La presente pubblicazione
è stata realizzata con il contributo
della Compagnia Assicuratrice
UNIPOL S.p.a.
Traduzione di
Silvio Calzavarini
© 2005, Ediesse
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Progetto grafico: Antonella Lupi
Immagine di copertina: Carla Bernardi
Anne Morelli
Prefazione di
Giulietto Chiesa
EDIESSE
Indice
Prefazione
di Giulietto Chiesa 7
Capitolo primo
Noi non vogliamo la guerra 21
Capitolo secondo
Il campo avverso è il solo responsabile 27
della guerra
Capitolo terzo
Il nemico ha l'aspetto del diavolo o del «cattivo
di turno» 41
Capitolo quarto
È una causa nobile quella che difendiamo e non
degli interessi particolari 49
Capitolo quinto
Il nemico provoca intenzionalmente delle atrocità;
a noi possono sfuggire «sbavature» involontarie 63
Capitolo sesto
Il nemico usa armi illegali 79
Capitolo settimo
Le perdite del nemico sono imponenti,
le nostre assai ridotte 87
Capitolo ottavo
Gli artisti e gli intellettuali sostengono
la nostra causa 91
Capitolo nono
La nostra causa ha un carattere sacro 103
Capitolo decimo
Quelli che mettono in dubbio la propaganda
sono dei traditori 111
7
Di converso, coloro che ostacolano la formazione del con
senso attorno alle guerre debbono essere additati al ludibrio
e all'esecrazione sociale. Essi verranno variamente definiti
traditori, anti-patriottici, quinte colonne del nemico. Nel
l'accezione più moderna: terroristi, o complici del terrori
smo. Nei loro confronti potranno essere intraprese le più
svariate forme di rappresaglia, ed esse saranno tutte giustifi
cate. Il grado di violenza della rappresaglia sarà in funzione
del danno che individualmente e collettivamente i disturba
tori del consenso saranno in grado di infliggere.
Con il linguaggio moderno, l'operazione di costruzione
del consenso dev'essere preventiva. Obbligatoriamente. Poi
ché le vere motivazioni con cui si fanno le guerre alla fine
del xx secolo e agl'inizi del XXI sono sempre più inconfessa
bili e debbono essere tenute accuratamente nascoste, si ri
chiede dunque una puntuale organizzazione preventiva e
complessa di motivazioni fittizie. Nulla dovrebbe essere la
sciato al caso. Le notizie false e tendenziose atte a rendere
acquiescente il grande pubblico saranno predisposte con
tempismo e precisione. Il sistema dei media è l'incaricato
principale per questa bisogna. L'operazione prende il nome
di «conquista dei cuori e delle menti», intendendosi con ciò
che si <leve agire simultaneamente sulla ragione e sulle emo
zioni. La ragione sarà opportunamente fuorviata, adducen
do motivazioni fittizie, modulate però in termini apparen
temente logici e razionali. L'emozione sarà affidata preva
lentemente alle immagini televisive, la cui manipolabilità
crescente - in proporzione diretta con gli sviluppi della tec
nologia - le rende particolarmente efficaci.
Nelle epoche precedenti, quando il villaggio globale non
era ancora in funzione, la «conquista dei cuori e delle menti»
era assai più agevole, in quanto la massa di persone che do
vevano essere convinte era decisamente minore. Si trattava
inoltre di élites dominanti già in gran parte pronte a esporta
re i propri alti interessi e valori con la forza. Del resto il di
scorso sociale era essenzialmente confinato all'interno di ri
strette élites, con le masse forzatamente escluse per ragioni
di censo o di assenza di alfabetizzazione.
8
Nell'epoca moderna larghe masse di popolazione ormai
relativamente alfabetizzate sono state proiettate nell'arena
politica e si sono convinte di avere diritto a qualche spiega
zione. Il problema di conquistare i loro cuori e le loro menti
è divenuto quindi assai complesso. Contemporaneamente,
come s'è detto poc'anzi, le nuove conquiste della scienza e
della tecnica permettono oggi di collocare nelle mani delle
oligarchie dominanti mezzi di manipolazione di massa di
una potenza sconfinatamente superiore a quelli della prima
metà del secolo xx.
Nel presente volume sono indicate le metodologie, si po
trebbe dire eterne, con cui i padroni del potere hanno giusti
ficato - a se stessi non meno che agli altri - le guerre che an
davano progettando e realizzando. Esse hanno valore ancora
oggi e una qualunque facoltà di scienza della comunicazione
dovrebbe assumerle come regole generali. Si tratta di una
specie di manuale di istruzioni che gl'intellettuali e, in parti
colare, i giornalisti dovrebbero conoscere a memoria, per evi
tarle. Sfortunatamente una anche approssimativa lettura dei
giornali nostri contemporanei ci convincerà che queste regole
non le conosce quasi nessuno e molti di quelli che potrebbero
conoscerle non hanno alcuna intenzione di disfarsene.
Informatori pubblici del calibro di J arnie Shea (portavoce
della NATO durante la guerra del Kosovo-Jugoslavia, ingiu
stamente precipitato nell'oblio dopo la strepitosa vittoria
delle truppe alleate contro il demone Milosevic) potrebbero
così apprendere tutte le tecniche di conquista dei cuori e
delle menti elaborate nel corso degli ultimi secoli.
Più alcune, più moderne, anzi contemporanee, tipiche del
villaggio globale.
Una di esse consiste nell'usare l'immenso flusso di notizie
della società moderna per insinuarvi i preparativi di guerra
in modo graduale. Una specie di mitridatizzazione preventi
va a livello di massa. Veleni graduali da somministrare poco
per volta, in modo che, quando la violenza deve infine co
minciare, essa sia stata già introiettata come normale, inevi
tabile, logica, senza alternative. Il sistema mediatico offre
una varietà infinita di strumenti per questi scopi. Mentre un
9
tempo nemmeno troppo lontano - diciamo cinquant'anni
orsono - raggiungere con questi veleni milioni, miliardi di
persone avrebbe comportato immensi dispendi di energie e
sarebbe stato comunque impossibile in tempi relativamente
brevi, adesso ciò può essere realizzato con una rapidità ecce
zionale e a prezzi davvero convenienti.
Si pensi ali'«effetto mondo» ottenuto con la distruzione
delle torri gemelle del World Trade Center di New York.
Tutto il mondo civile, e perfino larghe aree del mondo inci
vile (quelle dotate di corrente elettrica) poterono capire, in
un solo attimo, perché doveva cominciare la guerra planeta
ria contro il terrorismo internazionale. Guerra che, una vol
ta visto quello spettacolo, non poteva che essere considerata
inevitabile. E senza fine, dato il compito immane rappresen
tato dalla ineluttabile necessità di combattere un nemico
diffuso su scala mondiale e proveniente dalle aree più po
polate e più povere del pianeta.
Senza avere «visto» quello spettacolo l'effetto non sarebbe
stato possibile. Nemmeno i racconti, scritti e parlati, di mi
gliaia di propagandisti, di artisti, di personaggi della cultura
e dello spettacolo di tutto il mondo civile sarebbero riusciti
nell'intento di rendere comprensibile la guerra nella quale
siamo oggi immersi e - stando alle parole dei nostri condot
tieri americani - lo saremo per i prossimi cinquant'anni.
Nemmeno le decine di migliaia di giornalisti - che pure
hanno svolto instancabilmente il loro compito di magnifica
re la guerra che stava per iniziare, addobbandola di valori
come un gigantesco albero di Natale - sarebbero riusciti
nell'intento di far metabolizzare la guerra senza quelle im
magini di morte e di distruzione. E, senza quelle immagini,
non sarebbe stato possibile organizzare la guerra contro
l'Afghanistan e poi quella contro l'Iraq, e nemmeno quelle
successive che verranno: prima tra tutte quella che incombe,
contro l'Iran. Come si sarebbe potuti entrare in guerra senza
la possibilità di usare soltanto cinque piccole parole magi
che: ((è-stato-Osama-bin-Laden»?
La seconda regola, che Lord Ponsonby non ha potuto elen
care tra quelle eterne da lui catalogate con la massima preci-
10
sione (secondo cui tutti i bellicisti più accaniti riescono a far
si passare per agnelli, addossando al nemico tutte le respon
sabilità, demonizzandolo, assegnandogli una ferocia belluina,
privandolo di valori, definendolo semplicemente ed efficace
mente come il Male, eccetera), riguarda quella che chi scrive,
modestamente, ha battezzato come «rumore di fondo».
È un principio nuovo, che ha anch'esso la sua matrice
nella tecnologia dell'immagine, e che consente di manipola
re l'homo videns - recente mutazione antropologica così defi
nita da Giovanni Sartori - con effetti duraturi e tali da af
fondare in profondità nei meandri della psiche umana. Un
tempo infatti le motivazioni favorevoli alla guerra (nostra
contro gli altri), guerra di vincitori in linea di principio, tan
to più che scatenata contro i più poveri e i più deboli, guerra
che in altre epoche sarebbe stata considerata eminentemen
te vigliacca, erano tutte costruite sulla base di principi «ra
zionali». Dovevano essere «propagandate», esaltate, spiega
te. Si trattava in sostanza di «informazione». Bugiarda quan
to si vuole, ma informazione.
Il «rumore di fondo» è qualcosa di immensamente più
pervasivo. Esso comprende, simultaneamente, tutto ciò che
si vede attraverso i mass media elettronici: informazione, in
trattenimento, pubblicità. Tutto può - e deve - essere usato
ai fini di guerra. Anche ciò che, apparentemente, con la
guerra non c'entra, ma che rientra nella logica di guerra
appena uno scalino al di sotto della ragione cosciente. Me
glio se diversi scalini al di sotto, così è più difficile farlo
emergere in superficie mediante un ragionamento qualsiasi,
o l'esercizio dell'analisi critica elementare. Basta per esem
pio (ed è il più banale degli esempi possibili) che il nemico
venga equiparato a colui che mette a repentaglio il tuo teno
re di vita, il prezzo della benzina che compri ogni mattina al
distributore. Osama bin Laden vuole portare via i tuoi valo
ri, tutti. La tua quiete, i tuoi consumi, la tua libertà. Noi lo
combattiamo perché tu possa godere di un vasto parco erbo
so, di un grande appartamento, di una macchina di lusso,
della casa in montagna e al mare, di un tenore di vita son
tuoso, della più sconfinata libertà. Tu, naturalmente, non
11
possiedi nulla di tutto questo, ne sei anzi molto lontano, ma
ne senti il profumo, ogni giorno, da quando sei nato. E que
sto profumo lo sentirai fino alla tomba. Solo quello. Ti par
liamo della libertà e intendiamo la nostra, quella di mani
polarti, la libertà d'impresa, cioè la libertà di tosarti. E tu in
tenderai la tua piccola libertà personale, quella di comprarti
un biglietto per andare in vacanza alle Maldive. Un grande
qui pro quo.
Basta che questo rumore di fondo ti entri nella testa ed
ecco realizzato il miracolo: non sentirai altro. O, per meglio
dire, potrai sentire anche le urla di qualcuno che cercherà di
dirti qualche cosa di diverso, che cercherà di metterti in
guardia. E queste urla, picchi alti in un monotono scorrere
di suoni, e di immagini, saranno usate per dimostrarti che il
pluralismo è stato garantito: tutti possono parlare, ti diran
no nei rari momenti in cui sarai sveglio.
Potrai vedere anche qualche immagine tremenda, di san
gue, che preferiresti non vedere, di qualche bambino fatto a
pezzi, di qualche effetto collaterale, ma essa annegherà nel
grande rumore di fondo prodotto dalla Fabbrica dei Sogni
in cui sei stato immerso fino al tallone, Achille istupidito e
sordo.
Infine il «rumore di fondo» ha un'altra valenza insupera
bile: che dal gran mare di suoni e d'immagini si potranno
togliere, senza che quasi nessuno se ne accorga, tutte le cose
che contraddicono l'agenda del giorno che noi abbiamo
compilato per te e che compiliamo ogni giorno, diligente
mente. In ogni caso, siccome il fiume è immenso, le poche
cose che contano saranno comunque assai poco visibili, so
verchiate dal frastuono delle chiacchiere, dei pettegolezzi,
delle banalità tristi e feroci della vita quotidiana che è a por
tata di mano. E quando nemmeno la vita quotidiana sarà co
sa che ti si potrà concedere di vedere (chissà mai che ciò
t'induca a riflettere sulla vita reale tua e dei tuoi figli), use
remo per te ondate di donne semi denudate, il folklore, l'e
sotico, perfino il dolore altrui, affinché tu ti distragga abba
stanza per non arrivare a vedere nemmeno la punta delle
tue scarpe modeste e massificate.
12
S'è detto che il sistema mediatico - di cui Lord Ponsonby
non conosceva ancora la potenza - è decisivo e cruciale per
tutto questo. La televisione ne è la regina incontrastata. Chi
la possiede ha in mano l'agenda del giorno di milioni e mi
lioni di persone. Chi la possiede può comprare coloro che la
faranno funzionare nel suo interesse. È per questo che da
decenni i potenti di ogni latitudine cercano di privatizzarla.
In ogni modo. La mantengono statale solo dove e quando
hanno in mano lo Stato. Dove sarebbero costretti a dividerla,
la privatizzano. Il caso italiano è la somma di entrambe le
soluzioni, in cui il privato per eccellenza è diventato padro
ne della 1V privata e, in quanto padrone dello Stato, anche
di quella pubblica. E poiché esiste la lontana possibilità che
un giorno perda lo Stato (remota, in queste condizioni) me
glio privatizzarla comunque, visto che l'unico acquirente
possibile è lui in persona.
Qui si dovrebbe aprire il discorso sugl'intellettuali. Perché
sono loro - non tutti, ma in parte decisiva - coloro che que
sta televisione la fanno per conto dei proprietari. Ora noi
possiamo dire, con l'autrice di questo bel libro, che la guerra
appanna il senso critico degl'intellettuali. Ma non solo la
guerra. Il denaro è una nebbia altrettanto densa. Gli artisti e
gl'intellettuali, in Italia e altrove, sono nella loro grande
massa - massa relativa, di fronte alle grandi masse di un
paese moderno, ma massa cruciale, perché è la massa dei
propagandisti, cioè di coloro che hanno accesso ai media -
assai inclini a farsi obnubilare. Dei giornalisti è meglio non
parlare neppure. Nell'un caso e nell'altro coloro che si di
stinguono sono eccezioni, ed esse, come s'è visto, affogano
nella corrente del rumore di fondo.
Si è visto qui che artisti, giornalisti, intellettuali sono sta
ti inclini a sostenere la causa della guerra in tutte le guerre
del secolo xx. Forse non è la maggioranza (resta questa
speranza, ma è solo una speranza), ma è quello che si è vi
sto e sentito, a conferma di ciò che andiamo dicendo, e
cioè che per gli altri non c'è spazio mediatico: per questo
non si vedono e non si sentono. Vengono occultati, quindi
non esistono.
13
Questo libro è stato scritto in Belgio e, assai lodevolmen
te, ci elenca una (piccola) serie (esemplificativa) di canaglie
intellettuali belghe e francesi. Contemporanei che si sono
presi sulla coscienza la responsabilità di propagandare le ul
time guerre, giornalisti che hanno messo la professione sot
to i calcagni, assumendo le informazioni che venivano dal
potere senza neppure tentare di sottoporle a un vaglio ele
mentare. Qualche volta inventando essi stessi, direttamente,
il falso senza aspettare l'imbeccata. Intellettuali embedded,
anche se se ne stavano quieti dietro le loro scrivanie e le loro
cattedre. Manca ancora un autore che abbia il coraggio di
farci il ritratto dei giornalisti italiani e dell'intelligencija ita
liana: si può solo dire che hanno fatto di peggio.
Il problema però non sono loro.
Il Leviathano della guerra ha preso nelle sue mani il Mo
loch dell'informazione. E le forze democratiche in Occiden
te non si sono accorte che questo sposalizio è la fine della
democrazia liberale. E che, se c'è una via d'uscita ancora
democratica, essa non può essere ricercata nell'eroismo in
dividuale di chi produce informazione e cultura, bensì nella
organizzazione della gente, dei manipolati, dei consumatori
del rumore di fondo. Solo così, se appoggiati dall'esterno, i
prigionieri, oggi vili e silenziosi, nella torre del sapere e
della comunicazione di massa, potranno essere liberati, in
sieme ai milioni che non sanno leggere la televisione, perché
nessuno ha mai cercato di insegnarglielo.
14
Principi elementari della
propaganda di guerra
Grazie, Lord Ponsonby!
17
presente libretto nasce, quasi un secolo più tardi, dalla sua
stimolante riflessione sulla propaganda di guerra nel primo
conflitto mondiale.
Arthur Ponsonby (1871-1946) proveniva da una delle più
nobili famiglie britanniche. È infatti barone e nasce proprio
nel castello di Windsor, dato che suo padre era niente meno
che il segretario particolare della Regina Vittoria.
Dopo gli studi a Eton e a Oxford - consueti, nel suo am
biente - entra nella diplomazia britannica e in seguito viene
eletto alla Camera dei Comuni come membro del partito li
berale (cosa assai audace per quei tempi).
Ostile all'entrata in guerra della Gran Bretagna nel 1914,
abbandonò il partito liberale per iscriversi al partito laburi
sta (atto ancora più inaudito per un aristocratico dell'epoca)
del quale divenne rappresentante alla Camera dei Comuni e
successivamente alla Camera dei Lord.
Collaborò ai governi laburisti e fu, in sequenza, sottose
gretario di Stato agli Esteri, ministro dei Trasporti e capo
dell'opposizione laburista alla Camera dei Lord.
Quando, nel 1940, il partito laburista appoggiò la Sacra
Unione, Arthur Ponsonby, fedele alle sue convinzioni pacifi
ste, ruppe anche con il partito laburista.
Nell'ottobre del 1914 aveva fondato, con tre liberali in
glesi di chiara fama (Norman Angell, Edmund D. Morel e
Charles Trevelyan) e il leader del partito laburista Ramsay
McDonald, la Union of Dnnocratic Contro!. Questa asso
ciazione aveva come scopo l'esercizio di un controllo pub
blico e permanente sulla politica estera inglese. Malgrado
le azioni giudiziarie con le quali furono perseguiti i suoi
membri\ la Union of Democratic Contro! pubblicò, durante e
dopo la guerra, dei libelli polemici che contestavano la
propaganda ufficiale del governo britannico. L'Unione
estese la sua influenza all'estero, soprattutto attraverso la
rivista mensile Foreign Ajfairs, che aveva come sottotitolo A
Journal of International Understanding.
In Francia, la Union of Democratic Contro! (UDC), di cui
18
Arthur Ponsonby era stato uno dei fondatori, aveva come
affiliata la Société d' études sur la guerre e l' Union popoulaire
pour la paix e aveva patrocinato la pubblicazione dell'opera
di Georges Demartial intitolata Comment on mobilisa les con
sciences 1
•
19
unico proposito è illustrare questi principi di propaganda,
universalmente applicati, e descriverne i meccanismi.
E se la dimostrazione è più facile per le guerre «calde»,
nelle guerre <<fredde» o «tiepide» non si manca d'usare tut
tora i vecchi principi di Ponsonby, così comodi ed efficaci...
20
Capitolo primo
Noi non vogliamo la guerra
21
che i nostri alleati si dichiaravano impegnati per la pace,
dobbiamo tuttavia constatare stupefatti che anche nelle di
chiarazioni delle potenze dell'Asse si diceva esattamente la
stessa cosa.
È istruttivo, ad esempio, prendere visione, in parallelo,
dei cinegiornali d'attualità proiettati nelle sale cinematogra
fiche degli Stati Uniti e del Giappone quando, nel dicembre
1 941 , i due paesi entrarono in guerra. L'ammiraglio Tojo e
il presidente Roosevelt, infatti, tennero in questa occasione
un discorso che era, quasi testualmente, uguale. Entrambi si
dissero pacifisti e contrari alla guerra.
Questo fu un tema frequente nei discorsi di Franklin D.
Roosevelt. Lo si ritrova nei messaggi del 1 6 maggio e del I O
luglio 1 940, in cui chiede al Congresso crediti ingenti per la
creazione di un esercito più grande e meglio organizzato,
ma dove assicura:
Non solo tutti i cittadini americani, ma tutti i governi del mondo,
sanno che noi ci opponiamo alla guerra. Non impiegheremo que
ste armi in una guerra d'aggressione; non invieremo soldati a
combattere una guerra in Europa. Respingeremo, però, assalti agli
Stati Uniti e all'emisfero occidentale ' .
