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BRUNO BUOZZI
IL PADRE
DEL SINDACATO
La nostra storia di Giorgio Benvenuto
BRUNO BUOZZI
IL PADRE DEL SINDACATO
Le mondine decisive nella sindacalizzazione italiana: "La Lega" era un loro canto
La nostra storia
di Giorgio Benvenuto *
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rinese: Compagni metallurgici torinesi, io arrivo fresco fresco da Bologna; non so nulla di voi, non conosco i motivi della vostra lotta e dei contrasti con la Federazione Metallurgica in merito al memoriale e alle
trattative con gli industriali. Ma so che voi avete ragione, perch i dirigenti
della Fiom sono tutti venduti e traditori. Lottare contro di loro lottare
contro gli industriali. Respingete dunque il loro lurido contratto e abbandonateli, abbandonando anche le officine.
Buozzi riformista critica lopportunismo e il massimalismo che si
era manifestato nel Biennio Rosso: Sia consentito anche a noi per
quanto in ritardo di esprimere qualche opinione sullo sciopero citato,
con quella franchezza che ci abituale e che soprattutto doverosa in certi
momenti. Purtroppo la cultura generale e leducazione politica del nostro
paese sono cos scarse che ci vuole effettivamente molta audacia a pretendere onest politica, carattere e coraggio. Le nostre masse seguono anche
troppo chi grida pi forte. quindi spiegabile che ci siano uomini, anche
intelligenti, preoccupati di sembrare poco rivoluzionari e di sembrarlo
meno di altri per non correre lalea di qualche fischio plebeo; che ce ne
siano altri disposti a far scempio della verit e delle stesse proprie idealit
pur di dare addosso a quelli delle tendenze avversarie; e che ce ne siano
altri ancora capaci, per mascherare la propria impotenza e quella delle
organizzazioni che rappresentano, di gridare al tradimento verso chi ha
fatto coraggiosamente il proprio dovere.
Buozzi alla testa della Fiom vive i giorni drammatici della occupazione delle fabbriche, ma ad essi, senza piegarsi alle tesi massimaliste, tenta
di dare un duplice sbocco positivo: uno democratico sul piano politico, uno
concreto sul piano delle condizioni generali e retributive dei lavoratori.
Poteva loccupazione delle fabbriche - scrive nel 1929 - avere
uno sbocco politico ed evitare allItalia lavvento della reazione? Noi crediamo di s. Essa, forse, poteva essere la marcia su Roma del socialismo
italiano. Per noi non ci sentiamo di gridare al tradimento contro chi non
ebbe allora le nostre idee e le nostre speranze. Giudicare traditori uomini
che, in un determinato momento, in perfetta buona fede errarono, sarebbe
miserabile.
Il Congresso di Bologna del Partito Socialista nel 1919 aveva dato
una enorme maggioranza ai massimalisti. La Direzione uscita da quel Con10
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cale, rappresentativit del sindacato e consenso di tutti gli strati dei lavoratori. E in verit la Fiom di Buozzi guarda a tutti i lavoratori, considera essenziale il dato della professionalit, diffida delle avanguardie e delle lites,
che, in ogni situazione storica di evoluzione profonda, emergono, ma poi
spesso finiscono con il cristallizzarsi in aristocrazie chiuse o addirittura
esprimere nella societ posizioni da nuova destra.
Buozzi allarga la Fiom anche ai quadri, agli impiegati. La Fiom si
trasforma da Federazione Italiana Operai Metallurgici in Federazione Impiegati Operai Metallurgici.
Leo Valiani ricorda: Lultima volta che sedetti ad un tavolo accanto
a Buozzi fu a Parigi, nel maggio del 1937, alla commemorazione di Gramsci. Fu una commemorazione unitaria di tutto lantifascismo emigrato. Ero
andato in rappresentanza degli ex carcerati politici e fui chiamato alla tribuna. Cera Buozzi, cera Rosselli (che fece lintervento pi infuocato), Gennari per il Partito Comunista, sindacalisti e politici francesi. Mi sono
rimaste impresse le parole di Buozzi. Disse: Noi Gramsci lo sottovalutavamo perch vedevamo in lui lintellettuale e per noi il vanto era che il movimento sindacale fosse diretto da operai autodidatti ..e noi venivamo
direttamente dalla gavetta. Ecco, un errore che non commetterei pi. Gli
intellettuali sono anchessi necessari e non solo i vecchi ma anche i giovani.
