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IL MAESTRO
DEL CREMLINO
24 Tavole a colori
100 Illustrazioni in nero
iti
11» E D IZ IO N I PER IL CLUB DEL LIBRO
M ILAN O
Traduzione di
BARBARA MECHERl
9
il principato di Tver, un giorno suo rivale nell;aspirazione alla
supremazia; nel 1489, essendosi sottomessa a Mosca anche Hvo-
linsk (la odierna Klrov), la via per la Siberia era oramai aperta.
Infine, nel 1510, anche Pskòv dovette seguire l'esempio di
Novgorod.
La vittoria di Mosca non fu soltanto il frutto di una grande abi
lità di strategia bellica o politica, ma era bensì il risultato di una
preparazione preventiva avvenuta a Mosca stessa e provocata dal
lo slancio indomito di molti principati e di molte città auspicanti
l'unione russa. Momento tanto felice nella storia di Mosca! Difatti
il suo desiderio di espandere il proprio territorio e di incremen
tare il potere soddisfaceva allora anche alle esigenze di tutto il
Paese; gli interessi privati coincidevano con quelli di carattere
generale assumendo l'interesse di una vera necessità storica *. Mo
sca, si rendeva ben conto dell'importanza dell'unità russa. Il go
verno moscovita aveva lunghe mire e faceva progetti per un
futuro che prevedeva la liberazione di tutto il Paese dal dominio
dello straniero. A questo proposito Ivan III meritò l'appellativo
di "sovrano di tutta la Russia"2.
La famosa vittoria riportata dai russi a Kulikòvo nel 1380 fu il
primo colpo inferto ai Tartari. Ma doveva passare ancora un
secolo perché, dopo lo stazionamento indisturbato dei russi sul
fiume Ugra, Mosca osasse manifestare la propria insubordina
zione all' "Orda d'Oro" e passare alla conquista di tutte le tribù
tartare. Contemporaneamente Mosca volle crearsi un caposaldo
sul mare, costruendo sulla frontiera occidentale del Paese la città
di Ivangorod. Lottando contro la Lituania, Mosca riportò nel 1500
una vittoria su Vitovt e, poco più tardi, il suo esercito faceva
ingresso in Smolensk, città russa dai tempi più remoti.
Sebbene in Occidente si considerasse l'Europa orientale sol
tanto una tributaria di mongoli, il sorgere quasi improvviso dello
Stato russo e il suo rapido espandersi fecero sensazione e non si
potè non riconoscergli un'importanza internazionale.
Liquidato il giogo tartaro, il Paese si scuote; la produzione
aumenta, lo scambio tra città e campagna si sviluppa. Più di ogni
altra, la città di Mosca ferve di febbrile attività commerciale.
Ivan III, al potere, provvede alla costruzione di città e fortezze,
all'apertura di vie di comunicazione, alla produzione di cannoni,
10
invita abili artigiani stranieri3. Contemporaneamente viene effet
tuata una serie di riforme e di svariati ordinamenti, e si disci
plina il settore giuridico.
Intanto le nuove condizioni di vita creano anche nuove diffi
coltà. Se il benessere materiale è assai maggiore, è anche vero che
la ricchezza diventa causa di disuguaglianze nella società. La crea
zione di uno Stato centralizzato consolidava la difesa contro il
nemico esterno; ma in realtà lo Stato si stava sempre più trasfor
mando in un mezzo per legare la massa dei lavoratori con la ser
vitù della gleba; consolidando le basi deH'ordinamento feudale,
10 Stato trasformava ciascun uomo in bestia da soma, un'appen
dice della mastodontica macchina statale.
« Ai boiardi e alla gente, e ai figli dei boiardi, e ai servi, da noi
liberi, libertà sarà data », venivano proclamando i principi mo
scoviti. Intanto i servi dello zar creavano molte complicazioni a
causa delle "lettere di affidamento", che li privava del diritto di
allontanarsi dal servizio 4. Il diritto di precedenza che doveva sal
vaguardare i notabili dalle pretese del sovrano finiva invece per
legar loro mani e piedi, mentre si perdeva anche il senso e il
valore della dignità umana.
Sulla massa contadina sopratutto pesava l'imposta del sovra
no. I beni patrimoniali dei boiardi divoravano le piccole proprietà
dei contadini, e, a poco a poco, i latifondi estromisero i beni dei
boiardi, ma non migliorarono le condizioni della gente di cam
pagna. Nella legislazione di Ivan III il diritto dei contadini di
passare da un possidente all'altro fu limitato a un solo giorno
all'anno, cosa che avvicinava sempre più il libero seminatore al
servo-schiavo. Egli non sentiva più l'oppressione dei nomadi, ma
passava sotto al giogo della servitù della gleba.
Non deciso a ribellarsi apertamente al padrone, finiva con l'ab
bandonare la terra che aveva dissodata e coltivata, per spingersi
nelle foreste del nord, oppure aldilà delle steppe del sud dove
11 possidente terriero o l'esattore governativo non poteva rag
giungerlo.
A mano a mano che il potere veniva concentrandosi tutto nelle
mani del principe moscovita, questi diventava sempre più intol
lerante della minima obiezione, anche da parte dei più fidati. Le
cronache del tempo trasmettono sempre con le stesse formule le
11
relazioni tra sovrano e sudditi che si chinavano a lui dinanzi
battendo la fronte a terra, lamentandosi come presi da grande
sgomento, supplicandolo di voler comporre i loro dissidi: egli a
suo piacere ora li grazia, ora li condanna, ora li perdona, ora li
giustizia.
Il popolo non poteva esprimere la propria opinione altro che
indirettamente. Nel racconto di Dracula, si parla del governatore
di Valachia, ed è probabile che sia stato tradotto dal tedesco: ma
l'interesse dei moscoviti per la sorte del leggendario despota inu
mano e crudele si spiega evidentemente con la loro triste espe
rienza storica. Nei misfatti di Dracula, il diavolo, padre di tutti i
mali, non è più il colpevole; d'altra parte, il vero fautore dei mi
sfatti non è mai raggiunto dal meritato castigo. Dracula è forse
il primo personaggio, nella letteratura russa, che di propria spon
tanea e malefica volontà impiega la sua potenza ai danni dell'uma-
nità e per questo viene giudicato 5.
Per affermare il suo prestigio e consolidare il suo potere, Mo
sca fu costretta ad invitare potenze straniere e creare ambasciate
russe all'estero. Ma questo scambio di relazioni politiche minac
ciò di portare lo Stato fuori dall'isolamento, compromettendo la
sua indipendenza. Sofia Paleologo, come nipote dell'imperatore
di Bisanzio, aveva portato con sé a Mosca un riflesso della passata
magnificenza bizantina. L'aquila bicipite sventolò sul vessillo dello
zar come stemma dello Stato. Ma al seguito della principessa si
trovava anche il cardinale col manto rosso e in guanti bianchi.
La sua apparizione nelle strade di Mosca fu considerata un'intru
sione inaudita nella sede stessa della chiesa ortodossa; a buon
conto il metropolita minacciò di lasciare il territorio6.
Lo zar veniva chiamato "fratello maggiore" dei principi russi,
ma in verità non era che un dittatore cui tutto era permesso.
Ivan III privò della libertà il proprio fratello, giustificando il suo
operato con le esigenze dello Stato7. Le sue seconde nozze diedero
origine a lotte di parte nella sua famiglia stessa, e il sovrano fu
sempre combattuto tra la prole della prima moglie e quella della
seconda. Più tardi suo figlio, nell'interesse stesso della dinastia,
pur essendo ancor viva la prima moglie ne prese una seconda, e
il confinamento in clausura di Solomonia diede luogo a molte
interpretazioni.
12
N. M. Karamzm ha messo in grande rilievo l'opera di Ivan III,
mentre S. M. Soloviòv lo ha soprannominato “il perfezionatore” 8.
Più tardi si è anche parlato di dargli l'appellativo di “grande" 9.
In realtà, Ivan III fu una figura profondamente tragica, anche se
non di altrettanto effetto di Ivan IV, il Terribile che fino a oggi
continua ad attrarre scrittori ed artisti.
L'epistolario di Ivan III e della figlia Elena è di notevole inte
resse per lo storico, poiché rivela il mondo interiore di un uomo
russo in un tempo di cui non esistono documenti ufficiali. La sorte
delle figlie dello zar aveva sempre prospettato ai loro padri grossi
problemi: non si poteva, infatti, dare in sposa la figlia regale a
un suddito che altri non era se non un servo dello zar; d'altra
parte, farle sposare un sovrano straniero significava il più delle
volte darla in mano agli “infedeli". Fidanzando la figlia Elena con
il re lituano Alessandro, lo zar e il governo contavano di miglio
rare le relazioni tra i due Paesi. Nell'accordo erano stati minuzio
samente precisati i patti da rispettare: i lituani non dovevano
obbligare la principessa reale russa a rinnegare la "legge greca".
Ivan la esortava a salvaguardare la “ sua anima e il suo nome", a
resistere virilmente; con tutto ciò non era riuscito a trarla da
tutte le difficoltà di una tale posizione. Elena sentiva di essere tra
due fuochi; scrivendo al padre deprecava amaramente che il pro
prio matrimonio non avesse arrecato la pace auspicata; gli scri
veva che la gente, nella sua nuova patria, trovava che questo, per
loro, era “ andato male", e aggiungeva: « sovrano, padre mio, se
Dio non ha concesso al tuo cuore di approvare me, tua figlia,
perché mi hai fatto partire dalla tua terra per darmi a simile
fratello tuo? Sarebbe stato assai meglio per me morire ai tuoi
piedi, nella tua terra, che non spargere di me tanto misera fama ».
Elena esortava il padre ad aver pietà della sua sorte, della « miser
rima figlia tua », e lo implorava a mutare l'ira con la misericor
dia. « Se non avrò il tuo affetto, la tua tenerezza, — aggiungeva, —
i congiunti del sovrano mi abbandoneranno e con loro anche tutti
i sudditi ».10 Pur lamentandosi amaramente, Elena non si lasciava
prostrare dalla propria sorte disgraziata con la rassegnazione e
l'umiltà. Ella era piena di slancio eroico nella volontà di adem
piere il proprio dovere e davanti al genitore e davanti alla Patria.
Alla fine del sec. XV, in concomitanza all'affermarsi dello Stato
13
centralizzato e del suo apparato burocratico, all'elaborazione delle
teorie politiche si stavano anche affermando le discordanze ideo
logiche tra i vari strati della società russa.
Le ideologie maggiormente conservatrici erano tutte accen
trate nello strato clericale più elevato rappresentato dall'arcive-
scovo Ghennadio di Novgorod, dai vescovi Vassiàn Rylo e Giusep
pe Volotskij, come pure, sotto un certo aspetto, dal superiore
Filofeo del monastero di Eleazàr che rivelava, nelle proprie epi
stole, notevole larghezza di vedute e comprensione per le sorti
dell'umanità, sebbene fosse passato alla storia, in Russia, come
autore della teoria: “Mosca, terza Roma” e come un difensore del
potere assoluto.
I rappresentanti della Chiesa ortodossa e dell'ordine mona
stico, già prima, nel sec. XIV, avevano partecipato alla vita poli
tica del Paese, appoggiando con la loro autorità i principi di
Mosca, qualche volta soppiantandoli anche. Verso la fine del se
colo XV, e soprattutto nei primi del XVI, la Chiesa innanzi tutto
pensava a salvaguardare gli interessi dello zar, a esaltare il suo
nome, a inculcare nella gente il significato del potere assoluto.
Intesa a servire i regnanti, la Chiesa non aveva disdegnato di ac
cettare, sull'esempio della casistica gesuita, la responsabilità di
“prosciogliere" dal giuramento in caso di “necessità". In cambio
di tanta devozione lo zar di Mosca, dopo qualche titubanza, aveva
rinunciato a incorporare i possedimenti terrieri della Chiesa.
Questo accordo tanto palese tra clero e corona, aveva avvicinato
la Chiesa ortodossa alla vita secolare del Paese e le aveva inoltre
permesso di conservare i privilegi feudali11.
In campo ideologico la Chiesa ortodossa ufficiale non poteva
né voleva creare nulla di nuovo, limitandosi a confermare i dogmi,
la tradizione e il rito. Appellandosi al passato, la Chiesa aveva
cercato sopratutto di mantenere salda la propria autorità. Riba
dendo di continuo il concetto di purezza morale, sopportava però
la simonia. Per la Chiesa i dogmi erano inalterabili, ed essa era
diffidente per tutte le manifestazioni del libero pensare. Esor
tando i fedeli “ a vincere la ragione", la Chiesa ammetteva un
limite alla comprensione umana. Una grande importanza era ri
volta allo svolgimento del rito sacro, e sebbene alle sue diverse
forme corrispondesse un determinato significato simbolico, que
14
st'ultimo non era generalmente preso in considerazione. Nel se
colo XV le persone erano propense ad intavolare logomachie inter
minabili sulla opportunità o meno di pronunciare un determinato
numero di volte la parola "alleluja" nelle funzioni sacre, oppure
a proposito della opportunità, da parte del sacerdote, di fare a
Pasqua il giro del tempio da Oriente ad Occidente — seguendo
cioè il corso del sole — o viceversa. "Magnificenza della Chiesa e
prestigio del clero": i rappresentanti della Chiesa sovrana non
andavano oltre questi due concetti basilari; alla ricerca del nuovo,
preferivano seguire "le orme dei padri e dei beati" 12.
Una posizione del tutto particolare occupano i "monaci d'oltre
Volga" con a capo il famoso Nil Sorskij, che in campo dogma
tico non divergono dai cosiddetti "giuseppiani", seguaci di Giu
seppe Volotskij. Non solo onorano Sergio di Radoniez, ma seguo
no i suoi precetti in tutta purezza rifuggendo dal compromesso
con il potere secolare. Questi "Vecchi d'oltre Volga" non osavano
protestare apertamente contro la simonia, né contro la politica
ecclesiastica dello Stato. Essi tendevano a segregarsi dal mondo,
rinunciando soprattutto alla proprietà terriera. Nelle tormentate
condizioni dell'espansione politica e dell'affermazione della Chiesa
ufficiale, la loro protesta passiva era priva di forza. Nella loro vita
contemplativa, lungi dai centri urbani, tra i boschi impraticabili,
somigliavano piuttosto agli eremiti dell'antica Tebaide. Esaltando
l'importanza della lotta interiore dell'uomo con le proprie pas
sioni, si ricollegavano ai saggi dell'antichità il cui motto era
"conosci te stesso". Penetrando nei recessi del mondo interiore
dell'uomo, toccarono concetti vicini a quelli dell'odierna psicana
lisi; essi erano convinti che senza il ragionamento non era possi
bile penetrare il concetto di fede né quello di morale. Nil Sorskij
si era rivelato un profondo conoscitore dell'animo umano 13.
La creazione del nuovo Stato russo e la trasformazione degli
strati sociali incidono anche sulla mentalità della gente russa.
Giuseppe Volotskij denunciava con inquietudine che perfino nelle
case, nelle vie e sui mercati, si era cominciato a discutere sulla
fede e che oltre al clero vi partecipava gran parte della popola
zione 14. L'apparire di questi "cercatori della verità" era un sin
tomo del risveglio delle coscienze. Accadeva che questa sete di
verità si manifestasse anche nelle forme più ingenue; cosi, ad
15
esempio, un tale Eufrosinij di Pskòv aveva abbandonato la terra
natale per recarsi a Bisanzio e trovare una risposta all'interro-
gativo che lo tormentava, riguardante il rito sacro, e con la sua
decisione aveva suscitato lo scontento di Giuseppe Volotskij 15.
Più tardi un altro "cacciatore della verità” confessava a Massimo
il Greco: « ...non vuole tacere il mio spirito di tante cose cu
rioso... » 16. Molti altri si tormentavano meditando su quanto
attende l'umanità dopo il Giudizio Universale e, in particolare,
se verrà allora conservato il sesso 17. Naturalmente queste forme
di curiosità non potevano rappresentare un serio pericolo. Spesso
però i "curiosi” varcarono anche i limiti del lecito. Quando nel
l'anno 7000 dalla creazione della Terra ( = 1492 d. C.), la "fine del
mondo” annunciata dalle sacre scritture non era avvenuta, molti
dichiararono che “ quei testi erano falsi” 18. A questo punto ba
stava un passo per giungere a rinnegare tutto quanto serviva da
base agli insegnamenti dogmatici e all'autorità stessa della Chiesa.
Ed ecco che nell'ignoranza generale, si ode chiedere sfacciata
mente: « Ma che cosa rappresenta il regno dei cieli? Cosa sarebbe
la seconda venuta in terra? E la resurrezione dei morti? Non vi
è nulla di tutto questo: chi muore lascia un posto vuoto ». Queste
furono le parole che attribuì al proprio rivale nella persona del
metropolita Zosimo, Giuseppe Volotskij, tentando di infangarlo
agli occhi delle autorità. Comunque, si era giunti a un sol passo
dal credere sfrontatamente che "il potere terreno e la natura
umana a grandi passi si dirigono verso la rovina” 19.
Verso la fine del sec. XV ci fu a Novgorod un gruppo di "cer
catori della verità” ancora più audaci. Noi abbiamo soltanto testi
monianze indirette dei loro insegnamenti. I rivali che li sgomina
rono fecero di tutto per distruggere ogni loro documentazione
scritta, ed ogni mezzo impiegato nella lotta fu lecito. Giuseppe
Volotskij, perduto ogni senso di imparzialità, lancia contro di
essi anatemi e fiumi di parole dispregiative, come: "lupo malefi
co ”, "Giuda traditore”, "profeta dell'Anticristo", "primigenie di
Satana", "serpente dalla testa nera", "corvo" 20; inoltre, lo stesso
Giuseppe evita scrupolosamente di ripetere i loro precetti temen
do di attrarre cosi dei seguaci. L'appellativo di "giudaizzante"
che li distinse nella storia, non è altro che un termine dispregia
tivo che adoperarono i loro rivali per comprometterli. È più giu
16
sto perciò parlare di loro come di liberi pensatori. Essi stessi,
d'altronde, evitarono di parlare apertamente delle loro opinioni,
evidentemente perché queste erano in fase di formazione e non
venivano ancora caratterizzate da un netto programma teoretico.
Grazie alle ricerche di A. I. Klibànov e di altri storici sovietici,
è stato possibile ricostruire i precetti dei liberi pensatori di Nov
gorod quali furono: lo scrivano Ivan Cernij, i sacerdoti Alessio
e Denisio, il cancelliere Teodoro Kurizin e suo fratello Ivan, il me
tropolita Zosimo e altri loro seguaci come Matteo Bashkin, Vas-
siàn Kossoij e Teodoro Kossoij. Molto fu da essi attinto dai testi
antichi, nei quali trovarono una conferma al loro punto di vista,
assieme a uno spiraglio per il libero pensiero creativo21. Sopra
tutto fu da loro condannata la secolarizzazione della Chiesa, per
cui la preoccupazione dei beni materiali aveva trasformato il cle
ro in classe privilegiata. Così i liberi pensatori avevano raccolto
il pensiero degli “ Strigolniki" del sec. XIV che erano sempre in
sorti contro ogni forma di alterazione del cristianesimo evange
lico. Al movimento avevano aderito persone di ogni ceto, dai cor
tigiani fino ai più poveri.
Non limitandosi alla sola critica della condotta morale, essi
mettevano in dubbio: la vita monastica, i riti, il precetto del di
giuno, l'adorazione delle sacre immagini. In sostanza erano inclini
a rinnegare in pieno la Chiesa; dicevano “l'uomo stesso è una chie
sa, e tra Dio e uomo non ci debbono essere intermediari", cioè il
clero. Attaccando il punto morto delle sacre scritture, esortando
a penetrare lo spirito di queste, si pronunciavano inoltre contro
il dogma della trinità di Dio in favore del Dio unico. Mettendo
in dubbio la creazione del mondo, non credevano neppure alla
sua fine.
La Chiesa insegnava che l'uomo — fragile creatura — cadeva
facilmente nel peccato ed era incapace di penetrare i misteri del
mondo. Solo nella preghiera, nell'obbedienza e nella coscienza
della propria nullità poteva meritare la misericordia divina e la
beatitudine eterna. I liberi pensatori di Novgorod affermarono
che Dio stesso aveva creato l'uomo perché agisse di sua spontanea
volontà, che il diritto alla libertà di pensiero è inscindibile dalla
natura umana22. E l'uomo, secondo loro, ha nell'Universo una
posizione di preminenza.
17
I liberi pensatori si schierarono anche contro i miracoli che
la Chiesa insegnava, contro l'incorruttibilità delle reliquie e la
loro adorazione, infine contro tutto quello che appariva sopran
naturale e in contrasto con la ragione e con la natura.
Nei loro insegnamenti vi era tutta una serie di presupposti che,
in condizioni di maggiore libertà civica e di maggiore sviluppo
individuale umano, avrebbero certamente contribuito all'evolversi
in Russia delle idee filosofiche di avanguardia. Invece, nel periodo
in cui si stava affermando l'indipendenza politica russa, i rivali
dei liberi pensatori ebbero buon gioco ad istillare nelle classi al
potere una profonda diffidenza nei loro riguardi. Impegnata ad
appoggiare il potere dei regnanti, la Chiesa attaccava i liberi pen
satori ricorrendo anche alle crudeltà dei metodi estremisti: giu
stiziando, bruciando sul rogo, impiccando. Pur ammettendo di
usare una "saggia perversità", era pronta a seguire l'esempio degli
"odiati papisti", stabilendo in Russia una inquisizione e un'auto
dafé. Per precludere ogni via d'azione ai liberi pensatori furono
sospese le prediche nel timore che potessero sorgere le varie argo
mentazioni sui testi sacri. Consolidando in questo modo la sua
posizione, la Chiesa si condannava alla completa staticità23.
Alla fine del sec. XV, primi del XVI, la cultura laica cominciò
ad assumere una certa importanza anche in Russia. In questo
campo si distinse sopratutto il mercante Attanasio Nikitin, uomo
di ampie vedute, viaggiatore spregiudicato ed attento, che aveva
visitato le Indie; cosi anche l'ambasciatore dello zar Simeone
Talbusin, e il traduttore Dmitri Ghieràsimov, e Miniukin Mis-
sijùrin — corrispondente del vegliardo Filofeo — e infine, il più
colto di tutti, il diplomatico Teodoro Kàrpov che ebbe colloqui e
scambiò missive con Massimo il Greco24. Ma anche tra le autorità
ecclesiastiche vi fu qualcuno che ammise la capacità dell'uomo di
penetrare le conoscenze del mondo, e perfino Nil Sorskij, cosic
ché si cominciò a ripetere sempre più spesso che "l'uomo compie
tutto ragionando", e non si rinnegò più la naturale "curiosità di
sapere dell'intelletto umano"; più tardi il padre Superiore del
Convento della Trinità, Artemio, durante lo svolgimento di un
dibattito, chiedeva ai suoi oppositori "che gli spiegassero, senza
appellarsi alle autorità, in che cosa egli aveva errato" 25. Un uomo
come Massimo il Greco ebbe a Mosca molti seguaci che avevano
18
ascoltato con profonda ammirazione il racconto dei suoi colloqui
con gli umanisti in Italia2Ó.
È vero che in quell'epoca, in Russia, l'istruzione fu considerata
in genere da un punto di vista pratico. L'arcivescovo Ghennadio di
Novgorod valutava l'alfabetismo come un mezzo per combattere
gli eretici. Ci si accostava ai libri e alle altre fonti del sapere con
precauzione, sempre per paura di cadere nell'eresia. Però tutti ca
pivano che l'ignoranza era un male, mentre l'istruzione aveva un
suo valore. Uno scrittore di quell'epoca riporta che molta gente
nella Russia di allora era “ diligente nello studio, desiderosa di
apprendere la scrittura" 27. Il Kàrpov lamenta, in una delle sue
lettere, il peggiorare dei costumi della società contemporanea e
riporta, all'imitazione degli umanisti, versi tratti dalle “Metamor
fosi" di Ovidio, da lui tradotti in russo 28.
Per quanto la conoscenza da parte dei letterati russi di fonti
di questo genere fosse assai limitata, nondimeno essa riusciva a
intaccare il concetto dell'uomo e del mondo che la Chiesa orto
dossa aveva per secoli inculcato nella gente. Dapprima era stato
affermato che l'essere umano era nato per avvilire le proprie pas
sioni e rassegnarsi nell'obbedienza, poi si era cominciato a parlare
dei diritti dell'umanità a una felicità terrena. In principio le cro
nache non parlano che del sovrano e dei suoi servi, dei principi e
delle loro armate, mentre il popolo — perfino nella libera città di
Novgorod — è una massa senza volto. Era poi risorto il concetto
aristotelico della "cosa pubblica" in città e reami cui partecipa
vano tutti i cittadini. Il Kàrpov si affliggeva che tale cosa dovesse
perire per l'eccessiva pazienza della gente. Nella coscienza russa
comincia a sorgere l'idea della tolleranza religiosa29.
Naturalmente le fonti principali per la conoscenza dell'anti
chità classica erano in Russia i padri della Chiesa e gli autori bi
zantini. Nel sec. XV accanto a queste fonti una notevole acquisi
zione fu rappresentata dalle idee nuove elaborate in Occidente.
Queste idee ebbero una certa risonanza in Russia perché il ter
reno era già stato preparato in precedenza. Evidentemente tra i
libri che si erano in qualche modo infiltrati in Russia, non vi
erano allora quelli che si possono chiamare i classici del pensiero
della Rinascita. A Novgorod, per esempio, era molto nota l'opera
cabalistico-astrologica, il "Libro delle sei ali" del sec. XV del
19
l'ebreo italiano Emanuele Ben Jàcob, o anche la “Logica", ispirata
da Mosè Maimonide, del sec. X II30.
Ma non bisogna credere che i libri fossero l'unica fonte per la
conoscenza dell'Occidente. Le nuove idee avevano accesso in Rus
sia nei modi più svariati; alcune penetrarono attraverso la Litua
nia dove erano sempre in lotta l'ortodossia e il cattolicesimo; poi
anche attraverso Novgorod che da tempi remoti aveva mantenuti
i contatti con l'Occidente. Infine la cultura occidentale penetrò a
Mosca, allorquando vi giunsero gli italiani invitati dal sovrano
moscovita.
Nella seconda metà del sec. XV si trovavano a Mosca molte per
sone colte provenienti dall'Europa occidentale: Paolo Giovio, il
Contarini, il Trevisano, Giovanni Frjasin, tutta una colonia di
mastri ed armaioli italiani come il Fioravanti, Pietro Antonio
Solari, Alvise Nuovo Bòn, Marco Ruffo, Paolino Debosis, e dei
medici: Antonio, Leone e tanti altri. Inoltre è citato anche il
nome di un pittore di icone come il Dalmata. Anche i greci, fug
gendo davanti ai turchi, giungevano fino in Russia: Dimitri Tra-
kaniòt, Andrea Paleologo, Cassiano Mavnuk che portarono a Mo
sca notizie dell'Occidente e in particolare dell'Italia.
Parlando delle relazioni culturali tra Russia e Occidente, bi
sogna avere presente che queste ebbero una grande varietà di
aspetti. Nel campo della religione esisteva un netto antagonismo
tra Occidente cattolico e Oriente ortodosso, antagonismo che ha
poi conservato un senso di reciproca diffidenza ed ostilità. Il clero
russo dipingeva con fosche tinte e spesso in tono caricaturale gli
usi religiosi dell'Occidente, aizzando nel proprio gregge odio e
disprezzo per gli “infedeli". Alla figlia di Ivan III, Elena, fu dato
il permesso una sola e unica volta, di visitare la chiesa cattolica
di Vilno. Tornando dall'estero i russi facevano penitenza per
“ aver peccato visitando i luoghi sacri della Chiesa latina", cosi
grande era il timore della “ tentazione latina"31.
D'altra parte questa rivalità non fu certo determinante per tutte
le relazioni tra Occidente e Oriente. La cultura occidentale stessa
nel sec. XV era abbastanza varia da permettere ai russi di acco
starsi, fra tante, a quelle tendenze che più delle altre risponde
vano ai loro ideali. Accanto agli umanisti italiani seguaci del
Petrarca e del Boccaccio, tendenti allo stoicismo classico romano,
20
erano pure un Pico della Mirandola e un Marsilio Ficino che in
maggior misura tendevano al neo-platonismo e alle tradizioni
della filosofia orientale32; e poi vi erano gli antesignani del pro
testantesimo del genere di Sebastiano Franco, che predicavano
la purezza del primo Cristianesimo; e autori come Erasmo da
Rotterdam, che tentarono di conciliare l'antica filosofia pagana
con i fondamenti di etica cristiana; infine, i pensatori di carattere
prettamente sociale come il Machiavelli, interessati sopratutto
ai problemi politici. Già si era cominciato a parlare della impor
tanza decisiva del popolo nel quadro storico33.
In Russia ci si basava in genere sulle tradizioni familiari,
rispondenti alle esigenze medesime della vita. Ma quando il pen
siero arrivava là dove i contemporanei occidentali avevano già
trovato delle soluzioni, si ricorreva volentieri ai loro insegna-
menti. L'orgoglio nazionale si consolidava nella teoria: "Mosca
terza Roma", elaborata, non senza aver suscitato reazioni, dagli
autori bizantini34. Intanto anche gli umanisti italiani del sec. XV,
tornando nei loro studi alle passate glorie dell'antica Roma, istil
lavano il concetto che essi erano tutti posteri di quei conquista-
tori del mondo, e che doveva emergere in Italia un sovrano ca
pace di consolidare l'unità d'Italia col potere accentrato.
L'idea dell'uomo, nel secolo deH'Umanesimo, era spesso deriva
ta dalle medesime fonti anche in Russia. Insoddisfatti per il con
cetto di personalità, gloriosa per le sue azioni, gli umanisti richia
marono l'attenzione sull' "uomo interno" e il mondo spirituale.
I russi, ebbero anche modo di conoscere dai loro maestri greci
che il paradiso si trova nell'uomo stesso. Sull'esempio dei teologi
essi tendevano a penetrare il segreto della coscienza umana. I
russi furono in sostanza seguaci degli insegnamenti dell'Occidente
perché cercarono nello studio degli influssi astrali di strappare
la propria sorte alla predestinazione35.
La massima parte di ciò che nell'Europa occidentale si presen
tava in veste di teoria scientifica, appariva in Russia nella veste
poetica di leggenda o di mito. Molti pensatori del Rinascimento,
come Nicolò da Cusa e Leonardo, erano giunti a considerare
l'Universo come un immenso organismo: la terra ne rappresen
tava il corpo, le montagne ne formavano lo scheletro, le acque
erano il suo sangue, le alte maree il respiro36.
21
Per una straordinaria coincidenza nell'opera popolare "Poesie
del Libro del Colom bo''37 c'è un'eco di questa rappresentazione:
22
anche trovandosi in conflitto tormentoso con le forze del male,
l'uomo non deve rinunciare alla fede in un mondo bellissimo,
intelligente, armonioso. Una divergenza di idee non è stata sem
pre ugualmente chiara, ma è importante in vista dei presupposti
che riguardano la cultura del Rinascimento nell'Europa occiden
tale e in quella orientale.
Nei dibattiti ideologici di quell'epoca la voce che più si faceva
sentire era quella del clero e dei notabili. La massa, contadina e
urbana, non aveva alcun modo di parteciparvi con uguale diritto.
Ma l'evoluzione che avveniva nel pensiero del popolo causò una
reazione, anche se indiretta, sulla cultura russa in generale. All'e
poca delle Riforme, molti pensatori dell'Occidente manifestarono
interesse per il popolo e si accostarono ad esso per attingervi la
saggezza popolare e il folklore. Fra questi vi fu anche Agrippa
Nettesgeims e il Paracelso. Allo stesso modo vi erano in Russia
i simpatizzanti del popolo, che liberavano i propri servi della
gleba o accoglievano quelli fuggiaschi di altri proprietari. Alcuni
scrittori si occuparono della dura sorte dei contadini ed esorta
rono i contemporanei a non lasciar morire di fame gli “ orfani
di casa nostra".
La massa dei lavoratori, legata in tutte le sue attività alla terra,
conservava tuttavia queU'amore della natura che il clero bollava
come manifestazione peccaminosa di paganesimo e come una
“ follia ellenica". Tra i contadini russi erano sempre presenti gli
ideali dei canti epici sulle gesta di Ilija il Saggio, Mikùla Selija-
ninovic' e Dobrynijà Nikitic'. Compreso di profondo buon senso,
il popolo serbava inoltre una grande purezza morale e una ricca
vena poetica. Il suo spirito di ribellione non era stato distrutto
ancora; non si era ancora annidata nel fondo del suo animo la
diffidenza per tutte le innovazioni, che più tardi causeranno lo
scisma dei “vecchi credenti"; sebbene mancasse di conoscenze,
di esperienza e di tecnica, vi era in esso quella schiettezza, che
gli aveva valso la simpatia dei migliori tra gli uomini colti, e che
lasciava intravedere sotto la patina della selvatichezza in cui ver
sava, i tesori di una grande e genuina umanità.
Il popolo in quell'epoca non aveva detto ancora la sua parola,
ma aveva già una misura per valutare la cultura delle classi ele
vate; ecco perché una semplice contadina di Murom, Fevronia,
23
aveva attratto a sé il principe Pietro, il quale ammirò in lei una
chiara mente e una bellezza morale, e la leggenda del loro amore
fu nella Russia quello che fu neirOccidente la storia di Tristano
e Isotta.
24
mencio di più un carattere laico. Gli edifici più importanti del
Cremlino sono ordinati dallo zar e vengono decorati dagli artisti
di corte, e comincia a decadere a poco a poco la corrente mona
stica dell'arte mentre prevale sempre più il carattere civile delle
sue opere.
Nel sec. XV è necessario assimilare la nuova realtà e pensare
al futuro; rinunciare agli interessi del singolo per quelli generali,
elaborare un nuovo senso della giustizia. Si esige inoltre la com
prensione delle nuove relazioni sociali. Tutte queste nozioni si
collegano nella coscienza umana di allora con degli oggetti ben
determinati, ed è il lato visibile di ogni cosa, la rappresentazione
figurata che caratterizza lo spirito dell'epoca. “ Non si aveva an
cora l'abitudine di pensare in base a concetti astratti, vi erano
soltanto le immagini, i simboli, i riti e le leggende" come dice
V. O. Kljucevskij38. La leggenda secondo la quale la camicia bian
ca dell'arcivescovo di Novgorod era stata donata dal patriarca di
Bisanzio, o quella secondo la quale lo zar di Mosca aveva ricevuto
in eredità dall'imperatore di Bisanzio il copricapo di Monomàco,
furono argomenti molto più convincenti, in virtù del grande pre
stigio delle città di Novgorod e di Mosca, che non le logiche con
clusioni o le teorie politiche.
In definitiva, anche il motto “Mosca, terza Roma" non fu tanto
un programma politico, successivamente sviluppato, quanto una
felice espressione poetica avente presa sull'immaginazione con il
suscitare ricordi storici, indiscutibilmente molto convincente. La
presenza dell'aquila bicipite quale ornamento sugli oggetti per
sonali dello zar, era il riconoscimento indiscutibile dell'erede
diretto dei sovrani bizantini insito nella sua persona; il cavaliere
che affronta un serpente, raffigurato sul portale d'ingresso del
Cremlino moscovita suscitava spontaneamente l'idea della sua
inespugnabilità. Né l'arte figurativa si limitava alla rappresenta
zione dei singoli oggetti: ogni immagine diventava l'incarnazione
stessa di un determinato credo, di una determinata categoria o
ideale; spesso si ricorreva anche alla raffigurazione di emblemi,
di segni araldici e questi erano tanto più significativi in quanto
meno adorni e più essenziali.
Il simbolismo era diffuso nell'arte russa anche prima, ma era
limitato ai concetti religiosi tradizionali; adesso erano sorti invece
25
all'orizzonte tanti nuovi concetti della vita contemporanea ed esi
gevano un riconoscimento. Inoltre il XV sec. sentiva il bisogno di
manifestare il proprio pensiero a mezzo di immagini visive. L'arte
figurativa di quella cultura occupa una posizione di prima impor
tanza nell'ambito culturale del tempo.
I russi dell'epoca, con i loro dibattiti teologici, incappavano
facilmente nella routine, si invischiavano nelle citazioni, affoga
vano in una vuota retorica. Perfino nella missiva di Vassian Rylo
a Ivan III, nonostante trattasse della lotta contro i tartari che
tanto turbava i contemporanei, vi è assai più florilegio che pen
siero e parole vive. I russi riuscivano a rendere meglio il frutto
delle loro meditazioni e delle loro esperienze ricorrendo alle im
magini poetiche e soprattutto ai colori. Gli antichi modelli cui
attingeva la loro creazione non riuscivano a costringere la loro
immaginazione, ma servivano da trama su cui ricamare. L'arte
figurativa era il mezzo di espressione — di una straordinaria effi
cacia — dei loro sentimenti più segreti e degli ideali più cari
della nazione.
II mestiere di pittore era considerato, alla fine del sec. XV,
come una completa e devota dedizione all'arte: la fede in questa
vocazione e nella rettitudine personale, ritenuta necessaria, danno
alla mano del pittore una grande forza spirituale. Perfino i pittori
minori affascinano per lo slancio con cui servono la loro idea e
si dimostrano capaci di dire, nel piccolo e con poco, cose grandi
e alte.
Tuttavia, alla fine del sec. XV, aumenta nei riguardi dell'arte
il valore estetico, il concetto di bellezza delle immagini create dal
l'artista. Quando il maestro russo Basilio Dmitrievic' Ermòlin co
pri di volte la chiesa nel monastero dell'Ascensione sul Cremlino,
tutti si meravigliarono della novità, come trasmette la cronaca39.
Nella stessa cronaca è minuziosamente descritta la costruzione
della Cattedrale della Dormizione: « è una chiesa cosi straordina
ria per grandiosità e per altezza, luminosità e sonorità, quale fino
ad oggi non si era mai vista nella Russia all'infuori di quella di
Vladimir40 ». In poche parole è espresso tutto l'entusiasmo per
il capolavoro architettonico che doveva abbellire la capitale. I
cronisti sentivano di non disporre di parole adatte per esprimere
ciò che i capolavori dell'arte suscitavano negli animi. Saba Kru-
26
titskij tentò di esprimere questo entusiasmo quando, riferendosi
a Dionisio, lo definì non solo « elegante pittore di icone », ma
anche « pittore della vita41 ».
L'arte russa alla fine del sec. XV è improntata alle reazioni su
scitate dalla trasformazione sociale, più o meno manifeste in
questo o quell'artista dell'epoca, anche in una stessa opera. Ma
in tutte si nota il desiderio di onorare e di glorificare lo Stato
russo e il suo sovrano. Il Cremlino di Mosca con le sue mura
turrite, le cupole d'oro, le fantasiose dimore, è un monumento
innalzato alla felice potenza di Mosca che, nell'espressione di uno
scrittore del tempo: « più del sole sfavilla nella volta celeste ».
Oltre alla grandiosità, alla potenza e alle fastosità, colpisce nelle
costruzioni del Cremlino l'armonia delle diverse parti che si fon
dono in una sola unità. La grandiosità degli edifici, visibili da
ogni parte, le cupole dorate, gli sfondi d'oro delle immagini richia
mano alla mente la ricchezza e la munificenza dei committenti
regali. La vastità della piazza davanti alla Cattedrale doveva acco
gliere una massa di popolo nelle grandi ricorrenze. Anche l'arte
laica è improntata alla solennità, come si può vedere dalla raris
sima tela, oggi al Museo Storico, con effigiata la corte dello zar in
adorazione davanti a una immagine sacra della Madonna. Vi è in
essa qualcosa della pompa ufficiale bizantina che l'avvicina al
famoso mosaico ravennate di Giustiniano e Teodora42.
Oltre al sovrano, anche la Chiesa vide nella sfarzosa decora
zione dei monumenti un mezzo per affermare la propria autorità.
Ben pochi si schierarono contro la bellezza esteriore, cosi Nil
Sorskij, i liberi pensatori di Novgorod e, più tardi, Massimo il
Greco. La Chiesa russa diventava un sostegno del sovrano, e i mo
nasteri dovevano accogliere degnamente le personalità più impor
tanti che, per una ragione o l'altra, si ritiravano dalla loro attività.
Ciò spiega la ricca decorazione delle chiese, il gusto del lusso,
dell'apparenza e della solennità. Nelle immagini “Mariae gloria"
dedicate alla Vergine come regina del cielo, a somiglianza di una
corte, gran moltitudine di gente circonda e venera la sovrana
divina che, in trono, circondata da un'aureola celeste, è sullo
sfondo di un bianco tempio; la slanciata eleganza delle figure e
la struttura ritmica dell'insieme danno a tutta la scena un senso
di particolare elevatezza e nobiltà.
27
La vena popolare ebbe nell'arte russa del sec. XV una notevole
importanza, sopratutto a Novgorod, che vantava una secolare
tradizione democratica. I suoi templi, masse chiare ed elementari,
hanno qualcosa delle “ isbe" contadine decorate da intagli gu
stosi, ma sobri. Nelle icone novgorodiane del sec. XV, come in
quella che rappresenta il Giudizio Universale [t. 87, 93] (Galleria
Tretjakov), oppure nell'altra della Battaglia di Suzdal contro Nov
gorod [t. 92] (Museo di Novgorod), sebbene appaia una grande
fantasia, è anche nei particolari un candido verismo che risente
il gusto popolare43. Ma anche nelle altre scuole c'è un influsso
del folklore, sia nella pittura di icone che nelle fantasiose iniziali
miniate dello "stile animalistico".
L'arte russa del sec. XV segna il risveglio della coscienza uma
na, la tendenza alla meditazione, il desiderio di penetrare nel
mondo della riflessione, l'ansia di tutto capire, approfondire, spie
gare. Da questo punto di vista i pittori russi più di chiunque altro
si avvicinano ai loro confratelli del Rinascimento italiano anche
se non esisteva un vero contatto diretto con essi.
In una delle scene tratte dalla vita del metropolita Alessio
[t. 88 b] nell'icona proveniente dalla cattedrale dell'Assunta44, il
pittore Dionisio rappresentò il santo in atto di venerare il sepol
cro del suo predecessore, il metropolita Pietro. È una scena mi
rabile per semplicità e laconicità; un senso di profonda medita
zione, di compenetrazione spirituale; in questo muto tratteni
mento del vecchio saggio con il defunto, il gruppo di persone che
si volge con riverenza al sepolcro, è al limite tra il mondo dei vivi
e quello dei defunti, simboleggiato dalla nuda parete alla cui base
è il sarcofago di pietra. L'insieme suscita nell'animo un senso
di solenne grandiosità spirituale come nelle scene su fondo bianco
dei vasi greci del sec. V a. C. Non c'è azione, ma la giusta posi
zione delle figure umane e dell'insormontabile barriera di pietra
è per se stessa densa di significato. Allo stesso modo, nel celebre
dipinto attribuito al Botticelli e conosciuto come La Derelitta, la
mesta immagine col capo chino è con la sua stessa posa messa
in risalto dallo sfondo della massiccia parete di pietra45.
