall Street) ha troppo potere e che lo usa, in forme
opache, a vantaggio dei suoi referenti.
Re-Think, Re-Design, Re-Build
Implicazioni (Geo)Politiche
PIMCO ha più di 1.200 dipendenti ed ha recentemente raggiunto il traguardo
dei 1000 miliardi in gestione.
Bill Gross ha incassato $1.7bn in profitti personali per aver puntato contro
Fannie Mae e Freddie Mac, scommettendo che il governo sarebbe subentrato

Bill Gross: L’ortodossia Repubblicana dei tax cuts è fallita. L’ortodossia Keynesiana
del deficit-spending è fallita. Abbiamo bisogno di una nuova ortodossia che
promuova la domanda aggregata & rassicuri investitori & bond vigilantes.
A rischio di portare l’anticonformismo agli estremi, lasciate che vi offra
quest’idea: l’economia globale ha bisogno di un movimento europeo simile al
"Tea Party" americano, un movimento che si batta per un vero conservatorismo
fiscale64. Molti analisti "mainstream" deridono gli agitatori del Tea Party come
marginali di destra, e sotto molti aspetti, quell’etichetta è meritata. Non li
vorrei a dirigere il Tesoro o la Federal Reserve, ma questi populisti
conservatori compiono una funzione utile nell’attirare l’attenzione della
politica americana sulla necessità della responsabilità fiscale.
Hanno, per esempio, ragione nel sostenere che non dovremmo aumentare la
spesa pubblica prima di aver capito come pagare quella che già abbiamo.
L’Europa invece manca di un potente movimento conservatore che prema per
limitare la spesa del governo. (…) Il successo di questa “prudenza fiscale”
nelle ultime competizioni elettorali in Virginia, New Jersey e Massachussetts
significa che i politici Americani devono prestare maggiore attenzione al debito
e al deficit se vogliono rimanere sulla loro poltrona.
Il Presidente Obama sembra riconoscere le potenzialità di questo tema tra
l’elettorato comune nella sua promessa di una commissione che affronti il
problema di lungo periodo della spesa pubblica.
Eppure non si vede nessun pressione politica del genere in Europa. La maggior
parte dei leaders europei, stanno ancora provando ad evitare il giorno della
verità. Pochi europei sembrano disposti a rinunciare alla loro quota dei moderni
64
http://bit.ly/bpDC7F
diritti social –democratici. Non auguro un “Tea Party” a nessuno ma agli
Europei potrebbero beneficiarsi della sua passione per la responsabilità fiscale.
E già che stiamo facendo da bastian contrario, che ve ne pare di un movimento
dei “consumatori cospicui” nei paesi risparmiatori dell’Asia per spingere ad
una maggiore spesa domestica?

Due settimane esatte dopo l’articolo di David Ignatius, ecco il Tea Party britannico
che, sebbene a prima vista possa sembrare un assurdo storico (il Tea Party nacque
come rivolta delle colonie contro l’oppressione fiscale della corona d’Inghilterra)
potrebbe in realtà segnalare una continuità.


Concludendo e prima di passare alla pars construens, riporto per intero l’opinione di
un economista radicalmente contrario al taglio degli entitlement.
Dean Baker è il co-fondatore del Center for Economic and Policy Researc e autore
di un popolare blog, Beat The Press, pubblicato da The American Prospect.
Basando le sue previsioni sull’indice di Robert Shiller, Baker fu tra i primi
economisti a “chiamare” la bolla nel mercato immobiliario americano, già nel 2002,
quando ancora era ben lontana dal picco (se avesse iniziato a speculare al ribasso
sarebbe fallito prima del picco, ennesima dimostrazione della validità del detto di
Keynes secondo il quale i mercati possono rimanere irrazionali più a lungo di quanto
il singolo investitore possa rimanere solvente). È stato un critico spietato di ogni
singola politica pro-Wall street.
Thomas Friedman, Kaletsky, Gross, Peterson, Ignatius, ma anche Dean Baker e
Robert Reich.
Maggiore celerità nei processi decisionali. Minore spesa pubblica, maggiore raccolta
senza sacrificare la domanda aggregata.
Mi sembra che vi sia un chiaro trend in atto. Ignatius si è spinto fino al punto da
“chiamare” qualche “imprenditore politico” a creare un movimento simile al Tea
Party. Qualcuno pensa che a questo imprenditore potrebbero mancare appoggi nei
media e nelle istituzioni? Non certo fintantoché si mantenesse un fenomeno limitato
nelle aspettative. Il problema è che per costruire un astroturf 65 credibile c’è bisogno
di tempo, proprio l’unica risorsa che non abbiamo.

Ci sono due trend di lungo periodo chiaramente all’opera nei paesi a bassa crescita.
Il primo è l’aumento dell’auto-impiego e l’emersione di ulteriori zone grigie
nell’economia, che si vanno estendendo anche a fasce come i pensionati .
Il secondo è l’effetto destabilizzante che questo ha sulla democrazie e le sue
istituzioni.
In effetti la stessa debacle economica, per il cittadino meno cosciente, è la prova del
fallimento del soggetto statale. E, possibilmente, perfino occasione di rammarico per
quella che, retrospettivamente, potrebbe considerare una cattiva allocazione delle sue

65
Termine che si riferisce a qualunque campagna politica, pubblicitaria o di pubbliche relazioni che sia formalmente
pianificata da un’organizzazione ma disegnata per mascherare le sue origini e creare l’impressione di un movimento
spontaneo.
risorse. Se questi che abbiamo sotto gli occhi sono i risultati che si ottengono a pagare
le tasse, se la signora mia ed io se io e mia moglie non le avessimo pagate, le tasse,
oggi avremmo due appartamenti in più.
I ragazzi avrebbero dove vivere, avrebbero bisogno di uno stipendio più basso per
vivere e forse l’economia sarebbe in migliori condizioni. Invece le abbiamo pagate, e
che ne è venuto di buono? Che ci sono tanti uomini e donne, giovani, che sembra che
hanno valore, che nessuno se li piglia (l’essenza della disoccupazione), tanti vecchi
che devono mantenere i nipoti, signori mie: il mondo alla rovescia…

A queste persone non basta dire:” Si, ha ragione ma guardi che la Sanità, quella
qualcuno l’avrà pur pagata (ok, magari la Sanità non è il miglior esempio)…
Non basta dire loro:” Si, ma vede l’istruzione… la magistratura… l’esercito… la
polizia…
Quando le cose vanno bene non esistono alternative, quando le cose vanno male non
esistono che le alternative. E, purtroppo, un’idea non deve necessariamente essere
vera per produrre conseguenze. Il più elementare principio di precauzione dovrebbe
spingere ogni istituzione a pianificare di conseguenza.
Il cittadino comune non ha gli strumenti per capire le dinamiche profonde
dell’economia e crede che gli Stati, almeno i più ricchi, abbiano la possibilità di
prendere decisioni che siano insieme nazionali ed efficaci, quando sono in realtà,
nazionalità ed efficacia, mutuamente esclusive.

A fronte di questa situazione i cittadini più coscienti devono rendersi conto del
fatto che ci sono solo due strade davanti a noi:

a) La prima strada è quella del consolidamento, negli esecutivi, del maggior numero
possibile di decisioni (l’esempio più chiaro è quello di Thomas Friedman) e la
trasformazione definitiva della pluralità in dissenso.
Tutti sappiamo che le crisi sono occasioni perfette per rafforzare i detentori di
Liquidità e di Legittimità e permettere loro di consolidare considerevoli quantità di
Assets e Potere.
Ecco quindi che lo Stato, da una parte, quando lo ritiene necessario, estende a
soggetti stranieri contratti di sub-fornitura di servizi che hanno ricadute straordinarie
sulla sicurezza nazionale (che costituisce, vale la pena ricordarlo, la principale ragion
d’essere di uno Stato), dai servizi finanziari fino alla vastissima gamma di attività
svolte da imprese come Serco.
Dall’altra consolida il potere di diverse istituzioni, vanificando, di fatto, l’equilibrio
dei e tra i poteri. Questa strada, questa scorciatoia è contraria alla nostra storia ma,
soprattutto, sommamente inefficiente.
Gli esecutivi sanno che verranno tempi burrascosi e vogliono poter rispondere alle
sfide in tempi almeno altrettanto rapidi delle loro controparti. Questo è un obiettivo
più che ragionevole. È difficile sovrastimare i rischi per la sicurezza nazionale che
possono venire dall’incapacità di agire/reagire alla necessaria velocità. Se si trattasse
solo di potenziare la capacità di rispondere all’emergenze sarebbe poco male, il
problema, come abbiamo visto in molti paesi dopo l’11 settembre, è l’estensione
delle attribuzioni degli esecutivi e l’inclusione di sempre nuove fattispecie nella
categoria delle emergenze.


SERCO è il più grande operatore privato di prigioni in GB.
Gestisce tutti e 6 i Centri di identificazione ed espulsione dell’Australia .
Gestisce il sistema di difesa missilistica britannico e
co-gestisce tutti i cicli dell’intero arsenale nucleare britannico.
Serco è anche il più grande fornitore non-statale di servizi di assistenza
al traffico aereo. In effetti è l’unico al mondo. Opera su scala globale e
gestisce il movimento di 6 milioni di aerei l’anno, tra Europa, Medio
oriente e Nord America. Per chi volesse un numero giornaliero, sono più
di 16000, controlla perfino l’aeroporto di Baghdad!
Fa moltissimo altro, naturalmente, ogni sorta di attività ma sempre come
Appaltatore degli Stati-Nazione.
Il fatto che dichiari pochissimi profitti rispetto alla fatturazione non
significa nulla. In fondo tutto dipende da quanto paga i sub-appaltatori,
da quelli che sono i loro margini e, soprattutto, da quanto ritorna, nelle
forme più strane, a chi li ha contrattati.
Questo non implica nessuna accusa nei confronti di questa od altre
impresa. Intende semmai richiamare l’attenzione sulla facilità con cui lo
Stato delega a privati l’assolvimento di compiti che aveva
originariamente avocato a sé come precipui e quasi consustanziali
all’idea della Sovranità. Questa pratica e la sua diffusione dovrebbe
rendergli difficilmente sostenibile qualunque opposizione a forme,
costituzionalmente previste e garantite, di autogestione dei cittadini.
b) La seconda strada sta nell’operare per prevenire quelle stesse emergenze che
forniscono il destro per ridistribuire i poteri verso i gradini più alti della scala
gerarchica. Questo è fattibile favorendo l’emersione di nuovi soggetti intermedi,
autonomi rispetto al finanziamento dello Stato. Soggetti che possono legarsi tra loro
in sub-reti ma che in ogni caso soggiacciono alla leggi emanate dai rappresentati di
tutto il popolo sovrano.

Credo sia appropriato chiudere la prima parte ricordando a tutti coloro che vogliono
rilanciare la competitività etc. attraverso misure di contenimento dei costi (tagli), che
quella che segue è una ragionevole anticipazione dell’opposizione che troveranno.
Il suggerimento, se mi posso permettere, è che i tagli siano parte di un discorso molto
più ampio. Anche una volpe della diplomazia come vecchio Zbig lo dice sempre:
”quando non riesci a trovare un accordo, aggiungi altri problemi!”.
Parte seconda
I.R.I 2.0
Il pessimista vede la difficoltà in ogni opportunità,
l’ottimista vede l'opportunità in ogni difficoltà.
Winston Churchill

Dall’ultima crisi epocale (1929 in avanti) siamo usciti con spese infrastrutturali e
belliche. Allora, una popolazione giovane, essenzialmente rurale, abituata ai sacrifici,
stanziò parte della futura ricchezza, sua e dei suoi figli, per fornire allo Stato i capitali

necessari per creare l’ , metterla nelle condizioni di tenere in piedi un paese


e, dopo la guerra, di farlo crescere. È tuttavia indispensabile tenere presenti le enormi
differenze tra noi e loro. Quelli erano uomini che non avevano carte di credito o
grandi debiti e sebbene lo Stato ne avesse (e molti) aveva anche la capacità di
monetizzarli. Lo Stato inoltre aveva una presenza meno asfissiante nell’economia.
Ma, fattore decisivo, quello Stato che aveva un’infrastruttura da costruire, aveva
molte forze giovani, ancora priva degli attuali, enormi, impegni per sanità e pensioni.
Era uno Stato che, come un buon padre di famiglia, doveva avere il bilancio in
pareggio. Nelle famiglie numerose i fratelli lavoravano di notte aiutandosi l’un l’altro
a tirar su case magari non belle ma nelle quali potevano vivere senza pagare affitti,
nelle quali potevano crescere i loro figli.
Le differenze con l’Italia (l’Europa) di oggi non potrebbero essere più drammatiche.
Oggi l’Europa ha già (in media, l’Italia sconta noti ritardi) molte infrastrutture,
moltissimo debito e poche persone in grado di pagarlo. Ha infatti (e avrà) pochi
giovani sul cui conto potrebbero essere messe le spese che si sosterrebbero per
rilanciare l’economia e nessuno spazio per manovre a debito che allarmerebbero
immediatamente i bond vigilantes. Ma, soprattutto, dopo sessant’anni di enorme
presenza dello Stato nell’economia, la fiducia del ceti produttivi nell’efficienza della
spesa pubblica è ai minimi storici. Questo non significa che ci sia molta più fiducia
nei confronti di Corporations senza nessun legame con il territorio, pronte a lasciare
attività profittevoli per massimizzare i benefici di azionisti e managers.

Popolazione 1930s Popolazione oggi


Rurale Urbana
Famiglie numerose Figli unici
Capacità di “gregariato” Individualismo congenito
Capacità di sacrificio Senso di entitlement
Bassa “soglia di realizzazione” Alta “soglia di realizzazione”
Lunga preferenza temporale Breve preferenza temporale
Religiosa Secolarizzata
(incidenza di sincretismi fai-da-te)

Potrei continuare a lungo. Queste sono solo alcune differenze e sono straordinarie.
Non possiamo in nessun modo pensare che sia possibile usare le stesse ricette né
sprecare le opportunità create dalla Grande Recessione per ritornare, anche fosse
possibile, ad un business as usual che considera l’economia, la morale e l’estetica
come sfere separate se non proprio antitetiche.
Il fatto che non sia immediatamente ovvio come valorizzarle in modi che abbiano
impatti positivi su PIL, gettito fiscale o voti, non significa affatto che non esista, oggi,
un chiaro first mover advantage per chi riesca a creare un mercato che contempli (e
premi) quei valori. I mercati emergenti attraggono tanti capitali non solo perché
hanno rendimenti superiori, ma essenzialmente perché sono percepiti come un no-
brainer. Nessuno sembra discutere la necessità di un processo di sviluppo che sia
condotto dal capitalismo corporativo. Si tratta di applicare ricette conosciute.
È ai mercati maturi che sta invece toccando una crisi da eccesso di debito combinata
con una crisi di fiducia nel futuro, una crisi da assenza di consenso: sul futuro, sui
driver di crescita e sulla giusta reazione all’immagine di declino che il futuro ci
rimanda.
Apprezzare appieno le straordinarie differenze tra gli uomini e le donne che
dovranno condurci fuori da questa crisi e quelli che uscirono dalla precedente sembra
stranamente difficile ed elusivo per i policy makers e le classi dirigenti in generale.
Eppure è indispensabile. Fortunatamente l’alto debito induce prudenza e scoraggia la
distribuzione di inutili incentivi a pioggia, senza strategia economica e senza visione.
Gli errori, tuttavia, così come i peccati, non sono solo di azione ma anche di
omissione.Oggi la più grave omissione sarebbe quella di ostacolare l’emergere di
soggetti che promettessero di affrontare i due gravi “deficit” summenzionati: deficit
di risorse e deficit nella capacità di allocazione rapida ed efficiente.
In termini di costi-benefici, nemmeno le Grandi Riforme (quelle con la R
maiuscola) rappresentano un qualche silver bullet. Sono sì necessarie ma certo non
sufficienti. La maggior parte dei beni collettivi (commons) non possono infatti essere
posti in essere con un poco di inchiostro, una nuova partita di bilancio e qualche
burocrate66. Né sono un Santo Graal, capaci di ringiovanire un moribondo. Non un
moribondo che abbia un 400% (di PIL) di unfunded liabilities.
Sono soprattutto costose, le Riforme, perché prevedono il raggiungimento del più alto
ed infrequente tipo di consenso all’interno di un sistema politico. Ammesso e non
concesso che si riuscisse nel titanico sforzo di cambiare una costituzione scritta,
rimarrebbero le inerzie nei comportamenti degli individui, l’inerzia della costituzione
materiale.

66
Pensate per esempio alla coesione sociale, nello specifico riguardo alle tematiche dell’immigrazione. Quanto prima
certi settori capiranno che a ritenere indispensabile l’immigrazione non è solo il partito delle banche, quanto meglio. E
non inevitabile, come se fosse un male. Indispensabile e foriera di grandi opportunità. A patto che questi nuovi italiani
apprendano a conoscere ed amare i tesori dell’Italia, ben più di quanto facciano gli italiani di oggi. Un paese non cresce
solo attraverso la produzione industriale, che infatti deve poi trovare mercati di sbocco, in un momento in cui ogni paese
cerca di indebolire la sua moneta per uscire dalla crisi grazie alle esportazioni.
La produzione industriale, pur importante, potrebbe certo aumentare grazie ai robot. Il problema dei robot non è però
solo che non comprano nulla, che non pagano le tasse o non li puoi mandare in Afghanistan; il problema dei robot è che
non hanno immaginazione, non hanno affetti e non hanno desideri. Non possono sognare un paese migliore e certo non
possono mettervi mano.
Le sfide di un’Europa invecchiata, un’Asia che dovrà modificare il suo profilo produttivo alla luce di un calo della
domanda occidentale che sembra essere strutturale, l’emersione di nuovi attori in medio oriente e la modificazione di
rapporti di forza consolidati, sono tutte fonti di preoccupazione e le leadership potrebbero beneficiarsi enormemente
associando al normale dialogo diplomatico l’extra dialogo tra i cittadini.
Prima di iniziare il vero percorso di avvicinamento a Wikipolis sarà utile ripensare
all’istituzione che, per alcuni decenni, rappresentò la quasi totalità dell’Italia
industriale. Carlo Resta, autore del testo da cui ho estratto questo frammento, è stato,
tra le altre cose, Managing Director del Global Investment Advisory di JPM Chase
Manhattan Bank, per Europa, Africa e Medio Oriente e Direttore del Client Strategies
Group per Merrill Lynch International Private Bank.

“Negli anni 1960s l’economia italiana era in piena espansione e l'I.R.I. si


trovava al centro di quel boom. Con tassi di crescita doppi rispetto
all’economia nazionale, era il più grande complesso industriale non-petrolifero
extra-USA. L’Italia repubblicana che “rientrava in un consesso mondiale
avverso” l’aveva ereditata dal fascismo che l’aveva istituita in risposta alla
Grande Depressione.

Quando il crollo dei mercati avviò la depressione mondiale degli anni 1930,
pochi paesi ne vennero colpiti come l’Italia. Le tre maggiori banche, Banco di
Roma, Banca Commerciale e Credito Italiano, esposte ad un settore industriale
in rotta, vennero salvate da Benito Mussolini nel gennaio del 1933. Da quel
salvataggio emergeva una nuova holding di Stato che si trovava a controllare
una grandissima proporzione dei principali settori industriali e dei servizi
dell’economia", l’I.R.I. appunto.

Durante gli anni della sua crescita intensa, l'I.R.I. fu sempre una mosca bianca.
Essendo funzionale agli interessi dello Stato, non doveva preoccuparsi dei
profitti a breve termine. Questo le permise di destinare grandi risorse ad
investimenti come l’acciaio o l’infrastruttura viaria tanto necessari quanto poco
attraenti per i privati. L’effetto di questo investimento pubblico fu di creare
mercati nei quali altre imprese si sarebbero confrontate sul piano della
competitività, contribuendo così ad espandere l’intera economia. Non solo
l’I.R.I. creava mercati, ma lo faceva nelle aree che si pensavano essere le più
benefiche per l’intero paese o in aere ritenute di importanza strategica. È
fondamentale ricordare che l'I.R.I. seppe evitare i problemi tipici nelle imprese
statali che all’epoca dominavano i paesi comunisti, ovvero la cronica mancanza
o distorsione degli incentivi alla produttività o all’efficienza, l’insipienza del
loro management, troppo succube delle influenze politiche. L’I.R.I. evitò questi
problemi sostanzialmente creando una distanza tra sé e le sub-holdings
controllate/collegate, mettendole nelle condizioni di agire come imprese
private, mentre il nucleo di gestione dell'I.R.I. agiva come investitore,
sostenuto dalla potenza finanziaria del governo italiano. Mentre l'I.R.I. era di
esclusiva proprietà del governo, le sub-holdings non lo erano, e queste
potevano quindi attrarre investimenti privati, cosa che fecero fintanto che le
cose andarono bene. In quell’epoca l’IRI ha combinato il dinamismo del
capitalismo imprenditoriale con una sorta di tutela sociale, agendo come un
lungimirante catalizzatore di forze.
Molti paesi europei, in particolare il Regno Unito, guardavano all'IRI come ad
un positivo ed efficace esempio di partecipazione dello Stato nell'economia.
Era meglio che la semplice "nazionalizzazione", perché consentiva una
cooperazione diretta tra capitale pubblico e privato. Molte delle aziende del
gruppo IRI 'erano a capitale misto, in parte dal governo pubblico, in parte da
investitori privati. Molte delle imprese dell'IRI erano quotate e le sue
obbligazioni massicciamente sottoscritto da parte dei risparmiatori. ¹
Una rinnovata IRI, una nuova razza di Western Sovereign Fund, che io chiamo
Istituti di Ricostruzione Economica (IER), potrebbe agire come un gestore di
portafoglio, incaricato di allocare capitali tra diverse imprese e settori
industriali. Si tratterebbe di:
1.Acquisire partecipazioni in piccole e medie imprese (PMI) per impedire
che siano vittime di un contagio indiretto, facilitare il loro finanziamento e i
loro piani di sviluppo internazionale.
2.Acquisire partecipazioni in nuove imprese con prospettive di forte
crescita, per promuovere nuove tecnologie, nuove invenzioni, più esportazioni
verso i BRIC e tutti gli altri mercati che mostrino vitalità.
3.Agire come un investitore istituzionale tradizionale in cerca di rendimenti
a lungo termine, acquisendo assets a livello nazionale ma anche all'estero,
ristabilire la fiducia e stabilizzare i mercati, in coordinamento con le necessarie
riforme economiche generali di ciascuno dei paesi occidentali.

Ora, il grande problema di fronte al processo recessivo che stiamo vivendo è la


forte e diffusa riluttanza ad intraprendere qualsiasi investimento. La paura
diffusa che fa percepire qualunque rischio come troppo elevato, un circolo
vizioso di "trust crunch" che porta ad un rallentamento degli scambi
nell'economia. Le banche smettono di prestare, anche tra loro; la fiducia dei
consumatori crolla ai minimi, si diffonde un panico che danneggia anche
imprese fondamentalmente sane. Se il sangue smette di circolare anche
l'individuo più forte finirà per morire.

In momenti simili, l'attuazione di una vera e propria “Formula di Co-


Investimento Stato/privato” permette di ridurre il rischio d’impresa, garantisce
un orizzonte di lungo termine, ristabilisce la fiducia necessaria nei mercati
perché gli investimenti abbiano luogo, dà un impulso positivo a tutti i
componenti dell’impresa, e, quindi, riduce i rischi. La presenza di una tale
'mano forte', aumenta il valore di una società per tutte le parti interessate, siano
esse i lavoratori dipendenti, la gestione, i fornitori, i clienti, azionisti,
obbligazionisti, banche finanziatrici, assicuratori, le autorità di
regolamentazione, gli amministratori locali. L'impatto positivo si riverbera
anche in altre aziende dello stesso settore, creando una circolo virtuoso.
La stessa "mano forte" che riduce i timori e le incertezze faciliterà la creazione
di valore e guiderà le strategie di asset allocation. E noi sappiamo che l'asset
allocation è il fattore più importante nella creazione di valore e nella sua
conservazione. Il caso dell’I.R.I. ci dice che quando l'economia italiana
cresceva dell'8%, la crescita dell’I.R.I. è stata sempre più del doppio.
Una nuova specie di fondi sovrani (di Co-Investimento "Stato / privato) sembra
essere l'unica strada percorribile per ristabilire la fiducia in ciascuno dei
mercati nazionali, e riavviare la tanto necessaria crescita economica. Questo
approccio non andrà solo a beneficio delle singole imprese che ricevono la
partecipazione da parte dello Stato, ma genererà un cruciale impulso per
l'economia globale, aumentando i rendimenti e riducendo i rischi. Last but not
least, considerazioni etiche e crescita sostenibile riceveranno un posto adeguato
nella tanto necessaria ristrutturazione dell'ordine mondiale. I mercati usciranno
modificati da questa crisi, ma in ultima analisi, più forti. Abbiamo i mezzi per
farlo, le competenze, e ora, la necessità e quindi gli incentivi”.

La presenza di autorevoli attori che, da una prospettiva di mercato, raccomandano la


creazione di istituzioni ispirate all’IRI, dovrebbe essere occasione di riflessione.
Anche Wikipolis crede che vi fosse moltissimo di cui essere orgogliosi.
Sarebbe tuttavia contrario allo spirito dell’UE avere holdings nazionali controllate da
un Board di (prevalente) nomina politica. L’obiezione mossa nei confronti dell’IRI,
dal punto di vista dell’ideologia neo-liberale, si fonda sul concetto di competizione
sleale, per il suo essere apertamente gestita dai titolari del potere sovrano di uno stato
nazione. Un’IRI nazionale è dunque impossibile e un’ipotetica IRI International
richiederebbe un consenso sopranazionale che non esiste. Ma, forse ancora più
importante, siamo sicuri che un consesso di Stati-Nazione sarebbe l’attore più adatto,
oggi, a gestire in forme necessariamente top-down (e quindi burocratiche) un
processo di questo tipo? Personalmente credo che, oltre a soggetti pubblico-privati,
sarebbe interessante esplorare l’idea di soggetti come Wikipolis, che siano, ad un
tempo for-profit ed etici.
Ma che non dipendano dalla politica e che siano insieme nazionali e sopranazionali.

Tra le grandi domande che sembrano emergere in conseguenza dei fallimenti


regolatorii e delle complicità sembra esserci questa: perché dobbiamo applicare, alla
gestione della cosa pubblica, un modello, quello dello Stato-Nazione Accentrato,
capace ed efficiente nel costruire e preservare la legittimità ma inefficiente se
lasciato come monopolista della gestione. Mentre infatti la Sovranità è indivisibile (la
concorrenza per la Sovranità significa infatti guerra civile) la gestione dello Stato,
non esposta alla concorrenza lascia campo libero alla corruzione.
D’altra parte, neanche il monopolio dei privati, l’orgia neo-liberale degli anni ’90,
funziona. Ecco quindi che è progressivamente emerso un consenso attorno alla
necessità della presenza di uno Stato, che fornisca qualcosa di simile al servizio base
lasciando al settore privato incentivi per competere ma non campo libero.
Perché non ci possono essere soggetti con incentivi radicalmente diversi che
competano per l’efficienza sotto l’ombrello della legittimità concessa dai
rappresentanti dell’intera collettività67? Siamo sicuri che il livello di (percepita)
efficacia delle decisioni (o, sua proxy più immediata, l’implementazione burocratica
delle stesse) non retro-alimenti e pertanto determini, nel bene o nel male, lo stesso
livello della Legittimità? Siamo proprio sicuri, in parole povere, che la cattiva
amministrazione protratta nel tempo non crei rischi per la stessa legittimità delle
Istituzioni, con gravi rischi per l’intera Nazione68?
Perché oggi non esiste un soggetto del genere, che reperisca risorse e le spenda per
creare imprese che generino prosperità sul territorio. Credo non ci siano dubbi sul
fatto che sarebbe una benedizione. E tuttavia, come costruirlo?
Dov’è il private equity della Democrazia? Chi separerà il core business della
Legittimità dal side business delle Decisioni.
Riformare è necessario eppure le più efficaci, tra tutte le Riforme, potrebbero essere
già sotto i nostri occhi, invisibili per troppa familiarità, come la famosa lettera di
E.A.Poe. Riforme possibili, perfino semplici. E quando le riforme non sono
rischiose/costose la sperimentazione è incoraggiata, si aprono enormi spazi per
l’innovazione e lo Stato ha solo da guadagnarci. Più occupazione & stabilità sociale,
più gettito, più innovazione, più crescita e quindi meno tagli. Riuscirà la politica a
capire che deve liberare tutti i potenziali alleati che può trovare?