Soltanto non devono voler insegnare quello che gli operai sanno meglio di
loro, cio quali sono i loro bisogni e le loro vere rivendicazioni. Devono
mettersi invece, come del resto Gramsci aveva fatto, alla scuola degli operai
e cos discutere sui metodi e sulle scelte migliori per portare avanti il movimento verso la democrazia, la riforma sociale, il socialismo.
Per Buozzi il sindacato deve contare nei luoghi di lavoro, confrontarsi
con levoluzione tecnologica (di qui lattenzione ai tecnici dellepoca), costruire condizioni di giustizia ed avanzamento nella societ che possano poi
riflettersi sulla qualit della vita politica e dellazione dei partiti. Vuole un
sindacato che conti in ogni momento, ad ogni livello, che rifiuti legami pi
o meno mascherati con le tattiche di partito e che cerchi, invece, di portare a
casa risultati che ne evidenzino la capacit politica e contrattuale.
Lansia e la voglia di conoscere che ha caratterizzato tutta lesistenza di Buozzi, collima pienamente con il pensiero di Mazzini evidenziato
nel saggio Del dramma storico per il quale a chiunque vuol farsi rifor12
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delloperaio massa, delle grandi concentrazioni urbane, non pi sufficiente per fronteggiare, per spiegare tutta lesperienza sindacale, di fronte
a lavoratori in possesso di professionalit che si spostano da questo o da
quel settore produttivo, a giovani che vogliono un lavoro, ma con tempi ed
esperienze professionali pi varie, non pi scandite dalle otto ore di fabbrica, a operai, impiegati e tecnici, coautori di quel localismo economico
che tanta parte ha avuto nella tenuta economica del Paese, a esperienze di
cooperazione (del tutto nuove) ed imprenditoriali, specie nellagricoltura
e nel terziario, proprie di una economia matura e intraprendente, e quindi
indifferenti al populismo di vecchi schemi contrattuali.
Con Buozzi si afferma anche unidea di democrazia sindacale fortemente radicata su strutture solide, reattive, dotate di autonomia e di protagonismo. Ma soprattutto unitarie e uniche. Anche qui il riformismo unit
nella chiarezza, e quindi porta la sua battaglia di idee e di proposte nei luoghi di lavoro, con grande linearit: non cerca spazi in esclusiva, non vuole
la duplicazione di strutture, non corteggia le minoranze agguerrite e movimentiste, ma punta tutto sulla trasparenza del metodo democratico, delle
decisioni, sulla valorizzazione di spazi di confronto sorretti dalla tolleranza
e dal rispetto reciproco.
Il primo atto del Buozzi della Resistenza non a caso il ripristino
delle Commissioni Interne elette da tutti i lavoratori per cancellare lignominia dei fiduciari fascisti. Per lui le discussioni su quale sindacato, sembrano venire dopo. Ai lavoratori occorre dare subito un punto di riferimento,
uno strumento, fatti organizzativi certi. E per Buozzi, riformista, organizzatore e dirigente sindacale, lunit comincia nei luoghi di lavoro, nellunitariet della rappresentanza sindacale.
Il riformismo di Buozzi non era un riformismo che poteva essere
considerato il parente povero di altre tradizioni. Forse questa anche una
delle ragioni per cui una coltre di silenzio caduta su questa straordinaria
figura politica. Rivalutare Buozzi per il peso reale, per la statura notevolissima, per linfluenza che ha avuto effettivamente nel movimento sindacale
significa rivisitare criticamente tante pretese supremazie, una fra tutte:
quella del massimalismo. E ridare a Buozzi quel che era di Buozzi. Lo fece
gi a suo tempo Achille Grandi quando sostenne che lItalia sofferente e
carcerata, questa Italia ha avuto un grande merito: essere lantesignana
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dellunit sindacale in Europa e pochi uomini hanno fatto ci. Tra questi
un grandissimo del quale non posso parlare senza sentire un intimo e vivo
senso di sofferenza: Bruno Buozzi. E non meno significativamente Di Vittorio quando disse che Buozzi era un riformista nellanima.