Nella seconda metà del sec. XV fu dato un grande impulso allo
sviluppo dell'edilizia moscovita con l'arrivo di numerosi maestri
italiani. Questi si accinsero con successo all'opera apportando
28
all'architettura locale le esperienze rinascimentali. Tuttavia ci fu
qualche scontro di opinioni per la decisa determinazione dei russi
di non ripudiare le tradizioni architettoniche elaborate nell'antico
principato di Vladimiro-Suzdal. Con i maestri italiani anche le
maestranze locali diedero prova di grande assiduità. Gli sforzi
comuni furono rivolti a ingrandire e abbellire l'acropoli di Mo
sca, e furono raggiunti molti perfezionamenti tecnici, concilianti,
spesso con molto successo, il nuovo con l'antico, e create anche
delle novità assolute.
Nell'architettura del Cremlino, come oggi si vede, le tracce di
questa collaborazione sono palesi. Accanto all'edificio colossale
della Cattedrale della Dormizione [t. 90], si trovano le chiese mi
nori parrocchiali e anche la chiesa-campanile slanciata, il cosid
detto “ Grande Ivan", che con la sua cima d'oro sovrasta e corona
tutto il Cremlino. I principi dell'ordine classico e il gusto per
l'ornato non ostacolano l'unità tradizionale della massa archi-
tettonica degli edifici. L'influsso che nel sec. XV ebbe il Cremlino
su tutta l'architettura russa si fece sentire anche più tardi quando
predominò la “ corrente folkloristica" che aveva creato il tipo
architettonico della chiesa-campanile.
Dopo la morte di Andrej Rublev si nota in pittura, a Mosca
come in altri centri importanti, una grande assiduità dei vari
maestri nel seguire il cammino tracciato da quel maestro, non
senza tentativi di elevarsi fino a lui.
Nella seconda metà del secolo la pittura segna a Mosca una
nuova ascesa. Rublev fu una vera autorità nel suo campo e fu
anche maestro profondamente onorato; la sua arte non solo fu
apprezzata, ma si prestò anche ad ulteriori elaborazioni creative;
il suo dipinto La Trinità [t. 86 a] è unico per elevatezza spirituale
e per la cristallina purezza delle forme. Ma i maestri moscoviti
della fine del secolo ottennero un nuovo successo riprendendo
nella pittura i motivi narrativi delle leggende. I seguaci di Ru
blev arricchirono le loro opere con osservazioni tratte dal mondo
che li circondava. L'arte si modellò sempre più sulla realtà, di
venne sempre più ingegnosa, ma non perse per questo la sua
nobiltà. La vita stessa era per i maestri del tempo una leggenda
sacra, capace d'ispirare quei sentimenti elevati che Rublev era
riuscito per primo a rendere cosi efficacemente.
29
Nell'icona di Giorgio, con le storie della sua vita, proveniente
da Dmitròv, della fine del sec. XV (Mosca, Museo Rublev) di mae
stro vicino a Dionisio, è sobriamente delineata la tragica storia
del sacrilego. Nel penultimo riquadro dell'icona il peccatore è
rappresentato mentre compie il suo delitto dirigendo l'arco sulla
immagine sacra, ma nell'ultimo riquadro la sua figura, con la fles
sione appena percettibile del corpo, esprime un pentimento pro
fondo. Un vegliardo, con l'immagine sacra intatta fra le mani, è
immobile davanti al suo giaciglio: la sua apparizione esprime il
trionfo della giustizia.
La letteratura russa, molto più della pittura, era ispirata dal
gusto della retorica che dominava a corte e che era incoraggiato
dalla Chiesa ufficiale. Gli scrivani russi dell'epoca erano premu
rosi nell'imitare lo stile ricercato come l'aveva instaurato Paco-
mio Logofet verso la metà del sec. XV46.
Ma non sarebbe giusto giudicare tutta la letteratura russa di
quel tempo solo in base alle caratteristiche di questo stile artifi
cioso. C'era anche la letteratura popolare che si tramandava oral
mente, sempre improntata a una grande naturalezza e ad una
ingenua umanità; cosi il commovente racconto del principe Pie
tro e della fanciulla Fevronia, semplice nelle parole, pudico negli
accenni velati; nella « Epopea della presa di Bisanzio » il gusto per
la descrizione non esclude le intime riflessioni dell'autore; nella
« Storia troiana » il traduttore è riuscito a comunicare al lettore
russo l'ingegnosità del testo italiano e il fascino sensuale delle
sue immagini. La risonanza dell'antichità ellenica è giunta nella
Russia (come avvenne anche in seguito nel sec. XVIII) indiretta
mente, attraverso l'Italia, seppure nella veste variopinta di un
racconto cavalleresco, e la cesellata eleganza del suo linguaggio
vi ha fatto apprezzare tutta la bellezza materiale del mondo clas
sico; il lettore ebbe dinanzi, quasi tratteggiato dalla ricca pen
nellata di Andròmaco, la sua immagine che « sfavillava di latteo
candore, luceva nello sguardo, nel volto bello, nelle labbra ver
miglie ». Qualcosa di questa narrativa pittoresca e di questo splen
dore è passato anche nella letteratura russa originale e perfino
nella pittura sacra47.
Ma ciò che vi è di più straordinario nella letteratura russa della
fine del sec. XV, primi del XVI, sono i racconti ispirati dagli avve
30
nimenti contemporanei che si intrecciano sulla trama della cro
nistoria. Nella epopea della « Caduta della città di Pskòv » la de
scrizione precisa, asciutta, ragionata, di tutte le peripezie che
hanno luogo negli ultimi giorni d'indipendenza della città, si chiu
de con un commiato lirico; la città è simbolicamente concepita
(o immaginata?) da una personificazione, specie di genius loci
dell'antichità classica. L'autore rivolge a questa figura il proprio
lamento accorato, ed ella, con la sua presenza, eleva il racconto
a dramma storico48. Anche nella descrizione della fine di Basi
lio III vi è un senso di alta poesia, senza traccia dei vecchi schemi
tradizionali, delle convenzionalità, senza le formule retoriche dei
cosiddetti "lamenti". La narrazione è sostanziosa, scorrevole, pre
cisa, spesso quasi protocollare. Passo passo, ora per ora, vi si
parla del principe che cade ammalato, degli avvenimenti che oscu
rarono i suoi ultimi giorni, della crudeltà del fato che non volle
risparmiarlo, e uno stesso pensiero sovrasta il racconto: la fragi
lità dell'uomo dinnanzi alla morte. E tanto più l'autore ne è tur
bato, in quanto l'eroe del racconto è colui che rappresenta Dio in
terra, l'onnipotente sovrano, e s'insinua, nella sua coscienza, an
che il pensiero di una giustizia superiore, che egli sente profonda
mente e in modo istintivo nell'intimo 49.
31
presentanti i metropoliti moscoviti Pietro e Alessio solennemente
maestosi, in una corona di scene tratte dalla loro vita e che illu
strano “con alto verbo" la leggendaria attività dei due eminenti
gerarchi della Chiesa [t. 88 b]. Lo stesso Dionisio aveva ridipinta
l'icona bizantina con la Vergine Maria, danneggiata da un incendio
(Galleria Tretjakov), nella quale opera mostrò di sapersi subordi
nare al rispetto dei canoni tradizionali. Questo pittore è anche
l'autore di una serie di splendide icone provenienti dal monastero
del Salvatore di Kàmennoije, la più notevole delle quali è una
Crocifissione [t. 88 a] dalle figure eleganti e slanciate tra cui sono
dipinti raffinati angeli in volo, tanto che la mestizia che dovrebbe
suscitare questo soggetto è dispersa da un senso radioso di armo
nia e di bellezza.
Ma la fonte più importante per la conoscenza dei lavori più
cospicui di Dionisio, è il ciclo degli affreschi nella Cattedrale al
monastero di Feraponte, il solo pervenuto fino a noi, mentre altri
simili cicli non si sono conservati. Poiché la chiesa era stata de
dicata a Maria, tutte le rappresentazioni sono ispirate alla sua
glorificazione. Nulla accade in queste scene, non vi è alcuna dram
maticità, e vi è poco movimento; prevalgono le scene in cui le
figure vivono nella collettività. Le vesti sono chiare, le tinte squil
lanti, gaie, armoniose. Gli affreschi sono ben distribuiti sulle pa
reti e sulla volta e sembrano quasi fondersi tra loro attorniando
lo spettatore da ogni parte. Questo ciclo spira una grandiosità
solenne e serena. Nonostante la composizione severa e sobria del
l'insieme, rivela una grande sensibilità nella sfumatura delle tin
te, e una liricità cosi tersa che non apparirà mai più nella pittura
murale russa, dopo la scomparsa di Dionisio.
Non si può dire che la personalità artistica di Dionisio abbia
un grande rilievo. Forse questo si spiega col fatto che il numero
delle opere sicuramente sue è limitato, che la maggior parte è
perita ed è nota solo attraverso la citazione delle cronache e delle
vecchie fonti; inoltre anche quel poco che si è conservato non è
sufficiente per dare una completa panoramica dello sviluppo della
sua personalità creativa. C'è anche da ammettere che gran parte
delle opere che vanno sotto il nome di Dionisio è in realtà dovuta
ai suoi allievi, aiutanti e seguaci e, in alcuni casi, a pittori suoi
contemporanei, tutti abili artefici.
32
Nelle fonti, accanto al nome di Dionisio vi sono anche altri
nomi: il pittore Mitrofane, più anziano di lui e i suoi seguaci: il
vecchio Paisij, il pope Timoteo, Jariez e Konija, i figli di Dionisio,
Teodosio e Vladimir, e i nipoti di Giuseppe Volotskij, Dosifeo
e Vassiàn50. Mancano elementi per dare un'attribuzione sicura
alle molteplici opere anonime della sua scuola, e vi è poca spe
ranza che si possano un giorno trovare documenti o testimonianze
suscettibili di trasformare l'anonima storia dell'arte russa antica
in storia dei vari pittori simile a quella dell'arte italiana. Comun
que, sempre con l'appoggio di dati sicuri, nei monumenti dell'arte
russa dove è manifesta la collaborazione di maestri diversi, si può
affermare senza paura che nella cerchia di Dionisio vi furono altri
pittori per nulla inferiori a lui.
Capita spesso, nella storia dell'arte, che i contemporanei ab
biano messo in rilievo e posto più in alto degli altri le creazioni
di un dato artista, senza notare e valutare abbastanza le opere di
altri, che per nessuna ragione appaiono inferiori ai primi. In casi
del genere il giudizio dei posteri è chiamato a riscattare tale tra
scuratezza. Cosi i contemporanei avevano molta stima di Diirer
e pochi avevano parole di lode per Grunewald. Dovevano passare
ben quattrocento anni perché venisse riconosciuto il genio di
Grunewald e fosse stabilita la sua ammirabile maestria in pittura.
Per quel che riguarda Dionisio, è difficile dire perché fu proprio
lui ad essere valutato più degli altri. Tuttavia, a dispetto delle
scarse notizie che si hanno, si potrebbe pensare che ciò sia avve
nuto: 1) perché il caso volle che Dionisio effettuasse opere di pit
tura di grandi proporzioni negli edifici più importanti dell'epoca,
ad esempio nella Cattedrale della Dormizione a Mosca, nella Cat
tedrale di Rostòv e nella chiesa del convento Iosif Volokolamskij;
2) perché fu in contatto con gli esponenti maggiori del clero, come
Vassiàn Rylo e Giuseppe Volotskij, che si prodigarono ad accre
scere la sua fama, fin da vivo.
Non c'è però una ragione fondata per potere dubitare che Dio
nisio non meritasse tanta fama; si può solo ammettere che, per
il carattere stesso delle sue opere, soprattutto icone destinate alle
iconostasi, era necessaria molta abilità nel conciliare la creazione
personale con i canoni tradizionali, e che in questo Dionisio fu
davvero eccellente. Ma se ci si chiede chi dei maestri russi del
33
l'epoca sia stato più degli altri un novatore, allora sarà bene rive
dere l'opinione dei contemporanei di Dionisio per dire una parola
positiva su quel maestro anonimo che nessuno scrittore dell'epoca
ha mai ricordato e che gli storici d'arte non hanno fino ad oggi
degnato di attenzione.
L'icona dell'Apocalisse [ T a v . X] che si trova nella Cattedrale
della Dormizione nel Cremlino, fece il suo ingresso nella storia
dell'arte russa antica come opera della scuola di Dionisio51. Tale
classificazione è però molto approssimativa; sarebbe come dire
che i ritratti di Ingres sono della scuola di David. Non si conosce
il nome dell'autore dell’Apocalisse, né si hanno dati seri che pos
sano consentire supposizioni di alcun genere. Tuttavia questa sola
opera permette di affermare che l'autore possiede una individua
lità del tutto evidente, un ingegno veramente brillante, e permette
di immaginare, sia pure nei tratti generali, sia l'uomo che l'arti
sta, assegnandogli un posto ben distinto nell'arte contempora
nea: e nello stesso tempo consente di immaginare i fatti della sua
vita, le impressioni della sua gioventù, le ricerche e le afferma
zioni in campo artistico, di cui l'icona è indubbiamente il coro
namento. L'apparizione di questa personalità in Mosca, alla fine
del sec. XV, non è un fatto eccezionale; al contrario, l'esordio del
Maestro del Cremlino — come è stato chiamato per comodità —
è la ragionevole conseguenza di tutto quanto avveniva nella vita
e nella cultura moscovita in quel tempo. Senza l’Apocalisse la pa
noramica di quest'epoca gloriosa sarebbe incompleta e mutilata.
È probabile che il Maestro del Cremlino dovette nascere al
principio della seconda metà del sec. XV, dato che il suo capola
voro, opera di una maturità creativa, deve essere datato poco
prima del 1500. Tra le numerose opere prodotte dalla cerchia di
Dionisio non ve n'è una sola che possa essere considerata come
sua opera più giovanile. È molto probabile che l'artista non abbia
limitato la propria attività alla sola pittura di icone, ma sia stato
attivo anche nel campo dell'affresco, e sotto questo aspetto l’Apo
calisse rivela, caratteristiche di monumentalità. Una straordina
ria esperienza di vita e di attività artistica deve avere preceduto
un'opera cosi profondamente meditata e realizzata tanto abil
mente.
È chiaro che l'autore deve aver visto molte cose, poi ricordate
34
e assimilate e maturate intensamente nella profondità del suo
animo. È anche molto difficile dire chi ne sia stato il maestro
e precettore, chi gli abbia insegnato i primi rudimenti dell'arte
pittorica. Quasi certamente non fu Dionisio, evidentemente più
vecchio di lui di soli pochi anni; è più probabile, invece, che en
trambi fossero allievi dello stesso maestro Mitrofane, oppure che
entrambi fossero usciti da una stessa bottega, come lo furono
Rubens e Jordaéns. Ma se ci si chiede chi fu la sua guida spiri
tuale, l'ideale a cui si è ispirato, è evidente allora che questi fu
Andrej Rublev. Ciò non significa tuttavia che il Maestro del Crem
lino lo abbia imitato o copiato pedestremente: si comprende che
l'autore dell’Apocalisse ha conosciuto e poi ricordato opere come
l'Evangelario miniato Chitrovo, gli affreschi della Cattedrale di
Vladimir, l'icona della Trinità [t. 86 a]. Egli deve avere cono
sciuto di Rublev, oltre a tutto quello che oggi si ha di questo Mae
stro, anche quello che è soltanto citato nelle fonti, come gli affre
schi dei monasteri della Trinità e Andronikov; ma i motivi presi
a prestito da Rublev sono riprodotti dal Maestro del Cremlino
con la stessa originalità e libertà con cui Dionisio si ispirò da
questi motivi negli affreschi del Convento di Feraponte [t. 87, 4].
Sebbene nell'icona dell 'Apocalisse egli si sia ispirato a più riprese
all'opera di Rublev, pure se ne distacca nettamente, e non poteva
essere altrimenti.
Oltre a Rublev, che rappresentò per lui la misura più alta della
perfezione artistica, il Maestro del Cremlino vide anche l'opera
di altri maestri e anche di questi un riflesso rimase nella sua
icona. Innanzi tutto deve avere conosciuto gli edifici del Cremlino
e soprattutto l'armoniosa e maestosa Cattedrale della Dormizione
[t. 90] alla quale era destinata l'icona dell'Apocalisse. Le crona
che dell'epoca riportano che i moscoviti stavano ad osservare,
per delle ore, come l'eccellente architetto italiano Aristotele Fio
ravanti andava smantellando i resti della vecchia cattedrale del
Cremlino, e come sotto le direttive del maestro cominciava a
fervere il lavoro per la nuova costruzione, con l'aiuto di attrez
zature mai viste prima di allora a Mosca, che sollevando i mat
toni, facilitavano l'erezione delle mura. Ma la cosa più notevole
era il nuovo gusto artistico che penetrava allora nella vecchia
capitale dell'impero russo. In mezzo alle dimore più importanti
35
costruite in legno, dagli alti tetti lanciati verso il cielo, fastose e
pittoresche, appaiono gli edifici della Cattedrale e del Palazzo
Granovitaja, creazioni del genio italiano, vera incarnazione dello
spirito rinascimentale.
L'ordine severo si andava affermando nel Cremlino nella dispo
sizione degli edifici e nel tracciato delle strade. Tuttavia non va
dimenticato che a quei tempi una vecchia chiesa come quella di
S. Salvatore al Bosco trovava la sua reale corrispondenza nel
paesaggio: tutto il colle dell'acropoli moscovita si elevava infatti
al disopra di una zona boscosa traversata da un fiume serpeg
giante, mentre tutto intorno erano disseminate basse isbe senza
ordine, e quel grandioso complesso architettonico, e lo spazio
armonioso davanti alla Cattedrale apparivano come un miracolo
d'arte incastonato nell'ambiente naturale di una regione non an
cora addomesticata dall'uomo.
E naturalmente più di tutto dovettero attrarre l'attenzione del
Maestro del Cremlino le opere di pittura che si trovavano nelle
chiese; egli dovette vedere le antiche pitture di Vladimiro-Suzdal
e quelle dei primi pittori moscoviti, e le notevoli icone importate
da Bisanzio, come quella della Madonna di Vladimir e del Salva
tore "dalla stola bianca", il cui arrivo era stato celebrato dalle
cronache contemporanee52.
Egli dovette avere inoltre notato, nella Cattedrale dell'Arcan
gelo, la stupenda icona raffigurante Michele e le sue gesta, opera
di maestro ignoto del sec. XV, e sentito tutto il fascino di quel
l'opera appassionata che era agli antipodi di Andrej Rublev, anche
se il Maestro del Cremlino, più che interessarsi alle gesta guer
riere degli angeli, era in realtà portato a rilevarne la grazia53. Egli
dovette avere anche contemplato nella Cattedrale della Dormi
zione il Giudizio Universale che vi si trova tuttora, accanto alla
Apocalisse, emulandosi nella rappresentazione del medesimo sog
getto. Si può inoltre pensare che il Maestro del Cremlino abbia
avuto libero accesso alle biblioteche principesche di Mosca54 dove
dovettero attrarlo i manoscritti bizantini miniati, splendidi mo
delli di gusto ellenico, che rappresentarono per lui quello che
per gli artisti italiani suoi contemporanei furono le copie romane
delle famose statue e dei rilievi greci.
A quell'epoca giungevano a Mosca anche le icone di Novgorod,
36
e si può supporre che il Maestro del Cremlino non sia rimasto
indifferente nemmeno al genere folkloristico dell'arte novgoro-
diana [t. 92], molte caratteristiche della quale gli erano congenia
li: la gaiezza e la vivacità del colore, cosi diverse dalle caratteristi
che dell'arte bizantina, un po' lugubre nel suo ascetismo (il “ dio-
nisismo" fu spesso rimproverato dal clero alle feste popolari).
E certamente il Maestro del Cremlino dovette avere ammirato
le incisioni, i disegni e i vari quadretti che i maestri italiani ave
vano portato a Mosca. È probabile che molto di questo materiale
sia stato di produzione artigianale, sul genere dei cassoni dipinti,
tanto in voga in Italia durante il Rinascimento 55. Ma al vero arti
sta basta una fuggevole impressione per risvegliare la sua imma
ginazione; guardando questi oggetti egli deve essersi reso conto
delle conquiste compiute dalla scuola italiana, delle forme clas
siche ad essa congeniali, e comprendere com'era nato il realismo
nell'arte occidentale. Deve avere intuito certo negli artisti italiani
la venerazione per quegli ideali alla cui luce aveva lavorato anche
Andrej Rublev, ma che nell'arte italiana apparivano più audaci,
più efficienti e stabili. Dovette anche avere sentito che gli artisti
italiani del Quattrocento avevano superato l'ideale di purezza
spirituale che aveva animato Andrej Rublev, ma a quell'ideale
egli rimase fedele, senza cercare di seguire gli stranieri.
La maggior parte dei pittori seguaci di Dionisio non apparte
nevano agli ordini monastici. In quanto a Dionisio, correva voce
che egli non fosse troppo devoto, e che si fosse permesso qualche
volta di infrangere gli ordini del clero56. Per quello che riguarda
il Maestro del Cremlino è più verosimile pensare che fosse un
laico. Dovette essere uomo di vasta cultura, istruito da molte
letture, e non soltanto sacre.
Su testimonianza di Epifanio il Saggio, all'inizio del secolo i
pittori di icone a Mosca tenevano a copiare con la massima dili
genza un disegno eseguito da Teofane il Greco, che rappresen
tava la chiesa di Haghia Sofia di Costantinopoli, poiché era stata
stimata un'immagine degnissima di essere studiata e riprodotta.
Anche nelle icone migliori del sec. XV è palese una certa timi
dezza dell'artista che si cimentava a seguire il modello canonico,
e che solo in alcuni particolari era permesso variare. Più tardi il
metropolita Macario — e dopo di lui i padri del Concilio dei
37
Cento Capitoli — confermarono ufficialmente che il pittore di
icone non aveva diritto d'interpretare liberamente i soggetti sacri
e che era suo dovere dipingere « secondo la visione profetica o
altri modelli ». Le autorità ecclesiastiche accettavano e apprezza
vano soltanto quei pittori che si mantenevano fedeli a tale pre
scrizione 57.
Il Maestro del Cremlino si rivela invece molto più indipen
dente. Egli ha un suo modo di vedere e di pensare, mantenendo
una sua precisa personalità e una volontà chiara e forte. Era un
uomo del tutto evoluto ed emancipato, e in questo può essere
paragonato ai maestri del Rinascimento che ebbero ciascuno un
linguaggio particolare e una particolare scrittura artistica.
Bisogna pensare che un artista simile non dovette avere in
Russia — dove l'autorità era cosi pesantemente vincolante —
un'esistenza troppo facile. Con ciò egli dovette aver assaporato
la grandissima soddisfazione di essere conscio della propria li
bertà spirituale. La maggioranza, attorno a lui, era abituata a
piegare la schiena, a battere la fronte in terra, e le sole aspira
zioni erano l'obbedienza e la docilità. Egli andava invece a testa
alta mentre il suo sguardo spaziava per un vasto orizzonte; aveva
avuto la rivelazione di molte cose nuove che gli altri ancora igno
ravano, e tutto questo determinava la libera ispirazione delle
opere che andava creando.
L'opera d'arte riflette sempre il concetto che il suo autore si
fa di tutto il mondo; ecco perché è possibile attraverso la sua
opera penetrare nel pensiero di un pittore. Il Maestro del Crem
lino fu indubbiamente sopra tutto un artista per cui il mondo è
qualcosa di unico e inscindibile, di vivo e di armonioso; con tutto
ciò egli non volle adagiarsi sulle conquiste che già erano state
conseguite dai suoi predecessori.
È ovvio che dovette essere al corrente delle affermazioni degli
eretici sul libero arbitrio dell'uomo, e anche delle reazioni della
Chiesa contro i liberi pensatori. Egli stesso fu certamente agitato
dall'interrogativo di quale fosse il posto che l'uomo occupava nel
l'Universo, e tale posto lo vide molto in alto. Probabilmente
sarebbe andato d'accordo con Pico della Mirandola, mentre in
Patria trovò una stessa aderenza di ideali nella persona di Teo
doro Kurizin che, per vie diverse, giunse a una medesima con
38
clusione. Il pittore-pensatore non voleva certo accettare docilmen
te l'insegnamento della tradizione e deirinfallibilità del Dogma,
ma d'altra parte non poteva nemmeno negarlo apertamente.
Come tanti altri suoi contemporanei, l'artista cercò di conser
vare, della tradizione sacra, solo quello che non era in contrad
dizione con la ragione umana; il suo spirito rifiutava il sopran
naturale delle leggende e dei riti, e conservava invece i principi
della saggezza umana, della verità poetica, degli ideali più alti e
dell'intendimento della bellezza e della giustizia. Si potrebbe dire
che egli attingesse ai sacri testi essenzialmente il proprio mondo
poetico, ma non si può escludere che la conoscenza dei libri proi
biti e le conversazioni con i liberi pensatori abbiano influito sulla
formazione del suo concetto dell'Universo, anche se molto vero
similmente egli poi si è andato affinando nella sua intrinseca sen
sibilità di artista per le esperienze particolari della sua stessa
vicenda umana. In un recondito angolino della sua coscienza do
vette serbare tutto quanto aveva diligentemente osservato, stu
diato, vagliato, e queste sue convinzioni personali, profondamente
meditate, dovettero essere per la sua opera quello che le stelle
sono per il navigante.
Per la verità, quando fu dipinta l'icona dell'Apocalisse58, negli
ultimi anni del sec. XV, il tempo era molto propizio alla creazione
di una tale opera. È vero che già si era sollevata a Novgorod l'on
data della reazione contro i liberi pensatori; l'arcivescovo Ghen-
nadio si era adirato, aveva minacciato portando come esempio il
re cattolico di Spagna che aveva crudelmente represso il movi
mento eretico di quel Paese. Ma Mosca, completamente assorbita
dalle preoccupazioni di legare a sé le città conquistate, non vedeva
nessun pericolo nei liberi pensatori. Il granduca moscovita aveva
preso a proteggerli contro i soprusi economici e politici della
Chiesa. I pensatori di Novgorod avevano trovato intanto molti
seguaci a Mosca, tra gli esponenti della Chiesa stessa, tra i fun
zionari governativi, tra i commercianti e perfino nella cerchia
del granduca. Era dalla loro parte anche la cognata di Ivan III,
dopo che Sofia e i suoi partigiani risultarono compromessi in una
congiura contro lo zar, e fu dichiarato erede al trono un nipote,
figlio dell' "eretica" Elena59.
39
Il libero pensiero era anche penetrato nella cattedrale del
Cremlino, e fu sostenuto dai protopopi delle due chiese più im
portanti, Alessio e Denisio della cerchia dei liberi pensatori di
Novgorod; ma i loro nemici stavano preparando la vendetta, e
nel 1490, su istigazione di Ghennadio, fu indetto un concilio con
tro l'eresia. Ghennadio non era presente, ma i suoi mandatari as
salirono brutalmente il protopope Denisio, nella cattedrale stessa
del Cremlino, durante lo svolgimento della funzione sacra.
Questo però non portò alla resa dei liberi pensatori60. I loro
accusatori non riuscirono a svolgere il programma come avevano
desiderato, mentre il governo di Mosca continuò ad appoggiare
i liberi pensatori. Ma da una parte e dall'altra si stavano concen
trando le forze e si cercava di attrarre le autorità nel proprio
schieramento. Alla discordia religiosa erano associati anche inte
ressi materiali, rappresentati dal problema dei beni demaniali
della Chiesa. Solo più tardi il governo di Mosca acconsenti a scen
dere a trattative con i rappresentanti ufficiali della Chiesa; il clero
dovette allora rinunciare alle rivendicazioni teocratiche e fare
atto di sottomissione allo zar, e fu proprio questo accordo a
segnare una svolta nella relazione tra Stato e Chiesa, in virtù dei
vantaggi reciproci che ne erano scaturiti e che determinarono la
nuova posizione della Chiesa russa in seno allo Stato moscovita.
L'interesse suscitato dall’Apocalisse va datato all'anno 1492
(anno 7000 dalla creazione del mondo) nel momento cioè in cui si
era in attesa della “fine del mondo". La certezza di questa fine
era tale che non si volle più nemmeno conteggiare i giorni per le
feste pasquali, che sarebbero seguite a quell'anno. In quell'occa
sione i liberi pensatori si erano schierati contro l'attesa della fine
e avevano poi festeggiato solennemente la loro vittoria. E noto
che il metropolita Zosimo accusato d'eresia sperava nell'anno
7000 l'avvento di un regno di giustizia (un'idea molto prossima
al Giacchimismo). Nell'icona dell'Apocalisse non c'è risposta a
questo interrogativo. Vi è riflesso qui soltanto il vivo interesse
dei contemporanei per la finalità della sorte umana in genere,
come fu rivelato anche più tardi nelle note missive inviate dal
monastero di Eleazàr, indirizzate allo zar Basilio III. Le autorità
ecclesiastiche non avevano ancora detto la loro parola in merito
40
alla questione della fine del mondo; si era in pieno clima di opi
nioni discordi e contrastanti, un'atmosfera veramente propizia
all'artista e alla sua meditazione, e al pensiero volto intesamente
alla creazione.
Nulla permette oggi di ritenere che il Maestro del Cremlino sia
stato un seguace dei liberi pensatori di Novgorod. Già non lo era
per il fatto stesso che questi erano giunti nella loro estrema nega
zione della tradizione sulle soglie dell'iconoclastia, decisi a infran
gere tutte le rappresentazioni sacre, cosi come accadde in tutti i
tempi e presso tutti i popoli. Tuttavia nessuno degli artisti a lui
contemporanei fu più impressionato dal libero pensiero, e non è
azzardato dichiarare che se non ci fosse stato il movimento dei
liberi pensatori di Novgorod, l'icona del Cremlino non sarebbe
mai stata creata. Il mirabile artefice ha saputo valersi delle circo
stanze tanto propizie per esprimere i più segreti interrogativi che
preoccupavano la sua epoca.
Fu quello un momento felice nella storia della Russia come
per l'arrivo sempre meraviglioso della primavera. Gli uomini fe
steggiavano la vittoria sui pregiudizi, i loro occhi spaziavano per
nuovi, più vasti orizzonti e si risvegliavano le forze creative del
popolo. In momenti simili gli artisti russi avevano sempre creato
opere molto significative, di una grande purezza morale e di una
calda umanità. Opere che destavano il pensiero, accendevano i
sentimenti, lusingavano con nuove prospettive e che avrebbero
potuto ispirare i posteri per lunghi anni ancora, se la mutevo
lezza degli eventi storici non avesse stroncato le condizioni di vita
propizie a quel libero pensare, e se le autorità non avessero, in
nome di varie immaginarie ragioni, ripristinato quanto era stato
bandito per limitare nuovamente e ostacolare con una nuova dog
matica la libera creazione e il progredire di un popolo tanto
dotato naturalmente.
Il Maestro del Cremlino ebbe la ventura di potere approfittare
di un breve momento di libertà storica per dire la sua parola con
aperto coraggio, pur gustando la gioia della libertà creatrice, a
differenza di quanti, anche fra i più dotati, furono costretti a
operare negli anni più tetri della reazione.
Non sappiamo quanto sia stata apprezzata l'opera del Maestro
del Cremlino, comunque nessuno osò levare la voce contro di essa
41
con l'accusa di "indipendenza di pensiero", mentre, mezzo secolo
più tardi, il cancelliere Viskovatij lanciava tale accusa contro le
icone dei maestri di Pskòv nella Cattedrale dell'Annunciazione,
sebbene questi fossero di gran lunga più sottomessi alla tradi
zione del Maestro del Cremlino. Quest'ultimo non ebbe la fama
di Dionisio, ma forse il fatto che non fu notato fu un vantaggio.
L'icona, incamerata nella Cattedrale della Dormizione, per la
quale era stata espressamente creata, vi si è conservata in modo
prodigioso fino ad oggi. Col passare degli anni si era finito infatti
quasi col dimenticarla, e una spessa, scura patina di olio e di
fuliggine l'aveva coperta a sguardi indagatori. Qualche artista
si sarà pure ispirato ad essa, ma essa non divenne mai un mo
dello da tutti riconosciuto, come lo era stata la Trinità di Rublev.
Quando a Mosca divampò la lotta contro i liberi pensatori, il
loro clero, seguito dagli esponenti del governo, denunciò ovunque
le negazioni del dogma, inseguendo i ribelli per riportarli in
"acque pulite", ed esigendo punizioni volse la propria attenzione
sopratutto alle icone della Cattedrale dell'Annunciazione. L'icona
della Cattedrale della Dormizione si sottrasse, fortunatamente,
all'accusa di eresia. Essa divenne proprietà assoluta e tradizio
nale della cattedrale moscovita, cominciò ad essere considerata
una veneranda reliquia.
Alla fine del sec. XIX, F. I. Buslàiev iniziò gli studi sull'Apo
calisse nei manoscritti russi miniati, facendo scrupolose ricerche
in tutti gli archivi russi e raccogliendo gran copia di materiale
e, per spiegare alcune caratteristiche della miniatura russa dei
sec. XVI e XVII, fece pure riferimento alle miniature bizantina,
romanica, gotica e a incisioni più tarde. Ma l'icona del Maestro
del Cremlino non si trovò nel suo campo di azione, né venne ricor
data in alcun modo.
Dopo la Rivoluzione di Ottobre, quando finalmente tutti i mo
numenti della Russia antica divennero oggetto di studi, l'icona
délYApocalisse venne definitivamente restaurata e pulita61.
Sfortunatamente il primo tentativo di restaurare il dipinto,
risalente all'epoca che precedette la Rivoluzione, non fu coronato
da successo. Nel togliere alcuni strati di pittura posteriore, la
pittura antica fu seriamente danneggiata, e, in conseguenza, l'ico
na ci è giunta in cattivo stato di conservazione: sono andate per
42
dute alcune parti del lato sinistro e danneggiate diverse figure,
alterate le forme, calcati troppo aspramente alcuni contorni; ma
nonostante i danni subiti, le qualità artistiche dell'opera sono
rimaste evidenti62. La sua appartenenza alla scuola di Dionisio
non trovò oppositori, e con tale classificazione è stata riprodotta
fino ad oggi.
A parte qualche generico scambio di opinioni degli storici
d'arte, in tanto tempo nessuno aveva intrapreso ancora uno studio
attento per leggervi "la notizia di un lontano passato" che l'artista
ha saputo tramandare. I numerosi visitatori della famosa catte
drale del Cremlino possono dare soltanto uno sguardo di sfuggita
a questo capolavoro dell'arte. Situata in un angolo buio, semi
nascosta dai monumenti sepolcrali, è scarsamente visibile ed è
difficile raggiungerla per farne esame di un attento studio. Si può
soltanto notare che vi sono rappresentate molte figure, ed è a
questa caratteristica che si limita l'articolo introduttivo della
pubblicazione dell'Unesco, « Antiche icone russe » 63.
È giunta l'ora di riscattare questa ingiustizia storica. L'obbiet
tivo fotografico e i nuovi mezzi tecnici hanno permesso di stu
diare gran parte di quello che il mirabile artefice aveva creato,
ricostruendo, pezzo per pezzo, questo poema pittorico.
Allo scopo di meglio comprendere ciò che si era ripromesso
di esprimere l'artista in questa opera, è necessario penetrare il
significato del soggetto trattato, dove la meditazione filosofica è
stata magistralmente espressa in linee e colori.
43
dava adito a troppe libere interpretazioni portando lo spirito
oltre i limiti del dogma.
L'Apocalisse, infatti, diverge decisamente dalla maggior parte
dei libri sacri. Nel suo testo medesimo si trovano i presupposti
del suo significato simbolico. Giovanni vede l'Onnipotente che
siede in trono, e attorno a lui sette candelieri; l'Onnipotente regge
nella destra sette stelle, ed è egli stesso che svela a Giovanni l'ar
cano: le sette stelle sono i sette angeli custodi delle sette Chiese,
i sette candelieri sono le Chiese medesime (Ap., I, 20).
Il carattere di questa narrazione ha portato coloro che vol
lero spiegarlo a cercare riferimento nelle cose più varie. L'Apo
calisse fu molto commentata in Occidente in modo allegorico.
S. Agostino credette d'indovinare nell'effigie femminile la Chie
sa, e in quella delle dodici stelle gli Apostoli, nell'immagine del
la luna il “ Logos", ecc., ecc. Questo modo di interpretare il testo
lasciò una grande libertà alla fantasia dei commentatori. Il com
mento allegorico fu poi controbilanciato dal tentativo di spie
gare le immagini poetiche con gli avvenimenti contemporanei.
Se per il popolo ebraico Babilonia si riferì alla dominazione del
l'Impero romano, per il papa Gregorio VII la “fiera uscita dagli
abissi" si riferì a Enrico IV, suo nemico mortale65. Sopratutto
al tempo della Riforma era molto diffusa l'abitudine di ravvici
nare fatti di attualità con immagini dell'Apocalisse, e se ne servi
rono moltissimo eretici e protestanti nel conflitto col papato; cosi
Babilonia fu per loro la Roma invisa dei papi, e la presa della
città santa da parte dell'Anticristo fu un accenno, sempre per
loro, dell'assedio di Vienna da parte dei turchi. I protestanti
inglesi ricorsero alle immagini dell'Apocalisse per denigrare gli
Stuart. Lo stesso avvenne in Russia. La cronaca, parlando di Ba
silio III e di Ivan il Terribile, accenna velatamente al testo
dell'Apocalisse66. Gli abitanti di Novgorod soprannominarono
Ivan III l'Anticristo, e quelli di Pskòv Basilio III, mentre i “vecchi
credenti" riferirono tale denominazione al patriarca Nikon e a
Pietro I. È anche vero che tutto questo non è un commento del
testo ma si presenta come un tentativo di valutazione degli avveni
menti contemporanei a mezzo di immagini dell'Apocalisse67.
Altro fu l'atteggiamento dei teologi orientali nei riguardi del
44
l'Apocalisse. Godette di molta autorità tra loro l'opera « Com
menti all'Apocalisse » di cui fu autore Andrea Cesariano68; que
st'opera fu nota anche in Russia e venne incorporata nel sec. XVI
nelle "Grandi letture mensili" del metropolita Makarij 69. Cesa
riano non ricercò riferimenti con l'epoca a lui contemporanea;
al contrario, fu piuttosto portato a generalizzare ogni singola im
magine dell'Apocalisse. Egli parti dal concetto del triplice aspetto
di quest'opera, cosi come aveva fatto Dante nei riguardi della
Scrittura Sacra, e vide nell'Apocalisse un'analogia con la natura
umana medesima. L'uomo, secondo lui, consta di un corpo, dello
spirito e dell'anima; allo stesso modo, nel testo le parole capite
letteralmente possono paragonarsi al corpo, l'immagine suscitata
è invece l'anima e, infine, lo spirito è quello che porta a percepire
il futuro. Pur riconoscendo la polisemantica del testo dell'Apoca
lisse70, Andrea Cesariano tentò di decifrare le singole immagini
secondo tale schema, anche se ammise la divergenza di vari mo
tivi: « non tentiamo ancora di capire ogni cosa letteralmente e
non vi poniamo mente, ma desideriamo piuttosto di volgere l'in
telletto verso le cose future, considerando il presente come cosa
già avvenuta, desiderando il futuro perché cosa eterna... ».
Come opera letteraria è naturale che l'Apocalisse dovette at
trarre i pittori con le sue immagini poetiche. È ovvio che illu
strando un testo cosi oscuro i pittori non si limitarono alla sola
trasposizione in scene figurate del testo. La poesia dei colori do
veva corrispondere pienamente alla poesia delle parole, e in que
sto compito si emularono gli artisti di tutti i Paesi.
Sfortunatamente, nella maggior parte delle opere d'arte sulla
iconografia dell'Apocalisse l'attenzione degli storici si è in genere
preoccupata più a cercare la coincidenza del testo letterario con
l'immagine figurata, che non la creazione artistica. Perfino F. I.
Buslàiev, il quale seppe acutamente leggere il pensiero creativo
dei pittori antichi anche nei soggetti più ligi alla tradizione icono
grafica, si è invece limitato, nel suo studio sulla « Iconografia del
l'Apocalisse », a determinare in quale misura l'immagine figurata
possa coincidere col testo commentato, senza tenere conto che
l'immagine visiva è, per se stessa, già un commento del testo71.
La rappresentazione delle singole visioni dell'Apocalisse, sul
45
tipo deir Adorazione dell'Agnello s'incontrano già nell'arte paleo-
cristiana, sia nella pittura monumentale che nella miniatura.
Sono immagini che glorificano l'Onnipotente72.
I più antichi cicli illustrativi dell'Apocalisse sono le miniature
dei manoscritti73. Nel sec. X fu creata in Spagna tutta una serie
di manoscritti di questo genere, il cosiddetto tipo "Beatus", poi
ché nelle chiese venivano letti brani del testo apocalittico in luogo
di quelli biblici. La particolare caratteristica di queste miniature
è la resa fedele di tutto quello che viene citato nel testo. Bisogna
pensare che i miniaturisti non si immedesimavano troppo con le
scene delle sciagure apocalittiche destinate all'umanità; in queste
miniature non vi è infatti nulla di drammatico, ma prevale invece
l'ingegnosità e il pittoresco. Le folle di popoli sono rappresentate
in abiti dai colori vivaci, gli alberi e le montagne si stagliano con
contorni estrosi. Perfino le scene infernali, con i diavoli nella
geenna di fuoco, appaiono piuttosto divertenti e non comunicano
allo spettatore alcuna inquietudine. Spesso, in una stessa pagina,
è rappresentato il mondo intero, la terra, i vari Paesi, gli oceani,
il cielo dal quale discendono gli angeli in volo, insomma il Cosmo.
Molte di queste miniature non mancano di una certa monumen-
talità, ad esempio quando raffigurano i due profeti, rappresentati
in posa rigidamente frontale, simili ai santi effigiati sulle pareti
delle chiese romaniche. Gli elementi architettonici accentuano
ancora più il carattere monumentale di queste miniature. Queste
antichissime particolarità dell'iconografia dell'Apocalisse si pos
sono anche ammirare in molte icone, miniature e opere d'intaglio,
di tempo però più tardo, a Novgorod.
Nella famosa Apocalisse di Bamberg del sec. X I74, a differenza
del tipo "Beatus" la messa in scena diventa più scarna. L'atten
zione converge tutta sui personaggi che partecipano allo svolgi
mento della scena, soprattutto sugli angeli; le loro possenti figure
con la testa grossa e gli occhi volutamente ingranditi, occupano
quasi tutto il campo pittorico; sebbene alati, hanno un aspetto
umano. Le figure si stagliano con sagome piatte ("stile piatto"
come si esprime il Wòlfflin), e la loro marcata espressività rende
più materializzate, quasi tangibili, le scene.