67
Per quanto screditata sia l’idea è forse utile notare come una soluzione di mercato ad un problema è già arrivata.
Stanchi del conflitto di interesse delle agenzie di rating, troppo sbilanciate a favore dei venditori? Bene, ecco un’agenzia
al servizio dei compratori. K2 Global impiega 30 gg invece dei 4 di Moody’s, ma può farlo perché i margini di profitto
di Moody’s erano del 60% !!!
68
Uno degli errori più gravi che sta compiendo la classe politica in paesi come l’Italia, relativamente poco colpiti dalla
crisi (in Francia il PIL è caduto meno, certo, ma la Francia ha avuto un 8.8% di deficit, l’Italia poco più del 5%), è
quello di privilegiare la verità rispetto alla sua percezione. Sembra paradossale, me ne rendo conto, ma le persone che
più stanno soffrendo le conseguenze della crisi non leggono The Banker o The Globalist. Vedono solo quello che
accade a loro o attorno a loro.
Paul Collier, professore ad Oxford, Commander of the British Empire (CBE )e
uno dei tre (litigiosi) Moschettieri della Cooperazione allo Sviluppo ha recentemente
scritto un’importante articolo sull’Independent69 nel quale, prendendo spunto dalla
gestione dell’emergenza ad Haiti, sostiene la necessità di un nuovo approccio alle
ONG, un approccio che permetta di separare le tre funzioni che hanno convissuto
fino ad oggi, in modi sempre meno efficienti, nelle ONG: le decisioni politiche, la
gestione dei servizi sul campo e l’assegnazione delle risorse. Non vi sembra
un’analisi perfetta dei problemi dello Stato?
L’intera “Industria delle Decisioni” (perché quello è il “prodotto” oggetto del loro
business, del business della Politica) deve passare attraverso un drammatico processo
di ristrutturazione e innovazione70. Non solo rispetto ai prodotti che propone, non
solo rispetto a come li produce ma, soprattutto, rispetto alla quantità di attori che
hanno accesso a quel mercato. Questo è anche il senso profondo di un ripensamento
che, motivato da drammatiche esigenze di bilancio, sta avendo luogo nel mondo
anglosassone. Testimoniato da questo articolo e, soprattutto, da una recente
conferenza71 del candidato conservatore (leader sembra una parola grossa, in ogni
caso non si può usare descrivere sia lui e che Churchill, non senza privarla di ogni
significato) David Cameron.

69
http://bit.ly/apue7z It is time to accept that effective state provision of basic services need not be a replica of the
European state: institutional design must be fitted to context. What might it look like in places like Haiti? The European
model squeezed three functions into one organisation: policy; management of frontline services; and the allocation of
money. Where it works, this integration provides the most cost-effective services on earth, but it depends upon the
workforce internalising the goals of the organisation. If this is lost there is no floor to incompetence, corruption and
inadequacy.
An alternative is to split the functions. Policy setting, such as minimum standards and equitable provision, is inherently
political and must remain with government ministries. But ministries need not run all the frontline services. The task of
motivating workers, whether by persuading them to share a sense of mission, or by incentive-induced performance, is
best left to each organisation to solve. The third function, the allocation of money among frontline providers, needs
a specialised public agency. In Haiti, NGOs should be getting their money not from aid agencies and British households
but from the government, in return for which they should give the government co-branding. Of course, the money
dispensed by the government would ultimately have to come largely from aid agencies and charitable donations, but the
government should have a degree of control. How much control?
If the money were simply handed over to the government ministries we would be back with the underlying problem that
they lack the organisational capacity, including checks on corruption, to spend money well. What is needed is a hybrid
agency run jointly by government and donors. Its function would be to take in money from the donors and disburse it to
the frontline – the NGOs, churches and local communities that actually run schools and clinics.
The core job of the agency would be to monitor the comparative performance of these frontline providers, continuously
shifting money to the more cost-effective. This would radically simplify the government's task of monitoring the
frontline: it is much easier to assess an organisation than each individual worker. The agency could use information
technology to empower ordinary users of services. Even in Haiti most people have mobile phones and mass e-
assessments could become routine.
The approach offers accountability, efficiency, and national ownership. For different reasons donors, NGOs and
ministries are all apprehensive. They prefer business as usual, but unfortunately, business as usual doesn't work.
70
C’è un’enorme lavoro da fare nel disegnare gli incentivi appropriati. Ogni incentivo è essenzialmente una narrazione
condensata. Più precisamente, il reverse engineering di una narrazione. Si parte dall’output, si analizzano quante più
strade possibili che possano condurre a quell’output, si analizzano le regolarità, le si sistematizza ed ecco servito un
incentivo.
71
http://bit.ly/9y5wEZ
Gli stati e i governi stanno drammaticamente sottostimando le possibili ricadute
sociali. È assolutamente necessaria la presenza di qualcuno/qualcosa che goda di
credibilità presso il vasto pubblico. Il rischio concreto è che la frustrazione cerchi
canali non solo extra-politici, ma apertamente anti-politici, al servizio di agende
incoerenti ed insostenibili.
Ogni organismo umano complesso ha una profonda necessità di conoscere la
direzione nella quale si sta muovendo, soprattutto nei momenti di pericolo.
Questo senso di direzione è oggi, in generale, quantitativamente insoddisfacente e
qualitativamente frammentario.
Questi sono i momenti storici in cui emergono nuove leadership.
In questo c’è un’evidente sinergia tra Wikipolis e gli attori dello status quo.
Non tanto perché Wikipolis ne rappresenti una manifestazione (arduo da sostenere)
quanto piuttosto perché, in un’epoca turbolenta come quella che viviamo (e vivremo),
è necessario che le forze che rappresentano il rinnovamento, abbiano una leadership
credibile presso i settori più colpiti dalla crisi, senza per questo essere ostile allo
status quo72.

72
Ecco un’altra ragione, di ordine affatto diverso, che rende Wikipolis utile agli Stati.
Un consenso a livello di corpi sociali intermedi (per quanto minoritari e non rappresentativi) darebbe una maggiore
legittimità ai governi e renderebbe più rapido il percorso verso gli urgenti accordi.
La legittimità è necessaria, la rappresentanza legittima il
rappresentante…finchè non legittima più!
La Legittimità serve a mettere un ordine a quel fenomeno tremendo che è il Caos.
Alla base di ogni Potere c’è la Legittimità. Oggi esistono due forme essenziali di
legittimità. La rappresentanza (democratica) e l’efficienza esecutiva (dei governi).
A prima vista sembrano incomparabili. In fondo nulla impedisce ad un governo
legittimato dalla rappresentanza democratica di essere anche efficiente. In quel caso
la supremazia del “modello rappresentativo” su quello “esecutivo” sarebbe
schiacciante.73.

Quando parlo della legittimità non mi riferisco naturalmente ad una legittimità istituzionale, visto che quella appartiene
del tutto e completamente ai governi eletti. Tuttavia, quando una minoranza qualificata della popolazione di un paese ha
dibattuto seriamente ed in profondità un problema del quale molti parlamentari non sarebbero neppure in grado di
riferire senza strafalcioni, beh… riconoscere che un governo sarebbe rafforzato dal loro esplicito appoggio non sembra
una grande concessione. Non fosse perché queste persone tutte le mattine si immergono nell’economia del paese in
posizioni di leadership.
73
C’è chi sostiene, e spesso si è tentati di credere, che sia in effetti impossibile avere entrambe simultaneamente.
La prima, essenzialmente occidentale, si basa sull’idea che la maggioranza dei cittadini ha diritto/dovere di governare e
siccome un paese ha il parlamento che si è scelto (punto importantissimo) ne segue che, fintanto che il governo ha la
fiducia dei rappresentanti del popolo, allora è legittimato. Naturalmente il diavolo è nei dettagli. E anche ciò che sembra
bello e santo ha il suoi inconvenienti. Questo assetto, comunque, rende le istituzioni solidissime perché nel peggiore dei
casi, se il Parlamento non riesce ad esprimere una maggioranza di governo (cosa piuttosto frequente durante la Prima
Repubblica italiana), si rimette la decisione al detentore del potere Sovrano. In sostanza è il principio del bambino e
dell’acqua sporca, dove il governo, naturalmente sarebbe l’acqua sporca. Questo assetto assomiglia ad un bardatissimo
guerriero in grado di assorbire colpi anche molto violenti (crisi di governo, elezioni anticipate ecc.) senza che questo
intacchi le sue funzioni vitali.
Tutto sta quante ne prende, di botte. E per quanto tempo. Tutto sta a vedere, e qui vengono i guai, quanto riesce ad
avanzare, che colpi riesce a portare.
Perché le corazze sono pesanti. Se fa caldo tendono a disidratare brutalmente il povero corpo che sono supposte
proteggere e a raffreddarlo se fa freddo. Insomma, il vantaggio della separazione tra corpo e corazza, tra esecutivo e
istituzioni sembra avere anche degli svantaggi, non ultimo il fatto che, i servitori delle istituzioni, che devono
considerarle immortali, possono essere incoraggiati ad agire come se parte del potere che esercitano appartenesse loro.
Non già per indulgere in attività, Dio non voglia, illegali, Dio non voglia. Magari semplicemente omettendo di dare ad
un certo atto tutta, ma proprio tutta, la pubblicità che meriterebbe, o ad un altro la sua trasparenza. Queste sono vecchie
tesi di Max Weber, nessuna vera novità qui.
L’altra forma di legittimità, l’efficienza esecutiva, è molto infrequente.
In mancanza di istituzioni legittimate dalla rappresentanza, dominare militarmente è più facile che attraverso la
leadership. Ma la tirannia costa cara e non tutti possono permettersela. In un paese come la China ad esempio, senza
materie prime, e con un’enorme popolazione, lo Stato non ha fonti di denaro facile e tutti devono lavorare per vivere.
Impossibile governarlo col semplice pugno di ferro.
Allo stesso tempo, l’enorme forza d’inerzia data dalla numero dei suoi abitanti rende oggettivamente rischiosissimo
incentivare l’emergere di una forma di legittimità all’occidentale. Ogni controversia che generasse instabilità avrebbe
infatti costi molto alti in un paese nel quale la percentuale di terra arabile incomparabilmente inferiore a alla media
europea o americana, e più precario l’accesso alle risorse energetiche.
Mantenendo la metafora marziale paragoneremo quindi l’efficienza esecutiva ad un combattente dai movimenti liberi,
sprovvisto di qualsivoglia ingombro ma anche completamente esposto ai colpi del nemico, che dovrà essere molto più
prudente ed efficace, perché ogni minimo colpo potrebbe rappresentare la fine.
Ma c’è un paradossale vantaggio.
La leggerezza e l’agilità di questo guerriero gli permettono, fintantoché mantenga la destrezza delle sue membra, di
procrastinare il momento dello scontro decisivo e di attendere che l’armigero si sfianchi sotto il peso della sua armatura
Poi c’è la terza opzione, quella di istituzioni fragili (frequente alternanza tra governi militari di fatto e democrazia)
unite a governi efficienti. Questa è stata per anni la regola in mercati emergenti, soprattutto dell’america latina e del
sud-est asiatico.
La legittimità è l’infrastruttura fondamentale dello Stato ed egli deve averne il
monopolio. Così come dovrebbe essere per le ferrovie, le rotte aeree, le frequenze
radio-televisive ed il patrimonio storico, i privati dovrebbero competere per
l’ottenimento di concessioni a prezzi competitivi e lo Stato dovrebbe sempre fornire
una serie di servizi minimi contro il quale i privati competerebbero. Quando questi
servizi sono forniti all’interno di strutture di prevalente composizione politica
abbiamo quello che chiamo uno Stato Meccanico.

La legittimità è quel magnetismo che ha la capacità di tenere insieme folle come questa,
di incanalarne l’energia, organizzandola, dandole obiettivi costruttivi che non minaccino
la continuità dello Stato, la legittimità delle élites e la loro permanenza al potere.

Lo Stato Meccanico, crea istituzioni meccaniche, nelle quali è virtualmente


impossibile premiare il merito e nelle quali l’intraprendenza è disincentivata.
Questa verità non smette di essere vera per il fatto di essere un cliché
Le istituzioni meccaniche

trasformano ogni in un

Queste istituzioni rappresentano una fallimentare allocazione di Capitale Umano.


Questo non è grave solo per la Società nel suo complesso, ma anche e soprattutto per
gli individui.
Anche così, tuttavia, sono state in grado di ottenere grandi risultati, più grazie agli
straordinari progressi tecnologici del XX° secolo (che come una marea hanno
sollevato tutte le barche) che a radicali miglioramenti di produttività internamente
generati74.
Perché la macchina Statale possa essere sostenibile la maggior parte di questi
ingranaggi dovrebbero essere sostituiti da devices, con la stessa capacità di lavorare
di concerto con altri, ma con in più la capacità di produrre autonomamente i loro
output. Siccome sappiamo che le Rivoluzioni finiscono male e che i valori sommi
sono quelli della continuità e della stabilità, è sempre saggio affrontare l’inevitabile
innovazione come qualcosa di subito e non qualcosa di voluto.
E testarla a lungo su piccola scala. Non troppo piccola da renderla irrilevante, ma
certamente nella scala più piccola tra quelle in grado di produrre risultati utili.
La differenza sarebbe abissale, della stessa scala che separa una società
meccanica…

…da una domotica.

Mentre infatti valutare la reale bontà/competitività di un offerta rispetto ad un


benchmark (gli appalti sono un buon esempio) comporta procedure oliate e parametri

74
Quanto più il Potere è preoccupato per le potenziali sfide alla sua legittimità quanto più sarà incentivato a privilegiare
organizzazioni che dipendano, (per la direzione, il finanziamento o entrambi) dalla sua autorità centrale.
L’instabilità politica spinge a desiderare il pieno impiego, spinge alla creazione di organizzazioni senza una vere
specializzazioni, pronte a tutto, adeguate a nulla.
Tanti ingranaggi, magari anche ordinati ma incapaci di autonomia e di innovazione.
conosciuti, lo stesso non si può dire quando si parla di modelli di economia. È sempre
più chiaro che dovremmo iniziare a sperimentare, coinvolgendo soprattutto
disoccupati e cassintegrati, ma anche professionisti radicati su un territorio colpito
dalla crisi in ogni aspetto.

I fallimenti dell'immaginazione sono, per definizione,


inimputabili. Nessuno infatti, può accusare chicchessia per non aver avuto idee
nuove e migliori.
Per troppi anni ci siamo accontentati delle forme che avevamo, rassegnandoci al fatto che gli insuccessi fossero, se non
naturali, perlomeno comuni. Ci siamo divisi e perfino accapigliati su come gestire/riformare un'istituzione come la
Democrazia Rappresentativa (che ha piú di 200 anni di storia) senza mai pensare che il problema potesse essere quello
della sua senescenza rispetto ad un Mondo che ha aumentato la sua velocità con una progressione geometrica mentre
lui, lo Stato, lo ha potuto fare solo in proporzione matematica.

Tuttavia, una cosa é certa, la follia, come diceva Einstein, é rifare


la stessa cosa, ancora e ancora aspettandosi risultati diversi.
Relazioni Stato-Wikipolis

“Il popolo non ha il pane? Dategli le brioches!”(frase apocrifa attribuita a)


Marie Antoinette, Archiduchesse d’Autriche, princesse impériale,
princesse royale de Hongrie et de Bohême,
dauphine de France, reine de France et de Navarre.

“Le persone dovrebbero tollerare l’iniquità come una via


per raggiungere una maggiore prosperità per tutti.”
Lord Griffith Of Fforestfatch, vice-chairman of Goldman Sachs International

La somma di tante azioni legali non può creare nulla di illegale.


A meno che non diventi abbastanza grande da sostituirsi alla legge.
È il principio su cui si basa la Corporation, una somma di attività legali solo su una
scala tale da permetterle di acquisire potere sugli organismi locali e poi su quelli
nazionali ed infine su quelli transnazionali.
Gli unici a poter contrastare questa prassi sono i detentori della sovranità.

È noto tuttavia che, per grandi gruppi di popolazione (il quarto stato), la logica delle
azioni collettive implica (normalmente) costi molto alti (principalmente in termini di
tempo) rispetto ai reali benefici che ciascun membro può sperare di ricavarne. Da lì
la, relativa, rarità storica, il carattere violento e poco costruttivo dei movimenti di
massa. Discorso inverso per i gruppi piccoli e in posizioni di potere, i cui
componenti, con un “costo” marginale basso, ottengono grandi benefici individuali.
In un mondo in cui alcune migliaia di persone prendono tutte le decisioni importanti,
Wikipolis crede che siano necessari corpi intermedio tra la politica che “conta le
teste” (nella quale ogni cittadino è uguale), e la Superclass, dei 6000 superpotenti che
volano in Gulfstream sulle nostre teste.

Senza una forza che ne compensi il potere, le Corporations hanno “giurisdizione”


assoluta sul Mondo. Se mi passate un’immagine “forte”, direi che si tratta di una
situazione simile a quella del proibizionismo, quando la mafia agiva a livello federale
ma era perseguita da cinquanta stati disuniti, senza accesso alle reciproche
informazioni e, in molti casi, senza nemmeno le risorse per una minima azione di
contrasto. Nel 1935, per dargli gli strumenti necessari a debellare il contrabbando
interstatale di alcool, venne completato il lunghissimo processo di trasformazione del
preesistente B.O.I.( Bureau of Investigation) nell’attuale F.B.I.
Al problema dell’assenza di una controparte “sovrana” a livello internazionale, molti
hanno proposto un rimedio peggiore del male. Un rimedio massimalista, una
Governance Globale che, lungi dal dare le necessaria garanzie di trasparenza,
rappresenterebbe una fuga in avanti, e, cosa perfino peggiore, non ammetterebbe
“foro” ulteriore al suo monopolio assoluto (a meno che non arrivassero dei marziani e
fossero benigni, due possibilità che non godono di molta considerazione da parte di
statistici e bookmakers).
Un’altra metafora “forte” è quella delle armi.
Lo Stato ha il monopolio dell’uso legittimo della forza.
Il monopolio assoluto è una grave responsabilità e lo Stato fa bene ad avocarla a sé
perché non ci devono essere dubbi in materie come queste. Eppure le modalità di
esercizio del potere sono almeno altrettanto importanti che il potere in sé stesso.
Questo cosa significa?
Significa che chiunque voglia detenere armi da fuoco per auto-difesa deve passare
attraverso complicatissime procedure burocratiche che finiscono per dissuaderlo dal
dubitare della capacità dello Stato di difenderlo.
Se per caso non si lasciasse dissuadere e ottenesse comunque la sua pistola e con
quella stessa pistola ferisse o, Dio non voglia, uccidesse un criminale, pagherebbe il
conto della sua sfida nella forma di un pesante pregiudizio avverso (virtualmente ogni
difesa è un eccesso di legittima difesa).
Questo è esattamente il problema che esiste nei confronti delle Corporations.
Lo Stato si è (giustamente) avocato il controllo delle dogane, del commercio
internazionale, dell’esazione di imposte & tributi ecc. ecc.
Eppure, il mondo è cambiato, il Patriarca è invecchiato e non può più assicurare la
protezione a tutta la sua famiglia. Né può creare abbastanza opportunità per tutti.
Eppure lo Stato non può rinunciare al monopolio dei doveri perché implicherebbe
l’automatica rinuncia alle corrispettive prerogative.
Ecco perché è necessario che anche la sua famiglia si dia da fare. E che lui glielo
permetta. Che continui a rispettare il Patriarca, a farlo sedere a capotavola, a
chiedergli cosa pensa e ad attenersi alle sue decisioni…ma fare ciascuno la propria
parte di lavoro. E visto che non si può agire modo efficiente senza margini di
autonomia accettare tutti le inevitabili conseguenze.

Urano, personificazione del Cielo in quanto elemento fecondo si unì con Gea,
la Terra, e la fecondò gettando su di essa fertili gocce di pioggia, dando così
vita alle prime divinità mostruose: i Titani, i Ciclopi e gli arroganti Ecatonchiri.
Nel timore di venire spodestato dai suoi forti figli, Urano li gettava, man
mano che nascevano, nel Tartaro, ossia nelle viscere di Gea, la quale, ripugnata
dall'atto del marito, persuase il figlio Crono, l'ultimo dei dodici Titani che
generò da Urano, ad uccidere il padre con la falce adamantina da lei forgiata.
Crono aiutò la madre a liberarsi di Urano che giaceva costantemente su di lei
impedendo ai figli concepiti di uscire dal suo grembo, evirò il padre e prese il
posto alla guida del mondo. In seguito sposò la sorella Rea, con la quale generò
i principali dei del Pantheon greco. I genitori dei due però avevano predetto a
Crono che sarebbe stato a sua volta detronizzato da uno dei suoi figli. Per
evitare di perdere il potere così come era capitato a suo padre Urano
(spodestato da Crono stesso), il dio prese a divorare i piccoli figli via via che
Rea li partoriva. Demetra, Era, Estia, Ade e Poseidone, tutti divorati da Crono.
Solo Zeus riuscì a sopravvivere a questo destino, grazie al parto eseguito di
nascosto da Rea nell'isola di Creta, e riuscì, una volta divenuto maturo, a
spodestare il padre. Zeus, una volta cresciuto, somministrò a Crono un veleno
che gli fece vomitare tutti i figli ingoiati; in seguito, dopo una guerra intrapresa
insieme ai fratelli liberati, riuscì a vincere il padre, a rinchiuderlo e ad affidarlo
alla custodia degli Ecatonchiri, per l'eternità.
La natura insieme collettiva ed acefala dell’intelligenza di un’istituzione le impedisce
spesso di capire il suo vero interesse (e non parliamo di perseguirlo coerentemente).
Spero di sbagliarmi e che lo Stato-Nazione, democratico & rappresentativo, riconosca
i segni dei tempi. Veda che il nemico non si nasconde tra i suoi figli ma in un luogo
ben più remoto ed inaccessibile, il suo stesso inconscio.
Che capisca che il figlio Wikipolis vuole solo andarsene per la sua strada, lontano
dall’Attica. Che rispetta la sua Sovranità, la sua Potestas di Pater Familias, e che, per
quanto bizzarro possa sembrare, le vicende degli uomini lo avvincono molto di più
che gli intrighi di tanti dei sfaccendati.
Per uscire dal Mito e ritornare nella Storia (e al tallone di ferro delle Corporations75)
senza allontanarci troppo dalla Grecia, suggerisco di usare un sillogismo, il seguente
sillogismo:
La Sovranità appartiene all’Uomo,
l’Economia è Sovrana,
L’Economia appartiene all’Uomo (ovvero: ci vogliono le Imprese degli Uomini, per
competere con quelle dei Fondi)

Sembra il comunismo?
Al contrario, il comunismo ha fallito ed è stato sostituito dal peggiore dei mondi
possibili: socialismo per speculatori, che scommettono a nostre spese: testa vincono
loro, croce perdiamo noi. Il comunismo spoglia un paese delle sue ricchezze, accentra
il controllo su tutti i settori strategici e distribuisce prebende a uomini ormai privati
della loro iniziativa e creatività. Se assomiglia a quello che fa il cosiddetto
capitalismo neoliberale è perché sono primi cugini. Non si può salvare lo Stato (cioè
l’Uomo Sovrano) operando dentro allo Stato, perché è infettato da virus che gli
impediscono di produrre gli anticorpi di cui ha bisogno. È necessario cercare gli
anticorpi al di fuori dal corpo dello Stato, nel Vero Mercato, lontano quindi da
quello che oggi conosciamo. Il Mercato delle città medioevali, quello che conobbe e
dal quale fu affascinato San Francesco. La vera differenza la fanno gli incentivi, e
quelli di Wikipolis sono disegnati in modo che possa beneficiarsi solo di decisioni
utili alla società nel suo insieme.
Se non esiste libertà d’accesso al mercato non esiste mercato. Se/dove questo manca
non lo si può ripristinare senza uno sforzo deliberato e continuato, non senza una
figura di mediazione, un arbitro.

Tuttavia la sproporzione delle forze in campo è tale che non esistono veri rivali che
possano competere contro l’attuale modello. Non si può arbitrare un match con solo
un contendente, per la semplice ragione che non vi sarà nessun match. Ergo, lo Stato,
oggi, non è Arbitro ma Spettatore.

75
Scritto da Jack London nel 1908, all’apogeo della gilded age dei robber barrons, baroni dell’acciaio, del petrolio e
delle ferrovie e ben prima della speculazione finanziaria (anni ’20).
Uno spettatore che non può agire se non vuole irritare le Corporations e spingerle a
migrare da chi abbia più bisogno di loro. Che non può arbitrare più di quanto James
Stewart, bloccato su una sedia a rotelle, potesse impedire al vicino Thorwald di
uccidere l’esile e malata moglie76, smembrarla e disfarsene.
Un contendente più credibile sarebbe una Federazione Internazionale di PMI, che
potrebbe essere per lo Stato ciò che Grace Kelly fu per Jimmy Stewart ne La finestra
sul cortile, le sue gambe e gli occhi che vedono dove la sua vista “olimpica” non
arriva. Tuttavia, siccome sarebbe virtualmente impossibile crearla, la Federazione, a
partire da imprese già esistenti, ecco il piano: federare startups accomunate dal fatto
di essere “partecipate” da Wikipolis grazie a risorse ottenute “tassando” le grandi
Corporations. Siccome l’azione sarebbe coordinata tra i cittadini dei principali
mercati, alle Corporations non rimarrebbe che accettare di pagare una “commissione”
a Wikipolis, mediatore tra loro ed i membri del suo club. Per una volta niente
arbitraggio regolatorio e/o salariale. Già questa sarebbe una straordinaria vittoria, una
vittoria in grado di dare entusiasmo77.

76
Lo stato non può fare da arbitro se non ci sono due contendenti o se lo scontro tra loro non è leale. Dal punto di vista
dell’Uomo, quella che oggi è impropriamente, chiamata Concorrenza è lungi dall’essere tale. Due Corporations del
Fortune 500 potranno anche essere in competizione tra loro per quote di mercato ma, quale delle due che finisca per
prevalere, il modello economico continuerà a vedere i cittadini e le PMI nel ruolo della moglie di Thorwad e la scelta si
darà solo rispetto al pezzetto che si intenda… uhm … im-persona-re. La mia impressione è che il cervello potrebbe non
essere assegnato.
77
D’altra parte, siccome dietro a Wikipolis non ci sarebbe nessuno Stato-Nazione, quale potrebbe essere l’obiezione dei
neoliberali? Forse il tipo di finanziamento?
Difficile, si tratterebbe di piccole somme e sarebbe bizzarro che, all’indomani del voto della Corte Suprema degli
U.S.A. che rimuove i limiti alle spese “elettorali” per le Corporations, si limitasse il diritto di espressione dei cittadini.
Attenzione, diritto di espressione non finalizzato ad influenzare l’attività politica, ma pura e semplicemente a scegliere
in quali imprese investire denaro di un Club. Sarebbe ben più che scandaloso.
Senza contare che sarebbe ben al di sotto della soglia massima (2400 dollari per le primarie e 2400 dollari per l’elezione
generale, con un limite biennale di 115.000 dollari/individuo, in contributi totali per campagne elettorali)
Stiamo parlando di una stima di 500 euro/700 dollari. Per famiglia, non per individuo. Il solo discuterne sarebbe
oltraggioso.
Ricapitolando:
Se non possiamo fare in modo che lo Stato ci difenda dalle Corporations,
Se non possiamo fare in modo che lo Stato crei le sue (nuove) Corporations,
Allora dovremo essere noi a creare una forma nuova, in scala umana,
una federazione di imprese orgogliosamente indipendenti.

