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Sulla soglia
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Capitolo primo
I battistrada dell’hitlerismo
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SULLA SOGLIA
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I BATTISTRADA DELL’h ITLERISMO
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Capitolo secondo
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ALLA RICERCA DI U N CESARE
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1 K il l in g e r , Ernstcs und Hciteres aus dem Putschlcben [Serio e faceto nétta storia
del Putsch ].
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IL MOMENTO DEL TAMBURO
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IL MOMENTO DEL TAMBURO
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Capìtolo quarto
La massa dì manovra
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diavolo, e Hitler non faticò molto per tirarlo a sé. L a stessa ditta- ^
tura di Brùning, che da un lato metteva a punto per il fascismo il
meccanismo costituzionale, dall’altro obbligava il campagnolo nello j
stato d’animo ideale per accettare il nazionalsocialismo. I villaggi |
ardevano di sdegno contro il “ sistema, ” il regime che sguinza- ■
gliava gli uscieri contro il contadino. Bastava ora che Hitler si met
tesse a soffiare sul fuoco della disperazione e della rivolta, e Hitler
non mancò certo di farlo. Il contadino credette in lui, la sua inge
nuità lo persuase a prestar fede alle promesse di H itler: riduzione
delle imposte, cancellazione dei debiti, stabilità patrimoniale. E
cosi Hitler assurse a messia del villaggio.
Fu quando la grande borghesia si rese conto che Hitler era
predestinato a diventare il Redentore di tutti gli scontenti della
Germania, che si decise a concludere con lui l’affare: Hitler fu
messo in contatto coi circoli che detenevano il potere economico,
grosse somme furono investite nella sua impresa. Prendendo al
proprio servizio Hitler, la grande borghesia metteva in pari tempo
le mani sulle masse che avevano fede in lui; il moto delle masse
veniva cosi deviato su un binario morto, e la grande borghesia non
correva più alcun pericolo di farsi investire e arrotare. Il minaccioso
brontolio della “ sollevazione popolare ” si concretò in un tempo
rale che servi a depurare della polvere marxista l’aria fattasi pe
sante sui campi della grande borghesia. Le sovvenzioni che questa
profuse a piene mani nel movimento di Hitler, a loro tempo si ri
velarono un ottimo scongiuro contro i danni della tempesta sociale.
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Capitolo quinto
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V A R IE T À D E L D EM AG O G O
pone di far cadere nella pania, tanto meno al demagogo sarà lecito
provenire dall’alto. Ancora, quanto più varie tali classi sono tra
loro, tanto meno al demagogo sarà permesso un conio personale.
E, come il provenire “ dall’alto, ” può essergli di pregiudizio il
dar prova di un particolare tono sociale. Perché, quanto più poli
morfe sono le classi sociali da ridurre a un comune denominatore
che si possa comodamente inserire nel calcolo del gruppo dirigente,
tanto più uniforme e privo di un proprio contenuto dovrà essere
il demagogo. È indispensabile che questi sia ritenuto l’avvocato
di quegli stessi ai quali vuol mettere la cavezza. Ogni strato sociale
deve riuscire a considerarlo suo pari; inversamente, il demagogo
deve poter essere tanto per gli altri, da non essere per sé nulla di
proprio, di originale. E, dal momento che si trasforma totalmente
in esistenza pubblica, non ha più ragione e modo di avere una sua
qualche esistenza privata. Diventa insomma mera formula rap
presentante la quantità per la quale egli sta.
Prima che nella Germania postbellica i diversi strati sociali fos
sero ridotti al comune denominatore della congerie indifferenziata
— la quale, tramite la formula dell’unico demagogo, si lasciasse
tranquillamente inserire in ogni partita di conto della grande bor
ghesia — dovevano essere compiute ancora numerose operazioni,
intese a ridurre e semplificare i valori sociali. Erano necessari dei
demagoghi corrispondenti ai vari stadi intermedi; e costoro ave
vano un compito particolare: quello di catalizzare il processo di
semplificazione, di passaggio da un livello all’altro. Risolto il pro
blema, diventavano superflui e venivano gettati nell’immondezzaio
destinato ad accogliere i demagoghi usati.
Ben scarsa traccia hanno lasciato questi demagoghi svalutati.
Per anni si fecero a vicenda una spietata concorrenza e il “ Fronte
nazionale ” risuonò dei litigi dei capi. L a grande borghesia scopriva,
creava c congedava i demagoghi; assegnava loro il compito, sbor
sava il denaro necessario, e li lasciava cadere quando non c’era più
nulla da cavarne. I primi fra essi avevano potuto ancora darsi l’aria
di gente per bene: a essi il compito di incutere alla media borghesia
il terrore del bolscevismo, facendole passare la voglia del socialismo
serio, del socialismo per davvero; era lecito a costoro possedere
ancora una certa solidità borghese: cosi gli istinti borghesi delle
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Capitolo sesto
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1 H it l e r , Mein Kampf.
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porta dentro di sé, e non occorre che scavi troppo a fondo, basta
che guardi “ nel proprio cuore. ” Essa è a portata di mano, è al
livello del comprendonio, dell’intelligenza dell’uomo della strada;
grazie a essa, la trivialità che ognuno si porta dentro diventa van
gelo politico, economico, sociale, spirituale. È cosi fissato il livello ol
tre il quale più niente può elevarsi. Dell’ovvio si fa lo straordinario;
ciò per cui prima non valeva la pena di spendere una parola, poi
ché si trattava delle cose di ogni giorno, di questo ora i “ puri ”
parlano senza tregua, giorno e notte. Si diventa “ fanaticamente
tedeschi” ; non si pensa ad altro “ che alla Germania e al suo
bene. ” Finora ci si sarebbe vergognati anche solo di farne cenno;
ora, non c’è angolo del paese dove gli altoparlanti non lo procla
mino ai quattro venti. Chiunque presta orecchio a queste banalità,
ne è invischiato: già, son cose che anch’egli avrebbe potuto dire.
Intanto, senza che nessuno se ne accorga, ben altro avviene dietro
le quinte; è sottinteso che di questo le masse non debbono aver
sentore. L a testa delle masse dev’essere infarcita di tanto orgoglio
di puri che niente più riesca ad entrarvi. Tutta la rumorosa esu
beranza di pratiche che si svolgono sotto il segno della “ purezza
germanica, ” non è altro che farsa popolare: preso dal clamore
della commedia che si rappresenta sotto i suoi occhi, il pubblico
deve dimenticare la serietà degli avvenimenti reali.
Il programma nazionalsocialista riuscì a far centro: esso tenne
conto di tutti i bisogni della grande borghesia e in pari tempo
seppe trovare il punto debole dell’uomo della strada, colpire ogni
“ volgare ” tallone d’Achille, seppe accarezzare l’ottusità e la va
nità, ebbe l’abilità di fare un fascio solo di tutte le componenti
ideologiche che finora s’erano dimostrate efficaci nei confronti
delle masse piccoloborghesi.
Già il movimento antisemita allo scorcio del XIX secolo era
stato un primo assalto “ fascista. ” Ahlwardt, il “ rettore dei te
deschi, ” il conte Puckler, 1’ “ antisemita chiassone, ” il predicatore
Stòcker, quello che non se la sentiva di perdonare al popolo ebreo
di aver ucciso Nostro Signor Gesù Cristo di cui egli era l’araldo,
tutti coloro avevano voluto mettere i piccoli borghesi contro i la
voratori; prevedendo i dolori e le pene che un giorno sarebbero
toccati al ricco, volevano, per precauzione, scongiurarli. Quando
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cante il principio della purezza, era stato solo per attaccar battaglia,
da ariana qual era, con i non ariani.
Ma chi era veramente ariano? La sonda affondata in quel calde
rone di popoli che è la Germania, non porta forse a galla, oltre al
sangue dei Wendi, dei Croati, dei Panduri, oltre al sangue degli
Hussiti e di altre popolazioni slave, oltre a quello dei Romani, dei
Celti e degli Iberi, anche il sangue degli Unni, degli Avari e dei Ma
giari ? L a mera classificazione biologica, che non ha alcun sottinteso
extrascientifìco, può forse giustificare l’inasprimento degli animi,
può seriamente diventare oggetto di discordie e di decisioni po
litiche ?
Il principio razziale non caverebbe un ragno dal buco, se vera
mente non perseguisse altro scopo oltre a quello di lumeggiare
l’origine biologica. Che è un dato di fatto del quale niente si può
mutare: essa può assumere un qualche interesse pratico solo qua
lora la si voglia usare come pretesto per colpire un avversario. Non
si liquida un nemico solo a causa della sua origine biologica; que
sta semmai gli viene imputata, qualora si abbiano altri motivi per
sbarazzarsi di lui.
Il razzismo costituisce il modello piu esemplare di quella con
dizione di predominio cui tende l’imperialismo. La classe domi
nante, che ha in mente un regime di illimitato dispotismo, non
vuole essere obbligata a presentare ricorso per vedere legittimata
la sua proprietà, poiché sa che in cuor loro i soggetti rifiuterebbero
sempre tale riconoscimento. Il razzismo trae da un terreno extra
economico uno schema di rapporti sociali che, persuadendo e sedu-
cendo, permette la instaurazione di un dominio incondizionato;
esso classifica razze inferiori e razze superiori, e le prime, si capisce,
sono nate per ubbidire, le seconde per comandare. Le masse, cui si
lascia l’orgoglio di sentirsi parte della razza eletta, finiscono per
apprezzare la loro posizione di dipendenza, in quanto si sentono
“ gregarie ” di un pugno di dominatori e duci, i privilegi dei quali
sono gli stessi loro, anche se esse non ne traggono alcun vantaggio
concreto. L a loro fedeltà deve essere assoluta, perché altrimenti
non potrebbero attuare e garantire il predominio della razza supe
riore, alla quale anch’esse appartengono, sulle razze inferiori. A n
che se esse, in pratica, non sono formate che da turbe di miserabili
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ai più oscuri abissi della natura stessa: tutto ciò che era più facil
mente utilizzabile era già stato utilizzato in precedenza.
L a nazione era stata la struttura elementare, nella quale la bor
ghesia aveva travolto gli ordinamenti feudali; in essa l’aristocra
zia si trovava ridotta alla stregua dei borghesi; e, se il nobile non
s’inquadrava nell’ordine borghese, si metteva al di fuori delle leggi
della nazione, perdendo beni e vita. Col proletariato industriale,
invece, non c’era verso di spuntarla servendosi dell’arma della na
zione. A l membro della nazione appartiene la proprietà privata
la cui difesa è affidata appunto alla nazione tutta; ma a chi non
ha proprietà privata alcuna, la nazione ha ben poco da offrire. Sul
proletario, le suggestioni nazionali non avevano nessun effetto; e,
siccome questi avvertiva chiaramente essere la nazione una forma
di vita borghese, si organizzò in Internazionale, e l’Internazionale
fu diretta contro l’ordinamento borghese. L ’interesse nazionale non
era mai stato altro che l’interesse di classe della borghesia; il quale
però, proprio assumendo la forma dell’interesse nazionale, poteva
essere scambiato per interesse collettivo. Davanti a questa situa
zione, l’interesse feudale aveva dovuto capitolare, trovandosi scre
ditato e detestato, in quanto “ interesse particolaristico. ”
L ’interesse del proletariato, invece, non si può liquidarlo ac
cusandolo di particolarismo: i proletari sono troppi. Il proleta
riato potrebbe eleggersi a nazione a sé stante, e in tal caso la classe
dominante borghese rischierebbe di far la parte dell’ingannatore
beffato, e la sua protesta avrebbe ben poco peso morale. L a fonda
zione dell’Internazionale proletaria mostrò chiaramente come i
lavoratori industriali considerassero la nazione alla stregua di una
semplice istituzione di classe della borghesia; di conseguenza, la
nazione cessò di rispondere al suo scopo, quello di dar lustro al
l’interesse di classe borghese, tanto che i membri della collettività
ne restino tutti abbagliati, e nessuno riesca più a cogliere la realtà
sotto l’apparenza. “ Membro della nazione ” : un concetto che non
riusciva a incutere soggezione al proletario; il suo pathos non fa
ceva più effetto; quell’ideologia era tutt’al più una sabbia, che l’im
prenditore borghese gettava negli occhi delle sue vittime. Quando
il “ membro della nazione ” voleva farsi valere, non ne ricavava
che un sorrisino di compatimento da parte del proletario. L a “ na-
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Capitolo settimo
1 venticinque punti
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Le idee di Hitler
1 Le citazioni che seguono sono tratte dal Mein Kampj, I e II, ed. ted.
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del popolo, che egli vuole ridurre sotto il proprio giogo. “ Il gio
vane ebreo dai capelli neri per ore e ore spia, sul viso una satanica
espressione di gioia, l’ingenua fanciulla, che egli col suo sangue
profana, e cosi facendo depreda il popolo cui la fanciulla appar
tiene. ” In Russia, dall’ebreo democratico e popolare, è uscito
l’ebreo sanguinario e tiranno del popolo tedesco. Dappertutto il
giudeo semina rivolte, sedizione, disfattismo. L ’ebreo è stato il
vero promotore del “ tradimento di novembre. ” L ’ebreo ha sedotto
il popolo tedesco all’infamia e alla viltà.
Hitler suona la diana agli “ eroici istinti ariani la decadenza
tedesca avrà fine, solo quando l’ariano avrà ritrovato finalmente
se stesso. L a possente leva, per mezzo della quale la Germania
sarà fatta ruotare sul proprio asse, e ciò che finora era in alto, sarà
fatto sprofondare, e ciò che era in basso, sarà portato alla sommità :
questa possente leva è la propaganda. L ’essenza della politica è
la propaganda; chi la sa usare, ha già vinto la sua battaglia politica.