Nel sec. XI la tradizione delle illustrazioni dell'Apocalisse del
46
tipo “ Beatus" continua a svilupparsi in Europa, in particolare
nella Francia del sud. Un esempio si trova nella cosiddetta Apo
calisse di San Severo (1028-1072). In queste miniature vi è più
movimento, più azione; sopratutto appaiono insistiti i motivi
spaventosi, come la scena in cui si spezza il quinto sigillo del
libro del futuro, o quella in cui appaiono i cavalieri in sella a
cavalli con la testa leonina, tra smarrite figurette di uomini. Allo
stesso modo delle sculture nei capitelli delle chiese romaniche,
gli animali con il volto umano incutono un senso di timore, e
questa impressione è aumentata dal fatto che questi mostri var
cano i limiti del riquadro e ne superano di molto il margine; ma
nello stesso tempo la vivacità dei colori dello sfondo trasforma
ogni scena in uno spettacolo variopinto e piacevole75.
Molte scene tratte dal testo deirApocalisse si trovano anche
nelle vetrate gotiche e nella scultura delle chiese gotiche, specie
in quella di Reims76. Tra le illustrazioni del testo dell'Apocalisse
è notevole un'opera inglese del sec. XIII, la cosiddetta Apocalisse
Douce, nella quale è reso, passo per passo, quasi ogni episodio
della narrazione77. Vi si nota il tentativo di trasporre l'azione
in ambiente contemporaneo: prati verdi, templi gotici, sacerdoti
in abbigliamento dell'epoca, e profeti in aspetto di monaci con
la chierica. Il cavaliere dell'Apocalisse sul cavallo bianco, è il re
apportatore di pace, quello sul cavallo nero è il paladino guer
riero. Efficaci appaiono le scene spaventose, specie quella in cui
si vede il fuoco che si riversa sulla terra. Tuttavia le figure, sia
pure di animali e mostri, sono rese con tanta eleganza da perdere
in parte l'aspetto repellente per sembrare piuttosto degli animali
esotici in un giardino zoologico. Particolarmente graziose le figure
degli angeli dalle vesti lunghe e le ali dolcemente ripiegate; non
vi è più in essi alcuna traccia di quella forza un po' rozza che
negli angeli di “ Bamberg" incuteva timore. Eppure, nonostante la
raffinatezza tecnica, manca all'Apocalisse gotica l'umanità del con
cetto di universo che si trova invece nelle miniature del sec. XI. Nel
manoscritto Douce le scene che si susseguono non sono quasi
affatto legate tra loro, di modo che si perde il "senso cosmico"
degli eventi. L'architettura non incornicia l'immagine, ma vi fi
gura semplicemente; e quasi in ogni miniatura Giovanni appare
47
in qualità di osservatore. A differenza delle miniature romaniche,
l'Apocalisse Douce indica il compiacimento evidente dell'illustra
tore per la propria ingegnosità, che prevale sulla fede nel signifi
cato simbolico delle enigmatiche visioni.
Negli anni 1373-1380, sempre sul tema dell'Apocalisse, viene
creata in Francia la mirabile serie di arazzi eseguiti sui disegni
di Jean de Bruges. Anche se questi arazzi risalgono alle miniature,
possono essere considerati un tentativo da inserire nella serie
monumentale delle rappresentazioni dell'Apocalisse. Strani ani
mali mostruosi suscitano uno sbigottimento che opprime l'uomo;
in alcune scene si possono anche incontrare motivi come quello
dei Giusti che sonnecchiano tranquillamente nei loro letti, e la
giustapposizione dei motivi reali e di quelli fantastici diventa
impressionante. Giovanni vi appare come un misero, commosso
dalle visioni che gli sono rivelate e lo scuotono fino in fondo
all'anima. L'effetto cromatico è poi ottenuto da una gamma di
tinte intense: il cielo a volte è di un blu scuro, a volte di un rosso
sangue78.
Solo mezzo secolo separa gli arazzi di Angèrs dai tentativi dei
grandi maestri dei Paesi Bassi, Uberto e Jan van Eyck, di eternare
nella pala d'altare di Gand l'immagine di una delle visioni di Gio
vanni, l'Adorazione dell'Agnello. Questa volta non si è voluto su
scitare immagini di paura o di minacce al genere umano; nel con
cetto dei van Eyck la visione di Giovanni è simbolo di pace e di
concordia, il trionfo della bellezza terrena nel mondo.
Nelle rappresentazioni paleocristiane dell'Adorazione dell’A
gnello la scena si svolgeva in cielo, ma i van Eyck l'avevano tra
sportata sulla terra, su un verde prato, mentre la Gerusalemme
celeste altro non è se non la turrita Utrecht, e la folla di vecchi,
uomini e donne che avanzano verso la fonte della vita sembrano
proprio i contemporanei del pittore, che effigia pure se stesso.
Gruppi di beati in giubilante processione avanzano verso l'Agnello
eretto sul trono.
Sebbene i soggetti tratti dall'Apocalisse abbiano interessato
specialmente i pittori dell'Europa centrale, anche nell'arte italia
na si possono incontrare tali rappresentazioni, soprattutto nel
tardo Medioevo 79. In questa sfera rientra l'opera di Cimabue nel
48
Duomo di S. Francesco ad Assisi80. Gli artisti italiani non cercarono
di trasferire i motivi dell'Apocalisse in immagini del loro mondo
contemporaneo. Cosi la Grande Meretrice di Babilonia nella pit
tura di Jacobello Alberegno altri non è che una cortigiana vestita
alla moda, in una forma idealizzata, non dissimile da quella delle
virtù e dei vizi che Giotto dipinse a Padova, oppure dalle figure
allegoriche del Lorenzetti81. Non sono i cataclismi dell'Apocalisse
che interessano i pittori italiani, ma gli aspetti degli episodi più
prettamente umani che vi si manifestano. Cosi negli affreschi di
Orvieto il Signorelli ha trasformato l'apparizione dell'Anticristo
in una scena di lotta violenta fra giganti ignudi82. Questa nudità
non vuole rappresentare lo stato naturale dell'uomo, bensì il
senso di ribellione che esplode nell'ora terribile della fine.
Il giovane Diirer, accingendosi a realizzare una serie di xilo
grafie sull'Apocalisse, aveva studiato con cura i suoi predecessori,
in particolare le illustrazioni della cosiddetta Bibbia di Colonia
del 148083. In queste illustrazioni traspare inquietudine e ten
sione, sopratutto in quella che rappresenta i quattro cavalieri
lanciati al galoppo e negli angeli che li sovrastano. I contorni spez
zati delle pieghe nelle loro vesti e l'affollamento stesso della com
posizione suscitano un senso di agitazione.
Il Diirer aveva riportato un grande successo con le sue xilo
grafie sull'Apocalisse84. La sua passione per l'incisione italiana e
in particolare per il Mantegna, gli fu di valido aiuto nella precisa
realizzazione plastica delle sue immagini; il senso di vaga inquie
tudine che emana dalle sue opere è lo stesso che aveva agitato i
suoi contemporanei alla vigilia della Riforma. Il merito princi
pale delle sue xilografie sta nella grande forza di espressione,
nella sincerità che vi è insita e che nasce dall'intimo dello stesso
artista, la capacità di rendere le proprie emozioni. La tradizionale
linearità gotica cosi come i principi della scultura classica vi sono
associati organicamente. In queste incisioni il Diirer ha anche
rappresentato impressioni tratte direttamente dalla vita reale:
la sua donna di Babilonia è una cortigiana veneta vistosamente
abbigliata, da lui più volte riprodotta nel suo album di disegni.
Quasi in tutti i fogli delle illustrazioni sono rappresentati dal
Diirer castighi, tormenti, allarmi, sofferenze e distruzioni, ma, a
49
differenza delle Apocalissi più antiche, il maestro tedesco descrive
l'uomo che reagisce virilmente a tutte le prove che gli sono in
flitte: nulla ha il potere di stroncarne l'energia, e lo stesso artista,
animato da una volontà che lo porta a tutto affrontare con corag
gio, e a rendere tutto attraverso un'energica espressione plastica,
è decisamente diverso dall'uomo medioevale oppresso da enigmi
inspiegabili e spaventosi. Tuttavia l'esuberanza dei particolari
appesantisce la narrazione. Le scene si svolgono tutte sulla terra,
sullo sfondo di paesaggi, sotto un cielo solcato da nubi, cosicché
viene a mancare il senso recondito dell'Apocalisse. Giovanni riceve
il libro dall'angelo e tenta, alla lettera, di inghiottirlo; pesanti can
delieri attorno all'Onnipotente si librano su nuvole vistose. Con
tutto questo, però, VApocalisse del Dtìrer fu considerata dai con
temporanei come l'interpretazione perfetta di quel testo e fu
molto imitata nell'Europa occidentale e orientale nel sec. XV I85.
Per parere unanime dei posteri, quest'opera del Diirer è stata col
locata nel panorama della storia dell'arte come la vera rappre
sentazione delle visioni di Giovanni [t. 98 e 99].
Le illustrazioni dell'Apocalisse mancano quasi del tutto nel
l'arte bizantina e dall'altra parte l'Apocalisse non aveva determi
nato, come i testi evangelici, una solida tradizione iconografica.
Come scrittura non canonica, essa non aveva quasi attratto i
maestri bizantini86. Soltanto singoli motivi della loro pittura ap
paiono ispirati da tale testo, come ad esempio, quello dell'Onni
potente assiso in trono, e il Giudizio Universale87.
Il Maestro del manoscritto bizantino dell'Apocalisse, conser
vato nella Biblioteca Nazionale di Parigi, si era limitato a decora
zioni molto modeste88. Solo dopo il sec. XIV sorse nella Chiesa
ortodossa interesse per quest'opera, che fu inserita nella raccolta
dei testi canonici. La caduta di Costantinopoli riportò alla ribalta
il tema della fine del mondo, ma l'arte bizantina di quell'epoca
non seppe creare qualcosa di veramente significativo. Le minia
ture del manoscritto proveniente dalla Germania « Hortus Deli-
ciarum », della badessa Herrad von Landsberg, appartenente alla
Biblioteca di Strasburgo e bruciato nel 1870, possono illuminare
sul modo di immaginare le narrazioni dell'Apocalisse da parte dei
pittori bizantini del sec. X II89. A giudicare dai disegni conservati,
50
gli elementi dello stile romanico di queste miniature si associano a
quelli prettamente bizantini che ricordano i mosaici dello stesso
periodo. La preminenza non è riservata ai soggetti di carattere
catastrofico o terrificante, ai mostri spaventosi, ma alle scene
solenni e grandiose; prevalgono figure di grandi dimensioni,
disposte in fila, dignitose e gravi; e da queste miniature è facile
immaginare l'effetto prodotto dai mosaici bizantini del sec. XII,
di identico soggetto, in cui prevale sopratutto un rigido dogma
tismo. Le figure dei sovrani sono monumentali, come anche quel
le dell'Anticristo, degli angeli, dei giusti e dei peccatori, e sopra
tutto la figura di Cristo che terge le lacrime agli infelici; il pit
tore evita il grottesco: la donna di Babilonia è una donna impo
nente, seduta in groppa a una fiera raffigurata come un bel drago
da fiaba che sembra uscito da un piatto d'argento sasanide. Sol
tanto nell'effigie di Satana e in quelle dei suoi sudditi vi è qual
cosa di grottesco che ricorda le sculture delle chiese romaniche
e gotiche. In definitiva, la narrazione degli ultimi giorni del mondo
più che suscitare un senso di paura tende ad esaltare la potenza
di Dio.
Quello che gli artisti bizantini erano riusciti a esprimere in
modo più completo ed esauriente era la scena del Giudizio Uni
versale, manifestando cosi il loro più profondo pensiero sul come
intendere l'ultima ora dell'Umanità. Nel loro Giudizio Universale
dei secc. XI-XII non vi è nulla delle forze della natura, non tra
spare alcuna inquietudine, alcuno smarrimento, né vi si paventa
il trionfo delle forze del male, perché si tratta di un mondo in
cui regna la giustizia, in cui tutto è subordinato all'alta Necessità,
in cui ciascuno sarà giudicato secondo le proprie colpe e i propri
meriti. Il dogma dottrinale è racchiuso entro una rigida forma di
rappresentazione. Le figure sono severamente distribuite in vari
ordini, a seconda della loro importanza e significato; al centro,
sul trono siede il Cristo in gloria, ai suoi lati il Battista e Maria
quali intercessori dell'Umanità, mentre gli apostoli — divini con
siglieri — siedono alle loro spalle; la guardia del corpo è rappre
sentata dall'esercito celeste degli angeli; in basso, alla destra di
Cristo, sono i giusti e alcune visioni del paradiso; alla sinistra,
i peccatori precipitati dagli angeli e scene infernali. Tutto è im
51
prontato a questa contrapposizione del bene e del male, della giu
stizia e del peccato, della beatitudine eterna e del tormento
eterno. Nella rappresentazione bizantina della Resurrezione dei
morti sono riflessi alcuni concetti antichi sulla struttura del
mondo, la terra e l'Oceano, quattro angeli a guardia delle quattro
parti del mondo. Nelle scene del paradiso e in quelle infernali si
avverte l'infiltrazione di motivi apocrifi, frutto della fantasia po
polare; non privo di calore umano è il gruppo dei santi che inter
cedono per i peccatori davanti al trono dell'Onnipotente. Di solito
in queste scene bizantine traspare il rigore inflessibile del giu
dice, l'idea della giusta punizione, l'inappellabilità della legge; i
peccatori sono tormentati da Satana e dai diavoli, ma il fiume di
fuoco che fa avvampare l'inferno sgorga dal trono di Cristo.
Il soggetto del Giudizio Universale s'incontra anche nei dipinti
di Kahrie-Djami e a Mistrà, del XIV sec., ma il tipo canonico
non vi è alterato90. Il primo pittore bizantino che noi conosciamo
e che rappresentò il ciclo dell'Apocalisse fu Teofane il Greco; a
questo proposito le cronache ricordano le sue pitture murali a
Mosca, nella prima chiesa dell'Annunciazione che oggi non esiste
più. Dato il temperamento artistico di questo maestro si può
facilmente supporre che la sua opera doveva essere possente e
di grande effetto, ed è naturale pensare che anche nel suo Giudizio
Universale abbia prevalso un senso di tensione psicologica, ter
rore, inquietudine, che egli era sempre riuscito a rendere al
massimo.
Una piccola icona " Cietyriediesij àtnitza", proveniente dalla
chiesa del "Grande Ivan" nel Cremlino, opera della Scuola di Teo
fane (Galleria Tretjakov) permette di immaginare come dove
vano apparire nell'opera del maestro i vegliardi dell'Apocalisse
e i morti risorti nel giorno del Giudizio: illuminati da una luce
invisibile, i volti alterati dallo spavento, coscienti di essere preda
d'una sorte inflessibile e dei loro stessi peccati91.
È questo il poco che si poteva raccogliere intorno all'icono
grafia dell'Apocalisse, quale era presente nell'arte bizantina e
russa nel momento in cui il Maestro del Cremlino si accingeva a
iniziare la sua opera pittorica, nell'icona destinata alla Cattedrale
della Dormizione92.
52
V. IL TESTO E LA SUA RAPPRESENTAZIONE FIGURATA
53
Dopo la prima visione il testo si dilunga nella narrazione del
messaggio da inviare alle sette Chiese dell'Asia Minore [t. 8 e 9],
contenente insegnamenti, minacce, esortazioni. La narrazione,
che occupa il secondo capitolo e parte del terzo, è stata risolta
dal Maestro del Cremlino con precisione ma non alla lettera, limi
tandosi egli alla rappresentazione di sette edifici sacri e sette
angeli posti a guardia di quegli edifici, ed è agli angeli, appunto,
che Giovanni si rivolge. Ciascun angelo regge in mano un rotolo
che racchiude il testo sacro, ma più che rappresentare degli angeli
in atto di leggere i suoi messaggi, il pittore ha raffigurato le città
dell'Asia Minore con i loro geni protettori.
Segue l'apparizione di "Colui che siede sul trono" che dal cielo
si rivela a Giovanni (Ap., IV, 1 sg.), solenne apparizione della
divinità in gloria; attorno al trono gira l'arco celeste, dal trono
saettano le folgori mentre il tuono rimbomba e si odono suoni
profondi, la divinità è circondata da spaventosi animali con tanti
occhi; dinnanzi ad essa sono prostrati i vegliardi. Nel testo sono
citati ancora: "l'apertura della porta del cielo, l'alone colore sme
raldo, un coro di cherubini intorno al trono", ma il Maestro del
Cremlino ha evitato una rappresentazione cosi macchinosa, limi
tandosi alla figura sul trono e all' "apertura della porta del cielo".
I serafini e i simboli in forma di animali occupano una posizione
subordinata e sono immersi nell'alone verde.
In questa unica visione il Maestro ha compreso anche quella
del Figlio dell'Uomo in mezzo a sette candelieri d'oro (Ap., I,
13-14) i quali non sono rappresentati, ma si possono individuare
nei leggeri trattini rossi. È impressionante l'unanimità di atteg
giamenti dei vegliardi biancovestiti prostrati dinanzi al trono.
II Maestro ha inoltre rappresentato gli angeli ritti che non sono
la scorta dell'Onnipotente, ma si ricollegano ai vegliardi, verso i
quali si piegano con benevolenza. Nel testo però non si parla di
queste figure celesti.
« E vidi un Angelo forte che a gran voce esclamava: "Chi è
degno d'aprire il libro e dfaprirne i sigilli?" » (Ap., V, 2). Dal
gruppo degli angeli che circondano il trono si distacca uno [t. 6],
di grande mole, che tende la mano verso il trono in atteggia
mento di chi attende una risposta, un'ala sollevata, stringendo
un rotolo con le parole or ora citate. La contrapposizione delle
54
due figure significa il dialogo tra l'Onnipotente e l'angelo. Non
ricevendo la richiesta dell'angelo risposta alcuna, Giovanni si
amareggia [t. 7]: « Ed io piangevo molto perché non s’era trovato
uno degno d'aprire e guardare il libro » (Ap., V, 4). La figura di
Giovanni, sovrastata dal grande angelo, è quasi confusa con quelle
degli altri angeli chini; le mani chiuse sul volto abbassato, espri
mono la sua tristezza. Egli è rappresentato due volte ai lati di
questa scena: una prima volta solleva fiducioso il viso verso l'an
gelo che reca la notizia, una seconda volta è piegato e abbattuto.
L'atteggiamento degli angeli fa eco alla sua mestizia.
Ma ecco che appare una nuova visione che lo scuote profon
damente: questa volta non appare più il Figlio dell'Uomo, ma
l'Agnello che ne è simbolo [Tav. XI]; degli angeli che lo glorificano
non si vedono più che le ombre immerse nel cerchio colore sme
raldo che circonda l'Agnello. A differenza di quanto appare nel
testo e nell'iconografia tradizionale, l'Agnello è rappresentato una
sola volta; esso non compie nessun atto particolare, non riceve il
libro dalle mani di Colui che siede sul trono, ma è soltanto un
simbolo, non è nemmeno fornito delle sette corna fantastiche e
dei sette occhi come vuole la tradizione, ma è solo una pecorella
docilmente eretta sul trono, che poggia le zampe anteriori sul
libro degli enigmi93. I vegliardi prostrati dinnanzi al trono, con
cordemente al testo, reggono in mano una cetra; per il resto non
si distinguono da quelli rappresentati nella visione precedente.
Secondo il testo essi dovevano essere una moltitudine immensa
[t. 12, 16, 17, 18, 19], ma il Maestro del Cremlino ne ha rappre
sentati ventiquattro.
Mano a mano che l'angelo toglie i sigilli, dinanzi agli occhi di
Giovanni si avvicendano le visioni profetiche. Davanti al trono su
cui è l'Agnello, passano vorticosamente i cavalieri dell'Apocalisse
[Tav. XII], l'uno dietro l'altro. Nel testo è nominato per primo il
cavaliere sul cavallo bianco con l'arco in mano; nell'icona è raffi
gurato l'arco ma nulla sta a indicare che il cavaliere sia il vitto
rioso; il secondo cavaliere è in sella a un cavallo scuro, secondo
la narrazione, ma mentre nell'Apocalisse il cavaliere è armato di
spada, nell'icona porta la lancia; nel testo è detto che a lui è dato
"togliere la pace dalla terra", e i commentatori pensavano che il
colore stesso della sua cavalcatura indicasse il sangue versato;
55
però nella raffigurazione pittorica non c'è niente che confermi
tale simbologia, perché il cavaliere è molto simile al primo; infine
il terzo cavaliere galoppa sul cavallo morello, senza alcun attri
buto. Il Maestro del Cremlino ha poi del tutto evitato l'enigma
tico motivo del testo riguardante il prezzo dell'orzo e dell'avena,
che costituì un vero rompicapo per i commentatori dell'Apo
calisse.
L'innovazione più audace si riferisce all'apparizione della mor
te: secondo il testo i tre cavalieri erano seguiti dappresso dalla
morte che montava un cavallo livido e dietro di lei veniva l'in
ferno; infatti tutte le illustrazioni dell'Apocalisse, comprese quelle
del Diirer, rappresentarono i quattro cavalieri in fila, significando
cosi la minacciosa potenza della guerra. Il Maestro del Cremlino
ha separato invece i tre paladini galoppanti dal quarto cavaliere
sul cavallo esangue [t. 41] che si trascina stancamente dietro agli
altri, seguito dagli esseri infernali e dalle incarnazioni delle scia
gure umane.
L'angelo spezza il quinto sigillo e Giovanni vede « sotto l'altare
le anime di quelli che erano stati uccisi per la parola di Dio » (Ap.,
VI, 9), [t. 26]. Nel testo essi elevano lamenti al Signore chiedendo
gli vendetta per la loro morte, e questa rappresentazione è posta
in relazione ai quattro cavalieri apportatori di rovine; nell'icona
invece si vede Giovanni devotamente chino davanti a un tempio
a cupola, alla cui base è il gruppo biancovestito dei giusti, sim
boli della "luce delle virtù", ma essi non elevano lamenti. In molte
rappresentazioni più tarde, e anche nel Diirer, le parole "furono
loro date stole bianche" sono state intese alla lettera e tradotte
come una distribuzione di indumenti fatta a figure ignude94. Nel
l'icona questa scena è stata omessa, e i giusti uniscono le loro
lodi a quelle dei vegliardi prostrati davanti al trono dell'Agnello.
Ancora una volta il Maestro del Cremlino ha manifestato cosi la
sua indipendenza nella interpretazione del testo originale. Quando
viene tolto il sesto sigillo appaiono i segni celesti: il sole diviene
« nero come un sacco di Cilicia », la luna si fa di sangue, le stelle
cadono a terra, il cielo si accartoccia come fosse un rotolo di
pergamena, gli uomini si nascondono nelle caverne {Ap., VI, 12-
15); tutto questo è realmente rappresentato dal Maestro del
Cremlino, ma secondo un ordine diverso, e viene trasferito là dove
56
avanza la morte sul suo cavallo livido [t. 31]. In quanto al cielo
che viene arrotolato da due angeli [t. 4 e 5] — motivo già noto
nelle profezie di Isaia (XXXIV, 4) — esso corona nell'alto l'intera
rappresentazione, e il Maestro del Cremlino si rifà fedelmente a
un motivo tradizionale bizantino-russo del Giudizio Universale.
La narrazione dei sigilli che si spezzano è interrotta, nel testo
dell'Apocalisse, da un episodio intercalato: levando lo sguardo al
cielo che si accartoccia, Giovanni riesce a vedere i limiti del mon
do [t. 36, 37, 54 e 55]; egli scorge quattro angeli posti ai quat
tro lati della terra che trattengono i venti, e un altro angelo
ancora che li esorta a non recare danno alla terra e al mondo
(Ap., VII, 1-3). In questa scena è un'eco dell'antica rappresenta
zione tradizionale del Cosmo e delle sue quattro parti. Il Maestro
del Cremlino ha trasferito gli angeli nella parte centrale dell'icona,
a lato della fascia mediana, cosicché essi non formano più una
scena indipendente dal resto della narrazione, ma danno vera
mente l'impressione di stare ai quattro lati del mondo, proprio
come il cielo arrotolato comprende in sé tutti gli episodi della
rappresentazione.
Al centro dell'icona, con un rotolo in mano, si trova l'angelo
che esorta i venti a non fare danno al mondo; ma due venti sono
riusciti a svincolarsi dagli angeli [t. 50]: uno sorvola una città
distrutta dal terremoto, disseccando tutti gli alberi, l'altro giace,
come un amorino in ceppi, ai piedi di altri angeli che apparten
gono a un'altra scena.
Le scene seguenti, quella cioè dei centoquaranta "segnati da
Dio", e quella che si riferisce alla elencazione delle generazioni
di Israele, sono state omesse del tutto dal Maestro del Cremlino,
mentre il Diirer vi aveva rivolto una cura particolare. Si potrebbe
spiegare questo con la tendenza del Maestro del Cremlino a rile
vare sopratutto il lato umano generale della narrazione, trascu
rando il movente puramente storico e nazionale.
All'episodio dei "segnati da Dio" fa riscontro nel testo una
nuova visione con grande moltitudine di persone davanti al trono
dell'Agnello [t. 10 e 11], (Ap., VII, 9). I vegliardi sono sempre in
atto di adorazione dinnanzi a "Colui che siede sul trono" e innal
zano le loro lodi. Interpretando ancora il testo in modo personale,
57
il Maestro del Cremlino effigia l'Onnipotente in aspetto di Figlio
dell'Uomo.
Cosi in modo diverso dalla tradizione è trattato anche un altro
episodio: uno dei vegliardi chiede a Giovanni: « Questi vestiti di
bianco chi sono? E donde vennero? », [t. 14 e 15]. Giovanni gli
risponde che non lo sa; allora il primo, parlando a se stesso:
« Questi sono quelli che vengono dalla gran tribolazione, e han
lavate le loro vesti e le han fatte bianche nel sangue delVAgnello »
(Ap., VII, 13-14). Il contrasto tra Giovanni, solitamente vestito di
scuro, a colloquio con il vecchio biancovestito ha un significato
particolare: sebbene appartenga ad un altro mondo, egli si ricol
lega agli altri per mezzo del suo interlocutore e partecipa all'atto
di adorazione comune [t. 13].
Infine viene tolto il settimo sigillo e allo sguardo di Giovanni
appare la duplice natura degli angeli. Un angelo mette l'incenso
nel turibolo d'oro [t. 25] e il fumo dell'incenso si leva fino al
trono; contemporaneamente l'angelo getta l'incensiere a terra e
si odono tuoni e fulmini e avviene il terremoto. Secondo Andrea
Cesariano l'incenso porta in cielo le preghiere dei santi; ma, per
tutta risposta, la severa divinità invia sulla terra la testimonianza
del proprio corruccio: grandine e fuoco mescolati al sangue, in
cendi, montagne infuocate che rovinano in mare e l'acqua diventa
amara e l'umanità muore. In cielo vola un angelo che lancia il
grido « guai, guai, guai verranno agli abitanti della terra ». Il Mae
stro del Cremlino ha riprodotto la prima parte dell'episodio:
l'angelo con il turibolo davanti al tempio ai piedi del Figlio del
l'Uomo ha del tutto sorvolato sull'ira ingiustificata della divinità
e sulle sofferenze umane. Di tutti i cataclismi descritti in questo
capitolo, egli ha reso soltanto il seguente: « e dal cielo cadde una
stella grande, ardente come fiaccola e cadde nella terza parte dei
fiumi e delle fonti » (Ap., V ili, 10) omettendo l'angelo con la
tromba. Invece di tante stelle cadenti, ha rappresentato un fiume
con delle stelle dentro [ T a v . VI e t. 55] che si getta in una caverna
in cui sono nascosti gli uomini. Nel testo è detto in modo confuso
che all'Angelo che vede cadere la stella viene data « la chiave del
pozzo dell'abisso » (oggi si direbbe meglio: dei segreti della sa
pienza). Questo è forse l'unico caso di interpretazione alla lettera
del testo dell'Apocalisse da parte del Maestro del Cremlino; vicino
58
all'abisso si vede un pozzo con poggiata sopra una chiave — in
sostanza un segno geroglifico; evitando di ripetere quanto già
espresso prima (Ap., VI, 12-17) cioè l'oscurarsi del sole, ha rap
presentato invece l'incarnazione delle sciagure umane che avan
zano attraverso il fumo (Ap., IX, 3), le spaventose locuste con
corone d'oro e armature, con volti umani, lunghi capelli e denti
ferini [t. 52]. Essi non portano danno né alle piante, né agli ani
mali, ma tormentano gli uomini che non hanno ricevuto il segno
divino sulla fronte. Nell'icona sono raffigurate anche tre fiere,
che precedono la Morte [t. 41], simili a leoni, piuttosto sgrade
voli, ma non è fatto cenno a che cosa rappresentino. A capo di tutti
questi esseri del male è l'angelo della distruzione [t. 53], (Ap.,
IX, 11) che appare chino vicino all'abisso. È diverso dagli altri
angeli soltanto perché ha la corona in capo e il suo corpo è
esangue.
Il testo dice: « II primo guaio è passato; ma ecco gli tengon
dietro gli altri due » (Àp., IX, 12) ma nell'icona queste immagini
non compaiono. È detto ancora che Giovanni sente una voce
ordinargli di liberare i quattro angeli incatenati vicino all'Eufrate
(Ap., IX, 14). Sono i quattro spiriti del male [Tav. I li] che provo
cano la morte di un terzo dell'Umanità. Andrea Cesariano li chia
ma i “ demoni più perversi" che solleveranno i popoli gli uni
contro gli altri; essi sono stati incatenati vicino all'Eufrate perché
di qui doveva apparire l'Anticristo, ma nell'icona sono solo quat
tro bellissimi angeli che si tendono amichevolmente la mano.
Più oltre si parla dell'assalto da parte dei cavalieri all'Uma
nità: le code dei loro cavalli sembrano serpenti velenosi (Ap.,
IX, 19). Nel dipinto le code dei cavalli non compaiono, ma i cavalli
somigliano davvero a leoni [Tav. XVII]. Davanti agli assalitori
vi è una grande folla e molte figure giacciono a terra.
Dopo tante visioni spaventose, lo stesso profeta deve ora
affrontare una prova: gli appare un angelo terribile [t. 39], il suo
volto è abbagliante come il sole, sul capo ha l'arco celeste, le sue
gambe divaricate poggiano con un piede nel mare, con l'altro
sulla terra, la sua voce è simile al rumoreggiare del tuono e al
ruggito del leone. L'angelo tende il libro degli enigmi a Giovanni,
mentre una voce dal cielo gli ordina di inghiottirlo; « esso è dolce
e promette le dolcezze del peccato, ma sa anche di amaro e fa
59
meritare il castigo », come dice Andrea Cesariano. Anche il pro
feta Ezechiele (Ez., II, 8-10) è stato costretto a inghiottire un
rotolo dove era scritto: "lamentazioni, canti e guai”.
L'iniziato deve sottostare alla prova per potere rivelare agli
uomini il loro futuro.
Ma nell'icona del Cremlino l'aspetto dell'angelo non ha nulla
di spaventoso né la scena suscita angoscia o timore. L'angelo,
chiuso entro un alone di un verde smeraldo pallido, è bellissimo;
Giovanni non appare in atto di inghiottire il volume, ma tende
semplicemente le mani per riceverlo dall'angelo il quale, la mano
levata verso il cielo, esorta Giovanni ad annunciare quanto egli
stesso ha saputo 95.
Al profeta cosi consacrato viene chiesto di prendere le misure
del tempio, in altre parole, gli viene chiesto di conoscere la vera
essenza della Chiesa; ma dato che il soggetto non è traducibile in
immagine, il Maestro del Cremlino lo ha omesso.
A seguito di questo episodio, nel testo viene narrata la storia
di due profeti [Tav. XX e t. 47, 48] che dovevano predicare per tre
anni e mezzo; dopo di che entrambi erano stati assaliti e uccisi
dalla bestia dell'abisso, ma un angelo portò i loro corpi sopra una
nuvola « ma dopo tre giorni e mezzo il soffio di vita che vien da
Dio entrò in quei cadaveri ». E li resuscitò (Ap., XI, 11). I due pro
feti altri non sono che Elia ed Enoc.
Nell'icona del Cremlino questa rappresentazione si rifà alle
storie del profeta Elia, riconoscibile per il cilicio e l'acconciatura
orientale e seguito, come da un'ombra, dal profeta Enoc. Si vede
Elia che predica alla folla, e si cimenta poi con la fiera che lo
assale; intanto sopravviene il terremoto e crollano le torri della
città [Tav. XXI e t. 49], mentre l'angelo porta i profeti sopra una
nuvola.
Il testo dice che a seguito di questo avvenimento comincia il
regno di Cristo, dinanzi al quale si prostrano ventiquattro ve
gliardi (Ap. XI, 16). Ma il Maestro del Cremlino non ha voluto
ripetere una quarta volta la scena dell'adorazione. « E si apri il
tempio di Dio che è nel cielo » (Ap., XI, 19) è detto nel testo;
nell'icona si vede una bianca fortezza rettangolare librarsi in cielo
tra la luna e il sole.
Una nuova misteriosa visione è quella della donna racchiusa
60
nel sole (Ap., XII, 1) contro la quale muove un drago [t. 33]. In
mezzo ai tormenti ella dà alla luce un pargolo che viene sottratto
alla Bestia, mentre la donna fugge nel deserto. Nel frattempo
l'esercito degli angeli sconfigge la Bestia e con essa gli abitanti
degli abissi. Il commento di questo passaggio ha dato adito, in
generale, a due interpretazioni: Andrea Cesariano pensava che la
donna che aveva dato alla luce il pargolo fosse la Madonna, men
tre Metodio di Patmos nel proprio scritto « Il festino delle dodici
vergini », affermava invece che doveva rappresentare la Chiesa e
che la luna, sulla quale poggia i piedi, debba intendersi come una
allegoria della fede96.
Nella raffigurazione del Cremlino, l'immagine della donna entro
un'aureola rossa poggia effettivamente i piedi sullailuna [ Tav.XVIII ],
ma non appare il pargolo97. Il drago dalle molte teste spalanca
minacciosamente le fauci, ma non osa avvicinarsi. Il testo con
tinua ancora: « Ma furon date alla donna due ali di aquila grande,
perché volasse nel deserto... lungi dal serpente » (Ap., XII, 14).
A differenza di tutti gli altri illustratori dell'Apocalisse, il Maestro
del Cremlino ha rappresentato molto sobriamente questa visio
ne 98. Vicino alla figura racchiusa nel sole, ve n'è un'altra con le
ali, che planando leggera sembra voglia varcare i limiti dell'icona
stessa [t. 34]. La lotta dell'arcangelo Michele con il drago (Ap.,
XII, 7) è una scena indipendente dalla precedente [Tav. XIII];
angeli su cavalli bianchi ricacciano vittoriosamente una moltitu
dine di esseri diabolici in una grotta.
Ed ecco una nuova visione offrirsi agli occhi di Giovanni. No
nostante la vittoria del bene sul male, un mostro con sette teste
esce dal mare; il drago gli dà la potenza e gli uomini lo venerano,
mentre egli sconfigge i santi; gli uomini sono sottomessi e segnati
(Ap., XIII, 1-18). Questo episodio era generalmente narrato con
dovizia di particolari nelle miniature, ma nell'icona del Cremlino
non appare affatto.
Un'altra visione è quella dei tre angeli che chiamano a raccolta
gli uomini, annunciano loro il prossimo giudizio e la caduta di
Babilonia [t. 43], e ammoniscono i fedeli a non accogliere l'Anti
cristo (Ap., XIV, 6-9); nell'icona gli angeli hanno in mano dei
rotoli su cui sono scritte le parole dell'annuncio. Al contrario del
testo, tutti e tre gli angeli poggiano i piedi sulla terra.
61
Una serie di visioni fa seguito all'ammonimento celeste. Il Fi
glio dell'Uomo, seduto sopra una nuvola, regge in mano la falce:
è il preannuncio del Giudizio Universale. Secondo Andrea Cesa-
riano, « la falce era destinata a colpire i più disonorati ». Per
mostrare lo sdegno divino un angelo taglia le viti sulla terra (Ap.,
XIV, 19-20), e l'uva viene gettata in un tino immenso [t. 32, 33]
« ... e ne usci tanto sangue da alzare fino alle briglie dei cavalli... ».
La figura di Cristo con la falce è rappresentata nel mezzo della
zona centrale dell'icona; la falce che regge in mano si distingue
appena. L'angelo che taglia le viti, nel lato sinistro della stessa
zona, non ha rapporto con la figura centrale; egli è chino sopra
un sarcofago riempito di terra rosso vermiglia, dove cresce la
vite. Seguendo il testo, gli angeli escono dal tempio con sette
coppe, colme di piaghe che l'ira divina invia sulla terra e che
esalano fumo (Ap., XV, 7-8). Nell'icona angeli biancovestiti escono
dal tempio, ma non portano coppe. Il testo ricorda ancora uomini
su un mare di vetro « tenendo le arpe di Dio » 99 (Ap., XV, 2), ma
questo gruppo è situato nell'icona [Tav. XIX] davanti al Cristo
con la falce, seduto sul trono (Ap., XIV, 14). In questo modo due
motivi, ricavati da due diverse parti del testo, compongono una
scena di glorificazione simile a quelle rappresentate nella zona
superiore (Ap., XIV, 2-3).
Una voce dal tempio esorta a riversare lo sdegno divino sugli
uomini (Ap., XVI, 1). Nell'icona la voce che esorta è resa con la
rappresentazione di un giovanetto che siede nell'interno del tem
pio; ma non vi è accenno né a piaghe, né a sventure, né a mari
insanguinati, né ad altre minacce (Ap., XVI, 1-21).
L'icona del Cremlino si distingue decisamente, in questo, dalla
maggioranza delle miniature occidentali e russe che illustrano
con particolari pittoreschi gli eventi originati dall'ira di Dio. Nel
testo è detto che il quinto angelo (Ap., XVI, 10) aveva versato la
coppa con le piaghe sul regno animale e che gli uomini impreca
vano al cielo per i malanni che erano stati inviati contro di loro.
Nell'icona invece, il quinto angelo, con un rotolo in mano, appare
sereno nel gruppo dei citaredi 10°. Uno degli angeli con le coppe
indica a Giovanni la donna di Babilonia "madre di tutte le terrene
impurità" (Ap., XVII, 5), incarnazione della Roma invisa agli
Ebrei; le sette teste del mostro che essa cavalca, sono un'allusione
62
ai sette colli della città. Andrea Cesariano spiegava questa figura
come il simbolo del « potere terreno » che dovrà un giorno perire;
ma la donna perversa, nell'icona del Cremlino, non ha nulla di
sgradevole, è solo la figura di una donna con un calice in mano
che, vittoriosa sull'istinto belluino, cavalca la fiera resa docile.
Secondo il testo, un angelo sceso dal cielo cominciò a proclamare
a gran voce: "cadde, cadde, Babilonia” [t. 44], mentre una voce
esortava il popolo ad abbandonare la città sulla quale si sarebbe
abbattuta la rovina e la distruzione (Ap., XVIII, 1-19). Il Maestro
del Cremlino ha fatto a meno anche di questo episodio; per contro,
i suoi citaredi esprimono un grande giubilo (Ap., XVIII, 20). Un
angelo possente, annunciando l'imminente caduta di Babilonia,
getta una grande mola in mare (Ap., XVIII, 21). Più che suscitare
un senso di sgomento, l'icona del Cremlino sembra riecheggiare
di canti e di laudi sacre (Ap., XIX, 1-7).
Il pittore dedica particolare cura alla rappresentazione della
Sposa dell'Agnello [Tav. XVI] (Ap., XIX, 8). Secondo Andrea Cesa
riano questa figura ha vari appellativi: « glorioso regno di Dio »,
« paradiso dei beati », « grembo di Abramo » cui giungono le
anime dei defunti, ma anche « il palazzo » e « le nozze ». Nelle mi
niature anglo-normanne è abitualmente rappresentato un festino
nuziale con la Sposa che siede a tavola abbracciando l'Agnello,
cosi come la fanciulla vergine è rappresentata con l'unicorno in
grembo.
Il Maestro del Cremlino ha separato questo episodio dai pre
cedenti; non ha rappresentato l'Agnello, ma ha situato la Sposa
[t. 28] vicino a Colui che siede sul trono. La donna è vestita di
bianco per simboleggiare la purezza; in mezzo alla stanza vuota
sono i tavoli ricoperti per il festino [t. 27], ma non si vede nessun
ospite. Nel testo Giovanni confessa di essere caduto in ginocchio
per venerare l'angelo; nell'icona Giovanni è in piedi vicino all'an
gelo e si volta a guardare la donna, mentre l'angelo gli parla;
sfortunatamente l'iscrizione che era sul suo rotolo è andata di
strutta.
Poi avviene l'ultimo scontro tra Cielo e Inferno, tra Cristo e
l'Anticristo. Non vi sono segni ammonitori, ma tutto è descritto
con chiarezza; le profezie si avverano, si avvicina l'ultima ora, gli
episodi si susseguono con rapidità caleidoscopica.
63
Nella prima parte delle illustrazioni dell’Apocalisse si era man
tenuto l'ordine rigoroso delle sette ripetizioni tradizionali; ora
non vi è più, negli avvenimenti, una successione precisa, ma le
interpretazioni dell'illustratore si svolgono con maggiore libertà.
Il ciélo si spalanca e si vede il Re dei Re avanzare sul cavallo
bianco [t. 60] (Ap., XIX, 11). Nel testo egli è terribile: i suoi occhi
sono di fuoco, le sue vesti imporporate di sangue, sul capo porta
molte corone, e tra le labbra stringe la spada; trascurando tutti
questi particolari, il Maestro del Cremlino ha fatto del Re dei Re,
seguito dal suo esercito, l'incarnazione della purezza e della no
biltà spirituale.
Tutti i cavalieri sono vestiti di bianco e cavalcano cavalli bian
chi. Non avanzano per compiere una vendetta, ma attestano nella
loro serena e ferma cavalcata la fede incrollabile nel trionfo
della verità.
Un grandissimo angelo [t. 74] ritto sul sole chiama a raccolta
gli uccelli per il macabro festino costituito dagli uomini uccisi
(Ap., XIX, 17-18). Nell'icona, invece, un angelo snello e aggraziato,
non diverso dagli altri, si rivolge ai suoi compagni « rapidi in volo
come uccelli », secondo le parole del Cesariano. Dal cielo gli angeli
assalgono i peccatori e li fanno precipitare in un lago di fuoco.
Giovanni parla poi della Bestia e del falso profeta [t. 76] e
della triste sorte che ha colpito i loro seguaci (Ap., XIX, 19-21).
Questa breve narrazione era stata di pretesto a molti illustratori
per evocare scene di spaventi e di orrori diabolici. Al contrario,
nell'icona, questa illustrazione si mantiene sobria. Per mettere
in evidenza l'aspetto spettrale dell'Anticristo, la sua figura è resa
quasi senza colore, come una specie di grisaille [t. 79]; dalla sua
bocca escono « tre spiriti immondi simili a delle rane » (Ap., XVI,
13); davanti al suo trono si affollano i guerrieri pronti a marciare
sul Re dei Re [t. 77 e 78]; un angelo getta Satana in una buia pri
gione e ve lo incatena per mille anni (Ap., XX, 1-3); e subito dopo,
come fosse già trascorso il millennio, Satana esce dalla prigione
(Ap., XX, 7). Il Maestro del Cremlino sorvola ugualmente sui favo
losi personaggi di Gog e Magog al cui solo nome tutti tremavano
di paura, né ritrae il fuoco celeste che si abbatte su queste forze
del male, ma le rappresenta soltanto nel momento in cui vengono
precipitate nel lago infuocato [t. 80 e 81]. Le scene infernali di
64
questa icona non suscitano terrore alcuno; il diavolo e la diavo
lessa sono piuttosto divertenti e buffi, così come lo è il loro ma
stino e perfino l'animale infernale dalle dieci corna.