Per Buozzi il sindacato fa politica restando sindacato; unorganizzazione che poggia sullautonomia reale dai partiti e sulla democrazia
interna senza nulla cedere alle tentazioni spontaneistiche dei ribelli di
unora; individua ed indica il percorso di una possibile terza via tra il
vecchio riformismo e le soluzioni rivoluzionarie dei massimalisti, facendo
dello Stato e della controparte sociale i propri interlocutori per realizzare
forme concrete di democrazia industriale, per incanalare le possibilit di
sviluppo e di crescita economica in direttrici programmatiche che superino
lanarchia del libero mercato.
Potrebbero essere quei concetti una bozza di risoluzione di un Comitato Centrale dei giorni nostri, una dichiarazione dintenti sul ruolo, la
funzione, lidentit del sindacato, allindomani delle fratture ideologiche e
politiche che hanno rimesso in discussione gran parte delle acquisizioni,
allinterno di ogni organizzazione, nei rapporti con il Governo, con la base,
con i partiti politici che, in altre parole, hanno riproposto il significato del
sindacato in una societ in fase di trasformazione, post-industriale.
Potrebbe essere anche una previsione di che cosa avrebbe detto
Buozzi al giorno doggi, se non fosse una sintesi delle sue posizioni,
espresse nellarco di un trentennio, maturate fin dallepoca delle sua militanza nella Fiom, sperimentate durante la difficile fase delloccupazione
delle fabbriche, sostenute dallesilio parigino e confrontate con comunisti
e cattolici, nei mesi precedenti la nascita della Cgil.
Ma si tratta solo di alcune delle intuizioni di Buozzi, troppo spesso
ricordato soltanto come uno degli artefici della ricostruzione del sindacato in Italia dopo il ventennio di Mussolini, come martire dei nazifascisti
o ancora per la sua grande coerenza e onest intellettuale, per la sua attiva
resistenza al fascismo, in Italia e nelle sedi internazionali.
Eppure, una semplice biografia non esaurisce il significato e lattualit, la modernit delle formulazioni di Buozzi homo senza lettere (la definizione di Turati, il suo grande maestro) eppure uomo del suo tempo,
calato nella realt del quotidiano ma capace di coglierne gli elementi dina15
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Abbiamo accennato alla politica delle alleanze, unaltra delle intuizioni fondamentali di Buozzi, assertore convinto dellunit sindacale,
che fin dagli anni venti aveva compreso lesigenza di formare un fronte
unitario contro lavvento del fascismo, sia sul piano sindacale (si realizz
quellAlleanza del Lavoro che doveva avere, purtroppo, una breve vita),
sia su quello politico. Ma i tempi non erano maturi: quel riformismo di
cui era convinto assertore e paladino stava diventando oggetto delle critiche
pi feroci, frutto di un clima politico di radicalizzazione e del deterioramento dei rapporti nel seno stesso della sinistra.
Fu uno degli avversari pi limpidi della scissione di Livorno, cos
come sempre stato avversario dei settarismi, della burocratizzazione,
delleconomicismo, della pura gestione. Ma fu anche avversario della polarizzazione delle posizioni, e lo testimonia proprio la tenacia con cui punt
allincontro fra le tre grandi correnti storiche del movimento sindacale italiano, quella socialista, quella comunista, quella cattolica. Ricordiamo: non
volle sentir parlare di esclusione.
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E Di Vittorio annotava in un secondo rapporto, a proposito dei difficili confronti con Bruno Buozzi: Lamico Buozzi riformista nellanima,
difende le federazioni nazionali e la loro naturale competenza tecnica con
un accanimento incredibile; mentre vorrebbe definire le Camere del Lavoro
come semplici organi di propaganda sindacale. Tutti i nostri argomenti e i
precedenti che costituiscono una gloriosa tradizione di lotta delle Camere
del Lavoro non hanno nessuna presa su di lui. Ho compreso che non se ne
cava nulla.