Se in Austria, nel periodo prebellico, il movimento pangermanista
dovette accontentarsi di una parte modesta e fu ben presto supe
rato dal partito cristiano-sociale, ciò lo si dovette al fatto che il
dottor Lueger era un propagandista più abile di quanto non fosse
il dottor Schònerer. Se il movimento marxista si era rafforzato, lo
si doveva solo alla sua propaganda. L ’Intesa vinse la guerra, perché
possedeva dei valenti propagandisti, e la Germania la perdette,
perché la propaganda tedesca era insufficiente nella forma, psico
logicamente sbagliata nella sostanza. Ancora nel 1918, la Germania
avrebbe potuto volgere a suo favore le sorti del conflitto, se Hitler
fosse stato chiamato in tempo a dirigerne la propaganda. “ Più
di una volta mi ha tormentato il pensiero che, se il destino mi
avesse messo al posto di quegli incapaci e criminali, impotenti o
fannulloni che fossero, i quali dirigevano il nostro servizio di
propaganda, la guerra avrebbe avuto ben altra conclusione. In quei
mesi sperimentai appieno la malizia di un destino che mi tratte
neva al fronte, in un luogo dove un negro qualunque, durante
un assalto, avrebbe potuto abbattermi con una fucilata, mentre
altrove avrei potuto rendere ben più alti servigi alla Patria. Si, ci
sarei riuscito; allora ero tanto temerario da crederlo. Ma ero un
ignoto, uno degli otto milioni di uomini in arme. ” Con la propa-
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era ben lungi dall’essere crollata, tant’è che a partire dal 1919, la
classe dominante s’era riavuta anno per anno; le maggiori preoc
cupazioni venivano dalle masse dei piccoli borghesi: finché queste
non avessero rotto col proletariato industriale in maniera defini
tiva e irreversibile, il pericolo di uno sconvolgimento sociale non
poteva dirsi scongiurato. A questo punto, ecco intervenire Hitler,
il quale ha fiutato la sua grande occasione; Hitler conosce a fondo
l’arte di trattare le masse, e la propria fortuna vuole costruirla
servendosi delle masse. Tenere in pugno le masse riusciva facile
a chi, come lui, poteva contare sull’alleanza e l’appoggio della
grande borghesia. N é Hitler sarebbe mai diventato il rappresen
tante delle masse contro la grande borghesia: la sua aspirazione
costante era di diventare l’uomo di fiducia della grande borghesia,
contro le masse che nutrivano cieca fiducia in lui; il suo istinto
gli diceva che sarebbe salito molto più in alto vendendo le masse
alla grande borghesia, che non guidando quelle nella lotta contro
questa: Hitler, uscito dall’infima feccia plebea, è troppo felice di
poterne evadere e di potersi assidere da pari a pari coi ceti domi
nanti. Anche durante lo sciopero dei tranvieri berlinesi del 1932,
si guarda bene dal fare, lui personalmente, l’occhiolino ai comu
nisti; preferisce lasciare a Goebbels quest’incombenza. Resta sempre
fedele, senza mai esitare, all’oligarchia dominante, borghese e mi
litare; non vuole che sul conto suo sorga il benché minimo sospetto,
che si pensi a una sua deviazione in senso marxista, che abbia po
tuto fare un passo falso in senso socialdemocratico. Aspira alla
gloria di rupe dell’ordine capitalistico che ha resistito impavida a
tutti gli assalti del bolscevismo. L e masse piccoloborghesi, esta
siate, lo levano sugli scudi, lo acclamano loro Fiihrer; e Hitler
impone loro l’obbligo di sentirsi onorate dell’alleanza con la grande
borghesia.
Egli disprezza le masse che lo acclamano e lo seguono cieca
mente fin sotto il giogo capitalista — le dispezza e non si perita
di dirlo chiaro e tondo. Ma, incredibile a dirsi, le masse non vo
gliono rendersi conto che son proprio esse a disgustare Hitler;
anzi, più egli le tratta duramente, e più gli strisciano ai piedi.
“ Il partito nazionalsocialista non deve essere il servo, ma il padrone
delle masse. ” Hitler umilia le masse, e contemporaneamente mette
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dato espressione alle opinioni della grande borghesia sul conto del
movimento sindacale. Hitler dà alla grande borghesia la certezza
che egli, per esorcizzare il diavolo, non chiamerà in aiuto Belzebù;
che, in altre parole, non sostituirà alla libera organizzazione sin
dacale un’altra organizzazione nazionalsocialistica dello stesso tipo.
“ Un sindacato nazionalsocialista la cui missione si ridurrebbe a
far concorrenza a quello marxista, sarebbe una pessima soluzione. ”
Hitler vuole le corporazioni, perché nel loro ambito non c’è peri
colo che imprenditore e lavoratori strepitino gli uni contro gli
altri, per questioni di salari e tariffe: in esse risolveranno tali pro
blemi “ assieme, ai livelli piu a lti” ; il bene della comunità nazio
nale e dello stato, deve “ balenar loro davanti in lettere di fuoco.”
Di scioperi non si deve nemmeno più parlarne, finché “ esisterà
uno stato popolare nazionalsocialista. ”
Quest’immagine di uno stato in cui siano sconosciute le orga
nizzazioni sindacali doveva logicamente far venire l’acquolina in
bocca a ogni grosso borghese. E come se non bastasse, Hitler assi
curava che sarebbe riuscito a demolire l’organizzazione politica
del marxismo, vale a dire la socialdemocrazia. I leaders socialdemo
cratici sono, secondo Hitler, degli “ spergiuri criminali. ” Sono
stati essi i promotori della “ più grossa mascalzonata ” di cui la
storia conservi ricordo, lo sciopero dell’industria delle munizioni
nel 1918. L a pretesa che a tutti i prussiani fosse concesso il diritto
di voto fu un “ atto di basso banditismo. ” “ Il libero partito social-
democratico e la lega spartachista erano i battaglioni d’assalto del
marxismo rivoluzionario. ” I dirigenti dei partiti marxisti, Hitler
li definisce “ ciurmaglia politica, ” ricattatori, genia, ladri di strada,
gente “ matura per il nodo scorsoio. ” Si tratta di “ miserabili de
pravati” e apostoli della degradazione mondiale, disgraziati sen
z’arte né parte, mentitori senza memoria, uomini senza cervello,
poveri pazzi, truffatori degenerati che, con la scaltrezza, vogliono
assassinare la nazione: esseri spregevoli, falsi e bugiardi, nemici
della patria, ruffiani, vipere, escrezioni, chissà come conservatesi
vitali, dell’organismo fisico del popolo tedesco, individui assetati
di rivolta, traditori pagati come Giuda, assassini del popolo, gab
bamondo internazionali. “ Più facilmente si stacca una jena dalla
carogna, che un marxista dall’abitudine di tradire il suo paese. ”
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in pieno l’istanza alla libertà di parte proletaria, era chiaro che non
rispondeva più affatto al suo scopo. Hitler si dilunga a descrivere
il momento in cui la fiducia riposta dal capitale nel parlamenta
rismo crollò: nel novembre 1918, egli afferma, “ il marxismo non
si curò affatto di parlamentarismo e democrazia, ma inferse ad
ambedue, con una criminalità che si esplicò in violenze verbali e
fisiche, un colpo mortale. V a da sé che in quel momento le orga
nizzazioni di chiacchieroni borghesi erano del tutto inerm i.”
La democrazia parlamentare è una democrazia che ha intenti
pacifisti e difensivi; Hitler sostituisce ad essa la democrazia tota
litaria, la democrazia cesarea, che è di natura bellicosa. In questa
nuova cornice, è inevitabile che liberalismo, libertà di stampa,
umanitarismo, pacifismo illanguidiscano e spariscano: son cose
die Hitler prende a calci, e le sue sono le sacrosante pedate che un
buon combattente della guerra civile non può non tenere in serbo
per simili residui del passato. I giornalisti sono il “ cenciume della
carta scritta, ” tipi che arrivano a cacciare il naso nei più gelosi
segreti familiari, che non si dan pace finché, col loro “ istinto da
cani da tartufo, ” non siano riusciti a scovare almeno una notizia
scandalistica; sono dei vagabondi, sono delle carogne: Hitler non
sa di un giornalismo che non sia ricattatorio. Quanto all’umani-
tarismo borghese, egli lo considera con ironico disprezzo. Chi col
tiva l’umanitarismo non si può certo dire che sia “ fatto della
sostanza di cui è fatto il resto della natura. ” Il vero “ umanitarismo
della natura, ” la quale “ distrugge i deboli per far posto ai forti,
spezza i ridicoli ceppi del presunto umanitarismo, ” quello che
ha ancora qualcosa in serbo per il debole. D i fronte alla volontà
di autoconservazione, “ il presunto umanitarismo, da quel miscu
glio di stupidità, codardia e chimerica saccenteria di cui è espres
sione, si scioglie come neve al sole di marzo. ” Soltanto in periodi
di estrema decadenza può succedere che la melensaggine umani-
laristica diventi moda.
Ma Hitler non prende abbagli, e si comporta in modo che non
lo si fraintenda. L o si considera un “ socialista ” ? N on è certo
colpa sua, nessuno può dire che l’abbia voluto lui. In fin dei conti,
una volta sola ha inalberato bandiera falsa, e precisamente quando
lia battezzato la sua organizzazione Partito nazionalsocialista tede-
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in realtà non c’era piu niente per la cui difesa valesse la pena di
farsi mobilitare: una volta iniziata l’azione bellica, tutto, senza
eccezione alcuna, doveva esser posto in movimento. Nella fuga
delle apparenze, non c’era insomma più alcun punto fermo.
L a mobilitazione totale, di cui Junger si fa banditore, è l’azione
la quale raggiunge i propri estremi limiti, le punte più alte cui si
possa attingere; essa pretende di porre tutto e tutti in marcia, non
tollera più nulla in stato di riposo, donna, bambino, vegliardo che
sia. Incita i lattanti ad arruolarsi, chiama le ragazze sotto le armi,
dà fondo alle più segrete riserve; niente ne resta escluso, ogni
angolo è frugato, l’ometto più mingherlino vien trascinato al fron
te. È il bagordo più sfrenato in cui si butta il nichilismo, quando
gli è diventato già quasi inevitabile dover finalmente fissare il
proprio volto.
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Parte seconda
ha tirannide
<■ ■ ■ - • , ‘
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Capitolo undicesimo
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“ Oggi, ” aveva detto Gòring nel suo discorso alla radio del
30 gennaio, “ oggi sarà il giorno in cui noi, sul libro della storia
tedesca, tireremo le somme di questi ultimi anni di miseria e ver
gogna, e inizieremo un nuovo capitolo, un capitolo nel quale i
fondamenti del nuovo stato han da essere la Libertà e l’Onore. ”
Dichiarazioni di tal fatta non avevano tuttavia sufficiente effica
cia, dal momento che il quadro rivoluzionario non era stato mar
cato da alcun atto violento; i combattenti erano stati mobilitati,
ma di scontri neanche traccia. L a messinscena sembrava esser sta
ta ridicolmente eccessiva: i marxisti s’erano tirati semplicemente
da parte, e né socialdemocratici né comunisti avevano fatto a SA
e SS il favore di scendere per le strade e qui lasciarsi sgozzare.
G li è che, già nel luglio del 1932, Papen era riuscito a spegnere
le ultime scintille delle velleità d’affermazione socialdemocratica;
dal canto loro, i comunisti si rendevano conto della situazione,
erano coscienti dell’inutilità di ogni resistenza rivoluzionaria.
Comprendevano benissimo come il movimento nazionalsocialista
spiasse con ansia l’occasione di una rivolta comunista, con quanta
febbre esso frugasse in cerca dei segni anche minimi di una tale
rivolta, quanto bisogno avesse dell’ostentazione di una solleva
zione comunista, allo scopo di fornire prove attendibili della pro
pria affermata qualità di salvatore del popolo tedesco. Ma in
tutta la Germania non un comunista si sollevò, in nessun luogo
si dispose alla lotta, 0 diede semplicemente segno di vita. L a chia
mata in scena, tanto attesa da SA ed SS, non ebbe luogo; il par
tito comunista si guardò bene dal provocarla. Molti dei dirigenti
minacciati lasciarono il paese; i funzionari se ne stettero tran
quilli, gli organismi economici del partito furono liquidati. E
per il movimento nazionalsocialista la situazione apparve disa
strosa: mancava l’appiglio a violazioni dello statuto, ad atti di
violenza; mancarono i colpi di scena, coi quali si sarebbe potuto
intontire il popolo tedesco. Era stato contro ogni evidenza e alla
disperata che Hitler aveva affermato, nel proclama del governo
'del Reich tedesco del i° febbraio 1933 : “ Le migliaia di feriti, gli
innumerevoli caduti, che questa guerra intestina ha procurato
finora alla Germania, può darsi siano solo i lampi che preannun-
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Gangsterismo
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nanti la politica sono cosi fatti, che il più volgare ladro di strada
non oserebbe neppur farne cenno col suo complice più fidato. ”
È vero: la politica di un paese può in certi casi svolgersi in forme
tali che il più volgare ladro di strada si guarderebbe bene dall’ac-
collarsene la responsabilità; ma se la politica assume aspetti tali
da indurre ripugnanza, non la si può certo definire machiavellica.
Il principio machiavellico, quello dell’assoluto adeguamento alla
necessità, della più sobria adesione alla realtà, non è affatto da
rubricare senz’altro sotto la voce scelleratezza, male morale; qua
lora l’azione politica debba, per forza di cose, attingere a immo
ralità e malvagità, essa, sempreché pretenda di mantenersi al
livello del machiavellismo, dovrà farlo con tale leggerezza e si
curezza, dovrà sapersi a tal punto mascherare, che nessuno possa
“ dirne corna. ” L ’azione politica insomma s’industrierà di non
far mai dimenticare, a dispetto di tutto, la distanza che la separa
dal male.
Il machiavellismo democratizzato è sicuramente una cosa peno
sa; non è certo piacevole se il mondo si riempie di furbacchioni
che non fan mistero d’essere in caccia d’imbecilli disposti a
lasciarsi condurre per il naso. Il machiavellismo democratizzato
non ha più in vista il nudo adeguamento alla realtà, ma anzi
mena vanto della propria spregiudicatezza morale, ricava un par
ticolare piacere dal coltivarla. Se il proprio del machiavellismo
consiste nell’essere capace di tutto, in compenso l’ambizione del
machiavellismo democratizzato diventa quella di fornirne quoti
diane prove; per esso, insomma, politica e infamia sono tutt’uno.
Qualora il machiavellismo sia diventato cosa da piccoli uomini,
tratto distintivo della politica sarà la destrezza del furfante, e una
grossolana mascalzonata il capo d’opera con cui acquistarsi la
patente di abilitazione politica.
La borghesia in fase liberale non permette ancora ai piccoli
Machiavelli di venire a galla: sua caratteristica è che l’apparen
za del diritto e della probità abbiano tuttora validità assoluta.
Nella fase liberale democratica, al contrario, i piccoli Machiavelli
fanno la prima apparizione in pubblico, tentano i primi incerti
passi, ma è col fascismo che spunta il loro grande giorno.