Egregio Stato-Nazione,
Se non può porre le basi per altri modelli economici più
efficienti e sostenibili o, almeno, costituire una IRI 2.0 (una iRI?), lasci che altri lo
facciano per Lei. Questo La rafforzerà enormemente, mi creda. Il giorno in cui si
sentirà più forte rispetto alle Corporations (Voglia Iddio che quel giorno venga
presto!) e le dimensioni che avrà acquisito Wikipolis inizieranno a preoccuparla, non
dovrà fare altro che “chiudere il rubinetto”. Trovare una ragione, non importa
quanto pretestuosa (immagino che Lei non si aspetti che l’umilissimo suo Le insegni
il mestiere), per interrompere il flusso di fondi che ogni anno alimenta la creazione
d’impresa. Certo, rimarrebbe la Federazione di quelle già esistenti, ma
quell’essenziale flusso di liquidità sarebbe perso per sempre.
A quel punto, rimarrebbero due modelli di economia in competizione e Lei, Lei
potrebbe, finalmente, assolvere alle sue funzioni di Arbitro. Non solo. Proprio perché
risponderebbero ad incentivi profondamente diversi, lei, in qualità di Arbitro,
potrebbe giocare i due contendenti, Wikipolis e le Corporations, l’uno contro l’altro,
a Suo beneficio personale.
Wikipolis sarebbe ben contenta di mettersi a Sua disposizione. Non so se potremmo
dire altrettanto delle Corporations.
Cordialmente sua,

Wikipolis

A quanti avanzassero sospetti circa presunti “veri” obiettivi di Wikipolis ricordo che
qualunque soggetto può agire in uno Stato fintanto che rispetta le sue leggi.
Qualunque soggetto che non abbia né il potere di ottenere leggi a proprio vantaggio
né quello di impedire l’emanazione di leggi esplicitamente volte a penalizzarlo, è in
una condizione di subalternità: letteralmente suddito alla mercé dello Stato.
Questa è la condizione di Wikipolis, un’analista in buona fede non può arrivare ad
altra conclusione.
Excusatio non petita accusatio manifesta, really?
No, not really!
Abbiamo visto il Mito di Urano e di Crono. È parte della natura umana.
Quel tipo di timore non è tanto la reazione ad una minaccia (in fondo i figli erano
ancora bambini) quanto la materializzazione di un timore profondo.
Qui non stiamo parlando al pubblico del prime time ed è quindi impossibile ignorare
il fatto che quello attorno al potere sia un gioco a somma zero e che l’emersione di
ogni nuovo soggetto generi resistenze da parte dei soggetti esistenti, nessuno escluso.
Perché, come diceva giustamente Simone Weil, il potere è un gas, e si espande per
occupare tutto lo spazio fisico a sua disposizione.
Quindi nell’equazione ci deve essere necessariamente un attore che perderà potere.
E quell’attore, a questo punto dovrebbe essere chiaro a chi sappia leggere l’italiano, è
la Corporation.
Non solo, dunque, Wikipolis non è una minaccia per lo Stato. È un alleato e necessita
di tutta la protezione che questi potrà accordargli. Wikipolis, se volete un’immagine,
è come un pianoforte sospeso nel vuoto da una terrazza del Burj Dubai e sostenuto
solo dal fragile filo della sua credibilità. Quale governo potrebbe temere
un’istituzione così vulnerabile? Il giorno in cui volessero toglierla di mezzo
basterebbe che i Corporate Media insinuassero gravi illegalità e che un tribunale
compiacente le attribuisse una minima responsabilità oggettiva, non importa quanto
forzata. A quel punto Wikipolis sarebbe fuori.

Ecco quindi una buona ragione per limitare il proprio ruolo all’economia, con la più
lieve impronta politica possibile (pochissimi dipendenti, essenzialmente soci)
un’impronta che non turbi in nessun modo gli equilibri tra gli attuali oligopoli della
rappresentanza.
Ecco perché Wikipolis, prima di iniziare ad operare, renderà nota la sua intenzione di
limitare il numero massimo dei suoi membri allo 0.5% della popolazione.
Non solo, Wikipolis non permetterà a nessuno di usare il suo nome per concorrere ad
incarichi elettivi. Inoltre, al fine di evitare qualunque conflitto di interesse, non
accetta politici o magistrati tra i propri iscritti. La persona che divenisse membro di
Wikipolis a seguito di false dichiarazioni volte a celare un ruolo incompatibile ne
verrebbe radiato e ai suoi figli sarebbe impedito concorrere per la membership.
Naturalmente, come ad ogni cittadino che abbia la capacità tecnica per farlo, è
permesso loro di accettare posizioni non elettive qualora sollecitato dalle autorità del
suo paese. Anche in quel caso, tuttavia, dovrebbe ricevere un’espressa autorizzazione
dall’Autorità (Garante della Concorrenza e del Mercato), ogni volta che fosse
chiamato ad operare in una situazione di potenziale conflitto di interessi, conflitto che
potrebbe danneggiare l’integrità di Wikipolis e la credibilità della sua bipartisanship.
Si tratta di raggiungere un difficile ma necessario equilibrio tra l’esigenza di non
restringere ad un paese la possibilità di usufruire delle capacità “tecniche” di un suo
cittadino e quella di preservare Wikipolis dal rischio di essere implicato in vicende
che potrebbero danneggiare la sua credibilità, unico capitale.
In generale è ragionevole dire che Wikipolis scoraggia e disincentiva, per quanto in
suo potere, ogni avventura “esecutiva” da parte di membri del network.
Le regole di condotta qui accennate, regole che Wikipolis si auto-impone,
valgono in quelle che chiamiamo “democrazie occidentali”. In paesi nei quali il
potere ha altre dinamiche, i membri di Wikipolis troveranno un modus operandi con i
dirigenti di quei paesi, un modus operandi che sia tanto accorde a quel sistema
politico, quanto quello qui delineato lo è alle suddette democrazie.
La precauzione nei confronti dei rischi reputazionali, infatti, non si esaurisce “solo”
ai conflitti di interesse o alla corruzione ma deve contemplare, in molti paesi, un ben
più grave sospetto: quello della sedizione.
A questo proposito è necessaria una premessa: se provenissimo da un paese
emergente (quindi con una passato coloniale) saremmo altamente sospettosi nei
confronti di un’iniziativa come Wikipolis.
Questa è una delle ragioni che spingeranno Wikipolis a cercare, in paesi con forti
elementi nazionalistici, l’assenso e la partecipazione maggioritaria di persone
provenienti da quei settori. L’assenso e la collaborazione di persone di provata fedeltà
alla loro patria e alla classe politica al potere.
Questa è un’altra ragione che ci spingerà ad avvicinare le più importanti sedi
diplomatiche in una fase iniziale, in modo da permettere loro di osservare il processo
di consolidamento nel paese dal quale Wikipolis inizierà le sue attività.
Il principio della sovranità, dunque, pur con i difetti citati, è sacrosanto e, pertanto,
inviolabile. Wikipolis non ammetterà l’adesione di nessuna ONG che operi nel
campo dei diritti umani, né di persone che siano, o siano state, legate ad organismi di
aiuto internazionale, governativi o meno. Queste organizzazioni sono spesso viste
come cavalli di Troia dei paesi dominanti e al servizio di un’agenda che eccede i
moventi umanitari e che strumentalizza i diritti umani per destabilizzare quei paesi ed
obbligare i loro governi a stornare risorse da scuola, sanità ed educazione,
perpetuando il sottosviluppo. Non è compito di Wikipolis giudicare la verità
contenuta in questa analisi. Ma siccome Wikipolis intende essere internazionale, i
suoi membri devono rispettare la sensibilità politica dei loro governi o smetteranno
presto di essere membri di Wikipolis.
Questo non piacerà agli idealisti ma invitiamo gli idealisti ad interrogarsi rispetto alle
fonti sulle quali hanno formato la loro analisi. A volte infatti è preferibile un realista
ben informato a un idealista indottrinato78.
Fino alla caduta di Lehman Brothers, quando le effettive possibilità di decoupling
erano ancora dibattute come un’ipotesi accademica, mancava il necessario grado di
fiducia nelle reali possibilità del multilateralismo.

78
Non temete quindi, Wikipolis sarà piuttosto ben informata e dividerà le sue informazioni con i suoi membri. A questo
proposito per esempio, un discorso che si sente fare spesso tra i protezionisti di destra o di sinistra, è che il cosiddetto
dumping dei diritti umani in certi paesi a rendere possibile l’arbitraggio salariale internazionale. Questa è una tesi falsa e
strumentale. Da una parte ogni paese, prima di preoccuparsi delle condizioni di vita in un’altro paese, dovrebbe
preoccuparsi di rispondere alla seguente domanda:” cosa ho fatto io per mettere i cittadini del mio paese in condizioni di
essere competitivi, di intraprendere, di essere indipendenti. Li stimolati ad eccellere o ad accontentarsi, ho premiato i
migliori o gli ammanicati, mi sono battuto per il merito o ho spaccato il capello per legittimare puttane e ruffiani? Cosa
ho fatto per attrarre gli universitari stranieri che guideranno le imprese nazionali nella penetrazione in quei mercati?
Nessuno tuttavia, si chiede se ha fatto ciò che avrebbe dovuto. È più facile accusare gli altri di fare ciò che possono.
L’efficacia del forte è un’oltraggiosa verità che offende il debole. Questa non è che l’ennesima manifestazione della
pigrizia intellettuale e dell’inettitudine su vasta scala che sono alla base del declino dell’occidente.
Stiamo assumendo che noi non possiamo migliorare ulteriormente e che quindi, le conquiste di coloro che oggi hanno
meno di noi, ci stanno in realtà togliendo qualcosa. Stiamo, da anni, assumendo la nostra stasi come un dato. Questo
stato di cose, endemico da tempo immemore, è divenuto però particolarmente frustrante da quando è stato costretto a
specchiare la propria cialtronesca insipienza nella gloriosa ascesa cinese. La superiorità cinese degli ultimi anni, lungi
dall’essere intrinseca non si basa però soltanto sulla competitività salariale. Il primo, e più importante fattore è la qualità
della leadership, la qualità e celerità delle decisioni.
Oggi è probabile che molti paesi sarebbero interessati a Wikipolis, anche solo come
elemento per rafforzare l’attuale boom nelle relazioni South-South.
Le Corporations potranno fare lobby sulle autorità europee o americane e creare
ostacoli a Wikipolis, ma non riusciranno a esercitare abbastanza pressione sui governi
di Russia (+ near abroad), China, Brasile o India. E in ultima istanza non
otterrebbero che un’altra Copenhagen79. Europa e Usa possono decidere di auto-
escludersi, se davvero lo ritengono saggio, ma priverebbero i loro cittadini di un
formidabile strumento. Ogni Stato che lo faccia sa di esporsi ad una possibile
emorragia di talenti, cosa che, nel caso di paesi già esposti ad un considerevole brain
drain, darebbe un colpo durissimo alle residue speranze di crescita economica.
Non si vede molto costrutto nell’alienarsi l’appoggio di un numero così alto di
cittadini creativi e produttivi.
Ricapitolando, se non possiamo fare in modo che lo stato ci difenda dalle
Corporations, se non possiamo fare in modo che lo stato crei le sue (nuove)
Corporations (non è possibile né desiderabile) allora dobbiamo essere noi a creare
una forma nuova, in scala umana, una federazione di imprese orgogliosamente
indipendenti. Questo, immagino si sarà capito, non si può fare senza gli schei, un bel
po’ di schei!! Ecco dove li prenderemo!

79
Quando, è bene ricordarlo, Obama dovette intrufolarsi, non invitato, in una riunione tra China, Brasile, India, Sud
Africa, mentre l’UE, convinta di poter esercitare le leadership dell’esempio, era già scomparsa dai radar.
http://abcnews.go.com/Business/wireStory?id=9381930&page=3
Risorse
Off the shelves technologies:
Embedded giving, GLSC, TwitPay, ecc.

In un paese come l’Italia, di 60 milioni di persone, Wikipolis potrà avere al massimo


300.000 membri. Per renderci conto di cosa potrebbe significare in termini di
raccolta, supponiamo una somma di 500 euro a persona. Sarebbero 150 milioni.
Per come è strutturata Wikipolis difficilmente potrebbe raccogliere più di 500 euro a
testa ma, anche se potesse aumentare di moltissimo (30%), la raccolta complessiva
rappresenterebbe comunque lo 0.01% del PIL nazionale.
Non c’è molto con cui turbare lo status quo, no?
Eppure si può fare moltissimo.
Questo frammento della Caritas in Veritate sembra scritto apposta per legittimare
Wikipolis e promuoverne la diffusione.
“L’interconnessione mondiale ha fatto emergere un nuovo potere politico,
quello dei consumatori e delle loro associazioni. Si tratta di un fenomeno da
approfondire, che contiene elementi positivi da incentivare e anche eccessi da
evitare. È bene che le persone si rendano conto che acquistare è sempre un atto
morale, oltre che economico. C'è dunque una precisa responsabilità sociale del
consumatore, che si accompagna alla responsabilità sociale dell'impresa. I
consumatori vanno continuamente educati al ruolo che quotidianamente
esercitano e che essi possono svolgere nel rispetto dei principi morali, senza
sminuire la razionalità economica intrinseca all'atto dell'acquistare”.
Alla luce di questo passerei ad esaminare…

La lezione di un precedente di grande successo


Ci tengo molto a che sia chiaro fino a che punto siamo già padroni degli strumenti
che possono cambiare la nostra condizione. Lo schema di fundraising di Wikipolis é
ispirato ad un esperienza di grandissimo successo. Iniziata nella regione americani
dei grandi laghi, regione che fu sempre il suo cuore industriale, Great Lakes Scrip
Center (GLSC), serve organizzazioni non-profit e grandi retailers e venne fondata da
due famiglie all’indomani dell’entrata in vigore del NAFTA e dei primi vagiti del
web80. GLSC funziona con lo stesso principio dei gruppi d’acquisto solo che, invece
di ottenere sconti collettivi, permette a piccoli gruppi di accumulare le somme
scontate e versarle ad attività di beneficenza. GLSC è una specie di mediatore con
tanti salvadanai. Tu gli dai 100 euro, lui paga per te e per tutti gli altri. E siccome
mette da parte una percentuale che varia tra il 2 e il 10% (a seconda dello sconto
applicatogli). Alla fine dell’anno tu e i tuoi amici decidete a che associazione donare
il salvadanaio.
Oggi GLSC offre a oltre 600 brand americani81 (tra i quali Amazon, Barnes&Noble,
American Express & VISA, American Airlines, Blockbuster,The Gap, Nike, Home
80
I due principali strumenti di delocalizzazione a tutt’oggi conosciuti
81
http://bit.ly/cFQvII
Depot, Dell, Starbucks, Nike, Exxon, Shell, Chevron e BP, Hyatt & Marriott, iTunes
e Disney), l’accesso a più di 3 milioni di famiglie molto motivate.

Dal 1994, GLSC ha creato un mercato di $4 miliardi di dollari raccogliendo più di


$220 milioni per i suoi clienti non-profit. GLSC ha un apparente vantaggio nei
confronti di Wikipolis: il “piacere della titolarità nella scelta”.
Un vantaggio che è tanto più sensibile quanto più una persona è incline a privilegiare
i benefici individuali. E, al limite, anche agli aspetti più “consumistici” della
beneficenza. Fino ad oggi abbiamo vissuto stretti tra democrazie che ci davano due
opzioni politiche ed un mercato che ci dava un’infinità di scelte di consumo (poco
importa che vi fosse tra loro una vera differenza qualitativa!). Siamo stati quindi
inclini a dare una grande importanza al senso di libertà che ci veniva dall’essere
l’artefice delle nostre scelte. Deprimente e scoraggiante quanto vogliate però è
risaputo che le scelte dove abbiamo la massima titolarità, hanno anche il minimo
impatto.
Siccome non possiamo permetterci di sprecare nemmeno un centesimo in costi di
transazione, l’ideale sarebbe avere un sistema di pagamenti interno a Wikipolis.
Fino a qualche anno fa questa sarebbe sembrata una follia.
Questo è il momento ideale per non dipendere da grandi Corporations: ecco perché
Wikipolis è felice di presentarvi l’esempio principe di off-the-shelves technologies di
cui può godere: quello della tecnologia del pagamenti.
Dalla scorsa estate, PayPal permette a gruppi di developers di accedere ai suoi code,
dando loro la possibilità di lavorare con I suoi super-sofisticati framework. Uno di
quei developers, Michael Ivey lo usò immediatamente per linkare gli account di
Twitter degli utenti con quelli di PayPal. Era nata Twitpay, che oggi ha circa 15,000
utenti.

Non sono certo tanti, ma il messaggio è chiaro. Spostare denaro, un tempo possibile
solo ad alcune delle imprese più grandi del mondo, è ora alla portata di qualunque
programmatore. Ivey è solo uno tra centinaia di ingegneri e imprenditori che stanno
attaccando “l’ecosistema dei pagamenti” cercando di abbattere i bastioni che banche
e carte di credito hanno costruito in anni.
Square, una nuova impresa fondata da Jack Dorsey, co-creatore di Twitter, abilita
chiunque a ricevere pagamenti (con carta di credito fisica) via smartphone o
computer semplicemente pluggando un device delle dimensioni di una zolletta –
senza costosi lettori.
Obopay, una startup che è stata finanziata da Nokia, permette trasferimenti
Mobile2Mobile con solo un PIN.

Amazon.com e Google stanno entrambe offrendo le loro tecnologie per il pagamento


on-line. Facebook sembra intento a costruire il suo sistema di pagamento per beni
virtuali acquistati nel suo social network e in siti esterni.
E lo scorso marzo Apple ha dato ai developers di iTunes la possibilità di addebitare
la tariffa di sottoscrizione attraverso le loro applicazioni, facendo di iTunes la snodo
centrale per una nuova generazione di transazioni. Quando Research in Motion ha
annunciato una simile iniziativa, lo scorso autunno, i developers, dopo aver esaurito
lo spazio in sala, hanno formato una lunga coda nel corridoio. Javelin Strategy and
Research stima che circa il 20 per cento di tutte le transazioni online avvengano
attraverso sistemi di pagamento cosiddetti alternativi e si aspetta che il loro numero
raggiunga il 30 per cento in solo tre anni.
Probabilmente nessuno è più ambizioso di PayPal. In novembre, ha ulteriormente
diffuso i suoi code, dando a chiunque abbia anche rudimentali abilità di
programmatore l’accesso al tipo di tecnologia e conoscenze che hanno permesso ad
Ivey di creare Twitpay. Questo potrebbe generare un’ondata di innovazione senza
precedenti. Nei due mesi da quando PayPal ha aperto la sua piattaforma, 15.000
developers la hanno usata per creare nuovi servizi di pagamento.

Cinquant’anni sono stati necessari, a banche ed altri intermediari, per allestire un


sistema chiuso che ogni anno gestisce e smista transazioni per circa 2.000 miliardi di
dollari via carta di credito e 1.3 miliardi, via carta di debito. Eppure il servizio fornito
non è migliorato di molto, certo non quanto avrebbe potuto.
“Sembra davvero strano che le carte di credito possano continuare ad imporre quella
che a tutti gli effetti è una tassa sull’economia, su ogni transazione” dice Aaron
Patzer, fondatore di Mint.com, forse poteva aver un qualche senso all’inizio degli
anni 1960s, quando l’infrastruttura informatica era cara e “proprietaria”. Ma certo
non oggi, quando con ubiqui bits, il costo reale delle transazioni è di pochi centesimi.
C’è, in altre parole, un grandissima inefficienza da sfruttare. Un esercito di ingegneri
sta competendo per fare al mondo dei pagamenti, ciò che ha già fatto a quello della
musica, del cinema e dell’editoria – spodestare una rendita di posizione costruita
sull’accesso e la distruzione, abbattere i costi, eliminare i tradizionali intermediari e
scatenare un’ondata di innovazione.
Quali imprese
Dall’inizio della globalizzazione neoliberale le frontiere sono state abbattute. Ma non
c’è di che trionfare. E come dire che sono state abbattute le pareti di casa tua.
Nessuno avrebbe piacere di visitare un terremotato afflitto dalla perdita del suo
vecchio stile di vita. Chi non preferirebbe vederlo ancora nella sua vecchia casa,
magari lamentandosi di un rubinetto che perdesse?
I vecchi concetti di protezionismo e mercantilismo, tuttavia, non valgono per
Wikipolis che, grazie al web, nasce by-passando le vecchie frontiere fisiche.
Cosciente che è oggi impossibile produrre prosperità senza la coscienza piena del
livello di mutua interdipendenza tra i cittadini di diversi quartieri dell’ecumene
globale.
Una cosa, tuttavia, è chiarissima.
In ogni settore ci sono oggi precisi limiti alle prospettive di crescita, limiti fisiologici.
Che tu produca acciaio, computers, superconduttori, sistemi di puntamento per missili
o UAVs ci potranno essere anche grandi differenze nei margini di profitto e certo
nello status. Tuttavia, una cosa che mi sento di poter dire fin d’ora è questa.
Nessuno potrà acquisire ogni anno decine e decine di nuove imprese, accompagnate
da una comunità di persone creative a cui queste potranno rivolgersi sempre, in ogni
momento e per ogni evenienza.
Wikipolis, è ormai chiaro, non è un impresa e non è nemmeno un settore, è un
mercato, un mercato chi si espande attraverso la forza di attrazione gravitazionale che
emana dal suo soft power.
Questa è l’enorme differenza, qualitativa prima ancora che quantitativa.
Non essendo un’entità statale, non può firmare trattati, eppure, essendo un mercato,
può godere delle migliori condizioni offerte dai trattati in vigore senza l’obbligo di
alcuna reciprocità
Il mercantilismo ha tantissimi & indifendibili difetti, il più grave dei quali è che
funziona.
È altrettanto chiaro che una simili crescita finirà per auto-alimentarsi. Che tutte
queste imprese avranno bisogno di servizi sempre più calibrati, sempre migliori
informazioni, sempre più sofisticate analisi. Grazie a questa enorme scala, si
apriranno spazi per chi vorrà offrire servizi per i quali esista già una massa critica di
clienti che li rende sostenibili fin dal primo giorno.
Se hai la scala sufficiente ogni problema è un nuovo mercato

Anche con la crisi, il (vero) capitale umano non soffre deflazione, anzi.
Si trova, tuttavia, a languire seppure non per assenza di domanda (assurdo) né per
assenza di capitale ma per la latitanza/assenza di intermediari e per l’inefficacia
delle reti di accesso a mercati esistenti. Attenzione, non sarò certo io a negare il
deleveraging in atto (simultaneamente all’adeguamento dei capital ratios), dico solo
che l’assenza/indisponibilità dell’ultima tecnologia in fatto di lubrificanti (il credito)
non dovrebbe precipitarci nella disperazione ma semmai spingerci a guardare alle
best practices attorno a noi, concentrarci meno sulla massa monetaria (che non
dipende da noi modificare) e più sulla velocità di circolazione della moneta,
soprattutto attraverso un serrato coordinamento a livello locale.
Nemmeno il più capillare ed efficace coordinamento potrebbe supplire il capitale e la
velocità mancanti ma sarebbe un’iniezione di fiducia che potrebbe essere, entro certi
limiti, self-fulfilling.

Es. una porzione importantissima della produzione cinematografica è finanziata da


sempre attraverso defferals, ovvero, pagamenti differiti. Si tratta, a tutti gli effetti, di
credito da parte di una componente della filiera produttiva.

Wikipolis è (tra le altre cose) un intermediario che provvede mercati. Un


imprenditore ha tutto da guadagnare da una partnership con Wikipolis, per una
lunghissima serie di ragioni.
Una delle più importanti, specialmente per un imprenditore seriale in settori ad alto
contenuto di innovazione sta nel fatto di poter contare sempre con una exit-strategy.
Minimizzerebbe i rischi sia in entrata sia in uscita, rendendo molto più liquido e
quindi appetibile un investimento early stage82.

82
Chiunque conosca la storia della PMI in paesi come l’Italia sa che, culturalmente, l’impresa è legata all’idea di
famiglia. In fondo cos’è il divorzio se non l’ammissione di un fallimento? Come Pietro Germi ha filmato Divorzio
all’Italiana, potete agevolmente immaginare l’equivalente riferito al fallimento/vendita di un’impresa.
Il fallimento è tuttavia peggio che un divorzio, che può sempre essere consensuale.
Il fallimento è più simile all’abbandono del tetto coniugale da parte della moglie in flagranza d’infedeltà. E la vendita è
un’ammissione di insolvenza, quindi un’ulteriore fallimento. La ricerca di qualcosa di nuovo sembra troppo legata ad
un’ammissione di insoddisfazione nei confronti dello status quo. Non sembra essere contemplato il brivido di
gratificazione dell’ignoto. L’adrenalina della nuova sfida. Si può migliorare ed innovare ma dentro lo stesso framework
istituzionale. L’impresa è ciò che si fa per denaro. Si finisce per provare piacere per un lavoro ben fatto, ma la cosa
finisce lì.
L’attenzione di ciascuna di queste imprese non sarà posta tanto nel più, quanto nel
meglio. L’essere posizionati all’avanguardia permette, da una parte, una maggiore
valorizzazione del capitale umano (con frequente attività di formazione incrociata e
“interoperabilità” con altre imprese parte della conglomerata), e dall’altra, una
maggiore resistenza agli shocks. La minore crescita è ampiamente compensata dalla
segmentazione possibile attraverso la creazione di spin-offs che servano mercati nei
quali siano necessari maggiori volumi e minore innovazione.
In quei casi, il coordinamento tra le imprese di Wikipolis darà anche loro la capacità
di lavorare insieme, per ottimizzare la capacità installata e quindi l’allocazione e il
ritorno sul capitale.
Un’altra, ancora più straordinaria, sinergia tra le imprese di Wikipolis, è quella che
rende possibile livelli di innovazione incomparabilmente più alti. Sto parlando di
joint-ventures tra imprese di settori diversi che si presentano unite in appalti che
richiedono appunto l’interoperabilità prima accennata. Ma parlo soprattutto di quello
che chiamo il “credito interno”.
Nella sua forma più semplice si tratta di un’impresa che ha bisogno di un nuovo bene
di capitale per la manifatture di un nuovo prodotto. Per non ricorre al credito potrà
finanziarla attraverso una semplice partita di giro. O perfino, qualora volessimo
essere sofisticati, calcolare il peso (in equity) del bene di capitale acquisito sul valore
totale del nuovo investimento e pagare un dividendo proporzionale alle entrate
ricevute in conseguenza di quel nuovo investimento.
Nella sua forma più complessa può arrivare a configurarsi come vero e proprio
liquidity enhencer in virtù del quale tutta la conglomerata sa che l’impresa XYZ ha
un debito pagabile a qualunque impresa (della conglomerata che) necessiti dei suoi
servizi.
In questo modo aumenteremmo le sinergie, la velocità di circolazione della “Moneta-
Lavoro” e diluiremmo i rischi legati ad un mancato pagamento.
Ciascuno di questi processi necessita di un certo consolidamento interno.
Come sarebbe possibile ottenerlo senza ridurre il numero enorme di imprese?
L’aspetto più importante riguardo ai processi amministrativi interni. La grande
incognita è infatti: come essere sicuri che i conti che ci presenteranno saranno
credibili. Come sapremo che non ci mentono?
È chiaro che il rischio esiste ed é concreto.
Tenete però presente che ogni partecipata di Wikipolis deve essere assistita da
imprese di accounting83 che siano a loro volta associate e che risponderanno ad
incentivi espressamente disegnati per fare emergere i reali volumi di attività.
Il benchmark in questo senso è Crown Agents. Cos’è Crown Agents?
Se non volete andare all’appendice e leggervi 1000 parole (tempo lettura: 4’30’’) vi
posso dire che è una specie di auditor esterno, la cosa interessante è che è un auditor
che lavora con soggetti sovrani in tutti i luoghi in cui uno si aspetterebbe deficits di
governance: dall’Africa ai Balcani. La sua stessa governance è però a sua volta molto
83
Quante più numerose le imprese partecipate da Wikipolis quanto più senso avrebbe creare una struttura autonoma che
fornisse sul mercato gli stessi servizi che necessitano le partecipate. Naturalmente il controllo sarebbe in capo a
Wikipolis.
interessante visto che fa capo ad una Fondazione nel cui board siedono una quantità
di istituzioni post-coloniali e visto che riceve contributi dalle agenzie per la
cooperazione allo sviluppo di quasi tutti i paesi. Si tratta in fondo della versione ONG
di un gabelliere.
Se perfino di certi paesi è possibile scoprire il gettito fiscale o doganale, non vedo
perché non si dovrebbe poter conoscere con certezza fatturato e profitti delle imprese
partecipate da Wikipolis, senza svenarsi (per i costi) nell’intento.

