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FALSE FLAG
SOTTO FALSA
BANDIERA
STRATEGIA DELLA
TENSIONE
E TERRORISMO DI
STATO
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isbn 9788865881439
FALSARE LA STORIA
DALL’USS MAINE A
PEARL HARBOR
«La storia era un palinsesto che poteva essere raschiato e
riscritto tutte le volte che si voleva».
GEORGE ORWELL, 1984
«I vasti interessi bancari erano profondamente a favore della
[prima] guerra mondiale, viste le ampie opportunità di
raggiungere grossi profitti».
WILLIAM JENNINGS BRYAN, 41° SEGRETARIO DI STATO
USA
«Non fu una vittoria, perché mancarono i nemici».
OSWALD SPENGLER, 1933
L’idea dell’incendio
«… era nata nelle menti di Goebbels e di Göring. Hans
Gisevius, a quel tempo funzionario del ministero prussiano
degli Interni, ha testimoniato a Norimberga che “fu
Goebbels a pensare per primo a dar fuoco al Reichstag”, e in
una sua testimonianza giurata Rudolf Diels, capo della
Gestapo, ha aggiunto che “Göring sapeva esattamente come
l’incendio doveva essere appiccato”, e che a lui aveva
ordinato “di preparare, prima dell’incendio, una lista di
persone da arrestare subito dopo di esso”. Il generale Franz
Halder, capo dello Stato maggiore tedesco durante la prima
parte della seconda guerra mondiale, ricordò, a Norimberga,
come in un’occasione Göring si fosse vantato del suo
atto»33.
IL DOSSIER KNOSPE
Ci vollero trent’anni per assistere a una prima
indagine accurata sull’incendio del Reichstag: la
pubblicazione avvenne nel 1960 per opera del
giornalista Fritz Tobias34 che, grazie ad analisi
accurate, smascherò non solo le numerose
falsificazioni della propaganda nazista, ma anche
la contropropaganda inglese volta ad accusare, con
altrettanta miopia, i nazisti dell’incendio. Willi
Münzenberg, dirigente del KPD (il Partito
comunista tedesco), aveva infatti guidato il contro-
processo a Londra in cui era riuscito a far
attribuire la colpa per l’incendio del Reichstag ai
nazisti. Tra il 1933 e il 1934 il Münzenberg Trust
aveva pubblicato due libri di grande successo: Il
libro nero dell’incendio del Reichstag e il terrore
hitleriano e il suo seguito, Il secondo libro nero
dell’incendio del Reichstag. I due libri furono
accettati dagli storici fino alle ricerche di Tobias,
che dimostravano le numerose imprecisioni
contenute nei due testi.
Arriviamo così al 196935:
«Da tempo la Commissione permanente di studi sulla
seconda guerra mondiale sta svolgendo indagini sulle cause
e le conseguenze dell’incendio del Reichstag: lo jugoslavo
Eduard Caliç ne è il segretario, il tedesco Willi Brandt, il
francese Andrè Malraux e il lussemburghese Pièrre
Gregoire ne sono i presidenti. È Caliç a ricevere una
telefonata da un certo Franz Knospe che asserisce di
conoscere tutta la verità sul “caso Reichstag”. […] Nasce
così il “Dossier Knospe”. Durante ulteriori colloqui, e
secondo il memoriale redatto dallo stesso Knospe,
l’incendio è stato il tipico esempio dei metodi di
intimidazione nazista. Il processo, che finisce con la
condanna a morte di van der Lubbe, sarebbe stato
organizzato ad arte da Goebbels, da Göring e dallo stesso
presidente della Corte, giudice Bunger. […] Il “Dossier
Knospe” rivela inoltre l’esistenza di un altro testimone
anonimo, uno studente che avrebbe sentito infrangersi i vetri
della finestra al primo piano del palazzo. […] Sempre
secondo Knospe esisterebbero altre persone, fuggite
all’estero, che sarebbero state testimoni oculari dei fatti
accaduti nei saloni del Reichstag, come ad esempio l’ex SA
Heinz Jurgens, il quale afferma che sarebbe stato Goebbels
in persona a introdurre van der Lubbe nella Sala Bismarck,
o come Ernst Kruse, ex cameriere personale di Roehm, che
imputa l’attentato alle Camicie brune. Per avere
l’opportunità di arrestare Ernst Torgler, la persona che più di
ogni altra doveva essere “allontanata”, saltano fuori le
testimonianze di due ex appartenenti al Partito comunista
passati nelle file dell’NSADP, i quali asseriscono che il
primo deputato della Sinistra si sarebbe attardato molto oltre
il normale orario all’interno del Parlamento. Le tre
misteriose persone con le quali Torgler sarebbe stato visto
dal già citato cameriere Elmer vengono ben presto
identificate: sono Wassili Taneff, Georgj Dimitrov e Blagoj
Popoff, di nazionalità bulgara ed esponenti di primo piano
dell’Internazionale comunista clandestina, in particolare
Dimitrov»36.