Giovanni vede poi un grande trono bianco [t. 66], il Giudice
che vi siede, e i risorti in attesa del giudizio {Ap., XX, 4). Nel testo
questa visione è descritta piuttosto sommariamente, e in molte
miniature è del tutto trascurata. Nell'icona del Cremlino invece
il Giudizio Universale occupa quasi tutta la zona inferiore, ed è
l'espressione del trionfo definitivo della giustizia nel mondo. Il
viso deH'Onnipotente, purtroppo, non è conservato. Egli siede
sul trono e ai suoi lati, in tre file, sono Maria e il Battista, gli
arcangeli, gli apostoli e, in basso, da un lato i giusti che guardano
a lui pieni di speranza, dall'altro i peccatori che vengono sospinti
nel lago di fuoco; più sotto ancora, i morti si levano dalle tombe,
le anime vengono portate fuori dall’Inferno, come figurette infan
tili, a malapena contenute sulla grossa pala della fornace infer
nale. Il Giudizio Universale conclude cosi la narrazione dello
sdegno divino e delle sventure umane. Un posto di particolare
rilievo è riservato nell'icona ai Giusti [Tav. XXIV, t. 72 e 73), alle
« anime di coloro che furori decollati... e quelli che non avevan
adorato la Bestia... e questi vissero e regnarono con Cristo per
mille anni » (Ap., XX, 4); alcuni di essi sono coronati dagli angeli
in volo, e tutti hanno dei rotoli in mano, le cui scritte però sono
anch'esse scomparse.
Il penultimo capitolo dell’Apocalisse è dedicato alla Gerusa
lemme celeste [Tav. XXIII], città ideale simbolo delle più alte
aspirazioni e soddisfazioni dell’uomo, dove non ci sarà mai do
lore, né lacrime, né malattie, che non riceverà luce né dal sole,
né dalla luna, ma avrà una propria luce interiore e in questa luce
avanzeranno i popoli salvi con i loro re terreni, e i suoi cancelli
non saranno mai chiusi né di giorno né di notte, e nulla di impuro
vi potrà mai penetrare (Ap., XXI, 1-27). Il Maestro del Cremlino
ha cercato di rappresentare questa città e l’ha dipinta di forma
esagonale, costruita di gemme, con un angelo a guardia di cia
scuna muraglia; nel mezzo della città si vede il cosiddetto “trono
approntato” e su in cielo, al disopra di esso, i giusti vestiti di
bianco. Anche il fiume, chiaro come il cristallo, vi è rappresentato
con le sorgenti della vita, che sgorgano dal trono dell'Onnipotente.
65
La visione conclusiva di Giovanni comprende nel testo della
Apocalisse più di un capitolo; nell'icona la Gerusalemme celeste
occupa soltanto una stretta fascia, nell'ultima fila, dal lato oppo
sto alla città dell'Anticristo. Colpito da questa visione, Giovanni
ascolta le spiegazioni dell'angelo, e una volta è davanti a Geru
salemme [t. 63] e un'altra volta appare davanti a "Colui che siede
sul trono".
66
uno stesso testo vengano create sempre nuove e diverse illu
strazioni.
Nel rendere i motivi base dell'icona di cui parliamo, il Mae
stro del Cremlino è rimasto aderente al testo dell'Apocalisse e,
in singoli casi, non ha tralasciato i particolari più sottili. Atteg
giandosi a illustratore, egli non ha tentato alcuna nuova inter
pretazione, e la sacra scrittura rimane per lui verità indiscussa;
ma la sua preoccupazione a voler penetrare il vero significato
del testo, non già alla lettera (“ secondo la scrittura'' come si usava
dire allora in Russia), ma col raziocinio (“ secondo lo spirito") lo
porta in realtà a commentare questo testo in modo del tutto
nuovo e creativo. Adottando un ordine diverso nella enunciazione
dei fatti, omettendo alcuni motivi, spostando la loro accentua
zione, egli riesce a dare l'impressione, a volte, di divergere pro
fondamente dal senso tradizionale del soggetto. Con audacia non
comune per quei tempi, il pittore si avvale del diritto di ricreare
liberamente, mediante il ragionamento e il commento, il testo
canonico.
Nell'arte del Medioevo, e anche durante il Rinascimento, molti
pittori dovendo dipingere soggetti complessi, furono aiutati da
teologi, studiosi ed eruditi umanisti che composero per loro sche
mi tematici; cosi anche nel caso di Raffaello, quando si accinse
ad affrescare le Stanze Vaticane, vennero scelti con particolare
criterio alcuni episodi leggendari che dovevano glorificare il papa;
anche la duchessa di Mantova, Isabella d'Este, propose i suoi
temi ai più noti artisti italiani, quando volle che il suo studiolo
personale fosse adornato di quadri allegorici, anche se poi gli
artisti da lei interpellati, nonostante le condizioni allettanti, rifiu
tarono la sua traccia 101.
Per quanto riguarda l'icona dell’Apocalisse, si può affermare
che il Maestro del Cremlino non si era prefisso un vero e proprio
schema tematico studiato appositamente per essere tradotto in
linguaggio pittorico, cosi come non aveva voluto essere soltanto
un esecutore diligente. Egli era invece il creatore del concetto
che il dipinto voleva esprimere, il quale concetto non grava sul
risultato ultimo dell'opera, né tarpa le ali alla fantasia; nulla
infatti denuncia un divario tra idea direttiva e la sua esecuzione,
tra progetto e realizzazione. Quanto più ci si addentra nell'opera
67
tanto più si rimane colpiti dalla fantasia del pittore, dalla sua
spontaneità di pensare e di sognare col pennello in mano; un
pennello docilmente guidato dall’ispirazione, e un'idea che viene
espressa sostanzialmente nella trama pittorica, secondo i motivi
di un’ispirazione che può perfino chiamarsi romantica. La sua
abilità nell’esprimere appieno ogni particolare, nel trasfondervi
la sua personalità, sembra sollecitare ancora più la sua immagi
nazione, comunicando alla sua opera il calore di una gioiosa,
libera creazione.
Rublev e i suoi contemporanei avevano già sperimentato la
possibilità di rielaborare i motivi offerti dalla iconografia tradi
zionale, e questo specialmente era avvenuto per i temi delle scene
evangeliche, anche se venivano appunto mantenuti entro la stessa
tradizione. Temi nuovi, creati per la prima volta, entrano nell'arte
russa, copiosamente, soltanto verso la metà del sec. XVI quando
Ostànija e Jakushka, maestri di Pskòv, cominciarono a creare ico
ne per la Cattedrale deU'Annunciazione. Ma è evidente che questi
nuovi tipi iconografici non vennero elaborati individualmente da
quei pittori ma, per la maggior parte, furono il prodotto di ima
collaborazione e della guida di autorità ecclesiastiche di dotti
teologi.
Il compito che il Maestro del Cremlino si era prefisso era molto
complesso, ma pieno di lusinghe: illustrare cioè per primo un
testo sul quale nessuno si era ancora cimentato in Russia, ed
egli riuscì a superare tutte le difficoltà che le esigenze dell’inven
zione avrebbero potuto far sorgere. L’erudizione teologica e la
diligenza nel rispettarla non avevano ostacolato la sua immagi
nazione creativa, cosi come Dante nella « Divina Commedia »,
pur restando fedele agli insegnamenti di Tommaso d'Aquino che
tradusse nelle terzine del suo poema, non risultò meno un grande
autentico poeta. Il testo dell'Apocalisse servi al Maestro del Crem
lino da traccia su cui far germogliare la splendida fioritura della
sua fantasia.
Nell'Apocalisse sono annunciate catastrofi ineluttabili, in par
ticolare la rovina di Babilonia, già tanto potente; è tutto un
mare di sangue, con oscuramenti del sole, massacri, fame, trionfo
di istinti primordiali, stragi di innocenti, e solo da una tenue spe
ranza filtra un raggio di luce: la speranza che si compia il mil
68
lennio del regno di Dio sulla terra e si affermi la Gerusalemme
celeste. L’autore, Giovanni, è pervaso da inquietudine allarmata,
nel presentimento di cosi gravi sciagure, e, vedendo le lacrime di
tanti innocenti, è pieno di slancio nel sottomettersi al volere del
l'Onnipotente e chinare il capo nella rassegnazione.
Non c'è ragione per affermare che il Maestro del Cremlino si
sia intimamente schierato con i liberi pensatori di Novgorod;
tuttavia i loro insegnamenti hanno preparato il terreno per que
sta opera; difatti la sua vera e grande indipendenza di pensiero,
la sua audacia, non hanno riscontro in nessun altro pittore in
Russia. Divergendo dalla tradizione, egli è riuscito a sviluppare
ulteriormente e in forma concatenata l’idea fondamentale della
struttura del mondo quale era stata fino allora espressa nella
pittura. L'autonomia del pensiero, contro la quale sono insorti
mezzo secolo più tardi i contemporanei di Ivan il Terribile, si
manifesta in quest’opera in modo veramente brillante.
È naturale che, commentando l’Apocalisse, il Maestro del
Cremlino debba aver tenuto conto della sua esperienza personale
come di un fattore decisivo. Nella Russia di quel tempo non esi
stevano certo quelle condizioni ambientali che avevano reso pos
sibile, oltre un millennio prima, l’apparizione delle « Confessioni
di Giovanni ». Gli ecclesiastici avevano atteso la fine del mondo,
ma questa fine non era venuta e così risultò giusto il modo di
pensare degli eretici secondo i quali il Cosmo corrisponde alla
eternità. Intanto il Paese si era liberato dal dominio dei tartari
e questa liberazione apriva nuove allettanti prospettive; la vita
era in progresso e gli uomini cominciarono a ritenere giusto di
potere manifestare la propria personalità. Sensibile e acuto, il
Maestro del Cremlino non poteva non riflettere su questo stato
di cose. Non più rovine, non terrori, non l'irragionevole ira del
l'Onnipotente che si alterna ai singhiozzi di coloro che invocano
la salvezza, che confessano le proprie colpe, non questi dovevano
essere i temi fondamentali dell'arte; le amarezze umane sono
prove passeggere, ciò che importa è che l'umanità esista, viva,
agisca e provi la gioia e la beatitudine che le prospetta il Saggio
Costruttore del mondo; non bisognava rafforzare negli animi la
paura, il terrore, il senso di colpa già troppo radicati negli uomini
di quel tempo; al contrario, bisognava liberarli da quei senti
69
menti che li opprimevano, infondere fiducia nelle loro forze, spe
ranza in un avvenire luminoso, fede nel principio intelligente,
facendo sentire più vicino il “regno di Dio", non in cielo, ma sulla
terra.
È difficile poter dire a quale dei suoi predecessori il Maestro
del Cremlino debba essere riallacciato. Egli deve avere certamente
veduto r Apocalisse di Teofane nella Cattedrale dell'Annuncia
zione: la vivacità d'immaginazione di questo greco geniale, cosi
abile a rendere plasticamente ogni immagine, deve averlo impres
sionato; tuttavia l'arte severa, tragica, ascetica di Teofane non
poteva essergli congeniale poiché egli era assai più vicino a Ru
blev, anche se non è dato sapere se il grande pittore abbia mai
affrescato o dipinto l'Apocalisse: ma nel ciclo di affreschi che egli
realizzò nella Cattedrale della Dormizione di Vladimir, la sua
opera è dedicata agli ultimi giorni del mondo. Rublev fu il primo
a infrangere in questo ciclo la tradizione bizantina, e il Giudizio
Universale non ha più qui il significato di un duro castigo, non
esprime più paura 102. Nelle sue figure, anzi, traspare la speranza
gioiosa, la fede nella misericordia del Giudice, il presentimento
della beatitudine paradisiaca 103. Rublev fu il primo dei pittori
russi che intuì l'eterna aspirazione alla felicità insita nell'animo
umano. Il Maestro del Cremlino ha riconfermato con la sua opera
questa straordinaria scoperta.
Confrontando l'icona del Cremlino con la « Visione di Giovan
ni » si nota come nell'icona manchi buona parte di quanto è con
tenuto nel testo; il Maestro del Cremlino ha preferito piuttosto
ripetere alcuni motivi ed evitare invece del tutto alcuni altri. Il
suo criterio di scelta può essere ravvicinato a quello del suo con
temporaneo, l'eretico Ivan Ciornyj di Novgorod che aveva compi
lato libri dei profeti Isaia, Ezechiele e Daniele, omettendo tutta
la parte fantastica o deprimente che si trova in quegli scritti.
Come si vede il Maestro del Cremlino non è stato il solo ad avere
commentato in modo personale i testi sacri104.
Tornando ora di nuovo al confronto tra il testo e la rappre
sentazione pittorica, si può vedere come in quest'ultima man
chino le scene dei tormenti, degli orrori, delle ingiuste torture,
dei cataclismi sconvolgenti. Rifuggendo da queste rappresenta
zioni il Maestro del Cremlino si differenzia totalmente dal Durer
70
e dai suoi contemporanei; inoltre il Maestro ha anche evitato di
raffigurare animali mostruosi che in altri cicli illustrati dell'Apo
calisse hanno mutato il sacro testo in una raccolta di scene fan
tastiche. Egli evita in particolare di rappresentare esseri ibridi
come l'Anticristo o Gog e Magog; e se nel testo si parla di mostri
egli dipinge invece dei leoni veri e propri, a somiglianza del leone
di S. Gerolamo svincolatosi dalla sottomissione all'uomo. Perfino
nel rappresentare le locuste, egli le raffigura come leoni con teste
umane — alla maniera delle sfingi — i quali non hanno niente
di spaventoso, ma appaiono come leoni addomesticati attaccati
al cocchio. Nemmeno la morte in sembianze di scheletro umano
come appare nella Danza macabra di molti maestri tedeschi e
nell’Apocalisse del Diirer, era di suo gusto; il Maestro del Crem
lino si è limitato a una semplice indicazione, al solo accenno,
senza mettere in evidenza nella smorta figura il particolare sche
letrico delle costole o di altra parte del corpo.
Se dunque il Maestro del Cremlino ha rifiutato di rappresen
tare tutto quello che di orrido era nella « Visione di Giovanni »,
viene fatto di domandarsi che cosa però volle opporre a quelle
visioni spaventose. Nemmeno le scene della beatitudine del para
diso, descritte nella « Vita del beato Andrea »: « ...e la terra di
quel paradiso.... è ornata da fiori svariati »; « fiori profumati che
accolgono il miele... »; « ... viti dall'effluvio odoroso » figurano nel
dipinto; e neppure le spensierate scene pastorali della tarda anti
chità e del Rinascimento, in cui l'uomo si libera, come di un far
dello inutile, delle convenzioni sociali, per tornare alla naturale
semplicità della vita campestre; né vi si trova una raffigurazione
armoniosa del mondo inteso come un'arena aperta ai cimenti del
l'intelletto umano, cosi esaltata nell'opera dei pittori umanisti
del Rinascimento.
Dire in poche parole tutto quello che è raffigurato nell'icona
dell’Apocalisse non è facile, cosi come non è facile indicare quale
significato questa icona abbia avuto per il suo creatore. Si può
affermare però che, contrariamente al testo sacro e alle illustra
zioni che ne avevano dato coloro che lo avevano preceduto, egli
abbia inteso creare qualche cosa che si avvicinasse al mondo
eternato sulle pareti della Cattedrale Dmitrovski di Vladimir,
dove il Creatore è glorificato da Davide e da tutti gli esseri viventi
71
della terra, e che più tardi, trasferendosi nelle icone russe, rispon
desse alla solenne composizione ispirata all'antico inno sacro:
"Per te esultano" e che rappresentava una grande moltitudine di
uomini che aH'unanimità glorificavano Iddio per le bellezze del
creato che rallegrano i loro animi.
Per meglio comprendere in quale maniera il Maestro del Crem
lino abbia risolto il suo problema, è necessario chiarire che cosa
egli abbia inteso per riproduzione figurata dell'Apocalisse. Uno
studioso dell'iconografia dell'Apocalisse cosi si esprime a questo
proposito: « Le parole si avvicendano con forza travolgente,
descrivendo gli eventi più paurosi, ma l'arte del più grande e del
più ispirato tra i pittori deve arrestarsi davanti al compito di
illustrare un libro come l'Apocalisse, creato per offrire un vasto
campo ai ragionamenti più profondi, ma che offre poca possibi
lità all'artista di creare una composizione unitaria105 ».
Questa considerazione è giusta se si fa riferimento all'arte figu
rativa quale si veniva affermando dopo il Rinascimento. Infatti
non sarebbe possibile rappresentare in un quadro solo tutto
quello che è descritto nell'Apocalisse; un quadro moderno dà sem
pre la sensazione di potervi penetrare e quasi di toccare con mano
quanto vi è rappresentato; questo significa che può essere dipinta
una singola scena dell'Apocalisse estratta dall'insieme del testo e
che questa scena verrà raffigurata come avvenuta sulla terra, cosi
come si vede nella pala di Gand, oppure nelle xilografie del Diirer
che descrivono le forze della vendetta che dal cielo precipitano
sulla terra.
Il Maestro del Cremlino non volle limitarsi invece a rappre
sentare una sola scena alla volta. Egli deve avere conosciuto il
testo sacro molto a fondo, forse anche a memoria; deve avere
penetrato di esso ogni parola. Si può immaginare il Maestro men
tre medita sul commento di Andrea Cesariano, specie sulla fase
introduttiva: « Come è e come dovrà essere », che rivela il du
plice senso dell'Apocalisse, il presente e il futuro, cioè quello che
Giovanni vede e quello che dovrà avvenire 106. Anche grande im
portanza deve avere avuto per lui il triplice senso del testo lette
rale, morale e spirituale, narrato per impressionare i sensi, per
suscitare il pensiero, per portare a conoscere il futuro. La possi
bilità, ammessa da Andrea Cesariano, di considerare in vario
72
modo i singoli oggetti, è il retaggio dell'antica filosofia greca, per
cui ci si accosta ad ogni oggetto per gradi, cercando sempre più
di penetrarne l'essenza profonda. La libertà di manifestare senza
restrizioni o costrizioni il proprio pensiero porta a tale conqui
sta, e il pittore libero pensatore del sec. XV ha colto l'occasione
tanto propizia per mettere a frutto questa libertà, accingendosi
a illustrare l'Apocalisse che tra tutti i soggetti sacri era anche il
più adatto a mettere alla prova questa nuova esperienza, in
quanto si rivelava ancora libero da costrizioni dogmatiche, da
formule per sempre fissate.
Da questo presupposto il Maestro del Cremlino tende a rap
presentare un mondo diverso da quello che si potrebbe immagi
nare e in cui fosse possibile accostare in modo concreto ogni sin
golo oggetto; un mondo simile piuttosto a una visione di sogno
che passa come un turbine dinnanzi agli occhi, ma che, nello
stesso tempo, permette di intuire e svelare l'essenza e la legge
dei suoi aspetti più vari.
L'uomo dei tempi moderni, abituato a vedere nei quadri una
unità di tempo e di luogo, non è propenso ad apprezzare il tenta
tivo del Maestro del Cremlino di infrangere questo limite fon
dendo insieme i valori dello spazio e del tempo e rendendo in
modo più completo il senso della vita nei suoi molteplici episodi.
È proprio cosi che i pittori antico-russi intendevano il loro com
pito di rappresentare le più svariate immagini; il tema dell'Apoca
lisse più di ogni altro consente di esprimere con mezzi pittorici il
modo profondo di intendere il mondo e la sua struttura. Né si
può dire che il tempo si sia fermato nell'icona del Cremlino, che
non vi avvenga nulla, che non vi sia contrasto e lotta tra il bene
e il male, tra il brutto e il bello, tra la gioia e il dolore.
Sullo spettacolo eternato nell'icona si leva, come un sipario,
il cielo arrotolato, e allo sguardo si rivela, in un insieme unico, il
presente, il passato e il futuro, gli esseri viventi e i simboli, quello
che è visibile e quello che è invisibile, quello che si può udire e
quello che si può soltanto intuire, ma che esiste comunque e
opera segretamente. Alcune scene sembrano avvolte da una tenue
caligine che sfuma alcuni contorni, ma nell'insieme la verità sul
mondo, sulla natura e sull'uomo è espressa chiaramente. È questo
un mondo complesso, variato, contraddittorio, e la varietà delle
73
sue immagini altro non è se non la varietà delle parti che formano
un'unica entità.
Nonostante l'insistente ripetersi delle cifre magiche, del nu
mero sette sopratutto, l'intelletto umano è dominato, nella
« Visione di Giovanni », dall'impressione del caos trionfante, dal-
l'affastellarsi disordinato degli eventi, dall'insorgere di istinti pri
mordiali, dallo scatenarsi selvaggio degli elementi. In tutto ciò
quasi non resta traccia del mondo armonioso, creato sulla misura
dell'intelletto umano. L'ordine viene ripristinato soltanto nei capi
toli conclusivi, dove l'autore sempre più rinuncia alla evocazione
delle scene drammatiche e alle visioni fantastiche.
La caratteristica del mondo che si apre ai nostri occhi nel
l'icona è quella di un mondo, di una vita cui si era appassionato
il Maestro stesso, non contemplata alla luce sinistra della rovina,
della morte, delle sofferenze, ma piena di attrattive, dispensa
trice di gaudio, aperta alle molteplici attività dell'uomo, di cui
stimola l'intelletto, entusiasma la vista, e che non teme impene
trabili misteri. Nulla vi è di magico in un mondo simile e tutto
segue un ordine naturale. Anche se il Maestro è ricorso qualche
volta ad immagini fantastiche, ciò è avvenuto perché non era
possibile farne a meno in quanto risultava parte integrante della
« Visione di Giovanni »; ma azioni miracolose non avvengono, né
vi sono quelle apparizioni enigmatiche con le quali i maestri russi
illustrarono le storie di S. Nicola, e a cui ricorse anche il Ma
saccio per rappresentare le storie di S. Pietro e che, infine, il
Rembrandt produsse nelle storie di Tobia. Nell'icona il mondo
non è né strano né inaccessibile all'intelletto umano, e tale era
la convinzione dei liberi pensatori di Novgorod che negavano i
miracoli, la santità delle reliquie, e attirarono cosi su di loro gli
anatemi della Chiesa.
Non meno sostanziale è un altro aspetto del mondo eternato
dal Maestro del Cremlino: non si può dire che qualcuno vi do
mini in modo incontrastato, e anche se è vero che la figura di
« Colui che siede sul trono » supera di poco tutte le altre figure,
è anche vero che non le opprime, come accade nel caso del Giu
dice che domina nella maggior parte dei portali romanici; l'icona
in questo diverge pure dalle icone russe con la rappresentazione
74
del Giudizio Universale, nel quale aveva trovato la sua più genuina
espressione il concetto gerarchico del mondo.
NelFicona del Cremlino si può dire che, più che dominare, for
mano dei punti base di riferimento i cerchi — quasi appesi al
cielo per l'eternità — veri punti fissi che rivelano costantemente
la verità e attorno ai quali ogni cosa si agita e si muove: angeli,
uomini, animali, alberi e perfino gli edifici; tutto vive, si sposta,
vacilla, tende a qualcosa, e se c'è calma è calma solo apparente,
in cui è sopita un'energia pronta a manifestarsi nell'intimo. Tut
tavia il movimento e l'inquietudine non ostacolano il formarsi
dell'ordine, della simmetria e del ritmo.
D'altra parte non sarebbe neppure giusto affermare che il mon
do creato dall'immaginazione del Maestro del Cremlino riservi
all'uomo il ruolo principale solo per il significato altamente
umano dell'opera: è la sorte dell'umanità che interessa di più il
Maestro, per questo le figure umane sono in numero preponde
rante e gli angeli stessi hanno l'aspetto di uomini: essi colmano
con la loro presenza l'abisso che separa la divinità dall'uomo; lo
stesso Giovanni è sul medesimo piano degli angeli, e gli angeli a
loro volta sono sul piano del Figlio dell'Uomo; così il Maestro del
Cremlino si avvicina, nel pensiero, a Pico della Mirandola, che
volle considerare l'uomo come un anello di congiunzione tra Dio
e la terra, al centro esatto dell'Universo 107.
Per i liberi pensatori di Novgorod l'uomo può rendersi simile
a Dio in virtù della sua potenza; per i padri della Chiesa l'uomo
può rendersi simile a Dio per le sue virtù 108. Non è facile deter
minare quale di questi due intendimenti prevalesse nel Maestro
del Cremlino. Nell'icona, comunque, l'approssimazione tra Dio e
l'uomo è evidente, né questa approssimazione ha qualcosa d'inve
rosimile, perciò egli evita l'oscuro abisso che separa ciò che è
elevato da ciò che è infimo, tra il cielo e la terra: questo senti
mento di netta separazione aveva tormentato molti pensatori
d'Occidente fin dal tempo del Petrarca, e aveva fatto nascere
nell'animo umano un sentimento di autocondanna, di senso di
rinuncia a ogni bene terreno.
Il personaggio principale nell'icona è la persona di Giovanni
Teologo, sempre ritratto con grande attenzione. Agli inizi del
75
sec. XVI era stato creato in Russia un ciclo di miniature e una
serie di icone con le storie di Giovanni109; nella maggior parte di
esse egli appare come un vecchietto bonario col capo levato al
cielo, mentre detta al proprio discepolo Prokhor il testo del Van
gelo; nelle storie della sua vita appare leggermente curvo, in atto
di compiere miracoli con la mano benedicente, sempre seguito,
come da un'ombra, dallo stesso discepolo.
Nell'icona del Cremlino, Giovanni è un personaggio vivo, che
reagisce in modo aderente a quello che vede o sente; il più delle
volte è uno spettatore attento e sensibile, pienamente cosciente
dell'importanza delle verità che gli vengono svelate, pronto ad
accettare quanto gli viene richiesto; egli viaggia per tutte le parti
del mondo e penetra nel futuro; sperimenta varie sensazioni, si
stupisce, si prostra, venera, piange amaramente [t. 7], intavola
dialoghi col vegliardo [t. 14], ascolta attentamente le spiegazioni
dell'angelo, s'inchina davanti al tempio [t. 24], riceve il libro mi
sterioso dalle mani dell'angelo [t. 29 e 39] e, quasi fosse suo
simile, intavola con lui la conversazione davanti alle mura della
Gerusalemme celeste [t. 63], e l'angelo questa volta è senza l'alo
ne; Giovanni deve anche superare la prova che gli è stata inflitta;
egli tutto osserva, tutto vuol conoscere, senza mai perdere la pro
pria dignità, cosi come Dante, nella « Divina Commedia », sfi
dando il fuoco infernale, valica tutti i gironi del mondo ultra-
terreno, curioso di tutto ciò che vede, sempre pronto a chiedere
e ad apprendere.
Al contrario di Giovanni, il cui volto è reso con chiara evi
denza e in atteggiamenti diversi, il Personaggio che lo esorta ad
intraprendere la vita del profeta, che gli svela i misteri del mondo
e che gli appare in gloria, è tracciato in modo molto sommario,
aderendo cosi al testo, dove è nominato solo come « Colui che
siede sul trono » quasi a far meglio apparire l'impenetrabilità di
questo Essere misterioso [ T a v . XV e XIX]. Ma sia prima che dopo
l'apparire dell'icona del Maestro del Cremlino, quasi tutti gli illu
stratori avevano tentato di concretizzare la figura di « Colui che
siede sul trono » dandogli ora l'aspetto di Dio-Padre dalla lunga
barba, ora quello di Cristo-Onnipotente secondo il Vangelo, qual
che volta perfino indicandolo solo mediante le iniziali del nome;
in alcuni casi poi, rappresentandolo, furono inserite le tre ipo
76
stasi della Trinità, senza tenere conto che nella « Visione di Gio
vanni » il concetto della santa Trinità non esisteva ancora no.
Il Cristo è rappresentato nell'icona con tutti gli attributi tra
dizionali soltanto nell’angolo superiore sinistro [t. 1], cioè quando
è raffigurato mentre consegna all’angelo il messaggio per Gio
vanni; altrove è sempre rappresentato come una figura giovanile
[ T a v . XV], senza attributi di sovranità, senza ima particolare ca
ratteristica, significando con questo di essere soltanto oggetto di
venerazione, principio di ogni cosa nel mondo, l'intelletto che
non ha preso ancora consistenza, il Verbo; per cui questa figura
può essere sostituita simbolicamente dall'Agnello [ T a v . XI], con
il quale però non s’incontra mai nella rappresentazionein. È pos
sibile che questo modo d'intendere la divinità abbia rispecchiato
le idee dei liberi pensatori di Novgorod, anche se il Maestro del
Cremlino seppe esprimerlo in modo da non tradire con troppa
evidenza il ripudio dei dogmi.
Gli altri due personaggi messi ugualmente in evidenza sono i
due « profeti sconosciuti » che si cimentano con coraggio contro
il leone [ T a v . XX e XXI]. Il resto dell'icona comprende folle di
genti, l’umanità in genere. Le persone rappresentate sono, in pre
valenza, le une vicine alle altre, poiché questo non è il racconto
di singoli individui, bensì quello della sorte comune a tutta l'uma
nità, che tutta vive di una vita comune, che ha i medesimi pen
sieri, che sente la propria comunione spirituale. È il principio del
collettivismo che prevale, cosi come prevalse, alla stessa epoca,
anche nelle opere di Dionisio. Mai prima nell’arte russa si era
rappresentata la folla umana con tanto spirito epico, pervasa da
un sentimento cosi unanime, cosi compatta nell’attesa del com
piersi della propria sorte, animata da un medesimo slancio, men
tre nelle opere bizantine, gotiche e rinascimentali, i pittori tende
vano a rappresentare la folla soltanto come una somma di indivi
dui. Non è facile trovare tra le opere dell’arte classica una cosi
grande compattezza, una cosi inscindibile unità, come nella collet
tività umana rappresentata dal Maestro del Cremlino [t. 10 e 11].
Tuttavia questo non significa che l’individuo si perda comple
tamente nel concetto della collettività; qui è il caso di ricordare
le due icone di Novgorod: il Giudizio Universale e la Battaglia
di Suzdal contro Novgorod della stessa epoca, in cui l’elemento
77
individuale è sacrificato a quello della comunità; i tre messi nov-
gorodiani si distinguono dai tre messi suzdaliani soltanto per i
loro attributi, e l'uomo è sottoposto in modo assoluto al ruolo
che gli viene assegnato nell'azione, mentre chi osserva l'icona del
Maestro del Cremlino — non a distanza, poiché allora le figure si
confondono — riuscirà a distinguere, nonostante le minute dimen
sioni, le singole figure, una ad una, e noterà nella folla dei Giusti,
nel Giudizio Universale, il profeta Elia col cilicio, Mosè con i Libri
delle Leggi, Melchisèdec in paludamenti sacri, i re Davide e Saio-
mone con le corone in capo, un padre della Chiesa con la stola
crociata, il profeta Daniele col copricapo orientale, i martiri Gior
gio e Caterina, Nicola con la barbetta bianca, un vecchio dalla
lunga barba, evidentemente Pacomio in saio monacale, e tanti
altri che si possono individuare, oltre che per gli attributi anche
per il loro carattere particolare. È chiaro che ogni figura ha un
nome nel concetto del pittore [ T a v . VII].
Sebbene animate da un unico slancio, queste figure reagiscono
ciascuna in modo diverso: ora scambiandosi le loro impressioni
a voce — come fanno gli apostoli nel Giudizio Universale di Ru-
blev, a Vladimir — ora chinando il capo per meglio concentrarsi,
ora voltandosi a guardare gli altri, e con ciò denotano un'indole
semplice e cordiale; ora invece rinserrandosi in se stessi, per via
di un carattere chiuso e complesso. Il pittore riesce a mettere in
evidenza, con un tratto unico, il momento psicologico di ciascuno
dei suoi personaggi, creando tra loro una grande varietà; è soprat
tutto notevole da questo punto di vista, per la sottigliezza delle
caratteristiche individuali, il gruppo dei « decapitati per la testi
monianza di Gesù e per la parola di Dio », che vengono coronati
dagli angeli: le loro figurette svelte e aggraziate sono animate
da una grande forza spirituale, da tanta coraggiosa decisione;
cosi un vecchio fissa lontano il proprio sguardo sereno e aperto,
la donna che lo segue ha chinato leggermente il capo, il fanciullo,
lì accanto, è commovente per lo sguardo pieno di fiducia; il giovi
netto vicino osserva il rotolo che ha in mano, e nella mente di
tutti è la rievocazione del loro martirio, ma ciascuno di essi lo
rivive a suo modo [t. 72 e 73].
Non meno sottile è la varietà dei vecchi biancovestiti davanti
al trono dell'Onnipotente; tutti sono rivolti a lui, ma mentre
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alcuni sono più composti, più presi dalla partecipazione, altri
sollevano un poco il capo e par quasi che stiano per dire qual
cosa, alcuni si voltano verso i propri vicini; e come sono espres
sive le loro mani, ora strette attorno al ramo di palma, ora tese
e supplichevoli verso il trono! E ancora, nel gruppo dei Giusti
inginocchiati, si possono rilevare delle sfumature, come la figu-
retta con la mano levata, e il giovinetto che poggia la mano sul
petto in segno di profonda venerazione, che sembra rivelare un
animo semplice e puro.
Degne di nota sono poi le tre figure femminili rappresentate
nelFicona, con significato iconografico e simbolico variamente
interpretabile, ma indubbiamente tutte ugualmente espressive. La
prima di esse, la donna di Babilonia [ T a v . XXII], è, sfortunata
mente, male conservata. Come già è stato detto, il Maestro del
Cremlino non ha tentato di collegare in modo evidente questa figu
ra con un fenomeno storico, ma sulla scia della leggenda ha creato
una figura femminile trionfante sul mondo animale 112. Si potreb
be, in un certo senso, ricollegarla alla leggendaria principessa pri
gioniera del drago, liberata da un paladino, se non apparisse, non
già vittima, ma vincitrice della bestia. Il contrasto fra la mole
color rosso vivo della bestia e la figuretta aggraziata di colore
dorato della donna, avvolta in un manto rosso, deve avere attratto
il pittore, anche per la contrapposizione tra lo slancio battagliero
dell'animale e l'imperturbabile e solenne calma della donna.
L'altra figura femminile è quella ritta sulla luna [t. 35] e
assalita dal drago; in essa è meno serenità, maggiore tensione
psicologica: non è una donna trionfante, ma una donna minac
ciata dal pericolo; c'è contrasto tra la ferocia e la brutalità del
mostro e la fragilità della donna; ma il drago non osa superare
il magico cerchio che la racchiude e la tiene prigioniera 113. La
vicina figura, in atto di volare, viene considerata come un perso
naggio diverso, e questa seconda ipostasi ha poco in comune con
la prima. Comunque, questa figura femminile è, nei confronti
della donna di Babilonia, assai più spirituale [t. 34].
La terza — ed è l'effigie femminile più potente — è la Sposa
dell'Agnello [t. 28]; è seduta sul trono, ma ai piedi di « Colui che
siede sul trono ». Il Maestro del Cremlino ha omesso di rappre
sentarla vicino all'Agnello; accanto alla donna si vedono le tavole
79
imbandite per il festino nuziale, e questo vuoto che dà anche
l’impressione del silenzio, aumenta la concentrazione del perso
naggio; in questa solitudine non è però nulla di tragico, ella è
distante dall’alto trono del suo Sposo perché la loro unione è spi
rituale e la sua purezza è ancora più accentuata dalle bianche
vesti che indossa; tende le mani in preghiera, ma non si volge a
nessuno in particolare; è l’incarnazione della femminilità, della
purezza e della castità.
Le figure umane, come si può vedere, prevalgono nell’icona
del Cremlino; ma gli angeli, per il loro significato intrinseco, non
sono da meno. Il tema dell’angelo, che il Maestro del Cremlino
ha ereditato da Rublev, viene in questa opera sviluppato e ar
ricchito.
La rappresentazione degli angeli nell’iconografia cristiana è
quella che è meno soggetta ai cànoni dogmatici, per cui i pittori
hanno avuto sempre molta libertà nell’effigiarla114: ora come
bellissimi giovinetti, ora ispirati alla grazia femminile, compresi
di devozione, sereni o regalmente maestosi, modestamente miti,
pervasi di potenza celeste, fragili e aggraziati gli angeli sedussero
anche l’immaginazione dei maggiori maestri italiani del Rinasci
mento, dal Beato Angelico a Leonardo e Raffaello. Il viaggiatore
russo Simeone di Suzdal, che giunse fino in Italia, ricorda con
molto entusiasmo un angelo ricciuto scolpito in legno, da lui
notato a Ferrara. Rublev aveva dedicato alla pittura di angeli il
meglio del proprio talento; essi rappresentavano per lui l'incar
nazione della purezza spirituale, della nobiltà d’animo, della per
fezione dell’intelletto. Nelle icone della Trinità, create prima di
Rublev, l’umanità rappresentata da Abramo e da Sara, serve gli
angeli; Rublev aveva trasferito gli angeli nella sfera più alta,
dove gli uomini non possono accedere, e ne aveva fatto modello
per l'umanità [t. 86 a].
Nella raccolta attribuita a Giovanni Crisogono (“Zlatostruj”)
si narra come un monaco, durante lo svolgimento della Messa,
giratosi per guardare i compagni in preghiera, vide una moltitu
dine di angeli che, non visti, presenziavano alla sacra funzione.
Secondo questo concetto nell'icona del Maestro del Cremlino, gli
angeli scendono sulla terra, si avvicinano agli uomini e arrivano
perfino a porgere loro aiuto. Nel testo dell'Apocalisse gli angeli
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incutono terrore all'uomo; Andrea Cesariano li confronta con, i
medici che salvano si, ma a costo di « causticazioni e tagli », cu
rando i « sofferenti del morbo spaventoso »; le colonne di fuoco
significano « il terrore che sparge l'angelo e il castigo dell'empio ».
Nell'icona del Cremlino, al contrario, gli angeli sono sopratutto
compagni di viaggio, essi aiutano l'uomo, sono cordiali e pre
murosi e attivi, qualche volta si vedono volare vorticosamente in
cielo, ma più spesso camminano sulla terra come il resto della
umanità; essi sono i guardiani fedeli delle città, aiutano l'uomo
ad elevarsi spiritualmente, frenano i venti, mettono in salvo i
profeti, assieme ai dotti vegliardi rendono omaggio all'Onnipo
tente, e uniscono le proprie lacrime a quelle di Giovanni; spar
gono l'incenso, tagliano le viti, vuotano i tini, sollevano massi,
si armano contro gli empi, sconfiggono lo spirito del male, dopo
aver spaventato Giovanni gli rivelano il futuro, finiscono quindi
per rincuorarlo, gli mostrano il Cosmo — come fece Virgilio che
accompagnò Dante, nella « Divina Commedia » — partecipano al
Giudizio Universale come fratelli amorevoli, e sono essi stessi,
infine, che montano la guardia ai lati del Giudice.
Il Maestro del Cremlino ha messo in evidenza il proprio con
cetto sulla natura degli angeli sopratutto nella scena dei quattro
angeli sulle rive dell'Eufrate [ T a v . I li]; nel testo essi sono ricor
dati assieme agli altri angeli che inviano castighi agli uomini;
Andrea Cesariano ammette che sono un'incarnazione delle forze
del male. Il Diirer aveva rappresentato quattro angeli che colpi
scono gli uomini senza pietà, agitando spade affilate, mentre
dànno loro man forte i guerrieri sui cavalli dalla testa leonina,
e al suolo giace il papa spodestato con il re coronato accanto e
un guerriero gettato da cavallo; su tanta distruzione Iddio guarda
dall'alto con indifferenza, mentre un angelo gli espone i fatti in
attesa di nuovi ordini, e un altro angelo suona la tromba con
fiero cipiglio [t. 98].
Nell'icona del Maestro del Cremlino non c'è il minimo accenno
alla missione letale degli angeli. Andrea Cesariano, riferendosi
agli angeli dell'Eufrate, cita Michele, Gabriele, Urila e Pafaila
« uniti nella gioia della visione divina »; nell'icona i nodi che li
legano si trasformano in nodi d'amore, e l'angelo che dovrebbe
scioglierli è il loro angelo custode, come nella scena dei tre gio
81
vani nella caverna di Babilonia 115. L'immagine dell'amore serve
di svolgimento al tema della Trinità di Rublev.
Nella pittura russa antica esistevano due tipi iconografici di
angeli; il primo è quello che si riferisce alle storie dell'arcangelo
Michele, il guerriero, il cui prototipo si trova nell'icona della Cat
tedrale dell'Arcangelo 116; sebbene la sua storia abbia inizio con
la rappresentazione della Trinità, la sua attività principale è
quella del guerriero: egli lotta con Giacobbe, sconfigge l'esercito
del re empio, libera Pietro dal carcere, rincuora Gesù Navino, con
un colpo di tridente fa zampillare acqua dalla roccia; egli è anche
l'angelo della vendetta e del castigo.
L'altro tipo di angelo è quello che ha avuto la sua piena espres
sione in un'icona del sec. XVI con le Storie della Trinità (Lenin
grado, Museo Russo): tre angeli-viandanti scendono in terra per
porgere aiuto all'uomo, verso cui sono pieni di benevolenza 117.
Essi comunicano ad Abramo e a Sara la lieta novella, la nascita
di un figlio; appaiono anche a Loth, salvandolo dalla città di So
doma, e a Mosè davanti al roveto ardente; un angelo è colui che
protegge S. Giovannino nel deserto.
Questa missione benevola e benefattrice degli angeli non è rap
presentata nell’Apocalisse del Cremlino, ma nel piano generale
dell'opera essi appaiono come la misura più alta della perfezione
umana.
Gli umanisti italiani avevano elaborato una fiorita terminologia
per esprimere in parole il fascino femminile che ai loro occhi era
un riflesso della perfezione celeste; il linguaggio russo dell'epoca
non disponeva ancora di termini adeguati per rendere l'idea di
ciò che gli antichi greci chiamavano kharis. La parola "grazia",
di origine latina, non aveva ancora ricevuto il diritto di cittadi
nanza nella lingua russa. Soltanto dopo Karamzin, la letteratura
russa potè esprimere per opera di Pushkin, ciò che avevano creato
i pittori di icone, sopratutto il Maestro del Cremlino, con i suoi
angeli [t. 43], leggiadri, decisi, dinamici, pieni di slancio generoso
e di spirituale bellezza:
Alle soglie dell'Eden l'angel pio
chino il bel capo, tutto risplendeva
e il Demon tetro, in preda all'ansia grande,
sull'antro oscuro d'ìnfero volava...118
82
In confronto con la schiera alata degli angeli, il mondo dei
demoni — angeli che avevano ripudiato il bene — è molto più
ristretto. Nell'icona essi appaiono là dove è proprio impossibile
farne a meno; la loro presenza serve a spiegare perché nel mondo
non tutto si compie come vorrebbero gli uomini e sollecita cosi
l'opera degli angeli custodi. Essi non possono comunque misu
rarsi con le forze del bene; si potrebbe quasi pensare che la pre
senza del diavolo sia giustificata dalla vittoria degli angeli sul
male.