Di Vittorio e Buozzi si stimavano reciprocamente. Quando Buozzi
venne arrestato le trattative proseguirono con Emilio Canevari in rappresentanza dei socialisti. Di Vittorio cos le commenta: Il successivo incontro
con la delegazione sindacale socialista ha avuto luogo. Essa mi ha comunicato che la Direzione del Psi ha approvato, in generale, la posizione assunta nella precedente riunione di far propria la nostra posizione sul
Sindacato libero, demandando alle stesse organizzazioni sindacali la possibilit di prendere una decisione definitiva in merito, nel caso vi fossero
punti di vista differenti. Dunque, il nostro disaccordo con i socialisti su
questa questione, ha cessato di esistere. Ma linconsistenza di questi bravi
amici veramente sconcertante. Alla mia critica il bravo compagno Canevari rispose che non voleva dire affatto quel che io avevo letto, chegli
completamente daccordo con me, che avrebbe accettato tutte le modifiche che avessi formulato. Dissi, con molto garbo, che non si trattava di
modificare qualche brano, ma di rivedere tutto il documento. Proposi,
quindi, di ritirarlo di non darlo soprattutto ai democristiani che vi avrebbero scorto laccoglimento della loro posizione sulla concezione del sindacato di categoria e sulla struttura, che, invece, non sarebbe nelle
intenzioni socialiste. Tanto lui che laltro delegato socialista accettarono
la proposta di ritirare il documento. La delegazione socialista approv la
mia proposta e nei prossimi giorni ci riuniremo a tre, per proporre assieme
ai democratici la soluzione adottata.
La scomparsa di Buozzi ha rappresentato una svolta non solo nella
definizione del Patto di Roma ma ha costituito la fine di un punto di riferimento importante per la continuit della tradizione riformista socialista nel
sindacato italiano. I socialisti non hanno pi avuto quella forza con la quale
agli inizi di questa vicenda li aveva rappresentati Buozzi.
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mai interrotto e oggi che pi che mai necessario, ancora nei suoi ideali,
pi nitidi e resistenti allusura del tempo, la stella polare di un sindacato
moderno. Bruno Buozzi appartiene alla storia di tutto il movimento sindacale; si sempre battuto per lunit del mondo del lavoro; non si mai rassegnato n alla divisione politica n a quella sindacale. il protagonista
dellunit sindacale, non ha mai incoraggiato scissioni sindacali. Aveva
lorgoglio delle sue idee e sapeva che solo in un sindacato unitario si potevano realizzare.
Bruno Buozzi tirava fuori il meglio dal mondo del lavoro: coraggio,
senso etico dellimpegno civile, nobili ideali, sacrificio. La sua vita, come
quella di Di Vagno, di Matteotti, dei Rosselli, di Colorni, crudelmente spezzata prima del tempo, resta la migliore testimonianza di quelle virt senza
tempo.
Raccontava Giuliano Vassalli che con lui condivise gli ultimi giorni
di prigionia a via Tasso: Cera un dipinto nella Direzione del Partito Socialista che ne rievoca la figura in mezzo agli sgherri nazisti con il busto
eretto, in maniche di camicia, in quella mattina di giugno: ebbene, per chi
lo ha conosciuto, egli era proprio cos, fiero e dignitoso, tra quegli sgherri
nazisti che nulla capivano di ci che spontaneamente o per comando erano
indotti a fare, e nulla sapevano di quanto stavano facendo perdere al movimento socialista in Italia e a tutti i lavoratori.
certo che con Buozzi noi abbiamo perduto allora la figura pi nobile, completa e significativa del socialismo italiano; con Buozzi la scissione del Partito Socialista nel gennaio 1947 probabilmente non sarebbe
avvenuta, il movimento socialista si troverebbe oggi con diverse dimensioni
e diverso significato, avrebbe vinto su un piano di libert, di progresso e di
intemerata onest.