FALSI ATTENTATI IN
PIENA GUERRA
FREDDA: DALL’EGITTO
A CUBA, DA JFK A
MORO
«Tutto quello che occorre [per esercitare il controllo] è che
esista uno stato di guerra».
GEORGE ORWELL, 1984
«La stragrande maggioranza dei rapporti, se fossero stati
usati, avrebbero raccontato un’altra storia: che non c’era
stato nessun attacco. Perciò si tentò deliberatamente di
dimostrare che l’attacco era avvenuto […] ci si impegnò
attivamente per far sì che le informazioni di SigInt si
accordassero con ciò che si asseriva fosse accaduto la sera
del 4 agosto nel golfo del Tonchino».
NSA, NOVEMBRE 2005
«Se il cedimento verso il comunismo non viene arrestato, le
conseguenze saranno disastrose per tutto l’Occidente».
HENRY KISSINGER
«Sono soltanto un burattino».
LEE HARVEY OSWALD
E ancora:
«Sarebbe possibile organizzare un incidente del tipo
“Remember the Maine”, che potrebbe assumere varie
forme: potremmo far saltare una nave USA nella baia di
Guantanamo e dare la colpa a Cuba. […] Far saltare un
deposito di munizioni dentro la base [di Guantanamo];
appiccare incendi; incendiare un aereo in una base aerea;
lanciare proiettili di mortaio dall’esterno di una base verso
l’interno. Produrre qualche danno alle installazioni. […] La
campagna terroristica potrebbe essere diretta contro i
profughi cubani che cercano rifugio negli Stati Uniti.
Potremmo affondare un’imbarcazione (vera o contraffatta)
carica di cubani diretti in Florida. Potremmo organizzare
attentati contro la vita di rifugiati cubani negli Stati Uniti
arrivando a causare feriti, così da avere dei casi a cui dare
ampia pubblicità»40.
PIAZZA FONTANA
Era considerata la fantasia più folle dei dietrologi.
C’era chi ci rideva sopra, negli anni Settanta,
denigrando con ferocia i cosiddetti “complottisti”,
ossia coloro che avanzavano l’ipotesi di un
coinvolgimento dei servizi deviati nelle stragi di
quel periodo. Sembrava soprattutto impossibile,
allora come oggi, che il servizio segreto di un
Paese alleato potesse avere un ruolo attivo dietro
le quinte nelle stragi. Solo a distanza di anni si
sarebbe in parte svelata la funzione della CIA e dei
servizi deviati nelle stragi che sconvolsero l’Italia.
La stessa Gladio, in Italia, fu organizzata in
ambito NATO e venne parzialmente finanziata
dalla CIA durante la guerra fredda allo scopo di
contrastare l’influenza politica e militare dei Paesi
comunisti con forme di guerra psicologica e l’uso
di false flag.