I re dell'inferno che segue il cavaliere della morte, forse qui
simbolo dell'inferno [t. 45], non è privo di una certa solennità;
è soltanto il colore della sua pelle che lo mette in contrasto con
gli altri; la sua figura appare in tutto tre volte nell'icona, per ben
due volte nella zona inferiore dell'immagine. Meno dignitoso è il
diavolo effigiato con la diavolessa ai piedi dell'Anticristo, anche
se non si può negare al suo atteggiamento una certa maliziosa
leggiadria; infine, sull'infimo gradino della scala gerarchica, è un
gruppo di diavoli simili a quelli che generalmente, nelle icone con
le storie dei santi e nelle miniature, assalgono o molestano in
tutti i modi i santi; questa massa anonima viene sconfitta dal
l'arcangelo Michele [ T a v . XIII].
Una misura ancora maggiore è rivelata dal Maestro del Crem
lino quando deve rappresentare i mostri apocalittici. Hyeroni-
mus Bosch, maestro dalla fantasia inesauribile, era stato molto
brillante in questo campo, ma anche i meno immaginosi illustra
tori russi dell'Apocalisse, avevano mostrato, nel sec. XVII, molta
più inventiva del Maestro del Cremlino; questi, infatti, sembra
deciso solo in rari casi e piuttosto a malincuore ad ammettere in
questo mondo cosi armonioso esseri strani [t. 52] o volgari119,
come possono essere i leoni con teste femminili, o i cavalli con il
muso leonino [ T a v . XVII]. Abitualmente, per il resto, si comporta
come un uomo incapace di ispirarsi alle brutture della vita, a
tutto ciò che è disarmonico o ridicolo, e quando nel testo s'in
contra la parola “bestia", che vorrebbe qui significare forza diabo
lica, egli si limita alla rappresentazione di un animale vero e
proprio, ad esempio un leone come quello che assale il profeta,
e lo rappresenta di mole eccezionale cosi da far pensare alla sua
83
provenienza "infernale". Per il resto, gli animali nell'icona non
sono creati per destare il timore verso le forze soprannaturali, e
anche il mastino dell'inferno non assale nessuno ma, come dal
canto suo l'Agnello, se ne sta pacifico e tranquillo.
Nel testo dell'Apocalisse l'uomo appare un essere misero e infe
lice, rassegnato nell'attesa della propria fine, ed è la divinità mi
nacciosa che decide della sua sorte, che gli scatena contro la furia
degli elementi. Nel contrasto tra l'uomo e Dio, tra il mondo e il
suo padrone, la natura è in misura preponderante partecipe del
conflitto e diviene letale più dell'irata divinità; essa scuote l'aria
col rombo del tuono, spegne la luce lunare, vela il sole, fa preci
pitare le stelle dal cielo, scaglia massi sulla terra, riempie il mare
di sangue. Nell'icona, al contrario, la natura non partecipa agli
eventi, serve soltanto per localizzarli e tutto lo spazio viene occu
pato dalle figure umane; la natura sembra quasi divenire un attri
buto dell'uomo, le rocce si elevano per avvicinare i citaredi
[ T a v . V], sollevandoli, all'Onnipotente, o si aprono per offrire un
rifugio agli uomini e per imprigionare Satana; gli alberi che cir
condano il corso d'acqua sono il simbolo della vita, oppure sono
pretesto per colmare uno spazio deserto; il mare di cristallo di
venta una piattaforma sulla quale poggiano i citaredi.
Una volta soltanto il Maestro si è lasciato sedurre dalla poetica
della natura, là dove si eleva la figura dell'angelo con l'incarna
zione del vento ai suoi piedi [ T a v . VI]; tutto avviene sulla vetta
di una roccia, mentre dal cielo scende un nastro di fuoco punteg
giato di stelle, e il disco del sole si è oscurato; ma anche questo
piccolo brano naturalistico è giustificato dalla presenza dell'an
gelo meditabondo. Lo stesso si può dire della Gerusalemme cele
ste, che ha davanti un chiaro e limpido fiume fiancheggiato dai
benefici alberi della vita su ambo le rive; qui ancora la riposante
natura del luogo ricorda l'inizio del regno paradisiaco e assume
il significato dello stesso sentimento che deve animare gli uomini
che vi giungono.
Il Maestro del Cremlino rivolse una maggior attenzione all'ar
chitettura che appare nelle varie scene, per ciascuna delle quali
egli inventa sempre nuovi modelli; nella scena del messaggio alle
sette Chiese [t. 8], gli edifici a cupola si alternano con quelli a
pianta basilicale, molto allungate verso l'alto, che nell'insieme
84
dànno l'impressione di una città. Gli edifici che circondano la
Sposa dell'Agnello [t. 28] servono anche a separarla dal mondo
esterno; l'edificio nel quale si leva la Voce, è il solo ad avere le
caratteristiche dell'architettura russa, mentre per quanto riguarda
il resto, né lo studioso di storia dell'architettura né l'archeologo
potranno attingere dall'icona informazioni importanti; gli sfondi
architettonici sono infatti del tutto fantastici, e servono soltanto
a mettere in rilievo la rappresentazione. Cosi il “ tempio di Dio in
cielo" (l'Arca del Patto) [t. 51], appare come una torre bianca,
simbolo di purezza, mentre la sua ubicazione è simbolo di inespu
gnabilità. Le torri che crollano significano invece la città deva
stata dal terremoto.
Con molta cura il pittore ha raffigurato la Gerusalemme celeste,
anche se alcuni edifici sono di dimensioni tali da non potere con
tenere più di un solo uomo: è una città che non ha misura umana
e serve invece da piedistallo ai Giusti che sono sui troni sopra di
quella; le mura della città, fatte di gemme, hanno ciascuna nel
mezzo la figura di un angelo. Ma la cosa più ammirevole nella rap
presentazione di questa città ideale è il colore che riflette le tonali
tà rosa tenero, dorato e verde pallido degli aloni luminosi dell'ico
na, facendola apparire come una visione di sogno [ T a v . XXIII].
Tutti gli oggetti sono disegnati cosi nettamente da poter essere
distinti anche da lontano, evidentemente con lo scopo che l'icona
potesse essere letta anche a una certa distanza; la rappresenta
zione delle varie figurazioni ha l'aspetto di segni geroglifici che
possono essere ripetuti senza mutamenti essenziali: cosi l'effigie
di Giovanni, quelle degli angeli, e le figure dei cavalli e gli alberi.
Il segno incisivo delle immagini rivela l'icona con una grande
chiarezza e anche senza ricorrere al testo sacro, la sola attenta
osservazione delle rappresentazioni permette di comprenderne il
significato. Tuttavia questo non include che il Maestro del Crem
lino si sia limitato alla sola rappresentazione degli episodi e delle
figure citati nel testo; egli aveva capito che i confronti audaci,
le metafore smaglianti, gli accenni enigmatici non possono essere
rappresentati alla lettera nell'arte figurativa, salvo qualche caso
del tutto eccezionale. Cosi nel testo dell'Apocalisse è detto: « il
cielo si arrotola », e nella parte superiore dell'icona si vedono gli
angeli in atto di arrotolare un lungo nastro; e ancora la « Voce
85
che si ode nel Tempio » [t. 42] è raffigurata nelle sembianze di un
giovinetto entro il vano di una porta; « le stelle piovono dal
cielo », e si vede una striscia che scende dall'alto cosparsa di
stelle; ancora si parla di « pozzo dell'abisso », e si vede proprio
un pozzo. In genere l'audacia delle immagini poetiche del narra
tore dell'Apocalisse sollecita l'audacia delle immagini figurate del
pittore: le voci dei vegliardi, nel testo, sono paragonate al rumo
reggiare del mare, e nell'icona i loro corpi chini evocano le spighe
che il vento fa ondeggiare; l'episodio dell'angelo che si rivolge
agli uccelli è poi tradotto in un angelo che si volge ad altri angeli
in volo, quasi appunto uno stormo di uccelli120.
In sostanza uno dei temi principali svolti nell'icona — la na
tura angelica dell'uomo — è espressa palesemente con l'acco
stamento degli angeli agli uomini; mentre nell'icona novgoro-
diana del Giudizio Universale [t. 93], per mostrare che i monaci
fanno parte della cosiddetta “gerarchia angelica", le loro figurette
tarchiate e barbute sono ingenuamente munite di alette che li
rendono un poco buffi, nell'icona del Cremlino gli angeli e gli
uomini hanno apparenza di fratelli.
L'allusione e il simbolismo sono propri dell'arte figurativa me
dioevale 121 (e non soltanto di questa). È necessario innanzitutto
distinguere i due proponimenti fondamentali del simbolismo. Il
suo primo aspetto è dato dalla rappresentazione di un determi
nato oggetto che ha un suo significato trascendentale: ad esempio
la “fertilità" come è espressa in alcuni noti rilievi romani, lo
“ stato coniugale" nel doppio ritratto degli Arnolfini di Van Eyck,
la “malinconia" nella famosa incisione del Diirer. In tutti questi
casi gli oggetti rappresentati significano un determinato, preciso
concetto; spesso sono resi con grande evidenza, vigore plastico,
concisione e perizia, ma il loro primo intento è di determinare
per l'osservatore una precisa raffigurazione. Il pittore si trova,
in certo senso, costretto e limitato nell'invenzione, perché il tema
è già indicato in anticipo, e spesso riesce difficile comprendere il
significato allusivo; ma una volta afferratolo, basta un cenno, una
sola piccola indicazione, per averne la rivelazione totale. Questo
simbolismo — o meglio, consistenza allegorica — deve essere
dichiarato convenzionale, perché il suo presupposto è un signifi
cato sul quale sia il pittore che l'osservatore sono già d'accordo,
86
cosi come i covoni di grano significano l'abbondanza, il cagnolino
ai piedi della sposa significa la fedeltà, il compasso sta ad indi
care la rappresentazione figurata della Matematica, e cosi via. In
questo genere di allusione simbolica si trova più raziocinio che
carica emotiva.
Il Maestro del Cremlino si è servito, in una certa misura, anche
di questo genere di allusione allegorico-scolastica, ma è di gran
lunga più importante, nella sua opera, il simbolo che risale alla
Grecia antica; il senso intimo di questo simbolo sgorga dalla
stessa immagine figurata in tutta la sua immediatezza più evi
dente; il secondo significato, quello che va al di là del testo, si
intuisce soltanto e a volte sfugge, ma la forza con cui si manifesta
e impressiona è sempre connessa allo stesso tessuto pittorico, al
corpo stesso, per cosi dire, deirimmagine. Questo valore del sim
bolo non può essere indicato con un solo termine, né si può
ridurlo ad un denominatore unico; esso è invece sempre vivo e
presente, anche se i suoi riflessi mutano, ampliando il significato
di ogni singola rappresentazione e dando anche al motivo più
semplice il senso di universalità.
I greci eternavano nel marmo i loro giovani vincitori, ma le
loro immagini sono qualcosa di più delle rappresentazioni di sin
goli individui: sono immagini destinate agli dèi, sono prossime
alle divinità eternamente giovani, e questo giustifica il nome di
Apolli arcaici dato ai kouroi. I maestri russi avevano ereditato dai
bizantini — che sono stati i loro più diretti maestri — un simile
simbolismo. Cosi il guerriero che affronta il drago montando un
cavallo bianco, assume un significato che va al di là della rappre
sentazione del santo martire Giorgio: diventa l'incarnazione del
l'ardore giovanile, della vittoria dell'uomo sugli istinti primor
diali, la gioiosa vittoria del bene sul male, e cosi via.
Un vivido esempio di questo simbolismo nell'icona del Crem
lino, è l'angelo che si trova al disopra del gruppo dei Giusti, nella
zona centrale; il rotolo che è nelle sue mani (il testo dell'iscri
zione non si è conservato) dovrebbe spiegare che egli sta impar
tendo insegnamenti [ T a v . IV] a coloro che gli stanno davanti122;
il rotolo in questa scena è un attributo convenzionale, ma l'ala
spiegata dell'angelo, al disopra della folla, suscita un certo effetto
nella rappresentazione pittorica, dando quasi l'impressione che
87
tutto il gruppo sia alato e che l'angelo stia per trascinare tutti
verso l'alto. È difficile rendere con le parole il concetto di questa
potente raffigurazione: bisogna vederla e viverla. Dionisio l'Areo-
pagita dice nel suo trattato, a proposito del simbolismo: « i
piedi sono la rapidità del movimento, la mano e il gomito sono la
forza dell'azione, l'ala il rapido elevarsi » 123; si potrebbe supporre
che il Maestro del Cremlino abbia meditato profondamente queste
parole, anche se questo suo angelo non ha il solo scopo di illu
strarle. Il pittore si era compenetrato della visione del mondo in
cui, dietro ogni apparenza, aveva saputo scorgere l'intimo signifi
cato, arricchendo cosi il linguaggio figurativo e superando i limiti
di una semplice illustrazione.
Le visioni e le profezie di Giovanni sulle prove che attendono
l'umanità, la ribellione violenta e il freno posto dalla paura umi
liante, tutto questo passa in secondo piano. Nelle immagini della
divinità, degli angeli e degli uomini filtra un senso di attesa per
la conclusione delle tragedie descritte, la sensazione di una terza
era, l'ultima, quella della “ legge benefica" su cui molti spiriti con
temporanei avevano meditato. Nei tratti e nei movimenti, nell'ele
ganza delle figure, si scorge una luce interiore che questa persua
sione ottimistica accende e diventa in qualche modo la stessa
sostanza pittorica. Sarà necessario penetrare questo secondo
significato osservando attentamente le varie parti dell'icona.
La Sposa che attende lo Sposo [t. 28] siede nello stesso atteg
giamento della Madonna, quale appare nelle icone del Giudizio
Universale, compresa entro un arco, situata in cielo; non è una
semplice coincidenza, ma significa invece che la Sposa ha rag
giunto la vetta eccelsa della beatitudine 124.
I tre cavalieri galoppano vivacemente [Tav. XII], come nelle
icone a loro dedicate, i santi Floro e Lavro, leggendari domatori e
protettori di cavalli, o come Boris, Glijeba, Giorgio, Dmitri e altri
nell'icona con la rappresentazione della Battaglia di Suzdal con
tro Novgorod; ma qui, oltre alla coincidenza formale, c'è anche
un significato più profondo e un filo conduttore raziocinante: i
cavalieri dell'icona non sono apportatori del male, ma stanno a
significare invece l'ardore generoso dei paladini, la vittoria del
bene sul male.
I profeti che la nuvola porta in salvo [t. 48] veleggiano alla
88
stessa maniera degli apostoli che, guidati dall'angelo, raggiun
gono il letto di morte di Maria, e con questo significano la ten
denza di tutti gli uomini a ricongiungersi.
L'angelo con il libro che istruisce Giovanni [t. 39], somiglia
all'angelo che è il simbolo dell'evangelista Matteo nel celebre
Vangelo di Chitròvo di Rublev. Non è soltanto una visione che
passa in volo, quanto il simbolo dell'eterno slancio dello spirito
umano verso il sapere. Infine l'angelo che appare nella scena della
Sposa verso la quale si volge Giovanni, somiglia all'angelo cen
trale della famosa Trinità di Rublev, per un senso di intima par
tecipazione, di comprensione profonda, che invita alla confidenza
più affettuosa [t. 29 e 86 a].
Tali affinità e ripetizioni sono indice delle vaste conoscenze
che il pittore ha dell'arte del suo tempo, ma tuttavia egli rimane
originale e personalissimo. Mai si trova nella sua opera un parti
colare ricalcato pedestremente da un prototipo figurativo reso
alla lettera; egli sa come potenziare il valore della propria opera.
Lo spettatore che si trova davanti all'icona dell'Apocalisse, rivede
in una luminosa visione di sogno una quantità di immagini che
gli sono familiari e che si presentano diversamente associate tra
loro e con un nuovo significato. Il compito di illustrare un libro
sacro deve avere limitato sensibilmente la sua fantasia nel ri
spetto di quella che era la tradizione iconografica del suo tempo;
ma, nonostante tale freno, egli si è concesso in alcuni passaggi
delle libertà che neppure Dionisio aveva osato. E sono proprio
queste che attraggono maggiormente l'osservatore per lo slancio
appassionato che l'artista vi ha saputo infondere, anche se si
tratta generalmente di episodi secondari.
Cosi vediamo gli angeli che sono posti a guardia dei quattro
angoli del mondo e che trattengono i venti [t. 56]. Nell'arte me
dioevale d'Oriente e d'Occidente si sono conservate tracce della
tradizione ellenica nella personificazione dei fiumi, delle città,
della terra e del mare 125. Perfino nei periodi in cui aveva prevalso
l'ascetismo, qui traspare qualcosa della bellezza classica: era con
cesso ai pittori di infrangere i soliti dogmi, per far ammirare l'ar
monia del corpo ignudo. Nel Battesimo della Cattedrale dell'An
nunciazione, Rublev aveva tracciato la figura nuda del Giordano,
che traspare dalle acque di un tenero azzurro, avvolta di una
89
leggera foschia, quasi un velo di pudicizia. La maggior parte dei
pittori russi si accostarono al corpo umano nudo con estrema
timidezza e titubanza, alterando il modello classico fino a ren
derlo irriconoscibile; nella rappresentazione dei venti sia i mae
stri bizantini che quelli russi si limitarono a raffigurarli come
mezze figure. In questa rappresentazione il Maestro del Cremlino
rivela la propria ammirata attenzione verso l'arte classica con
sincerità e non comune audacia, e per quanto tutte le figure dei
venti siano ammirevoli, quella in basso a destra può essere con
siderata come un autentico capolavoro. Nell'icona di Pskòv del
sec. XIV, raffigurante II Concilio della Vergine (Galleria Tretja-
kov), si possono vedere le figure seminude della Terra e del Mare,
ma nei loro corpi scarniti vi è qualcosa di strano, di selvaggio e
di scostante. Il vento rappresentato nell'icona del Cremlino è più
vicino alle figure di Rublev, in particolare a quella del Giordano
nel suo Battesimo di Cristo; ma nella prima questo motivo prove
niente dall'antichità classica, è più sviluppato, reso con maggiore
padronanza che non nell'immagine dipinta da Rublev.
Il prototipo del vento [t. 57] in volo si può rintracciare nei vasi
antichi o nei rilievi dei sarcofaghi romani126.
È possibile che proprio da questi monumenti del mondo clas
sico siano pervenuti gli stessi motivi nel dipinto del Botticelli che
rappresenta la Nascita di Venere. La figura del vento dell'Apoca
lisse somiglia in modo stupefacente al ragazzo danzante di un
affresco del Pollaiolo [t. 100 b], che si ricollega sempre a modelli
antichi127; questa dell'icona non è una copia, né una reminiscenza,
bensì l'autentica ricreazione di un motivo artistico. Il gruppo
comprende due esseri alati: uno slanciato, vestito di un lungo
chitone con mantello, serio, meditabondo; l'altro, che gli svolazza
davanti, nelle sembianze di giovinetto ignudo, sembra un Amore,
vivace e spensierato. Il Maestro del Cremlino ha voluto accostare
e mettere in contrasto la fine spiritualità, l'eleganza formale e la
saggezza, con la bellezza fisica, l'allegra spensieratezza e lo slancio
della giovinezza. Questi due mondi, cosi diversi, si possono
abbracciare con un solo sguardo — osservando l'icona — cia
scuno nel proprio valore, cosi come prima e poi fecero molti pit
tori umanisti, e in particolare Raffaello, che creò la Scuola di
Atene in contrapposizione alla Disputa. In questo affrontarsi di
90
due motivi è la chiave per comprendere come il Maestro del
Cremlino ha attuato la sua “ angelocrazia"; gli angeli aprono gli
occhi del profeta sulle verità del mondo, combattono il male nel
l'uomo, lo proteggono, lo istruiscono, ma proteggono anche i loro
fratelli minori, quelli che l'antichità chiamava “i geni", i quali
svolazzano vivacemente nell'aria; cosi la devozione cristiana non
rinnega l'amore pagano. Questo è quanto il Maestro del Cremlino
ha involontariamente confessato 128.
Il re degli inferi era generalmente rappresentato come un
angelo dissidente. Nella miniatura gotica appare quale un essere
mostruoso dalle ali di pipistrello, con corna caprine e un muso
repellente 129; nella nota incisione dei quattro cavalieri del Diirer,
l'inferno è reso simbolicamente con la rappresentazione di fauci
enormi e mostruose, pronte a mozzare con i denti aguzzi la testa
del re che vi è immersa.
Nell'icona del Cremlino il re dell'inferno [t. 45] è un demone
non privo di bellezza e di un certo fascino, simile a un uomo,
agile, slanciato, la cui andatura denota perfino dignità, e soltanto
il colore marrone carico della sua epidermide sta a mostrarne
l'appartenenza al regno delle ombre; nella sua figura — come in
quella dei venti — il Maestro del Cremlino ha avuto l'opportu
nità di chiarire come egli intendesse la nudità umana; a differenza
delle giovani e irrequiete figure dei venti, la personificazione del
l'inferno è quella di un uomo nel pieno delle sue forze, dalla su
perba e solenne maestà.
Come il Diirer nei suoi studi sulle proporzioni del corpo
umano, il Maestro del Cremlino ha qui reso evidente la sua inter
pretazione del classicismo. A differenza del maestro tedesco,
l'autore dell'icona, pur mostrando figure armoniose e slanciate,
non le mantiene in una stessa misura; a volte esse raggiungono
un'altezza che segue la proporzione di sette teste; altre, di nove,
perciò anche la diversa proporzione del corpo è determinante
per lui nella caratterizzazione delle figure: tutti i suoi angeli sono
più slanciati dell'angelo degli abissi; la donna racchiusa nel sole
è più slanciata della donna di Babilonia. Nonostante questo, però,
il re degli abissi dispone di un fisico non privo di agilità e, nel
complesso armonioso che raggiungono le singole parti, riesce a
produrre un notevole effetto.
91
Non è facile dire a quali monumenti deirantichità si sia ricol
legato il Maestro, né dove e come abbia conosciuto la pittura
vascolare a figure nere dei greci antichi.
Il personaggio di Satana s'incontra di nuovo nella zona infe
riore delFicona; qui l'uomo dalla pelle scura — quasi un mercante
che metta in mostra la sua merce — porta fuori dall'inferno
[t. 69], in occasione del Giudizio Universale, le anime dei defunti
risorti su cui ha dominio; il gran peso del fardello incide sull'at
teggiamento della sua figura con molta efficacia, mettendo in
rilievo la flessibilità del suo corpo muscoloso, e lo distingue an
cora di più dall'angelo slanciato, che senza sforzo, si china sul
masso di pietra. Una terza volta Satana appare, uscendo dalla
sua prigionia millenaria [t. 85], con la figura appena arcuata che
con un certo disagio si fa strada dallo stretto pertugio: in que-
st'ultima scena egli è messo a confronto con l'angelo chino sulla
voragine, che lo aveva imprigionato 13°.
Tutt'altro carattere hanno nell'icona i diavoli-gregari. Già i
bizantini avevano attribuito a Satana una certa somiglianza con
l'antico Sileno e anche il diavolo del maestro russo ha qualche
cosa dell'antico satiro goloso [100 a], con i caratteristici cor
netti, quale ci è stato trasmesso dalla pittura vascolare; a dif
ferenza del nero Satana con le larghe ali spiegate, che suscita ti
more, il diavolo dell'Apocalisse [82] è divertente, e l'avere anche
associato a questa immagine quella della moglie del diavolo
[t. 83], rende ancora più evidente l'intento umoristico, anche se
la diavolessa non manca di una certa leggiadria femminile; le
due figure girano del tutto le spalle al resto della rappresenta
zione, e anche questo movimento appare come un tratto di spirito,
quasi che, incapaci di aggredire i loro nemici, essi non cerchino
nemmeno di opporre resistenza, disposti piuttosto a perversi
trucchetti più consoni alla loro natura, con l'aria quasi di monelli
che stanno li li per scavalcare uno steccato. È chiaro l'intento
del pittore di distrarre e fare sorridere lo spettatore alla vista di
diavoli di tale specie; in questo atteggiamento egli non è diverso
da quelle opere del medioevo, in cui si trovano spunti che ridi
colizzando i diavoli tendevano a minare in sostanza la credulità
nell'inferno. Anche se nella miniatura russa e nelle icone russe
92
del sec. XVI appare uno stuolo immenso di diavoli di ogni ge
nere, qualche volta perfino in vesti straniere, nessuno produce
un effetto cosi vivo e cosi efficace come il diavolo di questa Apo
calisse [ T a v . V ili].
Inoltre, rappresentando la guardia fedele della genìa diabolica,
il mastino infernale [t. 84], il Maestro del Cremlino ha evidente
mente voluto brillare per erudizione umanistica, come volle fare
più tardi Teodoro Kàrpov che brillò per la sua erudizione, citando
nella propria lettera versi dalle « Metamorfosi » di Ovidio. Sol
tanto neirinferno della « Divina Commedia » è dato incontrare
Cerbero, e in alcune illustrazioni di quel poema. Per quanto ri
guarda la Russia, il prototipo del mastino si può indicare soltanto
nella "bestia nera” della poesia popolaresca, e anche nella pittura
di icone. Un cane simile a questo si incontra anche in una scena
delle Storie di Giovanni Teologo, dei primi del sec. XVI (Galleria
Tretjakov). Il cane dell'icona dell'Apocalisse non è affatto mo
struoso e terribile, e non ha nemmeno le tradizionali tre teste 131.
Altra alterazione della tradizione da parte del pittore appare
nei tre cavalieri [ T a v . XII]. Nessuno dei cavalieri può essere asso
ciato al concetto di morte e di rovina, ma piuttosto a quello di
chi è portato ad aiutare l'umanità; nella maggior parte delle raffi
gurazioni del S. Giorgio vittorioso, nella pittura russa, non sol
tanto il santo guerriero, ma anche il suo cavallo rispondono
all'ideale cristiano-ascetico, proprio come dice più tardi il proto
pope Avvacum: « ...come i buoni iconografi li rappresentano, i
volti, le mani e i piedi e tutto il resto smagrito e consunto dal
lungo digiuno » 132. Risalendo all'affresco di Làdoga del sec. XII,
il cavallo di S. Giorgio nelle icone russe avanza sfiorando appena
il suolo con gli zoccoli delle sue magre zampe. Nell’Apocalisse, i
cavalli sono molto più consistenti, hanno più volume, sono più
materializzati e terreni; il cavallo bianco galoppa sostenuto e sem
bra voler raggiungere gli altri due [t. 20 e 21], quello sauro è supe
rato dal morello che volta il muso all'indietro, dalla sua parte, e
avanza trionfante, coda al vento e galoppo brioso [t. 22 e 23]. Tut
to fa pensare che il Maestro si sia soffermato ad ammirare quelle
figure di cavalli che, a partire da Paolo Uccello e giungendo fino a
Leonardo, i maestri italiani hanno così stupendamente effigiato.
Nei cavalli dell'icona vi è traccia di reminiscenze non tanto dell'ar
93
te antica quanto di quella del Rinascimento. In quanto a Diirer,
egli si era fatto notare per l'interesse al tipo equestre classico
soltanto nella sua composizione II cavaliere, la morte e il diavolo,
mentre nei suoi Cavalieri dell’Apocalisse, i cavalli sono selvaggi
e sparuti e, senza poggiare a terra, passano come un turbine nel
l'aria; le loro teste, simili a giocattoli, sono grosse e arruffate, e
il corpo è invece scarnito al massimo.
Gli scrittori russi antichi hanno rimpianto di non avere stu
diato ad Atene e di non essere informati sulla filosofia antica;
può anche darsi che questa lagnanza sia stata esagerata, ma que
sto comunque non può dirsi per il Maestro del Cremlino: egli
dovette poter disporre di un vastissimo bagaglio di raffigurazioni
che ha saputo adoperare adeguatamente e con molta abilità,
comunicandone l'immediatezza espressiva. Questo maestro eru
dito deve avere sentito indubbiamente la propria superiorità nei
confronti dei soliti pittori di icone suoi contemporanei, che non
avevano certamente brillato per genialità. Eppure vi sono buone
ragioni per credere che il Maestro del Cremlino non restò indif
ferente neppure di fronte alle opere dei pittori minori del sec. XV;
di essi lo aveva attratto l'ingenuo candore, la fede commovente in
tutto quello che riuscivano a immaginare e che rappresentavano,
l'acume con cui sceglievano i colori, l'espressione e la loro abilità
di rendere ogni elemento figurativo con una sua caratteristica par
ticolare e inconfondibile che, trascurando i particolari di secon
daria importanza, ne rivela l'essenza.
Nell'icona dell’Apocalisse è come se fossero comprese diverse
raffigurazioni complesse, contradditorie, indefinite, anche se in
molte di esse sono come cristallizzati — alla maniera di un'epo
pea popolare — alcuni elementi che le caratterizzano, e più colpi
scono l'osservatore, fin dal primo sguardo: il galoppo sonoro dei
cavalli, l'incedere sicuro del vincitore, le voci dei vegliardi pro
strati, e, infine, il simbolo della castità nell'immagine della Sposa
divina. La “vena folkloristica" che suggerisce per questa opera
straordinaria la vera definizione, ricollega l'icona del Cremlino
alla pittura sacro-russa della scuola di Novgorod che, sopratutto
dopo l'annessione di questa città a Mosca, aveva cominciato a
manifestare il suo forte potere di suggestione su tutta la pittura
russa.
94
VII. L'ARTE NELL'ICONA DELLA CATTEDRALE
DELLA DORMIZIONE
95
dall'alto in basso; nelle icone con le storie dei santi i riquadri si
succedono ugualmente dall'alto in basso 134, e a questo esempio
sembra essersi riallacciato il Maestro del Cremlino, in partico
lare nella rappresentazione dei tre cavalieri [ T a v . XII].
Nelle miniature generalmente i cavalieri sono raffigurati l'uno
dietro l'altro, come dice anche il racconto di Giovanni: primo il
cavaliere che monta il cavallo bianco, poi quello sul sauro, infine
quello sul morello. Il Diirer spezza questa successione rappresen
tando insieme i tre cavalieri lanciati al galoppo, anche se tra di
loro spicca per primo il cavaliere con l'arco, poi quello con la
spada e infine quello con le bilance. Il Maestro del Cremlino, pur
rappresentando i cavalli descritti dal testo sacro, appare in con
traddizione con le parole di Giovanni, poiché il cavallo morello
avanza per primo.
Questo esempio è molto significativo; in sostanza tutta la nar
razione si sviluppa nell'icona da sinistra a destra, ed episodi e
figure si susseguono nello stesso ordine delle parole del testo e
soltanto in alcuni casi limitati l'autore della raffigurazione si
discosta da tale regola, per dare in particolare maggiore rilievo
a qualche elemento o per collegare in modo diverso un episodio
con l'altro. Non è a caso se nelle scene più movimentate le figure
si spostano da sinistra a destra e non viceversa: cosi i cavalieri,
l'arcangelo Michele che colpisce il demonio [ T a v . XIII], gli angeli
vestiti di bianco [t. 40], il procedere del Re dei Re col proprio
esercito, gli angeli che fanno precipitare i peccatori nell'inferno
[t. 70 e 71], e infine il genio del vento in volo [t. 50]; d'altra parte
le figure che sono voltate da destra a sinistra hanno meno dina
mismo: cosi l'angelo col rotolo in mano accanto alla Sposa, o gli
angeli davanti al tempio nel quale si leva la Voce [t. 29 e 42].
Ma poiché nell'icona non sono rappresentati avvenimenti sto
rici particolari, ma vi si tratta del destino di tutto il mondo che
si rivela a Giovanni come una verità eterna, il Maestro del Crem
lino si è limitato, nella sua narrazione, a tracciare un filo con
duttore, ma ha subordinato il tutto a un ordine generale, dando
la sensazione, nell'alternarsi degli eventi, di un loro ordinamento
intrinseco e, nel dipinto, l'impressione di un insieme ben definito.
La difficoltà del compito consisteva nel fatto che un ordine non
96
doveva escludere l'altro; neH'adempimento di tale compito il
Maestro del Cremlino non aveva predecessori135.
Il contenuto di tutta l'icona si presenta come uno spettacolo
unico e solenne: l'immenso mondo, con il cielo, le montagne, le
spelonche, le piante e la sua popolazione, la divinità, gli angeli,
gli uomini, gli animali, i demoni. Per meglio porre in evidenza
l'unità di questo spettacolo, il Maestro ha preso in prestito dalla
iconografia del Giudizio Universale 136 il motivo degli angeli in atto
di arrotolare la volta celeste nell'alto della pittura, ma mentre nel
Giudizio Universale il rotolo si riferisce a un solo momento, nel
l'icona del Cremlino esso ne abbraccia molti; rappresentato come
una lunghissima striscia di stoffa — è l'elemento più esteso di
tutta la rappresentazione — domina ogni cosa, simile a un grosso
nodo che tenga uniti tutti gli elementi della rappresentazione,
[t. 4 e 5].
Non si può dire che questi siano soltanto un affastellamento
disordinato di immagini, che nell'ora suprema del cataclisma
trionfi il caos; difatti tutte le figure sono subordinate all'elemento
centrale e sono raggruppate attorno a questo. Giovanni alza a
più riprese gli occhi al cielo e tende l'orecchio alle voci che giun
gono di lassù, e mette a confronto le scene gioiose in cui si in
neggia al Messia con quelle che rappresentano le tetre sventure
che hanno luogo sulla terra. Delle gioiose scene celesti il Maestro
del Cremlino ha rappresentato quattro momenti, disponendoli
nella zona superiore, e queste scene dominano in modo evidente
tutta l'icona coronandola. Tre sono disposte su di un asse oriz
zontale, parallelamente al cielo arrotolato — la scena centrale
è quella con l'effigie dell'Agnello — e la quarta più in basso, sotto
a questa, per mettere meglio in evidenza l'asse centrale: que
st'ultimo cerchio, che sovrasta i citaredi, domina su tutto il resto
perché è situato quasi al centro geometrico dell'icona. Non privo
di significato è il fatto che l'alone circolare di questa figura (come
anche quello del Giudice), sconfina dal limite della propria zona,
inserendosi organicamente in quella inferiore: la sua presenza
è fuori del tempo e dello spazio. D'altra parte questo centro ideale
non corrisponde esattamente a quello geometrico poiché è sen
sibilmente più alto di questo: questo fatto determina l'impres
sione di un certo dinamismo e conferma la tendenza caratteri
97
stica di tutta la rappresentazione di tendere verso l'alto, come a
significare lo slancio dell'uomo che dalla terra tende sempre
verso il cielo. La posizione dominante del cerchio della zona cen
trale è messa ancora più in evidenza dal fatto che esso si eleva
sopra una collinetta che sovrasta la folla, mentre in alto è coro
nato dai tre cavalieri che formano a loro volta un arco.
Nell'icona è descritta l'unità cosmica confermata nella distri
buzione dei quattro angeli che reggono i venti; questo degli angeli
è, nel testo dell'Apocalisse, un episodio complementare che si
inserisce interrompendo il racconto delle sette coppe dell'ira di
vina. Tra le miniature del manoscritto gotico Douce c'è soltanto
un episodio che descrive la conformazione della terra, che vi
appare come un'isola guardata ai quattro lati da quattro angeli,
ma quest'isola rimane estranea agli altri episodi dell'Apocalisse:
il Diirer ha rappresentato questi angeli in gruppo mentre sulle
loro teste svolazzano i venti. Nell'icona del Cremlino invece tutta
la zona del centro è concepita come la Terra stessa con ai quattro
lati i quattro angeli e i rispettivi venti, per cui la donna di Babi
lonia, la storia dei profeti, la scena presso l'Eufrate ed altre fini
scono per trovarsi su quella stessa terra, custodita dagli angeli,
e questi ultimi, anche se situati a grande distanza l'uno dall'altro
— allo stesso modo degli angeli che arrotolano il cielo — servono
a dare un carattere unitario alla scena.
Ma anche il movimento che pervade le tre zone serve a meglio
collegarle fra loro: il suo ritmo evidente e preciso, come quello
di un verso poetico, è ancora una caratteristica della rappresen
tazione; i vari aspetti dell'attività materiale umana come il passo
concitato, il volo, il galoppo, trovano la loro espressione in una
gran quantità di figure: gli uomini non si muovono a vuoto, ma
quasi sempre dietro il movimento di uno solo si solleva l'ondata
del moto generale; rendendo omaggio a « Colui che siede sul tro
no » [t. 16] i vegliardi tutti, come un sol uomo, si prostrano a
terra; i tre cavalieri si seguono [ T a v . XII]; gli angeli si muovono
a gruppi — sia quelli in veste colorata che i biancovestiti; in fila
ordinata avanzano le locuste [t. 52], e cosi gli angeli in volo e gli
apostoli che appaiono seduti tutti assieme, i seguaci del Re dei
Re [t. 60], i Giusti [t. 65] alla destra del Giudice, ecc., ecc. Sembra
98
quasi che potenti ondate si rincorrano attraverso l'intero campo
della tavola senza lasciare un solo angolino fuori della loro por
tata. Tuttavia la precisione metrica dell'insieme non esclude ecce
zioni: i libri che gli apostoli reggono in mano non sono tutti di
sposti rigidamente in fila, e le stesse figure dei seduti hanno atteg
giamenti naturali e disinvolti.
Non è il caso di pensare che al Maestro sia stata imposta la
necessità di distribuire sulla superficie di una tavola unica cosi
grande quantità di episodi; per un artista autentico una necessità
estrinseca si trasforma facilmente in necessità intrinseca e, come
disse Goethe « dalla necessità » attinge « il merito »; l'idea di
poter rendere possibile l'afferrare con un solo sguardo una grande
quantità di figure e di avvenimenti lo avrà anzi rallegrato, cosi
come il viandante si rallegra alla vista di un panorama dall'alto
di una montagna, intimamente inebriato dalla sensazione di par
tecipare al creato intero.
L'icona del Cremlino è l'unico esempio, nell'iconografia della
Apocalisse, di creazione che in sé tutto comprenda e accomuni,
ed è un raro e notevole esempio di concezione cosmica nell'arte.
Anche Omero vede cosi il mondo quando descrive lo scudo di
Achille, ma il grande poeta dell'antichità si è limitato unicamente
alla bellissima sfera delle impressioni sensoriali, mentre il nostro
pittore tende a comprendere nella propria visione tutti gli stati
dell'animo umano, inscindibili per lui dalle impressioni pura
mente sensoriali del mondo circostante.
Come si legge il testo dell'Apocalisse, con tutti i suoi capitoli
e versi, cosi si "leggono" i singoli episodi sull'icona; a questo
riguardo sono presentate in questa edizione riproduzioni foto
grafiche di particolari, ottenute con una certa difficoltà perché
non è facile isolare i vari episodi gli uni dagli altri: le scene
infatti non sono distinte da una netta separazione, spesso anzi
si mescolano, e da questa mescolanza nasce qualche volta nel
dipinto un nuovo significato, che non risulta essere del testo sacro.
Qualcosa di simile appare anche nelle opere di Dionisio e della
sua scuola: nelle icone con le storie dei metropoliti Pietro e Ales
sio, i riquadri laterali sono nettamente separati gli uni dagli altri,
ma nella parte superiore e in quella inferiore il fluire continuo
99
della narrazione infrange tale regola, rendendo la narrazione figu
rata simile ad un nastro ininterrotto; ma nelle opere di Dionisio
questi casi sono sporadici, ed egli ricorre spesso all'uso di motivi
architettonici che fungono da elementi di separazione tra le sin
gole scene.
Nell'Apocalisse del Cremlino tale separazione non è neanche
accennata: il movimento anima tutta la superficie e in tutte le
direzioni; qua e là si avverte una certa bonaccia, poi sempre più
spesso la superficie del quadro s'increspa, si levano le onde, i
cavalloni si lanciano con violenza. In questo senso l'icona è molto
dissimile da quella del Giudizio Universale, conservata nella stes
sa cattedrale, e da quella della Galleria Tretjakov, nelle quali
è netta la suddivisione in fasce orizzontali ben delimitate, e le
raffigurazioni mantengono un loro carattere d'indipendenza luna
in rapporto all'altra. Nell'icona dell’Apocalisse c'è una forza pro
fonda ed essenziale che la fa vibrare in un ritmo musicale di
cui i singoli elementi formano le note creando una sinfonia. Nelle
icone citate ogni elemento è sottoposto a un ordine gerarchico
stabilito una volta per tutte, in modo irrevocabile; nell’Apocalisse
tutto è in movimento, tutto sta per divenire, in ogni cosa traspare
l'azione suscitata dagli opposti, quegli "opposti" che Eraclito
aveva considerato come la stessa legge della vita. L'icona tutta è
come un campo magnetico nel quale agiscono, a tratti, in tutti i
sensi, forze qualche volta invisibili, ma sempre attraendosi e re
spingendosi.
Concentrando l'attenzione sui singoli episodi e sulle singole
figure si può meglio comprendere come tale principio costruttivo
arricchisca la concezione di tutto il dipinto. Il Maestro del Crem
lino aveva valutato pienamente l'importanza dell'attrazione dei
vari elementi; egli aveva capito, a differenza di tanti pittori di
quadri di genere moderni, che ponendo due figure l'una accanto
all'altra, purché ciascuna avesse un suo carattere particolare, si
sarebbe ottenuto un colloquio tra le medesime, anche senza che
le figure si guardassero, o gesticolassero, o fossero in atteggia
mento alcuno per comunicare tra loro 137.
Come è già stato notato, l'episodio dell'arcangelo Michele che
sconfigge le forze del male [T a v . XIII], contrariamente al testo,
è separato dalla figura della donna minacciata dalla bestia, cosic
100
ché i cavalieri che seguono l'arcangelo si sono venuti a trovare
vicino ai tre cavalieri [T a v . XII], dai quali sono separati soltanto
dal gruppetto biancovestito degli innocenti trucidati; perciò tutti
i cavalieri seguono una stessa direzione. Questo non significa, alla
lettera, che i cavalieri si affrettino a porgere aiuto all'arcangelo,
ma poiché tutto nell'immagine vive di un solo anelito, i cavalieri,
ispirati a un alto ideale, si trasformano, da flagello divino, in
prodi combattenti che affrontano il male: cosi i due anelli ven
gono fusi in uno solo. D'altra parte il cavallo esangue montato
dalla morte, lontano dai tre cavalieri a differenza del testo sacro,
produce un effetto maggiore per la sua vicinanza all'angelo degli
abissi e alle locuste [t. 31 e 41].