E si dimostra allora come fra un Machiavelli in sedicesimo e
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Capitolo tredicesimo
Le fondamenta dell’iniquità
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muta sempre sulle peste del “ nemico del popolo e dello stato, ”
al quale non dà respiro, che annusa sotto qualunque camuffamento,
che può azzannare ovunque lo scopra; essa non è ostacolata da
alcuna formalità giuridica, da alcuna prassi legale; in una parola,
è autorizzata a tutto ciò che le sembri imposto dalla situazione.
L a Gestapo è l’organo del potere che occupa il posto degli aboliti
diritti fondamentali. Il “ nemico del popolo e dello stato ” è un
fuorilegge, è un proscritto; la polizia segreta lo tratta da quella
selvaggina che è. Essa mette le mani sulle proprietà, apre le let
tere, ascolta le conversazioni telefoniche, spia, proibisce, scioglie
associazioni, raccoglie prove, perquisisce abitazioni, spicca man
dati di cattura, riempie i campi di concentramento, tortura, am
mazza secondo il proprio talento. I reparti adibiti a guardia dei
campi di concentramento diventano con l’andar del tempo, le
SS-Totenkopfverbiinde,6 che nella giornata del partito del 1936
apriranno la sfilata delle SS davanti al Fiihrer; si tratta di “ re
parti di primissima linea, ” sono quotidianamente “ a contatto
col nemico, ” e di ciò esse vanno orgogliose. L a loro gloria, il
loro eroismo, consiste nell’aver distrutto e torturato a morte uo
mini inermi : e il loro “ duce ” ne li ricompensa.
Non esiste mezzo legale contro la polizia segreta, non c’è ap
pello possibile: si è abbandonati ai suoi umori e capricci. Essa è
onnipotente quando scende in campo per disarmare i nemici dello
stato, per garantire la sicurezza dello stato. N el marzo 1936, la
Corte di cassazione prussiana decretò che contro le disposizioni e
le decisioni di polizia, riguardanti la specifica attività della Ge
stapo, non era ammesso il ricorso alla magistratura coi normali
mezzi legali; sentenza che precludeva il ricorso alla legge nei
confronti della polizia segreta.
“ La polizia di stato, ” sostenne il capo della sezione della Ge
stapo per la Prussia, Heydrich, “ deve, mantenendo il più stretto
contatto col servizio di sicurezza del Reichsfùhrer delle SS, im
parare a conoscere, a partire dai fondamenti ideologici, la tattica
e la strategia, nonché le forme organizzative di tutti i nemici ; que
sto per aggiornare i rappresentanti della lotta ideologica, e creare
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dire ai lavori forzati dei proletari solo per una parola di critica,
la distribuzione di un manifestino, una riunione con altri com
pagni di fede; contro i pochi tedeschi che non s’erano ridotti a
marionette prive di nerbo, essa pronunciò la sentenza del disonore.
In questa guerra di sterminio, si perseguitarono le opinioni;
chi la pensava in maniera diversa e non lo nascondeva, dava l’ad
dio alla libertà, spesso addirittura alla vita. Il nuovo diritto penale
tedesco era in realtà un complesso di norme repressive delle opi
nioni, benché esso pudicamente si autodefinisse diritto volto a pu
nire le intenzioni delittuose. Era insomma il codice di una teocra
zia secolarizzata. Il problema deH’imputabilità aveva un unico
contenuto: appartenere o no al giusto, al legittimo fronte, con
dividere o no la fede, essere o no un eretico; su suolo tedesco, lo
spirito dell’inquisizione era rinato a nuova vita; i tribunali non
si rifacevano più al diritto, e pazzo chi da essi s’aspettava giu
stizia; i giudici erano li per commettere abusi e prevaricazioni, la
loro “ giurisdizione ” era il continuo, servile, orpellato rifiuto della
legalità. In circostanze simili, l’avvocatura diveniva una profes
sione poco pulita, tutt’altro che onorevole; all’avvocato non era
concesso di salvare la vittima, che il potere dominante consegnava
ai tribunali perché la togliessero di mezzo; non meno del giudice
egli era una creatura di quel potere, era insomma advocatus dia
boli ; a lui di far balenare agli occhi del patrocinato l’illusione che
ci fosse ancora alcunché da fare a suo prò’. L ’uomo che sta per
annegare s’attacca anche a un fuscello, e l’avvocato cava il suo
utile da questo spasimo della speranza, si fa pagare per fomentare
ancora qualche vana illusione. L a professione di avvocato presup
pone un clima liberale, se non vuol cadere preda alla corruzione;
le occorre un’atmosfera in cui sostenere, stando sulla stabile roc
cia della legalità, il suo difeso contro il prepotere dello stato.
Il duce supremo, in conformità ai propri poteri, tratta con la
stessa, soggettiva capricciosità, tanto la giustizia quanto l’esecutivo.
Egli è signore e padrone del legislativo. L a volontà del Fùhrer è
suprema legge, il suo comando ha la forza di legge. L a rappre
sentanza del popolo, il Reichstag, il consiglio di stato prussiano,
non son che fregi, ornamenti. Non più operanti, la loro funzione
rappresentativa si riduce a essere di tanto in tanto convocati, per
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sbarazzare, pur col pieno rispetto delle forme, dei molesti obblighi
verso la legge fondamentale dello stato. Hitler rese “ totale ” l’arti
colo 48 : formula elevata a significato universale, che esaurisce l’in
tera costituzione del Terzo Reich. Cosi avvenne che il dominio del
la legge fosse sostituito dal dispotismo di un uomo. L ’articolo 48
era, in un certo senso, la porta attraverso la quale potevano irrom
pere i conquistatori del popolo tedesco, per ridurlo in tirannica
servitù.
E il partito, infatti, si considerava un’orda di conquistatori,
un “ ordine dominante ” ; gli “ ex-combattenti ” costituiscono la
nuova nobiltà : schierandosi con Hitler, manifestano il loro “ no
bile sangue nordico, ” e Hitler è il mago che, con mistiche for
mule, sa portare quel sangue a bollore, non appena lanci il suo
appello. Chi non lo accolga subito o affatto, vuol dire che non è né
un chiamato, né un prescelto. Il conquistatore nazionalsocialista
usa dello stato nel senso del Principe machiavellico: lo stato per
lui è l’apparato di dominio capitatogli tra le mani, col quale doma
e opprime i sudditi. Per preservare tale macchinario, grazie al quale
si regge e con cui cadrebbe, gli è lecito ripudiare tutti i doveri
della lealtà, misericordia, verità, umanità, religione. E cosi si chiu
de il cerchio e si compie il ciclo: al tramonto dell’epoca borghese,
ricompaiono gli stessi feroci despoti che all’alba dell’epoca, nel
Rinascimento, con la violenza, il ladrocinio, l’assassinio avevano
conquistato e tentato di conservare il potere.
N é il partito fa mistero di questo suo carattere banditesco;
“ noialtri abbiamo conquistato lo stato, ” afferma, e assicura che
non si lascerà più sfuggire la preda: “ Quando avremo in nostre
mani il potere, ” ammette Goebbels in un suo articolo del 6 ago
sto 1932, dal titolo Dalla Corte del Kaiser i}lla cancelleria del
Reich, “ mai più lo cederemo, a meno che non ci si voglia tra
scinare cadaveri fuori dpi nostri uffici. ” Son gli stessi nazisti a dire
clic, per liberarsi di loro, bisogna sopprimerli; essi sono “ i fon
datori di un nuovo stato, ” essi dan vita a “ un nuovo ordine, ” non
sono semplicemente degli “ eredi. ”
L ’educazione della nuova generazione viene organizzata a mo’
di allevamento d’una casta signorile; accolti nelle “ Ordensbur-
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18 Fortezze dell’Ordine: istituti per l’educazione politica della futura élite nazio
nalsocialista. [N. d. T .]
14 V. la “ Schleisische Volkszeitung ” di Breslavia del 28 aprile 1956.
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Capitolo quindicesimo
I personaggi
Si danno, nel corso della storia, certe basse funzioni che pos
sono essere solo di uomini infimi essi pure nello stesso senso e mi
sura: uomini nati per le “ bassezze” che si devono compiere, cosi
come, in tempi migliori, altri erano nati per nobili imprese. “ Ogni
periodo, ” scriveva Helvetius, “ ha i suoi grandi uomini e, quando
non li abbia, li inventa. ” Se il periodo storico impone compiti in
fami, delinquenti e canaglie possono assurgere a personaggi politici.
L ’ordine borghese ha perduto la sua naturale autorità, non è
piu nel fiore delle forze; più non desta entusiasmi, più non trova
abnegazioni. È scosso da febbri, geme pus, il cancro ne rode le
viscere; solo con la malizia può ancora conservare la propria auto
rità, e deve mascherarsi, imbellettarsi, ingannare, recitare, perché
gli sguardi non penetrino la cruda indecenza del suo interno mar
ciume. E tuttavia, nonostante la pompa esteriore, non sempre è
cosi accorto da non svelare inopinatamente il proprio sudiciume,
la propria debolezza. G li occorrono uomini abietti, capaci di in
durre all’obbedienza spargendo il terrore, ha bisogno di saltim
banchi, truffaldini, ciarlatani che montino l’imbroglio con cui getta
fumo negli occhi di tutti, è costretto a tollerare i foschi figuri che
ne manifestano la putredine.
Il Terzo Reich è la cura violenta, mediante la quale la società
borghese vorrebbe riprendere la perduta autorità, la falsa facciata
col cui aiuto conta di acquistarsi nuovo prestigio; ma col Terzo
Reich essa si smaschera mentre tenta di nascondere la sua sinistra
abiezione. I potentati nazionalsocialisti simboleggiano, nella loro
umanità, ciò che la società borghese in sostanza pretende dal Terzo
Reich, mostrano come essa, nel Terzo Reich, riveli inevitabilmente
la propria natura. Se è vero, come afferma Nietzsche, che nel corso
della storia umana in genere le cose dipendono dai grandi crimi-
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L A T IR A N N ID E
nali, “ ivi compresi quei molti che, pur capaci di un delitto, per
caso non lo commisero” : se questo è vero, è certo che la “ nuova
epoca” era la grande stagione per le nature criminali; e in aiuto
di esse tutte venne il felice caso d’un nazismo che favoriva la feccia:
bisognò essere sostanzialmente bacati, moralmente sbandati, per
trovare accoglienza presso l’oligarchia dominante.
N ulla forse rivela in maniera più palpabile lo sbandamento
spirituale, il disfacimento del senso morale, il turbamento di sen
timenti e istinti, i vaneggiamenti e l’alterazione del rapporto con
la realtà, di cui son preda i ceti borghesi tedeschi, meglio del loro
inspiegabile difetto di capacità fisionomica, della loro generale in
sensibilità all’univoco linguaggio dell’umano sembiante. N ei volti
dei suoi governanti si riflette l’essenza del Terzo Reich; in quegli
sguardi vacillanti, in quei crani fantasticamente o ridicolmente
deformi, si indovina la realtà di un tempo sconvolto.
Grazie alla cinematografia, oggi si è in grado di aver sott’oc-
chio la “ vera immagine ” degli uomini del giorno. Il film ci pre
senta i governanti responsabili nelle situazioni più varie, da soli o
in gruppo, fermi o mentre si muovono, che parlano o gestiscono:
uomini che non si sono messi in posa, individui allo stato natu
rale, che perciò mettono a nudo il “ fondo ” dell’animo loro.
Con spaventosa pervicacia, la feccia nazista si rivela alla luce
del sole. “ L ’aborto ridicolo... fatto di melma e fuòco, ” 1 lungi dal
costituire eccezione, errore, è anzi tipo dominante; ciascuno an
nusa nell’altro il “ suo simile. ” Difficile trovare qui chi non porti
in fronte il marchio di passioni rovinose, di abiette intenzioni, di
animaleschi eccessi, della nullità; non v’è chi non sia in qualche
modo un “ sicario della Verna12” ; e, se ancora nessun assassinio gli
si può ascrivere, o ne sarebbe capace, o potrebbe averlo commesso.
Ed è proprio quest’impronta di bassezza il segno segreto che dà
adito alla cerchia degli iniziati. Quando questi sono riuniti, Fuhrer
accanto a Fuhrer, paladino accanto a paladino, ministro con mi
nistro, funzionario con funzionario, vedi disporsi come una sara
banda di spettri, larva accanto a larva, genia infernale dalle tene
bre salita alla luce del giorno. In quelle adunate sono rappresen-
1 G o e t h e , Faust. [N. d. T .]
2 Tribunale segreto medievale. \ N .d .T .]
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8 Die Fahne boch / Die Reihen jest geschlossen (In alto la bandiera / saldamente
raccolte le schiere.)
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Capitolo sedicesimo
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che tanti operai avevano “ stesi, ” che tanti omicidi avevano sulla
coscienza. Non ci fu tagliagole, avventuriero disposto a cammi
nare sui cadaveri, testa calda che non desse un quattrino della vita
altrui, individuo dagli istinti sanguinari e dagli appetiti sadici,
che non si sentisse di casa nella SA. Quanto più eri brutale, tanto
più ti stimavano; nella SA potevi a tuo piacimento esser bestia.
E la bestialità fu nobilitata ad altissima espressione di patriot
tismo.
Gradualmente, la SA crebbe a reggimenti. Dopo il 1923, è ve
ro, subi un duro rovescio, ma dal 1926 si riorganizzò: brigate,
divisioni, interi corpi di armata: l’armata della guerra civile era
in marcia.
Prima però che potesse aver luogo la riorganizzazione della
SA, a partire dal '25, furono costituiti piccoli reparti incondizio
natamente fidati e fedeli a H itler: le Schutzstaffelns, le SS.
“ L a guida del partito si basa sul presupposto che un pugno di
uomini scelti fra i migliori e i più decisi è molto più utile, che
non una massa di seguaci incapaci di iniziativa. I principi orga
nizzativi delle SS sono quindi rigorosamente tracciati, e la loro
entità numerica esattamente limitata. ” Le SS esistevano quindi
già quale élite, quale “ guardia del corpo, ” quando rullò nuova
mente il tamburo della leva, a rinsanguare le file della SA con
elementi tratti “ dalla grande massa dei seguaci. ”
Una volta portata la SA agli effettivi di vere e proprie brigate,
divisioni e corpi d’armata, le sale di riunione non bastarono più
come campo di battaglia; per potersi spiegare, i reparti richiede
vano ampie estensioni, e la SA invase le strade, organizzò marce
dimostrative nei sobborghi, le sue divise apparvero nei rioni co
munisti. L a camicia bruna, le brache e il berretto alla bravaccia
della stessa tinta, avevano il colore della sabbia dei deserti: uni
formi che, per il taglio come per il colore, facevano a pugni con
la tradizione e il paesaggio tedeschi; reparti che nel mondo te
desco fecero l’effetto di conquistatori stranieri, di legioni merce
narie. Loro intenzione era quella di provocare gli operai e, se
quelli non raccoglievano la sfida, di demoralizzarli. Il proletariato
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* Olx-rsturmaljteilungenfùhrer. [ N . d . T . ]
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Capitolo diciassettesimo
Il terrore
do
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dola che lo stato d’emergenza era realtà. Chi volesse ancora farsi
paladino della costituzione weimariana, passava per complice
dei “ criminali comunisti ” : un “ colpo ” banditesco invero geniale.