La strategia della tensione e l’ingerenza
americana nella politica italiana per arginare il
pericolo del comunismo avrebbero poi avuto una
data simbolo nel 12 dicembre 1969, giorno della
strage della Banca dell’Agricoltura nota come “la
strage di piazza Fontana”. Sette minuti dopo anche
a Roma scoppiò una bomba – che provocò il
ferimento di quattordici persone – nella sede della
Banca Nazionale del Lavoro, a cui seguirono altre
due esplosioni a piazza Venezia.
Tali attentati sarebbero stati da subito
volutamente affiancati alla pista anarchica, con il
fermo dell’anarchico Giuseppe Pinelli, dipendente
delle Ferrovie dello Stato, morto poi in circostanze
mai ben chiarite con un volo dalla finestra della
Questura di Milano il 15 dicembre, dopo tre giorni
di incessanti interrogatori, e del ballerino Pietro
Valpreda. Si voleva cioè addossare la colpa della
strage agli anarchici, in modo da creare un clima
di terrore e tensione.
Come avrebbe ammesso l’ex terrorista
Vincenzo Vinciguerra, membro di Avanguardia
Nazionale e di Ordine Nuovo, tutte le stragi
impunite che avrebbero insanguinato l’Italia a
partire dal 1969
«… appartengono a una sola matrice organizzativa. Le
direttive partono da apparati inseriti nelle istituzioni e in
particolare da una struttura parallela e segreta del ministero
dell’Interno più che dai Carabinieri»8.
COLPI DI STATO
ETERODIRETTI. LA CIA
IN AMERICA LATINA
«Se vuoi un’immagine del futuro, immagina uno stivale che
calpesta un volto umano – per sempre».
GEORGE ORWELL, 1984
«È possibile che ci annientino, ma il domani apparterrà al
popolo, apparterrà ai lavoratori. L’umanità avanza verso la
conquista di una vita migliore».
SALVADOR ALLENDE, UNDICI SETTEMBRE 1973
«L’America latina era l’area più pericolosa del mondo».
ROBERT KENNEDY
«Quello che mi interessa è ciò che si può fare con il potere».
HENRY KISSINGER
UN SICARIO DELL’ECONOMIA
Come spiega Perkins, lo scopo di un “sicario
dell’economia” (SDE) è quello di giustificare,
cifre alla mano, grossi finanziamenti a Paesi
stranieri volti alla realizzazione di progetti di
ingegneria e di lavori pubblici, i cui appalti
vengono pilotati e fatti vincere a multinazionali
legate al governo statunitense.
Lo scopo ultimo del sicario, però, non è quello
di arricchire le grosse imprese americane e i
politici collusi con esse (come la famiglia Bush,
Cheney, Rumsfeld, Rice ecc.), ma quello di
mandare sull’orlo della bancarotta queste nazioni
proprio attraverso l’eccessivo indebitamento; in tal
modo si avvia un meccanismo di indebitamento e
di dipendenza economica tra questi Paesi e gli
Stati Uniti e l’FMI, che nel tempo assume i
contorni del ricatto mafioso: ogni qualvolta
Washington ha bisogno di “favori”, come
l’apertura di basi militari sul loro territorio o il
voto all’ONU, i Paesi indebitati non possono che
accondiscendere alla volontà del creditore. I leader
che soccombono a questo meccanismo «restano
intrappolati in una trama di debiti che ne
garantisce la fedeltà».
I livelli insostenibili di indebitamento, non
potendo essere saldati, conducono a forme di
ricatto da parte dei Paesi creditori, che possono
assumere, come abbiamo visto, diverse forme.
Quando però i sicari falliscono l’obiettivo,
quando cioè non riescono a piegare un Paese alla
loro cupidigia – in questo senso Perkins porta
come esempi Panama, Ecuador e Iraq –,
subentrano gli sciacalli della CIA, che hanno il
compito di sopprimere fisicamente l’obiettivo
considerato “scomodo” dai gruppi di potere.