Diversa è l'armonia che lega le figure nello spazio superiore a
destra [t. 2]; Giovanni è chino, pieno di devozione davanti al
tempio, un angelo accende il turibolo davanti a un altro tempio,
alla tavola apparecchiata siede — in attesa della volontà di Dio —
la Sposa, mentre un angelo spiega quanto avviene, distendendo
un rotolo, a una seconda figura di Giovanni, e, in alto, in gloria,
è « Colui che siede sul trono ». In sostanza tutte queste figure
formano un microcosmo finito che si è creato nella fantasia del
pittore, sebbene nessun atto leghi le figure tra loro; esse anzi si
distaccano dai diversi episodi e iniziano un loro intimo colloquio
creando davanti allo spettatore una scena che non si trova in
alcuna parte del testo.
Tre angeli, salendo verso il tempio dal quale si diffonde la
Voce, annunciano al mondo la caduta di Babilonia [t. 43]; una
torva processione passa: la Morte sul cavallo esangue e il nero
sovrano degli abissi; l'ultimo dei tre angeli si rivolge al re infer
nale e sembra gli stia parlando, mentre la figura nera, volgendosi
a lui è come se volesse replicare: muto duello di sguardi, con
fronto mortale e drammatico; l'angelo che è l'incarnazione della
dolcezza d'animo, della leggiadria, della saggezza [t. 44] e il re del
l'inferno che sente solo disprezzo per l'umanità [t. 45]; l'angelo
della luce e l'angelo delle tenebre, figura vestita in contrasto con
quella ignuda, la bianca e la nera, l'alata e quella che poggia sulla
terra, la poesia e la prosa, il bene e il male, la promessa della beati
tudine e il male inevitabile; sguardi evidenti e sentimenti nascosti,
ricchezza di significati poetici. Questo incontro ineffabile, questa
101
vittoria spirituale del bene sul male, fa pensare ancora una volta,
alla poesia già citata di Pushkin, « L'Angelo ».
Spirito della negazione e del sospetto,
lo sguardo sollevò su quello puro
e, involontario, un senso di calore
e tenerezza, ignota a lui, l'invase...
102
del vento in volo sulle loro teste serve di elemento chiarificatore),
e la folla dei peccatori è sospinta da questo movimento e sopraf
fatta: tutto il gruppo è sovrastato dai due profeti, che « ... sono i
due olivi, i due candelabri posti dinanzi al Signore della Terra »
(Ap., XI, 4), le mani atteggiate a preghiera s'innalzano, il viso
rivolto verso il Figlio dell'Uomo.
È molto efficace qui il linguaggio delle silhouettes e dei con
torni flessuosi che il Maestro del Cremlino adopera per esprimere
la lotta, la resistenza e la disfatta in questa scena e che ricordano
certi gruppi di frontoni e i disegni vascolari della Grecia antica,
dalle formule sommarie ma ricche di contenuto, attraverso le
quali sono rappresentati episodi di vita umana con tutto il loro
significato morale.
Tutte le figure disseminate sulla superficie dell'icona, anche
quelle che non sono collegate tra loro, rientrano in un sistema
unico; non si può apprezzare la solennità di tutto quello che vi
è eternato senza considerare la concordanza di tutti gli elementi
che ne fanno un'opera perfettamente costruita. Sui due lati del
l'icona, nella parte superiore, appaiono in corrispondenza i due
angeli in volo, in atto di arrotolare il cielo [t. 4 e 5]; « Colui che
siede sul trono », a sinistra, corrisponde alla stessa figura di de
stra; i due angeli con i venti, di sinistra [t. 30], corrispondono
ugualmente a quelli di destra [t. 31]; vi sono inoltre tante altre
corrispondenze che non appaiono citate nel testo sacro, ma che
sono state create dal pittore: ai cinque angeli biancovestiti, sul
lato sinistro del cerchio centrale, corrispondono i tre angeli con i
rotoli a destra [t. 40 e 41]; all'angelo con l'ala levata che parla alla
folla [ T a v . IV], corrisponde l'angelo, anche questo con l'ala alzata,
che mette in salvo i profeti [t. 48]; infine, nella zona inferiore, la
processione del Re dei Re [t. 60], a sinistra, trova riscontro a
destra nell'Anticristo con il suo esercito, mentre la Gerusalemme
celeste corrisponde alla dimora dell'Anticristo [t. 76]. Nei due
angoli corrispondenti dell'icona — angolo superiore sinistro e
angolo inferiore destro — si vedono: nel primo, la figura del Cri
sto benedicente con la mano tesa, nel secondo, la nera figura del
re dell'abisso mentre esce dalla sua prigionia. Non bisogna pen
sare che il Maestro abbia voluto, con tali contrapposizioni, met
tere in evidenza delle tesi teologiche, alludere a qualcosa di ben
103
definito: esse soddisfano semplicemente alle esigenze del ritmo
incalzante degli eventi nel contrastare un ordine equilibratore
che lega le parti del mondo formando un'entità armoniosa.
Sensibilità per il movimento, senso del ritmo, flessuosità delle
forme creano un aspetto della visione artistica del Maestro del
Cremlino. L'altro è dato dalla sua composizione architettonica,
che forma in genere la parte più caratteristica della pittura an-
tico-russa. E qualche volta la composizione delle icone è fin trop
po evidente — come ad esempio nelle icone con il Giudizio Uni
versale di Novgorod — quasi una trama regolare ricoperta da
molte figure, oppressa dall'alone immenso del Padre Eterno.
Nell'icona dell'Apocalisse, invece, nessuna parte predomina in
modo assoluto, ogni singolo elemento aderisce perfettamente a
tutti gli altri. Il formato stesso della tavola è armonioso e forma
due rettangoli di "taglio aureo", a somiglianza di tanti quadri
italiani del Rinascimento; suddivisa verticalmente dagli aloni cir
colari in tre parti uguali, essa si presenta anche suddivisa orizzon
talmente, in tre zone uguali; questa semplicissima suddivisione
dona all'insieme una grande misura. È un mondo in cui tutto è
costruito intelligentemente, in cui tutto s'intona a un ritmo sta
bilito, e l'idea del pittore — frutto del suo ragionamento e delle
sue meditazioni — diviene realtà d'arte. Indipendentemente dagli
avvenimenti rappresentati, l'icona forma un'entità visiva costruita
secondo leggi intrinseche, e se in questa costruzione viene fatto di
ravvisare il calcolo, bisogna riconoscere che la fine sensibilità del
Maestro del Cremlino è stata di infallibile e decisiva importanza.
Il ripetersi dei vari motivi non porta mai alla ripetizione mec
canica, né alla simmetria assoluta, ma ha solo una funzione equi
libratrice; se infatti il Maestro avesse ripetuto nella zona infe
riore lo stesso asse centrale delle zone superiori, tutto si sarebbe
cristallizzato, fermato, proprio come nelle icone con il Giudizio
Universale. Ma il Maestro del Cremlino ha separato una striscia
nella zona inferiore, sul lato destro — il reame dell'Anticristo —
spostando l'asse centrale a sinistra per disporre nei margini di
questo campo la scena decisamente simmetrica del Giudizio; nella
zona mediana la simmetria è sottolineata dall'alone centrale, e
nella zona superiore essa domina in virtù della traiettoria oriz
zontale lungo la quale sono situati i tre cerchi-aloni.
104
La zona inferiore si presenta come più materiale, per via delle
vesti colorate che prevalgono e del maggior numero di persone
che vi sono raffigurate; nella seconda zona cominciano ad appa
rire figure biancovestite con maggior frequenza, e questo dà leg
gerezza alle scene; infine nella zona superiore, la più luminosa
ed eterea, prevalgono i biancovestiti, e le figure dei vegliardi
inginocchiati sembrano quasi librate in aria. Nella composizione
deiricona si rivela il concetto dell'opera d'arte intesa come un
microcosmo.
Nell'icona novgorodiana del Giudizio Universale, il Giudice è
nettamente separato dai giudicandi e dai giudicati; nell'icona del
Cremlino la divisione in tre zone corrisponde alla divisione stessa
del Cosmo: il cielo, la terra, gli inferi. Non vi è, tuttavia, una
divisione precisa, come è netta la separazione dei gironi nella
« Divina Commedia ». Nella zona superiore dell'icona, accanto a
scene celesti sono rappresentate anche quelle terrene, pur la
sciando prevalere le prime, e vi è, parimente, un accenno all'in
ferno nella scena che mostra l'arcangelo Michele in atto di far
precipitare le forze del male; inoltre le scene celesti si ripetono
anche nella zona centrale; nella zona inferiore lo stesso ordine:
cielo, terra, inferi, e perciò le tre zone dell'icona non rappresen
tano esclusivamente le sfere del mondo. Ma nella zona superiore
è il prevalere del cielo, in quella mediana della terra e nell'infe
riore dell'inferno. La suddivisione spaziale è alternata da quella
cronologica: il presente prevale nelle due zone superiori e l'avve
nire nella zona inferiore. Infine la suddivisione in tre zone serve
anche a meglio afferrare con un solo sguardo lo spettacolo intero.
Come è già stato detto, l'icona non rappresenta una semplice
ed ingenua illustrazione, ma è una vera e propria creazione di
alto valore poetico; tutto quello che il pittore vuole rappresen
tare è frutto della sua convinzione e della sua fede, ma anche
quando al Maestro capita di servirsi di motivi tradizionali già
usati dai predecessori, questi motivi rivivono di una nuova vita
attraverso la sua fantasia; solo in rarissimi casi la fantasia si è
rifiutata di venirgli incontro, costringendolo a limitarsi nella ripe
tizione di quanto è comunemente stabilito e accettato dalla tra
dizione.
Parlando della visione pittorica del Maestro del Cremlino, biso
105
gna riconoscere l'evidenza di tutto quanto egli rappresenta; im
maginare e trarre dall'immaginazione figure chiare ed espressive
sono la sua dote maggiore, e non dovette ricorrere, per la com
posizione della sua opera a programmi tematici pronti ancor
prima che prendesse in mano il pennello. Egli immaginò i bellis
simi angeli, simili a quelli di Rublev, come loro cari fratelli,
perché non poteva ammettere nel suo mondo esseri diversi, e
invece di preparare all'uomo prove e tormenti, gli angeli diven
tano suoi custodi, suoi compagni di viaggio, suoi interlocutori;
perfino i quattro demoni sulle rive dell'Eufrate diventano quattro
buoni geni, mentre i cavalieri dell'Apocalisse sono dei brillanti
paladini.
È stupenda la relazione di ogni singola parte dell'icona con
l'insieme, la misura del racconto figurato, l'armonia, paragona
bile a un vasto coro, alla perfettissima esecuzione di un corale
polifonico; qualcuno intona il canto, un altro raccoglie e sviluppa
la nota accennata, da gruppi di persone pare che si levino accordi,
e il suono sale e si espande cosi da riempire quasi tutto lo spazio;
qui si odono tenere modulazioni, altrove un colpo di grancassa,
come un rombo di tuono, infine un “tutti" al massimo nelle scene
della glorificazione.
Il ritmo è un efficace mezzo di espressione nell'icona; cosi i
sette angeli delle sette Chiese [t. 8] che reggono i rotoli fluttuanti
da ogni parte traducono in questo fluttuare il rivolgersi degli
angeli a tutto il mondo. Nella scena in cui sono i cavalli dalla
testa leonina [T av. XVII], i cavalli dànno l'impressione di una
potente ondata che si rovescia sul lido e alla cui chiave ritmica
soggiacciono sopraffatte le vittime; nella scena degli « angeli che
fanno precipitare i peccatori nel mare di fuoco » [t. 68], è espres
sivo il motivo delle due sagome controluce, e il fatto che l'inter
vallo tra di esse corrisponde alla misura delle figure medesime.
Nella scena della liberazione di Satana [t. 85] la figura un po'
angolosa del demonio è messa in risalto dai contorni della roccia
da cui emerge, anche qui compresa in una stessa chiave ritmica.
La figura dell'uomo e quella dell'angelo, che ha la sua stessa
misura, sono in definitiva l'unità di misura dell'intera raffigura
zione; paragonate all'insieme queste figure sono simili a granelli
di sabbia, ma esse formano dei gruppi, gli aloni ne ingrandiscono
106
alcune; comunque, tutte le figure sono perfettamente proporzio
nate se non a tutta l'icona, perlomeno alle rispettive zone che
occupano, cosi assieme che tra la più piccola unità di misura e il
tutto non c'è un abisso invalicabile, la superficie della tavola ap
pare popolata in modo uniforme e l'universo, in definitiva, sembra
proprio creato su misura per l'uomo.
Una caratteristica dell'icona è il duplice effetto che se ne riceve
a seconda la si guardi da vicino o a distanza; osservate da vicino, le
figure che stanno adorando « Colui che siede sul trono » [t. 16, 17,
18 e 19] rivelano dei casti giovinetti, uomini saggi, vecchi incanu
titi, tutto un mondo di caratteri umani; ma basta allontanarsi per
ché tutta questa varietà si dissolva, e rimanga soltanto un nastro
di teste come quello che forma l'alone attorno a « Colui che siede
sul trono [t. 12], e le teste umane si trasformano in elemento
decorativo, variopinto, palpitante. Lo stesso si può dire degli ele
menti raffigurati lungo la diagonale che va dall'angelo col vento,
sul lato destro in alto [t. 31], fino all'incarnazione dell'Inferno
che è in procinto di rendere le anime dei risorti: da vicino si
distinguono — dall'alto in basso — l'angelo degli abissi, tre locu
ste, due alberi, due angeli in volo, poi l'angelo che fa precipitare
i peccatori nell'abisso infernale, e infine l'Inferno [t. 69]; sebbene
ciascuna immagine abbia un suo carattere particolare, a distanza
l'insieme si trasforma in un nastro teso lungo una diagonale con
infilate delle pietrine di colore, come nel caso delle tessere di
smalto che assieme formano un mosaico.
L'icona è una tavola di non comune grandezza, e per avere una
esatta visione d'insieme [T a v . X] è necessario allontanarsi di due,
tre metri, e a questa distanza naturalmente non è possibile distin
guere le singole figure, anche se alcune di esse spiccano più delle
altre, come ad esempio quella del cavallo morello. Ma il Maestro
si è preoccupato che, col dissolversi dei particolari a distanza,
restassero evidenti i tratti fondamentali di tutta la composizione.
Questo duplice effetto che raggiunge il dipinto era ignoto ai mae
stri del Rinascimento, i quali eseguivano le loro opere con grande
perfezione ma senza preoccuparsi dell'effetto d'insieme che pote
vano suscitare sotto diverse prospettive.
Il tema fondamentale nell'icona è dunque lo stabilirsi dell'or
dine, dell'accordo, della giustizia nel mondo, e tutto questo è
107
espresso nella rappresentazione artistica attraverso il cerchio o,
più precisamente, l'invenzione del cerchio. È noto che il cerchio,
attributo dei santi — come nimbo attorno al capo e come alone
attorno all'intera figura — era considerato nell'arte medioevale
come un'indicazione della partecipazione dell'uomo al Cielo, alla
Eternità. Nella pittura russo-antica, specialmente nelle opere di
Rublev, il cerchio aveva assunto un significato determinante, in
particolare nell'icona della Trasfigurazione nella cattedrale del
l'Annunciazione, nei simboli evangelici del Vangelo Chitròvo, nella
figura del Cristo-Giudice — nella Cattedrale della Dormizione di
Vladimir — finalmente nella Trinità e parzialmente in alcune
scene evangeliche. Il cerchio per Rublev significa avvicinamento
alla perfezione, alla divinità, e diviene il motivo dominante delle
sue visioni artistiche. Il simbolismo tradizionale è rafforzato nella
Russia antica dall'osservazione degli astri, e le cronistorie ripor
tano, descritti con precisione ammirevole, i miraggi luminosi
della sfera celeste sotto forma di cerchi, che intimorivano gli
uomini sembrando loro segni premonitori, e che li colpivano per
l'inconsueta vivacità delle tinte. Perciò nell'iconografia russa tra
dizionale, accanto al simbolismo trascendentale agisce anche la
conoscenza diretta dei fenomeni naturali.
Il cerchio come immagine poetica del "sole della verità" ha
un suo significato fondamentale nell'icona del Cremlino e diviene
cosi il motivo base della sua composizione. È notevole il fatto che
l'Apocalisse sia stata illustrata in Russia diversamente che nei
Paesi occidentali, per i quali gli avvenimenti che si svolgono in
cielo sono trasferiti in templi e in tabernacoli di forma terrena,
rettangolare; al contrario i cerchi, simboli del cielo, s'incontrano
più frequentemente nell'arte bizantina, ma sono considerati come
qualcosa del tutto trascendentale e che è impossibile misurare
con la realtà terrena, imperfetta e peccaminosa. In molte icone
russe, come pure nelle opere di Rublev, il cerchio è una legge
suprema e universale, ma non è in contraddizione con la struttura
del mondo reale.
Nell'icona del Cremlino il motivo del cerchio ha una grande
importanza; gli elementi del cerchio vi sono disseminati ovunque,
l'arcobaleno al disopra dell'angelo che porge il libro a Giovanni
[t. 39], la schiena dell'angelo chino sopra la pietra [t. 38], il con
108
torno dei cavalli, l'orlo inferiore degli alberi sono tutti semi-cer
chi; ancora più evidente appare nel contorno di folti gruppi
umani [ T a v . XV], le teste dei citaredi, la folla che ascolta l'an
gelo, sono dei segmenti del cerchio; così ai vegliardi della zona
superiore corrisponde la balaustra che incornicia la Sposa del
l'Agnello [ T a v . XVI]; in corrispondenza a questi semicerchi si
dispongono gli angeli e gli apostoli nel Giudizio Universale della
zona inferiore, e anche in questo particolare l'icona del Maestro
del Cremlino si distingue dalla vicina icona del Giudizio Univer
sale, nella quale i cerchi dell'alone di Cristo, dell'allegoria della
Terra e del Paradiso contrastano vivacemente con la distribu
zione orizzontale degli apostoli e dei giudicandi, nella seconda
zona.
Nell'icona dell'Apocalisse il cerchio assume un significato spe
ciale nella rappresentazione della donna assalita dalla Bestia,
nella figura del Salvatore, e nell'apparizione dell'angelo con il
libro; prevale finalmente, coronando l'intera immagine, nell'effi
gie dell'Agnello [ T a v . XI], circondata dall'arcobaleno, e di « Colui
che siede sul trono »; in queste figurazioni il cerchio significa la
perfezione celeste, e a questa forma di perfezione tende nel mondo
ogni essere vivente e la venera come fonte di ogni ordine e intel
ligenza. È da ricordare che anche i neoplatonici italiani del Quat
trocento avevano compreso nell'idea del cerchio il significato
dell'armonia universale 139.
Nello stesso tempo il Maestro del Cremlino ha rivalutato il
significato delle visioni dell'Apocalisse. « Colui che siede sul tro
no » non è nella sua opera la divinità rigida e vendicativa, che
immerge l'uomo nei flutti della sventura, ma è l'incarnazione del
l'intelligenza, della perfezione, dell'armonia, a somiglianza del
Logos, che gli gnostici antichi tendevano a confondere col con
cetto cristiano di Cristo; non solo la sua figura è compresa nel
cerchio formando con esso un unico assieme, ma ne è la parte
inscindibile [ T a v . XV]. In tale modo lo schema iconografico tradi
zionale si rifà anche allo spirito di quelle rappresentazioni che
avevano affascinato Leonardo, il quale in uno dei suoi disegni
(Venezia, Accademia), ispirandosi a Vitruvio, aveva iscritto nel
cerchio il corpo nudo di un uomo con le braccia aperte e le gambe
divaricate.
109
Creando la sua Apparizione del Messia, il pittore russo del
sec. XIX, Alessandro Ivanòv si era chiaramente immaginato la
riva del Giordano, il gruppo di alberi e i monti che si scorgono
in lontananza e, senza darsi pensiero dell'azione che vi doveva
rappresentare, aveva fissato tutti questi particolari in una serie
di studi preliminari. Un simile modo d'intendere il paesaggio è
sconosciuto al Maestro del Cremlino, secondo il quale invece sono
i protagonisti della rappresentazione a determinare l'ambiente
intorno: dove le figure umane sono protese verso l'alto si levano
colline, dove gli uomini cercano uno scampo si spalancano grotte,
dove il luogo è deserto e c'è spazio libero, crescono piante. Sol
tanto una volta, nella rappresentazione dell'angelo col vento
[ T a v . VI], nella parte destra della zona mediana, il Maestro del
Cremlino ha manifestato il concetto di ambiente naturale: en
trambe le figure sono inscindibili dal paesaggio montagnoso e
solitario, mentre l'angelo contempla il fiume punteggiato di stelle.
Per quanto riguarda lo sfondo architettonico, allo stesso modo
di quello naturale, è necessario aggiungere che nell'icona manca
un consistente suolo di appoggio e che le figure dànno l'impres
sione di non poggiare saldamente i piedi a terra, ma di muoversi
leggermente, quasi librandosi nel vuoto; ne deriva che l'elemento
ambientale non è più la terra, bensì un sistema di assi e di archi
che appare privo di gravità, specie di leggera struttura che deve
sostenere l'intera composizione.
Lo spazio tridimensionale si avverte nell'icona del Cremlino
in misura maggiore che non nelle icone russe della stessa epoca.
Tuttavia, i principi della prospettiva moderna non erano richiesti
perché si doveva dare non l'impressione dello spazio visto da un
unico punto focale, ma un'immagine in sintesi dell'universo. Va
ricordato che perfino i maestri del Rinascimento che tutto sape
vano sulla prospettiva e andavano fieri delle proprie scoperte in
questo campo, hanno dovuto allontanarsi dalle sue leggi, ricor
rendo a più punti focali per opere monumentali o cicliche.
Nel suo intendimento dello spazio il Maestro del Cremlino si
ricollega alla pittura murale russa del sec. XIV, e anche a Dio
nisio. Come tutti i pittori dell'antica Russia, egli non aveva cer
cato di creare l'illusione della profondità abolendo la superficie
piana della tavola. Egli voleva soltanto allargare il campo per lo
110
svolgimento dell'azione, arricchendo le sue immagini col movi
mento, col ritmo e la correlazione delle varie parti. La sua non
è una prospettiva scientifica, bensì pittorica e poetica. E il fatto
che le linee prospettiche si congiungono sul davanti, non dà
diritto di chiamare tale prospettiva in senso peggiorativo "in
versa" 140.
Nella rappresentazione delle sette Chiese [t. 8] con gli angeli
che le vigilano, gli edifici piatti a cupola si alternano con edifici
di tipo basilicale tridimensionali. Tutti questi edifici e figure sono
contenuti in uno spazio assai ristretto, ciò nondimeno la loro
distribuzione su vari piani è molto chiara 141.
Nel gruppo in cui si vede la Sposa celeste, la soluzione spaziale
è più complessa: la chiesa alla quale Giovanni rende omaggio è
ugualmente piatta, ma vi si vede l'interno in profondità, mentre
la basilica alla cui porta si affollano gli innocenti trucidati, vista
obliquamente, ha il perimetro messo in risalto "alla Cézanne”,
cosi che la facciata anteriore sembra venire avanti e la posizione
stessa dell'edifìcio collega il gruppo degli innocenti trucidati con
la figura di Giovanni [t. 24 e 26], che essi hanno l'aria di seguire.
Notevole è lo spazio ricavato per la scena nuziale, delimitato
a sinistra da un edificio color oro brunito con cupola e, a destra,
da una serie di edifici dal tetto spiovente; in mezzo a tutti questi
edifici sono disposte, su vari piani, delle tavole imbandite tridi
mensionali; le tavole, preparate per il banchetto nuziale, formano
i gradini di una scala che conduce al trono della Sposa [Tav. XVI].
Nella zona mediana deiricona spicca un edificio a cupola, piat
to, ma che nelPinterno lascia vedere la figura di un giovinetto se
duto su un trono [t. 42]; la rappresentazione di figure airinterno
degli edifici fa la sua apparizione nella pittura russa, specie nella
miniatura, agli inizi del sec. X V I142.
La fortezza di pietra bianca che si vede nell'icona, librata nel
l'aria, è un esempio unico nella pittura russo-antica: anche se non
è stato tenuto conto di un solo punto focale, il volume dell'edi
ficio appare evidente. Il suo corrispondente ha riscontro sola
mente nella pittura italiana del sec. XIV 143.
Nella zona inferiore lo spazio tridimensionale è reso nella rap
presentazione della Gerusalemme celeste [Tav, XXIII], nella cui
parte superiore sono disposte a segmento di cerchio le figure dei
111
Giusti e si svolge la processione del Re dei Re; le mura anteriori
della città sembrano in rilievo e raggiungono un raro effetto illu
sorio, sembra che la città fiabesca diventi tangibile e che dopo la
visione di quello che è stato, si passi alla visione di quello che
sarà e che sta per diventare reale; a questa realtà sorridente fa
contrasto l'apparizione spettrale dell'Anticristo, nella parte de
stra. Anche la folla dei Giusti prende, vicino alla Gerusalemme
celeste, una maggior consistenza, nonostante il fatto che la città
somigli a un giocattolo e le sue mura sembrino fatte di cartone.
Tutti questi elementi legati alla terza dimensione non vanno
compresi nel criterio della pittura prospettica; tuttavia lo spazio
rappresentato nell'icona si distingue anche da quello comune alle
icone e agli affreschi ellenistici e bizantini. Lo spazio tridimen
sionale dell'icona è illusorio, irrazionale, incommensurabile e
quasi inevidente e, in ultima analisi, si dissolve nell'insieme deco
rativo dell'opera.
Il Maestro del Cremlino era un disegnatore molto abile, natu
ralmente non nel senso accademico, cioè non dal punto di vista
dell'esattezza nel rendere i tratti di un oggetto qualunque. A diffe
renza della maggioranza dei pittori russi suoi contemporanei che
ricorrevano su vasta scala alle raffigurazioni canoniche, permet
tendosi solo minime deviazioni da tali schemi, il Maestro del
Cremlino non solo ha manifestato l'indipendenza delle proprie
idee, ma anche l'indipendenza nell'esprimerle nel disegno.
A causa della cattiva conservazione dell'icona, il contorno delle
immagini, eseguito con un pennello sottile, si delinea in alcune
sue parti troppo incisivamente. Il disegno del Maestro del Crem
lino non si esaurisce nella resa esteriore dell'immagine, ma riesce
a dare anche un'idea della sua struttura interna (nella figura vesti
ta, il corpo umano), il movimento, il volume, ecc. [t. 34]. È insita
anche nel disegno la carica emotiva dell'oggetto ritratto; i con
torni si debbono intuire da lontano e vanno riproposti alla mente
come formule, ed intonati al ritmo di tutta l'opera devono in
somma trovare una loro corrispondente nelle pause tra immagine
e immagine. Un disegno del genere non è soltanto il frutto di
un'acuta osservazione e di bravura tecnica, ma è anche il risultato
di una creazione molto impegnata. Un disegno cosi inteso era
stato ereditato in Russia, attraverso Bisanzio, dai grandi maestri
112
dell'antichità, e il Maestro del Cremlino aveva l'assoluta padro
nanza in questo campo.
Oltre all'abilità di rappresentare ogni cosa egli raggiunge col
suo disegno quelle caratteristiche determinanti che distinguono
anche la poesia epica popolare dalla letteratura dotta. Questo
modo di concepire il disegno diventa una vera esigenza quando si
vuole far risaltare le immagini fin dal primo sguardo. Le silhouet-
tes sono nell'icona della Cattedrale della Dormizione molto più
nette di quelle di Rublev e di Dionisio, e ricordano qualche volta
l'arte vascolare greca e gli affreschi etruschi; l'abilità del Maestro
del Cremlino consiste anche nell'aver dato una grande varietà di
queste silhouettes, che però non rimangono isolate tra le altre im
magini, ma s'inseriscono organicamente nella trama dell'insieme
[ T a v . II]. Senza spezzare i contorni, il Maestro riesce a comuni
care a ciascuna figura un atteggiamento caratteristico, particolare
che spesso diventa essenziale. A queste abilità come disegnatore
si deve aggiungere quella dell'esecuzione, generalmente condotta
con un tratto leggero, disinvolto, che non denota alcuno sforzo;
si sente come il pennello segua docilmente lo slancio alato della
fantasia; a volte è un tratto energico, deciso, a volte elementare,
sommario perfino, e ogni tanto rivela una grande flessuosità, mor
bidezza e leggiadria quasi civettuola. Non vi sono incertezze o
pedanterie, non indifferenza e fatica; il pittore ha del proprio
pennello la stessa padronanza che ha il calligrafo-pittore cinese,
e qualche volta diventa audace, perfino sfrontato, quando vuole
far risuonare una nota più alta.
Uno dei più begli esempi dell'abilità grafica dell'artista è rap
presentato dall'angelo che si china sul masso [t. 38]; si sa già
che non è negli intenti del Maestro rappresentare l'angelo pronto
a scagliare la pietra sulla folla, e l'immagine manifesta unica
mente l'infaticabile attività giovanile e la devozione al volere del
Signore. L'angelo si china soltanto, senza accennare a raccogliere
la pietra, la sua figura ha qualcosa di nobile e di puro, la curva
prodotta dalla sua schiena replica il motivo circolare della pietra
(cerchio di Rublev!) e, nello stesso tempo, crea un cerchio armo
nico con la manica; attraverso la stoffa si può distinguere il suo
corpo di cui è specialmente messa in evidenza la muscolosità
della gamba divaricata. Oltre alla bellezza trascendentale, la figura
113
spira dunque un vivo e possente anelito di vita fisica; al disopra
della pietra tondeggiante si curva il semicerchio dell'ala piegata,
poi il nimbo circolare e nuovamente il morbido contorno dell'altra
ala, energicamente levata in alto, che pare voglia spiccare il volo,
e che serve ad equilibrare la posizione della figura.
Nell'arte dell'Oriente e dell'Occidente medioevale, in Italia, nei
Paesi Bassi, a Bisanzio e nella Russia antica si possono trovare
molti e bellissimi angeli. L'angelo della Crocifissione di Dionisio
[t. 88 a] è un modello di serenità classica di armonia fisica, di
equilibrio; esso veleggia, con gli strumenti della passione in mano,
oltre la croce, pari a una nuvola. Diverso è l'angelo dell’Apoca
lisse chino sulla pietra; egli è un raro esempio di leggiadria e di
vigore assieme, di slancio e di equilibrio.
A mezzo di modulazioni finissime, il Maestro del Cremlino ha
arricchito le sue immagini. Nella zona inferiore due possenti an
geli, con movimento elegante e misurato delle braccia levate,
fanno precipitare con le proprie lance i dannati nell'inferno [t. 70
e 71]; sono due figure quasi uguali, con lo stesso passo allungato,
lo stesso slancio della destra levata, entrambi forniti di ali pos
senti; ma mentre l'angelo con il mantello rosa poggia saldamente
le gambe divaricate al suolo, con le pieghe che ricadono diritte,
l'altro col mantello color oliva, prossimo all'abisso, ha il corpo
piegato dallo sforzo di tenersi sull'orlo, le gambe più tese, il man
tello scostato all'indietro e tutto questo è espresso mediante una
fine modulazione del disegno che rende l'azione della figura pre
cisa ed evidente.
Negli angeli che stanno a guardia delle sette chiese [t. 8], slan
ciati negli ampi chitoni e mantelli dalle pieghe pesanti (il ritmico
fluire delle pieghe aveva interessato i pittori del Quattrocento
anche in Russia, come in Italia), appaiono flessuosi e aggraziati,
e i loro rotoli fluttuanti formano tutt'uno con la loro persona,
alla maniera delle candide corolle dei gigli che coronano il pro
prio stelo. Per l'abilità con la quale il pittore ha saputo far sen
tire la struttura del corpo vestito, lo si può paragonare a Raffaello,
i cui molti disegni eccellono proprio per questo 144.
Ancora notevole è la figura dell'Angelo con il rotolo che si
rivolge a Giovanni [t. 29], suo attento interlocutore; questa figura
è una libera parafrasi dell'angelo centrale della Trinità di Rublev
114
[t. 86 a], anche se qui egli china leggermente il capo dall'altra
parte; l'orlo della sua manica pende pesantemente accentuando
il movimento del capo e formando un ovale, mentre la punta del
piede sinistro, che si protende appena in avanti, forma il prolun
gamento organico dell'orlo superiore della manica; la figura di
Giovanni, che si volge intento verso di lui, è delineata in modo
da accompagnare con l'orlo destro del suo mantello il motivo che
abbiamo indicato, mentre dal lato opposto corrisponde all'orlo
dell'icona stessa. L'enorme pergamena nelle mani dell'angelo di
venta il centro spirituale di questa scena e sembra un'onda pos
sente; la sua punta aguzza che si staglia sullo sfondo scuro di un
vano di finestra, la rende quasi, nelle mani dell'angelo, un'arma
possente. Non è necessario applicare all'arte del Maestro del
Cremlino appellativi come quello di "stile lineare". Ma senza dub
bio egli era un maestro dalla linea ritmica e melodiosa.
È significativo mettere a confronto i tre cavalieri [ T a v . XII]
dell 'Apocalisse con i messi a cavallo rappresentati nell'icona della
Battaglia di Suzdal contro Novgorod [t. 92], la famosa icona di
Novgorod 14S. Sono entrambe immagini epiche di grande effetto
e dipinte con molta abilità; tuttavia, anche nell'ambito di una
certa similitudine, vi si notano differenze essenziali; il maestro
di Novgorod si attiene alla solita formula iconografica limitan
dosi a svolgere con la sua fantasia la parte cromatica, senza tut
tavia portarvi alcuna novità sostanziale; per il Maestro del Crem
lino invece ogni immagine è sempre una creazione "ex-novo",
ciascuno dei suoi tre cavalieri diventa una sua felice invenzione.
Il contorno delle immagini, nell'icona di Novgorod, traccia la
forma, ma la restringe anche e, se le dà solidità e forza, ne con
tiene però anche l'impeto e la priva di flessuosità; le figure dei
cavalli e dei cavalieri sono come pietrificate, simili ai geroglifici;
tutto quello che circonda la figura è uno sfondo neutrale.
Anche il Maestro del Cremlino tende alla generalizzazione della
immagine; in particolare il cavaliere sul cavallo morello [ T a v . I I ,
t. 23] è di molta efficacia da questo punto di vista, ma il contorno
non serve qui solamente a delimitare all'esterno la figura, poiché
questa è formata dal concorso di vari elementi. Nel cavallo mo
rello la struttura fisica del corpo non è evidente come nel famoso
Giovanni Acuto di Paolo Uccello. La raffigurazione del cavallo
115
nell'icona ricorda, in un certo senso, una stella o un polipo ma
rino. Tale metafora visiva non incide sulla vivacità dell'immagine,
ma ne arricchisce il significato artistico e la comprende ancor più
nella trama pittorica dell'icona. I contorni sono più flessuosi, più
fluidi che non nell'icona di Novgorod, c'è più varietà e in maggior
misura vi sono espressi i vari aspetti della vita, le sue stesse con
traddizioni; anche se i cavalieri si affrettano, essi hanno anche
l'aria di pavoneggiarsi sui loro cavalli.
Nell'icona di Novgorod i cavalieri sembrano avanzare su binari
verso una sola direzione, compiendo una sola azione. Nell'icona
del Cremlino i cavalieri sono l'incarnazione stessa del vigore, del
coraggio, dell'abilità, della giovinezza, della vita insomma, e si
ricollegano, in questo senso, ai cavalieri giovinetti che Fidia e i
suoi allievi avevano creato per il tempio dell'Athena Parthenos,
al sommo della cittadella ateniese.
Come già si è detto, la maggior parte dei pittori dell'antica
Russia aveva l'abitudine di attenersi ai tipi iconografici stabiliti,
manifestando la propria capacità di invenzione di preferenza nel
campo cromatico: colori decisi, colori puri, sempre allegri, sonori
e armoniosi erano i loro principali mezzi di espressione e, prima
di ogni altra cosa, uno sfogo dell'anima.
I colori del Maestro del Cremlino non possono vantare un
ruolo decisivo nella sua pittura; l'arte dalla narrazione, dalle ca
ratteristiche sottili, e l'abilità del disegno lo hanno impedito;
l'artista non poteva appassionarsi ingenuamente al puro colore
come i suoi predecessori, tuttavia non si può neppure affermare
ch'egli sia più disegnatore che pittore.
Ci si può rendere conto che il creatore dell’Apocalisse si è ser
vito del colore come di tutti gli altri mezzi figurativi, e la piena
corrispondenza di tutti questi mezzi artistici fanno di quest'opera
uno degli esempi più rari che ci siano pervenuti.
Innanzi tutto il colore diventa un mezzo per caratterizzare le
varie immagini rappresentate: i cavalli, il manto scuro di Giovan
ni, quello fiammeggiante dell'arcangelo guerriero, la veste di broc
cato d'oro dell'Onnipotente, le montagne color sabbia, ecc., ecc.
Il colore ha poi un significato simbolico: le vesti bianche signifi
cano la purezza spirituale dei Giusti, il rosso è il colore che distin
gue la Bestia dalla donna di Babilonia, quasi un riflesso delle
116
fiamme infernali; il rosso della donna compresa nel cerchio de
nota la sua appartenenza al Sole [ T a v . XVIII], la terra rosso-cupo
su cui cresce la vite sanguinosa.
Infine il colore distingue anche, nelle varie figure, la loro appar
tenenza alle varie sfere: l'angelo dell'abisso ha il volto e le vesti
terree, l'adolescente nel tempio, simbolo della Voce celeste, è di
colore rosato, l'Anticristo è del colore della caligine e della sabbia,
mentre i diavoli precipitati dall'Arcangelo appaiono di un mar
rone olivastro. I personaggi che sono in monocromato hanno un
carattere trascendentale: i venti, che non sono veri uomini, ap
paiono di un colore azzurro livido come se fossero di alluminio;
gli angeli, nell'alone dell'Agnello e di « Colui che siede sul trono »,
sono di un verde smeraldo, come gli aloni stessi, poiché appar
tengono all' "alta sfera". Tale concetto del colore risale all'anti
chità e trova una rispondenza nella pittura del Rinascimento, in
particolare nelle "grottesche" eseguite in grisaille.
Questo riguarda l'impiego del colore come mezzo figurativo.
Ma il Maestro del Cremlino era anche sensibile alle reazioni emo
tive del colore, agli accordi cromatici, ai colori complementari,
alle armonie e alle dissonanze, rivelandosi stupendo pittore delle
sfumature cromatiche e delle mezze tonalità.
Nell'antica pittura russa l'illuminazione degli oggetti rappre
sentati — eredità trasmessa da Bisanzio — veniva dall'esterno, e il
sistema dei "tocchi" di colore chiaro, vere macchie di luce, ne è
la testimonianza, e non manca nelle singole figure dell'icona, in
particolare nelle vesti degli apostoli e degli angeli nella scena del
Giudizio Universale. Tuttavia, già nelle icone di Rublev, la luce
aveva cominciato a sprigionarsi dagli oggetti stessi come un segno
della loro carica di vitalità interiore. Nelle icone di Dionisio e dei
maestri all'inizio del sec. XVI i colori diventano particolarmente
luminosi, trasparenti, acquarellati, a volte perfino applicati "a
spruzzo" come si esprimono i pittori di icone, e sostituiscono le
tinte compatte e dense già in uso, ricorrendo ad accostamenti cro
matici raffinati che sembrano quasi racchiudere un fremito pas
seggero appena percepito dall'occhio.
È necessario studiare attentamente il dipinto per cogliere tutte
le raffinatezze cromatiche del Maestro del Cremlino. La Sposa
[T a v . XVI], avvolta in un manto di bisso bianco, è seduta sullo
117
sfondo di edifici bianchi, tuttavia la sua veste ha dei riflessi
appena azzurrini mentre gli edifici, alle sue spalle, hanno riflessi
olivastro dorati; il giovane sul cavallo sauro [ T a v . I ] è vestito
di un mantello rosso cinabro e chitone rosa, e l'insieme di que
ste tinte forma un accordo fine e vibrante; uno degli angeli del
le sette Chiese è coperto da un manto rosa pallido, e l'edificio
alle sue spalle ha riflessi della stessa tonalità rosata; il cavallo
esangue della morte è di una tinta leggermente rosata, mentre gli
animali che lo precedono sono di un rosa dorato; il cavallo del
l'arcangelo è bianco, ma è seguito da cavalli bianco grigi; tutte
queste tonalità e mezze tonalità sono molto sottili ed esprimono
una grande sensibilità di esecuzione, e su questa sottile differen
ziazione si basa l'accostamento dell'ocra calda nella veste dell'an
gelo con il turibolo [ T a v . X I V ] , con la tinta dell'edificio che è nel
fondo, pure color ocra ma tratteggiato d'oro; il gruppo dell'An
ticristo con i suoi seguaci è di color sabbia con tocchi di luce
di un celeste pallido, parcamente distribuiti; è anche degno di
nota l'alone di luce dell'Onnipotente, nella scena del Giudizio Uni
versale: il suo candido trono si staglia sullo sfondo smeraldo
chiaro contornato da un cerchio bianco, poi da uno rosa pallido
e poi nuovamente da un altro color smeraldo, ma più intenso, e
infine ancora da un cerchio bianco; in questo modo l'alone dà
immediatamente l'impressione dello spettro solare 146.
Questi sono i singoli aspetti della sinfonia cromatica dell'in
sieme. L'impressione generale è quella di una vasta gamma di
tenerissime ed appena percettibili modulazioni di colori, che si
dissolvono nel ritornello delle tinte vive prevalenti. Osservando
l'immagine da lontano, permane l'armonia dell'insieme e dei par
ticolari [T a v . X]; è come un praticello costellato di vividi fiori in
primavera, ovunque si accendono come fiammelle i rossi cinabro
e, a intervalli uguali, sono disseminate le tinte calde, qua e là
contrastate da tonalità complementari fredde; le mezze tonalità
fanno vibrare di vita palpitante tutta la superficie della tavola.
A distanza si affievolisce il valore figurativo e il simbolismo
del colore; il prevalere del cinabro dà gaiezza, vivacità, senso
epico alla rappresentazione; proprio nel centro dell'icona spicca
il citaredo vestito di rosso [T a v . V] e questa macchia di colore
risuona allo stesso modo di quella che si trova ai piedi dell'angelo
118
chino sopra la pietra che rappresenta il mare di sangue. L'inten
sità del rosso è messa ancor più in risalto dalla prossimità del
l'ocra, del rosa, dell'arancione, del fragola e del marrone; le tona
lità calde, a loro volta, sono messe maggiormente in risalto dal
l'intercalare raro e flebile dei riflessi verde smeraldo, verde oliva
e grigi. Tra le tinte fredde non è dato incontrare l'azzurro, prefe
rito di Rublev e della scuola originaria moscovita; la gamma di
preferenza calda dell'icona, come nelle opere di Dionisio, rivela
l'influsso della scuola di Novgorod su quella di Mosca, che comin
ciava a farsi sentire verso la fine del sec. XV.
In generale, dal punto di vista cromatico, nell'icona del Crem
lino prevale l'armonia sulle discordanze e sui contrasti, come
prevalgono le tinte pure dello spettro solare sulle modulazioni.
L'insieme della rappresentazione è rischiarato da una luce diffusa.