Wikipolis è quindi una conglomerata costituita da piccole e medie imprese, nelle


quali i lavoratori partecipano al capitale.
Le conseguenze di questa struttura di capitale e di management sono profonde,
molteplici e assolutamente in controtendenza rispetta alla prassi nella grandi
corporations dove la componente lavoro é sempre penalizzata.
Uno degli aspetti più importanti per la politica è che nessuna di queste imprese
chiuderà mai per spostare la produzione dove tasse&manodopera costino di meno84.
Come regola generale Wikipolis investe in imprese che hanno un alto contenuto di
innovazione ed esportano una grossa quota del loro fatturato. Questo non significa
che sia disinteressata ad attività meno redditizie in termini di profitti e di R.O.I. Al
contrario. Solo significa che quelle sono attività che riguardano principalmente gli
individui, i singoli membri. Attività nelle quali Wikipolis mette a disposizione il suo
brainpower più che il suo capitale. I soggetti predisposti al finanziamento di quelle
attività sono le Fondazioni, le amministrazioni locali. Wikipolis crede che i migliori
risultati si ottengano da una chiara separazione delle specificità e dei ruoli.
La tipica impresa in cui Wikipolis investe è in una fase iniziale della sua vita e, in
virtù di un prodotto con caratteristiche di unicità, presenta grande potenziale di
crescita. Non si tratta quindi solo (e nemmeno principalmente) di software.
Gli investimenti saranno in Energie Rinnovabili, Biotech, Nanotech, Farmaceutico,
ICT. Tutti i settori strategici85.
Nella situazione tipica Wikipolis assume una quota di minoranza rispetto alla
Proprietà, quanto più minoritaria possibile. La crescita viene spesso finanziata
reinvestendo utili e compensando i lavoratori con partecipazioni al capitale, non a
titolo individuale, ma come gruppo (al netto della “anzianità” di servizio di ciascun
lavoratore)86 . Tutto questo senza che, nel processo, percepiscano una sensibile

84
Le imprese di Wikipolis sono caratterizzate da una crescita organica, basata sull’equity piuttosto che sul debito. Agli
eventuali e ciclici cali nei profitti si reagisce, tutti insieme, con le idee e l’innovazione, un’innovazione diffusa. Il mutuo
feed-back tra chi pensa soluzioni in astratto e chi, costruendole, apprezza arcani aspetti che in 3D graphic sono meno
evidenti e che nemmeno una copia col 3D printer, potrebbe, di per sé sola, svelare. L’aspetto della collaborazione
collettiva, che affronterò più diffusamente nei prossimi paragrafi, merita tuttavia di essere analizzato anche da punto di
vista delle imprese che se ne beneficiano.
85
Questo significa forse che potrebbero sorgere inconvenienti nell’esportazione di dual-use technologies verso certi
paesi (Cina, Iran, Russia ecc.)? No, per il semplice fatto che, come detto in diverse circostanze, non ci saranno mai
simili transazioni. I membri di Wikipolis sono fedeli prima di tutto alla bandiera del loro paese. Wikipolis non vuole
traditori, non fosse perché potrebbero tradire anche noi.
86
Tutte e tre le parti hanno un incentivo per anteporre l’innovazione al profitto.
diminuzione nel salario perché questa è compensata da una sorta di welfare interno)
Supponiamo:
Proprietà + lavoratori = maggioranza e direzione strategica (45% + 25%)
Wikipolis = minoranza e controllo (30%)
Con un però.
Sulle singole decisioni, qualora non esista un accordo tra proprietà e lavoratori, può
succedere che Wikipolis si schieri con uno o con l’altro. Questa è però l’opzione
nucleare. Quella di interferire con la proprietà non è né sarà mai la prassi. Di certo, se
questo fosse stato l’assetto proprietario moltissime dell’imprese profittevoli che
hanno lasciato l’Italia non avrebbero potuto farlo tanto facilmente.
La Proprietà sa bene che è troppo importante essere parte di Wikipolis e che può
sempre creare altre imprese, esterne a Wikipolis, per monetizzare alcune delle
innovazioni sviluppate grazie all’appartenenza ad un ecosistema internazionale di
imprese sinergiche con relazioni privilegiate e, naturalmente, nello straordinario
contributo di innovazione fornito da tutto il network. Infatti, per quanto perniciosi
siano gli effetti di una open-innovation che si riduca a crowdsourcing, la
collaborazione tra persone che condividono, e profondamente, gli stessi valori e lo
stessa visione del mondo, rappresenta uno straordinario elemento di stimolo, la
differenza tra agire per dovere ed agire per piacere. Tra agire per necessità ed agire
per virtù87.

87
Ecco, le imprese che dipendono dalla holding di Wikipolis hanno infine un altro grande vantaggio. La diffusione di
capacità critica. Siccome devono vivere nel presente, nel presente della tecnologia, dei mercati e della politica, la
qualità delle loro decisioni deve essere eccellente. Imprese nelle quali gli operai fossero formati e responsabilizzati per
avere una voce nelle decisioni, offrirebbero un piccolo ma concreto segnale di cambio rispetto ad anni di regressione
nel privato e nel consumo, senza lo spazio per essere cittadini responsabili.
Dobbiamo pensare alle imprese in modo diverso da quello al quale siamo abituati. Non solo come luoghi e produzione
di beni e servizi. Ma come luoghi di organizzazione di idee per la trasformazione di materia, nei quali inizia la
democrazia, luoghi nei quali ci si libera dall’influenza che oggi si riceve dai media. Nei quali si diviene critici e critici,
prima di tutto, di Wikipolis.
Crowdsourcing ovvero Caporalato 2.0

Crowdsourcing indica la pratica, iniziata quasi dieci anni fa da Innocentive e sempre


più diffusa, di consultare comunità virtuali per la ricerca di soluzioni, idee e
contenuti. Oggi le imprese, o i singoli individui, hanno potenzialmente a disposizione
tutte le competenze disseminate nella rete. Centinaia di migliaia di scienziati sono
registrati presso imprese di crowdsourcing, la sola Innocentive.com ha 160 mila
iscritti. Migliaia di imprese pagano una quota annuale di circa US100,000 per
accedere ai talents di quelle vere comunità che forniscono soluzioni on-demand per
titani del calibro di Boeing, Dow, DuPont, P&G e Novartis che offrono ricompense
(dai 10 ai 100 mila dollari) a chiunque fornisca la migliore risposta: professori,
ricercatori, esperti o semplici utenti, inventori improvvisati. P&G per esempio sa che
per ognuno degli straordinari 9.000 scienziati nei suoi laboratori ce ne sono altri 1.8
milioni a cui può accedere. Un rapporto di 1:200.

Se passi una giornata a raccogliere pomodori sai in anticipo che ti pagheranno un tot
a cassetta, magari è una misera ma è una miseria che ti porti a casa.
Se passi una giornata strutturando un’idea da presentare ad un contest di
crowdsourcing sai in anticipo che, se il tuo progetto è il secondo migliore tra altri
500, non ti pagheranno nulla.

Gli spazi pubblicitari più cari della televisione americana sono chiaramente quelli che
punteggiano la diretta del Superbowl di footbal. Immagino che vi dica qualcosa che
la pubblicità dei Doritos, da anni, è regolarmente crowdsourced.
Bootb è uno degli outlet principali di quel mercato.
Recentemente è stato presentato il primo prodotto audiovisivo crowdsourced
attraverso un processo di collaborazione di massa guidato da Mass Animation.
Naturalmente neanche il giornalismo sarà risparmiato da questo processo anche se, a
differenza di altri settori, la sua disfatta non avverrà in assenza di colpe dell’industria.
In fondo si esportano solo i posti di lavoro che è possibile esportare. Una persona che
ha fatto l’editor da redazione senza creare altro valore è normale che sia a rischio, ben
più di operaio specializzato. Questo ciò che John Lanchaster, sulla London Review
of Books, scrive del giornalismo britannico88:

Le opportunità di collaborazione on-line non hanno neanche lontanamente


compensato la prosperità che l’offshoring e la digitalizzazione hanno distrutto.

“Jaron Lanier lancia un allarme sul futuro di internet e dell'umanità. Se viene


considerato alla stregua di un gigante vivo, se a questo novello Moloch si
sacrifica l'individuo, il risultato è tutt'altro che auspicabile. «L'idea era
collegare la gente - dice -, la realtà è diventata l'isolamento». La rivoluzione
digitale è stata tradita; sull'autostrada elettronica viaggia un mondo anonimo,
preda di appiattimento e impoverimento culturale.
”Il mio non è un attacco generalizzato. Siamo davanti a una "torta" con più
strati: i primi due, internet e il web che permettono connessione e interazione,
sono cruciali per un mondo globale, per l'umanità e la sua sopravvivenza.
Il problema è l'ultimo strato, il web 2.0, che promuove una libertà per le
macchine più che per le persone. È la convinzione che internet sia un sistema
con vita propria, frutto d'una visione assolutista dei computer e del web, quasi
fossero superiori all'essere umano e capaci di controllare il pianeta. La
glorificazione di una open culture (collaborazioni collettive e anonime) che può
mortificare l'innovazione, che premia la quantità sulla qualità, nella quale il
modello prevalente che vuole tutto aperto e gratuito minaccia di far sparire
intellettuali e artisti, impossibilitati "a guadagnarsi da vivere". Dove l'unica
cultura protetta resta la pubblicità. Dove avanza il totalitarismo della hive mind,

88
http://bit.ly/ayv5EO
la mente-alveare, spronato da protagonisti quali Google, Wikipedia e Facebook
(«Un insulto alla nozione di amicizia»).
L'allarme può sembrare apocalittico, ma il messaggero ha carte in regola.
Lanier offre una risposta: un nuovo contratto sociale per il web, fondato su un
sistema di micropagamenti gestito dal governo, piuttosto che da un'azienda
quale Google. Un sistema di piccoli pagamenti, per pezzi d'informazione o
opere d'ingegno, potrebbe essere accettato da tutti, potrebbe incentivare
l'innovazione e creare un nuovo equilibrio: l'importante è che l'accesso sia a
basso costo e universale»
La sua idea parte da un ragionamento: il contenuto gratuito può sembrare
attraente ma non lo è davvero, perché sottrae risorse alla creatività. Nella
musica in un decennio è diventato difficile differenziare, a meno che non si
conoscano i gruppi. Il problema non è prendere in prestito materiale, ma
l'infinita possibilità di copiare, la perdita della fonte originaria. L'errore su
internet è stata la promozione di un tipo di apertura che ha generato una
"poltiglia" senza senso, nemica dell'introspezione, della chiarezza di pensiero.
E una tendenza alla mediocrità, non all'eccellenza. La sola forma di cultura
protetta e pagata, nell'universo dei signori di internet, quelli che chiamo i Lords
of the clouds, diventa ormai la pubblicità. Google o Facebook, pur se in molti
casi considero i loro dirigenti miei amici, trattano la gente come prodotti, da
vendere agli inserzionisti. E l'accesso gratuito e indiscriminato al contenuto
toglie risorse indispensabili a tanti, da artisti a giornalisti. Rendere tutti poveri
non funziona né online, né nel mondo reale.89

La posizione di Lanier è corretta dove davvero importa e ha diversi difetti che non
inficiano la verità di fondo della sua analisi. Non è questa la sede per recensire il
libro-manifesto. Una cosa è bene distinguere, e Lanier lo sa bene, tra l’open source e
il free download. Mentre un code è uno strumento componibile, prodotto sia da
persone che ricevono uno stipendio che da appassionati, nell’ambito di progetti
collettivi, persone che potrebbero guadagnarsi da vivere scrivendo software
proprietario per Microsoft e, nel tempo libero, usando le sue libera capacità
intellettuali, per ciò che ama. Da tempo tuttavia la divisione tra proprietario e aperto
(nel senso di totalmente free, senza costo ma anche senza ricavi) ha smesso di essere
vera. Ci sono molte Corporations (da IBM in giù) che pagano Linux per ciò che esse
usano del suo lavoro. Ci sono persone che si guadagnano da vivere e che hanno
ragioni economiche per mantenere “aperto” un codice sorgente che hanno, negli anni,
contribuito a creare, nell’ambito di un chiaro contratto sociale tra i partecipanti. Il
download è un’altra cosa. Per esempio è a disposizione sia di persone che lo usano
per crescere come cineasti e musicisti, che di sfaccendati.
Questa è la differenza fondamentale.

89
http://bit.ly/7ZkmBj
Tra pagare 20 euro il dvd di un piccolo documentario indipendente e scaricarlo gratis
ci sono moltissime situazioni intermedie da esplorare.
D’altra parte non ci possono essere dubbi sul fatto che la criminalizzazione non aiuta
a creare un ambiente favorevole a questa riflessione.
Advogato, 3400 progetti collettivi realizzati in 10 anni. Quasi uno al giorno!!
Questa è una vera collaborazione orizzontale, l’alternativa al caporalato digitale.
Benefici per membri
In un mondo in cui le Corporations possono esportare virtualmente ogni posto di
lavoro, per poter cogliere le enormi opportunità della globalizzazione è indispensabile
muoversi con agilità. Non per inseguire quei posti, ma per prendere l’iniziativa.

1) Wikipolis dà ai talenti di tutto il mondo la possibilità di accedere alla classe


dirigente di qualunque paese. Non è facile (né è supposto esserlo), ma, a differenza
che nel mondo esterno, esistono procedure che permettono una rapida emersione
delle idee che fanno la differenza e dell’ascesa della persone che sanno offrire queste
idee. Chiunque abbia un’idea brillante deve poterne godere i benefici.

2) Che tu sia imprenditore, ingegnere, artista, giornalista o economista, con una


minima preparazione, qualunque viaggio di lavoro, può essere una grande occasione
per espandere la tua creatività e il tuo network. Qualunque cosa cerchiate.
Vuoi trasferirti a Mumbai e cerchi un lavoro?
Per l’alloggio cerchi magari una “soluzione-ponte”, una che ti permetta di stare a
contatto con persone del luogo, capire meglio la città e le tue reali possibilità?
Avrai l’imbarazzo della scelta.

3) Non solo, ogni volta che Wikipolis creerà un nuovo business cercherà il personale
privilegiando i membri del Club90 (che diventano a loro volta il database di una
specie di Adecco meets Mckinsey, in-house), ma l’adesione ad un simile club
potrebbe fare la differenza anche nel mercato esterno a Wikipolis, soprattutto se col
tempo emergesse l’esistenza di una sorta di Wikipolis premium in termini di Human
Capital. 91

4) Agli investitori Wikipolis mette a disposizione il meglio della sua rete di analisti.
In partnership con alcuni dei più rispettati investitori fornirà analisi di trend macro e
quantitative per mercati emergenti e di frontiera.
Per i membri del network, accesso privilegiato e a prezzi scontati.

5) Mercato interno per small-business. Un mondo dal quale attingere ispirazione,


meglio e prima di chiunque altro al di fuori del network. Clienti che riconoscono
l’eccellenza e aspettano di essere stupiti. I feed-back più qualificati dagli small-

90
Siccome i posti di lavoro prodotti con il denaro di Wikipolis vengono offerti, a parità di qualificazione, a membri di
Wikipolis; siccome la possibilità di usare il marchio Wikipolis in un’attività commerciale è concesso solo a coloro che
siano membri, è possibile che alcuni membri disonesti siano tentati dall’idea di monetizzare la loro appartenenza
accettando di figurare come titolare di un’attività gestita da un non socio.
La vigilanza di soci locali lo impedirà. Non solo ma farà riconsiderare il rischio a quanti pensassero di iniziare
un’attività in quelle condizioni.
91
Non sembra sorprendente, in fondo stiamo parlando di persone che hanno accesso ad informazioni non filtrate dai
media: informazioni che riguardano tutto il mondo e tutte le sfere della vita umana (economia, politica, arte, scienza
ecc.)
businesses di maggior successo. Con Wikipolis il vostro small-business può
espandersi insieme rapida e organicamente92, perché il suo successo vi precederà. Ad
concept originale spetterà la stessa fortuna che ad un opera d’arte contemporanea.
Diventerà un landmark culturale e sarà serialmente riproducibile. Eppure, di nuovo.
Se ogni concept è destinato a diventare un codice sorgente sul quale innovare per
adattarlo ad altre esigenze, a loro volta espressione di altre culture/mercati, le
maggiori ricompense, in termini di Status andranno a coloro che a questo si
dedicheranno, non a coloro che “commodifichino” idee altrui in tanti franchising.

6) Per quel che riguarda i talenti sarebbe folle pretendere di poter offrire qualcosa a
ciascuno di loro. Questo è chiaro. Wikipolis non ha (né può avere) la capacità di
andare oltre la creazione di un link tra gli esercenti dell’intrattenimento e i produttori
di contenuti. Eccetto casi (rari) di incantata unanimità Wikipolis non si intrometterà
nel processo di legittimazione, lasciandolo ai suoi membri.
La mia impressione, tuttavia, è che, dai livelli più bassi (amministrazioni locali) in su,
ci siano spazi che possono portare ad una crescita e ad opportunità interessanti.
Di certo non mancheranno di crearsi almeno due circuiti separati, tra i talents di
Wikipolis, ma possibilmente perfino tre. Provinciale, Capitali Underground e Capitali
“Main Stage”, soprattutto in Europa, dove ci potrebbe essere una pattuglia di membri
in ogni città. L’esistenza di un mercato e perfino di un circuito, permetterebbe ad
imprenditori del settore di creare prodotti brillanti con la tranquillità di sapere che
potranno essere profittevoli.
Ma, ci tengo a ripeterlo. Chi si muova all’interno del circuito dell’intrattenimento (in
mancanza di una parola più adatta) di Wikipolis dovrebbe davvero tener sempre
presente che il suo palcoscenico è “molto basso” e l’attenzione che gli viene dedicata
non ne farà un idolo pop. Non solo, qualora lo diventi al di fuori del circuito, agli
occhi di Wikipolis sarà sempre quello che era agli inizi, non quello che i media fanno
credere che lui sia. Sarà, in ogni caso, tanto rispettato quanto il suo lavoro è integro
ed artisticamente rispettabile.

Alla luce di quanto scritto sembra chiaro che Wikipolis é uno straordinario strumento
di mobilità sociale, perché permette a chi abbia qualità e determinazione ma manchi
di una rete familiare di conoscenze, di costruirla al suo interno.
È perfino ridicolo che io stia qui a cercare di anticipare come i soci trarranno
beneficio dal Club, che non è single-purpose, ma nemmeno multi-purposes.
È un mondo intero e, come tale, eccede qualsiasi sforzo di classificazione.
92
L’ideale naturalmente è che aderiscano persone che già stanno svolgendo la loro attività o che sono sul punto di
iniziarla (ma hanno già le risorse per farlo).
Wikipolis non ha (né avrà) le risorse per un follow-up diverso da quello contabile. Mentre un impresa che abbia brevetti
ecc. può offrire garanzie perfino il concept più brillante per uno small business è impossibile da finanziare. Questo
significa che dovete rinunciare a innovare? Neanche per sogno. Significa solo che, qualora non abbiate le risorse per
metterla in piedi vi conviene associarvi con qualche membro del network.
L’idea è quella di creare un vocabolario di best practices che possa essere usato per taggare i vari small business che
partecipano al network in modo che ciascuno abbia idee più chiare riguardo al valore che la sua idee aggiunge rispetto
allo stato dell’arte, ma anche metterlo in contatto con le persone potenzialmente più recettive.
Prima di passare ad una sorta di ecphrasis di Wikipolis, credo sia opportuno mostrare
un frammento di “mondo reale”. Temo infatti che, a forza di mostrare le straordinarie
possibilità offerte da Wikipolis, si perda un poco di vista il mondo nel quale
opererebbe. Seth Godin, straordinaria figura di serial entrepreneur, ha scritto
recentemente nel suo blog:
Il numero di investimenti che professionisti del venture capital possono affrontare è
microscopicamente piccolo comparato con il numero di quelli che ne avrebbero la
necessità ed i titoli. Inoltre, se non c’è una ovvia e affidabile exit strategy (come per
esempio un IPO o la vendita ad un grande public company) non c’è ragione di fare un
investimento del genere, visto che l’intero profitto è dato dalla vendita, se non si può
vendere (ed è il caso della maggior parte delle attività) allora non può esistere nessun
investimento. Ma questo non significa che tu debba arrenderti: vorrei che
considerassi l’idea di vendere parte del tuo fatturato.
Funziona così: tu hai un’idea, una nuova impresa o un nuovo mercato. Trovi un
investitore non professionista (un ricco dentista, un dirigente in pensione) e ti fai
prestare il denaro necessario a metterlo in piedi e portarlo sul mercato. E in cambio?
L’investitore riceve X Euro per ogni unità che tu vendi. Dalla prima e per sempre.
Niente contabilità creative, niente riunioni del board. Paghi una royalty sul fatturato
il resto dipende da te. Questo è esattamente il modo in cui funziona l’industria
editoriale. L’editore sborsa denaro e tiene tra l’80 e il 90% delle entrate. A te spetta il
resto. Naturalmente ogni sorta di variazione su questo principio, per accomodarsi alle
esigenze delle parti, sarebbe possibile ed oggetto di negoziazione.
Per esempio clausole per liquidare il socio una volta che sia stata raggiunta una certa
soglia di pagamenti.
Facciamo l’esempio più difficile? Mettiamo che tu abbia bisogno di denaro per un
ristorante. Anche per l’investitore più bendisposto è difficile capire quanto può
guadagnare, per il semplice fatto che è troppo semplice per il proprietario manipolare
i profitti. Ma se l’investitore riceve il 4% di ogni scontrino, quello è denaro che entra
dal primo giorno. Gli investitori sono altrettanto irrazionali che il resto di noi.
Comprano una storia e delle aspettative di rischio. Comprano l’eccitante prospettiva
del guadagno. Le banche vogliono una storia noiosa. Altri investitori possono
apprezzare questa storia alternativa e anche molto. La mia preferenza va agli
imprenditori che iniziano con risorse proprie perché ricevere finanziamenti è così
difficile e dispersivo. Ma se ciò che hai deciso di fare necessita di denaro che non
puoi mettere insieme in altri modi, questa è una possibilità degna di essere esplorata.
Parlane ad un investitore che sia disposto ad ascoltarti. L’importante è che lo scenario
di cash-flow che ipotizzi, sia interessante per entrambi93.

93
http://bit.ly/UjyXN
Questo è il mondo nel quale opererà Wikipolis.
Un mondo di servitù volontaria (indentured servitude).
Ecphrasis
Una delle più comuni (e perfino ovvie) obiezioni riguardanti la visione di Wikipolis e
i settori nei quali si investirebbe (dalla chimica, alle telecomunicazioni) li considera,
per essere del tutto franchi, poco “sexy”.
Quel che è certo è che le imprese che verrebbero finanziate attraverso lo schema
principale di Wikipolis non si caratterizzano per una spiccata “visibilità pubblica”.
Ecco quindi che per galvanizzare i nostri membri sarebbero necessarie attività
collaterali, queste permetterebbero di mostrare il lavoro di Wikipolis e di mantenere
la necessaria coesione. Non solo, sarebbero anche utili a finanziare attività ed
investimenti esterni al “format decisionale” principale (quello, per intenderci,
attraverso il quale vengono finanziate le imprese scelte dal network).
Un modo non nuovissimo di mantenere la coesione è quello di introdurre elementi
che potenzino la capacità di riconoscimento reciproco, come si trattasse di accessori
per i membri di un club.
In sostanza, semplificando brutalmente, l’abbigliamento venduto attraverso il nostro
brand, oltre a darci visibilità pubblica, finanzierebbe i settori che non possono dover
essere profittevoli (sostanzialmente i media)94.
Per fortuna anche in questo campo non è necessario inventare nulla di nuovo. Il
sentiero è stato preparato negli USA dai ragazzi di Threadless.

The Customer is the Company


Jake Nickell sì parò di fronte ad una piccola aula del MIT e si guardò attorno. Era una
mattina d’autunno del 2005, e davanti a lui sedevano una dozzina di dirigenti di
alcune delle imprese più grandi del paese -General Mills, Pitney Bowes, Clorox,
Google - ed un contingente di ricercatori della Facoltà di Management (e altre
business schools)95.
L’incontro era stato organizzato da Eric von Hippel, un pezzo grosso al MIT e la
principale autorità nel campo di una cosa chiamata user innovation. Von Hippel
aveva sentito di Nickell da uno studente dei primi anni e lo aveva invitato perchè
raccontasse la sua storia all’intero gruppo.
Nickell era piuttosto sconcertato da tutta quella attenzione. Il termine user innovation,
per esempio, proprio non l’aveva sentito mai, certo non più spesso del termine Eric
von Hippel. Gli affari nell’impresa di Nickell - Threadless - erano cresciuti in fretta –
le vendite annuali stavano quasi a $5 milioni, e ultimamente stava ricevendo
telefonate. Lo chiamavano grandi retailers ma anche venture capitalists. Eppure
Threadless non sembrava esattamente roba da MIT, a 25 anni Nickell non aveva
nemmeno finito l’università.
Von Hippel, laureato ad Harvard, inprenditore ed ex-consulente McKinsey di 40 anni
più anziano, richiese l’attenzione dei presenti e si diede a tessere le lodi di

94
Lo stesso varrebbe per festival itineranti di musica ed qualunque altra iniziativa pubblica.
95
http://bit.ly/U17N
Threadless; chiamò la compagnia, “un perfetto esempio” di un nuovo modo di
pensare l’innovazione.
La vecchia teoria di Von Hippel, che egli aveva introdotto nei lontani anni 1970,
notava come la maggior parte dell’innovazione di prodotto non era il frutto di costosi
laboratori di sviluppo ma dalle persone che usano i prodotti. …Threadless, egli
spiegava, teneva concorsi di design su un social network. I membri del network
sottopongono le loro idee per nuove T-shirts -centinaia ogni settimana - prima di
votare per le loro preferite. Centinaia di migliaia di persone stavano usando il sito
come un specie di centro comunitario dedicato al design, socializzando con altri
colleghi e amici. Senza dimenticare di comprare camionate di magliette a $15 l’una.
Gli incassi stavano crescendo del 500 per cento l’anno, senza pubblicità, senza
designers professionisti, senza modelle nè fotografi di moda e senza distribuzione
retail. Di conseguenza i costi erano bassi, i margini erano al di sopra del 30%, e,
siccome i membri della community dicevano loro cosa volevano e cosa no, si
vendeva tutto fino all’ultima maglietta. Mai un flop.
(…) Che la si chiami user innovation, crowdsourcing, o open source, implica un
ripensamento radicale della relazione con il cliente, che finisce per giocare un ruolo
in ogni fase del processo. Threadless è stata probabilmente la prima impresa
nell’applicare questo approccio radicale che rifiuta la divisione tra produttori e
consumatori, tipica della produzione di massa.
Agli utenti di Threadless non si chiede di partecipare al social network o di votare per
poter comprare le magliette. Eppure molti di loro hanno offerto la loro opinione su
migliaia di designs. Per un paper del 2006 che pubblicò sulla Sloan Management
Review, Frank Piller, docente di management alla Aachen University, analizzò i
clienti di Threadless e scoprì che solo il 5% comprava senza prima votare sui nuovi
designs. "Quasi nessuno era un semplice consumatore”.
Questo frenetico feedback ha spinto l’impresa attraverso anni di fenomenale crescita,
iniziata verso il 2004 con una base di 70.000 utenti, divenuti dieci volte tanti quattro
anni dopo. Le vendite, che nel 2006 avevano raggiunto i 18 milioni di dollari – di cui
6 di profitti, proseguì a tassi superiori al 200 per cento con margini di profitto
stabilmente intorno al 30%96.
Il successo di Threadless mostra ciò che accade quando si permette ad un’impresa di
divenire ciò che i suoi clienti vogliono che sia, ma anche la disponibilità dei clienti di
assumersi collettivamente il peso di azioni e decisioni che non hanno sempre evidenti
e diretti benefici materiali.