L’eliminazione fisica viene fatta passare, per lo
più, come “incidente” o suicidio. L’elenco degli
statisti, dei politici o dei pensatori eliminati dagli
sciacalli della CIA, secondo Perkins e altri
ricercatori, è lungo e vi figurano nomi come
Salvador Allende, Omar Torrijos, Jaime Roldós,
Olof Palme (di cui abbiamo ampiamente parlato in
Governo globale), Lech Kaczynski, Jörg Haider,
Enrico Mattei, Roberto Calvi ecc.
Altrettanto lunga è la lista dei golpe pianificati
o diretti dietro le quinte da Washington.
SALVADOR ALLENDE VA ELIMINATO
«L’America latina è l’area più pericolosa del
mondo», sosteneva Bob Kennedy, che avrebbe
concentrato buona parte delle operazioni della CIA
nell’area incriminata.
Il 15 agosto 1962 il direttore della CIA
consegnò al presidente Kennedy
«… la nuova dottrina della CIA sulla repressione delle
insurrezioni, insieme a un secondo documento in cui erano
esposte per sommi capi le operazioni clandestine in corso in
undici nazioni: Vietnam, Laos e Thailandia; Iran e Pakistan;
nonché Bolivia, Colombia, Repubblica Dominicana,
Ecuador, Guatemala e Venezuela»3.
LA GUERRA DI QUARTA
GENERAZIONE: DALLA
SERBIA ALL’UCRAINA
«Il potere non è un mezzo, è un fine. Non si stabilisce una
dittatura nell’intento di salvaguardare una rivoluzione; ma si
fa una rivoluzione nell’intento di stabilire una dittatura. Il fine
della persecuzione è la persecuzione. Il fine della tortura è la
tortura. Il fine del potere è il potere».
GEORGE ORWELL, 1984
«L’Ottantanove, per noi, non è che un “arido vero”, messia
scoronato nel fango, di cui sognare ancora».
GUIDO CERONETTI
«L’America si schiererà con gli alleati della libertà a sostegno
dei movimenti democratici in Medio Oriente e oltre, con
l’obiettivo ultimo di terminare la tirannia nel nostro mondo».
GEORGE W. BUSH, 2 FEBBRAIO 2005
«La primavera araba è buona per Israele».
BERNARD HENRY LÈVY
OPERAZIONE HORSESHOE
Fino a quel momento le notizie erano infatti
viaggiate a senso unico. Dopo l’impeachment di
Clinton e il timone della NATO passato
all’Europa, con la morte di Milošević si metteva la
parola fine a un conflitto le cui modalità avrebbero
fatto scuola: a partire dalle famigerate “fosse
comuni”, che abbiamo ritrovato anche sul suolo
libico e che sono rispuntate in Siria. Non si è
infatti tenuto conto delle testimonianze che
provenivano dagli stessi comandanti ONU o ex
NATO e mostravano un’altra realtà, poi
testimoniata da Mustafić, ben diversa da quella
sbandierata dai media. Così non sono state prese in
considerazione le testimonianze dirette di
comandanti ONU della zona di Sarajevo, come il
generale britannico sir Michael Rose o il generale
MacKenzie, che sostennero «le pesantissime
responsabilità assunte dai miliziani musulmani
bosniaci nell’assassinio, mediante cecchini e
mortai, di centinaia dei loro compatrioti con
l’unico fine di farne ricadere la responsabilità sui
serbi». Una forma di sacrificio “necessario” per
legittimare la guerra.
Allo stesso modo,
«… il giudice trentino Giovanni Kessler, presente a Pristina
all’inizio dei bombardamenti in veste di
79
vicecapocommissione italiana OCSE in Kosovo, aveva
pubblicamente dichiarato che nessuna strage [e men che
meno genocidio; N.d.A.] era stata fino a quel momento
segnalata».
INGANNARE IL MONDO.
DALL’UNDICI
SETTEMBRE A OGGI
«La guerra è pace».
GEORGE ORWELL, 1984
«Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è una grande crisi».
DAVID ROCKEFELLER, 1994
«Quanta verità può sopportare una società democratica?».
LEIF G.W. PERSSON
«Più una bugia è grossa, più facilmente essa verrà creduta…
se l’opzione di non crederci è sufficientemente dolorosa».