Il colore non vi esprime decisamente uno stato emotivo partico
lare ma dà, innanzitutto, un senso di elevatezza spirituale e di
festosità, di vita e di equilibrio, esprimendo nel modo più adatto
l'intento del Maestro di liberare gli animi dalle paure e dalla di
sperata consapevolezza dei propri peccati, istillando la fiducia
nel raggiungimento di una felicità terrena che è anche un diritto
degli uomini.
Attraverso le sue caratteristiche fondamentali dunque, l'icona
rivela la sua appartenenza alla scuola russa del sec. XV, i cui mo
tivi prevalgono sempre sulla personalità e sul mondo interiore
del pittore. L'artista ha, per cosi dire, unita la propria voce allo
squillante coro popolare.
119
quali ha ricevuto un soffio di vita, un qualcosa d'individuale, una
particolare forma e espressione.
Ancora vent'anni prima che fosse dipinta l'icona dell’Apoca
lisse, Aristotele Fioravanti, in collaborazione con i costruttori mo
scoviti, aveva innalzato l'edificio della Cattedrale della Dormi
zione nella quale, pur rimanendo nei limiti del tipo tradizionale
di chiesa russa, aveva non soltanto dato prova di una stupenda
abilità tecnica, ma anche e soprattutto di grandiosità e di bel
lezza [t. 90]. La cattedrale rallegrava i contemporanei con la sua
ampiezza, la luminosità dell'interno, la snellezza dei pilastri simili
ad alberi di alto fusto, la proporzione armoniosa delle forme. Per
la prima volta in Russia l'edificio sacro si era tanto ingrandito
e allargato da potere accogliere una grande moltitudine. Tutto
quello che venne aggiunto in seguito corrispose all'invito rivolto
dal mirabile artefice italiano e dai suoi compatrioti di partecipare
ai principi dell' "arte nuova" 147. Una risposta degna di tale invito
è l'icona del Maestro del Cremlino.
Nell'architettura di quel tempo era stato impostato il problema
della fusione del tipo di edificio di pianta a croce iscritta con
i principi dell'ordine classico. Nel suo desiderio di intonare alla
nuova maniera vecchi prototipi iconografici, il Maestro del Crem
lino aveva avuto una preoccupazione simile a quella degli archi
tetti. In definitiva anche l'icona della Cattedrale della Dormizione
è un brillante tentativo di associare principi iconografici tradizio
nali con un ardire creativo, tutto nello spirito dell' "arte nuova".
Essendo troppo scarse le fonti letterarie giunte fino a noi, non
è possibile determinare con maggiore precisione la posizione di
quest'opera nella storia della cultura russa. Comunque, tra tutte
le correnti del tempo, l'icona dell’Apocalisse appartiene sopra
tutto a quella che, sostenuta dalle idee dei liberi pensatori, si era
sviluppata soprattutto negli ambienti laici, simpatizzando con
quanto la cultura antica aveva tramandato. Infatti il modo con
cui il Maestro del Cremlino e dopo di lui Teodoro Kàrpov consi
derano l'arte, ha molti punti in comune. Il primo realizza in pit
tura un mondo armonioso, il regno della giustizia, uno spettacolo
che allieta e solleva lo spirito umano, che insegna a vedere il mon
do. Il secondo ricorda ai governanti l'esempio della "cetra del
musico Davide", il quale sapeva accordarla per trarne suoni armo
120
niosi e leggiadri, come l'antico Orfeo, glorificato dal Poliziano
come il primo artista cantore. Kàrpov affermava che l'uomo, os
servando il movimento degli astri celesti, può avvicinarsi alla
divinità, e si attirava poi con la sua affermazione il dissenso di
Massimo il Greco. Intanto nel concetto dell'icona dell’Apocalisse,
nell'armonia stessa dei suoi cerchi e nell'ordinamento leggiadro,
vi è un segno tangibile della cosmologia intesa in senso rinasci
mentale. Fra tutti i più noti rappresentanti della cultura russa al
principio del sec. XVI Teodoro Kàrpov deve avere indubbiamente
trovato più di ogni altro, nella creazione del Maestro del Crem
lino, qualcosa di aderente al suo spirito.
Nella Cattedrale della Dormizione dove l'icona fu collocata,
già a quell'epoca grandeggiava l'iconostasi, adorna di icone di
pinte da Dionisio e poi scomparse. Questa iconostasi evidente
mente doveva essere stata degna di entrare in cosi splendido
edificio.
Dionisio aveva indubbiamente saputo adeguarsi in modo am
mirevole alla solennità, alla grandiosità e all'imponenza dell'ar
chitettura della cattedrale; a giudicare dalle altre sue opere si
può supporre che nelle sue imponenti figure, nel ritmo sereno
della composizione, nella tenera armonia cromatica, il maestro
tanto celebrato abbia saputo esprimere la severità e la misura
classica 148. Di fronte alla iconostasi, sulla parete occidentale, si
trova oggi l'icona con l’Apocalisse. In contrasto con l'opera di
Dionisio, dalla nobile misura ispirata ai canoni prestabiliti, l'icona
del Maestro del Cremlino appare come uno sguardo audace volto
al futuro, un appello coraggioso all'umanità; uomini e cose, come
in una chiara visione di sogno, spostandosi dai luoghi usuali, si
sono mescolati come presi nella foga di un turbine: risuonano
voci glorificanti per l'attesa del Messia, battono sonori gli zoccoli
dei cavalli, rovinano le fortezze, si snoda il fiume; ovunque si
accalcano folle di genti, di musici, di cantori, si accendono i colori
come fiammelle; in mezzo a un mondo cosi sconvolto passano
silenziosi i buoni collaboratori dell'umanità, i genii alati che qual
che volta passano davvero rapidi in volo. Questo spettacolo sol
leva lo spirito, rallegra l'occhio, risveglia l'energia, convince di
quanti vasti spazi l'uomo dispone in questo mondo, di quante
cose può essere artefice.
121
Negli anni che videro il Maestro del Cremlino terminare la
propria opera, Dionisio aveva già lasciato la capitale per andare
a comporre nel lontano Nord, nella regione dell'Oltre Volga, il
suo "canto del cigno", gli affreschi del monastero di Feraponte,
del 1502 nei quali la glorificazione di Maria, protettrice di Mo
sca, si trasformava in un cantico rivolto all'umanità intera. In
questo ciclo di Dionisio vi sono meno audacia e meno innovazioni
che nell'icona del Maestro del Cremlino; con tutto ciò egli ha
saputo distribuire le figure sulle pareti, sulle volte, sui pilastri e
nella cupola del tempio e, nonostante una certa fragilità delle im
magini, le scene nella loro cornice architettonica assumono un
carattere di incrollabile stabilità.
Si può supporre che anche il Maestro del Cremlino sia stato un
frescante per vocazione, poiché la sua icona ha l'apparenza di
uno schizzo per una grandiosa composizione ciclica, e si può facil
mente immaginare la potenza che se ne sarebbe sprigionata se il
Maestro avesse avuto la possibilità di riprodurla in grande, dispo
nendo le varie scene e le singole figure sulle pareti e sui pilastri
di un vasto edificio, sorretto dalla solenne architettura, nella sua
concezione di un mondo ideale. Questa naturalmente è una mera
supposizione. In ogni modo l'icona medesima comprende già i
presupposti di uno stile monumentale, e a tale riguardo la si può
confrontare con gli schizzi biblici di Alessandro Ivanòv, disegnati
per composizioni murali che egli però non ha mai effettuato 149.
Nulla si sa della sorte del Maestro del Cremlino dopo il compi
mento dell'icona dell'Apocalisse; inoltre, sono pochissime le opere
che hanno attinenza con essa. In un'icona dei primi del sec. XVI,
proveniente dalla raccolta Ostroùkov (detta dei Sei Giorni [t. 89 a,
b], Galleria Tretjakov), i Giusti con le stole bianche ricordano
i vegliardi e gli innocenti trucidati dell'icona del Cremlino, seb
bene la prima sia compenetrata di uno spirito più tradizionale per
concetto e più aderente alla pittura puramente iconografica. Non
c'è alcun fondamento, comunque, per considerarla opera dello
stesso Maestro. Vi sono più punti di contatto invece con l'icona
della Vita del Beato Andrea [t. 94 e 95] dei primi del sec. XVI,
conservata al Museo Russo. Tra queste scene, evidentemente
ideate dall'autore "ex novo", alcune ricordano l'icona della Catte
drale della Dormizione, anche se le singole figure se ne discostano
122
per una maggiore espressività mimica; comici e agitati i diavoli
che tentano Andrea, rara, per l'arte russa sacra, l'effigie della don
na nuda, i colori sono tenuti in una tonalità molto leggera quasi
acquarellati, mentre il contorno è effettuato con un tratto cor
retto, flessuoso, abbastanza disinvolto. La storia di Andrea il
Beato è il racconto della sua vita inquieta e straziata; chiare vi
sioni celesti si alternano in essa a cocenti tentazioni demoniache.
Egli stesso non appare come un misero asceta consunto, — come
nelle icone più tarde, — la sua figura seminuda con la mano levata
somiglia piuttosto a quella di un saggio antico o di un oratore.
Di tutto quanto si conosce nella pittura russo-antica questa icona
è la più vicina a quella del Maestro del Cremlino, ma anche in essa
si avverte una tecnica più tradizionale.
Poco prima che l'icona dell’Apocalisse venisse collocata nella
cattedrale, tra le sue mura ebbe luogo un evento che attrasse l'at
tenzione dei contemporanei in assai maggior misura che non l'ope
ra del Maestro del Cremlino: l'incoronazione del figlio di Ivan III.
Nella liturgia ortodossa era generalmente insito, in notevole
misura, il suo carattere simbolico: nei riti, nelle preghiere e nei
canti affioravano la tristezza e la gioia accennanti alla sorte uma
na. Quello che i moscoviti videro per la prima volta nella Catte
drale della Dormizione ebbe per loro un altro significato: la glo
rificazione del sovrano e della sua divina potenza. Lo spettacolo
solenne doveva concludere degnamente, rafforzandola, la rappre
sentazione del grande principe di Mosca, come successore dell'im
peratore di Bisanzio. Solennemente paludato nella veste tradizio
nale e con il copricapo di Monomàco, accompagnato dagli osanna
del popolo, egli veniva ricoperto da una pioggia di monete quando,
uscendo dalla cattedrale, si dirigeva verso il proprio palazzo. Mo
sca seguiva l'esempio di Bisanzio, non però della Bisanzio deposi
taria della cultura greca che tanto affascinava gli artisti, ma della
Bisanzio come potenza assoluta con tutto l'apparato di imposi
zioni e l'insorgente despotismo. Le chiese del Cremlino, e con esse
gli affreschi parietali e le icone, compresa quella dell'Apocalisse,
assursero al ruolo di fastosa cornice per la gloria del sovrano
russo. È naturale che questo stato di cose non concorse allo svi
luppo della libertà di pensiero che aveva prodotto la mirabile
opera del Maestro del Cremlino.
123
Per confermare il suo potere, la sovranità assoluta trovò l'ap
poggio della Chiesa ufficiale; questa, da parte sua, si impegnava
di appoggiare lo zar nella sua campagna contro i liberi pensatori,
e il cancelliere libero pensatore Teodoro Kurizin venne sostituito
verso la metà del sec. XVI dal cancelliere Ivan Viskovatij, cu
ratore di onorificenze, disgregatore di eresie, inquisitore nato 1S0.
È probabile che l'alleanza, avvenuta nei primi del sec. XVI tra
il governo e la Chiesa, sia da considerare come una ineluttabilità
storica; quest'alleanza era giustificata dalla necessità che sentiva
il governo di cautelarsi con l'appoggio della istituzione più auto
revole della società medioevale. Tutto il resto non poteva essere
che conseguenza di questa situazione 151.
Ma se si vuole comprendere il destino della cultura russa, non
si può fare a meno di riconoscere che questa alleanza ha dato la
palma della vittoria alle forze reazionarie, distruggendo lo spirito
di ricerca, arrestando il processo, tumultuosamente iniziato, del
l'emancipazione del pensiero, e ha inferto un grave colpo al fiorire
dell'arte in Russia. Da quel momento, con sempre maggior insi-
tenza, fu chiesto che i pittori divenissero docili servitori della
Chiesa ufficiale. Non a caso perfino il figlio di Dionisio, Teodosio,
si era visto costretto a sottostare alla poco attraente fama di
"rivale della purezza dogmatica", ed è noto, in particolare, che
egli si era schierato con le forze destinate a disperdere e a sma
scherare i "giudaizzanti". Da parte sua la Chiesa aveva preso a
proteggere i suoi pittori di icone, quando Viskovatij aveva impu
tato di eresia i maestri di Pskòv. Per questa protezione delle
autorità i pittori pagarono un alto prezzo; il Concilio dei Cento
Capitoli educava infatti i maestri affinché vivessero virtuosamente,
intendendo con ciò che diventassero un cieco e docile strumento
nelle mani della Chiesa.
Cosi limitata la libertà, l'arte assunse sempre più un carattere
ufficiale, e il pittore creatore cedette il posto al pittore artigiano.
Il pensatore, l'innovatore, il pioniere che dimostra di essere il
Maestro del Cremlino, dovettero rendergli sempre più difficile la
sua attività a Mosca; questa forse è la causa per cui non vi si
trovano altre tracce della sua opera.
Ma quali furono le reazioni delle generazioni successive davanti
all'icona pervenuta loro in eredità? Non si può dire che sia pas
124
sata del tutto inosservata. Nel 1508 Teodosio, figlio di Dionisio,
e con lui due suoi aiutanti, tra vari episodi rappresentano nella
Cattedrale dell'Annunciazione anche alcune scene dell'Apocalis-
se 152. Questi affreschi attirano l'attenzione del visitatore del Crem
lino per la loro esecuzione solida, anche se sono di gran lunga
inferiori agli affreschi anteriori della Cattedrale della Dormizione.
Teodosio ha sovraccaricato di figure, con la foga irruente di un
illustratore, le sue composizioni, distruggendo l'unità strutturale
di tutto il ciclo. Per quello che riguarda le scene dell'Apocalisse,
alcuni motivi appaiono presi a prestito dall'icona del Maestro del
Cremlino come, ad esempio, le figure nude dei venti, un po' più
grossolane e semplificate, prive del loro incanto originario. L'im
portanza di questi affreschi è dovuta soprattutto al fatto che
dimostrano come il pittore moscovita del XVI sec. conoscesse
l'icona e vi attingesse motivi per la propria arte.
Successivamente, durante i sec. XVI e XVII, nella serie dei
numerosi manoscritti miniati dell'Apocalisse, si possono trovare
alcuni motivi che certo derivano dall'icona del Cremlino; in un
manoscritto si trovano angeli simili a quelli che stanno a guardia
delle sette chiese, in un altro il duello di Elia con il leone, in un
terzo la figura nuda di un vento in volo, e angeli in volo con i
due profeti, in un quarto l'inferno con le anime dei risuscitati153.
È evidente che l'icona era stata osservata, ma i più recenti illu
stratori russi, in sostanza, non avevano compresa l'opera del Mae
stro del Cremlino. La bellezza della sua pittura era al disopra del
loro intendimento, e l'icona diventava per loro sempre più un
qualcosa di "serrato da sette sigilli"!
Le illustrazioni russe dell'Apocalisse dei secoli XVI e XVII,
(icone, incisioni, affreschi e sopratutto miniature) sono una ben
triste testimonianza dell' " inselvatichimento " che stava avendo
luogo nel Paese negli anni che videro il consolidamento del potere
assoluto e lo stabilirsi della servitù della gleba. Colpisce sopra
tutto in queste rappresentazioni il sentimento della cieca confusa
paura di catastrofi celesti, di mostri infernali, di falsi profeti, di
ingannatori, di sobillatori. In questi sentimenti affiorano oscure
forze che, in seguito, portarono le masse popolari alla "vecchia
credenza" e all'attesa dell'Anticristo.
F. I. Buslàiev ha tentato di rivelare, attraverso le illustrazioni
125
russe dell'Apocalisse, la coscienza del popolo minuto. Gli storici
dell'arte dell'Europa occidentale s'interessavano alle riminiscenze
delle stampe del Diirer, ma nelle miniature russe non videro altro
se non del primitivismo divertente 154. Queste miniature rappre
sentano per lo spettatore moderno una manifestazione di crea
zione spontanea, di slancio subcosciente, di allucinazioni, simili
ai disegni infantili, oppure di psicopatici.
Tra i numerosi manoscritti russi illustrati dei sec. XVI e XVII
alcuni hanno un carattere più tradizionale; nell’Apocalisse della
fine del sec. XVI appartenente alla raccolta Chludòv (Museo Sto
rico) tutto è molto corretto, dignitoso; vi è simmetria nelle com
posizioni, le figure sono regolari perfino nel vento scatenato, in
sembianze di giovinetto nudo che, imitando Giovanni, si rivolge
al cielo in atto di preghiera. Le altre illustrazioni sono più fanta
siose, più vistose e piacevoli. A volte ciò che più attira è la forza
espressiva delle figure, l'immediatezza degli atteggiamenti, la loro
semplicità e sincerità, ma nella maggior parte dei casi si avverte
la mancanza di una vera maestria pittorica. Bisogna pensare che
per i maestri di queste miniature la storia sembra essersi fermata,
e che l'umanità sembra tornata agli inizi del Medioevo, al tempo
delle Apocalissi illustrate spagnole ed ottomane. Vi si nota la
tendenza di trasferire alla lettera il testo di Giovanni in linguaggio
figurato, e tutto quello che vi è di spirituale, tutto quanto è pro
fetizzato mentalmente, assume un grossolano carattere materiale.
I miniaturisti non fanno alcuna distinzione tra quello che è essen
ziale e quello che ha invece un carattere accessorio. Buslàiev
aveva giustamente notato che per questi illustratori tutto ha nel
testo la medesima importanza e che sono perciò disposti a ripor
tare ogni singola parola per la comprensione di coloro che non
sanno leggere.
La maggior parte degli illustratori dei secoli XVII e XVIII
esprime i sentimenti dell'uomo indifeso davanti alla rigida, ven
dicativa forza celeste 155. Basandosi sulle parche parole del testo
essi cercano di immaginare, quasi con ebbrezza, i mostri più inim
maginabili, come, ad esempio, Gog e Magog, Satana, la Bestia,
fornendoli di attributi animaleschi paurosi, occupandosi di essi
in maggior misura che non dell'uomo e della divinità156. Rappre
sentando questo mondo diabolico essi non sono in grado di ma
126
nifestare un senso umoristico, tanto è il terrore con il quale li
accostano. Gli esseri mostruosi appaiono ad ogni passo cosicché
si può pensare che questo mondo sfugga al controllo dell'Onni-
potente 157. Giovanni che contempla un mondo siffatto, è solita
mente un uomo frustrato e solitario 158. Dove viene a mancare la
forza di espressione viene in soccorso la volgarità. La distribu
zione dei vari oggetti nella raffigurazione è spesso disordinata, il
limite tra cielo, terra e inferi è cancellato. Sembra che le figurette
non agiscano per loro conto, ma siano mosse e disseminate dà una
mano possente. Esse si perdono in mezzo alla natura che è loro
ostile, si chinano docili davanti a ciò che è soprannaturale. Prese
singolarmente le miniature possono anche produrre un certo
effetto, ma neirinsieme nessun illustratore è stato capace di creare
qualcosa che per vastità d'intento e per esecuzione possa essere
paragonato all'icona della Cattedrale della Dormizione 159.
Nel sec. XVI fanno la loro apparizione le illustrazioni dell'Apo
calisse anche nella pittura bizantina. La Chiesa russa anche a quel
l'epoca guardava con rispetto verso l'autorità greca nelle questioni
ecclesiastiche, e in casi di controversia non mancava di chiederne
il giudizio 16°; tuttavia nell'arte bizantina di quel tempo il vigore
creativo si era esaurito. Ecco perché nella serie degli affreschi
sul tema dell'Apocalisse del monte Athos e nella « Ermeneia », il
manuale di pittura sacra, i greci si ispirarono alle incisioni del-
l'Holbein, quasi copiandole del tutto, solo schematizzando mag
giormente le immagini e rendendole più consone alle esigenze
della pittura parietale 161. Questo fatto fu spiegato con l'avvicina
mento della ortodossia al protestantesimo 162. Ma è assai strano
che i monaci greci non si siano interessati di conoscere le crea
zioni dell'arte russa in questo campo e in particolare l'opera del
Maestro del Cremlino. In questo disinteresse si può vedere un
impoverimento spirituale della Chiesa greca, lo spegnersi della
cultura artistica di Bisanzio già cosi brillante; infatti l'imitazione
delle incisioni tedesche non ha originato in Oriente nulla di vera
mente degno di nota.
Daltra parte il miniaturista bizantino del sec. XVII, che ha de
corato il manoscritto della raccolta McCormic, nelle sue illustra
zioni per l'Apocalisse, aveva decisamente voltato le spalle alle imi
tazioni degli stranieri, ma l'affermazione della sua originalità è
127
stata pagata col prezzo di un'opera di artigianato grossolanamen
te eseguita 163. In queste tarde miniature bizantine non vi è nep
pure una fievole eco di quel carattere folkloristico che rende tanto
attraenti le illustrazioni figurate delle Apocalissi russe dello stesso
periodo 164.
Sebbene l'icona della Cattedrale della Dormizione si trovasse
proprio nel centro del mondo ortodosso, non aveva avuto una
notevole influenza sullo sviluppo della iconografia dell'Apocalisse.
Ma nella pittura russa della prima metà del sec. XVI, anche se
non proprio l'icona stessa, tutto l'indirizzo artistico al quale ap
partenne anche il suo autore, aveva lasciato una traccia evidente.
Innanzi tutto questo si nota nello sviluppo della resa della narra
zione in pittura, nel sapere condurre in modo circostanziato il
racconto degli avvenimenti della vita umana, caratterizzando i
singoli personaggi, manifestando un maggior interesse per l'ar
chitettura, nella resa dello spazio, e infine nell'amore per le tinte
quasi acquarellate che creano un'impressione di trasparenza lumi
nosa. Si possono a questo proposito ricordare due icone del
sec. XVI: Giovanni Teologo e sue Storie (Galleria Tretjakov), e
l'altra Boris, Vladimir e Gleb e loro Storie (nella stessa Galleria).
In queste icone sono finemente caratterizzati i protagonisti, sono
distribuiti con respiro gli edifici, nei quali spesso sono immesse
le figure stesse, e l'ampio ritmo della narrazione infrange i limiti
tra i vari episodi. Le amarezze dei due fratelli sono raccontate
nelle storie di Boris e di Gleb con un accento commovente. Un'eco
dell'arte del Maestro del Cremlino si può incontrare nelle minia
ture più tarde illustranti la vita di Nifonte (Museo Storico), seb
bene vi si parli con più insistenza, invece che dei buoni genii del
l'uomo, dei perfidi demoni che lo tentano 16S. Nell'icona Visione
di Eulogio (Museo Russo), si comprende che il suo autore deve
avere ricordato l'icona del Maestro del Cremlino; è vero che gli
angeli che vi sono effigiati mentre ascoltano non visti la messa
non sono altrettanto aggraziati, ma uno di essi ha levato alta l'ala
al disopra della folla che ascolta, proprio come nell'icona dell'Apo-
calisse. Evidentemente la "trovata" del Maestro del Cremlino non
era stata dimenticata dai posteri. Nelle icone e miniature dei
primi del sec. XVI si può notare un tentativo di arricchire l'ico
nografia tradizionale con osservazioni di vita reale, qualche volta
128
con motivi di genere, come ad esempio, rappresentando delle
anitre nelle scene della Natività della Vergine. Tutto questo però
avveniva nel quadro di un'assoluta purezza stilistica del linguag
gio pittorico.
Con l'imporsi della monarchia e della potenza della Chiesa
ufficiale verso la metà del sec. XVI, l'iconografia diventa sempre
più un'arma per la loro affermazione. I rappresentanti di questa
politica avevano tentato di appoggiarsi anche alla tradizione di
Dionisio e del Maestro del Cremlino, ma quello che vi era di più
importante in quest'ultimo restava loro incomprensibile. Nella
icona della metà del sec. XVI della Chiesa guerriera proveniente
dal Cremlino (Galleria Tretjakov) è possibile riscontrare dei mo
tivi presi a prestito dall'icona della Cattedrale della Dormizione166.
Il vittorioso esercito dello zar vuole imitare la processione del Re
dei Re, Mosca la Gerusalemme celeste, mentre gli angeli in volo
che vanno incontro all'esercito con le corone della vittoria in
mano sembrano quasi copiati dall'icona della Cattedrale della
Dormizione. L'icona della Chiesa guerriera supera per dimensioni
quella dell’Apocalisse. È un dipinto improntato a solennità uffi
ciale la cui arte è molto abile ma fredda; il ritmo libero e fles
suoso cede alla pedantesca distribuzione degli angeli in volo e
degli alberi disposti a scacchiera. Inoltre i colori sono più smorti,
i contorni poco efficaci.
La processione del Re dei Re, del Maestro del Cremlino, è
ancora completamente ripresa nel vessillo di Ivan il Terribile
(Sala delle Armi)167; ma qui ancora la rappresentazione ha il solo
scopo di glorificare l'invitto sovrano moscovita. Alla base di que
sta figurazione sta il concetto — comune a quell'epoca — di avvi
cinare il re terreno al Re celeste168.
Si può supporre che creando, dopo l'anno 1547, la loro famosa
Icona quadripartita [t. 96] per la Cattedrale dell'Annunciazione,
i maestri di Pskòv, Ostanija e Jakushka, abbiano attentamente
studiata l’Apocalisse del Cremlino 169; le singole figure e i motivi
architettonici si riallacciano in una certa misura all'icona. Tut
tavia l'immagine di Pskòv trova il suo vero significato non già
nell'ispirazione poetica, bensì nell'eradizione teologica: le imma
gini non sono più simboli poetici di accenni velati, ma sono delle
allegorie d'ordine intellettuale. È evidente che l'opera era stata
129
eseguita secondo un programma tematico molto elaborato, alle
stito in precedenza per i due pittori; è naturale che per le sue
qualità pittoriche questa icona rimanga molto al disotto di quella
dell'Apocalisse: vi manca lo slancio, la simmetria è rigida, la com
posizione è macchinosa, le forme pesanti, la linea è piatta e non
suscita alcuna emozione, il colore sordo; ma l'icona è interessante
perché permette di vedere come è stata rovinosa l'era del Con
cilio dei Cento Capitoli con le sue istituzioni regolanti la vita
spirituale, e tanto deleterie per la libertà di pensiero che aveva
cominciato a manifestarsi in Russia, e per l'ulteriore sviluppo
della creazione artistica. In confronto a quest'arte fredda, aulica,
viene fatto spontaneo di valutare sempre più l'incremento crea
tivo che l'arte ebbe a Mosca alla fine del sec. XV, cui è anche de
bitore il Maestro del Cremlino.
Nel sec. XVI, un maestro di Novgorod aveva rappresentato in
una grande icona la Visione del campanaro Tarassio, relativa alla
caduta di Novgorod e alla fine della sua indipendenza170; questa
immagine è più vicina per spirito al testo dell'Apocalisse del
l'icona della Cattedrale della Dormizione, per gli angeli che lan
ciano frecce infuocate sulla città; nell'esecuzione dell'icona novgo-
rodiana vi è molta inventiva, molta cura nel riprodurre il volto
della città di Novgorod, e anche gli storici potrebbero attingere
da questo dipinto notizie preziose; ma nell'intento di questo Mae
stro non vi è neanche un granello di quello slancio poetico che
trasforma YApocalisse del Cremlino in un vero e proprio poema
della sorte dell'umanità.
È molto probabile che l'icona dell'Apocalisse sia stata vista dai
maestri italiani che avevano lavorato a Mosca agli inizi del sec.
XVI; in quel tempo a Mosca vi erano molti stranieri. Ma per
le barriere dell'incomprensione che separava l'Oriente dall'Occi
dente, si può giustamente credere che l'icona è rimasta del tutto
sconosciuta oltre i confini della Russia. Tuttavia, per poter tribu
tare il meritato riconoscimento a quest'opera d'arte non basta
limitarne il confronto con opere dell'arte russo-antica; sono molti
i legami che uniscono quest'opera con la produzione artistica del
l'Occidente, sopratutto dell'Italia del Rinascimento.
La pittura russo-antica non aveva punti di contatto con quella
corrente della pittura italiana che, nata con Giotto, si è distinta
130
per tutta la durata del sec. XV per opera di artisti come Masac
cio, Paolo Uccello, Andrea del Castagno, Piero della Francesca,
Mantegna, il punto di partenza dei quali era stata la rappresen
tazione dei corpi in uno spazio tridimensionale. È anche necessa
rio ricordare le scuole e gli artisti che avevano cercato di associare
la scoperta della natura con la tradizione medioevale, e i maestri
ferraresi per primi con i loro affreschi allegorici del Palazzo Schi-
fanoia, e specialmente quei pittori che si trovavano riuniti, nella
seconda metà del sec. XV, alla corte dei Medici, a Firenze. I mae
stri russi non avevano avuto legami né con gli uni né con gli
altri, ma molte sono le coincidenze delle loro aspirazioni creative.
Questi pittori non erano più soddisfatti di un'arte intesa soltanto
come una riproduzione del mondo esteriore: essi volevano che
quest'arte rispecchiasse anche il mondo spirituale dell'artista me
desimo 171.
Come conseguenza di questo, appare la tendenza ad allargare
il significato di ogni singola immagine, che acquisisce un secondo
senso simbolico 172. La pittura in questo modo si avvicina all'illu
strazione (naturalmente poetica e artistica). Nello stesso tempo
la pittura acquista anche una maggiore musicalità, più ritmo e, in
armonia, la grafìa diventa più importante. I pittori cominciano a
preferire le figure allungate, composizioni meno spaziose; il co
lore sempre più esprime la liricità. Nelle opere di geni come il
Botticelli, non si giunge né alla stilizzazione né all'eclettismo,
anche se i più giovani tra i suoi contemporanei, come Leonardo,
gli abbiano rinfacciato una passione antiquata per l'impiego del
l'oro nella pittura.
Nella Nascita di Venere del Botticelli quello che sopratutto
colpisce è la tendenza, il desiderio di conciliare l'antichità con la
leggenda cristiana, ed ecco perché la composizione del dipinto è
simile a quella del Battesimo, del quale ha lo stesso carattere di
solennità, lo stesso significato simbolico: la rappresentazione dei
quattro elementi, acqua, terra, aria e fuoco-spirito, il quale ultimo
si identifica nei capelli sciolti al vento di Venere 173.
Parlando dei punti di contatto tra l'antica icona russa e le
opere della pittura del Rinascimento, bisogna ricordare anche
del Botticelli la Natività [t. 97] del 1500, che si trova nella Na
tional Gallery di Londra. Nei suoi dipinti più giovanili di stesso
131
soggetto e in quelli dei suo contemporanei, quello che più attrae
è la ricca processione dei Magi, tra i quali figurano i ritratti dei
suoi contemporanei più famosi; nel quadro londinese la sontuo
sità pittorica, la fastosità della rappresentazione sono superate
dal giubilo della terra e del cielo che è espresso nelle figure ag
graziate degli angeli: essi turbinano in rapide carole, formano
un gruppo sulla tettoia di paglia, fanno strada ai pastori, nella
loro gioia abbracciano le persone; l’atmosfera di questa fratel
lanza risale, per il Botticelli, al maestro senese Giovanni di Pao
lo 174; la disposizione delle figure in vari ordini intendeva ap
punto esprimere la preponderanza delle forze celesti, il carattere
cosmico deU'awenimento. Questo avvicina l'opera del Botticelli
(compresi i disegni per la « Divina Commedia ») all'icona del
Cremlino, benché tra le due rimanga una diversità sostanziale; nei
lavori posteriori del maestro italiano traspare l'inquietudine del
l'anima, la sua disperazione, le sue paure, il volgersi nostalgico
verso un passato che mai più tornerà; tutte cose ignote al Maestro
del Cremlino che appartiene ancora al mondo epico dell’arte,
che guarda fiducioso innanzi a sé senza smarrire l'equilibrio
spirituale.
Verso la fine del sec. XV e i primi del XVI molti pittori del
l'Europa occidentale manifestano la tendenza a rappresentare
nei loro dipinti non aspetti di vita privata, ma scene di carattere
umano universale e perfino cosmico. Negli affreschi della Cappella
Sistina in Vaticano — del 1485 — sono rappresentati avvenimenti
della leggenda evangelica, ciascuno dei quali è un mondo a sé,
ma vi sono anche i luoghi e i prototipi figurativi di questi avveni
menti, per cui il significato di ogni scena vieppiù si estende e,
nello stesso tempo, acquista un carattere panoramico. Raffaello
nei suoi affreschi per la Stanza della Segnatura presenta le imma
gini ideali del mondo cristiano e di quello pagano; Michelangelo,
nella volta della Sistina, rivela attraverso la storia leggendaria
della creazione del mondo e della vita dei primi uomini, la storia
stessa dell’animo umano. Perfino Leonardo nella sua giovanile
Adorazione dei Magi dipinge il risveglio della natura, e attraverso
questo, la gioia del mondo.
In tutti questi dipinti i pittori del Rinascimento non si limitano
alla sola rappresentazione di quello che era oramai ima realtà
132
acquisita per l'uomo, ma colgono l'occasione per indugiare nella
meditazione sull'auspicata armonia delle relazioni nel mondo
umano. Quadri del genere facevano sorgere il problema di creare
dipinti grandiosi con visioni maestose entro la cornice di un'ar
chitettura solenne.
Nello stesso tempo, nell'Europa centrale, Hyeronimus Bosch
dipingeva la rappresentazione del millennio di beatitudine del
l'uomo, utopia cristiana ed eretica insieme 175 (Museo del Prado).
Diirer nella sua Trinità adorata da tutti i santi (Kunsthistorisches
Museum di Vienna) appare emulo di Raffaello autore della Di
sputa 176. Nell'arte europea occidentale più tarda ritroviamo lo
stesso concetto nell'enorme dipinto del Tintoretto II Paradiso, nel
Sogno di Filippo di E1 Greco, e, in campo musicale, nell'oratoria
solenne di Hàndel nel "Messia". È a questa serie di opere d'arte
che deve essere riferita l'icona della Cattedrale della Dormizione.
Nel rilevare le caratteristiche comuni al Maestro del Cremlino
e ai pittori dell'arte occidentale europea, non bisogna trascurare
però quanto li differenzia: questo è sopratutto palese se si con
fronta r Apocalisse del Cremlino con quella del Diirer. Il maestro
tedesco ignorava del tutto l'esistenza del maestro russo, cosi
come quest'ultimo ignorava la sua, anche se entrambi questi mae
stri trattarono gli stessi temi della Sacra Scrittura. È opinione
comune considerare l'opera del Durer come esemplare, inimita
bile illustrazione del testo dell'Apocalisse; in verità il suo merito
sta nel fatto che egli aveva opposto alla rassegnazione medioevale
la virtù dell'uomo dell'era nuova; gli orrori e le sventure che rap
presenta non influiscono sul suo coraggio, e la sua opposizione
non l'avvilisce, ma lo innalza; anche la bellezza del corpo umano
si manifesta maggiormente nella lotta. Il maestro tedesco aveva
compreso che per esprimere un tale concetto della natura umana,
l'arte gotica non basta e che era necessario volgersi alla scuola
italiana, e cosi aveva cominciato con vero ardore lo studio dei
maestri italiani. Uno dei fogli più belli del Durer rappresenta
L'arcangelo Michele che sconfigge il demonio; il corpo teso del
la figura è splendidamente modellato, e l'incisione appare quasi
opera di intaglio; è questo un vero inno alla prestanza fisica del
l'uomo e alla sua forza. Anche più tardi, fino al Delacroix, l'atti
133
vità guerriera degli angeli ha appassionato molti pittori dell'Oc
cidente.
Nel tentativo di rendere più terrene le visioni di Giovanni, il
Diirer aveva conseguito un notevole successo. Ma la concretezza
delle sue immagini ne restringe fatalmente l'intimo significato
simbolico, e la tendenza al particolare lo allontana dall'insieme.
Inoltre al maestro tedesco sfugge la rappresentazione dell'ideale
classico. Nel linguaggio della xilografia del Diirer vi è un certo
barbaro storpiamento dell'angolosità gotica, dell'asprezza e della
disarmonia. L'antichità dell 'Apocalisse del Diirer è il tardo elleni
smo, in genere dei rilievi nell'altare di Pergamo, dove ben poco
dell'antichità autentica rimane.
È molto significativo il confronto della famosa incisione del
Diirer Giovanni davanti all'angelo con il libro con la stessa rap
presentazione nell'icona del Cremlino [t. 39 e 99]. Il maestro te
desco riproduce il testo alla lettera, e Giovanni appare nell'atto di
inghiottire il libro. Il maestro russo ha invece concepito questa
scena come una teofania, con la visione di un genio alato che ap
pare all'uomo. È evidente che il Maestro del Cremlino è in mag
giore misura più vicino allo stile classico che non il maestro rico
nosciuto della Rinascita tedesca [t. 34 e 98]. Egli non si è lasciato
lusingare dall'illusionismo pittorico, perché era più di ogni altra
cosa ansioso di rivelare nella sua opera l'essenza, il significato
delle sue visioni, e tendeva a rendere evidente il loro valore uni
versale. Osservando il mondo con occhio chiaro e sereno, egli vi
scorge l'equilibrio, l'armonia, che a quei tempi erano accessibili
soltanto ai maestri italiani, e che rappresentavano invece un'im
mane fatica per il Diirer e i suoi compatrioti.
Tuttavia al pittore russo del XV secolo mancarono degli ele
menti per risolvere tutti i problemi che aveva davanti. È vero
ch'egli aveva potuto approfittare dell'ascesa improvvisa della cul
tura russa, ma tale ascesa avveniva nell'ambito di uno Stato auto
ritario, e il libero pensiero si stava sviluppando in una cornice
eccessivamente ristretta. Tutto quello a cui egli era riuscito a
dare un volto nella sua opera, appariva come una bellissima ma
ingannevole illusione. Nella tendenza stessa verso l'antichità vi
era qualcosa della speranza per l'avvento del "millennio del regno
della giustizia", che per l'uomo medioevale era un'evasione dalla
134
paura dell'ira divina. Nonostante l'audacia con la quale il Mae
stro del Cremlino aveva concepito la sua Apocalisse, egli era pur
sempre dominato dall'iconografia tradizionale e dalle sue for
mule. Egli aveva cercato di evitare tutto quanto poteva ricordare
le mostruosità della vita, che poteva ispirare un senso irragione
vole di paura; senti la necessità di liberarsi dalle contraddizioni
della vita, rifugiandosi nelle sfere di un pensiero più limpido,
ma quando non fu proprio possibile svincolarsi del tutto da tali
contraddizioni e divenne necessario accennare anche all'Anticristo
e ai suoi seguaci, la sua fantasia non lo soccorse più ed egli si
volse ai luoghi comuni.
L'icona deìYApocalisse non è preziosa soltanto come un'opera
d'arte, ma anche come una testimonianza che nella Russia di quei
tempi — segregata dal resto del mondo — vi era qualcuno in
grado di sviluppare gli ideali del Rinascimento: la fede cioè nelle
capacità dell'uomo. L'icona è una dimostrazione stupenda che le
genti russe di quei tempi erano, nell'ambito dell'arte, molto vicine
ai contemporanei maestri del Rinascimento occidentale, sia per
gli ideali spirituali che per i concetti estetici.
D'altra parte le conquiste dei singoli non erano riuscite a por
tare in Russia a una svolta decisiva lo sviluppo dell'arte; non vi
esistevano le città-stato in grado di contrastare le pressioni feu
dali e di conservare le conquiste anche nel quadro di una mo
narchia assoluta. La libertà di pensiero era combattuta dalla
Chiesa ufficiale e in tali condizioni neppure la cultura laica era
riuscita a evolversi, specie riguardo alle scienze e alle arti. L'arte
non si era potuta elevare perché suo tema principale diventa solo
la realtà. Tutte queste condizioni storiche spiegano perché la cul
tura del Rinascimento non aveva potuto affermarsi in Russia, al
contrario di quanto era avvenuto nell'Europa occidentale, e in
primo luogo in Italia.
Tuttavia gli aspetti particolari della rinascita russa non pos
sono essere indicati soltanto con termini negativi; è necessario
penetrare più a fondo nelle diversità di carattere dello sviluppo
dell'arte in Occidente e in Russia e soltanto cosi si potrà vera
mente comprendere e apprezzare i risultati conseguiti dall'arte
russa di quel tempo, e in particolare dal Maestro del Cremlino.
Gli artisti italiani avevano il vantaggio — di fronte a quelli
135
russi — di avere continuamente avuto sotto gli occhi le vestigia
dell'antichità classica. Questo aveva favorito gli italiani e ne aveva
fatto il primo popolo in Europa capace di rivelare al mondo l'ere
dità dell'antichità classica177. D'altro lato, in Italia si avevano
unicamente modelli romani — principalmente monumenti dell'età
imperiale — cosicché nel Rinascimento è prevalso lo spirito della
romanità e solo pochi, tra i quali Piero della Francesca, Gior-
gione e Tiziano, avevano intuito sotto le copie romane la perfe
zione dei prototipi greci.
L'antichità che venne trasmessa ai pittori russi era invece di
seconda mano, proveniente da Bisanzio, e se ne giudicava per
sentito dire. La parola “ellenismo" era per gli ecclesiastici quasi
simile ad "eresia". D'altra parte, deprecando di non avere avuto
la fortuna di acquisire saggezza dall'antica Atene, gli scrittori
russi dimostravano il loro entusiasmo per l'antichità classica, e
se avevano osato anteporre i loro eroi nazionali ad Achille, questo
si può spiegare col fatto che Achille era per loro la misura e l'in
carnazione del coraggio virile. Ma particolarmente profonda, an
che se a volte poco chiara, era la passione dei pittori russi per la
Grecia [t. 86 a, b]. Quell'antichità era per essi qualcosa a cui era
difficile accostarsi, che si poteva soltanto intuire, ma che era di una
bellezza affascinante, e poiché nell'arte russa di quel tempo non
vi sono esempi di copie dall'antico o di sue contraffazioni, il tra
sporto russo verso l'antichità appare inscindibile dalla creazione
individuale, dall'immaginazione artistica. L'arte di Rublev è la
testimonianza più alta di questo classicismo russo, nato da un
grande amore e da una profonda sensibilità non disgiunti dalla
appassionata meditazione e dallo slancio dello spirito 178.
Non meno importante è il fatto che la Russia non aveva cono
sciuto l'antichità romana. Per essa, l'antichità classica, sia pure
alterata e sciupata, è sempre quella ellenica, e i maestri russi
non avevano copiato i rilievi romani che glorificavano la potenza
imperiale. Fino al sec. XVI non vi è traccia dell'arte allegorica,
razionalistica, d'uno storicismo di tipo romano. Si potrebbe la
mentare che l'Apocalisse della Cattedrale della Dormizione non
abbia un significato immediatamente palese, che non accenni ad
avvenimenti ad essa contemporanei, che non possa vantare la rap
presentazione di personaggi illustri del tempo, ma d'altra parte
136
questa è anche la ragione per la quale tutte le immagini simbo
liche acquistano un significato universalmente umano, e il tema
della "fine del mondo" viene presentato come un'apoteosi della
vita reale, un inno alle capacità dell'uomo, il desiderio di beati
tudine e di felicità da parte dell'umanità intera.
