Nonostante i travagliati esordi, la Repubblica nata dalla Costituente di Weimar
rappresentò nell’Europa degli anni ’20 un modello di democrazia parlamentare aperta
e avanzata. Molti erano tuttavia i fattori che contribuirono a indebolire il sistema repubblicano. Un evidente motivo di debolezza stava nella accentuata frammentazione dei gruppi politici, che rendeva instabili maggioranze e governi. Per un decennio la Spd rimase il partito più forte, ma dovette misurarsi con le formazioni del centro (cattolici e liberali) e della destra conservatrice. Queste ultime non nascondevano la loro diffidenza nei confronti delle istituzioni repubblicane, indissolubilmente associate all’umiliazione di Versailles e a quella autentica tragedia nazionale che fu costituita dal problema delle “riparazioni”, i risarcimenti che il paese sconfitto era tenuto a pagare ai vincitori. Nella primavera del 1921 le potenze alleate stabilirono l’ammontare dei risarcimenti dovuti dalla Germania nella cifra, spaventosa per quei tempi, di 132 miliardi di marchi, ancorata al valore dell’oro, da pagare in 42 rate annuali. L’annuncio dell’entità delle riparazioni suscitò in tutto il paese un’ondata di proteste. I gruppi dell’estrema destra nazionalista fra i quali si stava mettendo in luce il piccolo Partito nazionalsocialista guidato da Adolf Hitler scatenarono un’offensiva terroristica contro la classe dirigente repubblicana, accusata di tradimento per essersi piegata alle imposizioni dei vincitori. Fra il ’21 e il ’22 caddero vittime di attentati il ministro delle Finanze Matthias Erzberger, leader del Centro cattolico, colpevole di aver firmato nel novembre ’18 l’armistizio in rappresentanza del governo provvisorio, e il ministro degli Esteri, il democratico Walther Rathenau, ebreo, grande imprenditore, già alla guida della mobilitazione industriale durante la guerra, che si stava adoperando per raggiungere un accordo con le potenze vincitrici. I governi di coalizione che si succedettero tra il ’21 e il ’23 si impegnarono comunque a pagare le prime rate delle riparazioni ma, per non rendersi ulteriormente impopolari, evitarono interventi troppo drastici sulle tasse e sulla spesa pubblica: furono quindi costretti ad aumentare la stampa di carta moneta. Il risultato fu che il valore del marco precipitò, accelerando il processo inflazionistico già in atto. Nel gennaio 1923 la Francia e il Belgio, traendo pretesto dalla mancata consegna di alcuni materiali da parte del governo di Berlino, inviarono truppe nel bacino della Ruhr, centro della produzione carbonifera e dell’industria siderurgica tedesca. Impossibilitato a reagire militarmente, il governo incoraggiò la resistenza passiva della popolazione: imprenditori e operai della Ruhr abbandonarono le fabbriche, rifiutando ogni collaborazione con gli occupanti. Per le già dissestate finanze tedesche l’occupazione della Ruhr rappresentò il definitivo tracollo, poiché privava il paese di una parte delle sue risorse produttive e costringeva il governo a ingenti spese per finanziare la resistenza passiva. Il marco, abbandonato al suo destino, precipitò a livelli impensabili e il suo potere d’acquisto fu praticamente annullato. Le conseguenze di questa polverizzazione della moneta furono sconvolgenti. Lo Stato stampava banconote in quantità sempre maggiore e con valore nominale sempre più alto: un milione, un miliardo, cento miliardi e così via. Ma chi riceveva in pagamento denaro svalutato si affrettava a liberarsene in cambio di qualsiasi cosa, aumentando così la velocità di circolazione della moneta e alimentando ulteriormente l’inflazione. Chi possedeva risparmi in denaro o in titoli di Stato perse tutto. Chi viveva del proprio stipendio dovette affrontare grossi sacrifici: le retribuzioni venivano infatti continuamente adeguate ma mai abbastanza da poter tener dietro al ritmo dell’inflazione. Furono invece avvantaggiati i possessori di beni reali (agricoltori, industriali, commercianti) e tutti coloro che avevano contratto debiti. Nel momento più drammatico della crisi la classe dirigente trovò però la forza di reagire. Nell'agosto 1923 si formò un governo di “grande coalizione” presieduto da Gustav Stresemann, leader del Partito tedesco popolare (considerato il portavoce della grande industria). In settembre, tra le proteste dell’estrema destra, il governo ordinò la fine della resistenza passiva nella Ruhr e riallacciò i contatti con la Francia. Subito dopo decretò lo stato di emergenza e se ne servì per reprimere i focolai insurrezionali diffusi nel paese e per fronteggiare la ribellione della destra nazionalista che aveva il suo centro in Baviera. A Monaco, nella notte fra l’8 e il 9 novembre 1923, alcune migliaia di aderenti al Partito nazionalsocialista guidati da Adolf Hitler cercarono di organizzare un’insurrezione contro il governo centrale. Ma il complotto fallì e fu rapidamente represso. Hitler fu condannato a cinque anni di carcere e la sua carriera politica parve precocemente conclusa. Ristabilita l’autorità dello Stato, il governo cercò di porre rimedio al caos economico. Nell’ottobre ’23 era stata emessa una nuova moneta, il cosiddetto Rentenmark (“marco di rendita”), il cui valore era garantito dal patrimonio agricolo e industriale della Germania: lo Stato tedesco si comportava cioè come un privato che impegni tutti i suoi averi per garantirsi un credito. Nel contempo veniva avviata una politica rigorosamente deflazionistica che costò ai tedeschi ulteriori sacrifici, ma consentì un graduale ritorno alla normalità monetaria. Una vera stabilizzazione sarebbe stata tuttavia impossibile senza un accordo con i vincitori sulle riparazioni. L’accordo fu trovato, all’inizio del 1924, sulla base di un piano elaborato da un finanziere e uomo politico statunitense, Charles G. Dawes. Il piano Dawes si basava sull’idea che la Germania avrebbe potuto far fronte ai suoi impegni solo se fosse stata messa in grado di rilanciare la sua economia: prevedeva quindi che l’entità delle rate da pagare fosse graduata nel tempo e che la finanza internazionale, sovvenzionasse lo Stato tedesco con una serie di prestiti a lunga scadenza. La Germania rientrava così in possesso della Ruhr, vedeva alleviato l’onere dei suoi debiti e otteneva un massiccio aiuto per la sua ripresa economica, che fu in effetti pronta e consistente: in poco tempo l’industria tedesca tornò ai primi posti nel mondo per volume di produzione. Più lenta e difficile fu la stabilizzazione politica. La grande coalizione guidata da Stresemann si ruppe già alla fine del ’23. Nelle elezioni presidenziali del marzo 1925, il cattolico Wilhelm Marx, sostenuto da tutti i partiti democratici ma non dai comunisti, fu battuto di stretta misura dal vecchio maresciallo Hindenburg, già capo dell’esercito e simbolo vivente del passato imperiale. Negli anni successivi, tuttavia, grazie anche alla ripresa produttiva, la situazione politica si andò normalizzando. I partiti di centro e di centro-destra mantennero il potere fino al 1928, quando i socialdemocratici riassunsero la guida del governo. Stresemann conservò ininterrottamente fino alla sua morte, nel 1929, la carica di ministro degli Esteri, assicurando così la continuità di quella linea di collaborazione con le potenze vincitrici che costituì il cardine principale dell’equilibrio europeo nella seconda metà degli anni ’20.
Le finanze occulte del Führer: Dal trattato di Versailles all’ascesa di Hitler. Le responsabilità di politici, banchieri e imprenditori americani nel riarmo della Germania