La londinese Iris Ben-David, esperta di tecnologie digitali, condivideva con le sue


amiche una fastidiosa frustrazione. Appassionata di shopping online, niente di quello
che acquistava sul web la soddisfaceva in pieno. C’era sempre un dettaglio mancante:
un colore che sbatte, un bottone cucito nel posto sbagliato, una piega di meno, una
rouche di troppo. Da qui l’idea di creare un’impresa a dir poco rivoluzionaria. Stiamo
parlando di styleshake.com, un servizio online nel quale la cliente diventa la stilista di
sé stessa.
Costruire il proprio abito dei sogni grazie a StyleShake è piuttosto facile. Per prima
cosa occorre scegliere la stoffa giusta, il ricco campionario presenta freschi cotoni e
preziosi taffettà di seta biologica. Il secondo passo è il disegno vero e proprio. Grazie
a un pratico sistema è possibile indicare ogni minimo dettaglio: dalla lunghezza
dell’abito alla foggia di scollatura, maniche e corpetto. La gamma comprende linee
ad impero, a campana, a tulipano, da sirena, ad uovo o a trapezio. Tutte scomponibili
ed assemblabili tra loro. Insomma ce n’è per tutti i gusti e le forme.
Ultimo passaggio le finiture, i particolari che fanno davvero la differenza. Volant,
sbuffi, fiocchi, ricami, applicazioni di strass, passamanerie e perline. Realizzato il
bozzetto, nel giro di dieci giorni riceverete a casa il frutto delle vostre fatiche per un
prezzo che non supera i duecento euro. Un abito davvero unico, diverso, vostro a tutti
gli effetti. A scelta potrete condividerlo con gli altri utenti. Alcuni dei modelli finora
realizzati sono in vendita sul sito.

96
In linea di massima mi piace l’idea che le persone sappiano dove va il loro denaro. Che ogni entrata sia già destinata a
coprire una spesa. Così come in UK il Film Council è finanziato dalla National Lottery.
Per esempio i profitti di imprese come quella di abbigliamento potrebbero servire a finanziare i media di Wikipolis. Una
maglietta da 15 dollari sulla quale se ne guadagnino 5, implica che vendendo una maglietta a ciascuno dei nostri
membri avremmo svariati milioni. Aggiungiamo anche quelle che potremmo vendere a persone esterne a Wikipolis.
Mettiamo che siano dieci milioni. Aggiungiamo donazioni di fondazioni internazionali e potremmo facilmente
raddoppiare il budget.
A quel punto però, la differenza la farebbe il modo in cui li spenderemmo.
E, in questo senso, le grandi fondazioni americane che distribuiscono ogni anno somme enormi hanno messo a punto
schemi di incentivo, finanziariamente brillanti, schemi che possono essere imitati con grande profitto.
In generale il principio è alleviare lo sforzo di chi già sta facendo non di chi deve ancora cominciare. Non solo perché i
risultati arrivano prima o perché si ha già un’idea approssimativa dei risultati che si otterranno ma anche perché
rappresenta una garanzia rispetto alle motivazioni di coloro che andiamo a finanziare. Se hanno motivazioni personali
abbastanza profonde da spingerli ad intraprendere quell’attività anche in assenza di grandi gratificazioni economiche o
di status, questo li rende infinitamente più affidabili.
Wikipolis provvederebbe l’equivalente di un assegno di ricerca e, attraverso il suo network, favorirebbe le occasioni di
lavoro per la persone che decidesse premiare nel settore dei media.
L’ idea le venne nel dicembre del 2006, la prima conversazione con gli investitori ci
fu il mese successivo e il sito venne lanciato nell’ottobre del 2007.
Il finanziamento venne da un investitore chiamato Internet Lab, unione di due
imprese di venture capital, Gemini e Lightspeed, che investono in online businesses
al primissimo stadio.
Yoni Cheifetz, proprietario di Lightspeed, non era preoccupato dal fatto che il piano
iniziale prevedeva che la lavorazione fosse effettuata nella costosa Londra.
"Volevamo entrare rapidamente nel mercato ed è stata quindi l’idea giusta quella di
farlo vicino a casa”, dice. L’impresa sembra prevedere una rapida espansione.
Ci sono già piani per ridurre la quantità di lavoro a Tottenham e spostarla in Turchia.
L’impresa dovrà passare per un’altro giro di finanziamenti in Agosto, è quindi chiaro
che non è ancora profittevole. Gli investitori non sembrano affatto preoccupati.
"Se l’obiettivo di Styleshake fosse stato una nicchia nel pubblico delle boutique, la
profittabilità sarebbe stata facilmente raggiunta”, dice Mr. Cheifetz.
"Se si guarda ad imprese di altri settori che sono passate attraverso la stessa
digitalizzazione e automazione, alcune di loro sono compagnie da miliardi di
fatturato. È quindi logico che durante un processo così importante possano non essere
profittevoli.
Il prezzo per gli abiti di Styleshake è una frazione di quello che si pagherebbe per un
sarto rinomato o un marchio di design, ma questo non è senza ragioni.
"Non ci pagheresti nemmeno la stoffa di uno dei miei vestiti per quella somma”, dice
Hilary Jane, dell’Hilary Jane Designs di Manchester.
"La differenza che noterai sarà di due mesi, un bel pò di denaro e tanta qualità.
Certo, quello di Styleshake non si può paragonare ai processi sartoriali.
Ogni cliente deve prendere le proprie misure e di certo non avrà sedute di prova nelle
quali il vestito venga adattato al suo corpo.
Hilary Jane normalmente ha fino a sei sedute di prova.
Naturalmente il modello non è originale, stai scegliendo tra diverse opzioni per
ciascuna parte del vestito.
Non è nemmeno direttamente comparabile ad un designer di marca, perché, sebbene
Romina Karamanea sia giovane e brillante, non è certo in grado di rivaleggiare con
marchi del calibro di Armani o Versace
Ma il servizio non è supposto offrire la stessa esperienza di un sarto, insiste Mrs.Ben-
David.
"Se vai da un sarto, sostiene Ben-David, spesso è perchè non hai un’idea chiara di
cosa vuoi e siccome il rischio di sentirsi intimiditi è concreto le sessioni possono
risultare sgradevoli.
Con Styleshake invece siedi di fronte ad un computer; puoi cambiare le maniche il
colore, mandarlo via mail ad alcune amiche per avere la loro opinione97.

Pensate al seguente processo come momento costitutivo di Wikipolis.


L’obiettivo è quello di creare luoghi, all’interno delle città, nei quali i membri di
Wikipolis possano riunirsi98. Essendo ambiziosi le chiameremo enclaves. Delle
enclaves all’interno delle città né più né meno di quanto Wikipolis sarebbe
un’enclave incastonata nell’economia globale. E queste enclaves dovrebbero avere un
centro. Non essendo Wikipolis una religione questo centro non può essere una
chiesa/sinagoga/moschea, né d’altra parte, la piazza col municipio. L’idea di piazza,
però, resterebbe come necessità dello scambio e di un mercato faccia a faccia, su
scala umana. Cosa si scambierebbe su quel mercato? Chi vi parteciperebbe? I membri
di Wikipolis sono uniti da ciò che sanno (di non sapere), dalla (fame di ) conoscenza
e ispirazione. Sono attratti da luoghi nei quali queste si scambiano. Naturalmente il
web ci dà già (virtualmente) tutte le “Informazioni” di cui possiamo avere bisogno99.
Ma se le Informazioni oggi sono divenute una commodity, ce ne sono almeno due tipi
che rimangono decisive. Le informazioni “locali”, provviste da insiders e quella
specie di “paradigm surfing” che appartiene alle discussioni live, e che

97
http://bit.ly/d4fMWg
98
Questo riferimento alla città non è affatto casuale ma dipende dal fatto che Wikipolis crede che, soprattutto in paesi
come, USa Canada Australia ma anche in Europa, sebbene misura minore, vedremo un processo di de-urbanizzazione e
la creazione di comunità tendenti all’autosufficienza. I membri di Wikipolis sono principalmente (ma non
esclusivamente) persone che vogliono partecipare dei benefici (non solo economici) della globalizzazione, anche se
alcuni di loro possono non aver ancora trovato la chiave giusta per farlo.
99
Al punto che, se fossimo costretti a spiegare, ad una persona che abbia conosciuto la Tv e non il web, cosa facciamo
tanto tempo davanti ad uno schermo, sarebbe piuttosto difficile poterlo fare con successo. In fondo questa persona
vedrebbe la stessa persona (noi) nella stessa posizione, per la stessa quantità di tempo. Potrebbe immaginare, sempre dai
nostri movimenti, l’esistenza una certa interattività (anche se, senza un preesistente concetto, sarebbe difficile per lui
fissare quella differenza in qualche pensiero cosciente).
Ma certo mai e poi mai immaginerebbe i links che si generano nella nostra mente collegando due informazioni
apparentemente irrelate su due siti diversissimi.
E lungi sarebbe da lui l’idea che quel link potrebbe avere un grandissimo valore per alcune persone che magari non
conosceremo mai.
spesso,stimolati dal pubblico, dalla vanità e dal desiderio di brillare, ci porta più
lontano di dove pensavamo di poter andare.
Si tratta di riconoscere che chiunque persegua l’innovazione (anche la persona più
aperta alla serendipity) ha bisogno di essere, di tanto in tanto, felicemente scardinato
dalle sottili assunzioni logiche che rischiano di trasformare i nostri giungle
inesplorate in sentieri battuti, sentieri in strade e, Dio non voglia, le strade in rotaie.
L’incontro “live”, pur con tutti i tempi morti e le ridondanze, mantiene viva la
capacità di immaginare quei futuri alternativi che sono i nuovi mercati.
Questo è il “valore aggiunto” che neanche il più strenuo misantropo potrà negare alle
relazioni umane.
Naturalmente quanto detto vale solo a condizione che ci si trovi tra persone che si
considerano “pari”, che rispettano il proprio prossimo e hanno caro l’altrui rispetto.
Non è una condizione ovvia e deve essere uno degli assets di Wikipolis. La creatività
infatti non può fiorire se i talenti non sentono che valga la pena aprirsi.
E questo è ciò che avviene quando l’ambiente respinge la diversità, poco importa che
il rifiuto venga da una prospettiva di status quo dominante (classi egemoni: ogni
innovazione è una minaccia al proprio futuro) o da una di status quo dominato
(classi subalterne: ogni innovazione è una minaccia al proprio passato: se l’Ordine
era perfettibile, perché non prima? Se l’ordine era perfettibile il mio passato non ha
senso, ergo: l’ordine non era, né è, perfettibile!)

A Wall Street c’è un detto di cui non dovremmo mai dimenticarci. “Non si può faxare
una stretta di mano!”.

La presenza di un sempre maggior numero di cinema dotati di dispositivi per la


proiezione digitale rende possibile la creazione di (indovinate!) enclaves all’interno
della loro programmazione e permetterà a loro di massimizzare il numero di
spettatori e ad una parte importante delle nostre comunità urbane&giovani, di avere
un fulcro, un luogo dal quale iniziare la creazione di quella stessa enclave. La piazza
del mercato.

Immaginate ora che gli elementi di personalizzazione di Threadless (concorso,


modelli scelti dalla community) si coniughino con quelli tipici di Styleshake.
E che di questo si offra una esperienza live. Un esperienza live? Che tipo di
esperienza live?
Vicino alle “Piazze di Wikipolis” sorgerebbero i punti vendita di Wikipolis.
Per carità, nulla di paragonabile ad una sartoria. Si tratterebbe di assemblare un
numero minimo di elementi pre-tagliati. Eppure essendo un servizio personalizzato
può valere un extra. E quell’extra è importante per varie ragioni, la prima e più ovvia
delle quali è che si tratta di un servizio e non di un bene, la maggior parte del valore
viene aggiunta sul posto e non è esposto all’arbitraggio salariale. Non solo, lungi
dall’essere intrinsecamente protezionista, un’attività così strutturata realizza il vero
vantaggio comparativo, visto che le componenti con cui si realizzerebbe il capo
probabilmente da paesi con costi minori ma sarebbe proprio quel risparmio a rendere
sostenibile il prezzo finale e quindi l’occupazione di quelle persone.
Naturalmente lo stesso capo si può comprare on-line a prezzi più contenuti ma senza
l’intera esperienza delle personalizzazione.
Ma torniamo all’idea del cluster.

Per rispondere a questa domanda sarà necessario fare alcuni passi indietro per poter
allargare lo sguardo quel tanto che basta a vedere la prima sinergia.
Qual è la prima domanda che dobbiamo farci rispetto all’idea di piccoli punti
vendita? Dove localizzarli? Come ridurre il rischio (in sostanza l’incidenza
dell’affitto)?
Ecco quindi che se un certo numero di attività si installassero simultaneamente in una
zona precedentemente poco servita, le loro proposte attrarrebbero regolarmente i
membri di Wikipolis di quella città ed immediatamente si accenderebbero i riflettori
su quell’area. Ognuna di quelle persone avrebbe ottenuto per sé un vantaggio
economico concreto (affitto basso per il livello di attività) e un flusso di cassa
costante.

Questi clusters, finirebbero per attrarre anche persone non legate a Wikipolis e
prenderebbero l’aspetto di veri e propri “villaggi” dentro la città, villaggi che
fornendo la maggior parte dei servizi necessari avrebbero la magnifica caratteristica
di ridurre drasticamente il tempo speso movendosi tra una zona e l’altra della città.
Trattandosi di città, sappiamo che le produzioni immateriali, simboliche e di
contenuti avrebbero un peso preponderante. Che si tratti di software, analisi
finanziaria e politica, reportage, letteratura, cinema, musica, teatro, performance,
installazioni o arti visive.
Ecco quindi un’altra delle sinergie. Il “Self-customized fashion” evolve naturalmente
verso veri e propri “Urban Renewals” (non nemici ma debitori di Jane Jacobs e Lewis
Mumford) che a loro volta permettono la creazione di poli d’attrazione per attività
off-line che avrebbero enormi ripercussioni per Wikipolis e il suo ruolo pubblico.
Wikipolis, essendo composta da un gran numero di talenti ed avendo già clusters in
varie città, potrebbe a quel punto integrare le sue attività in una sorta di

Talent Agency +Live Event Company


Una versione indie di William Morris + Live Nation. Se ci pensate Wikipolis avrebbe
moltissimo da offrire, specialmente(anche se non solo100) a giovani musicisti ai quali
oggi manca la protezione delle case discografiche. L’emersione attraverso il circuito
live può infatti essere un vero incubo. Soprattutto perché il doversi occupare di troppi
dettagli, toglie energia e snatura il performer.

Inoltre, passando attraverso ambienti accomunati da un alto livello di integrità, una


ricerca di alternative allo status quo, darebbe loro una diversa sicurezza in loro stessi.
Inoltre darebbe loro il conforto di sapere che, qualunque cosa succeda, anche se
arrivassero al successo mainstream, potrebbero sempre lasciare tutto e avrebbero un
posto dove tornare. Non un luogo fisico, ma un mondo. Parallelo a quello luccicante
ma finto dello showbiz.101
È chiaro che mentre gli artisti si beneficerebbero enormemente dall’esistenza di
Wikipolis, anche Wikipolis trarrebbe benefici dall’essere associata a persone amate e
apprezzate, persone che potrebbero permetterle di ampliare la sua base, vendere di

100
Wikipolis offre spazi importanti è uno spazio straordinario per tutti gli artisti (e sono tantissimi) per i quali la propria
libertà è più importante della remotissima probabilità che un giorno Charles Saatchi scenda dal cavallo, si faccia strada
tra i rovi, li baci sulla fronte e li risvegli alla vita di successi che tanto meritano dopo sì lungo ed ingiusto oblio nella
terra dei lotofagi.
Gli artisti di Wikipolis sarebbero soprattutto liberi dall’altra forma di conformismo, tanto più pernicioso quanto più
accessibile. Quello dei premi, delle cordate e delle consorterie. Siamo convinti che il carattere senza precedenti di
un’iniziativa come Wikipolis sarà straordinariamente liberatorio per tutti coloro che vi aderiranno, per non parlare del
suo carattere anti-ciclico.
101
Sono tuttavia pronto a scommettere che un artista cresciuto all’interno della factory di Wikipolis, che abbia raggiunto
una stabilità economica all’interno del circuito e che abbia superato i trent’anni avrebbe ogni giorno meno incentivi ad
entrare nel tritacarne della celebrità.
più e quindi avere una maggiore capacità di incidere nell’economia. Tra le altre cose,
la talent agency avrebbe a sua volta numerose e quasi ovvie sinergie con le attività
fashion. Pensate alle potenzialità produttive che la vendita anticipata di 600.000
DVDs potrebbero creare! È un calcolo né azzardato né conservatore. Sto assumendo
il 10% del totale potenziale dei paesi dell’OCSE (ed escludendo il resto del mondo!).
A dieci dollari ci compra il dvd in pre-vendita. Sono almeno sei milioni cash, più il
pubblico fidelizzato che possiamo assicurare nel theatrical.
Anche con un progetto solo “regolare” troveremmo due co-produttori in mezza
giornata. E noi non trattiamo nulla che sia meno che eccellente!!
Pensate infine alle straordinarie sinergie con la Talent Agency.
Attenzione però, dopo tante speculazioni è necessario un minimo disclaimer:
“La lunga concatenazione di eventi qui descritta serve a mostrare l’esistenza di una
strategia a medio periodo, ma non intende esprimere una valutazione circa la
probabilità della sua integrale realizzazione”.

Come già ricordato, questo non è un piano dettagliato, ma una road map.
Posti alcuni obiettivi di lungo periodo, ho analizzato alcune strade attraverso le quali
li si potrebbe raggiungere. Il privilegio di questa situazione nasce dal fatto che esiste
già un mercato, questo toglie di mezzo il rischio e quindi facilità il credito.
È abbastanza chiaro che non tutto andrà nel modo giusto. Che molte previsioni non si
avvereranno ma anche che saremo felicemente sorpresi da possibilità impreviste. È
quindi possibile che nel frattempo questa visione venga superata dagli eventi.
Tuttavia essa oggi è qui. È fresca. È coerente. E non ha bisogno della politica.
La storia della prima metà del XX° secolo ha reso chiaro all’uomo l’esistenza di un
profondo mismatch tra la velocità del progresso di Scienza&Tecnica e quella della
Morale. Questo è l’insegnamento che tanti poeti e filosofi ne trassero. Può essere vero
ma se lo è non ci dice cosa noi possiamo fare.
Nuovi “Valori” creano nuovi Mercati, nuove possibilità tecniche permettono/esigono
nuove modalità di Produzione e Commercio che a loro volta creano nuove forme di
convivenza, più o meno democratiche. E non mi riferisco qui, sia chiaro, alla
democrazia come forma di legittimazione dello Stato, ma come possibilità di accesso
al mercato, come libertà economica102.
Lo Stato che ha il dovere di controllare, certificare,vidimare, vistare, approvare,
timbrare T-U-T-T-O finisce per condannarsi all’impotenza.
Come lo Stato creò le Corporations (Società delle Indie ecc.) per portare avanti i suoi
disegni, lo Stato deve oggi, sulla soglia della terza rivoluzione industriale, creare o
legittimare istituzioni che possano affrontare sfide senza precedenti nella storia
dell’Umanità (vi prego di credere che l’esistenza e la portata di queste sfide non è
frutto della mia umile opinione ma quella di Alan Blinder103, Gordon S. Rentschler
Memorial Professor of Economics all’Università di Princeton, ex White House
Council of Economic Advisers, Vice Chairman of the Board of Governors della
Federal Reserve e da anni membro del Board del Council of Foreign Relation).

102
Ciò che importa a Wikipolis è dare potere al cittadino e l’unico modo che conosce è quello di dargli sovranità su sé
stesso: un buon reddito e la capacità di non dipendere da nessuno. Ogni cittadino come questo difenderà lo Stato che
permette la sua prosperità ma avrà anche la possibilità di rinnegarlo qualora gli richieda azioni contrarie alla sua morale.
103
http://www.foreignaffairs.com/articles/61514/alan-s-blinder/offshoring-the-next-industrial-revolution
L’unico modo per tenere
il passo degli eventi è crearli.

Se non li puoi creare, scegli con cura i tuoi musicisti, scegli il tema e l’intonazione e
lasciali liberi di improvvisare. È il massimo che ti è concesso fare.
Non pretendere di controllare tutto o non controllerai nulla.
Il massimo che si possa fare è creare incentivi, l’equivalente del tema e
dell’intonazione per un jazzista. Ecco perché la Task Force Incentivi sarà a lungo il
cuore di Wikipolis, la parte nella quale dibatteranno alcune delle sue menti più
brillanti. Preservare e aumentare il prestigio della leadership, mostrare da che parte
essa stia, ma lasciare l’ultima parola ai membri del club.

Beta Test (B come Bologna)


Non conosco modo più efficace per ottenere risultati che testare in piccolo ciò che si
ambisce a fare in grande. Avremo presto bisogno di dimostrare ai cittadini e alle
imprese ai quali ci rivolgiamo, che possiamo ottenere grandi risultati in breve tempo.
La pre-condizione per ogni risultato è che ci sia almeno lo 0,5% della popolazione di
un territorio che acquisti regolarmente attraverso il circuito Wikipolis.
Per diverse ragioni, la città ideale per fungere da Beta-test è Bologna.
È la città universitaria, è al centro di un distretto con eccellenze come la Motor
Valley. Un distretto che ha grandissimo know-how ma che sta comunque soffrendo
un grande stress. Lo 0,5% di Bologna sono 4500 persone. Se Wikipolis riuscisse ad
ottenere per ciascuna una somma di 500 euro in sconti, a fine anno avremmo in mano
più di due milioni. Credo che sarebbe possibile raccogliere una somma media più
alta, ma soprattutto che se i bolognesi sapessero a cosa sarebbero destinate quelle
risorse accorrerebbero in massa. Come dite? A cosa sarebbero destinate?
Local Motors è una sartoria di automobili.
Local Motors è stata la prima azienda automobilistica open source ad entrare in
produzione.
Nel prossimo mese di giugno sarà ufficialmente lanciato il Fighter Rally, un
fuoristrada (omologato) da 50.000 US$. Il design è stato crowdsourced, è costituito a
partire da componenti già in commercio e l’assemblaggio finale sarà effettuato dai
clienti stessi, in speciali luoghi di ritrovo per il piacere di essere parte del processo di
costruzione di un auto su misura.
Diversi altri disegni sono in cantiere, e la società dice che può prendere un nuovo
schizzo di veicolo e portarlo sul mercato, in 18 mesi, il tempo necessario ai Big Three
di Detroit per modificare le specifiche su alcuni rivestimenti delle porte. Ogni design
è rilasciato sotto licenza Creative Commons, per facilitarne il riutilizzo ed i clienti
sono incoraggiati a migliorare il design e produrre i loro propri componenti, che
possono vendere ad altri appassionati.
Una parte importante del know-how tecnico è venuto da una piccola impresa
chiamata Factory Five Racing che produce kit-auto. Naturalmente, i produttori di kit-
auto hanno rappresentato per decenni la prova vivente della sostenibilità di micro-
imprese nel settore automobilistico. Queste vetture combinano un telaio d’acciaio
saldato a mano con parti in fibra di vetro, motori di scorta e accessori. Il fatto di poter
vendere separatamente i pezzi libera l’impresa produttrice da soffocanti adempimenti
normativi. Chi le compra lo fa a suo rischio e pericolo e si assume tutte le
responsabilità. Ad oggi, Factory Five ha venduto circa 8.000 kit.
Un problema nel settore delle kit-auto stava nel fatto che i veicoli sono generalmente
imitazioni di auto famose (da corsa o comunque sportive), cosa che obbliga i
produttori a sostenere il peso di onerose licenze, peso che restringe i profitti e limita
la crescita del settore.
Jay Rogers, CEO di Local Motors, ha trovato un modo per aggirare l’ostacolo.
La sua impresa non riproduce né evoca auto del passato ma si propone di re-
immaginare ciò che un’auto possa essere e di farlo aprendo un dialogo con la
comunità di persone che seguono avidamente e con profonda identificazione
l’evoluzione del loro lavoro.
Il corpo del Rally Fighter è stato scelto attraverso un concorso aperto a tutti i membri
della community. Il vincitore del concorso è stato Sangho Kim, 30 anni, grafico e
studente presso l'Art Center College of Design di Pasadena, in California. Quando
Local Motors ha chiesto alla sua comunità a presentare idee per i veicoli di prossima
generazione, gli schizzi e i rendering di Kim hanno affascinato la folla. Non ci
doveva essere un premio, ma la società ha dato comunque a Kim $ 10,000. Tutta la
comunità si è fusa attorno al progetto prescelto facendo a gara per sviluppare parti
secondarie, dalle prese d'aria laterali alla barra di luce. Alcuni erano progettisti, alcuni
ingegneri. Altri semplici appassionati. Ma ciò che avevano in comune era un rifiuto
di progettare solo un'altra auto, che sacrificasse alle esigenze e alle convenzioni di un
mercato di massa. Volevano ben altro, portare alla vita il sogno di un individuo che
ciascuno di loro aveva fatto proprio. Il risultato è una vettura che umilia le Big Three
di Detroit104.
Mentre la comunità si è fatta carico dell’aspetto esteriore, Local Motors, grazie ai
rapporti con aziende come Penske Automotive Group, ha progettato o selezionato
telaio, trasmissione e motore (il nuovo BMW clean diesel).
Questa combinazione – tra la solidità professionale di struttura, sicurezza e
producibilità e la libertà di forma e stile– rende possibile il crowdsourcing anche per
un prodotto la cui utilizzazione ha implicazioni di vita e morte.
E 'un veicolo di nicchia, che non sarà in competizione con le case automobilistiche
più importanti, ma si rivolgerà ad un mercato esclusivo.
Local Motorsha appena 10 dipendenti a tempo pieno (il numero aumenterà a più di
50), non necessita di un magazzino scorte, acquista i componenti e prepara i kits solo
dopo che gli acquirenti hanno versato un acconto e convento una data di consegna.
Rogers stima che meno del 30 per cento degli studenti di car design ottenga lavoro
presso aziende in grado di mettere a frutto la loro preparazione.
Il resto va ad ingrossare le numerose fila dei frustrati car designers. Uno straordinario
pool di talenti che potrebbero rispondere ad un ben organizzato concorso di
progettazione dei veicoli e partecipare alle successive attività della community. Oggi,
il sito web di Local Motors ha circa 5.000 iscritti. Questo rappresenta un’incredibile
rapporto di 500:1 tra collaboratori volontari e lavoratori. È così che tante industrie
potranno reinventare un modo di produrre che abbia meno sprechi, necessiti di meno
credito e produca più profitti.
Qui c’è la storia di due decenni in una frase: se gli ultimi dieci anni sono serviti a
scoprire ed esplorare sul web tanti modelli sociali post-istituzionali, i prossimi dieci
anni serviranno ad applicarli al mondo fisico, alla democratizzazione delle
manifattura, sottratta al monopolio di grandi imprese, governi ed altre istituzioni ed
aperta al comune cittadino con talento e volontà.
Gli strumenti della manifattura, dall’assemblaggio elettronico al 3D printing, sono
ora disponibili per i prosumers di tutto il mondo industrializzato.
Chiunque con un’idea e una certa esperienza può mettere in azione linee di
assemblaggio. Alcuni giorni dopo aver premuto il tasto INVIO un prototipo verrebbe
consegnato loro e, terminati i controlli, premuti alcuni tasti, potrebbe entrare in
produzione.
Queste micro-factories virtuali sarebbero in grado di disegnare e vendere beni senza
infrastruttura o perfino magazzino, prodotti che possono essere assemblati e spediti
individualmente da sub-produttori che assemblano centinaia di clienti
simultaneamente.
Già oggi micro-factories come queste producono di tutto. Il potenziale collettivo di
un milione di ingegnosi smanettoni è sul punto di essere riversato sui mercati globali,
visto che le idée vanno diritte in produzione, senza bisogno di finanziamenti e quasi
senza sforzi. Tre tipi con dei portatili era lo stereotipo per descrivere una web startup.
Ora sembra descrivere anche un’impresa di hardware105.
104
GM, Ford e Chrysler
105
http://bit.ly/4UKqPx
Inoltre pensiamo a questo trend verso la decentralizzazione potrebbe essere
completato, nel giro di 5-10 anni da uno strumento per l’auto-produzione di energia
elettrica. È chiaro che, finita l’epoca industriale di massa, il pendolo sembra stare
oscillando di nuovo verso l’indipendenza e l’autosufficienza. Questo potrebbe avere
grandi conseguenze anche per gli stati e la loro raccolta fiscale, naturalmente, ma non
solo. Staremo a vedere se le forze della centralizzazione, che hanno tutti gli incentivi
per prevenire questo processo, riusciranno a prevalere.
Questo straordinaria invenzione da parte di un ingegnere indiano di nome
K.R.Shridar ha ricevuto 400 milioni da finanziatori entusiasti con le straordinarie
prospettive del progetto.
Alla testa di questi investitori c’è John Doerr di Kleiner Perkins Caufield & Byers.
Dire Doerr è come dire Re Mida, il James Cameron del Venture Capital, che ha
creduto e ha finanziato la crescita di alcune delle imprese di maggior successo. Da
Netscape a Symantec da Sun Microsystems a Friendster, Amazon.com e Google.
Parentesi n.1: dal febbraio del 2009, Doerr è parte del President's Economic Recovery
Advisory Board mettendo a disposizione sua e dell’intera amministrazione 30 anni di
esperienza nell’innovazione (ossimorico). Parentesi n.2: anche Kleiner Perkins
Caufield & Byers è parte del Board del Council on Foreign Relation.
Sinergie
• individuals-to-individuals
• Small business-to-small business
• Firm-to-Firm

Queste sinergie sono virtualmente illimitate. Tuttavia la più importante in assoluto è


quella tra i nostri media e la comunità di venture capitalists e serial entrepreneurs.
L’obiettivo principale è quello stabilire (e consolidare) un Ordine con al suo centro
la figura del imprenditore-artista, di elevarlo fino al culmine dello status sociale,
perché provveda, insieme, il senso del presente e la direzione per il futuro.
Attenzione, oggetto di ammirazione non sarebbero i singoli individui, né la
“categoria”, bensì lo sforzo e l’impegno che hanno portato ciascuno di loro ad avere
quella che sembra essere una marcia in più. Nell’imprenditore-artista non ci si
inchina davanti ad un uomo, ma davanti ad un’idea. Che è l’idea del talento posto a
buon uso. Come il buon servo che, al ritorno del padrone, gli restituisce il denaro
avuto con gli interessi. Come l’albero che dà buoni frutti. L’eccellenza come
manifestazione di un’attenzione e una tensione spirituale verso la trascendenza.
Oggi non siamo ai tempi di Robert Musil e neppure di Jean-Paul Sartre (quando
figure pur diversissime come Walther Rathenau o Adriano Olivetti apparivano
sconcertanti) e non dovrebbe esserci molta controversia attorno al fatto che ogni
imprenditore seriale di successo sia, in modi più o meno evidenti, un “cercatore”, né
che, ad alcuni di loro si possa (e debba) riconoscere lo status che fu dei principi-
filosofi. Se mi si concedete la metafora storica chiunque contribuisca a portare ordine
e prosperità in un mondo sconvolto da una finanza parassitaria non è, ai miei occhi,
molto diverso dai vescovi che, durante i primi regni romano-barbarici, rimisero
insieme i cocci del mondo che Attila e gli altri avevano distrutto.