1
In A merica Chooses! in the Words of Presidrnt Roosevelt (june 1 940 - fune
1 94 1 ) di Gordon Beckles (pseudonimo), Harrap, London 194 1 , p. 23.
'.! Le Livre ja une français. Documents diplomatiques 1 938- 1 939, pièces relatà,es
a u,. é11énements et O IL\ négociations qui 011! précedé /'01wertu re des hostilités entre
1:4/lemagne d'une pari, la Pologne, la Gra nde-Breta gne et la France d'autre pa ri,
pubblicato dal Ministero francese degli Affari esteri, Imprimerie Nationale,
Paris 1939.
22
Già nel 1936, all'interno dell'accordo germanico-austriaco
firmato dai governi del Reich e dello Stato Federale Austria
co, si dichiarava che questi Stati avrebbero modificato le loro
((relazioni nella convinzione di fornire un prezioso contribu
to all'evoluzione generale dell'Europa nella salvaguardia
della pace».
Quando la crisi sfociò nello smembramento della Ceco
slovacchia, Hitler nel suo discorso al Palazzo dello Sport di
Berlino, il 26 settembre 1938, dichiarò a proposito del suo
incontro con Chamberlain: <(Gli ho assicurato che il popolo
tedesco non vuole nient'altro che la pace, ma ho altresì di
chiarato che non posso neppure forzare indefinitamente i
limiti della nostra pazienza».
Nello stesso discorso - un anno prima dell'invasione della
Polonia - Hitler citò l'accordo tedesco-polacco come un mo
dello:
23
metteva fine all'esistenza della stessa Cecoslovacchia, si apri
va con l'espressione «della convinzione che lo scopo di tutti
gli sforzi deve essere d'assicurare la tranquillità, l'ordine e la
pace in questa parte dell'Europa centrale» 1.
Van Ribbentrop, alludendo alle relazioni tra Germania e
Polonia, dichiarò a Monsignor Tiso, capo del governo slo
vacco: «Il Fiihrer non vuole la guerra. Non vi farà ricorso se
non a malincuore» :;.
Lo stesso Goring, rivolgendosi alle maestranze della «Rhein
metal» all'inizio di agosto 1939, tenne ad affermare che
1
Corrispondenza dell'ambasciatore tedesco a Parigi indirizzata al mini
stro francese degli Affari esteri, Georges Bonnet, in data 15 marzo 1 939
(Livre jaune, cit., p. 89).
" Lettera dell'incaricato d'affari francese a Berlino al ministro francese
de�li Affari esteri in data 6 aprile 1 939 (Livre jaune, cit., p. 126).
' .Lettera dell'incaricato d'affari francese a Berlino, de Saint Hardouin, a
Georges Bonnet in data 1 O agosto 1 939 (Livrejaune, cit., p. 264).
24
gedia del 1 9 1 4- 1 9 1 8 [ ... ] Abbiamo rinunciato all'Alsazia Lorena per
evitare un nuovo spargimento di sangue.
25
te del Consiglio, «d'aver lavorato senza posa e senza tregua
contro la guerra, fino all'ultimo minuto» 7 •
26
Capitolo secondo
Il campo avverso è il solo responsabile
della guerra
27
novembre 1914, assicurava: «Se la Germania non l'avesse
voluto, non ci sarebbe stata la guerra; solo [corsivo dell'au
trice] la Germania ha voluto la guerra».
Nello stesso senso, il quotidiano Le Matin del primo di
agosto del 1914 sosteneva: «Tutto quello che si doveva fare
per evitare la guerra, l'abbiamo fatto. Se, comunque, la
guerra scoppierà, noi la saluteremo con una grande speran
za». E Le Temps del 2 agosto 1914 scriveva: «Dato che questa
guerra ci è imposta [corsivo dell'autrice] noi la combatteremo
con il cuore».
28
vennero con lo stato maggiore belga che, in caso di guerra
con la Germania, sarebbero sbarcati preventivamente nelle
Fiandre\
Parigi e Londra si sentirono, piuttosto, assai sollevate
quando, nell'agosto 1914, la Germania costrinse il Belgio ad
aprirle il passo.
In questo gesto di forza infatti trovarono il pretesto per
giustificare, davanti alle loro pubbliche opinioni, la propria
entrata in guerra. Era «l'altro» che l'aveva voluto. Quando
gli Stati Uniti entrarono in guerra il 2 aprile 1917 fu pure
per «punire le aggressioni [corsivo dell'autrice] illegali della
Germania contro i cittadini ed i beni americani che la neu
tralità del paese non proteggeva più adeguatamente» 1 •
In questo modo ciascun contendente presentava la sua en
trata in guerra come la risposta ad un'aggressione.
Il Trattato di Versailles, imposto ai tedeschi nel 1919 do
po la sconfitta, precisa all'articolo 231 che la Germania rico
nosce la sua totale responsabilità della guerra. Assieme ai
suoi alleati, è
lvi, P· 39.
'. l
1 Pierre Moniot, Les Etats-Unis et /,a neutralité de 1 93 9 à 1 94 1 , Paris 1946,
pp. 6-7. Il presidente Wilson era stato eletto per il suo isolazionismo, ma i
siluramenti del Lusitania prima e poi dell'Arabic fornirono il pretesto per
l'ingresso degli USA nel conflitto, cosa, peraltro, che ci si augurava assai
remunerativa per l'economia e le imprese di quel paese.
5
Il testo del Trattato di Versailles, firmato il 28 giugno 1 929, si trova in
Louis Le Fur e Georges Chklaver, Recueil de textes de droit international public,
Paris 1 934, p. 297 e seguenti.
29
Non pretendo che l'Austria e la Germania in primo luogo abbiano
avu to l'intenzione cosciente e fondata di provocare una guerra ge
nerale. N on esistono documenti che ci diano il diritto di supporre
che in quel momento furono fatti progetti sistematici in questo
senso.
Non posso dire che la Germania ed i suoi alleati siano stati i soli
responsabili della guerra che ha devastato l'Europa [ . . . ] L'abbiamo
sostenuto Lutti durante la guerra ed è stata una delle armi utilizzate
in quei momenti; ora che la guerra è terminata non possiamo
prenderlo come un argomento serio [ . . . ] Quando sarà possibile
esaminare con cura i documenti diplomatici della guerra e quando
il passare del tempo ci permetterà di giudicare con calma, si vedrà
che l'atteggiamento della Russia [alleata della Francia, n.d.a. ] è sta
to la causa reale e profonda del conflitto mondiale.
30
ad esempio, decise controvoglia di opporsi e solamente per
ché era indissolubilmente legata alla Cecoslovacchia. Il go
verno francese non poteva non onorare la sua parola, la fir
ma della Francia e il suo impegno incrollabile e sacro.
Questo è il punto di vista della nostra parte, che è anche
quello dei vincitori.
Ora, tuttavia, per quanto riguarda quest'ultimo punto, si
sa che nessuna firma, nessun trattato obbligava la Francia, in
caso d'attacco tedesco alla Cecoslovacchia, a portare automa
ticamente aiuto ai cecoslovacchi.
Poteva farlo, se era nel suo interesse, ma niente l'obbliga
va, né il patto di mutua assistenza stipulato tra i due paesi
nel 1924, né quello firmato a Locarno nel 1925.
Nel patto del 1924, i due paesi s'impegnavano <<a con
certarsi sulle questioni di politica estera» (articolo 1) e a
mettersi «d'accordo sulle misure appropriate a salvaguar
dare i loro interessi comuni nel caso che questi fossero mi
nacciati» (articolo 2), cosa che è evidentemente lontana dal
rappresentare «un obbligo della Francia nei confronti della
Cecoslovacchia».
Quanto agli accordi di Locarno, la Francia e la Cecoslo
vacchia avevano altresì concluso un patto d'assistenza milita
re reciproca, che valeva in caso d'aggressione tedesca, però
questo patto, al suo ultimo articolo, si dichiarava decaduto se
in quel momento non fosse stato più in vigore il patto gene
rale di Locarno (,.
Ora è evidente che nel 1938 il patto di Locarno, denun
ciato da molto tempo dai suoi diversi firmatari, non era altro
che un ricordo storico e che il patto franco-cecoslovacco era
ormai automaticamente decaduto. Le autorità francesi però
si guardarono bene dal farlo sapere alla pubblica opinione,
<i Per il testo degli accordi di Locarno, firmati il 1 6 ottobre 1 925, si \'eda
Louis Le Fur, Georges Chklaver, op. cii . alle pagine 879-880, O\'e si trove
ranno pure gli accordi che vincolavano Francia e Polonia. All'anicolo 1 i
due paesi s'impegnavano a prestarsi aiulo ed assistenza nel caso si dovesse
far ricorso alle armi. All'articolo 4 (p . 880) si prevedeva che questo trattato
sarebbe rimasto in vigore alle stesse condizioni dell'Accordo di Locarno,
firmato nella medesima giornata.
31
in quanto, omettendo di precisarlo, accreditavano l'idea che
la Francia fosse obbligata a far la guerra, una guerra eviden
temente presentata come difensiva.
32
tura degli anglo-francesi, in quanto metteva artificialmente
insieme i cattolici slovacchi con i laici cechi 7 e importanti
minoranze tedesche, ungheresi, rutene, rumene e polacche,
allo scopo principale d'indebolire la Germania.
La Cecoslovacchia del periodo tra le due guerre non può,
peraltro, essere vista - per quanto riguarda il trattamento
delle minoranze - come il modello di tolleranza e democra
zia che si è voluto presentare, comunque non più della Po
lonia, alleata certa di Francia e Gran Bretagna, ma preda
d'un regime autoritario (il maresciallo Pilsudski, il colon
nello Beck... ) e inoltre - ma questo non fa evidentemente
parte della propaganda tedesca ostile alla Polonia - violen
temente antisemita.
Nel momento in cui si producevano le crisi che precedet
tero la seconda guerra mondiale, i tedeschi assicuravano di
stare solo reagendo alle violenze e alle minacce degli anglo
francesi o dei loro protetti.
Così, circa la questione ceca, la propaganda tedesca non
esitava ad affermare che la Germania aveva solamente rea
gito alla mobilitazione organizzata dal presidente Benes a
metà del mese di maggio del 1 938 e che, nel 1939, avevano
invaso la Polonia per rispondere alle provocazioni polacche.
Hitler, scrivendo al Foreign Office 8 alla vigilia dell'inva
sione della Polonia, denunciò - cosa che risulta alquanto ci
nica conoscendo il personaggio e i tristi destini riservati, nei
suoi progetti, ai popoli slavi - da parte della Polonia contro
le minoranze tedesche
7 La divisione dei cechi dagli slovacchi, negli anni '90, vista come una
fatalità, può essere presentata dai tedeschi come la vittoria «finale» di que
sta tesi.
8
Testo trasmesso a Parigi dall'ambasciatore di Francia a Londra il 30
agosto 1 939, Livre jaune, cit., p . 355.
33
grande potenza. Ciò ha forzato la Germania - suo malgrado - dopo
essere rimasta per numerosi mesi spettatore passivo, a prendere a
sua volta le misure necessarie per la salvaguardia dei legittimi inte
ressi tedeschi [corsivi dell'autrice] .
34
guerra. Il primo settembre 1939, van Ribbentrop giustificò
l'ingresso delle truppe tedesche in Polonia assicurando che
truppe polacche avevano fatto delle incursioni in territorio
tedesco, che la Polonia aveva provocato la Germania e inva
no si era atteso un negoziatore polacco.
Il Fiihrer non vuole la guerra. Non vi ricorrerà che di malavoglia.
Non è da lui, comunque, che dipende la decisione in favore della
pace o della guerra. Dipende dalla Polonia. Su certe questioni
d'inte-resse vitale per il Reich, la Polonia deve cedere e riconoscere
quelle rivendicazioni cui non possiamo rinunciare. Se rifiuterà, è
certo che è su di lei che ricadrà la responsabilità del conflitto e non
sulla Germania 9 •
35
Quando vennero rotte le relazioni diplomatiche tra Ger
mania e Stati Uniti, Hitler ne fece ricadere le responsabilità
su Roosevelt, dietro il quale vedeva i suggerimenti e gli inte
ressi della finanza internazionale e degli ebrei.
Secondo lui, il presidente americano trascinava il suo pae
se in guerra per sviare l'attenzione della pubblica opinione
dalla politica interna e dall'insuccesso del New Deal. Inoltre,
10
Discorso di Hitler riprodotto in P. Monniot, op. cit., p. 355.
36
I bellicisti più accaniti si sforzano di farsi passare per
agnelli e di addossare al nemico tutta la responsabilità del
conflitto. Riusciranno in questo modo a persuadere le loro
pubbliche opinioni (e forse anche se stessi) di essere in stato
di legittima difesa.
Faccio presente che il mio proposito non è certo di mette
re sullo stesso piano aggressore ed aggredito, ma piuttosto
di mostrare come, in entrambi i campi, venga utilizzato lo
stesso linguaggio. Al momento dello scoppio d'un conflitto,
e in assenza dell'insieme di fonti ed archivi che permettano
di dirimere la questione, è molto spesso assai arduo dire chi
è realmente l'aggressore.
Questo secondo principio di propaganda di guerra («Il
campo avverso è il solo responsabile della guerra») è stato
applicato molte volte anche dopo la seconda guerra mon
diale. Qualche esempio basterà a mostrarlo.
37
Non fa evidentemente alcun cenno a ricerche simili fatte
dagli occidentali, i quali - a quel tempo - si erano impegnati
«a cessare ogni attività in questo campo, comprese le ricer
che» 1 2 • La campagna americana per la costruzione dei «mis
sili antimissile» viene presentata come una «difesa» necessa
ria contro un'ipotetica aggressione degli Stati Uniti da parte
di missili nemici dalle ultra prestazioni, anche se, data la si
tuazione geostrategica attuale, ci si potrebbe chiedere da
dove possano arrivare...
Nella guerra che nel 1 999 la NATO ha condotto contro la
Jugoslavia, i governi europei, un po' imbarazzati di fronte
alle loro pubbliche opinioni per essere stati trascinati in un
conflitto sul quale i loro parlamenti non erano stati consulta
ti - nonostante l'obbligo costituzionale di farlo, presente in
molti paesi - utilizzarono largamente nella loro propaganda
l'argomento dell'obbligo di unirsi alla guerra nel quale si era
no trovati i paesi europei. Così, Christian Lambert, capo di
gabinetto del ministro belga della Difesa, ad alcuni studenti
che gli chiedevano il perché della partecipazione belga ai
bombardamenti sulla Jugoslavia rispose che per il Belgio era
un obbligo legato alla sua adesione alla NATO':'.
Questa risposta è classica, tuttavia non corrisponde alla
realtà.
Ci sarebbe stato obbligo, per i paesi europei, di partecipa
re alla guerra, se uno Stato della NATO fosse stato aggredi
to, ma questo non era certo il caso per quanto rigu arda la
guerra alla Jugoslavia. Non c'era stata un'aggressione serba
contro uno Stato membro e se ci fu una qualche aggressione
fu quella commessa, al di fuori di ogni mandato ONU e sen
za l'accordo dei parlamenti dei paesi europei che partecipa
vano all'operazione 14, contro uno Stato sovrano.
1 2 Articolo di Pierre Lellouche intitolato «Al pericolo nucleare segue la
minaccia batteriologica e chimica, il flagello del XXI secolo . Inchiesta in
Russia. Gli scienziati pazzi della guerra biologica», in Paris-Match, 20 giu
gno 2000, pp. 103-107.
1 3 Seminario di scienze politiche all'Università Libera di Bruxelles del 30
novembre 1999 ( «Questioni politiche e amministrative del Belgio»).
14 L'articolo 35 della Costituzione francese, ad esempio, è chiaro su que
sto argomento: «La dichiarazione di guerra è autorizzata dal Parlamento ».
38
In questa stessa guerra, il princ1p10 «È stato lui che ha
cominciato» è stato largamente applicato dalla propaganda
occidentale e particolarmente in una forma che Arthur Pon
sonby aveva ben segnalato: il nemico disprezza e sottostima
la nostra forza, non possiamo più attendere, siamo obbligati
a mostrarla.
Questo argomento è stato assai utilizzato contro Saddam
Hussein: nel 1990 aveva, «sfidato la comunità internazio
nale [quest'ultima espressione merita certamente un'anali
si] invadendo [o «recuperando», secondo il punto di vista! ]
il Kuwait».
Le Soir del 2 agosto 2000, commemorando il decimo an
niversario dell'evento che aveva dato origine, agli inizi del
1 99 1 , alla guerra del Golfo, titolava in prima pagina: «2 ago
sto 1990, Saddam sfida il mondo sul Kuwait».
La propaganda occidentale, nel 1 999, assicurava allo stes
so modo che la Jugoslavia sfidava la NATO e la costringeva a
replicare con la violenza. Così Le Soir del 18 aprile 1999
scriveva: «La NATO viene sfidata con stupefacente cinismo:
la prima potenza armata del mondo potrà giustificare a lun
go il suo attendismo?». E Le Monde del 6 e 7 agosto 2000 ti
tolava: «Le nuove provocazioni» [corsivo dell'autrice].
La NATO assicurò, all'epoca, di reagire ad una campagna
di «pulizia etnica» dei serbi contro gli albanesi del Kosovo.
Con il passare del tempo, gli esperti internazionali della
OCSE confermarono documenti interni del governo tedesco
nei quali si indicava come Belgrado avesse reagito con una
campagna sistematica di violenza contro la maggioranza al
banese del Kosovo, a partire dal 24 marzo, quando la NATO
iniziò a bombardare la Jugoslavia. Prima del 24 marzo le
violenze poliziesche contro gli albanesi del Kosovo non era
no state che fatti isolati e certamente non una «pulizia etni
ca» 1 5 • Però, per convincere l'opinione pubblica occidentale
che i bombardamenti sulla Jugoslavia erano ben giustificati,
fu necessario far credere che si trattava di una situazione di
rise osta ad operazioni di pulizia etnica in atto.
E il nemico che deve portare per intero la responsabilità
della guerra e, più personalmente, il suo capo.
39
La guerra è colpa di Saddam Hussein, «dittatore-preda
tore [... ] avendo, lui solo, provocato il fallimento dei negoziati
tenuti a Gedda, [ ... ] avendo infranto e sfidato il diritto inter
nazionale» 16 •
La guerra è colpa di Milosevic, che d'altronde, per la sua
intransigenza, aveva rifiutato le proposte occidentali di «pa
ce» a Rambouillet 1 7 •
Il Vif- L'Express del 7 maggio 1 999 titolava: «Il dittatore di
Bel grado ha una responsabilità schiacciante nelle sventure
dei popoli serbo e albanese». L'insistenza sulla persona del
capo del campo nemico non è casuale. Il terzo principio di
Ponsonby insiste sulla necessità di personificare il nemico
nella persona del suo capo.
40
Capitolo terzo
Il nemico ha l'aspetto del diavolo
o del «cattivo di turno»
41
guerra sarà allora catturarlo e la sua defenestrazione signifi
cherà il ritorno immediato alla morale e alla civiltà. In certi
casi, questo ritratto del nostro nemico può sembrare giusti
ficato, tuttavia non si deve perdere di vista che questo mo
stro, prima del conflitto, è stato, per la maggior parte del
tempo, assai frequentabile e tale, in certi casi, tornerà ad es
sere dopo la vittoria o la sconfitta.
Così, fino alla prima guerra mondiale, la famiglia impe
riale austriaca intratteneva i migliori rapporti con la famiglia
reale belga I e il Kaiser tedesco era un personaggio tra i più
apprezzati in Gran Bretagna.
Qualche mese prima della dichiarazione del conflitto,
viene presentato dall'Evening News (17 ottobre 19 1 3) come
un perfetto gentleman:
42
Il folle [corsivo dell'autrice] sta preparando la legna per la propria
pira. Il mostro non riuscirà a spaventarci; noi serreremo i denti
ben sapendo che quando noi stessi dovremo alla fine morire, il
Giuda moderno e la sua infernale genia saranno stati spazzati via.
Per giungere a questo giusto fine, dobbiamo armarci di pazienza,
assiduità al lavoro ed energia.
La nostra grande Inghilterra verserà volentieri il suo sangue per
liberare la civiltà da un monarca criminale e da una corte scellerata,
che sono riusciti a trasformare un popolo docile in un orda di sel
vagg1.