Migliaia di borghesi tedeschi fecero violenza alle proprie co
scienze e tacquero: è da questo momento che cessano di esistere
tra la borghesia tedesca gli uomini d’onore, da questo momento la
borghesia tedesca è nello stesso mazzo con la canaglia nazionalso
cialista. Quando, il 23 marzo 1933, Hitler osò, in pieno Reichstag,
attribuire il “ decadimento della nazione ” all’ “ errore marxistico, ”
nessuno si levò a contraddirlo. Egli continuò: “ Il processo stori
co, inaugurato dal liberalismo dello scorso secolo, trova la sua
naturale conclusione nel caos comunista. L a mobilitazione degli
istinti più primitivi porta all’unione tra le interpretazioni di un’idea
politica e gli atti di veri e propri criminali. Dal saccheggio all’in
cendio, dal sabotaggio all’attentato, tutto nell’idea comunista ri
ceve sanzione morale. ” Quel giorno che Hitler, capo supremo
degli incendiari del Reichstag, diffamò gli onesti, fu pesato e va
gliato quanto ancora restava nel popolo tedesco; e chi approvò
Hitler 0 lo copri, scelse il mucchio dei rifiuti.
Hitler mise fuori legge i proletari classisti. Già il giorno suc
cessivo a quello dell’incendio del Reichstag, veniva emanato il
decreto “ per la protezione del popolo e dello stato, ” ovvero “ per
la repressione delle violenze comuniste contro la sicurezza dello
stato. ” I fondamentali diritti del popolo tedesco venivano abro
gati; l’intoccabilità delle persone, l’inviolabilità del domicilio, il
segreto epistolare, la libertà di stampa, di associazione e di riunio
ne annullati; le proprietà private dei “ nemici dello stato ” non più
protette; per 1’ “ alto tradimento,” l’avvelenamento, l’incendio do
loso, l’attentato dinamitardo, l’allagamento, il sabotaggio del ma-
leri ale ferroviario, veniva decretata la pena di morte; le pene
spettanti ai colpevoli di attentati contro i rappresentanti dell’auto
rità, di atti di sedizione, di turbamento dell’ordine pubblico, di
pregiudicamento della libertà personale, aggravate. Il decreto met
teva a disposizione del regime nazionalsocialista terribili armi con
tro i suoi avversari politici, e le SA si apprestarono a farne uso.
ha sognata “ notte dei lunghi coltelli” diveniva realtà: gli uomini
vestiti di bruno assassinavano, torturavano, saccheggiavano; non
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• Anche gli ebrei, durante la guerra del ’ i4-’ i8, s’erano battuti per
la Germania nel fango delle trincee. Fritz Haber con i suoi ritro
vati chimici, Rathenau provvedendo ad organizzare l’economia di
guerra, avevano permesso alla nazione tedesca di resistere per ben
quattro anni. Chi parlava di estraneità degli ebrei, pretendendo di
trarne precise conseguenze d’ordine politico, doveva attribuire an
cora maggiore valore a tali meriti ebraici: che i giudei, quelli
stessi che si voleva defraudare della patria, avessero per questa
messo a repentaglio la vita, era “ più eroico ” di quanto non aves
sero fatto i “ v e ri” tedeschi; che l’uomo “ nelle cui vene scorre
sangue tedesco ” versi il suo sangue per la grande Germania è del
tutto naturale. Nessun tedesco poteva quindi permettersi un atteg
giamento di disprezzo nei confronti dell’ebreo, senza prima averne
onorato le imprese, senza avergli saldato il suo debito per queste:
altrimenti era un farabutto.
A ll’inizio non mancò infatti chi aveva la sensazione che l’ex-
combattente ebreo si fosse guadagnato il diritto alla parità con gli
“ ariani. ” Bisognava dunque usargli dei riguardi, sul terreno eco
nomico o delle libere professioni. Un po’ alla volta, tuttavia, simili
prerogative furono aggirate: le organizzazioni di partito proibi
rono in pratica ai loro membri di consultare medici e avvocati
ebrei anche se a questi, in virtù dei loro meriti di combattenti, era
tuttora permesso l’esercizio della professione: una meschinità della
quale al popolo tedesco resterà per anni la vergogna.
N ell’euforia degli iniziali successi nazionalsocialisti, Streicher
aveva reclamato il boicottaggio generale contro gli ebrei, e i pic
coli borghesi si leccarono le labbra all’idea del ricco bottino che
se ne promettevano. Ma l’eco che la proposta trovò soprattutto in
Inghilterra e in America, tolse il coraggio a Hitler, il quale am
biva al plauso dell’opinione straniera non meno che a quello delle
masse tedesche; un boicottaggio d’un sol giorno avrebbe mostrate
di che fosse capace il Terzo Reich, senza però dar motivo di du
bitare del realistico senso di misura dei nuovi signori di Germania.
Con povera astuzia, il boicottaggio fu inscenato quale “ avverti
m ento” rivolto contro l’atteggiamento calunnioso della interna
zionale ebraica. Le si tirava insomma un colpo d’avvertimento:
le si sarebbe concessa un’ultima istanza, e solo se non si fosse decisa
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«imlci a prima vista dal resto della popolazione; e ben presto si organizzò e incominciò
la sistematica distruzione fisica degli ebrei. In Germania, come nei territori occupati,
«li ebrei furono fucilati, impiccati, gettati nelle camere a gas; assistendovi imperterrita,
l'intera popolazione tedesca recò la macchia di tali misfatti (1946).
1 Allora Gauleitcr della Turingia. Col suo nome furono successivamente battezzate
le fabbriche di materiale bellico annesse al campo di concentramento di Buchenwald.
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Inquadrarsi!
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3 Nel 1928, l’avvocato Edgar Jung aveva dato alle stampe un libro, in cui attac
cava gli esponenti della socialdemocrazia, Die Herrschaft der Minderwertingen [Il do
minio degli inferiori], con cui voleva dimostrare che al timone dello stato s’era messa
la " feccia. ” A ll’autore nulla accadde, i socialdemocratici non si sentirono toccati. In
compenso, furono più tardi i “ vecchi combattenti” nazisti a sentirsi offesi a sangue,
r a schizzar rabbia perché Jun g aveva denunciato il fatto che feccia e inferiori fossero
al potere. Il 30 giugno 1934 , Jung, quale fiduciario di von Papen, fu assassinato dalle
SS; benché altro fosse l’obbiettivo al quale aveva mirato, erano stati i nazionalsocialisti
a sentirsene colpiti.
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esercito ebbero tempi d’oro: per essi andava a gonfie vele, i denari
che prima del 1933 s’erano investiti nell’impresa nazionalsocialista
pagavano lauti dividendi, e l’alleanza fra Reichswehr e Hitler,
combinata a suo tempo da Rohm e da Hindenburg e solenne
mente sancita nel gennaio '33, colmava la Wehrmacht di benedi
zioni che persino a essa, dopo la sconfitta del ’ i8, dovevano appa
rire sorprendenti.
N el ’i8 essa aveva perso la sua guerra: aveva mancato il suo
scopo. Il tedesco, che con paziente spirito di sacrificio si era assog
gettato alla dura disciplina dei cortili di caserma prussiani, aveva
senza costrutto lasciato che si mortificasse la sua dignità di citta
dino e di uomo. G li ufficiali avevano goduto di un altissimo cre
dito sociale, che nell’ora decisiva non avevano saputo giustificare
con le prestazioni attese e tacitamente presupposte. Il denaro dei
contribuenti per decenni era finito nel budget dell’esercito, ma
nel 1918 questo si era rivelato un investimento sballato.
Hitler risparmiò alla Wehrmacht la necessità di riparare ai
suoi deplorevoli errori, le restituì il perduto prestigio sociale, la
provvide di illimitati mezzi finanziari. L ’esercito fu insomma ri
portato all’antica posizione sociale, politica ed economica, senza
esser prima costretto a farsi l’autocritica: con meno dolore e piu
tatto non si sarebbe potuto nascondere al mondo la sua bancarotta
del ’ i8. Hitler non aveva dunque deluso: l’esercito gli doveva la
riconoscenza e la devozione più tardi manifestategli, con tono da
Hitlerjugend, dal Feldmaresciallo Blomberg.
Si attuò cosi la mobilitazione totale; il potenziale bellico tede
sco fu portato al massimo livello.
Brockdorff-Rantzau aveva preteso di inserire la Germania nel
novero delle nazioni proletarie: non già per imporle modi di vita
proletari, bensì, servendosi del malcontento sovversivistico dei
tedeschi, per intimidire i popoli ricchi. Mussolini, tra parentesi,
aveva fatto ricorso, per l’Italia, alla stessa astuzia tattica. In realtà
simili popoli proletari non volevano affatto la bolscevizzazione; se
si davan l’aria di proletari, era solo per far capire ai popoli ricchi
che a loro non si posavano mosche sul naso: servendosi di questo
demagogismo diplomatico, insomma, potevano tentare il ricatto.
A partire dal 1930, la grande borghesia tedesca sdegnò di con-
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cui questo avrebbe potuto una volta per tutte sloggiare dalla ta
vola imbandita il nemico di classe e sedervisi solo, per sempre, da
padrone. Il risultato dell’accordo fu che i sindacati, quali trusts
detentori del monopolio della forza-lavoro, furono espressamente
accolti, a parità di diritti, nella cerchia degli oligopoli. Da quel
momento la repubblica di Weimar fu uno stato fondamental
mente borghese, che ammetteva la partecipazione al potere di un
sindacalismo capitalistico-borghese. “ L a libertà di associazione,
per la determinazione e lo sviluppo delle condizioni di lavoro e
retribuzione, è garantita a ognuno, qualunque ne sia la profes
sione, ” affermava l’articolo 159 della costituzione weimariana;
e, dopo il patto del novembre ’i8, non v’era più da dubitare
trattarsi di condizioni di lavoro e retribuzione nell’ambito del
l’ordine borghese-capitalistico.
Tuttavia, per quanto le organizzazioni sindacali s’ostinassero
a rimanere su tale terreno, la loro esistenza pur sempre contrad
diceva nel senso più profondo allo spirito dell’ordine borghese
capitalistico: il capitalismo vive grazie al plusvalore che esso si
procaccia a spese della forza-lavoro e limitare le sue tendenze
sfruttatrici significa mettergli le pastoie, negare i suoi principi.
Non appena ripreso fiato, la borghesia tedesca tentò di sbaraz
zarsi dell’accordo di novembre; finché le organizzazioni sinda
cali a parità di diritti continuassero a perseguire per la forza-
lavoro la stessa politica dei prezzi che la borghesia faceva per il
carbone e il ferro, l’intero ordine capitalistico era in istato di
squilibrio; la borghesia inciampava nei contratti di lavoro laddo
ve avrebbe voluto, al cospetto di eserciti di disoccupati, partire
lancia in resta contro il livello dei salari; doveva scendere a patti,
mentre già si sapeva forte abbastanza da imporre dettami. Lo
stesso Stinnes che nel 1918 era apparso a braccetto di Legien, non
riconobbe più la propria firma, quando la grande borghesia si
fu ripresa dagli spaventi di novembre: Stinnes pretese di farsi
gioco dell’accordo, di negare ai sindacati la conquistata parità di
diritti. Il contratto di lavoro e la giornata di otto ore divennero
per ogni grosso borghese il panno rosso che lo mandava in be
stia; contro di esso Stinnes e Helfferich e Hugenbcrg si scaglia
vano con cieca furia.
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stinto infine per riconoscere dove stavano i loro veri interessi. Era
insomma un circo nel quale, a sollazzo e vantaggio della grande
borghesia, s’ammaestravano le masse a drizzarsi sulle zampe di
dietro, a far numeri di bravura, a eseguire evoluzioni al cenno della
frusta, a muoversi ormai solo in formazione serrata, agli ordini
dell’ambigua figura, guida preposta al Fronte del lavoro. In tale
figura s’incarnava intera la miserabilità del proletariato; subita la
sconfitta, era ormai suo destino lasciarsi menar per il naso da un
pessimo soggetto borghese; da milizia di classe tutta tesa al futuro,
mutarsi in plebe senza avvenire.
L a grande borghesia accarezzava il progetto.di nuove forme
statutarie; le tornavano alla mente gli organismi medievali, si rifa
ceva all’età di mezzo; il feudalesimo industriale le appariva il porto
in cui sperava di trovare quella pace sociale che le permettesse l’in
disturbato godimento dei suoi privilegi. Essa aspirava a edificarsi,
nell’ambito dell’azienda, quella posizione di dominio, raggiunta
dal proprietario terriero feudale nei suoi fondi. Il “ germanico or
goglio signorile” si levava dai sepolcri; ci si congedava dal pro
gresso, che presentava ormai solo “ aspetti bolscevichi, ” e ci si
rivolgeva al passato, che era pur sempre il compendio dei tempi
migliori, dell’età dell’oro.
Il feudalesimo industriale era stato a suo tempo la ricetta so
ciale di Alfred Krupp e del signor von Strumm, dal cui paterna
lismo aveva preso le mosse la rivoluzione nazionalsocialista. L ’ope
raio è un minorenne; egli non ha né da esprimere parere, né da
combattere: non ha nessun diritto da esigere, deve semplicemente
accettare riconoscente ciò che gli viene assegnato, e per il resto ub
bidire. È un “ fam iglio” ; un ordine di servizio ne fisserà le man
sioni nell’ambito dell’azienda; non piu contratti di lavoro frutto
di trattative: “ Qualora urgentemente si richieda, a protezione dei
dipendenti d’un gruppo di aziende nell’ambito del distretto di per
ii ncnza d’un fiduciario del lavoro, la stipulazione di condizioni
minime regolanti i rapporti di lavoro, il fiduciario stesso potrà,
previa consultazione con un comitato di esperti, con ordinanza
scritta, fissare l’entità dei salari. ” Il salario assegnato resta, senza
sbalzi, al livello del minimo vitale; respinta è la pretesa dell’ope
raio a una partecipazione agli utili congiunturali: chi tali utili
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* Ivserci/.i militareschi eseguiti con la pala nell’ambito del servizio del lavoro.