Tuttavia, solo gli artisti possono aiutarci nel “trasvalutare” i valori. Questo ritorno al
ruolo nobile e costruttivo che nelle società antiche fu sempre attribuito loro
rappresenterebbe un guarigione troppo lungamente attesa.
Il fatto che normalmente molti di loro non siano granchè credibili nelle loro
sporadiche escursioni nel mondo reale è presto spiegato: non erano programmati per
farlo (mischiarsi con il mondo reale), non dovevano, attenti alla difficoltà di questa
frase, nemmeno desiderare di essere credibili facendolo.
Wikipolis lascia agli artisti il tempo ed il modo di crescere e di terminare la loro
formazione. Apre loro strade diverse e mostra loro che, per quanto si sforzino, non
riusciranno ad essere più unici di quanto già ogni uomo non sia. E che la forza del
mercato, che li spinge a lottare tra loro come squali (per i pochi posti al sole
disponibili nel “Mercato della Scarsezza Indotta”) può essere compensata dalla forza
di un mercato (Wikipolis) che ha bisogno di loro per creare nuove “trame” da nuovi
“tessuti”.
Visibilità e Rilevanza come nuovi Commons
Esiste un consenso ampiamente maggioritario sul fatto che l’accesso al web (la sua
neutralità!) costituiscono uno dei nuovi commons del XXI secolo, ed uno dei più
importanti. Tuttavia, per quanto importanti siano le informazioni, queste acquistano
valore nel momento in cui la loro condivisione coagula in un Consenso.
Né la condivisione delle informazioni né, men che meno, il Consenso da esse
derivato, sono ottenibili solo in virtù del web.
Questo Consenso è l’Über-commons ed è anche ciò a cui aspira Wikipolis106.
Questo Consenso, la sua visibilità e rilevanza, sono ciò che gli permettono di esistere,
che sostengono i singoli membri dando loro la certezza che ciò che fanno è
importante e avrà un peso perché anche altri uomini e donne, altrove, stanno facendo
lo stesso, per gli stessi motivi e con gli stessi obiettivi.
Ecco quindi la risposa a chi si chiedesse perché mai Wikipolis debba essere
globale107.
É vero, le risorse vengono raccolte e spese quasi completamente a livello locale, ma
ci sono beni comuni come la visibilità pubblica che non sarebbero ottenibili se
l’iniziativa fosse “solo” locale108.
Sebbene i meccanismi della celebrità siano una delle peggiori iatture che siano
capitate all’essere umano, la riconoscibilitá di un movimento é estremamente
galvanizzante per i suoi membri. Trasmette loro fiducia in loro stessi. Trasforma le
loro azioni inserendole in qualcosa di piú grande, qualcosa dalla cui efficacia
l’individuo possa attingere speranza, ispirazione e forza.

Immaginate questa situazione. Siete a teatro. Suona Carmen Consoli. O Vinicio


Capossela.
Finisce lo spettacolo, si chiude il sipario, luci in sala. Voi guardate vostra
moglie/marito, vi stirate e vi alzate in piedi. A quel punto: sorpresa delle sorprese.
Una voce nuda arriva dal palcoscenico. Voi vi girate in quella direzione, solo per il
carattere repentino ed infrequente di quell’evento, come fareste se aveste sentito una
frenata o lo scoppio di un pneumatico.
È solo in un secondo momento che vi rendete conto del carattere straordinariamente
bizzarro di quella situazione. Tutti attorno a voi sembrano impietriti. State vedendo
voi stesso ascoltare Carmen/Vinicio parlare rapito di una cosa chiamata Wikipolis. È
solo in quel momento che sembrate misurare i confini di quella bizzarria. Sta
parlando da sopra un muro. In effetti, l’intero boccascena è un muro, il palcoscenico
una stanza nella quale il pubblico spia. Ecco perché anche se a volte il cantante si
rivolge al pubblico in realtà è come se stesse parlando attraverso una telecamera con
qualcuno lontano. Non certo con qualcuno che respiri la sua stessa aria e stia sotto lo
106
Attenzione: Wikipolis ambisce alla nascita di altri Consensi, in dialogo reciproco e plurale.
107
In fondo le risorse vengono raccolte e spese in ambito locale
108
Quante iniziative locali esistono? Con tutto il rispetto e per quanto valide possano essere, non riusciranno mail a
liberarsi della sindrome di Groucho Marx, il quale non avrebbe mai voluto essere parte di un club che avesse tra i suoi
soci uno come lui.
stesso tetto. Parlandovi direttamente come folla di individui e non come persone
unite dall’apprezzamento della sua musica, Vinicio sta facendo qualcosa di
straordinariamente coraggioso. Aprendo una breccia in quella finta parete di vetro,
ipotizzando che quelle persone, se amavano la sua musica sarebbero forse state
interessate a stare a sentire quel che aveva da dire.
Non qualcosa che era successo ieri ed era finito, qualcosa che stava in una canzone e
che ogni sera lui doveva risuscitare, ma qualcosa che ancora non esisteva, qualcosa su
cui un giorno qualcuno avrebbe forse perfino scritto una canzone. Magari suo figlio,
magari il figlio di qualcuno in sala. Quella sera, forse inconsapevolvemente, avevi
assistito alla rinascita dell’epica.

Non credete che dopo venti scene come quella che vi ho descritto, alla fine di una
lunga tournée ci sarebbe già un certo entusiasmo, no?
Spero che sia chiaro che non si tratta di uno sciocco culto alla celebrità, in effetti è
vero l’opposto. Quel gesto inaugura o vorrebbe inaugurare una stagione nella quale il
potere ritorna verso i suoi depositari originali. Il gesto di Carmen/Vinicio non è
quello del profeta né del propagandista, è quello del fratello che smette la tonaca
senatoriale che gli è stata gettata sulle spalle e dice:”vedete il potere che mi avete
dato… è troppo, riprendetevelo. E già che ci siete, ecco, questo è Wikipolis.
Ora, non solo questo è possibile. È anche facilmente ottenibile.

L’aspetto della persuasione è fondamentale. Non si tratta “solo” di essere d’accordo


sul fatto che “qualcosa deve essere fatto”. Nemmeno basta essere d’accordo su cosa o
sapere che una grande maggioranza delle persone sarebbero d’accordo. Il passo
successivo è quello più difficile, quello nel quale tutti gli elementi in sospensione
decantano. Uso questa metafora a proposito.
Perché se si continua a muovere l’acqua questa rimarrà sempre torbida. Sono
necessari il silenzio e l’ascolto. È necessaria lucidità.

O non sarà possibile capire perché in passato si siano state sprecate tante occasioni.
Consideriamo una grande manifestazione, una con 500.000 persone, le stesse
necessarie a presentare un referendum. Quante ne abbiamo viste senza che cambiasse
nulla? Quanti referendum hanno raggiunto il quorum?
Eppure pensate ai risultati straordinari che alcune di quelle persone potrebbero
ottenere se solo seguissero comportamenti d’acquisto disciplinati e coerenti.
Questi comportamenti produrrebbe risorse che verrebbero reinvestite in imprese sul
territorio. Ma questo aspetto non sarebbe che la base. L’esistenza di un mercato di
persone che professano valori comuni permetterebbe di finanziare progetti culturali
che rafforzerebbero la coesione di questa comunità internazionale e ne
aumenterebbero il prestigio e la rilevanza.
Questo prestigio e rilevanza internazionale, a loro volta, retro-alimenterebbe i
dibattiti nazionali, rafforzando le idee professate dai membri di Wikipolis in ambito
accademico.
Questo a sua volta influenzerebbe quel poco di dibattito politico che esiste, se non a
livello di media, almeno a livello di Think Tanks.
Le conseguenze? Anche in assenza di vere riforme, la coscienza dell’influenza
galvanizzerebbe i membri. E darebbe loro entusiasmo per agire a livello locale e li
legittimerebbe con i loro interlocutori. Non parlo di politica, naturalmente, ma di
business.

Wikipolis come Club


Normalmente un club è un associazione di individui che pagano una somma in
denaro per riceve accesso esclusivo a determinati servizi.
Nel caso di Wikipolis, la quota di iscrizione non si paga in contanti.
Non solo, perlomeno.
Di certo, come anche per tutti gli altri club, l’utilità della tessera dipende molto più
dal tempo che il tesserato è disposto a dedicargli (al club) che non da qualche valore
intrinseco della stessa. Le amicizie che una persona può stringere in conseguenza
degli incontri, ad esempio, dipendono dal suo carattere. Il “compito” del club è
assolto nel momento in cui li mette insieme sotto lo stesso tetto.

Ora, questa resistenza del Valore nei confronti di ogni tentativo di lasciarsi ridurre ad
un Prezzo è moltiplicata dal divario abissale che esiste tra un club qualunque e
Wikipolis. Si può mettere un prezzo alle amicizie che farai (e non avresti fatto)?
Alcune di queste amicizie porteranno anche benefici economici diretti, la maggior
parte saranno verosimilmente indiretti. Quanto più uno si impegna e si “spende”,
quanto più la tessera “gli costa” eppure nessun costo è solo tale nella contabilità di
Wikipolis. Ecco perché, quando si scrive ad uno sconosciuto in capo al mondo questo
sarà gentile con noi e si prodigherà per aiutarci. Perché sa che ciascun socio farebbe
altrettanto per lui. Nessuno vorrebbe perdere i benefici dell’appartenere a questa rete.

Se ci pensate perché una persona dovrebbe voler lavorare per una Corporation?
Sarà perché ha Capitali, Reti e Mercati?
Wikipolis ha sicuramente capitale, finanziario e, ben più importante, umano.
Ha i mercati a cui possono accedere tutti gli altri e in più ne ha uno tutto suo, al quale,
quant’è vero iddio, nessun interesse estraneo potrà mai accedere.
Quanto alle reti, che dire, è il suo asset principale!
Adesso ditemi che non morite dalla voglia di essere parte di questo club!!
Lo Status
Nel 2004 Alain de Botton ha pubblicato un bel libro chiamato Status Anxiety109.
Nella sua analisi la corsa allo status è possibile grazie (ed in effetti connaturata) alla
natura democratica, e apparentemente non elitaria, delle nostre società.
Il fatto di potere, teoricamente, ascendere a qualunque posizione, sembra implicare
che il risultato che abbiamo raggiunto equivalga a (tutto il) nostro valore come
individui. Questo naturalmente è assurdo, ma andate a spiegarlo alla persona che
incontrate ad un cocktail ansiosa di ascendere.
Ciò che De Botton sembra tuttavia sottostimare (ed in effetti quasi scartare tra le
possibili soluzioni da lui proposte) è la possibilità di usare lo status a fin di bene.
Lo status è infatti tanto buono (o tanto cattivo) quanto lo sono i valori che reggono
l’ordine nel quale egli agisce.
L’anelito allo status è ineliminabile, a meno di tornare a caste rigide, che non
sembrano avere più troppo successo nemmeno presso i popoli che le inventarono.
Si può decidere di prescinderne completamente (scelta piuttosto solitaria) o si può
cercare di usare questa caratteristica umana come motore per raggiungere un ordine
nel quale il desiderio di status non alieni da sé stessi e dalla propria vita.
L’unico status reale dovrebbe quello della meraviglia.
Posto che io mi sia, in tutta onestà, permesso di provarla, la persona con cui sto
parlando è stata in grado di produrre in me meraviglia?
Se la risposta è negativa, può anche trattarsi di Kathryne Bigelow, Shakira o Christine
Lagarde, ma la conclusione dovrebbe essere sempre invariabilmente quella: “Sorry
Ma’am, it’s getting late, I’m leaving!”.
Naturalmente un opportunista cercherà di estrarre il massimo dalla situazione, ma
questo non dovrebbe spingerlo fino al punto di ingannare sé stesso. Non più di quanto
non sia strettamente necessario per essere un buon manipolatore, anyway.

Volete una prova della forza dello Status?


Che direste se vi dicessi che una persona può avere uno Status talmente alto da
determinare la vita di non una ma due Star. Una coppia, di Star, la coppia di Star
(all’epoca) più in vista di tutta Hollywood, Tom Cruise e Nicole Kidman, i cui tempi
venivano (e vengono) gestiti con il livello di sofisticazione di un’impresa di supply-
chain management, per permettere loro di apparire nel maggior numero di prodotti
audiovisivi. Eppure, ecco che i due decidono di andare a vivere con i loro figli fuori
Londra, li iscrivono a scuola. Tutto per assecondare la fantasia di un vecchio
eccentrico che vive come un recluso da almeno 30 anni.
Quell’uomo è una delle menti più brillanti del XX° secolo, ha un enorme carisma.
Ma queste sono cose che non tutti possono apprezzare.

109
Alain De Botton: L'importanza di essere amati : l'ansia da status Parma: Guanda, 2004
Meglio sorvolare sull’ennesimo “addolcimento” del titolo, pessima abitudine italiana che sembra aver colpito perfino
una casa editrice come Guanda.
Il potere invece, il potere necessario per ottenere tutto quel tempo, quella
disponibilità virtualmente illimitata da parte di due simili Star, quello lo può capire e
misurare anche chi non capisce dove risieda la genialità di quell’uomo.
Quell’uomo aveva Status ma, cosa ancora più importante, lo dava a chiunque egli
scegliesse come collaboratore e, a maggior ragione, a chiunque penetrasse nell’etere
della sua aura.
Quanto più il maestro ti chiedeva, (quanto più tu eri disposto a dargli) tanto più
aumentava il valore del primo e di riflesso quello delle Stars.
Abbandonò Hollywood quando era all’altezza di Griffith e Welles, ma questo non ha
fatto che aumentare il suo Status, così come la freddezza di fronte alla morte accresce
lo status del Guerriero presso coloro che temono, più di ogni altra cosa al mondo, di
perdere la propria vita.
La capacità di vivere senza il mondo o di rinunciare alle sue lusinghe più ovvie è
anche parte del cammino delle grandi figura spirituali, da Siddarta Gautama a Cristo
a San Francesco d’Assisi.
Lo Status a Kubrick serviva per migliorare come artista, che era anche l’unica cosa di
cui gli sia mai importato realmente. Gli serviva per poter chiamare chiunque volesse
per chiedergli informazioni m-o-l-t-o e-s-a-u-s-t-i-v-e (ovvero di prosciugarli a forza
di domande!) su qualunque argomento egli avesse giudicato necessario approfondire
per rendere la sua opera migliore.
Lo Status deriva dall’Ordine, non lo produce, ne è prodotto.
Lo Status è il sintomo di un Ordine. Un ordine che apprezza il denaro al di sopra
della conoscenza è intrinsecamente corrotto e quindi fragile.
Siccome è impossibile stabilire un Ordine chi non voglia rassegnarsi allo Status quo
ha comunque un’alternativa. Quella di creare oggetti degni di attenzione e di
imitazione. Non necessariamente gli uomini o le loro gesta, ma valori espressi in
azioni. È ciò che fece la chiesa. La Imitatio Christi non è nulla di diverso.

Per secoli le uniche differenze tra gli uomini furono il tetto (la dimora) l’abito, il cibo
e, in certi casi, il linguaggio. Possiamo davvero dire che siano cambiate davvero
molto? Lo Status era legato sia alla Tecno-logia (idem oggi) che alla Teo-logia (oggi,
Media). La vera differenza? Era lo Status a decretare la ricchezza prosperità e non
viceversa (la ricchezza sarebbe stata semplicemente incomprensibile come
aspirazione). Oggi la crisi sta colpendo duro il ceto medio di tutto il mondo
sviluppato110, le università non preparano più ad un futuro che non conoscono perché
è tutto da inventare. La necessità di “servire” il debito dello Stato manterrà alto il
prelievo fiscale a fronte di un’economia debole, contribuendo a schiacciare verso il
basso le classi sociali. A quel punto saranno estinte le ultima vestigia dell’attuale
Ordine?
Status?

110
Soprattutto la parte esposta alla crescente digitalizzazione (e annesso offshoring) dei servizi.
Non credo. L’uomo ha una necessità quasi fisiologica di un ordine (che si manifesta
visibilmente nello Status), tant’è vero che ha finito per accettarne uno ingiusto e
meschino come l’attuale.
Ecco perché credo che ci sia un’opportunità storica per ricreare una nozione di Status
condiviso e legittimo al servizio di un Ordine giusto e nobile.
Wikipolis al suo interno, come si conviene ad un Club, ci proverà con decisione.
Crede infatti che solo la capacità di situare l’uomo all’interno di un simile Ordine
possa davvero liberare le energie da tanto tempo ibernate.
Ricapitolando. Uno status si produce sempre, naturalmente.
Si tratta di usare questa costante in modo costruttivo, mostrare la legittimità del fatto
che chi innova (contribuisce a proteggere posti di lavori) e chi si prodiga per fare del
mondo un luogo migliore ottengano uno Status superiore a quello di chi cerca per sé
profitti di breve periodo senza mettere fieno in cascina per l’inverno111.
Il punto di partenza è la sua membership, la “cittadinanza” del Club.
Una cittadinanza che deve essere guadagnata, deve dare veri benefici, ma che può
anche essere persa, per indegnità.
Dare a noi stessi qualcuno da imitare. Se uno rimane in posa abbastanza a lungo
l’oggetto imitato entra nel corpo e nell’anima dell’imitatore. Lasciati a noi stessi non
siamo certo un bello spettacolo, ma se Altri ci guardano, se Altri si aspettano
qualcosa da noi, allora forse possiamo essere per loro, non solo l’ispirazione che si
aspettano che noi siamo, ma perfino quella che noi ci aspetteremmo da altri. Essere il
rappresentante visibile di qualcosa di più grande e riuscire a meritare ogni giorno
quello Status. Attenzione: non sto dicendo che il movente dietro a questo
rinnovamento deve essere “morale”. Lungi da me. Il movente non è determinante ed
è fuori dalla portata di Wikipolis come di chiunque. Non è riscontrabile. Mi interessa
l’efficace. Mi interessa che produca i comportamenti che sono necessari e guidare
Wikipolis e i suoi membri verso un futuro migliore del presente.
Ecco quindi che, per sostenere il circolo virtuoso che spinge i membri di Wikipolis a
sforzarsi di essere all’altezza di uno status al quale mai avrebbero pensato di poter
accedere, è necessario promuovere Wikipolis attraverso personalità popolari in ambiti
frequentati dai non-membri. Gente come Vasco, Valentino o Fiorello.

111
Ci sono molti modi di valutare lo status. Ma in ultima istanza ciò che ci dice il denaro è falso.
A che classe appartiene un fornaio che possegga 30 appartamenti (e nel Nord Italia ne esistono)?
Di certo risparmia 150mila euro l’anno. Quanti ne guadagnerà? 200mila?
Supponiamo. È quasi uno stipendio da capo di stato. Capite cosa intendo?
I suoi figli secondo voi si alzeranno la mattina per andare a fare il pane?
È possibile, ma il punto non è quello. Il punto è: se non facessero quello, cos’altro potrebbero fare?
In compenso prendete un’ingegnere. Guadagna un discreto stipendio in un’impresa che non lo licenzierà, manderà i
figli all’università (italiana, pubblica, affordable) e potrà aiutarli con la casa (se è risparmiatore, perfino comprare loro
un appartamento ciascuno in una città come Modena). Non è male ma in un sistema diverso potrebbe fare molto di più,
vivere una vita molto più dinamica e gratificante (in termine di sfide e di obiettivi) per sé ma soprattutto per la sua
comunità. Quella stessa persona, in un paese qualunque dell’america latina (afflitti da cronica scarsità di ingegneri)
avrebbe la possibilità di guadagnare moltissimo facendo le stesse cose che fa in Italia. Se avesse fiuto potrebbe perfino
diventare ricco. La differenza? L’ingegnere farebbe crescere l’economia attorno a lui, meritando, a parità di ricchezza,
uno Status nettamente superiore a quello del fornaio che seppellisce il denaro in mattoni e cemento.
Quegli stessi mattoni e quello stesso cemento, maneggiati dalle stesse mani che possiedono tante tessere di partito.
È facile capire perché. Siccome la membership sarebbe un bene esclusivo, chi la
possedesse accederebbe ad uno status superiore.
Naturalmente non dovrebbe avere la forma dello spot, ma di certo ottenere quello
che, agli albori della comunicazione di massa, ne costituiva l’effetto.
Infatti, sebbene l’ideale sarebbe che i membri di Wikipolis si concentrassero nel
raggiungere chi è al di sopra di loro112, la presenza di persone che li “invidiassero”
contribuirebbe mantenere il “valore di mercato” della membership. Né più né meno
di quanto accada ai qualunque bene.
A questo proposito chiedete a voi stessi quale potrebbe essere lo strumento principe
nel raggiungimento di quell’obiettivo.
Fate conto di avere un budget di 5 milioni l’anno per 6 anni113. Qual è il singolo più
efficace modo per creare un enorme attenzione attorno al vostro Club e ai valori che
lo reggono? Ve lo siete chiesto?
Ecco la mia risposta.
Qualcuno ricorda il carisma di Mohammed Alì? Qualcuno come lui che invece di
scusarsi balbettando quattro scemenza imbarazzanti per non perdere gli sponsor ha
rinunciato ai migliori anni delle sua carriera per manifestare la sua opposizione alla
guerra in Vietnam.
Ricordate la sua straordinaria verve, l’acutezza che anticipava perfino alcune delle
menti più brillanti dell’epoca? Come quando rispose, a chi gli chiedeva se sapesse
dov’era il Vietnam: ”certo che lo so, è in Tv!!”. Geniale!
O come quando, motivando il suo rifiuto delle guerra, disse che nessun vietcong
l’aveva mai chiamato negro.
Se ho ricordato l’immenso Mohammed Alì è perché vorrei che immaginaste
l’influenza che potrebbe avere una squadra composta da 11 Mohammed Alì?
Si tratta, lo avrete capito, di calcio.
Ed è un investimento che non dovremmo neppure affrontare da soli.
Prima che mi facciate ogni sorta di obiezione moralista, lasciate che vi presenti le due
posizioni più in voga tra i cacciatori di talenti.
1) Oggi ci sono bambini che a 12 anni fumano colla o imbracciano un kalashnikov.
Non sarà che il calcio da almeno loro una chance?
2) Quasi altrettanto facile è dire: se dipendesse da me farei smettere questa cosa, ma
siccome non ho la capacità di farlo da solo, lascia almeno che continui.

E poi c’è la posizione di Wikipolis.


Che è quella di preparare uomini che siano anche grandi calciatori.
Dare loro una formazione che nessuna delle loro famiglia avrebbe potuto dare loro,
esperienze, incontri, viaggi che nessuna della loro famiglie avrebbe potuto dare loro.
E, finita la loro carriera, avrebbero un lavoro perché non sarebbero solo calciatori.
In ultima istanza non sarebbe diverso dall’essere in un collegio maschile nell’Irlanda
di Joyce. Non si tratterebbe da una pressione diversa dalla quella sopportata da un
112
Questo dovrebbe bastare a dare l’idea del carattere rivoluzionario di Wikipolis. Se i pilastri dell’ordine sono
condivisi, l’ascesa è un obiettivo non solo più legittimo ma, paradossalmente, più facile.
113
Sembrano moltissimi ma pensate che si affronterebbe solo se rappresentasse meno dell’1% della raccolta Europea.
ragazzo agiato in mezzo a tanti rampolli multimilionari in un collegio svizzero o
nell’iper-competitivo sistema scolastico giapponese.
Quello di voler sollevare gli altri da ciò che noi non saremmo disposti ad affrontare è
un chiaro sintomo della diffusa mollezza dell’occidente. Ma qui non si tratta di
nessuna tortura, ciascuno di loro potrebbe tornare alla sua vita in qualunque
momento. Tutto il resto sono fregnacce.
Personalmente credo che sarebbe un’opportunità straordinaria oltre che la
materializzazione di ciò che Wikipolis potrebbe rappresentare per milioni di persone.
A loro spetterà di decidere come spenderanno il loro denaro.

È quindi prematuro pensare ai dettagli, ma è chiaro che con l’adeguata pubblicità


(penso ad un documentario da parte di un grande regista, finanziato dal network con
l’acquisto anticipato di DVDs) solleverebbe immediatamente un’enorme interesse.
Si potrebbero perfino iniziare a vendere le magliette.
I musicisti inizierebbero a comporre canzoni che inneggerebbero a vicende future.
Una specie di Ekphrasis di gesta ancora da compiere ma che sono già nello spirito di
alcuni di coloro che le compieranno.
Potenzialmente l’acquisto di un certo numero di magliette basterebbe a mantenere
migliaia di ragazzini per anni. (1milione a 50 dollari l’una, et voilà!)
I ragazzi sono quelli più preparati di tutti, sanno che il talento e lo sforzo non bastano,
sanno che ciò che li anima non se ne andrà, nè quando la loro carriera sarà finita né se
questa finirà prima di iniziare.
L’enorme differenza è che i nostri ragazzi non eliminerebbero la (auto)pressione e la
competitività, ma le sublimerebbero, le supererebbero servendosene.
Avrebbero il privilegio più unico che raro di essere stati cresciuti con una missione
costruttiva che li trascende come individui, che dà loro moltissimo e che,
naturalmente chiede in proporzione. Le loro famiglie ne sarebbero elettrizzate.
Wikipolis come (bottom up) Brand Conglomerate
Fate a voi stessi una domanda.
Cos’é stato a fare di Virgin quella che é oggi?
Difficile dirlo. In fondo non ha nulla di speciale. Non fa nulla di speciale.
Eccetto i viaggi in mongolfiera, che però sono ben lungi dall’essere il suo core
business (e non parliamo degli imminenti viaggi spaziali).
Pero´ é entrata nella vita di tante persone come produttrice di contenuti ed ha
mantenuto quell’immagine di audacia ed irriverenza. Di fronte alla solita compagnia
aerea, a paritá di prezzo magari viaggio con Virgin.
Virgin che è cresciuta nel tempo cogliendo, tra tutte le opportunità che le si
presentavano, solo quelle che non contraddicevano i valori ai quali voleva essere
associata.
Non sarebbe bello che il denaro che paghiamo per alcune delle nostra spese fisse
andasse a pagare buoni stipendi a persone felici e motivate che vanno al lavoro
cantando?
Esiste la possibilità tecnica di creare una conglomerata anche piú grande di Virgin.
Una Brand Conglomerate. Se non esisterà sarà solo colpa nostra.