Sir James Crichton ha detto a Dumfries: 'Per il Kaiser, la corda' ; la
fucilazione gli darebbe la morte onorevole del soldato. La sola as
soluzione per questo criminale è la forca.
43
Alla fine della guerra, il presidente Wilson volle che il po
polo tedesco cambiasse governo se voleva vedere conclusa la
guerra, per cui il Kaiser si rifugiò nei Paesi Bassi. Gli Alleati
chiesero ufficialmente la sua estradizione, ma gli olandesi
rifiutarono. Gli Alleati finsero d'inchinarsi di fronte al rifiuto
olandese, ma nascosero a stento la soddisfazione che quel
rifiuto provocava loro.
L'articolo 227 del Trattato di Versailles precisava che si
sarebbe aperto un processo contro l'ex imperatore «Gu
glielmo per le supreme offese alla moralità internazionale e
alla sacralità dei trattati» 1 , ma gli Alleati ebbero l'accortezza
di non aprirlo mai, dato che ne sarebbe potuta facilmente ri
sultare una dimostrazione dell'inconsistenza delle «prove»
della sua colpevolezza.
Una delle «prove» della responsabilità personale del Kai
ser nei crimini commessi dall'esercito tedesco era una lettera
che Guglielmo II aveva indirizzato all'imperatore d'Austria
nei primi giorni di guerra e nella quale il sovrano scriveva:
4
Per il testo del Trattato di Versailles, vedi Louis Le Fur e Georges
Chklaver, op. cit., p. 297 e seguenti .
44
Da chi, Monsignor Charmetant, aveva ottenuto questa let
tera? Dove e quando era stata scritta? Dove si trovava l'ori
ginale? Che prove c'erano della sua autenticità?
La lettera - la cui esistenza fu formalmente smentita dal
Berliner Tageblatt del 22 novembre 1921 e che è, molto pro
babilmente, un apocrifo - fu, nonostante ciò, riprodotta
quasi all'infinito dalla stampa francese coma «la» prova della
responsabilità personale del Kaiser. Queste terribili accuse,
sul ruolo personalmente malvagio del Kaiser, furono rapi
damente dimenticate dopo il conflitto e si può ricordare che
questo «criminale», che durante la guerra era stato sopran
nominato Attila, ebbe dagli Alleati il permesso di vivere
tranquillamente in Olanda e qui terminò i suoi giorni. Il
mostro era ridiventato una persona della stessa condizione
degli altri capi di stato, un po' al modo di altri mostri ad inte
rim come Saddam Hussein o Yasser Arafat, demonizzati a
lungo dai media occidentali (assassino, terrorista... ) prima di
ridiventare onorabili interlocutori che brindano con ogni
capo di stato, ricevuti amichevolmente dal presidente degli
Stati Uniti e dal Papa.
45
crea degli Hitler a intermittenza, spesso rispettabili prima
della crisi e qualche volta riabilitati, a crisi superata.
È stato questo il caso di Stalin, Mao, Kim Il Sung o Ceau
sescu - quest'ultimo fotografato molte volte in onorevole
compagnia come quella del re Baldovino del Belgio, di
Charles De Gaulle, del presidente americano Nixon... - ma,
anche più recentemente, tutti i «cattivi di turno» sono dovuti
passare per la stessa trafila.
Dal momento della guerra all'Iraq, Saddam Hussein,
prima presentato come il nostro migliore alleato «laico» con
tro l'Iran degli ayatollah, venne paragonato al dittatore nazi
sta, anche sotto l'aspetto fisico.
Con un leggero ritocco fotografico, per accorciargli i baffi,
il settimanale americano Newsweek arrivò a presentarlo in
copertina come un sosia di Hitler.
La copertina di Vif - L'Express del 14 febbraio 1991 mo
strava il torvo iracheno su un inquietante fondo nero ed il
settimanale presentava il suo programma in questi termini:
«Quel che ancora prepara Saddam: nuclearizzare, desta
bilizzare, sorprendere, terrorizzare, sacrificare, resistere ... ?».
Non andrà diversamente con Milosevic, che il settimanale
italiano L'Espresso del 7 aprile 1 999 presentò in copertina
sotto il titolo di Hitlerosevic, con metà faccia corrispondente
al viso di Hitler e l'altra metà a quella di Milosevic.
Sulla stessa linea, il Vif - L'Express della settimana 2-8
aprile 1999 presentava, all'inizio dei bombardamenti sulla
Jugoslavia, una prima pagina assai cupa nella quale a sini
stra esponeva metà della faccia di Milosevic e a destra il ti
tolo: «L'orribile Milosevic».
All'interno del settimanale, mediante un testo accostato a
foto truci e inquietanti del dirigente jugoslavo, si apprende
va che la «capacità di nuocere» di Milosevic «era molto lon
tana dall'essere esaurita».
Colui che, tre anni prima, aveva alzato il bicchiere con
Chirac e Clinton, al momento della firma, a Parigi, degli ac
cordi di pace sulla Bosnia 5, divenne di colpo un pazzo ne-
46
vrotico, i cui genitori e uno zio materno si erano suicidati,
sintomi evidenti di uno squilibrio mentale ereditario ...
Il Vif - L'Express non cita alcun discorso, alcuno scritto del
«padrone di Belgrado» 6, ma segnala i suoi anormali cambi
d'umore, le sue esplosioni di collera, morbose e brutali:
«Quando andava in collera il suo viso si torceva. Dopodiché,
istantaneamente, ricuperava il suo sangue freddo».
Da Le Monde dell'8 aprile 1999 apprendiamo che suo fra
tello è un trafficante di sigarette e la sua sposa un'arrivista,
un'ambiziosa e una squilibrata con problemi psicologici ri
salenti al fatto che fu tardivamente riconosciuta da suo pa
dre . . . 7. Il Vif - L'Express concludeva: «Slobo e Mira non sono
una coppia, sono un'associazione di malfattori».
Su Le Monde, Pierre Hassner 8 giustificava i bombarda
menti sulla Jugoslavia perché «identificano il primo colpe
vole dei mali dell'ex Jugoslavia - l'ultimo tiranno dei Bal
cani - e lo indicano con le parole e con gli atti come
l'avversario».
47
care l'istigatore dei neri che procedevano all'occupazione
delle terre dello Zimbabwe e titolava «Nello Zimbabwe, gli
estremisti di Hitler». Lo stesso quotidiano francese scriveva
che «Chenjerai Hitler Huntzvi è stato dichiarato dal Tribu
nale Supremo colpevole di aver incitato a queste occupazio
ni illegali» ed aggiunge (26 aprile 2000): «Il 'nome di batta
glia' di questo dirigente, come informa la BBC, la dice lunga
sulla sua sensibilità umanitaria».
Un articolo di Vif - L 'Express, favorevole ai proprietari
bianchi dello Zimbabwe 9 (che sono anche i grandi proprieta
ri, ossia, e lo si dimentica spesso, dei coloni britannici che si
rifiutano di prendere la nazionalità del paese) ed ostile ai
partigiani del presidente Mugabe (che sono anche, e lo si
dimentica spesso, i contadini più poveri dello Zimbabwe),
presenta nella luce più negativa l'assalto condotto contro i
coloni bianchi. Per condannare completamente la solleva
zione, il testo denuncia i capi locali, ma soprattutto una figu
ra di punta tra i vecchi combattenti, Chenjerai Hunzvi. Que
sti darebbe «i suoi ordini alla presidenza, ove si ha timore
della sua capacità di fare danno».
Con una parola, viene demonizzato: nel titolo come nella
didascalia della sua foto, viene designato come Chenjerai
«Hitler» Hunzvi.
Ogni simpatia del lettore per la causa dei neri dello Zim
babwe viene, in questo stesso momento, resa impossibile.
9
Articolo di Vincent Hugeux, «Il terrore Mugabe», Le Vif - L'Express, 4
maggio 2000.
48
Capitolo quarto
È una causa nobile quella che difendiamo
e non degli interessi particolari
1 Anche se, qualche volta, come nel caso della guerra della NATO contro
la Jugoslavia, si è passati oltre questa formalità prevista dalla Costituzione,
come nel caso della Francia.
49
l'Inghilterra voleva mantenere il suo status di prima po
tenza coloniale e marittima e bloccare i progressi tedeschi
nel continente;
la Germania voleva ottenere materie prime dalle colonie,
esportare i suoi prodotti finiti, spezzare il monopolio ingle
se sui mari (che ostacolava questi progetti), rompere l'ac
cerchiamento franco-anglo-russo e rinforzare la sua unità;
gli Stati Uniti speravano di realizzare in Europa vendite e
prestiti remunerativi e di entrare politicamente nel con
certo delle grandi potenze 2 (e ci riuscirono).
50
C'è qualche uomo o qualche donna - che dico? qualche bambino -
che non sappia che il seme della guerra nel mondo moderno è la
rivalità industriale e commerciale? [ . . . ] Questa guerra è stata una
guerra industriale e commerciale.
sconfiggere il militarismo;
- difendere le piccole nazioni;
- preparare il mondo alla democrazia.
51
Preparare il mondo alla democrazia è altrettanto indifendi
bile come obiettivo reale degli Alleati nella prima guerra
mondiale.
La semplice presenza, nel campo alleato, della Russia, za
rista e autocrate, rendeva assai poco credibile l'ipotesi delle
«democrazie» riunite in un unico schieramento contro le au
tocrazie. Inoltre, non era chiaro perché la Germania e il suo
Reichstag, regolarmente eletto, fosse più «autocrate» dell'In
ghilterra.
Si potrebbe, evidentemente, fare la stessa considerazione
per la prima guerra contro l'Iraq, ove siamo volati in aiuto al
Kuwait, ossia ad un paese in cui della nozione di democra
zia, totalmente incompresa, ci si burla, ove la maggioranza
degli abitanti non raggiunge lo status di cittadino e dove i di
ritti umani, specialmente quando si è di sesso femminile,
sono quotidianamente bistrattati.
Si trattava, all'epoca della prima guerra contro l'Iraq, di
salvare - causa nobile tra tutte - un piccolo paese invaso. La
stessa giustificazione fu usata nella prima guerra mondiale
dai governi britannico e americano per risvegliare l'ardore
combattivo dei cittadini dei loro paesi non direttamente at
taccati. Si trattava di accorrere in soccorso del «coraggioso,
piccolo Belgio», le cui sofferenze, i cui martiri e rifugiati fu
rono utilizzati al massimo dalla propaganda alleata.
Da parte tedesca, naturalmente, le motivazioni dichiarate
non erano e non potevano essere meno nobili. Così il 1 9
agosto 1915, il cancelliere affermava davanti al Reichstag:
«La Germania non ha mai mirato alla supremazia in Europa.
Tutta la sua ambizione è stata di essere tra i primi nella
competizione pacifica delle nazioni, grandi e piccole, per il
benessere generale e della civiltà».
Ufficialmente, gli Alleati della prima guerra mondiale
non cercavano più di ingrandire i rispettivi territori (salvo
forse la Francia, che non nascondeva di voler «recuperare»
l'Alsazia-Lorena).
Fu, pertanto, miracolosamente che, all'epoca degli accor
di di pace, la Gran Bretagna, ad esempio, «ricevette» (sotto
forma di colonia, mandato, dominio, protettorato o altro):
52
- l'Egitto;
Cipro;
un mandato sul Sud-Ovest africano (tramite l'Unione Su
dafricana);
un mandato sull'Africa Orientale tedesca;
la metà del Togo e del Camerun;
Samoa (attraverso la Nuova Zelanda);
la Nuova Guinea tedesca e le isole a sud dell'Equatore;
- un mandato sulla Palestina;
- un mandato sull'Iraq.
53
za» tedesca, a Monaco, a pretendere la cessione dei Sudeti
alla Germania. Il tema della Boemia tedesca e dei Sudeti,
tuttavia, non è mai stato trattato da tedeschi o austriaci con
toni imperialistici, ma piuttosto come il giusto ritorno di un
gruppo germanofono in seno alla madrepatria cui era stato
ingiustamente strappato. Tra il 1 870 e il 1914 il «ritorno»
dell'Alsazia-Lorena è stato un tema popolare della propa
ganda francese, il «ritorno» della Boemia tedesca e dei Sude
ti fu il suo parallelo tedesco o austriaco del periodo tra le
due guerre.
Nel 1 919, questi territori erano stati sottratti all'Austria,
malgrado le solenni proteste dell'Assemblea nazionale costi
tuente della Repubblica Austriaca. Le popolazioni tedesche
annesse alla Cecoslovacchia avevano protestato, nel 1 9 1 9, in
manifestazioni duramente represse dal governo cecoslovacco.
Il trattato di Saint-Germain, firmato il 1 O settembre 1 919,
alla sua sezione V, prevedeva diverse misure per proteggere
queste minoranze, in particolare per quanto riguarda l'uso
delle lingue, la scolarità e l'accesso alla giustizia 3 • La Cecoslo
vacchia, tuttavia, optò rapidamente per un trattamento di
scriminatorio delle minoranze e impose largamente il ceco1 .
La stampa delle minoranze fu strettamente sorvegliata, le
loro organizzazioni caritatevoli messe sotto pressione e le
terre dei tedeschi della Cecoslovacchia furono quelle più
toccate dalle riforme agrarie.
Se si aggiunge a questo elenco di imposizioni la sottorap
presentanza dei tedeschi dei Sudeti nell'amministrazione
statale - benché Eduard Benes avesse promesso che ogni ca-
3
Si tratta degli articoli 7 (capoversi 1, 3 e 4) e 8 (capoverso 2). Per il
primo articolo, i paesi firmatari (e pertanto la Cecoslovacchia) s'impegna
vano a che nessuna legge nazionale o regolamento contravvenisse a queste
garanzie. Per il testo del Trattato di Saint-Germain, trattato di pace firmato
con l'Austria il 1 0 settembre 1919, vedere Louis Le Fur e Georges Chkla
ver, Recueil... , cit., p. 537 e seguenti. Si possono leggere anche gli articoli
dall'8 l all'86 del Trattato di Versailles, pp. 345-348, dedicati alla Cecoslo
vacchia, in cui si proibisce ai tedeschi che vivevano in Cecoslovacchia di
conservare la nazionalità tedesca, pena l'espulsione dal paese.
4
In particolare le leggi del 20 febbraio 1 920 e del 23 marzo 1923 sul
l'impiego delle lingue nell'amministrazione, i tribunali e il commercio.
54
rica sarebbe stata egualmente disponibile per tutti - l'esi
stenza di questi cittadini di seconda classe offrì alla propa
ganda tedesca e austriaca l'occasione agognata d'una nobile
causa da difendere: l'aiuto ad una minoranza oppressa, ad
un piccolo gruppo ingiustamente perseguitato.
La questione dei Sudeti fornirà il pretesto alla minaccia di
un intervento militare tedesco contro la Cecoslovacchia,
preludio ai criminali progetti di Hitler, allo stesso modo in
cui la questione alsaziana era stato un comodo obiettivo per
la Francia al tempo della prima guerra mondiale. Anche la
questione delle minoranze tedesche in Polonia sarebbe di
ventata un buon pretesto all'epoca della campagna tedesca
contro la Polonia.
La consultazione dei documenti diplomatici degli anni
1938-1939 (ad esempio i rapporti dell'ambasciatore francese
a Berlino in data 17 e 18 agosto 1 939), dimostrano il posto
centrale che questo argomento occupava nei discorsi e sulla
stampa tedesca.
«Accorrere in aiuto delle minoranze tedesche in Polonia»
fu il tema prediletto dalla propaganda tedesca che riportava,
con grande quantità di dettagli, gli iniqui trattamenti, d'ogni
sorta, di cui erano vittime i tedeschi in terra polacca. Delle
«cacce ai tedeschi» erano state organizzate in Polonia, come
era in precedenza avvenuto in Cecoslovacchia. C'erano stati
arresti di massa e decine di migliaia di rifugiati erano stati
costretti a cercare scampo in Germania, in campi di acco
glimento, organizzati con grande clamore nei dintorni di
Dresda o nella Slesia.
Non è neppure impossibile che alcune di queste «perse
cuzioni» siano state in realtà provocate dagli stessi agenti
nazisti, con attentati ai beni di alcuni proprietari tedeschi,
per poter in seguito denunciare il terrorismo polacco di
cui sarebbero stati vittime. È in ogni caso l'opinione dei
diplomatici francesi, i quali considerano che il terrorismo
contro le minoranze tedesche non è che un elemento della
propaganda tedesca per giustificare, di fronte ai tedeschi e
all'opinione internazionale, un intervento militare contro
la Polonia.
55
L'ambasciatore francese a Berlino sottolineò davanti al
proprio ministro degli Esteri la necessità di combattere que
sta propaganda con una contro-informazione:
56
alle «minoranze tedesche che ammontano ad un milione e
mezzo di persone» e, nella sua risposta del 27 agosto a Da
ladier, il cancelliere tedesco evoca il terrore e gli orrori
commessi su circa «due milioni di esseri umani» che vivono
fuori delle loro frontiere.
La guerra, dal punto di vista tedesco, aveva pertanto dei
fini «umanitari», per quanto assai sorprendenti ai nostri oc
chi: riparare un'ingiustizia che gli anglo-francesi volevano
mantenere, far cessare il terrore esercitato contro una mino
ranza innocente e correre in aiuto di un piccolo gruppo op
presso, mantenere la libertà dei tedeschi.
Queste nobili motivazioni nascondevano evidentemente
ben altro: degli interessi economici5 e geopolitici, ad
esempio, non si parlava mai ufficialmente, non diversa
mente da quanto avvenne in altri conflitti rivestiti con le
più nobili cause.
Le cose di cui finisce per parlare la propaganda nazista
tra le due guerre (niente economia né geopolitica, richiama
re le motivazioni umanitarie, correre in soccorso dei popoli
oppressi.. . ) sono le stesse di cui si parla negli Stati Uniti, per
giustificare, davanti ad un'altra opinione pubblica, l'inter�
vento di quel paese nelle due guerre mondiali.
Ufficialmente, negli Stati Uniti, non si parlerà che del pic
colo Belgio, martirizzato (per quanto ri guarda la prima
guerra mondiale) e della difesa della libertà, dei diritti del
l'uomo e della democrazia 6 • Gli interventi americani nelle
guerre europee veicolavano, invece, enormi interessi eco
nomici, geostrategici e politici.
Il passaggio degli Stati Uniti dalla neutralità alla parteci
pazione, nella seconda guerra mondiale, ha sicuramente
delle motivazioni politiche. Il presidente Roosevelt credeva
57
seriamente che il sistema liberale fosse minacciato. Questo
timore, tuttavia, aveva anche un versante economico (la mes
sa in discussione dell'assetto economico su cui si fondavano
gli Stati Uniti). Il processo d'abbandono della neutralità pre
se l'avvio con la mozione Pepper che, dopo l'invasione del
maggio 1 940, propose di «vendere agli Alleati il materiale
bellico americano non utilizzato» ;_ La proposta, respinta due
volte dalla commissione Affari esteri del Senato americano,
fu raccolta dal presidente Roosevelt 8 • Gli Stati Uniti attiva
rono allora la loro produzione di armi e misero a punto il
sistema prestito-affitto per venderle ai paesi europei che of
frivano garanzie 9 • Ufficialmente, gli Stati Uniti rimanevano
neutrali perché vendevano a compagnie private («United
States Steel») che fungevano da intermediarie con Gran
Bretagna e Francia. La Gran Bretagna, che poteva contare
sul suo impero per rifornire di materie prime gli Stati Uni
ti, come peraltro il Belgio e i Paesi Bassi, si ritenne che of
frissero garanzie sufficienti per poter beneficiare degli aiuti
amencam.
Moventi di natura strettamente economica erano pertanto
presenti anche in questo caso, ma vi si alluse assai raramente
nei discorsi ufficiali.
58
È sempre magnifico sentirsi vicini ad un piccolo popolo
che soffre. In questo modo l'ingerenza «umanitaria» permet
te al forte di inserirsi nella politica dei deboli, con il migliore
degli alibi morali possibili.