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siti di armi; i comunisti, continua Rohm, non erano mai corsi dal
“ cadi ” o dal “ grande fratello di Berlino ” per fare la spia ; re
sistenza di formazioni patriottiche armate aveva costituito “ per
il proletariato un motivo di più per condurre compatti la lotta. ”
Rohm deve dirlo: “ quest’atteggiamento da parte dei comunisti
mi è sempre piaciuto. ” Allora disponeva di mezzi adeguati per
far eseguire la confisca delle armi comuniste: “ per lo più però
mi limitai a individuare i depositi stessi e a tenerli sotto vigilan
za. ” Il suo cervello, come si vede, non è impastato di fraseologia
patriottarda, ma anzi Rohm è ancora, a volte, capace di una
visione personale delle cose. Egli racconta con sobrietà, anche se
qua e là è dato constatare che sfiora i confini dell’infantilismo.
Le sue considerazioni non si possono mai dire ragguardevoli; mai
che vada a fondo dei propri impulsi, ma per lo meno ciò che
delle cose egli pensa è abbastanza sensato. Non è certo uno sciocco
e, anche se certe realtà le ignora, lascia almeno sperare di poter
apprendere. Il suo stile è chiaro e preciso, contrassegnato com’è
più da franchezza che da ricchezza d’espressione. Abbondano le
citazioni, segno che l’autore non è digiuno di buone letture. Egli
ha l’ambizione della cultura, e non è privo di intelligenza per le
cose dell’arte; lui stesso si diletta di poesia, e nel suo libro offre
assaggi dei suoi distici e rim e; e, benché nei versi lo spirito non
brilli, innegabilmente non manca neppure del tutto: i versi rive
lano che l’autore ha idea di cosa sia componimento poetico; si
cimenta perfino nell’elegia, e v’è qualcosa di toccante, nell’orgo
glio con cui presenta i parti legnosi e sgraziati della sua musa.
Nel suo ambiente fa spicco; la duttilità del suo spirito, la sua
sensibilità, il suo carattere non equivoco superano, benché nel
complesso rientrino negli schemi della mediocrità, la misura delle
qualità umane proprie agli altri gerarchi nazisti.
Certo, Rohm ha morbose tendenze omosessuali; la sua cul
tura e sensibilità sono, come spesso accade tra ufficiali, la brillan
tezza psico-intellettuale dell’invertito. E le sue deviazioni sono
sempre state un segreto di Pulcinella. Hitler ne è al corrente, ed
è difficile far tacere le voci secondo cui i suoi rapporti con Rohm
non sarebbero esenti da una certa coloritura erotica. Hitler non
nc piglia scandalo: le faccende private dei suoi sperimentati ge-
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che non aveva fiutato alcun vento infido quando il 24 giugno Hess,
al congresso del partito del Gau di Essen, aveva profferito chiare
minacce: “ L ’ordine del Fùhrer, cui noi giurammo fedeltà, è il
solo che abbia valore, ” aveva detto Hess. “ Guai a colui, ” aveva
soggiunto, “ che manca alla fede, credendo di servire la rivoluzione
con la rivolta ” : Adolfo Hitler, ecco il sommo stratega della rivo
luzione, e “ guai a colui il quale goffamente s’inserisca, calpestan
dole, tra le fila sottili dei suoi piani strategici, nell’illusione di
accelerare il corso degli eventi. Costui è nemico della rivoluzione,
anche se agisce in assoluta buona fede. ” Questa era diretta contro
Rohm, il quale però non se ne diede per inteso: non erano cose
che lo riguardassero. E Rohm rimane inoperoso a Wiessee, atten
dendo l’arrivo di H itler; vi dormi placidamente, quando il colpo
destinato a distruggerlo era ormai cosa decisa.
Grande borghesia e Reichswehr guardavano preoccupati, non
già ai piani di Rohm per l’oggi, bensì a ciò che egli — a meno di
non arrestare il braccio agli impulsi di cui era l’organo — in corso
di tempo avrebbe tramato e messo in atto. Rohm era troppo cieco
per accorgersi di ciò che egli significava in Germania, non aveva
idea della funzione politica che svolgeva, non indovinava affatto
la portata della parte che gli era toccata. Attorno gli si raccoglie
vano tutte le forze e potenze che si mettevano sulle difese contro
la restaurazione dell’imperialismo grosso borghese, contro la tra
sformazione della malintesa dittatura. nazionale di Hitler in aperta
conquista del potere da parte del capitalismo monopolistico; se è
lecito dirlo, egli era assurto a rappresentante e fiduciario delle
istanze concretamente socialrivoluzionarie su suolo tedesco. Rap
presentava un pericolo ben più grosso di quanto egli stesso non
supponesse; la sua intelligenza non giungeva a penetrare il si
gnificato storico che intanto la sua esistenza aveva assunto. G li
avversari borghesi non erano disposti a concedergli attenuanti
per questa cecità: Rohm è l’uomo dal quale la SA attende il se
gnale della seconda rivoluzione; ciò basta perché egli sia giudicato
colpevole. G li si imputerà d’ora in avanti non ciò che soggettiva
mente vuole, ma ciò che obbiettivamente rappresenta. Egli deve
cadere, perché la seconda rivoluzione sia soffocata prima che possa
scoppiare.
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litaresche sparate.
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“ F E S T E V ED O E C E L E B R A Z IO N I. . . ”
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“ F E S T E VEDO E C E L E B R A Z IO N I. . . ”
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Feste seh’ ich und Feiern, ich hore Marsche, Gesange, Bunt ist von Fahnen
die Stadt, immengleich summet der Schwarm.3
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“ F E S T E V ED O E C E L E B R A Z IO N I. . . ”
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viene per un istante alla ribalta il vero regista, che per incarico dei
suoi sovvenzionatori borghesi tiene in pugno tutte le fila.
Le quinte davanti alle quali sfila l’individuo annegato nella
massa, son le costruzioni monumentali e rappresentative. Si disten
dono qui immani edifici, si aprono pomposi saloni, anfiteatri e
colossei, là giganteschi aerodromi, spropositati simboli di potenza
militare. L ’occhio è attratto dallo smisurato, diviene sensazione
generale quella di vivere nello straordinario. S’ammassano pietra
e cemento cosi come a masse si congregano uomini; e l’individuo
che prima faceva mostra di sé in un salotto, ora nella “ Kon-
gresshalle” capace di decine di migliaia, si sente schiacciare: qui
più non si conversa, non si tengono dibattiti, non si discute, qui
solo si urla la propria approvazione, si cantano gli inni nazionali,
si tributano onori, si assimilano le parole d’ordine, qui l’individuo
viene cosi radicalmente cancellato da esser poi pronto, quando lo
si richiamerà alle armi, a fare sconsideratamente getto della vita
per qualsiasi insania o delirio. Nelle costruzioni monumentali, lo
spirito delle masse ebbre celebra la sua vittoria sullo spirito del
l’individuo sobrio, avveduto, capace di critica, dotato d’un conio
personale. L ’uomo si crea una cornice “ estetica ” in cui, se vuole
passare all’azione, possa farlo solo come massa. Cosi non seguirà
alcuna sua via propria, cosi non vagheggerà alcuna idea partico
lare. A ogni tirannide s’appartengono gigantismi costruttivi, a
simboleggiare che l’individuo ha perso fin l’ultimo angolo intimo,
nel quale egli coltivava la sua privata esistenza. Aristotele accenna
alle piramidi d’Egitto, ai monumenti dei Cipselidi, alla costruzione
dell’Olympieion da parte dei Pisistrati, alle opere di Policrate a
Samo: ognuna di esse, egli dice, “ persegue lo stesso scopo: l’inin
terrotta occupazione e l’impoverimento dei sudditi. ”
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di sua moglie. Dove non possa farcela con la sua facondia, il suo
coraggio finisce. Se tanto volentieri parla di fruste e pistole, è
perché darebbe chissaché per essere uomo da usarle: se lui frusta,
lo fa con frasi cariche d’odio; se tira, son frecce avvelenate, in una
imboscata.
N el suo diario mostra come elimina le sue vittime. Sistemati
camente demolisce il prestigio di Gregor Strasser: Strasser è
falso, sornione, è l’uomo di tutti i compromessi; dappertutto se
ne trovano le tracce, egli non fa che affliggere il magnanimo
Fiihrer. Le annotazioni su Strasser s’accumulano: qualunque cosa
si faccia con lui bisogna sempre stare sul chi vive. Strasser mina
e sabota : “ Bisogna solo badare che Strasser non faccia uno scarto
improvviso. ” Un po’ alla volta il ritratto di Strasser prende for
ma: è il Giuda del partito; alla fine la sua abiezione diviene ma
nifesta, e Goebbels grida, a gran voce : “ È quello che ho sempre
supposto! ” Il Fiihrer è profondamente ferito di tanta slealtà: per
ore ed ore, “ a grandi passi, ” misura su e giù la sua stanza d’alber
go. “ Non riusciamo a raccapezzarci, di fronte a tanta infamia. ”
L a fine di Gregor Strasser è dunque propagandisticamente ap
parecchiata. Goebbels presenta qui l’esempio, vero pezzo da colle
zione, di come si sopprima un uomo con l’arma della finezza pro
pagandistica. Il rovello contro Strasser, che i fogli di diario avevano
esasperato, si concretizza il 30 giugno 1934: le SS erano pronte a
“ liquidare il traditore smascherato. ” L a morte di Strasser ce l’ha
sulla coscienza il propagandista Goebbels.
La forza traviante della propaganda goebbelsiana è tanto più
stupefacente, dal momento che un’occhiata all’uomo basterebbe per
metterne chiunque in guardia. Vien fatto, questo meschino ometto
arrancante, di prenderlo per un impiegato del reparto pubblicità di
un grande magazzino. Tutto ciò che egli ingiuria, sembra esser
lui stesso: egli ha l’aspetto fisico del “ giudeo,” è menomato co
me chi rechi una tabe ereditaria, psicopatico come un sottuomo,
riunisce in sé le caratteristiche somatiche e spirituali della “ razza
inferiore” ; è privo di consistenza come un “ intellettuale,” senza
radici come un “ letterato ebreo, ” infido come un “ meridionale. ”
Proprio qui si ha la riprova più brillante’ deh suo virtuosismo prò "
pagandistico, nell’essere la sua esistenza fisica in stridente contra-
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sto con le idee “ nordiche ” che egli annuncia, e nel fatto che cio-
nonpertanto gH si creda. Mentre sbandiera la solare figura sigfri-
\clea, egli sta al cospetto dell’auditorio quale un rigurgito d’Ache
ronte; e fa quasi ribrezzo vedere come ubriachi la folla, benché
confuti la Weltanschauung nazista con la manifestazione della sua
esistenza, e la manifestazione della sua esistenza con la Weltan
schauung nazista. Può esser fiero — e lo è — d’un simile risultato.
Più non s’accontenta di menare per il naso le masse, di farle bal
lare al suono del suo piffero: giunge a ostentare, mentre fredda
mente contempla il risultato delle sue manifestazioni oratorie, la
diabolica presunzione che a lui nessuna manovra illusionistica va
a traverso. È un machiavellico, il quale si vanta di placare i so
spetti che fa nascere con la vanità di cui fa sfoggio, e si pasce della
stoltezza degli ascoltatori che ha abbindolato. Le masse sono
marionette, che Goebbels obbliga a pensare, sentire, credere, ri
dere e urlare come meglio gli aggrada; ciò che agli occhi di
quelle è cosa sacra, per lui è solo motivo di dar prova del suo
virtuosismo e d’impiegare la sua potenza; ciò che commuove le
masse, ciò che esse vogliono e credono, lo interessa appena: gli
basta riuscire a tenerle in mano proprio perché si commuovono,
vogliono, credono. N e deriva che con la totalità del suo essere
Goebbels effettivamente si libra nell’elemento dell’improbabili
tà, dell’improbità, dell’impulitezza: mentisce nel scegliere le pa
role, nel pronunciarle, nell’accentuarle, in quel suo far boccuccia,
nello snodare la lingua, nello stirare il collo, nel girare il capo,
nello sbarrare gli occhi, nel sorridere o aggrondarsi, spianare o
aggrottare la fronte, muovere il corpo e piegare le braccia, allar
gare le dita e chiudere le mani a pugno, sollevarsi sulla punta
dei piedi a batterne uno — in tutto questo mentisce, se ne com
piace e disprezza le masse sulle quali ha virtù.
Solo quando Goebbels parla delle masse, si scopre la sinistra
funzione sociale che egli esercita. L a sua bocca si spalanca quant’è
larga, quell’uomo senza mento diviene nuli’altro che una boc
caccia clamante, che si apre quale un cratere, da cui fiotta a va
langa verso le masse la lordura finora rattenuta nel fondo del
loro essere: la bestialità, che ad esse finora non era lecito mostra
re, prorompe adesso scopertamente, spudoratamente, dallo spacco
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La sua propaganda lavora sullo sfondo di un’ideologia che
conosce solo il contrasto fra bianco e nero, rispettabile e abbietto,
amico e nemico. G li anni precedenti al 1933 sarebbero l’età della
rovina; allora ci si sarebbe trovati immediatamente di fronte alla
bancarotta morale, politica, economica, finanziaria; la sostanza di
questa bancarotta sarebbe il bolscevismo. Retrospettivamente, la
repubblica di Weimar appare come il regno di Satana, in cui il
bolscevismo riscalda il paiuolo per farci bollire i bravi borghesi;
li rievocandone il ricordo, si diffonde la paura del diavolo. I propa
gandisti nazionalsocialisti non possono rinunciare agli spettri in
fernali, cosi come i preti cristiani non possono rinunciare ai propri.
Il 30 gennaio 1933 è il giorno del miracolo; allora ha inizio la re
denzione. Satana giace smembrato al suolo; il Terzo Reich è la
comunità dei Santi. Certo il demonio brontola ancora nelle anime
perdute e ostinate: i nemici di Hitler, i nemici del nazionalsociali
smo sono spiriti infernali : devono essere stanati, maledetti, torturati
a morte dagli uomini delle SA e delle SS.