La Virgin offre servizi finanziari, turistici, sanitari, telecom, opera in alcune tratte
aeree e produce contenuti editoriali e d’intrattenimento.

La Virgin ha creato piú di 200 imprese legate al suo marchio, dando lavoro a piú di
50.000 persone in 29 paesi, con ricavi nell’ordine dei 15 miliardi di dollari.
Il suo talento comunicativo le ha permesso di essere percepita come il campione dei
consumatori e di instillare nei membri del gruppo il desiderio di provare a lanciare
un’impresa che interagisse in modo sinergico con le esistenti attività di Virgin.

Un’impresa che sarebbe parte del gruppo e nascerebbe condividendo già talenti, stile
di management, un linguaggio e un pubblico.
Naturalmente il caso di Virgin é diverso perché la leadership di Brandson é
imprenditoriale e non “politica” e la sua impresa non può che essere percepita come
occidentale.

Ma se prescindiamo da un certo personal branding (efficace ma limitante), le strategie


di Virgin sono molto condivisibili. Ognuna delle imprese che operano all’interno del
brand Virgin é un entità separata, e Brandson possiede interamente solo alcune
mentre mantiene partecipazioni di minoranza o maggioranza in altre.
E talvolta perfino dando in concessione il brand ad una impresa che abbia acquisito
una divisione da lui.
Il brand Virgin é stato creato attraverso un periodo breve per l’epoca ma lunghissimo
per i ritmi degli iper-leveraged anni ‘00s, tempi che segnati anche un altro elemento
che non poté assistere Sir Brandson nella lenta crescita: la presenza sempre piú
pervasiva del passaparola via web. Il leverage è andato, il web resterà.
L’esempio di Virgin ci mostra che il brand é stato, fino alla crisi attuale, la
condizione, quasi in sé stessa sufficiente, in grado di definire la creazione e la
sostenibilità di un enorme numero di imprese a lei legate.
Non si vede perché un successo come quello di Virgin (possibile tanti anni fa, senza
internet!) non dovrebbe essere possibile oggi. Lo dico supponendo che ciascuno
possa apprezzare le grandi, enormi, differenze tra Virgin e Wikipolis.
La principale essendo, naturalmente, che Virgin appartiene a Brandson e Wikipolis
all’Umanità, attraverso un inalienabile Charitable Trust “of the people, by the
people, for the people”.

Immagino anche che non sfugga la potenza di un concetto come quello della bottom-
up Conglomerate. Una Corporation infatti, nasce senza mai mettere in discussione
che la sua forma istituzionale sia quella giusta. In ultima istanza la Corporation è un
template che ci siamo dimenticati essere tale. Eppure, le prime di loro, nell’America
coloniale, ricevevano un charter che specificava rigorosamente i limiti, anche
temporali dei loro diritti.
Il successo di Wikipolis, ricorderà a tutti, che gli uomini non hanno bisogno delle
Corporation per creare prosperità e lo farà, non con tante parole, ma con i fatti,
creando prosperità.

Se ci pensate un attimo dietro ad ogni vero brand c’è, in essenza, un rapporto molto
semplice. Il cliente riconosce che il prodotto di una certa marca, sia essa un
dentifricio o una crema da spalmare, ha qualcosa di superiore.
Ma siccome è difficile caricare sulle gracili spalle di un dentifricio l’intera
Weltanschauung che il brand deve, se non possedere, perlomeno credibilmente
scimmiottare, la qualità rimane una condizione necessaria sebbene non sufficiente.
Allo stesso modo, sebbene non possiamo dirlo perché non è mai stato tentato, è
prevedibile che non sarebbe sostenibile una situazione nella quale Wikipolis
“parlasse” attraverso da prodotti invariabilmente e ostinatamente mediocri. Resta il
fatto che, se mai sono esistite circostanze appropriate per tentare la creazione di un
soggetto come Wikipolis, queste sono le attuali. Da più di vent’anni si percepisce
come un vuoto oppressivo, che aleggia nelle opere degli artisti più sensibili e
penetranti. E questa tensione latente non è stata che acutizzata dalla crisi, che l’ha
trasferita, attraverso il volano dell’economia, anche a settori più impervi rispetto alle
suggestioni culturali.

Per la prima volta in molti anni (talmente tanti che a contarli uno si spaventa) a fronte
di uno stuolo di insensibili organizzazioni abbiamo un altro modello a nostra
disposizione, un modello, che non ha bisogno di “uomini nuovi” né di imporre
lacrime e sangue. Gli basta il self-interest. La gratuità, naturalmente, è ben accetta ma
quella, si sa, è come lo vento: soffia dove vuole.
La road map “panoramica” è terminata. Se siete arrivati fin qui non deve esservi
sembrata troppo incoerente.
A non essere esaurita è la necessità di spiegare. Se fossi al posto vostro, quanto più
eccitante avessi trovato la visione, quanto più severamente vorrei esaminare la
strategia che potrebbe condurmi alla sua realizzazione. Le visioni ammalianti sono
facili da delineare ma spesso non sono che miraggi.
Tribù e Mercati
Sapete perchè Spielberg decise di filmare Incontri ravvicinati del terzo tipo?
Aveva letto che c’erano tre milioni di persone che credevano agli alieni!!
La lezione? Se non abbiamo i mezzi per produrre un blockbuster, è necessario individuare la nicchia più grande alla
nostra portata. Se il nostro prodotto è buono e convinceremo una parte consistente del nostro pubblico core,
probabilmente riusciremo anche a cross-over e a raggiungere un mercato più grande.

Solo nel movimento del free-sofware ci sono milioni di programmatori.

In Svezia, il Partito Pirata ha più di 50.000 tesserati, lo 0.5% della popolazione, solo
di tesserati! Parliamo di tessere genuine, non come alcune che conosciamo in Italia.
Il 7% degli svedesi lo ha votato, il 20% degli under 30!!
Se non c’è un mercato lì, dov’è? Vi invito infatti a considerare la piattaforma su cui
correvano. Non qualche questioncella provinciale svedese, incomprensibile in altri
Stati o Regioni. Se la intendiamo correttamente, si tratta, né più né meno, di una
battaglia contro le enclosures del XXI secolo , una battaglia per un accesso
democratico ai mezzi di produzione.
Questa issue è assolutamente internazionale, come si può capire dalla rapida
propagazione delle idee del movimento.
Ciò che potrà fare la differenza non sarà tanto l’esistenza di un consenso (seppure
non attorno alle policies proposte, certamente attorno alla centralità della materia in
qualunque agenda) quanto la quantità di persone che, in ogni paese, lo riterranno un
voto utile. In Germania (che ha quasi 10 volte gli abitanti della Svezia) si è
dimostrato virtualmente impossibile bissare lo straordinario successo elettorale
ottenuto in Svezia. La mia impressione è che, in assenza di una lobby
straordinariamente potente come quella che ha sostenuto per anni i Verdi, le issues
dei Pirati finiranno per essere riassorbite dai partiti generalisti. A meno che,
naturalmente, non diventino loro un partito generalista.
Come ho detto questa è la battaglia contro le enclosures e per la libertà economica.
Molti (chi scrive per primo) potranno pensare che il Parlamento non sia il luogo
adatto (d’accordo ad un’analisi costi-benefici) ma le divergenze tattiche non devono
far dimenticare né gli interessi strategici di lungo periodo né l’enorme numero di
persone che mettono la questione della libertà economica al primo posto.

Nei paesi scandinavi in conseguenza della cultura che ha reso possibile un’esperienza
come il Partito Pirata è ragionevole attendersi uno straordinario successo per una
proposta come Wikipolis114.

114
Nessuno potrebbe mai pensare ad un’alleanza tra Wikipolis e il Partito Pirata. Personalmente considero il Partito
Pirata un bel segnale, un segnale importante ma anche una cattiva idea. Credo ci siano modi meno invasivi dello spazio
pubblico per ottenere gran parte di quegli stessi risultati.
Non c’è nulla contro il Partito Pirata, solo una preferenza in favore di Parlamenti in cui tutti i partiti presentino (e
rappresentino) una visione completa del loro paese.
Avrei le stesse obiezioni nei confronti di qualunque altro (quasi) single issue party.
La menzione al free software(GNU/Linux) può apparire contraddittoria con quella al Partito Pirata, e questa, a sua
volta, in contraddizione con la posizione di Lawrence Lessig di Creative Commons e di Jaron Lanier, precedentemente
citato. La posizione di Wikipolis è certo sfumata e intermedia. Non è questa la sede per entrare in dettagli. Ciò che
importa è che tutti sono favorevoli a qualche forma di abbassamento della soglia d’entrata nell’economia della
conoscenza.
Per non parlare delle Repubbliche Baltiche, di Islanda, Irlanda, Repubblica Ceca
(patria di alcuni dei più irriducibili euro-scettici), della Grecia appena martirizzata e
del Portogallo (che presumibilmente sarà il prossimo della lista).
Una cosa è certa. Wikipolis, lavorando nel loro interesse, non ha ragione di cercare
un qualche appeasement con i “Grandi Elettori” dell’Unione Europea. Il problema è
che le élites sono spesso dure d’orecchi, terrorizzate da quel che possono perdere più
che eccitate per quel che hanno da guadagnare. Non è quindi affatto ovvio che
un’istituzione che si è data una Carta Fondamentale come il Trattato di Lisbona
potrebbe essere annoverata, di default, tra gli entusiasti ed incondizionati supporters
di Wikipolis.
Se ai “Grandi Elettori” non interessasse avere la loro quota di membri di Wikipolis
tra i loro cittadini, se snobbassero la nostra collaborazione, la contromossa sarebbe
facile. Lo 0.5% della popolazione dell’UE sono 2.5 milioni di persone.
Invece di avere uno 0.5% in ciascuno stato, potremmo agevolmente aumentare la
percentuale dei membri nei paesi succitati. Sarebbe strano e anche triste ma non
sarebbe la nostra scelta.
Sempre riguardo all’Islanda c’è da ricordare questa brillante idea per cui stanno
pensando di trasformare il loro paese nell’equivalente per i Media di quello che le
isole Cayman (tra le altre) sono per gli Hedge Funds.
Questa è invece un’iniziativa straordinariamente importante, che Wikipolis appoggia
con forza. Allo stesso tempo, invita i giornalisti al senso di responsabilità rispetto alle
conseguenze dei loro articoli. Soprattutto alla luce della peculiare posizione dei
membri di Wikipolis riguardo alla politica estera del loro paese115.
Naturalmente questa regola va letta alla luce del pubblico a cui si rivolge la
dichiarazione. In un seminario tra specialisti, sotto “Chatham House Rule” si diranno
cose che non si diranno al TG delle 20, ma questo è ovvio.
Ciò detto, questo riguarda soprattutto persone o imprese che non esercitano una
professione che li obblighi a esprimere posizioni su materie controverse e che non
siano quindi allenate a destreggiarsi tra le trappole che potrebbero tendergli per
screditare Wikipolis.

Un giornalista americano che sia membro di Wikipolis ma scriva sul New York
Times ha tutto il diritto di esprimere posizioni condivise dalla Scuola Realista circa,

115
La situazione più frequente sarà quella di un segreto allineamento tra il vero
Interesse nazionale di un paese, interesse occultato nelle pubbliche attraverso gesti e comunicati officiali, ma illustrato
chiaramente dalle azioni di tutti i giorni degli attori di quel paese.
Per esigenze diplomatiche (e per il particolare status di Wikipolis, federazione di interessi nazionali privati) non è
considerato appropriato il contraddire pubblicamente la versione ufficiale del proprio ministero degli Esteri, ed è anzi
una delle poche reali cause di espulsione dal club. La ratio è che se una persona/istituzione non sa nulla di politica
estera (come di qualunque altro tema, d’altronde) non dovrebbe rilasciare dichiarazioni pubbliche, perché sarebbero
irresponsabili. Il fatto poi che una persona/istituzione conosca l’argomento costituisce un aggravante, perché avrebbe
coscientemente contravvenuto alle regole. Contraddire apertamente la politica estera del proprio paese è per definizione
irresponsabile se ci si trova nella posizione di Wikipolis.
ad esempio, la desiderabilità di un eventuale Grand Bargain in Iran, dubbi sulle
intenzioni iraniane di ottenere armi atomiche o perfino affermare l’irrilevanza
dell’eventuale acquisizione116. Ci sono giornalisti ed accademici nel mainstream
americano (ed israeliano) che hanno sostenuto posizioni simili. Naturalmente è
sempre meglio coprirsi le spalle citando altre fonti, meglio se governative.
Coprirsi, sempre.

Avete mai riflettuto sul numero degli Ingegneri? O degli Architetti.

116
Martin Van Creveld prestigioso storico israeliano cita in questo articolo http://www.forward.com/articles/11673/
l’opinione del Gen. John Abizaid, predecessore dell’Amm. William Fallon e del Gen. David Petraeus alla guida di
U.S.Central Command (CENTCOM) http://edition.cnn.com/2007/WORLD/europe/09/18/france.iran/index.html
Entrambi sono numerosissimi, lo sappiamo. Ma quanto numerosi?
Beh, gli architetti, che pure sono molti di meno, sono, nella sola UIA (Union
Internationales des Architectes) più di un milione!!
Alla luce di quanto detto nell’Ecphrasis è chiaro che gli architetti sono grandi
stakeholder di Wikipolis, soprattutto i più giovani.

Commercialisti, Notati, Farmacisti, Medici, Musicisti, Artisti, Sceneggiatori,


Ricercatori, Traders, Analisti, Giornalisti etc.
Ogni categoria ha bisogno dell’altra e siccome non ci sono di mezzo riforme fiscali
(ma semplici abitudini di consumo) è probabile che si trovino sinergie o che, alla
peggio, ciascun gruppo crei l’applicazione più adatta alle sue esigenze: il proprio
modo per creare valore attraverso Wikipolis.
Per avere le idea più chiare riguardo a certi ordini di grandezza sarebbe forse utile
ricordare che al mondo ci sono quasi 40 milioni di boy scout117.
Forse questa cifra non ci dice molto. Proviamo ad interrogarla in altro modo:
Se consideriamo uno solo di quei boy scout, 1 su 100, ci aggiungiamo la sua famiglia
e i suoi amici più intimi, abbiamo 4 milioni di persone.
A 300 euro a testa (ci sono paesi emergenti che abbassano la media del reddito e
quindi della raccolta pro-capite!) sono circa 1.2 miliardi di euro.
I numeri però, di per se soli, non raccontano mai tutta la storia.

Mai trascurare una tribù, per quanto wacky (ovvero, uhm…eccentrica?) possa
sembrarci
Sapete quanti milioni di giocatori iscritti ha World of Warcraft (WoW)?
Dodici. Meglio scriverlo in cifra: 12 milioni di persone
Per chi non gioca è utile specificare che è stato usato in passato per il product
placement di diverse imprese (Toyota fu una della prime) anche se l’aspetto più
interessante è la sua natura di mini social network in potenza (con eventi off-line
annessi) e la possibilità di usarlo per iniziative di marketing virale.
I giocatori vanno da menti brillanti come David Friedman fino all’otaku senza una
vita off-line.

117
Ci sono ben quattro paesi del G20 che hanno meno di 40 milioni di abitanti!!
Mai sottovalutare una forma/strumento, perché qualcuno potrebbe usare contro di
noi ciò che in essa noi non sappiamo vedere. O a nostro favore, se conserviamo la
necessaria apertura mentale e sospendiamo il giudizio.
Forse non lo direste ma, solo in Italia, ci sono centinaia di migliaia di reenactors.
Quelle persone che si travestono da soldati, centurioni e guerrieri d’altre epoche. Tra
loro ci sono anche l’avvocato che vi rappresenta o il chirurgo che vi opera.
A prima vista un’istituzione chiamata Comitato Italiano per il Controllo delle
Affermazioni sul Paranormale (CICAP) sembra, con licenza parlando, una vaccata,
no? Eppure è nato (nel 1989) per iniziativa di Piero Angela e di un gruppo di studiosi,
tra cui Silvio Garattini, Margherita Hack, Giuliano Toraldo di Francia, Tullio Regge e
Aldo Visalberghi, oggi Garanti scientifici del CICAP, e dei premi Nobel Daniel
Bovet (oggi scomparso), Rita Levi Montalcini e Carlo Rubbia, da subito membri
onorari del Comitato. Non male come credenziali! Ah, il CICAP aderisce al
European Council of Skeptical Organisations. Anche li sembra esserci una tribù!
Più facilmente accessibile/percorribile, proprio perché culturalmente più coesa.

Perché vi dico tutto questo? Per mostrare la quantità di tribù, la quantità di percorsi
possibili e di misteriose connessioni sinaptiche che si nascondono sotto la superficie
del reale. Per dimostrare che il mercato per un’istituzione come Wikipolis esiste.
Che c’è un numero potenziale di persone interessate, molto superiore a quelli che
potrebbero effettivamente esserne parte. E questo ci porta alla necessità di
selezionarle nel migliore dei modi possibili.

Ma, e qui concludo l’argomento stakeholders, la “categoria” che più importa a


Wikipolis (assolutamente trasversale rispetto al Censo e allo Status) è quella dei
pensionati. Sono loro che hanno più conoscenze, tempo e motivazioni per lasciare un
segno e godere dell’affetto e della riconoscenza della comunità che si formerebbe
attorno a Wikipolis.
Sono loro, coloro che sono più vicini al momento di andarsene, ad avere nelle
orecchie le parole del grande teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer: “la prova decisiva
di una società morale” disse, “è il tipo di mondo che lascia ai suoi bambini.”
In Italia ci sono 12 milioni di persone di età superiore ai 65 anni, la maggioranza di
loro non ha che pochi nipoti. Uno degli aspetti che considero più belli di Wikipolis
sta nel fatto che ripristinerebbe un poco di senso di continuità generazionale.
A livello famigliare ma anche sociale. Famigliare perché, mentre spesso un nipote
ventenne ha solo un numero limitato di argomenti in comune con il proprio nonno
75enne, l’esistenza di Wikipolis potrebbe creare un legame, anche simbolico, di
continuità. Il nipote potrebbe, per esempio, insistere per mettere il nonno in
condizioni di essere più attivo, restringendo la breccia digitale che stava isolando
l’anziano. Wikipolis sarebbe il pretesto per un’azione che altrimenti avrebbe potuto
non avvenire.
It is not!!
Occorre che nel mercato si aprano spazi per attività economiche realizzate da
soggetti che liberamente scelgono di informare il proprio agire a principi
diversi da quelli del puro profitto, senza per ciò stesso rinunciare a produrre
valore economico. Le tante espressioni di economia che traggono origine da
iniziative religiose e laicali dimostrano che ciò è concretamente possibile.
(…) Il binomio esclusivo mercato-Stato corrode la socialità, mentre le forme
economiche solidali, che trovano il loro terreno migliore nella società civile
senza ridursi ad essa, creano socialità. Il mercato della gratuità (il corsivo è
mio n.d.r.) non esiste e non si possono disporre per legge atteggiamenti gratuiti.
Eppure sia il mercato sia la politica hanno bisogno di persone aperte al dono
reciproco.
Quella che il Papa chiama gratuità può definire, in termini economici, un enorme
quantità di fattispecie. Ad un orecchio non allenato l’idea di gratuità può suonare
malissimo. Semplificando molto potremmo dire che, almeno in senso lato, la gratuità
tende a privilegiare il valore sul prezzo. Spero che detto così faccia meno paura.
La gratuità infatti non è nemmeno sempre contrapponibile allo scambio.
Esiste lo scambio di gratuità, favori non monetizzabili che tuttavia contribuiscono a
quello che i sociologi chiamano con un’espressione riduttiva: l’orizzonte di senso.
Il fatto di fare qualcosa senza attendersi nulla in cambio non cancella che presto o
tardi avverrà una qualche forma di reciprocità. Il segreto è nel non vivere con la
pressione della riscossione di quel credito immateriale.
Quanto più aumenta il capitale di gratuità di una comunità quanto più alta sarà la sua
coesione e, essenziale ai nostri fini, ambiziosi gli obiettivi che potrà porsi.
Tecnologie della Decisione
La Democrazia è uno strumento di legittimità
La Democrazia è un’importante strumento di legittimità (e quindi di stabilità).
L’abuso e la perversione della procedure che la informano può portare (ed ha, in
passato, portato) alla perdita di quella stessa legittimità che era supposta assicurare.
La democrazia, in ultima istanza, non è che un mezzo, di per sé non più efficace
di un altro. La legittimità viene dalla qualità delle decisioni sostenuta nel tempo.
Naturalmente questo principio non si potrebbe applicare ad uno Stato senza la rottura
del contratto sociale. Applicarlo in un Club è invece infinitamente più facile e
permette alcuni interessanti spazi di sperimentazione. Wikipolis crede che sia
importante permettere alle persone di appropriarsi del processo decisionale ma è
preoccupata per la qualità delle decisioni. A gioco lungo decisioni insoddisfacenti,
avrebbero come risultato finale quello di screditare l’intera istituzione. E,
paradossalmente, non a causa di un’élite auto-referenziale che ne dirottasse il
processo interno in ossequio ad un’agenda divergente, ma dell’insipienza degli stessi
membri. Questa è un’eventualità da evitare. Il modo per risolvere questo contrasto tra
apertura e qualità delle decisioni, la quadratura del cerchio, sta nel pesare la qualità e
quantità di conoscenze necessaria per esprimere un’informata opinione. Di nuovo gli
incentivi ci vengono in aiuto. La democrazia di Wikipolis ha la pretesa di “pesare” le
teste invece di limitarsi a contarle. I risultati possono far cambiare drammaticamente
il peso di ciascun voto e vanno sempre ponderati con la quantità di sconti ottenuti
durante l’ultimo anno solare. Il voto diviene, in quest’ottica, un elemento qualificante
all’interno di una minoranza della popolazione totale. Serve a massimizzare
l’incidenza di coloro che la usano per ragioni di business, innovazione e nuove
tecnologie. Queste sono le persone che ciascuno dei membri di Wikipolis vogliono
premiare. Ecco quindi che quella che la “correttezza politica” potrebbe vedere come
una discriminazione, si rivela essere l’espressione di un comune sentire, più profondo
dello stesso contratto sociale.

La scelta delle imprese nella quali investire è un processo in tre fasi


Imprese giovani e ad alto potenziale di crescita, che siano interessate ad una
partnership di lungo periodo con Wikipolis, sottopongono una proposta. La
sottopongono ai membri del network che vivono nel loro territorio.

Nella prima fase, i territori “scremano” ma non scelgono, per evitare l’emergere di
poteri locali che dirottino e si approprino dell’intero processo. Allo stesso tempo
però, questo processo permette loro di pronunciarsi su quali imprese sarebbero più
organiche rispetto al presente ma soprattutto al futuro del loro territorio118.
118
Quando si scelgono le imprese da finanziare è chiaro che la decisione deve originarsi dal basso, da coloro che
mettono i soldi. Ed è anche chiaro che se, come penso e spero, si fosse in grado di discriminare la composizione del
voto (ed evitare che la concentrazione di pochi grandi attori possa esercitare un’influenza decisiva) la decisione avrebbe
un carattere assolutamente vincolante a livello “politico”.
Nella seconda fase, tutte le proposte vengono rese assolutamente anonime e sottoposte
alla valutazione di comités di investitori stranieri, membri del network, che ne stilano una
graduatoria.
È importante il fatto che questo processo sia virtualmente continuo (rolling basis) con
la proclamazione dei vincitori, paese per paese. Sarebbe altresì importante che, anche
solo come voto consultivo, si esprimessero anche i membri di altre regioni. Questi
voti, per non influenzare le decisioni dei comités, manterrebbero uno status di
confidenzialità fintanto che questi non avessero espresso la loro opinione.
Nella terza fase, che è anche quella più politica, si cerca di tenere insieme l’esigenza
di premiare i migliori con quella di non sottrarre ricchezza da un territorio senza
creare né innovazione né occupazione.
Ogni impresa è tuttavia scelta non solo in base a criteri di rappresentanza territoriale,
ma anche in base a valutazioni economiche, di profittabilità proiettata, di grado di
competitività nei rispettivi settori, integrazione con altre imprese già parte del gruppo
etc. L’obbiettivo naturalmente è quello di poter sempre premiare l’azienda locale
scelta dai membri.
Tuttavia è facile essere d’accordo sul fatto che non ha molto senso premiare oggi la
mediocrità perché non crediamo di poter produrre, domani , l’eccellenza.
Nessuno dovrebbe voler anteporre la propria mediocrità all’altrui eccellenza.
Qualora poi non si raggiungerebbe un consenso tra l’istanza “politica” e quella
tecnica il board sarebbe chiamato a sciogliere il nodo.

L’altro fondamentale momento di decisione per la comunità di Wikipolis è


quello delle onorificenze.
È fondamentale perché per prosperare Wikipolis necessita di vedere frequenti e
duraturi riconoscimenti al merito.
Non solo, ha bisogno che questi riconoscimenti siano a) sentiti come propri e badi
sentire un’affinità di giudizio con la leadership.
Non importa che la leadership non decida virtualmente nulla.
Ai fini della coesione è importante sapere quale sarebbe stata la decisione del
decisore di ultima istanza e, altrettanto e forse più importante, quali sarebbero state
le motivazioni per quella decisione.
Ecco quindi che, in ciascuna regione a) i membri propongono una lista ufficiosa di
candidati alla “knighthood”. Il board regionale la discute e la rinvia al board globale
insieme a b) la sua motivata lista degli ideali candidati.
A questo punto il board globale, tenendo conto delle due liste e fatte le proprie
valutazioni, rimanda ai membri di Wikipolis di quella regione l’elenco dei candidati
che sottopone al loro giudizio. Questo è un momento molto importante di auto-
analisi. I membri della comunità regionale votano ed “eleggono” le dame ed i
cavalieri di quell’anno e, immediatamente conosciuti gli esiti del voto, possono
specchiarsi in quello dei membri di Wikipolis delle altre regioni, che non ha altro
peso, che quello di evidenziare affinità e differenze.
Reclutamento:
(se pensate che la parola tesseramento suoni
meglio fate conto che l’abbia usata)

Come precedentemente accennato, la procedura di ammissione sarà aperta ma


“guidata”, in modo da dare la precedenza a coloro che già abbiano mostrato meriti
specialmente notevoli.
Mostrati a chi, di grazia?
Prima di tutto ai “numi tutelari” che Wikipolis invita, in ogni paese, ad aiutarla nel
porre la prima e più importante pietra di un edificio così grande.
Per preservare la sua autonomia è necessario che Wikipolis partecipi alla scelta delle
persone da cui discenderanno molti degli elementi più creativi degli anni decisivi di
Wikipolis, quelli che ne decreteranno il successo o il fallimento. Come si conciliano
l’esigenza di mantenere l’unità di carattere dell’organizzazione (pur con gli
imprescindibili adattamenti culturali) ed il desiderio legittimo delle élites di influire
sulla composizione dell’organizzazione? Il primo aspetto che deve essere chiaro è che
Wikipolis non vuole esprimere/rappresentare l’Europa più che l’Asia o le Americhe.
È tuttavia innegabile l’appartenenza, totale ed assoluta, del suo fondatore alla cultura
europea.