Gli Stati Uniti hanno lanciato delle operazioni militari
contro piccoli Stati dell'America Latina con il pretesto che
davano appoggio a dei narcotrafficanti. Una di queste, con
tro Panama nel 1989, di rara brutalità, provocò almeno
duemila morti e fu bellamente chiamata «Giusta Causa». Co
sa di più bello, in effetti, che combattere per lo straziante
problema della droga, se i nostri nemici possono essere rap
presentati come chi, in qualche modo, ne è all'origine? 1 0
Nella guerra della NATO contro fa Jugoslavia si trova lo
stesso sfasamento tra gli scopi ufficiali e quelli inconfessati
del conflitto. Ufficialmente la NATO interviene per preser
vare il carattere multietnico del Kosovo, per impedire che le
minoranze siano maltrattate, per imporre la democrazia e
farla finita col dittatore. Si tratta di difendere la causa sacra
dei diritti dell'uomo.
Alla fine della guerra, non solo ciascuno può constatare
che nessuno di questi obiettivi è stato raggiunto, che la so
cietà multietnica è ancor più lontana e che le violenze contro
le minoranze - Serbi e Rom, questa volta - sono quotidiane,
ma anche che gli obiettivi economici e geopolitici della
guerra, di cui non si è mai parlato, sono stati - quelli sì -
raggiunti.
Così, senza che sia stato mai ufficialmente rivendicato, la
sfera d'influenza della NATO s'è notevolmente allargata nel
l'Europa del Sud-Est. L'organizzazione atlantica s'è installata
in Albania, Macedonia e Kosovo, regioni che fino ad allora
s'erano mostrate recalcitranti a tale spiegamento.
Dal punto di vista economico, inoltre, la Jugoslavia (ove
funzionava ancora, per larga parte, un mercato pubblico),
10
Se, invece, i trafficanti d'eroina sono politicamente nostri alleati, come
fu nel caso di gruppi dell'UCK albanese, si perdona loro facilmente queste
mancanze veniali (leggere l'articolo di Erich Inciyan «Le réseaux albanaise
de l'héro1ne, la propagande de Belgrade contre l'UCK et la réalité», Le
Monde, 4 e 5 aprile 1 999.
59
«riluttante» all'istituzione di un'economia di mercato pura e
semplice 1 1 , si vide «proporre» a Rambouillet che l'economia
del Kosovo funzionasse «secondo i principi del libero merca
to e fosse aperta alla libera circolazione dei [ . .. ] capitali,
compresi quelli di origine internazionale».
Innocentemente ci si potrebbe chiedere che rapporto ci
può essere tra la difesa delle minoranze oppresse e la libera
circolazione dei capitali, ma il primo tipo di discorso na
sconde evidentemente fini economici meno confessabili.
Così dodici grandi società americane 1 2 , tra cui Ford, Ge
nerai Motors e Honeywell, sponsorizzarono il summit del
cinquantesimo anniversario della NATO, tenuto a Washing
ton nella primavera del 1999. In modo totalmente disinte
ressato, pensano alcuni, mentre altri pensano che sia stato
un do ut des e che i bombardamenti contro la Jugoslavia per
distruggere l'economia socialista abbiano fatto piazza pulita
per le multinazionali che, da molto, sognavano di aprire in
quei luoghi un grande cantiere e di fare buoni affari.
Lo stesso portavoce della NATO, Jamie Shea, peraltro,
aveva annunciato che il costo dell'operazione militare contro
la Jugoslavia sarebbe stato largamente compensato dai be
nefici che, a più lungo termine, i mercati avrebbero potuto
apportare 1 3 •
Dal 3 settembre 1 999 il marco tedesco è diventato uffi
cialmente la moneta in circolazione in Kosovo e la fabbrica
d'automobili Zastava a Kragujevac, che avevo visto nel mag
gio 1 999 distrutta dal bombardamento NATO del 9 aprile, è
dal mese di luglio richiesta dalla Daewoo 1 4 •
Come ha scritto con grazia Cavanna, la fine della guerra
arriva «quando i mercanti di munizioni hanno raggiunto la
1 1 La sua economia era largamente mista ed aperta ai privati da moltis
simo tempo.
12
Washington Post, 1 3 aprile 1 999, citato da Michel Collon, Monopoly.
L'Otan à la conquéte du monde, EPO, 1 999, p. 92 .
13 Dichiarazione al tempo dell'emissione «Argent public», France 2, do
menica 2 maggio 1 999, citato da Serge Halimi, L'Opinion ça se travaille, cit.,
p. 68.
14
Vedi Le Monde del 20 luglio 1 999, «L'usine d'automobiles Zastava in
téresse Daewoo».
60
loro quota e i mercanti di cemento pensano sia venuto il
loro momento per entrare in scena» (Charlie-Hebdo, 2 giu
gno 1999).
Gli scopi reali di questa guerra sono stati, certamente,
complessi. I motivi economici sono tuttora inconfessati, ma
non sono i soli. La volontà degli Stati Uniti di affermarsi
come superpotenza attraverso i loro alleati e di estendere il
loro impero geostrategico può ugualmente essere stata de
terminante. Allo stato attuale delle nostre conoscenze è dif
ficile dare una spiegazione razionale dell'intervento della
NATO contro la Jugoslavia e di dire qual è stato l'elemento
decisivo.
Un giorno, forse, gli archivi americani ci faranno vedere i
motivi reali della guerra della NATO contro la J ugoslavia,
tra i quali, secondo me, non è da escludere che ci sia stato il
timore di una «mela marcia», di un piccolo paese non domato
(la Jugoslavia, dopo il Nicaragua o il Vietnam) che avrebbe
potuto, col suo «cattivo esempio», ispirarne altri e provocare
insubordinazioni. In ogni caso le motivazioni non furono né
umanitarie né altruiste, ma l'essenziale è d'aver fatto credere
all'opinione pubblica, nel momento dello scoppio delle ope
razioni, che si trattava di un attacco ben giustificato.
È una guerra in cui solo i nostri satrapi principali sanno bene per
ché ci si sgozza [ ... ] I morti, gli incendi, le rovine, le devastazioni si
moltiplicano, l ' universo soffre, ma l ' accanimento continua. Il no
stro Primo Ministro e quello delle Indie rivendicano spesso di non
15
In Le monde comme il va, vision de Babouc, in Oeuvres CompWes de Voltai
re, tomo VIII, Paris 1 876, p. 3 1 7 .
61
agire che per il bene del genere umano, ma, ad ogni protesta, se
gue qualche città distru tta o qualche provincia devastata.
62
Capitolo quinto
Il nemico provoca intenzionalmente
delle atrocità; a noi possono sfuggire
«sbavature» involontarie
63
Sulla stessa linea, l'Ufficio stampa (Pressekonferenz) tede
sco, presieduto da un militare, lasciò correre la voce che dei
preti belgi avevano nascosto una mitragliatrice dietro l'alta
re, avevano fucilato dei soldati tedeschi e amputato le dita di
quelli che portavano degli anelli per farsene una collana o
che avevano offerto loro un caffè alla stricnina...
Queste dicerie spaventose crearono nelle truppe tedesche
un considerevole panico: ogni civile belga o francese appari
va come un sadico in potenza. Accuse alleate, in risposta,
relative ai comportamenti dell'armata tedesca non si fecero
attendere per molto. Secondo studiosi attuali ' queste accuse
sono nate dal complesso incontro tra la soggettività collettiva
e la realtà della guerra, ma vennero utilizzate, più che inven
tate di sana pianta, dagli uffici di propaganda dei due cam
pi. Sorte, come leggende, senza alcun rapporto, nemmeno
indiretto, con gli eventi, avrebbero trascritto nell'immagina
rio collettivo la paura isterica che provavano i civili e i sol
dati immersi nell'atmosfera angosciosa della guerra. In que
sta situazione, la propaganda ufficiale non ebbe che da am
plificare queste emozioni popolari collettive, invece di ridi
mensionarle, se non cancellarle del tutto, con interventi che
smentissero energicamente queste leggende.
Da parte alleata, nella prima guerra mondiale, il maggio
re successo e le maggiori ripercussioni politiche furono ot
tenute dal soggetto dei «bambini belgi con le mani tagliate».
John Horn è giunto alla conclusione che questa voce era in
fondata e ha studiato la formazione di questa leggenda, che
inizia con la pubblicazione, verso la fine del 19 14, di raccon
ti di mutilazioni diverse, per sfociare nel 19 15 nel tema più
circoscritto delle «mani tagliate». Il soggetto delle «mani ta
gliate» gioca, nell'opinione pubblica, un ruolo ricapitolativo
e simbolico e attribuisce un profondo carattere morale di
lotta manichea contro la barbarie a un conflitto percepito
1
Vedi John Horn, Les mains coupées: Atrocités aUemandes et opinion français
in 1914, in Guerres et culture, 1914-1918, Editions J .J .Becker et al ., Paris,
Armand Colin, 1 994, pp . 133-146 e, nella stessa opera collettiva, l'articolo
di Alan Kramer, Les atrocités aUemandes: mythologi,e populaire, propagande et
manipulations dans l'armée aUemande.
64
come lungo e crudele. Secondo questo autore, la prima fase
non fu il risultato di una campagna ufficialmente concertata,
ma furono questi racconti d'atrocità che indussero i rifugiati
a scappare per le strade. Se, da un punto di vista militare,
questo esodo creò un nefasto disordine, da un punto di vista
politico diede luogo ad un bilancio positivo in quanto il te
ma dei rifugiati belgi (e delle atrocità tedesche) verrà larga
mente sfruttato sul piano internazionale.
Dopo la Grande Guerra, Lord Esher scrisse:
65
I bambini belgi dalle mani mozzate furono anche, in mol
teplici riprese, utilizzati in commoventi racconti da Emile
Vandervelde e Jules Destree nel loro viaggio in Italia, per per
suadere gli italiani ad entrare in guerra a fianco degli Alleati.
Francesco Saverio Nitti, che era stato ministro durante la
guerra e in seguito presidente del Consiglio, testimonia,
nelle sue memorie, l'impatto di questi racconti:
66
Benché le atrocità vere della guerra fossero assai crudeli
(ad esempio i 5.500 civili fucilati a Dinant, Tamines, Anden
ne, Roussignol e altre città e villaggi belgi, passati per le ar
mi col pretesto dei franchi tiratori), tuttavia si ricorreva ad
aggiungere dei particolari, i più truci, per far credere che la
guerra aveva messo di fronte ad un popolo di furfanti un
popolo di paladini ansioso di compiere azioni generose!
Così, secondo Ponsonby, si era raccontato
si allontana bevendo il latte dal biberon del neonato che aveva sgozzato, tra
gli scoppi di risa dei suoi compagni.
67
dall'inizio della guerra e non è possibile che un fatto simile sia
accaduto senza essermi stato riferito; è pura invenzione».
Il capitano F.W. Wilson, già redattore del Sunday Times,
raccontò come era stata elaborata una di queste storie. La
relazione fu pubblicata sul New York Times (e riprodotta dal
Crusader del 24 febbraio 1 922):
68
tato di atrocità commessa dai tedeschi contro le nostre truppe.
Non si è tuttora ricevuta alcuna informazione del tenore citato nel
l'interrogazione dell'onorevole membro, tuttavia, a seguito dell'in
formazione contenuta nella stessa interrogazione, è stata aperta
un'inchiesta che è ancora in corso.
69
dal fronte, a Karlsruhe, Mullheim, Fribourg, Kandern, Hol
zen e Mappach.
Il volantino condannava questi «barbari attacchi» che ave
vano ammazzato donne e bambini, lontani da ogni obiettivo
militare. In effetti le bombe alleate non cadevano unicamen
te sulle caserme e le stazioni come annunciavano quotidia
namente i giornali francesi. Il bombardamento alleato di
Karlsruhe del 16 giugno 1916, ad esempio, aveva ucciso sul
colpo 26 donne e 154 bambini che seguivano la processione
della domenica del Corpus Domini.
Miss Cavell e Gabrielle Petit, eroine belghe fucilate dai
tedeschi, ebbero le loro omologhe, come una contadina dei
dintorni di Valmy, condannata a morte dal Consiglio di
guerra francese per aver dato rifugio a dei fuggiaschi tede
schi ed averli fatti scappare 1 1 •
Soldati francesi assegnati di guardia ai prigionieri tede
schi testimonieranno di percosse con bastoni e nervi di bue e
di privazioni di vitto inflitte «sotto l'occhio benevolo del co
mandante del campo a delle truppe di tedeschi miserandi,
pieni di pidocchi e affamati» 1 2 •
Un ufficiale francese di cavalleria, di nome Gouttenoire
de Toury, accusò formalmente il generale francese Martin de
Bouillon, comandante della tredicesima divisione di fanteria,
d'aver dato ordine, alla vigilia degli attacchi del 25 settem
bre 1915 in Artois, di uccidere i tedeschi fatti prigionieri.
L'ufficiale medico Koechlin rivelò che lo stesso ordine era
stato dato nel medesimo giorno nella zona della Champagne
e che il cinquantaduesimo reggimento coloniale aveva messo
uno zelo particolare nella sua esecuzione, arrivando a ster
minare completamente un pronto soccorso tedesco con i
suoi feriti, infermiere e medici.
Come tutti gli eserciti del mondo, gli eserciti alleati della
prima guerra mondiale avevano alle spalle un pesante passa
to. I britannici, in precedenza, s'erano spesso «fatti la mano»
in questo tipo di operazioni. Avevano incendiato Washing-
70
ton, senza motivo, nel 1 81 2, avevano commesso numerose
atrocità in Irlanda e in India. Certamente i tedeschi avevano
sterminato gli Erero in Namibia, tuttavia, all'epoca della
guerra nell'Africa del Sud, erano stati i britannici che aveva
no distrutto sistematicamente le fattorie boere e avevano in
ventato per loro i primi «campi di concentramento» 1 3 • I russi
s'erano scatenati nel 1 830 e nel 1 863 contro i polacchi e fa
ranno ancora, durante la prima guerra mondiale, aspramen
te soffrire i lituani, lettoni e polacchi che si trascinavano die
tro durante la ritirata. In Prussia orientale, i russi distrugge
ranno più di trentamila abitazioni in un mese d'invasione (a
titolo di confronto, durante i quattro anni di occupazione
tedesca del Belgio, ne vennero distrutte quindicimila). Gli
americani s'erano distinti nel genocidio degli indiani. I belgi
non erano stati teneri nel Congo. Quanto ai francesi, le guer
re napoleoniche e la repressione della Comune di Parigi era
no dei «modelli» d'atrocità difficilmente superabili all'epoca.
Credere, pertanto, che nella prima guerra mondiale s'af
frontassero banditi da una parte e nobili cavalieri dall'altra è
una tesi di singolare ingenuità.
Le violenze, da una parte e dall'altra, avrebbero potuto
certamente essere più o meno crudeli ed ugualmente più o
meno proporzionate alle circostanze, ai mezzi, alla disciplina
o agli ordini impartiti, ma la propaganda di guerra doveva
far credere che erano causate esclusivamente dal nemico. Il
nostro comportamento avrebbe potuto avere solo delle «sba
vature», prodotte per errore o inavvertenza.
13
Più di ventimila donne e bambini moriranno in questi campi, ove la
mortalità sarà maggiore del 50%.
71
inflitti dagli iracheni, ma di ecchimosi dovuti alla loro espul
sione dall'aereo in pieno volo!
Si sa, peraltro, che per convincere l'opinione pubblica
americana della necessità di intervenire nel conflitto tra Iraq
e Kuwait, fu assunta la società di pubbliche relazioni Hill &
Knowlton, perché creasse una campagna di stampa favore
vole all'intervento.
Il punto forte di questa campagna, alla quale allusero, in
diverse occasioni, il Congresso americano, l'ONU e il presi
dente americano Bush nei suoi discorsi, era la straziante sto
ria dei neonati kuwaitiani strappati dalle incubatrici e fatti
morire dai soldati iracheni.
Questa frottola ebbe un peso decisivo nell'improvviso mu
tamento di parere dell'opinione pubblica americana. Natu
ralmente, in seguito, si rivelò come un'invenzione pura e
semplice dell'agenzia, finanziata da ambienti kuwaitiani, ma
aveva già svolto con efficacia il suo ruolo.
I racconti di atrocità ebbero egualmente un ruolo decisivo
per far accettare ali'opinione pubblica europea e americana i
bombardamenti sulla Jugoslavia. Certamente, come in tutte le
guerre e soprattutto in quelle civili, le violenze furono nume
rose in Kosovo, ma la propaganda delle due parti mise l'ac
cento - molto classicamente - sulle sole atrocità del nemico.
I media occidentali applicarono con grande scrupolosità il
principio della propaganda di guerra di cui tratta questo ca
pitolo: le democrazie non avrebbero potuto causare danni se
non innocentemente mentre i serbi, invece, commettevano
violenze deliberate.
Le sofferenze delle vittime serbe non avrebbero potuto,
pertanto, essere che delle «sbavature» e l'espressione «danni
collaterali» fu applicata a queste vittime per le quali non
c'era bisogno di pietà.
Da parte occidentale la propaganda si imperniò, ben pri
ma dei bombardamenti, sul crimine serbo della «epurazione
etnica» del Kosovo, che fu attribuito a un piano premedita
to 1 1 • Si raccontò che lo stadio di Pristina era stato trasforma-
1 1 Di questo piano, chiamato « Ferro di cavallo», oggi si sospetta forte
mente che non sia mai esistito.
72
to in un campo di concentramento per centomila persone e
che Milosevic aveva fatto assassinare i leader moderati alba
nesi del Kosovo 15 che - fortunatamente per loro - riappar
vero qualche giorno più tardi.
I media occidentali riservarono una posizione di grande
rilievo a «notizie» come il massacro di pseudo-civili di Ra
cak 1 6, la scoperta di «fosse comuni» 17 (termine sistematica
mente utilizzato al posto di luogo d'inumazione per le vit
time del nemico, mentre le nostre finiscono degnamente
nei cimiteri o in altri «luoghi di sepoltura» ...) e a fantasiosi
bilanci che fanno assommare a varie centinaia di migliaia le
vittime albanesi del terrore serbo. Se, dopo la guerra, il
numero delle vittime contate dal gruppo spagnolo di me
dici legali si è ridotto a meno di 3.000, in Kosovo, delle di
verse nazionalità, importa poco 1 8 • Le menzogne mediatiche
avevano svolto efficacemente il loro ruolo e preparato l'opi
nione pubblica occidentale ad accettare l'idea dei bombar
damenti.
Quanto all'esodo dei rifugiati albanesi del Kosovo, in par
te provocato dal terrore serbo che s'era esacerbato a seguito
15
Le Soir, dal 28 marzo al 2 aprile 1 999. Il giornale belga annuncia che
l'abitazione di Ibrahim Rugova era stata incendiata e che egli s'era nasco
sto. Il suo più importante consigliere, Fehmi Agani, e cinque altre persona
lità albanesi erano stati assassinati dai serbi. La notizia fu smentita qualche
giorno più tardi .
16
Il rapporto dei medici legali concluse che tutti i cadaveri erano stati
colpiti da proiettili sparati a distanza e che le pretese «mutilazioni» erano
in realtà dei morsi che cani randagi avevano inflitto ai cadaveri prima
della loro inumazione. La relazione finale degli esperti finlandesi conte
sta inoltre che si tratti di un massacro di civili, sfigurati volontariamente
dopo la morte. Le Vif - L 'Express, tuttavia, nel suo numero ricapitolativo
sulla guerra di Jugoslavia (Vincent Hugeux, 1 9-25 gennaio 200 1 ) finge
d'ignorare queste conclusioni e parla di una granata serba sul mercato di
Markale a Sarajevo .
17
Quattromila vittime, ripartite in più di ottocento fosse comuni, scrisse
Le Soir del 22 novembre 2000, il che fa meno di cinque morti per «fossa
comune»!
18
Si vedano le dichiarazioni rilasciate da Paul Risley, portavoce del Tri
bunale Penale Internazionale dell'Aia, nell'agosto 2000, secondo cui la cifra
definitiva è tra i duemila e tremila morti (The Guardian, 1 8 agosto 200; Le
Monde, 1 9 agosto 2000).
73
dei bombardamenti NAT0 1 9 e in parte provocato dai bom
bardamenti stessi, fu sfruttato al massimo dai media occi
dentali.
Come già i rifugiati belgi, quelli albanesi sono serviti ma
gnificamente alla politica. Per settimane, non un telegior
nale si aprì senza queste immagini strazianti, senza queste
testimonianze commoventi: storie di bambini abbandonati,
di donne violentate, di famiglie massacrate, testimonianze
d'adolescenti...
Un ufficiale francese assicura che la testimonianza di un
piccolo rifugiato albanese, di dieci anni, con una palla in
mano, aveva ottenuto un risultato migliore dell'opera di 50
divisioni 20 •
Come ai buoni vecchi tempi della prima guerra mondiale,
se i racconti non sono abbastanza commoventi, li si inventa.