Nel suo intendimento di raffigurazione pittorica come azione
prolungata, di riunione di personaggi fuori del tempo, il Maestro
del Cremlino è più vicino alla tradizione del maestro greco Poii
gnoto che non agli artefici dei rilievi storici sugli archi di trionfo
romani che descrivono sempre un particolare momento nella vita
dei popoli.
È un peccato che né al Maestro del Cremlino né ai suoi con
temporanei sia stato dato di portare a termine quell'indirizzo
dell'arte che fu il presupposto di quest'opera. Comunque, anche
quanto è stato realizzato nell'icona della Cattedrale della Dormi
zione è sufficiente perché il dipinto meriti di essere riconosciuto
come un autentico capolavoro. Non sappiamo — e molto proba
bilmente non sapremo mai — il nome del Maestro, ma i suoi
ideali e i suoi sogni più segreti sono vicini e intelligibili anche
all'uomo moderno. Il suo modo di vedere il mondo, la sua fede
nel genere umano, la sua sensibilità poetica, il saggio equilibrio
e l'infallibile senso della misura sono valori che ancora oggi rie
scono a colpire gli animi. Chi ha avuto occasione di contemplare
l'opera del grande Maestro, — il quale dopo Rublev e Dionisio
può ben dirsi il terzo grande genio pittorico della Russia antica,
— non può non sentire per lui gratitudine e amore.
137
NOTE BIBLIOGRAFICHE
139
17 A. A. P reobrazenskij , La moralità nella società russa del sec. XVI, Mosca, 1881, p . 55.
21 A . I . K lib à n o v , I movimenti di riforma in Russia nel sec. XIV e prima metà del XVI, Mo
sca, 1960.
28 Relazione di V. F. R zig a , Notizia dell'Accademia delle Scienze, serie VI, 1914, n. 15, p. 1105,
citazione dalle Metamorfosi di O vid io , I, vv. 144-145.
35A. C hastel , Marsile Ficin et Vart, Paris, 1954; K. O n asch , Renaissance und Vorreformation
in den byzantinischen Orthodoxie, aus der Byzantinischer Arbeit der Deutschen Demokrati-
schen Republik, 1957, I, pp. 288-301.
36 G. de R uggiero, Storia della filosofia, Bari 1930, parte III, voi. I, p. 169.
37 V. M oc iu lsk ij , Analisi storico-letteraria dei versi nel « Libro del Colombo »,Varsavia, 1887.
42M. V. S ciè pkin a , La rappresentazione dei volti storici russi nel ricamo del sec. XV, Mo
sca, 1954.
140
43 L'icona del Giudizio Universale è riprodotta nella pubblicazione dell'Unesco: Antiche icone
russe, serie dell'Arte Universale, 1959, tav. IX. L’icona Battaglia di Suzdal contro Novgorod
è riprodotta nell'articolo di A. I. A n I s im o v : Studi sulla pittura novgorodiana di icone in
"Sofia", 1914, n. 5, pp. 9-28.
44 V . B òrin , Due icone della scuola di Novgorod del sec. XV dei santi Pietro e Alessio metro -
politi di Mosca in "Svietilnik", 1914, n. 4, p. 23; A. G riscienko , L'icona russa come pittura
d'arte, Mosca, 1917; I. E. D an I lova , Dionisio e le sue creazioni, Mosca, 1951 (tesi).
4» Per questo suggestivo dipinto, cfr. F. Z eri , La Galleria Pallavicini in Roma, Firenze, 1959,
pp. 155-161, in cui l'antica attribuzione a Botticelli formulata da A. Venturi è supplita con
quella a Filippino Lippi, e l'episodio riconosciuto come quello di Mardocheo davanti alla porta
del Re (Libro di Ester, IV, 1) è collegato a quelli che narrano la storia di Ester e di Assuero
in due cassoni nuziali oggi smembrati e i cui pannelli sono tra la National Gallery of Canada
di Ottawa, la Fondazióne Horne di Firenze, il Museo Condé di Chantilly e la Coll, del conte
di Voglie a Parigi.
46 D. S. L ikh acièv , L’ Uomo nella letteratura dell’antica Russia, Mosca-Leningrado, 1958, p. 100;
R. P icc h io , Storia della letteratura russa antica, Milano, 1959, p. 243.
47 Storia della letteratura russa, Mosca-Leningrado, 1946, t. II, 1, p. 298.
48 Raccolta integrale delle Cronache Russe, t. IV, p. 287.
49 Raccolta integrale delle Cronache Russe, t. V, p. 267.
50 Un segno dell'aumento del numero dei pittori è rappresentato dall'apparizione delle firme
sulle icone. Su un'icona del Museo Russo del 1512 c'è la firma del maestro Efremo (cfr.
J. N. D m it r ie v , Il Museo Russo di Stato. L’arte antica russa. Itinerario, Leningrado-Mo-
sca, 1940).
51 P. M uràtov , La pittura antica russa, Roma-Praga, 1925, pp. 45, 46, 47.
52 Raccolta integrale delle Cronache Russe, t. XI, p. 168.
53N. V. G ordièjev e N. E. M n ièva , Monumenti della pittura russa del sec. XV, in "Iskusstvo",
1947, maggio-giugno, p. 87.
54 S. A. B ielokurov , Della Biblioteca dei sovrani moscoviti nel secolo XVI, Mosca, 1898; cfr.
M. P. à le ksièe v , Il fenomeno dell’Umanesimo nella letteratura e nella pubblicistica della
Russia antica (sec. XVI-XVII), Mosca, 1958, p. 34.
55 p . S chubring , Cassoni, Monaco, 1915.
56 V. T. G eorgievskij , Op. cit. p. 22.
57 Quest'affermazione del Concilio di Stòglav non presentava una novità. Già al Concilio di
Nicea nel 787 uno dei regolamenti diceva: « Non è l'invenzione dei pittori che crea le imma
gini, ma la legge incrollabile e la tradizione della Chiesa ortodossa. Non il pittore, ma i santi
padri inventano e prescrivono ed è chiaro che a loro appartiene l'invenzione mentre al
pittore solo l'esecuzione ». (Cfr. F. I. B u sl àie v , Concetti generali della pittura russa di icone,
raccolta del 1866, edito dalla Società per lo Studio dell'arte russa antica presso il Museo
Pubblico di Mosca, 1866, p. 43). In effetti tale era il programma della Chiesa. I rappresentanti
del cosiddetto metodo iconografico si basavano sul presupposto che tale programma veniva
sempre effettuato in tutto e per tutto. L'indiscusso riconoscimento delle decisioni dei teologi
nella formazione iconografica li rendeva incapaci di apprezzare la creazione dei pittori. Già
F. I. Buslàiev non accettò ima simile situazione; a proposito delle direttive del Concilio egli
scriveva: « il ruolo del pittore non si limitava alla sola ' esecuzione ' ». (F. I. B u sl àie v , Rac
colta di immagini figurate dalle Apocalissi, Mosca, 1884, p. 184).
58 La datazione delle icone russo-antiche, per le quali non si ha una data precisa, presenta
generalmente delle difficoltà. Il tentativo di datare le icone in base alle qualità stilistiche,
con una approssimazione di uno, due anni, è il più delle volte poco convincente e non di rado
porta a deduzioni errate poiché i singoli tratti stilistici della pittura sacra si sono conservati
qualche volta per un periodo molto lungo. Per quanto riguarda la datazione dell'icona del-
VApocalisse della Cattedrale della Dormizione, il suo riferimento all'ultima decade del sec. XV
è confermato sia dalle deduzioni storiche che da quelle stilistiche. L'icona è stata creata,
evidentemente, poco dopo il 1492, quando era sorto a Mosca l'interesse per l'Apocalisse,
141
interesse collegato con l'attesa della pronosticata "fine del mondo”, e, indubbiamente, una
decina di anni prima che venisse decorata la cattedrale dell'Annunciazione con soggetti tratti
dall'Apocalisse, che va datata al 1508. A ciò corrispondono anche le qualità stilistiche: l'icona
segue nel tempo le miniature del manoscritto "dei Profeti” (n. 20, Biblioteca Nazionale del-
l'URSS, V . J. L e n in , M. V l a d im ir sk ij e G . G eorgievskij , La miniatura russo-antica, Mosca, 1933,
n. 34-36), e va anteposta alle miniature del Vangelo del 1507 di Teodosio, figlio di Dionisio
(V . T. G eorgievskij , Gli affreschi di Feraponto disegni 22-25), e anche alle icone dell'epoca
nell'ambito della cattedrale dell'Annunciazione.
59 J. S . L u r iè , Saggi storici sulla lotta politica sotto Ivan III in "Note scientifiche dell'Uni
versità di Leningrado”, 1941, n. 80, pp. 88-92, e Saggi storici sulla lotta ideologica nello Stato
russo alla fine del sec. XV, Mosca, 1960.
61 Cfr. Processo, n. 67/55 degli Archivi della Galleria Tretjakov sul restauro dell'icona del-
VApocalisse, 27 luglio 1918. Non è stato possibile rintracciare altri dati d'archivio.
67 Cfr. anche i motivi dell'Apocalisse nelle missive di Filofeo (A. M a l in in , Op. cit., pp. 525-532),
e più tardi quelle del protopope Awacum, 1954, p. 150, a proposito della "donna di Babilonia":
« ...e anche qui in Russia da noi essa è giunta » .
69 Le Grandi letture mensili del metropolita Macario del 26 settembre, St. Petersburg, 1897.
70Della "polisemantica" della scrittura si parla per la prima volta nelle opere di Boezio e
del beato Geronimo; F. I. B u sl àie v , Compendio, p. 187.
72F. V an der M eer, Majestas Domini, Théophanies de l’Apocalypse dans l’art chrétien, Città
del Vaticano, 1938; P. C l e m e n s , Romanische Monumentalmalerei in der Rheinlanden, Dus
seldorf, 1916, p. 62.
Die Apocalypse des hi. Johannes in der altspanischen und altchristlischen Bibe-
73 W . N e u s s ,
lillustration, M iin c h e n u n d W ie n , 1931, I-II; A. G . G rabar e C. N ordenfalk, Le Haut Moyen
Age du IV au X I s., G e r v 1957, p . 168.
74 H. W olfflin , Die Bamberger Apokalypse. Eine reichenauer Bilderhandschrift vom Jahre 1000,
Miinchen, 1921.
Die Malerei und Plastik des Mittelalters in Deutschland, Frankreich und Britan-
75 J. B a u m ,
nen, Potsdam, 1930, fig. 150; M. A lpàtov , Geschichte der Kunst, Dresden, 1961, t. I, dis. XII, 1.
142
76 P. V it r y , La cathédrale de Reims, Paris, 1916, t. I, tav. VI.
77 R . I. M ontague , Op. cit., p. 52; A. G. and W. O. H assall , The Douce Apocalypse, London,
1961.
78 L. F u ssy, Histoire et description des tapisseries de la cathédrale d’Angers, Lille, 1889.
80 M. Z im m e r m a n n , Giotto und
die Kunst Italiens in Mittélalter, Leipzig, 1899, I, p. 52; A.
V e n t u ri , Storia dell’arte italiana,
Milano, 1902, voi. II, p. 384, voi. Ili, p. 775; A. B rach , Giottos
Schule in der Romagna, Strassburg, 1902, p. 100.
Die Buchillustration der Gotik und der Renaissance, Miinchen, 1884, I, p. 51;
83 R . M u th er ,
W. W orringer, Die Kòlner Bibel, Miinchen, 1923; N. F. S c h m id t , DiXrers Apocalypse und die
Strassburg Bibel von 1483, in "Zeitschrift des deutschen Vereins fiir Kunstwissenschaft", 1939,
VI, pp. 261-266.
81 N. W o lfflin , Die Kunst Albrechts Diirer, Miinchen, 1920, p. 62; M. D vorak, Diirers Apoca
lypse in "Kunstgeschichte als Geistesgeschichte", Leipzig, 1924; E. P anofsky , A. Diirer, Prin
ceton, 1945, I, p. 51.
85E. MAle , Op. cit., p. 443; T. H etzer , Das deutsche Element in der italienischen Malerei,
Berlin, 1929.
86 L. B rehier , Les visions apocalyptiques dans Vart byzantin, in "Art et Archéologie", Buca
rest, 1930, IV, p. 1.
88 N. R. W illoughly , Op. cit., I, p. 99. Nel manoscritto bizantino dell'anno 1070 dell'Apocalisse
della Biblioteca dell'Università di Stato a Mosca, si trova soltanto un'illustrazione: Giovanni
Teologo sull'isola di Patmos. Cfr. M. Alpàtov, Miniature del manoscritto bizantino del
1070, in "Lavori dell'Istituto di Archeologia per la conoscenza dell'arte", R.A.N.I.O.N., 1930,
t. III, p. 150; V. N. Làzarev, Storia della pittura bizantina, Mosca, 1948, II, tav. 134 a.
89 H errad von L andsberg, Hortus deliciarum nach den Pausen von Straub, Strassburg, 1879-
1880; A. M arignan , Étude sur le manuscript de l’Hortus deliciarum, Strassburg, 1910; G. G il -
len , Ikonographische Studien zum Hortus Deliciarum des Herrad von Landsberg, Berlin, 1931.
90G. M illet , Les monuments byzantins de Mistra, Paris, 1910, tavv. 64, 2, 82; I. P. U nderwood,
The Discovery of thè Frescoes of Kahrie-Djami, Dumbart Oax Paper, 1959, XIII, p. 66.
93 Cfr. F. I. B u slàie v , Op. cit., dis. n. 243: l'Agnello prende il libro con le zampe anteriori.
95 Sopra l'angelo si è conservata la scritta « poiché non vi sarà più il tempo ». (Ap., X, 6).
96 V. M. I str in , Confessione di Metodio Patarskij, Mosca, 1897.
97 Cfr. F. I. B u slàiev Op. cit., dis. n. 16: la donna con il bambino.
98 Cfr. F. W inkler , Reisenfriichte, in: "Zeitsschrift fiir bildende Kunst", 1920, V-VI, p. 225:
rappresentazione della donna perseguitata dal drago nella miniatura italiana del sec. XV.
143
99 Sotto ai citaredi si sono conservati frammenti di una iscrizione: « ...mescolato con... »
(Ap., XV, 2).
100Sopra all'angelo si sono conservate tracce di un'iscrizione: « ...non si pentiranno dei loro
misfatti... » (Ap., XVI, 11).
101 B. F orster, Studien zu Mantegna und den Bildern im Studienzimmer der Isabella Gon
zaga, in "Jahrbuch der preussischen Kunstsammlungen", 1920, XXII, p. 154.
102 L'idea della punizione s'incontra di continuo negli autori greci e russo-antichi. Cfr., I mi
racoli di Efremo Sirin, Mosca, 1881-1887, I , pp. 322, 330, 332; il B e a to N i l S o r s k ij, Leggende
dei suoi discepoli, Mosca, 1849, p. 113, sg.; A. A. N o v o s t r u iè v , Parole di S. Ippolito sull'An
ticristo, Mosca, 1868, pp. 205, 213-223; Storie del protopope Avvacum, Mosca, 1959, p. 268. Giu
seppe Volotskij accusava coloro che « ... né di Dio avevano paura, né vergogna dell'uomo, né
timore dell'ora terribile », (A. A. Z im in e J. S . L u r iè , Missiva di Josif Volotskij, p. 12).
110 Per la rappresentazione di "Colui che siede sul trono" in effige di Cristo con tutti i suoi
attributi, cfr. F. I. B u sl àie v , Op. cit., dis. n. 12 e 59; in effige di Dio Padre, dis. n. 167; in
effige della Trinità, dis. n. 239. Cfr. anche W illoughly , Op. cit., p. XXXII,su “Colui chesiede
sul trono" in effige di Pantocrator.
U8 A. P u s h k in , L’Angelo (1827).
H9 Le locuste sono più espressive nella miniatura più tarda; cfr. F. I. B u sl àie v , Op. cit.,
dis. n. 40.
144
120 Per l'angelo tra gli uccelli, cfr. F. I. B u s là ie v , Op. cit., dis. n. 31.
121 Cfr. N. F la n d ers D u n bar, Symbolism in thè Medieval Thought, New Haven, 1929.
122Questo è l'unico gruppo di tutta l'icona che non appare possibile legare con un corri
spondente testo dell'Apocalisse, essendo l'iscrizione quasi del tutto scomparsa; è molto vero
simile che rappresenti l'inno di Mosè in lode all'Onnipotente (Ap., XV, 3-4).
123 Cfr. Dionisio VAreopagita sulla gerarchia celeste, Mosca, 1898, p. 56.
124 Cfr. F. I. B u sl àie v , Op. cit., dis. n. 29: la Sposa divina nel paradiso, tra gli alberi pa
radisiaci.
125 E. K . R ied in , Gli dei antichi (spesso coincidenti con la denominazione dei pianeti) nei
manoscritti -figurati dei componimenti di Cosimo Indikòplov, in: "Note della Sezione Classica
della Società archeologica imperiale russa", 1901, p. 34, sg.; A. S ezn ec , Les survivances des
dieux antiques, "Studies of thè Warburg-Institute", 1946, XI; E. P anofsky e F . S a x l , Classical
Mythology in Medieval Art, Metropolitan Museum Studies, 1933, IV; E. N. G o m b r ic h , Botti-
celli’s Mythological Study of thè Neoplatonic Symbolism of his Circle, in "Journal of thè
Warburg-Institute”, 1943, VIII, pp. 7-60.
126 S. R ein a ch , Repertoire des reliefs grecs et romains, Paris, 1909-1912, III, n. 254.
127 J. S hapley , Pollaiolo and thè Ceramic, in "Art Bulletin", 1919, t. II, p. 78.
129 La figura dell'Inferno nel rilievo del portale destro nella facciata ovest della cattedrale
di Reims, reca con evidenza un carattere maggiormente classico; cfr. P. V it r y , Op. cit.,
tav. XXII.
iso J. E. W essely , Die Gestalten des Todes und des Teufel, in "Der Darstenenden Kunst” ,
Lipsia, 1876; E. C astelli, Il Demoniaco nell’arte. Il significato filosofico del demoniaco nell’arte,
Milano, 1952.
131 Cfr. per l'iconografia di Cerbero nell'arte antica: W . H. R ocher, Reallexikon der Griechi-
schen und Ròmischen Mythologie, Leipzig, 1890-1897, t. II, p. 1890. I greci rappresentavano
generalmente Cerbero con più teste, ma nelle rappresentazioni più antiche appare con una
sola testa. Per le illustrazioni della Divina Commedia di Dante cfr.: K . W a sse r m an n , Dante’s
Spuren in Italien, Heidelberg, 1897, tav. 36, Cod. n. 4776 del Vaticano; F. X. K r au s , Dante,
Berlino, 1897, dis. n. 55. Non ci sono fondamenti per credere che tali illustrazioni abbiano
servito da modello al Maestro del Cremlino.
133 Per le singole scene dell’Apocalisse, disposte su un'unica tavola, ma separate le une dalle
altre e non formanti un insieme unico, come è invece l'icona della Cattedrale dell'Assunta,
nell'opera di scuola napoletana del sec. XIV, cfr.: E rbach von F ù rstenau , Pittura e Miniatura
a Napoli, in: "L'Arte", 1905, V ili, t. I, p. 17.
134 Sulla composizione nelle icone che abbiano una serie di episodi distribuiti su un'unica
tavola e formanti un assieme unico, cfr. O. W u lff , Ursprung des kontinuierlichen Stils in
russischen Ikonenmalerei, in "Festschrift, A. Schmarsow gewidmet", Berlino, 1906, p. 150. Cfr.
anche l'icona più tarda della "Natività di Cristo" (Galleria Tretjakov) con una grande quan
tità di episodi, concentrati in una tavola unica (A. I. N ekràsov , Arte figurativa russo-antica,
Mosca, 1937, dis. n. 206).
135Della resa della successione cronologica e del momento attuale, del ruolo del ritmo e
della proporzionalità nell'arte gotica e del Rinascimento: D. F rey , Gotik und Renaissance als
Grundlagen der modernen Weltanschauung, Augsburg, 1929, pp. 79, 141.
136 Antiche icone russe, UNESCO, New York, 1958, tav. IX.
145
io
137 Cfr. a questo proposito l'enunciazione di Goethe nella sua lettera a H. Meyer del 27
aprile 1789: « La composizione, come io l'intendo, non sottostà a nessuna regola. È eccellente
se, conservando una sottilissima euritmia, gli elementi della composizione si dispongono
in modo che la loro sola presentazione nel quadro permetta di rendersi conto delle loro
relazioni reciproche », (Goethes Briefwechsel mit H. Meyer, Weimar, 1922, I-III).
133 Cfr. per la ripetizione di una stessa figura nella pittura medioevale, D. Frey, Op. cit., p. 134.
139Cfr. per il cerchio nell'estetica dei pittori italiani del sec. XV, A. Chastel, Marsile Ficin
et Vart, Parigi, 1954, p. 146.
140 Cfr. per lo spazio nella pittura medioevale. A. B u n in , Space in Medieval Painting and
thè Forerunners of Perspective, New York, 1940; A. G r im m e l , The Theoretical Attitude towards
Space in thè Middle Age, in: "Saeculum", 1946, p. 141.
141 A. V e s m e , F. C arte , I miniatori dell’Apocalisse dell’Escuriale, "L'Arte”, t. I V , pp. 35-42.
(Miniature del manoscritto del 1482 con le sette Chiese dell'Asia Minore, rappresentate come
sette portali in fila).
142 A. I. N ekràsov , Anschangsformen des geschlossenen Raumes in der russischen Malerei
des XVI lahre, in "Repertorium fiir Kunstwissenschaft", 1928, XLIX, p. 257.
143 Cfr. N. W eigelt , Giotto, Leipzig, 1930, p. 148, per l'affresco della chiesa di S. Francesco in
Assisi con la rappresentazione di un trono che si libra nell'aria; B . B erenson , Sassetta, Firenze,
1946, tav. 10, scena dalla vita di S. Francesco della National Gallery di Londra con la rappre
sentazione di una fortezza librata nel cielo.
144 Cfr. L'Angelo della Chiesa di Filadelfia (t. 9) col disegno di Raffaello per la Disputa, Lille,
Musée Wicar; U. M iddeldorf, RaphaeVs Drawings, New York, 1945, n. 67.
145 K. O nasch , Ikonen, Berlin, 1961, tav. 41.
146 Cfr. i medaglioni colorati negli affreschi di Feraponto; V. T. G eorgievskij , Op. cit., p. 52.
147 La prima impressione che ricevette del Cremlino l’ambasciatore dell'imperatore germanico
Herberstein fu che questo fosse stato costruito al "modo italico". L’essersi rivolti ai costruttori
italiani, all'epoca di Ivan III e di Basilio III, evidentemente non si spiegava col solo fatto
della fama acquisita dagli italiani per i loro raggiungimenti in fatto di ingegneria edile, ma
anche per il loro criterio estetico. (Cfr. N. Brunov, Due cattedrali del Cremlino costruite da
italiani in "Architettura e Arti Decorative", VI- 1926, pp. 97-110; V. N. Làzarev, Le opere di
P. A. Solari in Russia e i rapporti artistici italo-russi nel tardo Quattrocento, Arte e artisti dei
laghi lombardi, I, Architettura e Scultura del Quattrocento, Como, 1959, pp. 44-54). Per i
rapporti italo-russi nell'arte figurativa non si dispone di materiale sicuro. Gli affreschi della
Cattedrale dell'Annunciazione, restaurati nel 1882, hanno una cosi sorprendente somiglianza
con la pittura italiana del Rinascmento da aver indotto il restauratore, l'accademico Fartusov,
a dare una spiegazione di questo fatto (cfr. F. I. U spie n s k ij , Pitture murali della Cattedrale
dell’Annunciazione, in "Lavori della Commissione per la conservazione dei monumenti antichi
della Società archeologica moscovita", 1909, p. 157). La questione non può essere riveduta
poiché gli affreschi restaurati da Fartusov sono stati distrutti. E sono andate perdute anche
le pitture del 1488 nella chiesa della Presentazione a Mosca, ordinate dalla zar Ivan III a un
pittore Dalmata (Raccolta Generale di Cronache russe, III, pp. 193-194), quali intermediarie
tra l'Occidente e l'Oriente.
148 P. Muratov, La pittura russa antica, Roma-Praga, 1925, p. 122. Considerando l'icona del-
YApocalisse una delle migliori icone russe, P. Muratov crede che essa: « può appartenere
soltanto all'Autore degli affreschi di S. Ferapon », cioè a Dionisio. Ma per poter rendersi
conto della differenza tra le opere di Dionisio e il Maestro del Cremlino, è necessario con
frontare il Giudizio Universale del monastero di Feraponto con l’Apocalisse della Cattedrale
della Dormizione. Nel primo prevale la solennità, la fastosità, lo sfarzo della rappresentazione e
la dignità, sopratutto nelle folle che vi sono effigiate (Cfr. S. S. Ciuràkov, I Ritratti negli
affreschi del monastero di Feraponto, in "Archeologia Sovietica", 1959, n. 3, p. 100 sg., dis.
2, 3, 4). L'icona dell’Apocalisse in cui la solennità degli avvenimenti che dovranno accadere
ha un significato secondario, è spiritualmente più vicina alla tradizione di Rublev, in parti
colare al Giudizio Universale di quest'ultimo, che si trova a Vladimir, dalle figure emotiva
mente più tese nel loro presentimento della prossima beatitudine che si legge sui loro volti.
Per quanto riguarda le decorazioni murali più tarde e non conservate della Cattedrale della
Dormizione, del 1515, le cronistorie accennano al loro carattere di grande elevatezza « appaiono
come erette nel cielo... ».
146
149M. A lpàtov , Gli “Schizzi biblici" di Alessandro Ivanov, in "Commentari”, 1956, fase. Ili,
pp. 180-184.
150 II cancelliere Viskovatij parla con indignazione della figura femminile effigiata nella
decorazione della Sala d'Oro del Palazzo dello Zar: « Vi si vede l’immagine del Salvatore,
e subito accanto una donnetta che, sciolte le maniche, sembra ballare e sotto vi è la scritta:
“la lussuria”, e poi sotto altre cose del genere; di questo mi scandalizzo, o mio sovrano »,
(stralcio di lettera del cancelliere allo zar Ivan, del 1547). Per fortuna Viskovatij non aveva
notato le figure nude dei venti nell'icona dell Apocalisse, e non l'aveva accusata di eresia.
161E. D en issoff , Op. cit., p. 379, paragona la corrente umanistica nella cultura russa agli inizi
del sec. XVI ad un "dolce zefiro"; « lo spirito che li [gli eretici] animava, non era penetrato
nella società russa, che si era trovata interamente in potere dell'Asia per ben due secoli,
sotto il giogo tartaro ». Sarebbe stato più giusto esaminare le condizioni storico-sociali, che
ostacolavano l'insorgere della rinascita nella Russia moscovita.
152 N. E. M n ièva , La pittura moscovita del sec. XVI, in "Storia dell'arte russa", Mosca, 1955,
t. Ili, p. 543.
153 Ecco una breve lista dei "prestiti" pittorici presi dall'icona dell’Apocalisse nelle miniature
figurate dei sec. XVI-XVIII: nel manoscritto Khludòv n. 7, del Museo Storico, foglio 115,
due diavoli, f. 112 (verso), vento in volo, f. 115 diavolo e diavolessa; F. I. B u sl àie v , Op. cit.,
dis. n. 2, gli angeli e le Chiese, dis. n. 13, il profeta e la bestia, dis. n. 14, i profeti sulla
nuvola, dis. n. 15, il giovinetto nel tempio, dis. n. 41 gli angeli dell'Eufrate, dis. n. 48 l'angelo
con la falce, dis. n. 58, l'Inferno con le anime dei resuscitati.
154F. I. B uslàie v , Op. cit., p. 131, contraddistingue nelle miniature russe elementi copiati
dalla Bibbia di Lutero, come, dis. n. 66, il leone con la corona papale.
155Tali motivi s'incontrano anche nel folklore. Cfr. V. S akhàrov , Componimenti escatologici e
detti popolari nella letteratura russo-antica e loro influsso sui versi sacri popolari, Tuia, 1879.
156 F. I. B u sl àie v , Op. cit., dis. n. 157. La Bestia è intesa come deformazione dell'effigie del
l'Agnello sul trono, che spaventa gli uomini.
157 F. I. B u slàie v , Op. cit., p. 190: «tutto quanto è benedetto da Dio ed è sacro si innalzerà
ai cieli; sulla terra trionfa e sparge vergogna soltanto il male, che sulla terra stessa, negli
abissi e nei crepacci trova lapunizione tra le fiamme del lago di fuoco ».
159 Per le decorazioni di Rostòv e di Jaroslàv, del sec. XVII, sul tema dell'Apocalisse, cfr.
B. V. M ik h a ilo v s k u e B. I. Purisciev, Saggio storico sulla pittura monumentale russo-antica,
Mosca-Leningrado, 1941, tavv. XVII, IX, X, IV, XXVIII, XCI, XCII. Si è ugualmente conservata
una serie di icone sul tema dell'Apocalisse: l'icona di scuola novgorodiana del sec. XVI, nella
Galleria Tretjakov, n. 94815; l'icona dei primi del sec. XVII, della Raccolta Ostròukhov allora
alla Galleria Tretjakov, n. 12075; l'icona del sec. XVII del Museo Russo, n. 2730; l'icona del
cimitero di Rogozskoje; cfr. N. P. Likhacièv, Materiale per la storia della pittura di icone
russe, St. Petersburg, 1906, taw. CCX, II, n. 445, CII, n. 263, CCCXVII, n. 609.
160 D. A inàlov , Op. cit., p. 41.
161A. P apadopulo-K erameos , Dionisiu tu ex Phurnu Ermeneia tes Zographikes technes hypo,
Pietroburgo, 1909.
163Una serie di tarde icone greche dell'Apocalisse sono: quella di Andrea Zorna del 1515,
copiata dal ciclo di Diirer, e l'icona del 1626 dal monastero di Giovanni a Patmos (N. Wil-
LOUGHLY, Op. Cit., I, p. 269).
164 Cfr. F. I. B u slàiev , Op. cit., dis. n. 159: nel giardino della Sposa dell'Agnello sugli alberi
vi sono uccelli e una sirena.
147
ir>6 p. M uràtov , Due scoperte, in "Sofia", 1914, n. 2.
ics F. I. B u sl à ie v , Per la storia della pittura russa del sec. XVI, St. Petersburg, 1910, Opere,
II, p. 286.
170 p. G u se v , Novgorod nel sec. XVI, nell’icona “Visione del campanaro Tarassio”, in "Noti
ziario della Storia e deU'archeologia", 1900, XIII, p. 57; K. O nasch , Ikonen, Berlino, 1961,
pp. 57-58.
171 G ilbert C reighton , On Subject and Non-subject in Italian Renaissance Picture, in "Art
Bulletin", 1952, p. 205.
172 A. C hastel , Le Platonisme et les arts de la Renaissance, in "Acte du Congres", Buda, 1953,
Paris 1954.
173 A . G o m b r ic h , Op. cit., p . 150.
178 Nel sec. XIX, allorquando per antichità era inteso ciò che veniva impartito dall'insegna-
mento ginnasiale e che rispondeva ai cànoni accademici, A. N. P y p in (Riguardo alle indagini
di Buslàiev sul territorio russo in "Sovremiennik ", 1861, XXV, div. II, gennaio, p. 26)
manifestava la sua perplessità per il fatto che Buslàiev assicurava che « i pittori di icone del
sec. XV intendevano meglio l'antichità, che non le persone colte dell'epoca attuale ».
« Sarà forse la troppo grande passione di Buslàiev per lo studio archeologico dei monumenti
russi. Per l'archeologo, naturalmente, è di grandissimo interesse trovare nel dipinto russo
del sec. XV, una filiazione dei tipi pittorici dell'antichità, riconoscere sotto le sue forme
rozze l'Apollo classico o Nettuno, ma il fatto, per se stesso, non rappresenta una testimo
nianza in favore della nostra arte bizantina, che, nonostante i riferimenti con l'antichità,
ricorda molto la pittura cinese, con le sue figure ritte in pose ineluttabilmente rituali, la sua
mancanza di prospettiva, e il colorito terreo ». Oggi non è necessario dimostrare che in
questo disaccordo risulta aver ragione F. I. Buslàiev col suo infallibile intuito di scienziato
pittore, e non A. N. Pypin, che si trovava completamente alla mercé dei pregiudizi accademici.
Le intuizioni di Buslàiev trovano una sempre maggiore giustificazione nelle scoperte degli
ultimi decenni e sono confortate dagli studi eseguiti sulla pittura russo-antica. Cfr. D ario
M icacch i : Il celeste misurabile di Andrea Rublev, pittore della coscienza nazionale russa, ne
"Il Contemporaneo", 1960 (ott.-nov.), pp. 116-132.
148
NOTE ALLE TAVOLE
NOTE ALLE TAVOLE
Tav. i il c a v a l ie r e s u l c a v a l l o r o s s o
È il secondo cavaliere dell'Apocalisse: « Ed usci un altro cavallo che era
rosso, e a colui che vfera sopra fu dato di togliere la pace dalla terra,
affinché gli uomini s'ammazzassero fra di loro, e gli fu data una grande
spada », (Apocalisse, VI, 4).
Nell'icona si trova sotto i Vegliardi, ai piedi de\VAgnello.
151
T av. vi L’ANGELO E IL VENTO
« Dipoi vidi quattro Angeli che stavano ai quattro angoli della terra e tene-
vano i quattro venti della terra, affinché non tirasse vento, né sulla terra,
né sul mare, né sulle piante », (Ap., VII, 1).
Si trova nella fascia mediana, airestrema destra in alto.
152
Tav. x iii S. MICHELE COMBATTE CONTRO IL DIAVOLO
« E in cielo vi fu una gran battaglia: Michele e i suoi Angeli combattevano
contro il dragone, e combattevano pure il dragone e gli angeli suoi; ma non
la vinsero e nel cielo non ci fu più posto per loro. E quel gran dragone,
l'antico serpente, che si chiama diavolo e Satana, il seduttore del mondo
intero, fu precipitato sulla terra con tutti gli angioli suoi », {Ap., XII, 7-9).
Si trova nella fascia superiore, a destra.
153
« ...quattro Angeli che stavano ai quattro angoli della terra e tenevano i
quattro venti della terra... », (Ap., VII, 1).
Cfr. Tav. VI.
« E VAngelo, menando la falce tagliente sopra la terra, vendemmiò la vigna
della terra e ne gettò le uve nel gran tino dell'ira di Dio », (Ap., XIV, 19).
Si trova nella fascia mediana, a sinistra in alto.
Tav. xx I PROFETI
« E ingiunsi ai miei due testimoni di profetare, vestiti di sacco, per mille-
duecento sessanta giorni », (Ap., XI, 3).
Si trova nella fascia mediana, nella parte centrale verso destra.
154
1 PARTE SINISTRA DELLA FASCIA SUPERIORE
7 GIOVANNI PIANGENTE
« Ed io piangevo molto, perché non s'era trovato uno degno d'aprire e guar
dare il libro », (Ap., V, 4).
Si trova nella fascia superiore, sotto VAngelo che annuncia il libro.
155
" L'Agnello che è stato immolato è degno di ricevere la potenza, la divinità,
la sapienza, la fortezza e Vonore e la gloria e la benedizione" », (Ap., V,
11-12).
Si trova nella fascia superiore, al centro verso sinistra.
156
23 IL CAVALIERE SUL CAVALLO NERO (particolare)
« Ed ecco un cavallo nero e chi Vera sopra aveva in mano una bilancia »,
(Ap., VI, 5).
Si trova nella fascia superiore, al centro.
28 LA SPOSA DELL'AGNELLO
« ... e Ve stato dato di vestirsi di bisso rilucente e candido. Questo bisso
sono le opere virtuose dei santi », (Ap., XIX, 8).
Si trova nella fascia superiore, a destra.
29 L'ANGELO E GIOVANNI
Cfr. Ap., XIX, 10. Si trova nella fascia superiore, a destra, accanto alla
Sposa dell'Agnello.
157
32 - 33 LA DONNA CIRCONFUSA DI SOLE, GLI ANGELI E I VENTI E LA
VENDEMMIA
« Poi apparve nel cielo un gran prodigio: una donna vestita di sole, che
aveva la luna sotto i piedi e sul capo una corona di dodici stelle », (Ap.,
XII, 1).
« Dipoi vidi quattro Angeli che stavano ai quattro angoli della terra e tene
vano i quattro venti della terra, affinché non tirasse vento, né sulla terra,
né sul mare, né sulle piante », (Ap., VII, 1).
« E dal tempio che è nel cielo usci un altro Angelo tenendo in mano anche
lui una falce tagliente. E dall'altare usci un altro Angelo che aveva potere
sul fuoco e con gran voce gridò a quello che aveva in mano la falce taglien
te: "Agita la tua falce tagliente e vendemmia i grappoli della vigna della
terra, perché ne son mature le uve". E l'Angelo, menando la falce tagliente
sopra la terra, vendemmiò la vigna della terra e ne gettò le uve nel gran
tino dell'ira di Dio », (Ap., XIV, 17-19).
Si trova nella parte centrale, a sinistra.
36 L'ANGELO E IL VENTO
Cfr. scheda n. 32. Si trova nella fascia centrale, a sinistra in alto.
37 L'ANGELO E IL VENTO
Cfr. scheda n. 32. Si trova nella fascia centrale, a sinistra in basso.
158
40 GLI ANGELI CON LE SETTE PIAGHE
« Dopo ciò mirai: ed ecco aprirsi in cielo il tempio del tabernacolo del
testimonio, ed uscire dal tempio sette Angeli con le sette piaghe: eran ve
stiti di lino puro e splendido, e cinti al petto di fasce d'oro », (Ap., XV, 5-6).
Si trova nella fascia centrale, in alto verso il centro.
45 L'INFERNO
Cfr. scheda n. 41. Si trova nella fascia centrale, a destra.
46 I DUE PROFETI
« E ingiunsi ai miei due testimoni di profetare, vestiti di sacco, per mille-
duecento sessanta giorni », (Ap., XI, 3).
Si trova nella fascia centrale, in basso al centro, verso destra.
47 IL PROFETA E LA BESTIA
« Poi, finito che abbian di rendere testimonianza, la bestia che sale dal
l'abisso muoverà loro guerra, li vincerà e li ucciderà », (Ap., XI, 7).
Si trova nella fascia centrale, in basso, al centro verso destra.
159
48 L'ANGELO CHE SALVA I PROFETI
« Udirono una gran voce dal cielo che disse loro: "Salite quassù ". E, a vista
dei loro nemici, saliron in una nuvola al cielo », (Ap., XI, 12).
Si trova nella fascia centrale, nella parte mediana di destra.
50 IL VENTO
Cfr. schede n. 32, 33, 36 e 37. Si trova nella fascia centrale, nella parte me
diana di destra.
52 LE LOCUSTE
« E dal fumo del pozzo usciron delle locuste che si precipitarono sulla
terra e fu loro dato il potere che hanno gli scorpioni della terra... », (Ap.,
IX, 3).
53 L'ANGELO DELL'ABISSO
« A capo, come re, avevan VAngelo d'abisso, chiamato Abaddon in ebraico,
Apollion in greco e Sterminatore in latino», (Ap., IX, 11).
Si trova nella fascia centrale a destra, accanto a Le Locuste.
54 L'ANGELO E IL VENTO
Cfr. le schede n. 32, 33, 36, 37 e 50. Si trova nella fascia centrale, inbasso
a destra.
55 L'ANGELO E IL VENTO
Cfr. le schede n. 32, 33, 36, 37 e 50. Si trova nella fascia centrale, in alto a
destra.
56 L'ANGELO E IL VENTO
Cfr. le schede n. 32, 33, 36, 37 e 50. Si trova nella fascia centrale, inbasso
a destra.
160
57 IL VENTO
Cfr. le schede n. 32, 33, 36, 37 e 50. Si trova nella fascia centrale, in basso
a destra.
60 LA CAVALCATA DEL RE
« Poi vidi il cielo aperto ed ecco un cavallo bianco, e chi vi stava sopra si
chiamava il Fedele, il Verace, e giudica e combatte con giustizia », (Ap.,
XIX, 11).
Si trova nella fascia inferiore, in alto a sinistra.
61 LA NUOVA GERUSALEMME
« Ed io Giovanni vidi la città santa, la nuova Gerusalemme che scendeva
dal cielo dappresso a Dio, pronta come una sposa abbigliata per il suo
sposo », (Ap., XXI, 2-3).
Si trova nella fascia inferiore, a sinistra.
6 4- 65 I GIUSTI
Cfr. scheda n. 62. Si trova nella fascia inferiore, a sinistra in basso.
66 IL GIUDIZIO UNIVERSALE
« Poi vidi dei troni e chi vi stava era incaricato di pronunziare il giudizio... »,
(Ap., XX, 4).
Si trova nella fascia inferiore, al centro.
161
68 GLI ANGELI E L’INFERNO
« E il mare diede i suoi morti, e la morte e l'inferno diedero i loro morti,
e ognuno fu giudicato secondo le sue opere », (Ap., XX, 13).
Si trova nella fascia inferiore, nel centro verso destra, in basso.
69 L’INFERNO
Cfr. scheda n. 68. Si trova nella fascia inferiore in basso verso il centro,
a destra.
75 DUE ANGELI
Non hanno preciso riferimento nelFApocalisse. Si trovano nella fascia in
feriore, in alto a destra.
80-81 I DANNATI
Cfr. scheda n. 70. Si trova nella fascia inferiore, a destra, vicino al Diavolo
e alla Moglie del diavolo.
162
82 IL DIAVOLO
« Il diavolo, loro seduttore, fu gettato nello stagno di fuoco e di zolfo, dove
era anche la bestia e il falso profeta; e saran tormentati giorno e notte
nei secoli dei secoli », (Ap., XX, 9-10).
Cfr. Tav. V ili.
Si trova nella fascia inferiore, a destra.
84 CERBERO
Non ha riferimento preciso nell'Apocalisse. Cfr. tuttavia scheda n. 82 e
anche il testo a pag. 93 e la nota n. 131. Si trova nella fascia inferiore, a
destra.
85 SATANA LIBERATO
« ...e lo precipitò nell'abisso che chiuse e sigillò sopra di lui, perché non
potesse più sedurre le nazioni, se non finiti i mille anni, dopo i quali deve
essere disciolto per poco tempo », (Ap., XX, 3).
Si trova nella fascia inferiore, a destra in basso.
163
89 a SCUOLA DI DIONISIO: ICONA DEI SEI GIORNI. DEESIS (frammento).
Mosca, Galleria Tretjakov.
97 S. BOTTICELLA NATIVITÀ
Londra, National Gallery.
164
TAVOLE A COLORI
TAVOLE IN NERO