Alla luce di tutto questo è chiara la necessità di creare quanto prima dei boards
regionali e, nel caso di paesi come Cina e India, nazionali.
Perché tanta urgenza, se ancora non esiste l’Istituzione che quei boards sono
supposti servire? L’obiezione è più che pertinente e va al cuore dei valori di
Wikipolis, che ha una struttura decisionale improntata al più rigoroso principio di
sussidiarietà. Ogniqualvolta un consenso non è raggiunto, la facoltà di decidere viene
attribuita al grado superiore. Le decisioni procedono quindi dal basso verso l’alto.
Questa assoluta democrazia ha bisogno di un contrappeso. Scatenarne una forza
senza direzione, significherebbe condannarla al fallimento.
Nessuna istituzione può infatti affermarsi, e men che meno durare nel tempo,
senza una “bandiera” e dei valori. Senza un carattere. Riguardo al carattere ci
sono due strade: si può sperare che si formi ed emerga completamente da solo o si
può agire per influenzare, nella misura del possibile, la sua formazione.
Non credo che ci sia molta scelta. Provare a guidare la selezione non ci metterà al
riparo dai rischi ma omettere di farlo non farebbe che aumentarli, lasciandoci
completamente in balia della sorte: ancora una volta, spettatori passivi.
I membri di Wikipolis detengono tutto il potere. Se apriamo il club alle persone
sbagliate non troveranno mai la strada verso l’alternativa di cui tanto bisogno
abbiamo. È necessario guidare il fenomeno preservando l’integrità del carattere di
Wikipolis che, a dispetto della mia formazione, è tutto fuorché eurocentrico.
L’esigenza fondamentale è dunque quella di avere, in paesi come Cina ed India,
la stesse possibilità di preservare il carattere di Wikipolis che avremo in paesi
occidentali.
Le sfide sono enormi e la probabilità di commettere errori, altissima. Ecco quindi
spiegato perché, in Stati-Mondo come Cina ed India, un board sarebbe un’utile
istanza intermedia. Altrettanto importante sarebbe il fatto che la tenure dei consiglieri
avesse una durata limitata, in modo da mitigare il rischio che, eventuali inappropriati
suggerimenti riguardo ai Numi , uniti alla facoltà di nominarne molti, producessero
un durevole impatto negativo, difficilmente reversibile senza rischiare strappi politici
nella relazione con le autorità locali.
Allo stesso tempo sarebbe importante mostrare alle controparti il “dietro le
quinte” nella scelta dei membri dei boards in vari paesi dai diversi (e
potenzialmente contrastanti) interessi geopolitici. Questo potrebbe dare un grande
contributo alla costruzione della fiducia.

A questo punto sarete forse curiosi di sapere se l’immagine che mi faccio di un Nume
ha qualche somiglianza con quella che voi vi fate. Per cercare di essere il meno
controverso possibile ho espunto chiunque non avesse un profilo “istituzionale”.
Ci sono altri grandi scrittori in Italia, ma mentre tanti sembrano ansiosi di farsi tirare
per la giacchetta, colui che meglio rappresenta non solo l’eccellenza a cui aspira
Wikipolis ma anche il livello assoluto di bipartisanship (anche se, forse, atarassia
sarebbe parola più appropriata) è senz’altro Alberto Arbasino. Naturalmente nessuno
gli chiederà appoggi pubblici. Semmai, qualcosa di ancora più importante: che ci
metta in contatto con le persone che considera più adeguate a Wikipolis. Altri nomi?
L’Ambasciatore Sergio Romano, vero interprete di una politica estera mai disposta a
sacrificare gli strategici interessi nazionali di lungo periodo a tatticismi di breve
periodo.
Il generale Roberto Jucci, straordinario esempio di dedizione che, ad 83 anni, ha
diretto (come volontario) la bonifica della Conca del Sarno, tra l’incredula
ammirazione degli abitanti di quei paesi.

Partendo da persone come loro119 (allo stesso livello di eccellenza, solo in altri
ambiti) sarà molto più facile guadagnarsi la fiducia dei professori, di coloro cioè, che
avranno privilegio e la responsabilità di scegliere i componenti più importanti del
nostro network. Chi goda della fiducia di una persona che ha dimostrato
pubblicamente la sua dedizione alla patria deve avere la priorità su uno sconosciuto.
In Italia ci sono circa 25 Università di un livello superiore.
Non le elencherò, tutti sappiamo quali sono.
In ciascuna di queste Università ci sono circa 10 (fondamentali) facoltà legate alle
Humanities. E altrettante legate a Scienza & Ingegneria.
Abbiamo bisogno di assegnisti, ricercatori, ordinari (che abbiano papers pubblicati
In riviste internazionali).
Individuata una persona che presenti le caratteristiche adeguate la si contatta.

119
Giorgio Agamben, Stefano Allievi Roberto Calasso, Guido Ceronetti, Goffredo Fofi, Giancarlo Gaeta, Carlo
Ginzburg, Claudio Magris e Danilo Zolo, sono altri Numi tutelari che esprimono e rappresentano, in ambiti diversi,
l’eccellenza della cultura italiana, e cosa almeno altrettanto importante, potrebbero aprire fondamentali percorsi di
scoperta all’interno dei loro networks.
Con ogni probabilità questa conoscerà colleghi italiani e stranieri. Qualora i nostri
argomenti lo convincessero, trasmetterebbe l’informazione anche a loro, cercando di
privilegiare le ragioni del suo entusiasmo (il metodo nella follia) senza appesantire
con troppi dettagli il suo pitch.
Una cosa è chiara: si cercheranno professori che tengano corsi specialistici, con un
numero relativamente ristretto di studenti. Non solo per fare in modo che ciascuno
possa avere una minima idea di chi ha di fronte, ma anche per amplificare la potenza
della “rivelazione”. In termini di mera comunicazione infatti, è lungi dall’essere
indifferente che il professore faccia un generico annuncio in aula, parli ad un gruppo
di persone o si rivolga individualmente a ciascuno studente.
In fondo anche i professori sanno che non li abbiamo contattati casualmente,
puramente in virtù del loro accesso ad una frazione della classe dirigente del futuro.
Li abbiamo scelti. Direttamente, attraverso il network dei “Numi”, o attraverso nostre
ricerche. Come li abbiamo scelti e chiamati, così diamo loro il potere e la
responsabilità di scegliere e chiamare a loro volta.
L’investitura, infatti, implica sempre un prestigio ed una responsabilità ulteriore,
tanto in chi sceglie, quanto in chi è scelto. In fin dei conti si sta privando un’altra
persona di quell’opportunità. L’investitura nobilita, letteralmente.
I professori che agiscano in qualità di recruiters avranno il compito di cercare negli
studenti, un certo set di qualità che sono indispensabili. L’intraprendenza e la
leadership, prima di tutto, questo perché Wikipolis non è un datore di lavoro ma un
fornitore di opportunità, opportunità che è necessario saper cogliere. Oltre a quelle,
saranno richieste caratteristiche specifiche per ognuno dei campi di ricerca.
Rimanendo in Italia e stimando 4 professori per facoltà, venti facoltà in ciascuno dei
25 Atenei sono 1000 professori.
Se ciascuno di loro segnala dieci alunni di oggi o di ieri, ne abbiamo 10.000.
Se ciascuno di questi include le dieci persone più brillanti che conosce siamo a
100.000. E non abbiamo ancora iniziato a fare sul serio.
Seguendo proiezioni conservatrici nel giro di un mese potremmo avere 100.000
membri. Ma lo sviluppo rapido e a tutti i costi non è ciò che vogliamo.
Il rischio infatti è una nuova “corsa ai dominii”, mi faccio socio e poi vediamo.
La corsa a chi ha più “amici” su facebook.
Non è probabile ma l’eventualità è talmente terrificante da imporre la massima
prudenza. Crediamo che il nostro dovere sia quello di preservare il valore della
membership mantenendo l’equilibrio più “alto” possibile tra l’esigenza di aumentare
il numero dei soci e quello di preservarne la qualità, non fosse che per rispetto di
coloro che, in Wikipolis, investono il loro tempo e le loro conoscenze.
Se qualcuno nota assonanza con il ruolo di alcune Banche Centrali, non è causale.
Anche Wikipolis è divisa tra l’esigenza del pieno impiego (massimo numero di soci)
e la stabilità del valore della membership.
SCORE
Se avremo fatto bene il nostro lavoro, il numero delle persone che ambiranno ad
essere parte del Club sarà notevolmente superiore a quello di coloro che potremo
accettare. Questo metterà Wikipolis nella condizione ideale. Potremo selezionare i
più capaci e motivati e mantenere un costante turn over che spinga ciascuno a dare il
massimo. Questo avrà ricadute positive non solo sul livello generale dei membri, ma
perfino sulla giustizia” del loro voto (SCORE) . Ma anche creare graduatorie interne,
con l’obiettivo di aumentare notevolmente l’emersione di nuove idee e, di
conseguenza, un costante ricambio nella classe dirigente (Ranking, basato su
un’evoluzione della peer-to-peer review).
Wikipolis deve, da un lato, dare a chi lo desideri la chance di provare ad entrare.
Dall’altro deve impedire che ci siano persone che detengono una membership che
non usano e dalla quale altri potrebbero trarre maggiore profitto, per se e per la loro
comunità. Questo come detto è un rischio a cui ci esporrà la prima grande campagna
di adesioni. Per evitare di lasciare una rendita di posizione a persone indesiderabili
useremo lo SCORE.
Premessa: lo SCORE è ottenuto dal Tot Sconti120 x Quoziente TEST
Normalmente un totale sconti di 500 euro è più che sufficiente.
Ad una persona che abbia un Quoziente TEST superiore alla media basterà una
somma proporzionalmente inferiore.
Detto molto semplicemente: se, in Italia, a fronte di 300.000 soci possibili vi fossero
200.000 ulteriori richieste si creerebbe una specie di asta. A quel punto, una persona
che sappia di avere uno score basso può scegliere se rifare il TEST, sperando di
alzare il suo Quoziente, o aggiungere, a mo’ di una tantum, la somma che manca a
far raggiungere il nuovo Valore Medio d’Iscrizione.
Una specie di SAT ad uso (non solo) interno.

120
Il denaro viene “pesato” separatamente. Da una parte gli sconti sugli acquisti dell’individuo e dall’altra i “crediti”
acquisiti per aver attratto esercizi all’interno del network. Un esempio? Io convinco il mio ristorante preferito ad aderire
a Wikipolis e, fatto pari a 100 il totale degli sconti che quel ristorante praticherà a membri di Wikipolis, 10 spetteranno
alla persona che ha fatto da intermediaria tra Wikipolis ed il ristorante. Nessuno di loro ci diventerà ricco, si tratta
semplicemente di un rimborso spese, un piccolo incentivo. Vale soprattutto per persone in pensione che sono, guarda
caso, tra le più importanti per l’iniziale diffusione di Wikipolis.
Gli esercizi che aderiranno si beneficeranno verosimilmente di un maggior numero di clienti. I membri del network. E
solo sulle spese da loro sostenute (a mo’ di commissione di intermediazione per il nuovo cliente) pagherebbero una
certa percentuale dell’importo.
Ranking
La procedura volta a permettere questo dovrà essere perfezionata con il contributo di
molte persone, a partire da due esigenza fondamentali e apparentemente
contrapposte:
a) Quella di instillare nei membri del club la certezza dell’emersione dei migliori.
Un aspetto importante da tener presente è che spesso il modo migliore per attrarre
l’attenzione di una persona che sembra irraggiungibile all’interno del nostro network
è quello di raggiungere qualcuno che abbia una posizione superiore. E da lì scendere.
Normalmente le persone rinunciano ad avanzare proposte perché non ci sono regole
di condotta formalmente accettate riguardo a queste situazioni.
All’interno di Wikipolis, vale il principio di precauzione.
Ovverosia, nel dubbio, non uccidere l’idea. Passala alla persona più competente tra
quelle che conosci. Concediti il beneficio del dubbio.
Sempre con l’obiettivo di migliorare l’attenzione che riceverà chi presenterà
proposte, si istituisce una procedura formale (uguale per tutti) per chi voglia accedere
ad una persona che abbia uno score sensibilmente più alto (e in un area diversa dalla
propria)

b) Quella di salvaguardare il tempo delle persone che possono facilitare


quell’emersione, preservandole dalla continua esposizione a dilettanti che si
postulino solo a causa dell’improvviso “abbassamento del costo” dell’accesso a
quelle persone ed evitare di inflazionare l’accesso alle (ed il tempo delle) persone.
Il web ha abbattuto i tempi di attesa tra il desiderio (di un’informazione, della
fruizione di un prodotto d’intrattenimento, della comunicazione con una persona) e la
sua realizzazione. Questo esponenziale aumento nella velocità delle informazioni ha
enormemente contribuito alla sensazione di accelerazione della Storia, che a sua volta
rende il tempo degli individui più creativi e/o potenti ancora più prezioso.
Strutturare la vita interna di Wikipolis in modo tale che permettesse l’abuso
sistematico di una risorsa preziosa come l’attenzione delle persone in grado di aprirci
le porte decisive, sarebbe un crimine contro l’umanità, nientedimeno. Significherebbe
infatti condannare Wikipolis ad una vita brevissima e ad una morte certa.
Esistono regole per contattare una persona.
Per esempio, perché non debba perdere tempo è necessario specificare in estrema
sintesi le ragioni per le quali si richiede quella sorta di “ricevimento flash”.
Un abstract della lunghezza di quello di un paper potrebbe essere la misura giusta.
Ci potrebbe essere un “tetto” ai contatti che ogni persona decide di ammettere per
unità di tempo (mese), cosa che a sua volta avrebbe conseguenze sul suo “rating”:
una persona più generosa con il proprio tempo riceverà, grazie a questa sua
caratteristica, un rating proporzionalmente più alto.
Per cui se abbiamo Stiglitz e il professore della mia università e Stiglitz ammette x
richieste (dopo un certo screening a cura di una persona da lui designata) con un
tempo di attesa y e il mio professore ne ammette 5x con un tempo di attesa pari ad ¼
y, questo verrà computato nello Score di Wikipolis di Stiglitz e del mio professore (il
quale potrebbe non essere nemmeno compreso nella lista che cito qui di seguito)
Naturalmente si penseranno modi efficaci (ed automatici) per “segmentare” la
priorità della richieste di “ricevimento”.
Un esempio possibile, e che già esiste, è quello di un ranking del top 5% degli
economisti, compilato dall’Università del Connecticut. A circa 1200 tra i migliori
economisti viene assegnata una posizione nel ranking, sostanzialmente d’accordo
all’influenza sulla letteratura accademica.
Naturalmente ogni categoria avrà i suoi elementi di valutazione121.

121
Nel mondo delle imprese, ad esempio, i membri potrebbero essere taggati d’accordo a vari criteri (invece di un unico
criterio medio, poco significativo).
Da una parte il fatturato, dall’altra l’innovazione. È una prima ipotesi, ciò che importa è il concetto. Siccome ci
potrebbero essere resistenze ad una graduatoria nome per nome, la divisione per decili potrebbe essere un buon
compromesso.
Una volta che Wikipolis avrà raggiunto un numero di membri che consideri
appropriato, le sfide immediatamente successive sarebbero quelle della costruzione
della propria infrastruttura.
Mi riferisco naturalmente a:
1) Il sistema di pagamento interno che ci permette di centralizzare le transazioni tra
esercenti/imprese e soci (tesserati) e quindi di trattenere la “commissione di
intermediazione” concordata.
2) Il sito di Wikipolis, che deve essere pensato per poter assorbire un’importante
espansione e un importante volume di traffico, deve raggiungere un delicato
equilibrio tra necessità anche divergenti.
Le esigenze dei singoli professionisti e quelle degli small businesses, quelle della
privacy e quelle della pubblicità.
Non è difficile vedere le differenze tra le esigenze di privacy e protezione dei membri
di un network/club come Wikipolis, e quelle di Facebook o perfino Linkedin. I
membri di quei due social network sono individui che non rappresentano interessi in
competizione con quelli corporativi dominanti.
Naturalmente, alla luce delle prassi che ben conosciamo (non solo per aver letto il
paper di Cass Sunstein), i nostri membri devono sapere che infiltrazioni di persone al
servizio di interessi avversi saranno possibili e forse persino probabili.
La prima difesa, una difesa interna, è quella di essere coscienti di questo rischio e
diffidare di opinioni esterne riguardo a presunti illeciti commessi da membri del club.
La seconda difesa sta nel fatto di essere forti in paesi nei quali questo tipo di minacce
sarebbero meno probabili. Questo rischierebbe di isolare il paese che avallasse un
tipo di infiltrazione volta ad attentare all’onorabilità di Wikipolis e dei suoi membri.

Il Sistema verrà scrupolosamente costruito in modo da poter analizzare ogni tipo di


dati: flussi di persone, di capitali, di merci. Dinamiche del valore aggiunto. Statistiche
sulla demografia. Pattern di consumo.
I membri del club sarebbero identificati genericamente per sesso, età, professione e
localizzazione approssimativa (non indirizzo esatto). Tutto questo ci permetterebbe di
capire come creare&offrire più valore. Per esempio se sappiamo che nel raggio di 1
km vivono diversi professionisti, la sinergia con le associazioni di categoria
permetterebbe di incrociare a) la localizzazione degli esercizi con b) i pattern di
consumo prevalente dei membri residenti in ciascuna zona. Ne risulterebbe la
possibilità di ottimizzare il lavoro dei volontari locali, i quali saprebbero avrebbero le
migliori chances di generare valore.
Tutte le informazioni che possano avere una qualche attinenza con la sicurezza
nazionale saranno condivise con i governi interessati, d’accordo a protocolli di
collaborazione stabiliti al momento dell’inizio delle attività di Wikipolis sul territorio.

Entrambi gli investimenti 1) e 2) necessitano di un capitale iniziale.


Questo capitale dovrebbe essere fornito da donazioni o da prestiti ma senza la
cessione di equity, possibilità chiaramente non è ammessa per Wikipolis (e
comunque all’inizio ci sarebbe ben poco da cedere!). In ogni caso, la presenza di
diversi paesi è di buon auspicio per il reperimento dei capitali122. Tutto naturalmente
dipenderà dai costi da sostenere per i due investimenti, questo, in ultima istanza, è ciò
che farà la differenza. Quanto più alti fossero quanto più pressante si farebbe la
necessità di avere una fonte di reddito indipendente. Questa, sebbene “facile” da
ottenere, sarebbe più adatta ad una seconda fase. Sarebbe tuttavia preferibile
all’eventualità di esporsi ai rischi rappresentati da una pubblica richiesta di donazioni.
Una richiesta pubblica di donazioni potrebbe presentare rischi sia in, sia in caso. Nel
caso andasse (molto) bene, genererebbe ansia a dispetto delle promesse di lealtà e
subordinazione, nel caso andasse (molto) male potrebbe uccidere le speranze e
sgonfiare Wikipolis come un soufflè.

122
L’altra alternativa, finanziariamente più solida (ancorché esecutivamente più lenta e quindi meno desiderabile)
sarebbe la vendita (solo online) di alcune delle creazioni di studenti di fashion design premiate dal network attraverso
concorsi. Siccome il finanziamento andrebbe ad un’attività già profittevole (grazie al numero di soci) sarebbe
virtualmente un no brainer. A quel punto, con i profitti dell’attività si finanzierebbero gli investimenti 1) e 2).
L’obiettivo successivo, quando il sito fosse ultimato ed operativo, sarebbe quello di
mettere in piedi la rete di Imprese & esercizi convenzionati, presso i quali i nostri
soci potranno acquistare.
Le relazioni con i grandi gruppi, naturalmente saranno tenute direttamente da
Wikipolis. Al fine di raggiungere l’obiettivo dei 500 euro di sconti/anno, ogni socio
sarà invitato ad analizzare i propri pattern di consumo e a cercare di coinvolgere
quanti più esercizi possibile.
Ancora più importante sarebbe che ciascuno degli esercizi associati coinvolgesse i
suoi fornitori, soprattutto in settori di grande consumo (e altrettante
concentrazione)123. Questo per quel che riguarda i mercati che già esistono.
C’è poi un grande lavoro da fare, su base locale, in mercati che ancora non esistono,
specialmente nel settore alimentare. Un lavoro di disintermediazione e
coordinamento che permetta di collegare i produttori (attuali e potenziali) ed i
consumatori124.
Per rimanere al caso Italiano, questo importantissima opera attende pensionati
volontari. In Italia sono circa 20 milioni gli over-65. Ne basta l’1%.
Non è difficile. Un ragazzo dell’università potrebbe avere genitori sull’orlo della
pensione (60 anni), ovvero genitori più giovani e nonni non ottuagenari. In provincia
sarebbe relativamente semplice anche la creazione di gruppi di acquisto per gli
anziani. Con un’unica tessera si raccoglierebbero gli sconti di diversi di loro.
Basterebbero quelli sugli alimenti per mettere assieme una buona sommetta
(rendendo loro un grande servizio).
Naturalmente queste sono tutte attività che si potrebbero proporre ma che è meglio
lasciare all’intraprendenza dei membri. Non c’è nulla di peggio che attendersi (e
perfino contare su) la gratuità del prossimo.

123
Ci sono poi imprese che sono grandi consumatrici di carburante o di elettricità che potrebbero essere contattate per
far si che ottengano degli sconti per conto nostro. Le imprese di autotrasporti, per esempio.
124
Quest’attività, se non fosse inserita nell’ambito di qualcosa di grande e prestigioso, attrarrebbe ben poche persone,
magari senza le conoscenze per farle fare il salto di qualità. E di certo non avrebbe una storia internazionale di best
practices alle quali ispirarsi e sulla quale costruire ed innovare.
Appendice
Crown Agents

Crown Agents125 è una società internazionale per lo sviluppo che fornisce


assistenza diretta, consulenza e formazione per la modernizzazione del settore
pubblico, in particolare nella gestione finanziaria, bancaria e della logistica.
Crown Agents lavora con clienti in oltre 100 paesi, grandi agenzie
multilaterali, come la Banca Mondiale, Commissione europea, agenzie delle
Nazioni Unite e donatori bilaterali, come DFID (Department for International
Development), KfW (Kreditanstalt für Wiederaufbau, meaning Reconstruction
Credit Institute ), SIDA (Swedish International Development Cooperation
Agency), CIDA (Canadian International Development Agency), DANIDA
(Danish International Development Agency), JICA (Japan International
Cooperation Agency ) e, naturalmente, USAID (United States Agency for
International Development). Crown Agents è una società a responsabilità
limitata da garanzia, emanazione de "The Crown Agents Foundation" tra i cui
membri troviamo alcune antiche e potenti associazioni, non solo britanniche
ma internazionali, tra queste: British Expertise,The Aga Khan Foundation, The
Chartered Institute of Building, The Chartered Institute of Purchasing and
Supply, Christian Aid, International Business Leaders Forum, International
Chamber of Commerce, The Royal Commonwealth Society, and the Japan
International Cooperation Agency. Il British Department for International
Development è tra I suoi membri fondatori.
125
http://bit.ly/6t4e09
Kris James Mitchener dell’Hoover Institution e Noel Maurer della Harvard
Business School, scrivono di diversi paesi con un passato di sfrenata
corruzione doganale (ma non solo) hanno usato con successo istituzioni esterne
per ripulirle ed aumentare il gettito. La corruzione è un serio problema per
paesi in via di sviluppo ed è particolarmente dannosa quando colpisce le
capacità di esazione dello Stato. L’Angola ha esternalizzato l’esazione dei dazi
alla Crown Agents, una non-profit britannica specializzata nella gestione delle
finanze pubbliche. Risultato: il paese ha triplicato il gettito in pochi anni pur
abbassando le tariffe.
Il caso dell’Angola dimostra che una nazione può ridurre la corruzione e
aumentare le entrate se è disposta a cedere alcune limitate attribuzioni della sua
sovranità a governi o ad organizzazioni private con una solida reputazione di
onesta gestione. I funzionari di Crown Agents infatti rispondono ad incentivi
completamente diversi. I dipendenti di Crown Agents rischiano di perdere
stipendi attraenti e danneggiare la credibilità delle loro organizzazione, qualora
tollerassero o praticassero la corruzione. Siccome il loro incentivo è centrato
piuttosto nella massimizzazione della raccolta e sul perseguimento della
corruzione, l’Angola è riuscita a bloccare l’inerzia della corruzione nella sua
dogana, generare entrate per il tesoro e mostrare un percorso per future riforme.
Perché mai il leader di uno stato dovrebbe accettare di cedere la sovranità ad
agenti stranieri? Primo, usando estranei riduce il potere dei funzionari statali
nell’espropriazione delle rendite. Questo può generare stabilità perché
impedisce la raccolta di risorse che possono essere usate per formare coalizioni
che intendano sostituirsi (a volte con mezzi violenti) al governo in carica.
Secondo, l’uso di outsiders aumenta le risorse disponibili al governo che può
usarle per provvedere servizi pubblici o aumentare il suo potere di coercizione
sugli oppositori violenti, reali o potenziali. Una maggiore raccolta può inoltre
essere usata per facilitare l’accesso a linee di credito, ragion per cui un
incremento anche modesto si traduce in una capacità di spesa sensibilmente
maggiore. Terzo, usare outsiders può facilitare la gestione di processi che
aumentino la trasparenza. Queste tre caratteristiche possono fare moltissimo
per risolvere i conflitti costosi sia in termini politici che economici. Il caso
dell’Angola non è unico. Oggi diverse nazioni stanno facendo la stessa cosa.
I governi di Mozambico, Lettonia, Kosovo, Macedonia e Bulgaria hanno
contrattato Crown Agents per dirigere le loro dogane. In Angola e
Mozambique, Crown Agents ne ha preso il totale controllo.
In Kosovo, la Missione Onu in Kosovo (UNMIK) ha preso il controllo della
dogana e ha Crown Agents come primo contractor. In Lettonia, Macedonia e
Bulgaria, Crown Agents hanno gestito la creazione e le successive operazioni
di squadre anti-corruzione.
Sempre mantenendo una grande maggioranza di funzionari locali.
La Crown Agents for Overseas Governments and Administrations non ha
sviluppato l’attuale capacità e reputazione agendo come organizzazione
privata, bensì come entità appartenente alla pubblica amministrazione
dell’impero britannico.
Il primo “Joint Agents General for Crown Colonies” venne nominato nel 1833
per gestire le dogane e la raccolta per la corona britannica e i protettorati che si
avvalevano dei suoi servizi. In seguito alla trasformazione dell’Impero nel
Commonwealth, l’agenzia iniziò a fare una percentuale sempre maggiore del
suo lavoro insieme a governi sovrani finché, nel report annuale del 1993 si
suggeriva che sarebbe stato desiderabile che la proprietà di Crown Agents
riflettesse una base più ampia del solo governo britannico.
Il Crown Agents Act del 1995 lo trasferì dal Department for International
Development (DFID) ad una fondazione privata che riunisce una vasta
rappresentanza di ONG oltre naturalmente al governo britannico. In un certo
senso, quindi, la nuova entità quasi-privata ha usato la sua reputazione di
efficiente gabelliere imperiale per ottenere contratti oggi.
In Angola, la raccolta aumentò di più del 50% solo nel primo anno di
operazioni (2001), raddoppiò in due, ed era triplicata nel 2004, un epoca in cui
i prezzi del petrolio rimanevano bassi e in cui l’Angola dovette abbassare i dazi
per assolvere agli impegni in materia di WTO. Ma anche il Mozambico ha
visto aumenti simili.
In Bulgaria, il salto è stato del 19% nel trimestre in cui i teams condotti da
Crown Agents hanno iniziato le operazioni. Quando i paesi chiedono l’aiuto di
outsiders possono affrontare sfide istituzionali altrimenti intrattabili Nei casi
descritti i paesi hanno sfruttato l’istituzione esterna per attaccare la corruzione.
Facendo questo I governi hanno aumentato drammaticamente le risorse
disponibili per affrontare investimenti pubblici indispensabili per sostenere lo
sviluppo economico ma troppo a lungo rimandati per ragioni di bilancio126.

126
Il fatto che esista una specie di “Crown Agents” Europeo, non significa che questo sia il centro. Ne esisterà uno
cinese, uno dell’Asean etc.
I suoi profitti passeranno all’autorità regionale di Wikipolis e verranno reinvestiti nell’allocazione dell’anno successivo.

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