La propaganda esige, prima di tutto, delle «buone storie».
La giornalista Nancy Durham della CBC (Canadian Broadca
sting Corporation) ha spiegato, a questo proposito, come sia
stata ingannata e abbia diffuso su decine di catene televisive
il racconto di un'albanese del Kosovo, Rajmonda, che assicu
rava di aver visto, con i suoi occhi, l'assassinio della sorellina.
Dopo una ricerca seria si appurò che i componenti della fa
miglia della testimone erano in perfetta salute, che Rajmon
da era una militante dell'UCK e che la sua storia era comple
tamente inventata. Nancy Durham, colpita dalla scoperta,
voleva che gli spettatori venissero informati che il racconto
che era stato messo in onda era falso, ma le società televisive
74
che l'avevano diffuso sconsigliarono formalmente questo
chiarimento! 2 1
Parlando dello sfruttamento politico della questione dei
rifugiati belgi durante la prima guerra mondiale, Georges
Demartial disse:
75
registrato l'operazione, accelerando le immagini, per far
credere, ingannevolmente, che s'era trattato di un errore24 •
La distruzione dei trattori di un convoglio di rifugiati, che
un cavaliere del cielo americano aveva scambiato per carri
armati, non meritò né spiegazioni né scuse.
Quanto alla «pulizia etnica» - ribattezzata ridislocazione
della popolazione - dei serbi, zingari, bosniaci ed altri non
albanesi del Kosovo dopo l'arrivo della NATO in Kosovo, è
stata valutata da Jiri Dienstbier5 a più di 250.000 espulsi e
causa di innumerevoli atrocità. Non ebbe, tuttavia, sui media
occidentali la stessa attenzione umanitaria che aveva rice
vuto la precedente epurazione. Fu, di contro, largamente
presente sui media jugoslavi, come lo erano state anche le
vittime dei bombardamenti occidentali - ribattezzati «colpi»
nei nostri media, per usare un termine più moderno e aset
tico che «bombardamenti», parola impopolare, sanguinosa,
che può evocare quello di cui i nostri parenti furono vittime
durante la seconda guerra mondiale.
Le parole hanno un peso: per l'azione dei nostri si parla
di «liberazione» del territorio, di «dislocazione di popolazio
ni», di cimiteri, d'informazione. Se si tratta dell'altro campo,
si devono sistematicamente sostituire questi termini con «oc
cupazione», «pulizia etnica» o «genocidio», «fosse comuni» e
propaganda.
Quando, nel maggio del 1999, l'ospedale di Bel grado fu
colpito da bombe della NATO, il giornale Notizie della Sera di
Belgrado 26 titolò in prima pagina, sopra alle commoventi fo
to di partorienti ferite che stringevano i neonati tra le brac
cia: «Bombe sulle culle».
76
Bel grado, sui crimini della NATO in Jugoslavia, ha pub
blicato un Libro bianco in due volumi in cui sono raccolti
rapporti di autorità giudiziarie e numerose ed atroci foto
grafie, ad esempio quelle del bombardamento di una colon
na di rifugiati il 1 4 aprile 1999 a Djakoviza 27 •
Un'altra opera, pubblicata a Belgrado nel 2000 dal Center
far peace and tolerance, ha egualmente presentato numerose
foto di serbi costretti all'esilio, d'incendi criminali delle loro
case e chiese, dopo la vittoria dell'UCK che era stata appog
giata dai bombardamenti NATO28 •
Il procuratore generale della Serbia ha accusato, nell'ago
sto del 2000, per quelli che ha ritenuto atroci crimini di
guerra, quattordici presidenti e ministri delle potenze occi
dentali, tra cui Bill Clinton, Madeleine Albright, Tony Blair,
Jacques Chirac, Gerard Schroder, Joschka Fisher e l'allora
segretario della NATO, Javier Solana 29 •
I media occidentali, logicamente, non diedero alcun rilie
vo a quelle atrocità, politicamente imbarazzanti. Le uniche
atrocità «interessanti» per la propaganda sono quelle che
possono essere sfruttate politicamente.
Resta, tuttavia, il fatto che l'essenza stessa della guerra è la
violenza, per entrambi i contendenti. È utopistico volerla
umana e moderata. Non può essere resa umanitaria. Con
trariamente a quel che pretende la propaganda di guerra,
non si tratta di condurla cavallerescamente o meno.
Voltaire nei suoi Racconti filosofici aveva già detto:
Non ci sono leggi per la guerra. L'unico male che non fa è quello
davanti al quale la paura o l'interesse la fermano.
77
Capitolo sesto
Il nemico usa armi illegali
79
Così, sui banchi di scuola, i bambini belgi hanno appreso
che il 15 giugno 1940 l'Italia, attaccando la Francia dopo
che la Germania l'aveva già sostanzialmente sbaragliata, le
aveva inferto «una pugnalata alla schiena», confermando la
sua proverbiale tradizione di vigliaccheria. L'operazione
Barbarossa di Hitler contro l'Unione Sovietica, l'attacco dei
giapponesi a Pearl Harbour, la guerra dello Yom Kippur
contro Israele, l'offensiva turca a Cipro o l'invasione del Ku
wait da parte di Saddam Hussein ci sono stati presentati co
me altrettanti atti di tradimento, avendo sorpreso la nostra
buona fede. Anche quando ci si sia convinti d'aver fatto nu
merose vittime civili tra i nemici, è ancora possibile attribui
re la colpa dei fatti al nemico, sostenendo che sta praticando
la strategia degli «scudi umani», che consiste nel proteggere
i militari schierandoli dietro ai civili. È stata probabilmente
la tattica utilizzata dagli Stati Uniti, nel 1 983, quando cerca
rono di proteggere un loro aereo-spia dietro un Boeing ci
vile coreano, abbattuto dai sovietici. Questa tattica, tuttavia,
non è mai così odiosa come quando viene messa in pratica
dal nostro nemico...
Inoltre, non è solamente per la sua strategia, ma soprat
tutto per le armi che usa che il nostro nemico mostra più
chiaramente la sua vigliaccheria. Dal bastone alla bomba
atomica, passando per il cannone e il fucile automatico, tutte
le armi sono state successivamente considerate dai perdenti
come indegne di una guerra veramente cavalleresca, dato
che il loro uso condannava automaticamente alla disfatta la
parte che non ne era dotata.
80
v1tt1me delle altre armi non era, senza dubbio, molto più
invidiabile di quello dei soldati gasati, tuttavia i gas reste
ranno, fino alla seconda guerra mondiale, il simbolo di una
guerra «disumana» .
I tedeschi, inoltre, erano divenuti maestri - al contrario
degli Alleati - nell'uso militare dei sottomarini, anche que
sti considerati come il prototipo di un'arma «disonesta». Il
siluramento del Lusitania, in particolare, fu sfruttato e pre
sentato dalla propaganda alleata come un barbaro atto di
pirateria.
Il 7 maggio 1915 un siluro lanciato da un sottomarino te
desco aveva fatto colare a picco il piroscafo americano, cau
sando la morte di 1 .200 passeggeri civili. Come ho già ac
cennato, il Lusitania era in realtà un arsenale ambulante, le
sue stive traboccavano di munizioni e i suoi ignari passeggeri
erano serviti, senza saperlo, da alibi a questo trasporto, di
cui, per contro, la Germania era bene informata. Erano stati
usati, per impiegare un termine alla moda oggi, come «scudi
umani» per un trasporto di armi.
Questa tragedia, come i gas asfissianti, continuò a far
scorrere parecchio inchiostro, anche dopo la guerra e, nel
1 922, fu firmato a Washington un trattato che regolamenta
va l'impiego di queste due armi nel cui uso l'esercito tedesco
si era distinto 1 •
Il trattato, firmato da Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna,
Italia, Giappone e naturalmente Germania, «fissava le regole
adottate dalle nazioni civili [sic] per la protezione delle per
sone neutrali e dei non-combattenti», e precisava che un sot
tomarino non può distruggere un naviglio commerciale se
non dopo essersi assicurato che equipaggio e passeggeri sia
no stati messi in salvo.
Nel 1 939, i governi della Francia e del Regno Unito fece
ro pubblicare una dichiarazione comune sul · tema della
guerra umana condotta con armi classiche. In questa affer-
1
Trattato del 6 febbraio 1 922 relativo all'impiego di sottomarini e gas
asfissianti in tempo di guerra, il cui testo è riprodotto in Louis Le Fur e
Georges Chklaver, Recueil de textes. . . , cit., p. 7 1 1 e seguenti.
81
mavano in particolare la loro intenzione di sottostare al pro
tocollo di Ginevra del 1 925 che vietava, in caso di guerra,
l'uso di gas asfissianti o tossici e di mezzi batteriologici. Assi
curavano inoltre che non avrebbero utilizzato i loro sottoma
rini se non in conformità al protocollo del 1 936 accettato da
pressoché tutte le nazioni civili 2 •
82
considerava il siluramento come un atto di pirateria, come
una violazione del diritto di guerra. Contrariamente ai det
tami della convenzione internazionale (ma la Germania non
ne era stata firmataria), nulla era stato fatto per mettere in
salvo passeggeri ed equipaggio di questa nave mercantile e
quindi Franklin D. Roosevelt equiparava il siluramento ad
un atto di terrorismo 1 •
Di fatto, durante la seconda guerra mondiale si utilizze
ranno armi denunciate come «illegali» e metodi di guerra
dichiarati «illegittimi», come i bombardamenti delle popola
zioni civili, inaugurati all'epoca della prima guerra mondiale
e della guerra civile spagnola, l'uso dei proiettili «dum-dum»,
delle V l e V2 e, naturalmente, la sperimentazione del lancio
sulla popolazione civile delle prime bombe atomiche.
È noto che i laboratori tedeschi e quelli americani erano
impegnati in una gara di velocità per ottenere l'arma nuova
e assoluta che potesse decidere, in modo definitivo, l'esito
della guerra.
La vittoria alleata ebbe come effetto, per molto tempo,
che i paesi che non la possedevano chiedevano di farla in
terdire. I paesi possessori dell'arma nucleare, per contro, ri
spondevano sia con la volontà di mantenerla riservata al loro
«gruppo» sia con la moltiplicazione dei trattati di non proli
ferazione.
1
America Chooses!, cil., pp. 1 29- 1 32 .
83
Il deputato dell'RPR Pierre Lellouche, autore dell'artico
lo, incaricato dalla Commissione difesa dell'Assemblea na
zionale francese, va in Russia, assieme al deputato del PS
Guy-Michel Chauveau, per condurre un'inchiesta sulla guer
ra batteriologica e chimica. Confessa _a Paris-Match d'essere
ritornato a mani vuote. Non ha visto nulla, ciò nondimeno
assicura che al terrorismo «classico»
5
L'ipotesi è attualmente più verosimile per la Cina e la Corea del
Nord...
lì L'organizzazione Human Rights Watch, al termine di un'inchiesta con
dotta sul posto, valutò, all'inizio del 2000, ad un minimo di cinquecento le
84
stessa ammetterà, nel marzo 2000, d'aver utilizzato 3 1 .000
granate all'uranio impoverito all'epoca della guerra contro
la Jugoslavia, ma che quest'arma, che si suppone provochi
malformazioni nei feti, mortalità e problemi di sterilità, non
era vietata, al momento del suo utilizzo, da alcuna conven
zione internazionale 7 •
Mi torna alla mente, comunque, che durante il mio sog
giorno jugoslavo nel maggio 1 999, alcuni giovani serbi mo
stravano i pugni agli aerei NATO che venivano a bombar
darli. «Se sei un uomo, vieni qui da solo a batterti con me»,
gridava uno di questi giovani in direzione di un pilota. Rite
neva, infatti, poco «virile» o «cavalleresco» battersi in tale di
suguaglianza di mezzi. I «cavalieri del cielo», ai comandi dei
loro bombardieri quasi invulnerabili, gli apparivano come
dei codardi.
E, in effetti, come si fa a vedere in questi bombardamen
ti un «bel» combattimento, una singolar tenzone, un duello
d'onore, quando le probabilità per uno dei contendenti di
colpire l'altro sono una a diecimila?
Si potrebbero anche ripensare alla luce di questa distin
zione, sottile e spesso ipocrita, tra armi «autorizzate» e no, le
campagne contro le mine anti-uomo. Il 2 1 luglio 2000, gior
no di festa nazionale in Belgio, la famiglia reale belga, che
appoggiava la campagna di Handicap International contro
le mine anti-uomo, si mostrò, durante la sfilata militare, con
dei nastrini blu appesi chi alla sciabola, chi ad un mazzetto
di fiori, chi alla giacca del tailleur. In appoggio a questa ini
ziativa, anche il ministro della Difesa e i paracadutisti porta
vano il nastrino azzurro.
È ancora necessario ricordare, a tal proposito, che i paesi
che fanno campagne contro l'uso delle mine anti-uomo e
85
s'indignano sono quelli, come il Belgio, che hanno possibili
tà d'usarle assai scarse?
I grandi produttori, per contro, non sono impegnati per
nulla in queste campagne. Le mine anti-uomo sono state re
golarmente utilizzate nei recenti conflitti.
Sia gli Stati Uniti - che chiedono di usare liberamente le
mine anti-uomo, in particolare contro la guerriglia - sia la
Finlandia - che ne è un potenziale utilizzatore contro un'e
ventuale invasione russa - rifiutano di impegnarsi a non
usarle. Come, peraltro, la Russia, l'India e la Cina.
Ancora una volta, l'arma dei «codardi» è quella che non
abbiamo o che non abbiamo bisogno di usare...
86
Capitolo settimo
Le perdite del nemico sono imponenti,
le nostre assai ridotte
87
Anche l'esito delle battaglie sembra favorevole all'uno o
all'altro dei contendenti, secondo che si consultino fonti fran
cesi o tedesche. In questo modo, Verdun viene presentata
come una grande vittoria da entrambi gli antagonisti. I tede
schi considerano che fu un grande successo per il gran nume
ro di soldati francesi fatti prigionieri e per le grandi quantità
di materiale bellico francese di cui s'erano impadroniti. Il
Kronprinz decorò i vincitori tedeschi di Verdun. Anche i fran
cesi, tuttavia, rivendicano Verdun come una loro vittoria e il
Petit Larousse, tra le due guerre, diceva di questa battaglia:
Nel 1 9 1 6, per dieci mesi, i francesi respinsero tutti gli attacchi dei
tedeschi, decimandoli, e la loro resistenza nel corso della battaglia
difensiva e offensiva di Verdun meraviglierà l'universo [sic] .
88
interessi sui prestiti, la ricostruzione, le pensioni degli inva
lidi, vedove e orfani... lungi dallo svuotare i portafogli dei
belligeranti, li riempiranno.
89
Per contro, la stampa jugoslava pubblicava regolarmente
durante la guerra la foto di tre soldati americani catturati
nei primi giorni del conflitto, lasciando intendere ai lettori
di averne catturati molti altri. Il comando generale jugoslavo
assicurò, alla fine del conflitto, che il bilancio totale delle
perdite della NATO ammontava a decine di aerei, elicotteri
e droni" e a centinaia di missili Cruise 6 •
Nei rispettivi campi queste informazioni risollevavano il
morale dei belligeranti e persuadevano l'opinione pubblica
dell'utilità del conflitto.
Perché la propaganda arrivi efficacemente alla pubblica
opinione, è conveniente circondarsi di «professionisti» che
sappiano farlo. È questo l'ottavo principio della propaganda
di guerra.
90
Capitolo ottavo
Gli artisti e gli intellettuali
sostengono la nostra causa
1
Vedi i suoi articoli su L'Illustration, in particolare quelli del 24 dicembre
1 9 1 5 e del 3 novembre 1 9 1 7, citati da G. Demartial, op. cit., pp. 16 1 - 162.
91
Le «perle» 2 di maggiore effetto della propaganda furono
redatte da uomini di lettere, talora celebri, talora anonimi,
come l'autore della «Preghiera di una bambina dalle mani
mozzate», che apparve sulla Semaine religieuse di l'Ille-et
Vilaine nel febbraio del 1915. Una bimbetta di sei anni, in
ginocchiata in preghiera in un ospedale del Nord, con le
braccine awolte nelle bende, dice a bassa voce:
2
Vedi il Collier de Bellone messo insieme da Gustave Dupin e citato da
G. Demartial, op. cit., pp. 1 6 1 - 1 62.
3 Citato da john Horne, op. cit., p. 1 34.
4
Sunday Chronide, 2 maggio 1 9 1 5, citato da A. Ponsonby, op. cit.
92
Ci furono poeti che s1 ispirarono al tema della guerra.
L'illustre poeta belga Emile Verhaeren scrisse raccolte di
versi, in larga parte dedicate alla propaganda di guerra. Si
burlava dell'infermità del Kaiser 5 , presentandolo come un
essere subdolo, un puritano che brucia Reims mentre pian
ge per Lovanio. Uno dei poemi di Emile Verhaeren s'intito
la «La Germania sterminatrice delle razze» 6 ove, tra l'altro,
scnve:
Tradotto letteralmente:
93
Artisti, pittori e caricaturisti misero la loro arte al servizio
della propaganda.
In Belgio, Alfred Ost, Ernest Wante, Louis Ramaekers,
Louis-Charles Crespin e Albert Besnard, tra gli altri, rappre
sentarono in commoventi immagini rifugiati che sfuggivano
alle orde tedesche, preti davanti alle loro chiese distrutte
dagli Unni, i sovrani belgi che si presentavano a Cristo alla
testa dei re cattolici di tutte le epoche. . . 9
In Francia caricaturisti, talora celebri (Roubille, Willette,
Huard, Herman Paul) collaborarono nella propaganda.
Poulbot rappresentò una bimbetta inginocchiata davanti alla
tomba ... della sua mano! 10 Matisse e Monet firmarono il Ma
nifesto dei Cento, patriottico e antitedesco.
Anche i musicisti si mobilitarono. Camille Saint-Saum
lautens firmò lo stesso manifesto e Debussy compose una can
zone dal titolo Natale dei bambini che non hanno più casa nel cui
testo si diceva: «Hanno bruciato la chiesa e il Signore Gesù
Cristo, e il povero vecchio che non è riuscito a scappare» 1 1 •
A questo «Manifesto dei 93» o «Appello al mondo civile» a
sostegno alla causa della Germania risposero numerose peti
zioni di appoggio agli alleati,
Parallela fu, naturalmente, la mobilitazione di artisti e in
tellettuali sul fronte tedesco.
All'inizio dell'ottobre 1914 apparve sul Berliner Tageblatt un
«Appello al mondo civile» firmato da 93 grandi dell'intel
ligentzia tedesca, da cui il soprannome di «Manifesto dei 93».
Fu pubblicato in francese il 13 ottobre sul giornale Le Temps.
Questi saggi, in qualità di rappresentanti della scienza e
dell'arte tedesca, sostenevano di dover reagire alle menzo
gne e alle calunnie degli alleati. Il manifesto si rivela piutto
sto interessante perché costituisce un esempio di applicazio
ne di quasi tutti i principi che abbiamo descritto in questo
lavoro. Guglielmo II aveva fatto l'impossibile, durante il suo
94
regno di venticinque anni, per evitare le guerre ed era anima
to da «un amore incrollabile per la pace». La Germania s'era
vista imporre la guerra. Non aveva violato la neutralità belga,
ma risposto all'attacco condotto con «un'imboscata da tre
grandi potenze». Queste ultime erano, in realtà, risolute a
violare la neutralità belga, mentre la Germania non aveva fat
to altro che «precederle». I soldati tedeschi non avevano
commesso alcuna atrocità. Non avevano mai «portato attacchi
alla vita o ai beni d'un solo cittadino belga, senza esserne stati
forzati dalla dura necessità della legittima difesa».
Per contro, secondo il manifesto, i civili belgi avevano
sparato «proditoriamente» sui soldati tedeschi e la «popola
zione belga aveva mutilato dei feriti e sgozzato dei medici
che esercitavano la loro professione caritatevolmente» . Ben
ché assaliti a Lovanio da franchi tiratori, i soldati tedeschi
avevano fatto di tutto perché la città rimanesse intatta.
Quanto all'edificio comunale, «i nostri soldati [tedeschi] l'a
vevano protetto dall'incendio, a rischio della vita». Mentre
l'esercito tedesco rispetta le leggi di guerra e il diritto dei
popoli, gli alleati, in Occidente, usano proiettili dum-dum
che «dilaniano i corpi dei nostri coraggiosi soldati», in
Oriente, massacrano donne e bambini.