In questo schema ideologico dispone Goebbels la sua azione
propagandistica; è una crociata contro gli eretici, contro le forze
infernali di Lucifero. Il boicottaggio contro gli ebrei, nell’aprile
1933, è da lui bandito come una campagna contro la potenza del
semitismo internazionale, come un’offensiva nel quadro della
grande guerra antigiudaica. L ’opera di soccorso invernale è da lui
organizzata quale “ battaglia contro il freddo e la fame. ” Per l’ot
tobre 1933 annuncia una grande “ campagna propagandistica” ;
I “ terremo in due mesi 150.000 pubbliche assemblee. ” In poderose
battaglie oratorie egli vuole sgominare i piagnoni e gli sputasen
tenze; alle “ disoneste mene degli allarmisti e dei cavillatori che
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altro spirito che nel 1848. Certo da molto tempo il suo pensiero
era di casa sul terreno fascista; i sentimenti che la riempivano, i
punti di vista e le idee verso cui si orientava, il metro di valuta
zione che applicava, e in genere gli elementi spirituali fra i quali
si muoveva, erano di natura completamente fascista. In certo modo,
tutti i professori borghesi sono padrini del fascismo. E questo vale
per Heidegger come per Freyer. Dopo la rivoluzione nazionalso
cialista, uomini come Spranger si preoccuparono di compiere in
modo non troppo compromettente il proprio adeguamento all’or-
todossia nazista. Dopo un periodo di esaurimento, dal 1928 circa,
cosi dichiarò Sprenger dinanzi all’Accademia di scienze prus
siana: i momenti positivi impliciti nella guerra mondiale produ
cono finalmente un effetto deciso e fruttuoso. Domina ormai la
nuova idea di popolo, legata al divenire di un nuovo tipo umano,
indigeno, popolare, attivistico-eroico; ambedue sono nati dall’espe
rienza di guerra. Ambedue comportano una nuova idea dello Sta
to, una res publica militans, che non è più il prodotto di una
“ integrazione” dei diversi orientamenti in seno alla società; al
contrario, rappresenta la volontà dello Stato attraverso il duce cari
smatico, che concepì la nuova idea di nazione, e in forma di
“ emanazione ” dà alla società un’impronta gerarchica. Anche nel
l’economia la volontà politica ottiene il primato; attraverso la pia
nificazione, essa tende nell’interesse della popolazione al più alto
grado possibile d’autarchia, quale s’era annunciata durante la
guerra. N el campo tecnico la concezione sentimentale, per cui la
tecnica rappresenta il nemico dello spirito, è “ posta in fuga dall’ac
cettazione eroica dei mezzi tecnici, e da una tecnocrazia piani
ficatrice. ”
Questo era certo nazionalsocialismo, ma era un pomposo, to
gato nazionalsocialismo; quegli uomini volevano pur sempre con
servare il livello tradizionale della scienza e della filosofia liberale.
Il contenuto materiale del fascismo doveva esser presentato in una
forma elaborata alla maniera liberale; la forma elevata doveva
rendere digeribile la torbida follia. Essi non capivano che il fa
scismo, come il liberalismo, possiede un suo naturale livello; e si
travisa il fascismo secondo criteri liberali, non appena lo si innalza
dal piano che gli è confacente. Presto o tardi i professori destarono
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Schmitt rinnegò gli amici ebrei del passato: cancellò nelle nuo
ve edizioni delle sue opere i nomi dei protettori ebrei, si pose alla
testa del movimento per epurare da ogni traccia di ebraismo la
letteratura giuridica. Piombò come un membro dell’inquisizione
in ogni nascondiglio ebraico. L ’intensità che era stata una volta pre
rogativa del suo spirito si tramutò ora nell’intensità di una mania;
come un povero, fanatico settario, scorgeva dietro ogni pietra e ogni
cespuglio lo spettro giudaico. La storia dell’ebraismo sul suolo tede
sco e anche in altri paesi europei, egli disse nell’ottobre 1936 di
nanzi ad un congresso di professori universitari, è strettamente le
gata a quella della criminalità. Il punto culminante della crimi
nalità ebrea fu raggiunto nel 1800 con le bande armate di briganti,
che, montati spesso su più di cinquanta cavalli, rendevano mal
sicura la regione renana. Solo una migliorata organizzazione della
polizia dopo le guerre di liberazione e le maggiori possibilità di
guadagno nella società capitalistica offersero ai criminali ebrei l’oc
casione di volgersi a metodi ladreschi meno vistosi e più proficui.
La successiva generazione ebrea svolse, ai primordi, un’attività di
speculazione o di truffa, o allargò su più vasta scala la collabo-
razione con i criminali marxisti. L ’ebreo Baal Massematte, l’ispi
ratore dei furti commessi intorno al 1800, fu il precursore dei
successivi agitatori e commissari bolscevichi ebrei, che continuarono
su più vasta scala il “ decalaggio ” del loro avo nei confronti dei
beni non ebrei. È compito dello storico della famiglia stabilire che
cosa sia divenuto della numerosa discendenza delle antiche bande
di masnadieri ebrei. Bisogna anche osservare che tutte le tendenze
introdotte dagli ebrei nel diritto penale per proteggere il delin
quente, non rappresentano altro che la continuazione dell’unione
fra semitismo e criminalità; inoltre bisognerà rilevare la tradi
zione ebrea, soprattutto dall’Antico Testamento, nel suo contenuto
fondamentalmente criminale, senza troppi riguardi diplomatici.
Soltanto riconoscendo apertamente il giudaismo come delinquenza
o r m ai a s s i m i l a t a al suolo nazionale^ e iTsuo Jahvè comecèlestc
Baal Massematte, si può risolvere l’enigma di questo popolo.
Dopo aver cosi ritrovato la traccia di Baal Massematte, Schmitt
cominciò a strisciare, come un ben aizzato segugio nazionalso-
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tilla d’ingegno non brilla, vista attraverso gli occhiali della fede,
e le belle trovate sparse a piene mani hanno ben poco slancio
quando si tratta di mani incatenate. I motti di spirito su ordina
zione ricadono in terra, perché troppo pesante è il granello di
propaganda politica per cui furono ordinati. “ Dove c’è libertà di
pensiero, ” osserva il divino Lichtenberg, “ ci si muove facil
mente nel proprio circolo; dove i pensieri sono obbligati, anche
quelli permessi hanno un’aria piena di soggezione. ” Lo spirito
che cela un aggancio dogmatico diventa insipido, e l’ironia che
segue le vie del proselitismo risulta acidula. A d un inquisitore
poco si conviene l’organizzare fuochi d’artificio spirituali, ma se-
lo fa, non può impedire che lo si sospetti di giocare al gatto e
al topo: la gente diffida dell’innocuità delle esplosioni e delle
piogge di fuoco. Le maledizioni che Baeumler scagliava contro il
liberalismo inquinavano proprio quell’aria che sola si confaceva alla
sua mentalità; Baeumler si precludeva il rifornimento d’ossigeno
di cui la sua fiamma aveva bisogno, se voleva ancora brillare.
Fin dal principio, molto più insignificante e meschino di Cari
Schmitt o addirittura di Alfred Baeumler si rivelò Ernst Krieck.
Krieck era un ex maestro di scuola; si era guadagnato gli onori
scientifici grazie alle sue ricerche pedagogiche; le fatiche e le
cure che dedicava a questioni pedagogiche, che del resto non in
teressavano nessuno, destarono il sospetto che non avesse solo pe
stato l’acqua nel mortaio. I suoi libri erano pedanti, aridi e pieni
d’inutile erudizione; ma, poiché si attribuiva all’ostica materia la
colpa della sua aridità, alla fine si riconobbe a Krieck il merito di
aver salvato l’onore della scienza in un campo che tutti sorvolavano
con un ampio volo. A poco a poco egli varcò i confini della sua
specialità pedagogica e sviluppò una filosofia nazionalistica, la cui
astrattezza non trascurava però di armonizzare con il conserva
torismo rivoluzionario di Hitler. “ Quando il signore, ” scrive
Krieck, “ concepisce il suo rapporto con lo schiavo in prima linea
come obbligo, questi può raggiungere il naturale sviluppo della
sua personalità e autodeterminazione, mentre attraverso la for
male eguaglianza giuridica dello Stato borghese, il libero contratto
di lavoro e l’assolutismo dell’economia privata il lavoratore, in
seguito alla sua effettiva debolezza e miseria, deve lasciarsi sfrut-
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1 Corporazione studentesca, [N . d. T .]
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matica, e che la cosa migliore da fare è gettar via l’intera vita. Uno
di questi giovani, Heinrich Anacker, confessa:
Cosi putrida era diventata ormai la causa borghese per gli stessi
figli della borghesia, che riuscivano solo ad aggrapparsi, come al
l’ultimo arbusto, all’ottusità di una marcia militare; ma ogni cer
vello un po’ più raffinato è ormai talmente sazio della “ magia della
fila per quattro ” divenuta fine a se stessa, da andare incontro alla
morte con entusiasmo pur di sfuggirle. Ma tutto ciò non avviene
senza la compiaciuta vanità di un piccolo bluff. Non si vuol ricono
scere di esser nauseati della propria vita, quasi soffocati dalla sua
. mancanza di senso sociale. Il volontario sacrificio della vita, invece,
acquista un accento di eroismo; si fa la fine del bancarottiere, mo
strandosi però in posa da eroe. Questo eroismo è la fuga in un ma-
2 A che vale la tua felicità e la mia? — e a che vale il nostro dolore? — Solo una
cosa sappiamo: — marciare in tenuta di gala. — Caduto e dimenticato — è quel che
ci mosse ad ira — quando i pugni si stringono al cinturone.
— Vivremo ancora domani? — O prima ci coglierà la morte? — N oi non ce Iq
chiediamo — alziamo il capo nella fresca luce. — Tale è l’acerbo voto che abbellisce il
nostro cammino: — magia della fila per quattro — quando in testa rulla il tam
buro.
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cabro effetto scenico, che deve assicurare alla triste creatura almeno
una buona fama postuma.
“ Come per la conservazione di ogni società umana è necessario
difendere certi principi, ” disse una volta Hitler a Norimberga,
“ senza preoccuparsi di ottenere il consenso di ognuno, cosi anche i
quadri culturali di un popolo devono essere formati con i suoi mi
gliori componenti. Ma quel che manca a coloro che vi sono desti
nati come intima capacità di comprensione, quel che essi non giun
gono a comprendere col cuore e con l’anima, questo, attraverso una
consapevole educazione, deve porli in rispetto. ”
Questo programma di stupro pedagogico è posto sistematica-
mente in atto dal Terzo Reich. Se non era la scuola a impadro
nirsi del fanciullo, erano le associazioni giovanili, la gioventù hitle
riana, la lega delle ragazze tedesche, in cui ragazzi e fanciulle ve
nivano ammassati per legge. Scuole elementari e medie divennero
scuole politiche, “ scuole di chiesa ” ; la scuola confessionale catto
lica fu messa da parte, facendo posto alla scuola confessionale na
zionalsocialista — poiché altro non era la “ scuola collettiva laica ”
istituita allora. Il partito divenne, accanto alla scuola e alla famiglia,
il terzo potere educativo, e non rifuggi da nessun pretesto appog
giato dallo Stato per prendersi la parte del leone. Il capo della
gioventù hitleriana rubava il mestiere al maestro; e mobilitava i ra
gazzini, quando il maestro, difendeva la sovranità della sua aula.
Questa tripartizione del compito educativo gravava soprattutto sulle
funzioni dei maestri elementari; che a poco a poco furono ridotti
semplicemente ad insegnare a leggere, scrivere e far di conto. Lo
scatenamento illuministico delle forze spirituali urtò contro la
ragione del Terzo Reich. Allo scolaro delle elementari occorreva
per la vita, oltre che un po’ d’ortografia e d’aritmetica, anche la
capacità di leggere la bibbia nazionalsocialista, il Meìn Kam pf di
Hitler. L a scuola elementare dell’età liberale aveva messo in testa
alla gente semplice idee troppo grandiose. Il caporale federiciano,
che non aveva mai traviato un animo semplice verso la voluttà delle
gozzoviglie intellettuali, assurse a nuova considerazione; ma una
volta giunti a magnificare i suoi meriti pedagogici, nulla più im
pediva che un giorno fossero inviati nelle aule scolastiche i. coman
danti delle truppe d’assalto bisognosi di sistemazione. Si poteva esser
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1 Vogliamo esser felici sulla terra -—- e non vogliamo pili stentare; — il pigro pan
cione non deve dissipare — quel che solerti mani han guadagnato.
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tali, come l’esercito, la scuola ecc., e-per questo era crollata anche
nell’ora del pericolo. Poiché risultava in modo irrefutabile che
una parte dei colpevoli — comunicò il ministro della Propagan
da in tono di lacrimosa, finta ipocrisia e di infame farisaismo —
era solo superficialmente, o per nulla informata sulle importanti
istituzioni del nuovo Stato contro cui aveva sfogato la propria
bile, si sarebbe concessa a quella gente l’opportunità di riprendere
il tempo perduto con un decoroso e solido lavoro in un Lager.
La critica è, per sua natura, “ liberale ” ; l’uomo che esercita la
critica dispone di un proprio, libero terreno, in cui attribuisce più
importanza a se stesso che alfe autorità. L a critica limita il potere
delle autorità: per questo viene implacabilmente soffocata da
ogni Chiesa che parli in nome di un onnipotente, dalla cristiana
come dalla nazionalista. Le cose “ sacre ” non devono essere sfio
rate da scherzi, frizzi ed ironia. Il dogmatico nazionalista-razzista
può andare in rovina a causa di uno scherzo, proprio come il dog
matico cristiano. Il dogma, che abolisce d’autorità il dialogo e
la discussione e vorrebbe arrestare direttamente la dialettica dello ,
sviluppo, è per sua natura negato allo scherzo e all’umorismo. Per
questo Goebbels colpi si duramente il “ Tingeltangel ” e sca
tenò con illegale arbitrio la brutalità delle SS e delle SA contro
quegli intelligenti e coraggiosi artisti.