ROBERTO QUAGLIA
L’ERRORE DI SADDAM
Come anticipato, il piano di invasione dell’Iraq era
già stato organizzato a larghe linee dal Pentagono
ben prima dell’Undici settembre. Oltre al petrolio,
infatti, si annoverano altre cause che potrebbero
aver spinto Washington a decidere di rovesciare il
ra‘īs.
Per cominciare, Saddam aveva proposto
all’OPEC63 di abbandonare l’utilizzo del dollaro
per la compravendita del petrolio. Ciò avrebbe
sicuramente comportato, se non il tracollo di
questa moneta – com’è stato addirittura ipotizzato
da alcuni ricercatori – perlomeno la sua
svalutazione. Il dittatore iracheno stava inoltre
trascinando nel suo progetto – come avrebbe fatto
in seguito Gheddafi – i Paesi dell’OPEC
appartenenti all’area del Medio Oriente: Iran,
Kuwait, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi.
Anche la Libia apparteneva dal 1962 all’OPEC
e la decisione di Gheddafi di abbandonare il
dollaro avrebbe condotto alle stesse conseguenze
del progetto di Saddam. Quest’ultimo aveva già
iniziato ad accettare altre valute per la
compravendita del petrolio e aveva dato il via alla
conversione in euro delle sue riserve: ciò per
tutelarsi dall’andamento del dollaro. In caso di
perdita di valore del dollaro, i Paesi membri
dell’OPEC avrebbero ricevuto minori entrate per il
loro petrolio. Così, non appena entrata in vigore la
nuova valuta europea, le riserve irachene
«ammontanti a dieci bilioni di dollari»64 furono
interamente convertite in euro. È facile
immaginare quanto seriamente la decisione del
ra‘īs di accettare pagamenti in euro avrebbe potuto
danneggiare l’economia americana.
Evidentemente la scelta della conversione in
euro era l’ennesimo segnale politico di sfida al
governo Bush, visto da alcuni come una
«punizione alla linea dura delle sanzioni di
Washington»65 e al contempo come un segnale di
incoraggiamento lanciato all’Unione europea per
contrastarle. Charles Recknagel previde che la
scelta politica di Saddam sarebbe però costata
«milioni di euro in mancati guadagni»66 all’Iraq.
Le due mosse irachene puntavano
probabilmente all’ennesimo atto di sfida contro gli
USA per contrastare l’embargo e favorire una
nuova politica europea volta al ridimensionamento
o all’abolizione delle sanzioni. Ovvio che il
dittatore andasse fermato velocemente, prima che
anche gli altri Paesi si unissero nell’impresa:
«L’economia statunitense è strettamente legata al
ruolo del dollaro come moneta di interscambio
internazionale e nel caso questo ruolo venisse
meno all’improvviso l’intero suo funzionamento
andrebbe in crisi»67.
Non era un caso se il piano energetico di
sviluppo petrolifero varato dall’allora
vicepresidente Dick Cheney tendeva a favorire i
Paesi che non appartenevano all’OPEC, ma per
attuare il disegno era necessario
«il controllo del territorio afghano, insostituibile via per il
trasporto del greggio. Dopo la rottura delle trattative con il
governo dei talebani, portate avanti ignorando le sanzioni
dell’ONU e la tragedia dell’Undici settembre, bin Laden
veniva designato come il nemico più pericoloso e iniziava
l’attacco contro l’Afghanistan»68.