Infine, il manifesto assicura che la Germania è un paese
civile, il vero protettore della civiltà europea, al contrario di
quello che fanno gli «anglofrancesi» che si alleano a serbi e
russi e aizzano «mongoli e negri contro la razza bianca».
Discendenti di Goethe, Beethoven e Kant, i firmatari del
manifesto - tra i quali si può in particolare notare il Premio
Nobel e filologo Willamovitz, il fisico (e futuro Premio No
bel) Max Planck, lo storico G. van Harnack e numerosi pro
fessori di teologia cattolica - si dicono solidali col popolo te
desco e l'esercito tedesco che protegge la cultura del loro
paese, «esposto come nessun altro ad invasioni che si ripe
tono di secolo in secolo».
95
più grandi nomi della scienza, dell'università, della penna e
delle arti. La risposta inglese arrivò nell'ottobre del 19 14 1 2
contemporaneamente a quella degli intellettuali russi 1 3 • Nel
novembre del 19 14 fu l'Accademia delle Scienze del Porto
gallo che a sua volta attaccò i 93 intellettuali tedeschi. Ci fu
rono inoltre professioni di fede patriottica da parte di uo
mini di cultura ed artisti spagnoli (Mi guel de Unamuno e
Manuel De Falla, tra gli altri), americani, argentini e soprat
tutto francesi.
Gli intellettuali francesi, i quali, quindici anni prima con
l'affare Dreyfus, avevano, in qualche modo, creato il modello
dell'intellettuale impegnato a favore della giustizia e del di
ritto, che deve lanciarsi, penna in resta, contro la minaccia a
questi valori, si impegnarono con lo stesso entusiasmo in
difesa della guerra 1 1.
Risposero, pertanto, al «Manifesto dei 93» con un «Manife
sto dei Cento», patrocinato dall'Académie des inscriptions et belles
lettres e intitolato «I tedeschi distruttori di cattedrali e di tesori
del passato» 1 5. Come firmatari vi possiamo trovare, fianco a
fianco, cattolici e repubblicani anticlericali, intellettuali d'e
strema destra (come Maurice Barrés) e artisti vicini ai socialisti
- addirittura degli anarchici -, sostenitori di Dreyfus e detrat
tori dello stesso. La guerra appannava uniformemente il senso
critico in molti ambienti... Tra coloro che avevano firmato, si
possono trovare Tristan Bernard, Paul Claudel, Georges
Courteline, Claude Debussy, Camille Flammarion, Anatole
France, André Gide, Lucien Guitry, Pierre Loti, Matisse, Oc
tave Mirbeau, Monet, Camille Saint-Saens16 •
96
Gli intellettuali pacifisti, d'altro canto, svantaggiati dal ri
gore della censura e da diverse pressioni, sulle quali torne
remo nel capitolo decimo, non poterono diffondere un loro
proprio manifesto, né in Francia, né in Germania.
97
Tutto il mondo delle lettere era mobilitato. Non si distinguevano
più le personalità. Le università formavano un ministero dell'intel
ligenza addomesticata.
'.!O
fvi, pp. 87-88.
98
Trenet, André Dassary, Edith Piaf e Maurice Chevalier, tra
gli altri, furono i cantanti di sostegno del petainismo e del
l'occupante, almeno all'inizio della guerra '.!I.
Durante la seconda guerra mondiale, la radio e i dischi
vennero utilizzati massivamente come mezzo di propaganda
e la BBC, come Radio Mosca, giocò un ruolo assai rilevante
sull'opinione pubblica del continente.
Negli Stati Uniti si potevano acquistare dischi con i di
scorsi del presidente Roosevelt 22 o una marcia intitolata Re
member Pearl Harbour.
La pittura fu molto utilizzata durante la seconda guerra
mondiale, come tecnica di base per produrre manifesti pro
pagandistici che vantavano i motivi per il quale il paese s'era
impegnato in guerra.
Anche i fotografi contribuirono alla produzione di questi
manifesti: ricordiamo quelli di Norman Rockwell, che pre
sentavano in modo romantico le quattro libertà per le quali
gli Stati Uniti combattevano.
Altri temi, presenti nei cartelloni murali di propaganda
durante la seconda guerra mondiale, erano le denunce delle
atrocità del nemico o l'esaltazione, senza ombre, del succes
so dei combattenti alleati '.!:!_ La seconda guerra mondiale ve
drà inoltre lo sviluppo del cinema di propaganda e cineasti
di talento, come Frank Capra e Joris lvens negli Stati Uniti,
parteciperanno allo sforzo bellico dirigendo dei film propa
gandistici. Perché combattiamo, realizzato dai due cineasti,
rientra indiscutibilmente in questa categoria e presenta i
giapponesi con tratti negativi, prettamente caricaturali.
Altri registi americani scelsero, al momento in cui gli Stati
Uniti combattevano a fianco dell'URSS, di vantare i meriti
del loro nuovo alleato con film come Mission lo Moscow e
Northern Star.
99
Una partecipazione nutrita di intellettuali ed artisti si può
incontrare anche nell'epoca della guerra fredda. In quel pe
riodo, una nuova «arte» fu molto richiesta: il fumetto.
Sul settimanale belga per giovani Spirou, le avventure di
Buck Danny 24 facevano partecipare il lettore alla guerra di
Corea 25, mentre in Francia Bernard Chamblet en mission au
Pays jaune '2ti metteva di fronte, nel quadro della guerra d'In
docina un legionario fedele alla Francia e dei ribelli sadici.
Le avventure di Blake e Mortimer, ad esempio, hanno per
petuato il genere fino ai nostri giorni, con La macchinazione
Voronov, un racconto drammatico pubblicato nel 2000, in cui
si vede come degli scienziati sovietici del 1 957, in 48 ore,
identifichino un batterio sconosciuto venuto dallo spazio, ne
coltivino un ceppo e lo inviino ai quattro angoli della terra
per assassinare delle personalità occidentali! 27 Disegnatori e
sceneggiatori di fumetti si affiancano, in questo a caso, agli
scrittori e registi di cinema che hanno partecipato alla pro
paganda durante la guerra fredda 28 •
100
poggiare la guerra 29 , inventando formule choc, raccontando
storie buone, appoggiando oggi, con il loro prestigio, infor
mazioni che il giorno dopo sarebbero state smentite, offen
dendo chi, poco o molto, le metteva in dubbio. Per far va
cillare gli ultimi dubbiosi non hanno esitato a ricorrere ai
simboli e alle memorie dell'antifascismo e dell'antistalini
smo, evocati generalmente in modo inappropriato: genoci
di, gulag, Hitler, Monaco, Oradour...
Si ricorse perfino ai geografi per presentare i progetti po
litici che avevano l'appoggio dei nostri governi come delle
realtà già inserite nella cartografia. Così la rivista mensile
National Geographic distribuì in tutto il mondo, in milioni di
copie, col suo numero di febbraio 2000, una grande carta
geografica dei Balcani che «anticipava» le prossime operazio
ni militari progettate dalla NATO. In effetti, mostrava chia
ramente con l'uso di colori come l'Albania comprendesse il
Kosovo e una parte del Montenegro:'0 • In questo stesso sen
so, la radio-televisione belga francofona ha presentato, nella
sua carta geografica delle previsioni meteorologiche, il Ko
sovo come uno Stato indipendente, anche se gli accordi suc
cessivi al bombardamento della Jugoslavia hanno conferma
to senza ambi gu ità e in maniera «definitiva», la sovranità ju
goslava sul Kosovo 3 1 • La televisione s'è totalmente mobilitata
per suscitare il consenso alla guerra contro la Jugoslavia e
questo non solo nelle trasmissioni cosiddette d'informa
zione, il più delle volte composte da una sequenza di servizi
emotivi senza un filo conduttore.
101
Sono stati messi in piedi colossali show televisivi, ai quali si
sono invitati i cantanti e gli artisti più celebri, per sensibiliz
zare un pubblico poco politicizzato e scarsamente incline a
sostenere lo sforzo bellico contro la Jugoslavia.
Con volti patetici e contratti e voci rauche per la grande
emozione, gli animatori delle catene televisive belghe, sia
pubbliche che private, per una volta riunite, hanno allestito
spettacoli Per il Kosovo diffusi simultaneamente sui diversi
canali e ai quali era difficile sfuggire. La partecipazione de
gli artisti più quotati e l'interazione col pubblico, nella gara
di generosità cui si faceva appello, assieme alla competizione
tra fiamminghi e francofoni, assicuravano a questi show in
dici di ascolto molto alti e suscitavano nel pubblico l'impres
sione che una guerra intrapresa con l'appoggio di tante ce
lebrità poggiasse su una causa giusta.
Anatole France - che peraltro firma Il Manifesto dei Cento -
ebbe a dire un giorno che «la guerra è meno condannabile
per tutte le macerie che fa, che per l'ignoranza e la stupidità
che l'accompagnano»:1'.!.
Perché l'opinione sia definitivamente acquisita alla causa
della guerra, non resta che far credere che la nostra causa
non ha nulla a che fare con le altre cause, perché la essa è
infinitamente morale. Ovvero, in modo del tutto equivalen
te, che è sacra e fa della nostra lotta una vera crociata.
102
Capitolo nono
La nostra causa ha un carattere sacro
103
Fate la guerra a quelli che non credono in Dio. Fate la guerra fino
a che non pagheranno il tributo e non si sottometteranno [ . ..]
Quando incontrerete gli infedeli, ammazzateli fino a farne un gran
massacro, uccideteli dovunque li trovate, combatteteli finché non ci
sarà più alcun disaccordo e che rimanga solo il culto di Allah ... '.!
1 04
Durante la seconda guerra mondiale gli italiani presenta
rono i soldati (neri) americani come dei saccheggiatori di
chiese e dei distruttori d'immagini sacre. Nello stesso tem
po, negli Stati Uniti, ove la politica è impregnata di religio
ne, la causa alleata venne presentata come la causa di Dio e
del cristianesimo 4 . Il presidente americano Roosevelt ri
chiamava spesso nei suoi discorsi argomenti religiosi e invo
cava frequentemente Dio e la sua protezione.
Aggiungeva:
1 05
Il colonnello Knox, segretario della Marina americana, in
un discorso del primo luglio 1941 a favore dell'entrata in
guerra degli Stati Uniti contro l'Asse, dichiarò: «Possiamo
assicurarvi, senza ombra di dubbio, la sconfitta di questa for
za pagana [corsivo dell'autrice] e garantirvi la vittoria della
civiltà cristiana». Lord Lithian, ambasciatore britannico negli
USA, in una lettera testamento scritta cinque ore prima di
morire, riprende questo argomento in uno slogan lapidario:
«Il sermone della montagna è, a lungo termine, assai più
forte di tutta la propaganda di Hitler e di tutti i fucili e le
bombe di Goering».
8
Ad esempio in A merica Clwoses/, cit., p. 72, discorso del 6 gennaio 1 94 1
sullo Stato dell' Unione, e p . 24, discorso del 2 7 maggio 1 94 1 .
\ l Vedi due esempi in jacques Pauwels, op. cit., p p . 1 13- 1 1 4.
1 ° Citato in America Choo:,'fs/, cit., p. 95, discorso di F.D. Roosevelt del 17
marzo 1941.
106
I recenti conflitti hanno visto risorgere questo argomento
della mitologia manichea: la santa democrazia del mercato è
in lotta contro gli «Stati canaglia» 1 1 e le Forze del Male. Il
ministro francese Hubert Védrine è rimasto assai isolato
quando, nel giugno 2000, dichiarò che la democrazia non è
una religione: «I paesi occidentali hanno un po' troppo la
tendenza a credere che la democrazia sia una religione e che
si tratti di convertire la gente» 1 2 •
Inoltre l'argomento religioso è stato usato, letteralmente,
dai belligeranti dovunque è stato possibile.
In Jugoslavia il conflitto tra albanesi e serbi è stato senti
to e presentato da questi ultimi come una guerra a caratte
re religioso. Si trattava della cristianità ortodossa, assalita,
ancora una volta, dall'Islam. Anche se erano atei, i serbi
mettevano in risalto questo aspetto della guerra tra «la
mezza luna e la croce» e insistevano sulla religione orto
dossa come primario elemento costitutivo della loro identi
tà. La religione ortodossa fu presentata, di fronte agli at
tacchi della NATO, come il cemento che legava i serbi. I
tabelloni per la pubblicità di Belgrado, nella primavera
1999, durante i bombardamenti, erano tappezzati d'immen
si manifesti, realizzati da un partito di destra, che assicura
vano, su uno sfondo di slogan religiosi ( «Cristo è risuscita
to», leit-rnotiv della Pasqua ortodossa): «Loro ( = la NATO)
credono alle bombe, noi crediamo in Dio». La foto metteva
di fronte una bomba e un uovo di Pasqua dipinto nel modo
tradizionale dell'Est europeo.
Nello stesso ordine di idee, Belgrado ha pubblicato nel
2000 un libro di foto che documentava le azioni commesse
contro i serbi dopo l'occupazione da parte delle forze arma
te internazionali 1 :1 • Numerose foto di quest'opera mostrano
1 07
monasteri e chiese distrutti dagli albanesi nel Kosovo 1 1. I
serbi speravano in una solidarietà cristiana contro gli «ico
noclasti» musulmani, ma il messaggio non è stato recepito
che nei paesi ortodossi, mentre i paesi cattolici e protestanti
hanno rifiutato di riconoscere, in questo caso, la dimensione
religiosa del conflitto, meno importante, secondo loro, della
dimensione politica.
Se l'arcivescovo di New York e il presidente della commis
sione sociale della Chiesa di Francia, come pure la Chiesa
riformata, hanno manifestato seri dubbi oppure si sono di
chiarati profondamente contrari ai bombardamenti NATO,
l'arcivescovo di Praga e il presidente della commissione Giu
stizia e Pace dell'episcopato francese 1 5 , al contrario, hanno
totalmente appoggiato le azioni occidentali contro la Jugo
slavia.
Di contro, la grande massa degli ortodossi (Russi, Rome
ni, Greci, Bulgari... ) hanno avvertito il conflitto come una
nuova lotta contro i «Turchi», con l'umiliazione di vedere gli
occidentali sostenere la mezza luna contro la croce. I pope
russi hanno organizzato soccorsi umanitari di solidarietà per
i loro confratelli ortodossi serbi 16 e i Greci sono stati i più ri
trosi, tra gli occidentali, nel seguire la politica della NATO.
Negli altri paesi cristiani della NATO, questo aspetto religio
so della guerra, a cui i serbi davano risalto, fu messo il più
possibile sotto silenzio. Quasi sempre si «dimenticava» di di
re che gli albanesi, di cui si correva in aiuto (come, peraltro,
i ceceni di Grozny), erano dei musulmani 1 7• Quando era ine
vitabile fornire questa precisazione, si presentavano i mu
sulmani d'Albania e Kosovo come popolazioni che pratica
vano un islam particolarmente discreto, tollerante, modera-
11 Sembra accertato che, dal giugno 1999, parecchie decine di chiese
serbe ortodosse siano state distrutte.
15
Monsignor J acques Delaporte, arcivescovo di Cambrai . Su queste di
verse posizioni vedi Xavier Ternisien, «Les églises face à la ' guerre juste'»,
in le Monde, 27 maggio 1 999.
H, Vedi l'articolo di François Bonnet su le Monde dell'8 aprile 1999.
17
André Glucksmann, nei suoi articoli di sostegno ai ceceni, è uno di
quelli che dimenticano di precisare ai suoi lettori questo dettaglio (Paris
Match, 27 luglio 2000, p. 82) .
108
to e, per così dire, «europeo» 1 8• Si preferiva passare ad altre
cose, come il carattere sacro dell'intervento contro un paese
che rifiutava la democrazia di mercato. L'argomento del ca
rattere religioso della guerra risulta, qualche volta, più facile
da difendere in un campo che nel campo avverso. Non è
evidentemente invocato che quando serve alla nostra causa...
18
Si veda ad esempio Xavier Ternisien, «L'Islam européen des AJba
nais», in le Monde, 15 aprile 1999, p. 16.
109
Capitolo decimo
Quelli che mettono in dubbio la propaganda
sono dei traditori
111
francesi non erano necessariamente stati più teneri di loro,
un insegnante francese - Mayoux - fu destituito e condanna
to a due anni di prigione '. Fu destituito dalla Missione laica
anche un professore dell'Istituto Francese del Cairo il quale,
in una conferenza sulla guerra, «aveva passato sotto silenzio
il modo atroce con cui il nemico conduceva le ostilità» '.!.
In Francia, la Société d'études documentaires et critiques sur la
guerre aveva come fine la ricerca delle responsabilità che cia
scun paese aveva per lo scoppio del conflitto. Realizzava per
tanto degli studi sulla base di documenti e teneva un profilo
assai moderato - mal grado la presenza di pacifisti nei suoi
ranghi. Nonostante ciò, la Société, per i temi che trattava, era
oggetto di un'attenzione continua da parte della polizia e
dei confidenti della polizia assistevano alle sue riunioni. Nel
1917, il prefetto di polizia chiese ed ottenne dal ministro
dell'Interno il divieto definitivo alle attività della Société, co
stretta in tal modo a cessare i suoi lavori.
Georges Demartial, una delle anime della Société, a lungo
citato in questo libro, fu tradotto davanti al consiglio dell'or
dine della Legion d'onore, per aver pubblicato un articolo in
cui rifiutava di considerare la Germania unica responsabile
delle ostilità\
In Gran Bretagna, la sorte di coloro che mettevano in
dubbio e contraddicevano la propaganda di guerra non fu
più invidiabile. L'Union of Democratic Contro!, che era nel
paese la principale voce d'opposizione alla guerra, si vide la
posta, il telefono e le riunioni sottoposti a controllo da parte
di Scotland Yard. I suoi incontri erano interrotti da provoca
tori, che strappavano gli striscioni e picchiavano oratori e
pubblico. Nessuno voleva più prestarle i locali per le riunio
ni e si creò il vuoto attorno a Morel, figura emblematica del
l ' Union. Questi non era un pacifista e affermava che si sareb
be battuto se l'Inghilterra fosse stata attaccata, ma che non si
era in questa situazione. La polizia perquisì la sede dell'UDC e
1
Georges Demartial, op. cit., p. 269 .
'.! Progrès civique del 24 settembre 192 1 , citato da Georges Demartial, op.
cit ., p. 271.
:i Christophe Prochasson, op. cit., pp. 162-1 67 e 212.
112
il domicilio personale di Morel. Il suo ufficio era costante
mente sorvegliato. I suoi scritti furono sequestrati e la stam
pa l'accusò di essere al servizio del nemico. Il Daily Sketch,
del primo dicembre 1915, propose «che ci si impadronisse
dell'arcicospiratore». Il Daily Express (4 aprile 1915) si chie
deva chi finanziasse la sua Unione filo-tedesca, e l'Evening
Standard (7 luglio 1917) lo qualificò come «agente tedesco
nel nostro paese» 1. Alla fine fu incarcerato e condannato ai
lavori forzati.
Negli USA, ai tempi della prima guerra mondiale, l'ex
presidente Theodore Roosevelt avrebbe scritto:
1 13
Quelli che mettono in dubbio il corretto fondamento del
l'intervento americano nelle guerre europee non sono dei
patrioti:
Voi ed io, che abbiamo servito al tempo della Grande Guerra, dob
biamo far fronte in questi ultimi anni ai tentativi antipatriot tici di
certi nostri concittadini che vogliono farci credere che i sacrifici
fatti dal nostro paese sono stati inutili 9 .
1 14
qualche riflessione critica si mette «controcorrente rispetto
agli intellettuali benpensanti, al sicuro sotto l'ala protettrice
dello zio Sam» 1 \
Per non essersi fatti reclutare e intruppare, furono imme
diatamente accusati d'essere anti-occidentali, anti-demo
cratici, in breve di «appoggiare Milosevic».
I media, nella grandissima maggioranza sottomessi alla
disciplina NATO, anche se vennero lasciate piccole tribune
libere come alibi e «prove» del pluralismo mediatico, si sca
gliarono contro di loro.
Le Soir e la RTBF in Belgio, ma anche la BBC in Gran Bre
tagna, rifiutarono ogni contributo proveniente da oppositori
che avrebbero potuto produrre imbarazzo.