Poiché il Terzo Reich regolava l’intera esistenza della nazione,
era responsabile di ogni fenomeno della vita politica, sociale, spi
rituale; chi colpiva una parte, feriva il tutto. Le frecce scagliate
dalla critica artistica, dato che ogni opera artistica non poteva in
traprendere il suo cammino senza il benestare ministeriale, face
vano soffrire anche il Terzo Reich. La sua competenza artistica
era posta in dubbio: v’era un punto, quindi, in cui non era infalli
bile. Sorsero opere d’arte in cui il Terzo Reich si vedeva rappre
sentato in modo particolare: quando la critica non lasciava loro
in testa un capello sano, si trattava di un eccesso di ostilità contro
lo Stato. Il Terzo Reich si contorceva ancora sotto i colpi mortali
che nel 1876 il critico d’arte viennese Hanslick aveva inferto alla
musica di Richard Wagner. L a critica d’arte divenne lo scudo
dell’opposizione politica; il riso che l’opera d’arte suscitava, era
diretto in realtà contro il Terzo Reich, le sue istituzioni e la sua
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SA, per cui nei matrimoni e nei battesimi è vietato portare l’uni
forme e nei funerali non si possono inalberare bandiere e stendardi
“ finché siano presenti membri della Chiesa.” Egli sospira: “ Che
cosa diranno i nostri figli, che con tutto il cuore militano nella SA ?
Che cosa proveranno quei giovani teologi, che proprio in quanto
tali si sentivano impegnati al servizio della SA — nonostante ciò
che talvolta hanno dovuto subire, incrollabili nella loro volontà di
servire il Fuhrer, il popolo e la Chiesa? Dobbiamo davvero ad
durre testimonianze della sincerità e risolutezza della loro dedi
zione? ” Il doppio gioco di tutta questa opposizione viene alla luce:
la Chiesa riceve calci, si piega anche, ma tuttavia collabora e non
è capace di una totale rottura con il Terzo Reich — coltiva il senso
di una comunità che lega tutti quanti. “ Nella dura battaglia spi
rituale che la Chiesa, da quando è sceso in campo il bolscevismo,
combatte contro di esso, le sono state da Dio concesse esperienze
tali da renderla un’alleata davvero importantissima e solidamente
fondata in questa lotta, ” dice Marahrens.
L ’opposizione dei monarchici e dei nazionalisti tedeschi, dei
generali dell’esercito, dell’ “ elmo d’acciaio, ” dei protestanti e della
Chiesa cattolica contro il Terzo Reich rimane estremamente con
dizionata, una lite di famiglia, non di piu. In fondo tutti quanti
sono gli stessi fratelli borghesi. Sono gelosi l’uno dell’altro, ma non
si fanno del male fra loro. Sono nella stessa barca. L a discordia tace
nel momento preciso in cui appare in cielo il temporale bolscevico.'
Allora issano la svastica su chiese e palazzi, su caserme e ciminiere
di fabbrica, e nell’unità di questo simbolo tutto ciò che prima era
sacro cade: la corona, la croce, le loro tradizioni nero-bianco-rosse,
e tutti i simboli consacrati delle loro battaglie. In quanto legitti
misti, nazionalisti, “ elmi d’acciaio, ” protestanti o cattolici, bor
ghesi, si può talvolta litigare con la croce uncinata, ma, se si è con
sapevoli del proprio interesse borghese, non si può rompere con
essa. Se tuttavia qualcuno si decide a farlo, è solo per inseguire
una chimera.
Due strani gruppi borghesi d’opposizione ebbero il coraggio di
queste chimere e rifiutarono ogni compromesso; i “ credenti tede
schi ” e i “ veri studiosi biblici. ”
I “ credenti tedeschi ” portano il protestantesimo alle sue estre-
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Parte terza
Verso la guerra
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ben presto opinione comune che la Francia non ne fosse più ca
pace; si cessò insomma dal temere la Francia.
Questa non faceva che richiedere, con sempre maggiore insi
stenza, garanzie di “ sicurezza ” ; ma ciò equivaleva ad una confes
sione di debolezza. L a Francia non incuteva terrore alcuno, la
Francia si faceva oggetto di compassione: divenne convinzione
comune, in Germania, che il popolo francese era impossibile indurlo
a scendere in campo. E il Terzo Reich era tentato a peccare ardi
tamente contro l’incondizionato amor di pace del popolo francese.
Democrazia liberale, inviolabilità dei trattati, Società delle Nazioni,
erano le componenti dell’ideologia della potenza francese, eclis
sate ormai dall’ideologia della potenza tedesca col suo contenuto:
la crociata contro il bolscevismo,, Fu manifesto allora che la po
tenza tedesca era in ascesa, in regresso quella francese. E già il
Terzo Reich non faceva scrupoli di lasciar capire che considerava
la democrazia liberale come un gradino, prima all’anarchia e
poi al bolscevismo; di anarchia e bolscevismo si può venirne a
capo, qualora prima la si sia fatta finita con la democrazia liberale.
Il programma di Hitler in politica estera venne alla luce: in
primo luogo distruggere la Francia, per pòi conquistare senza
ostacoli la Russia; mobilitare le proprie forze in vista di “ una
definitiva spiegazione con la Francia, ” premesso che “ la Ger
mania vede, nella distruzione della Francia, solo un mezzo per
permettere al nostro popolo una possibilità di espansione in al
tri luoghi. ”
L a Francia preferì chiudere gli occhi, quando la Germania,
con la sua politica chiaramente ispirata aH’antiginevrismo e all’anti
democratismo, le gettò ai piedi il guanto di sfida del revisionismo.
Se la Francia, chiuse gli occhi, fu per non doverlo raccogliere, e
ancora, se la Francia non lo raccolse, fu perché non si sentiva del
tutto sicura dell’appoggio inglese.
L a guerra mondiale aveva fatto pericolosamente scricchiolare le
giunture dell’impero britannico; per l’Inghilterra, il bolscevismo
era molto di più la somma delle tendenze sovvertitrici dei popoli
di colore, che non il compendio del movimento di rivolta prole
tario e socialista; per Londra, il bolscevismo costituiva soprattutto
un problema di politica estera e di predominio mondiale, e assai
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di essere una bagatella, della quale, col pretesto dello zelo antibol
scevico, non occorreva darsi briga alcuna.
L ’Italia aveva più volte mandato a monte il gioco della Francia;
al pari dell’Inghilterra, a più riprese aveva aiutato la Germania a
tirar fuori il collo dal cappio quando già la Francia si accingeva a
stringerlo. Come poteva Barthou placarla, sottraendola al campo
revisionista? La situazione era abbastanza propizia: in conseguenza
del riavvicinamento franco-sovietico, anche la Turchia e il blocco
balcanico erano attratti da Parigi; se dunque Mussolini non s’ac
cordava con la Francia, lo si sarebbe potuto sloggiare dall’intera
sua zona d’influenza in Asia Minore e nei Balcani. Per l’Italia sa
rebbe diventato difficile opporsi a una Jugoslavia sostenuta alle ^
spalle non solo da Parigi, ma anche da Mosca. Facendo da inter
mediario fra Belgrado e Roma, Barthou avrebbe concesso a Mus
solini quel sollievo, di cui questi aveva bisogno. Perché proprio
in quel torno di tempo Hitler e Mussolini si erano presi per i
capelli.
A lla metà di giugno, i due dittatori s’erano incontrati a Vene
zia; personalmente i due non sentivano nessuna attrazione reci
proca, sembrò tuttavia che sulla strada di Barthou dovesse ergersi
un neonato blocco fascista italo-tedesco. “ Ci siamo incontrati, ”
informò Mussolini, “ per tentare di spazzare le nubi che oscurano
l’orizzonte politico dell’Europa. Si può ben dire, una volta di più,
che la coscienza europea si trova di fronte ad una tremenda alter
nativa. O l’Europa si rivelerà capace di un minimo di compren
sione politica, di collaborazione economica, e di intendimenti so-
ciali, oppure il suo destino è irrevocabilmente segnato. ” L a pace
fascista sarebbe però, sempre secondo Mussolini, una pace virile,
una pace che s’addirebbe ai forti, non già ai deboli. “ N oi non
siamo contro i deboli, ma contro l’ingiustizia. ” Era una minaccia
in chiave revisionistica, rivolta a Parigi.
Ma poco più di un mese dopo, i ponti tra Germania e Italia
erano rotti.
A Venezia, Mussolini aveva chiesto a Hitler il non intervento
in Austria, e si era convinto di averne ottenuta la promessa. Ma
il 25 luglio, con l’appoggio del Terzo Reich, i nazionalsocialisti
austriaci si sollevavano, e Dollfuss veniva assassinato. Il Putsch si
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Capitolo trentesimo
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sive di H itler: “ I modi del signor Hitler, la maniera con cui pub-
blicamente si permette di parlare del paese che io rappresento, mi
esimono dalla necessità di far ricorso alle perifrasi e alle finezze
diplomatiche. ” Il commissario del popolo sovietico aveva sma
scherato con efficace perspicacia il simulato pacifismo tedesco; si
era richiamato al testamento politico di Hitler; aveva svelato co
me nei patti di non aggressione proposti dalla diplomazia tede
sca mancasse una clausola particolare in conformità alla quale
decadessero tutti gli impegni, “ se l’altra parte intraprenda azioni
offensive contro un terzo stato. ” Mostrò che il senso del principio
tedesco dei conflitti localizzati, era che “ ogni stato il quale abbia
concluso con la Germania un patto simile, dovrebbe starsene con
le mani in mano, mentre quella aggredisce un terzo stato” ; in
dicò il nocciolo del proposto patto renano: “ Defraudando Fran
cia e Belgio di certe garanzie previste dal trattato di Locamo,
(Hitler) mira a conservare alla Germania tutti i vantaggi che il
patto stesso era in grado di assicurarle” ; per orecchie inglesi, con
inconfutabile precisione dimostrò l’impossibilità di lottare per
l’organizzazione collettiva della sicurezza senza applicare misure
collettive contro l’infrangimento di impegni internazionali. T ra
tali misure, egli certo non annoverava la capitolazione collettiva
di fronte a un aggressore, e tanto meno un accomodamento col
lettivo, che risultando accettabile o addirittura vantaggioso per
l’aggressore, finisse per premiare l’aggressione; impossibile soste
nere la Società delle Nazioni, chiudendo gli occhi di fronte alle
violazioni dei trattati o limitandosi a proteste verbali, senza dar
mano a efficaci misure in difesa degli impegni internazionali, e
quando non si mettano in atto décisioni, ma al contrario si abitui
l ’aggressore ad ignorare raccomandazioni, moniti, avvertimenti.
Litvinov avvertiva come la disfatta della Società delle Nazioni
costituisse in pari tempo una sconfitta per l’Unione Sovietica, che
vi aveva aderito allo scopo di servirsene come di uno strumento
contro la Germania.
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Capitolo trentunesimo
L ’intervento in Spagna
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Capitolo trentaduesimo
Volontà di guerra
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diplomatico. È vero che Hitler ancora nel suo discorso del maggio
1935 aveva affermato: “ Finché il bolscevismo rimane una faccenda
interna della Russia, non è cosa che ci riguarda” ; è vero che il
memorandum tedesco del 25 maggio dello stesso anno assicura che
non si verificherà mai il caso di un’aggressione tedesca non pro
vocata alla Russia, “ perché la Germania non pensa affatto di as
sumere atteggiamenti aggressivi contro l’Unione Sovietica ” : ma
queste erano manovre diversive di carattere diplomatico, che se da
un lato contraddicevano al testamento politico di Hitler, dall’altro
eran già state accantonate dai discorsi tenuti al Congresso del Par
tito di Norimberga. Il Terzo Reich poteva sussistere solo se, con
la distruzione dell’Unione Sovietica, riusciva a realizzare il proprio
significato, a sfuggire alla bancarotta delle proprie forze, provve
dendo a procurarsene di nuove dalla colonializzazione dello stato
e del popolo sovietico.
Nella sua- storia della rivoluzione francese, R an ke1 osserva, a
proposito della situazione europea verso il 1793, che “ la politica
cercava la pace; le universali antitesi aprivano la prospettiva della
guerra.” D a un pezzo l’Europa attuale s’è lasciata alle spalle que
sto stadio: non solo le universali antitesi aprono la prospettiva
della guerra, ma anche la politica ha già cessato di cercare la pace.
L a “ guerra ideologica ” europea, la guerra della grande borghesia
internazionale contro operai, contadini e piccoli borghesi; la guerra
del fascismo contro liberalismo, fronte popolare e bolscevismo; la
guerra della coalizione europea, capeggiata dalla Germania contro
l’Unione Sovietica, sta nella logica delle cose, e gli uomini sono
ormai propensi a obbedire a questa logica. Lenin è il simbolo di
quel momento storico in cui la guerra imperialistica si cangiò in
generalizzata guerra civile; allora la Russia riuscì a sottrarsi alla
stretta dei vincitori imperialisti, in quanto scatenò per prima la
guerra civile e la condusse fino alle estreme conseguenze.
Hitler potrebbe essere il simbolo dell’altro momento storico,
in cui la situazione di guerra civile europea torna a sfociare in
guerra imperialistica. Se sarà la Germania la forza motrice di tale
mutazione, sé saprà tenere sotto controllo il nido del bolscevismo
1 L . v. R a n k e , Ursprung der Revolutions'kriege 1791 u n i 1792 [Origine delle
guerre di rivoluzione del 1791 e del 1792], 1 8 7 5 .
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Si tenga presente che queste pagine sono state scritte tra il 1933 e il 1937.
(V. d. T.]
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Conclusione
C a p ito lo tr e n ta q u a ttr e s im o
Il provocatore
Il bilancio che Hitler poteva fare alla fine del '37, gli era
straordinariamente favorevole. Credeva di non dover più temere
la guerra: le armi, con tanta rapidità accumulate, dovevano agire
d ’ora in poi come virtù magiche capaci di fargli cadere in grembo
i successi politici. S’avvicinava l’ora della revanche per il 1918;
H itler aveva “ democratizzato” l’idea pantedesca, ne aveva fatto
un’istanza delle masse. Solo non bisognava più ripetere, era chiaro,
gli errori commessi negli anni ’i4-’i8. Distrutti erano sindacati e
partiti che avrebbero potuto tirare un’altra “ pugnalata alla schie
n a ” alla Germania; la mobilitazione psicologica delle masse,
nessuna forza al mondo poteva più stornarla, il piano Schlieffen1
doveva tornare agli onori nella sua forma originaria: forse esisteva
anche una possibilità di evitare la guerra su due fronti; l’economia
d i guerra poteva essere predisposta fin nei minimi particolari;
ciò che nel 1918 non era riuscito, doveva ora andare a segno.
Ormai Hitler si sentiva sicuro non solo della guerra, ma anche
della vittoria.