LA TRAPPOLA AFGHANA
Se la tragedia dell’Undici settembre si tradusse in
una “opportunità” per gli affari privati della Casa
Bianca, gli interessi degli USA e dell’URSS in
Medio Oriente si erano concentrati, molto tempo
prima dell’Iraq, sull’Afghanistan. Verso la fine
degli anni Settanta entrambe le superpotenze,
infatti, ambivano a inglobare il Paese nella propria
sfera di influenza, anche se in modi diversi:
l’Unione Sovietica finanziava il regime
filosovietico del PDPA, mentre gli Stati Uniti
finanziavano invece i ribelli musulmani. Il
controllo della regione era infatti cruciale a livello
geostrategico, come spiegava Elie Krakowski, già
assistente speciale del vicesegretario alla Difesa
per l’International Security Policy:
«L’Afghanistan deve la sua importanza al fatto di essere
collocato alla confluenza delle principali vie di
comunicazione. Come terra di frontiera che dà la possibilità
di controllare le grandi aree dell’interno e lo sbocco al mare,
l’Afghanistan è il punto di incontro tra forze conflittuali più
grandi lui. […] Con il crollo dell’Unione Sovietica, è
diventato un importante sbocco potenziale verso l’oceano
per i nuovi Stati dell’Asia centrale, che sono privi di accesso
al mare. La presenza in quell’area di grandi depositi di
petrolio e di gas ha attirato l’attenzione degli altri Paesi e
delle società multinazionali. […] Dato che l’Afghanistan è
un centro di grande importanza strategica, quel che accade lì
finisce per riguardare il resto del mondo»69.
SULL’ORLO DEL
PRECIPIZIO. QUANDO È
DIFFICILE DISTINGUERE
TRA REALTÀ E FINZIONE
«La vittoria sarà di coloro che avranno saputo provocare il
disordine senza amarlo».
GUY DEBORD
«La storia non progredisce in base a princìpi democratici:
avanza per mezzo della violenza».
GOTTFRIED BENN
«L’arte della guerra è l’arte di distruggere gli uomini, come la
politica è l’arte di ingannarli».
JEAN BAPTISTE LE ROND D’ALEMBERT
«Non è la guerra di Israele, è la vostra guerra, è la guerra
della Francia, perché è la stessa guerra. […]
Se non siete solidali con Israele adesso, allora queste
tirannie le conoscerete pure voi!».
BENJAMIN NETANYAHU
«Può darsi che l’ideologia economica regni per sempre:
Orwell e Huxley hanno raccontato la fine della storia e
l’eternità dell’orrore economico ben prima di Fukuyama. Ma
facciamo un sogno: quando l’economia e gli economisti
saranno scomparsi, o saranno stati quanto meno relegati in
“secondo piano”, saranno scomparsi anche il lavoro senza
senso, la servitù volontaria e lo sfruttamento degli esseri
umani. Allora sarà il regno dell’arte, del tempo oggetto di
libera scelta, della libertà».
BERNARD MARIS
INTRODUZIONE
1. L’Internazionale comunista, ossia l’organizzazione
internazionale dei partiti comunisti attiva dal 1919 al 1943,
nota anche come Terza internazionale.
2. Carter, A., Deutch, J., Zelikow, P., Catastrophic Terrorism:
Tackling the New Danger, «Affari Esteri», 1998, pp. 80-
94. È disponibile la traduzione italiana in Zero, Piemme,
Roma 2007, p. 51.
3. Tarpley, Webster, op. cit., p. 85.
4. Ibidem.
5. Ibidem.
6. Cabras, Pino, Strategie per una guerra mondiale.
Dall’Undici settembre al delitto Bhutto, Aìsara, Cagliari
2008, pp. 40-41.
INTERMEZZO
1. Marx, Karl, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, Editori
Riuniti, Roma 2015, p. 45.
2. Ivi, p. 39.
3. Ivi, introduzione di Giorgio Giorgetti, p. 10.
4. Ibidem.
5. Ivi, p. 13.
6. Ivi, p. 46.
CONCLUSIONI
1. Brzezinski, Zbigniew, L’ultima chance. La crisi della
superpotenza americana, Salerno Editore, 2008, p. 24.
[Titolo originale: Second Chance. Three Presidents and
the Crisis of American Superpower, 2007].
«Il futuro è molto aperto, e dipende da noi, da noi tutti.
Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e
faranno, oggi, domani e dopodomani.
E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal
nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e
dai nostri timori.
Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le
possibilità del futuro che sono aperte».
KARL POPPER