Quest'ultima tagliò, da un videoclip del Socialist Labour
Party di Arthur Scargill, la sequenza che mostrava le deva
stazioni causate dai bombardamenti NATO 1 1 •
Il portavoce del capo del governo Tony Blair, Alastair
Campbell, peraltro, accusava i media britannici e in parti
colare la BBC-lV di simpatie filoserbe, per aver fatto vedere
le «sbavature» della NATO 1 ".
i :i
Le parole sono di Georges Moustaki, nel suo articolo intitolato «A
Daniel Cohn Bendit» (Le Monde, 3 giugno 1 999).
11 Miche) Collon, Monopoly. L 'Otan à w conquéte du monde, cit., p. 48.
1
" Le Monde, 13 luglio 2000.
lti Le Monde-télévision, domenica 1 1 e lunedì 12 aprile 1999 e domeni
ca 27 e lunedì 28 giugno 1 999.
115
La pulizia etnica, prodottasi in primavera a danno degli albanesi,
accompagnata da morti, torture, saccheggi ed incendi di case, è
stata seguita, in autunno, dalla pulizia etnica a danno dei serbi, dei
gitani, dei bosniaci e d'altre genti non albanesi su cui furono com
messe le stesse atrocità 1 7 •
1 16
avranno posto nel Kosovo libero e potranno essere oggetto
di eventuali e giustificabili rappresaglie» 1 8 •
Lo scrittore Peter Handke, che aveva realizzato nel giu
gno 1999, per il Burgtheater di Vienna, un lavoro su questo
argomento, nel quale, in particolare, proclamava il suo di
sprezzo per le «iene umanitarie», esperti e giornalisti al ser
vizio della «centrale monopolistica di produzione della veri
tà» 1 9 , fu immediatamente accusato di aver preso partito per
la causa serba e precisamente per un paese, la Serbia, «che
tutto il mondo odia». Il suo lavoro, che parlava delle soffe
renze del popolo serbo, quando tutti i media non parlavano
che di quelle dei kosovari, fu fischiato. Il quotidiano vienne
se Kurier e anche la Frankfurter Allgemeine Zeitung si accani
rono contro l'autore «rabbioso», le sue prese di posizione
«aggressive e parziali» e il suo testo che non era che «una se
rie di sciocchezze» 20 •
cit., 6 O .
1 rfl
· · l Iavoro s , mt1to
. . Iava e il.a
· in . piroga
. . .
o compostzwne . dt. un fit lm
a propostlo
suUa guerra.
20 Vedi Le Monde dell' 11 giugno 1999 e del 13 e 1 4 giugno 1999.
1 17
gliono la pace», del collettivo « No alla guerra», forte di cen
tomila firme, venne resa pubblica «reclamando la cessazione
immediata dei bombardamenti aerei della NATO» e «l'aper
tura di veri negoziati [ ... ] attorno ad un piano di pace dura
turo», Le Monde del primo aprile 1999 non titolò con i nomi
prestigiosi che l'appoggiavano (l'Abbé Pierre, Gilles Per
rault, Max Gallo, Alexandre Zinoviev, Peter Handke, Jean
Francois Kahn) ma invece con «L'imbarazzante appello alla
pace della 'Nuova Destra'».
Il giornale parigino rileva in effetti che, tra i 100.000 fir
matari, «si trovano soprattutto [sic] una quindicina di rap
presentanti e simpatizzanti del movimento battezzato 'Nuo
va Destra'» e suggerisce trattarsi di «un'alleanza 'rosso-nera',
un collegamento tra l'estrema destra e il movimento comu
nista, o meglio, anarchico».
In Francia, l'oggetto della campagna di diffamazione più
violenta fu Regis Debray. Questo scrittore aveva avuto l'au
dacia, in piena guerra contro la Jugoslavia, di «andare a ve
dere quel che succedeva dall'altra parte». Il viaggio si era
concluso con un articolo pubblicato su Le Monde (13 maggio
1999) e un altro su Marianne (dal 17 al 23 maggio 1999). In
esso si sosteneva che i peggiori saccheggi commessi in Koso
vo erano avvenuti sotto il diluvio dei bombardamenti e che
si trattava di «rappresaglie» condotte da elementi «fuori con
trollo» con la probabile complicità della polizia locale. Se
condo Regis Debray definire, per questo e a priori, il popolo
serbo «come collettivamente criminale» non era degno di un
democratico. La conclusione ultima delle impressioni koso
vare di Regis Debray, pubblicate su Marianne, era un invito
categorico: «dubitate!».
All'indomani della comparsa del suo articolo su Le Monde
- cosa che prova che i suoi contraddittori avevano già prepa
rato i loro interventi - Regis Debray dovette subire una serie
terrificante di colpi di sbarramento. Bernard Henry-Levy gli
disse: «Adieu, Regis Debray», che equivaleva ad una scomu
nica. Dato che non era «in linea», la macchina mediatica si
mise in marcia. Fu accusato di revisionismo e negazionismo.
Patrick Canivez, maestro di conferenze all'Università Char-
1 18
les De Gaulle - Lille III, lo accusò di cinismo e ingenuità, «di
aver gettato il sospetto sui racconti di stupro, espulsioni, as
sassinii, d'aver negato il crimine». Aveva trasmesso il mes
saggio che i serbi volevano fosse trasmesso, era intervenuto
su un tema sul quale egli era manifestamente poco informa
to ed aveva giocato un ruolo importante per i serbi «che
l'avevano ricevuto e protetto» (Le Monde, 1 6 e 1 7 maggio
1 999). Pierre Bayard e Jean-Louis Fournel, professori all'U
niversità di Parigi VIII, nello stesso numero di Le Monde, ac
cusarono Debray di malafede, di rifiuto di ammettere le
atrocità e di revisionismo causato da atteggiamento «iper
critico». Se gli si desse ascolto, dovremmo «probabilmente
accogliere con grande sospetto i racconti di donne e uomini
cacciati e feriti nelle carni». Alain J oxe, direttore della
Scuola di Alti Studi in scienze sociali, scrisse su Le Monde ( 1 4
maggio 1 999): Regis «Debray ha scelto il suo campo, il cam
po di Milosevic». Pierre Georges rimprovera Debray d'esse
re un falso giornalista '.! i _ Daniel Schneidermann l'accusa di
schiaffeggiare a distanza i rifugiati '.! '.!. Il plotone d'esecuzione
al gran completo poteva fucilare il «traditore» ...
119
non passare per traditore, bisogna astenersi da ogni tipo di
opposizione? Non si può essere per il proprio paese, se ha
ragione, ma contro se ha torto? La giustizia e la verità non
esigono che si difenda anche il nostro nemico, se accusato di
crimini che non ha commesso? A rischio d'essere accusato di
alto tradimento...
120
Da Lord Ponsonby a J arnie Shea
121
nulla da invidiare a quelle sui bambini belgi dalle mani moz
zate. Hanno richiamato la nostra compassione e sono state
«bevute» da un vasto pubblico con la stessa «avidità». Con
maggiore avidità, forse, perché la comunicazione è diventata
un'arte eseguita in modo provetto. Poiché il consenso della
popolazione è necessario per scatenare e portare avanti una
guerra, i metodi di persuasione per creare questo favore si
sono affinati. I media, contrariamente a quello che procla
mano certuni non sono per nulla discordi in tempo di
1
,
1 Leggo dalla penna di Laurence Van Ypersele (UCL) nella rivista Lou
vain, 11 . 1 07 , aprile 2000, che «sono i regimi totalitari ad essere diventati
maestri nella falsificazione della storia [ . . . ] Il vantaggio delle democrazie è
che non hanno un centro che abbia il monopolio assoluto nella produzione
e diffusione di idee [ . . . ] Questa produzione [ . . . ] proviene da molteplici cen
tri, spesso contrastanti tra loro e ciò dà spazio a possibili discorsi contrari.
Queste proposizioni sono, secondo me, false almeno in tempo di guerra».
122
circonda, ove spesso sfida autorità religiose, militari o politi
che. E potrebbe anche, un giorno, affrontare la credulità
mediatica. Si può sperare che le menzogne di ieri costitui
scano un'esperienza che generi maggior spirito critico. È là
che abita la nostra speranza, quella di coloro che tentano di
educare il pubblico al linguaggio dei media, e lo scopo di
questo libro.
'.! J arnie Shea, French /ntellectuals and the Creai War I 9 I 4-1 920, tesi di
dottorato (Ph.D.). Considera ogni opposizione o critica della prima guerra
mondiale alla stregua di un pacifismo sentimentale.
123
guito senza che ciò creasse scandalo o disorientamento e che
ci si domandasse se la verità aveva una qualche importanza.
Non fidarsi non porta per forza alla verità. Ci sono, certo,
delle verità «inconoscibili» o per la natura dei fatti o a causa
degli attuali mezzi di indagine. Ma non è, evidentemente, il
fatto di non conoscere la verità che impedisce a questa di es
serci. Ci sono stati 200.000 o 20.000 morti in Bosnia? 1 . 500
o 45.000 vittime algerine del massacro del Setif, messo in at
to dall'esercito francese nel 1 945?
Se la stima del numero delle vittime dei serbi nel Kosovo
oscilla tra le 500.000 e le 2. 500, questo non vuol dire sicu
ramente che il numero di questi morti non sia un dato reale
e obiettivo. Curiosamente, tuttavia, coloro che avevano
avanzato il numero delle vittime quando non si era in grado
di verificarlo e si temeva di doverle contare in centinaia di
migliaia, decidono, quando finalmente si dispone di dati seri
per una valutazione, che le cifre sono, a conti fatti, prive di
significato e di nessun interesse...
Sarebbe, d'altronde, particolarmente ingenuo immagina
re che basta confrontare le due versioni per scoprire la veri
tà nel mezzo. «In medio stat virtus» (la virtù è nel mezzo)
non è un adagio che si può applicare alla verità storica.
Si può arrivare, in effetti, al fatto che non si mente che in
uno dei due campi e che uno dei due è stato veramente aggre
dito senza aver voluto la guerra, ma il giudizio che stabilisce
chi è l'aggressore e chi l'aggredito è particolarmente delicato.
Questo cambia veramente le cose? Le menzogne, anche se
virtuose, restano menzogne e questo evidentemente cambia
la conoscenza della verità. Se, poi, si crede che tutto questo
non abbia alcuna importanza, ci si deve anche chiedere per
ché si siano studiate queste falsificazioni se non harino ve
ramente alcuna importanza nella creazione del consenso in
dispensabile per lanciare e poi proseguire la guerra.
124
Abbiamo ben compreso come la maggior parte di coloro
che danno le informazioni mentono, nondimeno speriamo
che il nostro caso sia diverso. Noi che siamo dei democratici,
degli altruisti (al contrario degli altri che si dicono altruisti,
senza esserlo), dei difensori dei diritti dell'uomo, noi - in via
eccezionale, contro tutte le regole - saremo diversi e non ci
si mentirà, almeno per questa volta.
Noi non mentiremo, faremo la guerra, ma solo per buone
rag10m...
In realtà, se i mascalzoni utilizzano, per persuadere le
brave persone, il linguaggio che queste vogliono sentire, può
essere che questi argomenti altruistici corrispondano a prin
cipi morali universali. Così anche le imprese più abiette
vengono rivestite con le nobili motivazioni d'idealismo mo
rale che il pubblico si attende, autopersuadendosi del buon
fondamento di queste stesse imprese.
Le stesse frasi («Corriamo in aiuto di un popolo persegui
tato») possono celare realtà molto diverse. Non è evidente
mente la stessa cosa usare ai propri fini una persecuzione
reale o inventarla di sana pianta per servirsene come alibi.
La strumentalizzazione dei massacri è di un'altra natura ri
spetto alla loro non esistenza, ma non è facile determinare la
realtà che sta sotto le parole.
Quanto a sapere quali sono i pericoli dell'ipercriticismo, si
può subito rilevare che la prudenza eccessiva può paralizza
re qualsiasi iniziativa e che l'iniziativa ha talvolta un'urgenza
vitale. Joel Kotek ritiene che gli anglo-americani fossero,
durante la seconda guerra mondiale, tanto scettici in rela
zione alle informazioni sui crimini nazisti nei campi, perché
scottati dalle menzogne della propaganda britannica sui
crimini tedeschi nella guerra del 1914-1918 3 •
In generale, troviamo bello che ci siano degli scettici nei
ranghi dei nostri nemici, non tra i nostri. L'ipercriticismo -
anche se può avere come esito desolanti scemenze come il
negazionismo - ha pochi morti sulla coscienza e l'eccesso di
3
Joel Kotek è l'autore di le siècle des camps: détention, concentration, exter
mination, cent ans de mal radical, Ed. J .-C. Lattes, 2000.
1 25
scetticismo mi pare condurre a conseguenze meno tragiche
che la cieca credulità. Il dubbio sistematico mi sembra anco
ra il migliore antidoto al veleno della persuasione a domici
lio che i media ci distillano quotidianamente, siano guerre
internazionali, conflitti ideologici o scontri sociali.
Anche in quest'ultimo caso, si tenterà di persuaderci, e
con tutti i mezzi precisati nella descrizione del terzo princi
pio di Ponsonby («Il capo avversario ha il volto del diavolo»),
che i leader sindacali, se sono alla testa di un di un movi
mento in rotta con il sindacalismo accomodante, sono i peg
giori mostri sanguinari. I media ce li descrivono come pro
vocatori, sobillatori, manipolatori, demagoghi, avventurieri,
guru, mafiosi, criminali, cospiratori, terroristi... A loro ver
ranno accostati i qualificativi meno invidiabili: zuccone, zotico,
despota, violento, tiranno, irresponsabile. . . 1 •
A noi resta di dubitare. Che si sia in situazione di guerra
calda, fredda o tiepida...
1 26
L'applicazione dei principi elementari
della propaganda di guerra ai recenti conflitti
in Afghanistan e Iraq
127
guerra. L'affrontiamo con ripugnanza» 1 • Non diversamente
Tony Blair affermava: «Non siamo stati noi a volere questa
guerra. È stato il rifiuto da parte di Saddam di rinunciare
alle sue armi di distruzione di massa a non lasciarci altra
scelta che quella di agire» 2 •
Per «rispondere» ad un attacco, bisogna che il nemico ci
abbia «provocato». Un banale pretesto o un evento senza al
cun rapporto con il conflitto può essere presentato come
una dichiarazione di guerra. La settimana precedente il
bombardamento dell'Afghanistan, Le Soir titolava « I talibani
e Bin Laden sfidano gli Stati Uniti» 3, preannunciando in
questo modo una risposta, che era presentata anche come
una reazione all'attacco del World Trade Center, senza che
si riuscisse a capire chiaramente come la liberazione di Ka
bul (e più tardi di Bagdad) avrebbe impedito altri attentati
come quelli di New York, Bali o Monbasa. Per giustificare
una risposta militare, si è trasformato un atto di terrorismo
in un atto di guerra. L'attacco al World Trade Center è così
diventato una dichiarazione di guerra e, per legittimare la
seconda guerra contro l'Iraq, si è parlato di ordini iracheni
per l'acquisto di uranio arricchito dal Niger - ordini dimo
stratisi poi falsi - come mezzo per provare la realtà della
minaccia nucleare da parte dell'Iraq 4. In questo modo l'ag
gressore ha potuto presentare il suo attacco come un diritto
di legittima difesa.
Lo stesso attacco unilaterale a Bassora, nel sud dell'Iraq
nel marzo del 2003, diventa per la catena Sky News una ri
sposta: «La nostra artiglieria ha risposto» [corsivo dell'autrice].
La rete televisiva britannica, citando fonti militari, aveva fat
to precedere questo annuncio da informazioni, in seguito
smentite, secondo le quali «una sollevazione popolare era
1
Intervista pubblicata su La Libre Belgique, 4 aprile 2003.
2 Messaggio agli iracheni, dalla televisione di stato, pubblicato su Le Fi
garo, 1 1 aprile 2003.
� Le Soir, 1 ° ottobre 200 1 .
4
Il direttore generale dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomi
ca è giunto nel marzo 2003 alla conclusione che i documenti erano falsi (La
Libre Belgique, 1 1 marzo 2003).
128
scoppiata ed era stata repressa dall'artiglieria irachena»\ La
coalizione, pertanto, altro non faceva che appoggiare una ri
volta ampiamente giustificata. Inoltre, passando all'attacco,
l'aggressore non aveva fatto altro che anticipare la violazione
del suo territorio.
In ogni modo, la guerra è scoppiata per colpa di Milose
vic, di Bin Laden o di Saddam Hussein, diventato «Saddam»
per negligenza del patronimico e necessità di slogan brevi.
5
Le Soir, 27 marzo 2003.
li Titolo di un articolo di USA Today, 2 ottobre 2002 .
7
Ho potuto commentare queste sequenze alla televisione francese nel
corso della trasmissione Arrét sur image.
8
La foto è disponibile su The National Security Archive.
1 29
tempo della guerra contro l'Afghanistan scatenata ufficial
mente per catturarlo, era precedentemente stato nelle gra
zie degli americani e la sua famiglia si era accompagnata alla
famiglia Bush in affari e comuni investimenti petroliferi. An
che al tempo dei bombardamenti sull'Afghanistan comparve
un suo ritratto (in vestiti occidentali, cravatta, capelli corti,
rasato di fresco, per suggerire che aveva vigliaccamente ab
bandonato la causa) che sarà ingrandito e stampato su mi
gliaia di volantini distribuiti per raccomandare alla popola
zione di non prestargli aiuto 9 •
Le «carogne ad interim» sono invece legione. Ci sono stati
uomini politici belgi che hanno incensato, nei loro giorni di
gloria, sia Todor Zhivkov (Guy Spitaels scrisse un'adulatoria
prefazione alle sue opere imperiture) che Nicolae Ceausescu
(vedi Willy De Clercq) salvo unirsi in seguito, al momento
della loro caduta, al gruppo maggioritario dei detrattori. La
stessa Madeleine Albright aveva salutato con favore l'entrata
dei talibani a Kabul, prima di darsi da fare per la loro liqui
dazione.
Le «canaglie di turno» possono, dopo il conflitto, ridiven
tare perfettamente frequentabili. Così il ministro dell'infor
mazione di Saddam Hussein, Mohammad Said al Sahaf, ri
dicolizzato in Occidente per le sue affermazioni che negava
no, contro ogni evidenza, l'avanzata americana e considerato
il più grande bugiardo e manipolatore del regime, verrà ar
restato nel giugno 2003 dagli americani. Interrogato e rila
sciato dopo poche ore, troverà quasi immediatamente un
impiego alla televisione come commentatore e analista 10 •
I figli di Saddam, demonizzati almeno nella stessa misura
del padre, non avranno però le stesse possibilità del mini
stro dell'Informazione 1 1 •
130
IV. Noi facciamo la guerra per fini nobili
La propaganda di guerra vuole che non si parli mai delle
cause vere dei conflitti, che sono sovente di ordine economi
co o geostrategico, perché non adatte a sviare l'opinione
pubblica dagli stati d'animo inquietanti o negativi che il
conflitto militare induce.
Le guerre recenti non fanno eccezione a questa regola.
Invariabilmente, dalla prima guerra mondiale, gli obiettivi uf
ficiali delle guerre sono tre: estendere la democrazia, lottare
contro le minacce rappresentate dal militarismo del nemico,
correre in soccorso di una piccola nazione minacciata.
Si ritrovano tutte e tre nella propaganda recente.
largamente diffusa nel momento in cui fu ucciso - cosa che non pare aver
nulla di casuale - lo mostra mentre fuma un lungo sigaro.
1 2 le Soir, 25 febbraio 2002.
1 3 Dichiarazione alla televisione irachena (le Figaro, 1 1 aprile 2003).
131
ni. Quanto all'instaurazione della democrazia in Iraq, non
sembra tanto imminente. È per questo che i nomi delle ope
razioni NATO più recenti - che suonano come nomi di
profumi - hanno il compito di testimoniare la purezza delle
intenzioni di questi atti: «Giusta causa» fa a gara con «Tem
pesta del deserto», «Raccolto indispensabile», «Giustizia in
finita» o «Libertà immutabile» ...
132
Ahmed Chalabi) e anche di gadget forniti dai liberatori (T
shirt, bandiere, badge... ).
La mediatizzazione della distribuzione di aiuti da parte
dei soldati della NATO diffonde nel pubblico occidentale
l'idea che i nostri soldati si trovino là per la felicità di quelle
popolazioni.