L ’andamento della guerra civile spagnola ne rafforzò la con
fidenza in se stesso e lo incoraggiò alle imprese più temerarie.
E gli ascrisse i successi colti dal fascista Franco all’aiuto della Ger
mania e previde che in Spagna il fascismo l’avrebbe spuntata sulle
democrazie: e tanto più conscio ne era, dal momento che Inghil
terra e Francia vergognosamente avevano piantato in asso il go
verno repubblicano democratico spagnolo.
Ambedue i dittatori, Mussolini e Hitler, in terra spagnola ave
vano mietuto allori a buon mercato; la loro guerra di Spagna l’a
vevano progettata quale “ guerra di prova, ” nel corso della quale
1 II piano Schlieffen, cosi chiamato dal nome del generale che lo elaborò, preve
deva l’invasione della Francia attraverso il Belgio e l’Olanda. [N. d. T .]
4M
C O N C L U S IO N E
3 Un caso grottesco si verificò ancora nel 1939 davanti al Tribunale del popolo,
dove certo dottor Joseph Drexel fu accusato non solo di “ preparazione all’alto tradi
mento, ” ma anche di tradimento vero e proprio per aver diffuso notizie su operazioni
compiute da soldati tedéschi in Ispagna. Un esperto nominato dalla Wehrmacht contestò-
nella sua perizia che di soldati tedeschi in Spagna ve n ’erano effettivamente, per cui
asserzioni in tal senso non potevano essere considerate “ propalazione di segreti o tra
dimento. ” L ’accusa di tradimento fu perciò lasciata cadere (1946).
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IL PRO VO CATO RE
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IL PROVOCATORE
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Capitolo trentacinquesimo
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IL PA T TO T E D E S C O - S O V IE T IC O
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Capitolo trentaseiesimo
Genocidio
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G E N O C ID IO
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G E N O C ID IO
* L a corte d ’assise di Wiesbaden mandò assolti nel febbraio 1952 per “ insufficienza
di prove ” dall’accusa di concorso in omicidio i consiglieri ministeriali responsabili del
provvedimento (1952).
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Capitolo trentasettesimo
Guerra e sfacelo
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CONCLUSIONE
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G U ER RA E SFACELO
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C O N C L U S IO N E
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GUERRA E SFACELO
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»
CONCLUSIONE
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GUERRA E SFACELO
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C O N C L U S IO N E
Già il Putsch di Kapp del '20 era andato a vuoto di fronte a uno
sciopero di massa promosso dai sindacati.
L a rivolta del 20 luglio 1944 non trovò eco alcuna tra il popolo
tedesco; perfino gran parte dell’esercito: ufficiali inferiori e truppa
si mostrarono indifferenti; la popolazione civile non mosse un
dito. Questa, negli anni passati, aveva approvato la dittatura; era
entusiasta di Hitler, finché questi vinceva; aveva guardato storto
i detenuti dei campi di concentramento e i marcati con la stella
gialla, che il mattino dopo i massicci bombardamenti spazzavano
le macerie per le vie.
L a mancanza di rispondenza rese incerti i congiurati cui già
l’aver dovuto infrangere il giuramento aveva fatto venire amari
scrupoli. Non agirono radicalmente, pretesero di arrestare il corso
degli eventi quand’era già avviato. Allorché nessuna fiamma di
impetuoso consentimento sprizzò loro incontro dal popolo, si ri
trassero, fecero getto della loro causa. N on mancarono gli episodi
grotteschi, quello del generale Stiilpnagel a esempio, che a Parigi
aveva fatto prigionieri i comandanti di formazioni SS, i quali non
avevano opposto resistenza: il giorno dopo li rilasciò. Ufficiali e
generali non si resero conto che, giuridicamente, l’alto tradimento
diviene delitto in quanto non vada pienamente a segno: chi si
ferma a mezza strada, attira sul proprio capo la rovina, chi s’ac
contenta di mere partenze e tentativi, va a finire davanti al giudice.
Il futuro tedesco, l’onore del popolo tedesco erano nelle mani
dei congiurati: quelle mani non furono abbastanza forti e abba
stanza abili da attuare il compito loro affidato dalla storia: troppo
infantili, le concezioni di questi uomini, inadeguata la loro espe
rienza politica. E la sconfitta dei congiurati fu in pari tempo la
sconfitta del bene e il trionfo del male.
Il quale male non tardò certo a terribilmente infuriare. Gene
rali, perfino feldmarescialli tedeschi furono trattati come immondi
malfattori, e li si mandò sulla forca in circostanze tali da bollarli
quali rifiuti del genere umano. L a Wehrmacht tutt’intera s’ebbe il
marchio d’infamia, e l’onta superò ogni limite allorché si trovarono
generali pronti a scagliare impietosi l’anatema sui loro compagni
d ’arme cui era mancato il successo.
Facile trovare un profondo significato, nella fine di questa
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GUERRA E SFACELO
«u 1
C O N C L U S IO N E
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GUERRA E SFACELO
Cosi, ancor prima che la guerra fosse alla fine, era stato stabi
lito quale trattamento riservare alla Germania sconfitta e come
ricostruire l’Europa.
Mai s’era offerta alla Germania la possibilità di vincere questa
guerra. A partire dal 1942, ci voleva poco a capirlo, e tuttavia, il
Terzo Reich continuò a combattere: era come se il popolo tedesco
fosse preda di un’ebbrezza d’autodistruzione; esso si batté anche
quando non ebbe quasi metro quadrato di territorio disponibile,
contribuendo cosi, con le proprie mani, a distruggere le vestigia
del passato.
A gli anni della mobilitazione totale, segui il giorno della totale
disfatta, della resa senza condizioni. Quanto il territorio non occu
pato, altrettanta la sovranità lasciata alla Germania. Quel che ogni
tedesco hitleriano si sarebbe rifiutato anche solo di immaginare,
era accaduto: i sovietici erano a Berlino.
Fine
516
P o s c r itto
Questo libro ha un suo destino, una sua storia. Fu scritto fra il 1935 e
il 1936, allorché ero sotto l’immediata impressione dell’orrore e nefandezze
del Terzo Reich: non passava giorno che non mi desse motivo alla collera
e all’indignazione; nessun’altra mia opera era stata sollecitata da emozioni
cosi continue, da tale subbuglio interiore, volontà di lotta, accorata protesta.
A questa s’aggiungeva la vaga sensazione di star camminando sull’orlo d’un
abisso: sapevo, con quel lavoro, di mettere a repentaglio la vita; mi era noto
che la Gestapo mi teneva di continuo gli occhi addosso: bastava che si deci
desse a ima perquisizione, e mi trovasse in casa il manoscritto, perché la
mia sorte fosse segnata. Squillava il campanello, e già mi preparavo alla
catastrofe: dal '33 al '37 vissi in perenne attesa della mia sorte.
Esistevano tre copie del manoscritto, di cui una deposta nei sotterranei
d’una banca di Norimberga; quando nel 1937 fui arrestato, per una di
sgraziata serie di circostanze, essa fini nelle mani della Gestapo. La seconda,
sulla quale lavoravo agli ultimi colpi di lima, la tenevo nascosta in casa e ogni
sera la infilavo sopra l’armadio in camera mia. Quando gli sgherri della
Gestapo m’irruppero in casa, mi trovavo ancora a letto; riuscii però a far
capire a mia moglie di nascondere per il momento il manoscrtito fra la
biancheria sporca. Portato che fui alla Albrecht-Strasse, cinque sbirri co
minciarono a perquisire l’appartamento sul davanti, mentre in cucina mio
figlio s’affrettava a dare alle fiamme lo scritto; più di cinquecento pagine
finirono cosi distrutte; gli intrusi della Gestapo non fecero caso al fumo
che invadeva l’abitazione. Più tardi, lo stesso giudice istruttore complimentò
il ragazzo per il suo sangue freddo.
Il terzo esemplare l’avevo consegnato a un amico, funzionario di do
gana, con l’incarico di farlo pervenire all’estero; ed effettivamente lo scritto
arrivò a Salisburgo, donde avrebbe dovuto essere trasmesso a Zurigo, all’edi
tore Oprecht; ciò non avvenne, e un altro funzionario di dogana lo riportò
personalmente a Monaco. Qui capitò in mano all’illustre biologo dottor Mer-
kenschlager, che lo lesse, in occasione d’una sua visita, al fratello, borgo
mastro di un villaggio presso Norimberga, nella cui fattoria il manoscritto
fu nascosto in un bidone di latte vuoto. Dopo il mio arresto, però, la Ge
stapo ebbe sentore della cosa, e la conseguenza fu ima perquisizione operata
517
P O S C R IT T O
alla cascina del borgomastro; risultato nullo, perché gli agenti trascurarono
il bidone vuoto. Ma, andatisene quelli, il fratello del dottor Merkenschlager
diede alle fiamme i fogli.
Di tali episodi io ero rimasto all’oscuro, né sospettavo che la seconda
copia fosse tornata inGermania: dell’odissea del manoscritto venni a cono
scenza solo nel corso del procedimento a mio carico, quando il borgomastro,
chiamato a testimoniare davanti al Tribunale del popolo riferì come, du
rante la lettura, suo fratello avesse dato segni di inquietudine, come fosse
apparso scosso e quale fine il manoscritto avesse fatto. Terminata la depo
sizione, il presidente del tribunale, dottor Thirack, futuro ministro di grazia
e giustizia del Terzo Reich, mi si rivolse con aria di trionfo, dicendo:
“ E cosi il suo lurido p a m p h let è andato in fumo su per la cappa del ca
mino d’una fattoria tedesca. ”
Una copia dell’opera era pur sempre in mano alla Gestapo, e costituì
al processo il principale capo d’accusa. Le abbondanti citazioni del testo
furono i colpi tiratimi addosso e che dovevano mettermi a terra. Durante
gli anni della prigionia, un pensiero mi tormentò: che della mia opera non
restasse traccia.
Ma dopo il ’45, avvenne un miracolo: un giorno, un funzionario di
polizia venne da me, portandomi l’unica copia ancora esistente del mano
scritto. La Gestapo l’aveva conservata con ordine e cura, chiusa in una ro
busta cartella; numerose sottolineature a matita rossa davano a vedere quali
erano i passi che avevano mosso a sdegno il commissario di polizia prima e
il giudice poi. E, mi fu detto, il manoscritto era stato sottoposto anche a
Hitler e Goebbels.
Era mia intenzione quella di dare finalmente alle stampe l’opera; la sot
toposi a un editore berlinese, che l’accettò: il lettore che l’ebbe in esame,
era lo storico della letteratura Paul Wiegler, il quale nel suo parere con
cludeva essere il libro senz’altro da pubblicare: “ Ritengo opportuno ripe
tere, ” affermava il Wiegler nella sua nota, “ che ho la netta sensazione
trattarsi di opera cospicua per pensiero e stile la quale, stante la sua struttura,
può pretendere al valore di prodotto letterario durevole.”
A questo punto, ci fu chi sollevò obiezioni, si volle che le numerose cita
zioni letterali di pubblicazioni e discorsi nazisti, sui quali avevo fondato
la mia analisi, potevano essere fraintese, potevano magari offrir modo ai na
zisti di rileggere il loro Fiihrer. L ’editore mi propose di apportare sostan
ziali varianti, ma io rifiutai, e ritirai il manoscritto.
Al manoscritto, nulla è stato aggiunto; ma ho apportato solo delle can
cellature, intese a eliminare ridondanze, ripetizioni, lungaggini, digressioni,
senza però alterare contenuto e carattere.
Ex generali della Wehrmacht e uomini dal passato di un Hans Grimm,
hanno intanto, a loro discolpa, diffuso l’opinione che tra l’Hitler di prima
e quello di dopo il 1938 sia da fare una netta distinzione. L ’Hitler ante
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P O S C R IT T O
1938 sarebbbe stato un grande duce nazionale, il quale solo piu tardi avrebbe
imbroccato la strada del crimine.
La presente opera, basata unicamente su fatti succedutisi prima del '37,
non solo prova che fin dal primo momento il Terzo Reich non ha fatto mi
stero della sua sostanza criminale, ma mostra anche quanto fosse agevole
rendersene conto a tempo debito. Soprattutto il 30 giugno 1934, la cosa
divenne manifesta a tutti: a partire da quel giorno, chi aveva occhi per
vedere, doveva sapere chi fosse Hitler.
L ’ultima parte dell’opera, scritta in gran parte nel 1948, ha naturalmente
carattere ben diverso dalle pagine scritte verso il 1936. Il Terzo Reich, odioso
oggetto delle passioni di allora, era crollato; i suoi capi, i carnefici del popolo
tedesco, messi in condizione di non nuocere, morti, fuggiti, incarcerati. Non
era più necessario combattere strenuamente, si poteva ormai contemplare
con calma la realtà, piu non era indispensabile dare il proprio contributo
al crollo di quella diabolica costruzione politica; il crepuscolo s’era ormai
compiuto, ci si poteva limitare a registrarlo nelle sue fasi.
Questo, e non altro, è lo scopo della “ conclusione, ” intesa a dare com
piutezza a un’opera che, se nella prima parte è documentò di un’epoca, nella
“ conclusione ” è uno schizzo, un sommario panorama del Terzo Reich nel
suo complesso, e vuole mostrare in qual forma andrebbero disegnati,il ciclo
e la catastrofe del Terzo Reich.
519
Indice
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Parte terza: verso la guerra
397 XXVIII. Politica estera aggressiva
4 10XXIX. La contromanovra francese
423 XX X. Capitolazione collettiva di fronte all’aggressore
433 XXXI. L ’intervento in Spagna
440 XXXII. Volontà di guerra
444 XXXIII. Panorama del Terzo Reich
Conclusione
46 1XXXIV. Il provocatore
483 XXXV. Il patto di non aggressione tedesco-sovietico
491 XXXVI. Genocidio
500 XXXVII. Guerra e sfacelo
Poscritto
I fatti e le idee
12 C. Wright Mills, La élite del potere, pagg. 436, rilegato in tutta tela,
L. 3.000
13 Ernesto de Martino, Sud e magia, pagg. 208, 16 tav. f. t., rilegato in tut
ta tela, L. 2.000
521
14 Theodor W. Adorno, Dissonanze, a cura di Giacomo Manzoni, pagg.
XXII-228, rilegato in tutta tela, L. 1.500
15 La città futura, Saggi sulla figura e il pensiero di Antonio Gramsci, a
cura di A. Caracciolo e G. Scalia, pagg. 392, rilegato in tutta tela L. 3.000
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