133
La versione ufficiale dei soldati della coalizione umanita
ria è stata, tuttavia, messa in serio dubbio dalla pubblicazio
ne, da parte dell'Evening Standard 1 9 , delle confessioni di sol
dati americani che hanno detto di aver sparato in modo in
discriminato contro dei non-combattenti, d'aver lasciato mo
rire dei combattenti nemici feriti o di averli finiti. I GI, in
tervistati nell'articolo del giornale britannico, hanno detto
anche di non essere in grado di distinguere i civili dalle
truppe nemiche. Verità questa, evidente in moltissime guer
re, ma assai lontana dalle immagini edificanti diffuse dalla
propaganda ufficiale.
I !)
1 9 giugno 2003.
1 34
documento secondo il quale l'Iraq aveva tentato di comprare
uranio arricchito nel Niger. Se questo tentativo fosse stato
provato, sarebbe stato equivalente ad un'ammissione di col
pevolezza, dato che l'unico scopo di questo acquisto non
avrebbe potuto essere che un programma nucleare. Quando
tuttavia l'AIEA (Agenzia Internazionale per l'Energia Atomi
ca) ebbe alla fine accesso alle «prove», dichiarò che si tratta
va di falsi 20 •
All'inizio della seconda guerra del Golfo, tuttavia, l'Iraq fu
nuovamente accusato di detenere armi proibite e si annun
ciò che un gruppo di funzionari americani aveva scoperto
una fabbrica di armi chimiche. Informazione, in seguito
smentita 2 1 •
Anche Bin Laden, nel 2003, era stato accusato d'avere ac
quistato nell'ex Unione Sovietica una «valigia nucleare» con
l'intenzione di usarla contro obiettivi statunitensi 22 •
Il concetto di arma «di distruzione di massa» è, vale la pena
di precisarlo, una nozione estremamente fluida che sembra
voler insinuare che ci sono delle guerre in cui non si cerca di
ammazzare il nemico in massa, ma solo sporadicamente! L'o
biettivo principale di questa categoria di armi sembra soprat
tutto quello di confondere lo spirito critico, dato che non c'è
alcun legame obiettivo tra le anni biologiche, chimiche e nu
cleari che si fanno rientrare in questa categoria.
I termini armi «chimiche» e «biologiche» non sono, d'altro
lato, più chiari. Sono destinati a creare un riflesso di paura e
20
Due documenti erano, in particolare, sospetti. U na lettera dell'attuale
presidente nigeriano che si riferiva ai suoi poteri secondo i termini della
Costituzione del 1 965, decaduta già da quattro anni. La firma del capo di
Stato, inoltre, appariva grossolanamente falsificata. Un'altra lettera che si
riferiva all'uranio, con data ottobre 2000, era stata emanata dal ministro
degli Esteri Alle Elhadj Habibou, che non occupava più questa carica dal . . .
1 989. Portava, per d i più, l'intestazione del Supremo consiglio militare che
era stato sciolto nel 1 999.
2 1 ABC e Fox avevano annunciato, la settimana del 20 marzo 2003, la
scoperta di armi di distruzione di massa negate dal regime iracheno e la
Fox aveva titolato «Importante fabbrica chimica scoperta in Iraq».
22 Si tratta di una mini bomba atomica contenuta in una valigia, in gra
do di distruggere il centro di una grande città. L'accusa fu ripresa da Le Vif
- L'Express, 5-6 luglio 2003.
1 35
orrore, ma gli americani e i sovietici erano in possesso ( e
avevano sperimentato) da molto il completo assortimento
degli agenti letali adatti ad un uso militare: gas tossici,
defolianti (il famoso agente arancio), neurotossici, germi
traccianti, ceppi ultra virulenti resistenti agli antibiotici e ai
vaccini t3 •
Ci si ricordi che nell'ottobre 2002 gli Stati Uniti sono stati
preda di una psicosi per l'antrace, malattia che era stata
«proditoriamente» diffusa per posta e indirizzata a persona
lità del mondo politico e dei media. L'infezione aveva causa
to cinque decessi ed era stata attribuita alla rete terroristica
di Al Qaida. L'impronta genetica del bacillo, tuttavia, permi
se di appurare in seguito che la sua provenienza era interna
e si poteva attribuire ad esperti americani in armi biologi
che '.!"1, ma il fantasma dell'introduzione di queste armi da
parte del nemico rimase negli Stati Uniti e fu una fonte di
profitti per la vendita a privati di «kit di sopravvivenza» '.!5 •
Sono state comunque le eventuali «armi di distruzione di
massa» detenute dall'Iraq quelle che diventarono il più
importante alibi per la guerra della primavera 2003. Una
cronologia delle dichiarazioni relative alle armi di distru
zione di massa sembra interessante. Nell'agosto 2002, Dick
Cheney, riferendosi a quanto appreso dai servizi d'informa
zione, afferma che gli iracheni stanno per concludere il loro
programma atomico. Il 24 settembre 2002, Tony Blair assi
cura i parlamentari britannici che gli iracheni sono in grado
di porre in esecuzione «in 45 minuti» le loro armi di distru
zione di massa.
Nel novembre 2002, Donald Rumsfeld afferma di avere le
prove che l'Iraq protegge il terrorismo e che Bin Laden vi si
è rifugiato.
1 36
Il 28 gennaio 2003 George Bush, nel suo discorso all'U
nione, afferma che l'Iraq ha cercato di procurarsi dell'uranio
in Africa per il suo programma nucleare. Affermazione che
si rivelerà, come abbiamo già detto, falsa e che il giornale
The New Yorker, dal 24 marzo 2003, ha valutato essere basata
su documenti fabbricati da esperti del controspionaggio bri
tannico (MI6) e trasmessi dalla CIA con fini propagandistici
anti-iracheni.
Il 5 febbraio 2003, il segretario di Stato, Colin Powell, da
vanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva pre
sentato un'imponente documentazione sulle armi di distru
zione di massa irachene: laboratori mobili, missili a ogive
chimiche, gas neurotossici... Si accertò però che il volumino
so «dossier» sull'arsenale iracheno era interamente copiato,
compresi gli errori d'ortografia, dal lavoro di dieci anni
prima di uno studente!
Il 17 marzo, George W. Bush, nel suo discorso alla nazio
ne, assicura che l'Iraq continua a «nascondere le armi più
micidiali che siano mai state inventate», cosa che dà il diritto
agli Stati Uniti di colpire prima che lo faccia il nemico.
137
cuni sacchi di concime e due semi-rimorchi al posto delle
«centinaia di tonnellate di agenti biochimici» e dei «labora
tori mobili» evocati da Colin Powell.
Il 2 luglio, Alastair Campbell, portavoce del primo mini
stro britannico Tony Blair, ammette di aver apportato dei ri
tocchi al dossier relativo alle supposte armi di distruzione di
massa dell'Iraq '.!7 •
Sei mesi dopo le clamorose dichiarazioni sul pericolo im
minente costituito dalle armi di distruzione di massa, tutte le
«prove» si sono rivelate fondate su documenti falsi, distorti,
ritoccati o inesatti. Non si è trovata in Iraq, nonostante i me
si d'occupazione, alcuna traccia di armi chimiche o biologi
che di qualsiasi natura. Mille e quattrocento esperti, tra
americani e britannici, hanno passato al setaccio ogni luogo
candidato ad aver ospitato armi di questo tipo, ma ogni an
nuncio di scoperta si è rivelato una falsa pista. I tubi d'al
luminio, acquistati dall'Iraq in Cina, e d'altra parte denun
ciati, non erano prove di armi nucleari, ma un tentativo ira
cheno di copiare dei razzi italiani.
Questo principio di propaganda di guerra è stato, pertan
to, terribilmente presente ed efficace per mobilitare l'opi
nione e ubblica in favore di una «difesa preventiva» contro
l'Iraq. E stato il maggior argomento portato a giustificazione
della guerra. E quando si rivelerà che le armi di distruzione
di massa non erano che apparenze, menzogne ed inganni, le
operazioni militari erano già terminate e l'opinione pubblica
veniva «sospinta» verso altri argomenti.
138
Per la stessa ragione, è bene annunciare, fin dall'inizio
delle operazioni, che il nemico si sta arrendendo in massa.
Nei conflitti afghano ed iracheno, lo squilibrio delle armi
è inoppugnabile. Questi due piccoli paesi non possono, in
nessun modo, immaginare seriamente di sconfiggere in una
guerra classica la più grande potenza mondiale. Questo
principio, pertanto, venne applicato alle guerre contro l'Afg
hanistan e l'Iraq, annunciando prematuramente delle rese
in massa '.!8 •
Il 22 marzo 2003, qualche decina di ore dopo l'avvio del
l'invasione dell'Iraq, i responsabili del Pentagono, citati dal
l'agenzia France Prees, annunciarono che un'intera divisione,
di circa 8.000 soldati, la 51a, s'era arresa ai marines americani
da qualche parte nel sud del paese. Questa informazione,
ripresa dalla stampa del mondo intero, non si è rivelata esat
ta, tuttavia pochi mezzi d'informazione si sono presi il di
sturbo di smentirla con lo stesso rilievo :19 •
Lo «scandalo» scoppiato in Occidente a seguito della pre
sentazione, da parte dell'Iraq, dei morti e dei prigionieri
della «coalizione» rappresenta un corollario di questo prin
cipio. Da parte irachena, mostrando i corpi degli americani
abbattuti, si tentava di far credere all'opinione pubblica che
le perdite del nemico erano terribili.
La liberazione di Jessica Lynch si può comprendere, dal
punto di vista degli USA, perché si trattava di mostrare al
pubblico americano che i loro soldati non sarebbero rimasti
a lungo in mano al nemico.
Fino alla caduta di Bagdad, da parte irachena si sono pa
rallelamente negate fino all'assurdo le proprie perdite mili
tari mentre si sopravvalutavano quelle americane.
Alla fine, dopo la conclusione ufficiale delle operazioni
militari, sono stati gli occidentali a tentare di minimizzare le
loro perdite e ad evitare di parlare della resistenza irachena
139
o di oppositori dell'occupazione, per attribuire gli attentati,
che erano già costati la vita a molti militari tra le truppe
d'occupazione, a pochi nostalgici di Saddam Hussein che
stavano per essere «spazzati» via.
1 40
Numerosi intellettuali e artisti americani hanno reagito
alla seconda guerra irachena, come al tempo della guerra
del Vietnan, con una mobilitazione pacifista. Le «canzoni di
protesta» si sono moltiplicate: We want peace fu registrata da
Lenny Kravitz con l'artista iracheno Kadim Al Sahir e il mu
sicista palestinese Simon Shaheen. John Mellecamp ha inci
so una canzone contro la guerra dal titolo From Washington.
Mia Doi Todd si è schierata dalla stessa parte, mentre Russe]
Simmons ha annunciato, all'inizio del 2003, la creazione del
gruppo « Musicians United to Win Without War» al quale ha
aderito pubblicamente anche Martin Sheen.
Quattordicimila universitari, scrittori e intellettuali ameri
cani hanno firmato, nei primi giorni di marzo del 2003, una
petizione di opposizione alla guerra contro l'Iraq, mentre
quattromila personalità USA, tra cui i registi Oliver Stone,
Robert Altmann e l'attrice Susan Sarandon, avevano già ade
rito all'appello «Not in Our Name» nell'autunno del 2002.
Ma la diffusione di queste prese di posizione fu, senza pa
ragoni, assolutamente inferiore al rilievo riservato «natural
mente» dai media al sostegno accordato al presidente ame
ricano da Tom Cruise o Steven Spielberg o alle nuove in
cisioni di God Bless America di Ray Charles e Celine Dion o,
ancora, alla presenza tra i GI in Iraq di Bruce Willis e del
suo gruppo «The Accelerators».
È stato a loro spese, infatti, che i firmatari dell'appello
«Not in Our Name» hanno potuto far comparire la loro re
quisitoria contro la guerra sul New York Times, nel settembre
2002, e in seguito sul Los Angeles Times e USA Today dell'ot
tobre 2002.
L'attore Sean Penn, per far conoscere le sue critiche alla
politica del presidente Bush, dovette acquistare, a 56.000
euro, una pagina del Washington Post che, solo a queste con
dizioni, pubblicò la sua «Lettera aperta al Presidente degli
Stati Uniti». Allo stesso modo, fu in una pagina di pubblicità
a pagamento che il New York Times accolse la petizione dei
quattordicimila universitari americarfr".
:i i
The New York Times, 11 marzo 2003, sotto il titolo «Pubblicità».
141
Michael Moore e Sheryl Crowe dovettero approfittare
dell'occasione offerta loro dalla consegna degli Oscar e dei
Grammy Awards per far conoscere la loro opposizione alla
guerra. Nel febbraio 2003, Sheryl Crowe apparve, malgra
do la proibizione imposta ai musicisti di esprimere le loro
proteste durante le cerimonie, con un simbolo pacifista per
collana e la cinghia della chitarra ornata da un visibile «No
War»3'.2.
I mezzi per far conoscere le proprie opinioni risultano,
pertanto, assai squilibrati tra chi sostiene o meno la guerra.
Il New York Times, d'altra parte, metteva in guardia gli attori
e i musicisti da queste prese di posizione anti-guerra perché
avrebbero potuto determinare un loro boicottaggio sia da
parte del pubblico sia da parte di certi produttori 33 • Avreb
bero rischiato d'essere marginalizzati e demonizzati per
queste posizioni contro il conflitto in Iraq.
In effetti, c'erano poche possibilità di ascoltare Lenny
Kravitz o Mia Doi Todd su MìV. La catena aveva stilato al
l'inizio del 2003 un elenco di canzoni tabù. Tutte quelle in
cui ricorrevano le parole bomba, missile, guerra...
La BBC, durante la seconda guerra irachena, aveva da
parte sua imposto ai suoi impiegati di trasmettere musica
leggera prima e dopo i notiziari. J ohn Mellecamp, tuttavia,
non si illudeva che avrebbero messo in onda la sua canzone
From Washington e dichiarava agli inizi di marzo 2003 : «Non
credo ci siano molte probabilità di sentire questa canzone
alla radio» 34 •
Nello stesso periodo, esperti di comunicazione metteva
no in scena la «liberazione» di Bagdad, con i ragazzini che
ostentavano le T-shirt con la scritta « I love America» e la
distruzione della statua di Saddam davanti ad uno scarso
pubblico, ma proprio sotto le finestre dell'hotel Palestine
ove erano alloggiati i giornalisti stranieri... Le imprese di
142
comunicazione s'erano apprestate a sostituire gli artisti e in
tellettuali troppo silenziosi e reticenti nel sostenere lo sforzo
bellico e Hollywood si sarebbe preparato a realizzare un film
sulla «liberazione» di Jessica Lynch.
1 43
X. Chi non appoggia la guerra è un agente del nemico
Chi dubita delle affermazioni della propaganda deve esse
re stigmatizzato come sostenitore del gioco del nemico e
demonizzato come il capo di questi. Al tempo della guerra
contro la Jugoslavia, L'événement du feudi aveva titolato sui
«Complici francesi di Milosevic», tra i quali si potevano tro
vare alla rinfusa Regis Debray, Pierre Bourdieu, Charles Pa
squa, l' Abbé Pierre, Max Gallo e tutti coloro che si erano
dimostrati esitanti a comprendere l'utilità dei bombarda
menti di Belgrado al fine di salvare gli albanesi del Kosovo:-15.
Anche nel 2001, nel momento in cui gli Stati Uniti aveva
no deciso di bombardare l'Afghanistan, gli oppositori o an
che solo i dubbiosi furono rapidamente ostracizzati. Così,
nella città universitaria di Berkeley in California, ove il con
siglio municipale - su proposta di Dora Spring - s'era pro
nunciato, nell'ottobre 2001, contro i bombardamenti, erano
immediatamente giunte intimidazioni, minacce di stupri e
boicottaggi da parte di imprese, privati e organizzazioni:l6.
La stessa Barbara Lee, donna, democratica, nera e califor
niana, unico membro del Congresso americano che aveva
votato contro l'invasione dell'Afghanistan proposta dal pre
sidente, dovette affrontare continue minacce di morte a se
guito del suo voto.
In Australia, il pugile Anthony Mundine pagò a caro prez
zo la sua opposizione alla guerra all'Afghanistan. Il campio
ne aborigeno aveva partecipato in diretta alla trasmissione
televisiva Ray Martin Show su Canale 9, una rete televisiva
australiana di proprietà di Rupert Murdoch. In quell'occa
sione stava dichiarando che la guerra contro l'Afghanistan
non era la soluzione al terrorismo e che era prevedibile che
gli Stati Uniti avrebbero subito delle reazioni per i continui
attacchi che portavano in varie parti del pianeta, quando la
trasmissione fu bruscamente interrotta per motivi «tecnici».
Mundine fu demonizzato dai media australiani e presentato
1 44
come un sostenitore di Bin Laden e dei talibani, mentre il
presidente della Federazione internazionale della boxe di
chiarava che i commenti di Mundine avevano «messo fine
alla sua carriera». Alcuni giorni dopo, il Consiglio Mondiale
della boxe annunciava la sua eliminazione definitiva dalla
classifica pugilistica internazionale:i,.
Nel momento della seconda guerra contro l'Iraq, la stam
pa europea, a seguito dell'atteggiamento dei maggiori go
verni del continente, ha tenuto una linea di condotta molto
prudente, ma negli Stati Uniti quest'ultimo principio di
propaganda di guerra è stato certamente applicato con mol
to scrupolo.
La derisione, l'ironia, le allusioni alla vita privata, le mi
nacce non sono mancate per squalificare gli esitanti o quelli
che si opponevano alla politica bellica del momento.
Nel febbraio 2003, il viaggio in Iraq dell'attore Sean Penn
e le sue prese di posizione contro le minacce all'Iraq da parte
di G.W. Bush, gli è valso la pubblica ridicolizzazione da par
te del giornalista-vedette Bill O'Reilly su Fox News. Nello
stesso momento, il Washington Post annunciava in prima pa
gina che uno degli ispettori inviati in Iraq - uno che eviden
temente rifiutava d'essere una semplice pedina nella prepa
razione della guerra - era a capo di un club sado-maso, an
che se, comunque, la cosa sembrava aver poche relazioni con
la sua integrità nella missione che gli era stata affidata.
Gli europei «dissidenti» vengono dipinti dalla stampa
americana come dei traditori e il Wall Street Journal qualifica
il presidente Chirac come un «topo» ( «rat») e come un
«abietto avvocato di Saddam» :18 ; quanto a David Kelly, che
aveva cercato di mettere le esigenze della verità davanti a
quelle della politica, si vide qualificare dal ministro dell'Am
biente britannico, Bren Bradshaw, con l'epiteto di «talpa»
(16 luglio 2003).
1 45
I «traditori» americani che si opponevano alla guerra do
vettero acquistare, per poter argomentare sulla stampa le lo
ro posizioni, degli spazi commerciali, come fecero il senato
re Robert Byrd:w o il dottor Matthias Rath 1 0. Per le sue criti
che contro i preparativi alla guerra in Iraq, il delegato de
mocratico al Congresso J ames Moran fu accusato di minare
il morale delle truppe americane e di attacchi insidiosi al pa
triottismo 1 1 . Per le stesse ragioni, due artisti newyorkesi sono
stati arrestati il 16 febbraio 2003 per aver affisso sui muri
della città delle semplici foto degli abitanti di Bagdad! 12
In conclusione
I dieci principi della propaganda di guerra non sono ap
plicati in maniera simmetrica in ogni conflitto.
Per quel che riguarda le recenti guerre all'Afghanistan e
all'Iraq, anche se si può affermare che tutti e dieci i principi
classici sono stati applicati, certamente non lo sono stati in
egual misura dato che, tra essi, uno è stato realmente il cuo
re della propaganda.
L'attacco all'Iraq della primavera del 2003 è stato lunga
mente preparato nell'opinione pubblica sviluppando il sesto
principio (quello che vuole che i nostri nemici utilizzino ar
mi illecite). Nel caso specifico, l'Iraq non era accusato nean
che di «usare» le armi di distruzione di massa, ma di «posse
derle» e queste armi sono diventate la maggiore giustifica
zione del conflitto. Gli altri principi sono stati utilizzati, ma
in funzione complementare e ancillare rispetto a questo, che
sarà il principale - e falso - pretesto per la guerra.
146
Finito di stampare
nel mese di gennaio 2005
dalla Tipografia O.GRA.RO.
Vicolo dei Tabacchi, 1 - Roma