* Giorgio Benvenuto
(Presidente della Fondazione Bruno Buozzi)
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Introduzione
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INTRODUZIONE
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bandonata dalle altre componenti politiche dopo la frantumazione dellunit antifascista. Lui stesso si era ritrovato davanti allirriducibile determinazione di Giuseppe Di Vittorio e del Pci a conquistare la guida del
sindacato in virt di una presenza comunista maggioritaria tra gli operai, argomento sostenuto come un atto di fede ma in quel momento non
ancora certificato da una consultazione democratica. Il riformismo di
Buozzi, per, stato un fiume carsico. La Uil lo ha fatto venire in superficie e per diverso tempo qualche affluente ha percorso anche la sede
della Cisl. Nella Cgil ha lavorato sotto traccia, quasi erodendola rimozione, e non solo perch la minoranza socialista (Santi, Brodolini,
Boni che di Buozzi stato uno studioso molto attento) ha continuato a
coltivarne il ricordo e a rivendicarne lattualit del messaggio, ma anche
perch buona parte dei segretari di quella Confederazione sono stati se
non degli eretici, degli irregolari (esattamente come il leader della
Fiom degli inizi del secolo scorso) gente come Luciano Lama o lo stesso
Bruno Trentin. E dato che il fiume arriva sempre al mare, con Guglielmo
Epifani (che a Buozzi ha dedicato i suoi studi) e Susanna Camusso i socialisti hanno ritrovato il loro posto al vertice, un posto che al leader di
Pontelagoscuro era stato negato dalla ferocia dei nazisti. Nel titolo ho,
per, voluto evitare il riferimento al riformismo non perch il termine
solleciti momenti di vergogna, tuttaltro visto luso massiccio che ne ho
fatto allinterno, ma perch la parola stata accompagnata da una sorta
di maledizione. Prima, dagli anni Venti, dai tempi delle scomuniche di
Lenin, sino alla fine degli anni Settanta, il riformismo veniva associato nella migliore delle ipotesi ai socialtraditori nella peggiore (Stalin che poi firm il patto di non aggressione con la Germania: da quale
pulpito, proprio il caso di dire, veniva la predica) ai socialfascisti.
Personaggi veramente al di sopra di ogni sospetto come Piero Boni, allepoca segretario generale aggiunto della Cgil, e Luciano Lama (in un
libro apparso dopo la sua uscita da Corso dItalia) ne fornivano testimonianza, il primo definendo Buozzi con la qualifica pi politicamente corretta di riformatore, il secondo sottolineando come il titolo di
riformista allinterno del Pci fosse bandito tanto vero che bisognava
fare ricorso ad altri espedienti dialettici (compreso quello di miglioristi) per indicare la medesima cosa. Poi, negli ultimi quindici anni, dal
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INTRODUZIONE
cattivo uso si passato allabuso. Riformisti erano tutti coloro che propugnavano riforme, di qualsiasi tipo, di qualsiasi foggia, di qualsiasi
squinternato colore. Si sono scoperti riformisti personaggi anche coerenti con le loro scelte politiche ma che con il riformismo non avevano
proprio nulla da spartire, Mario Monti, ad esempio. Insomma, si faticava
a distinguere il rosso dal nero: Lutero era un riformista ma non lo erano
di certo i papi (Paolo III, Giulio III e Pio IV) che vollero il concilio di
Trento e lo portarono a compimento in diciotto anni. Il riformismo, lo sapeva bene Buozzi, era una pratica abbinata, per, a unidea politica
progressiva: lavanzamento della societ (dal punto di vista di chi occupa i vagoni di coda, quelli che un tempo venivano qualificati come
terza fumatori) attraverso riforme capaci di aggredire e sciogliere i
nodi che strangolano gli assetti produttivi, finanziari ed economici della
societ, che tolgono laria ad alcuni e ne concedono troppa ad altri. Non
si mai visto un riformista che sia da una sola parte, cio quella dei
ricchi, potenti e privilegiati, il riformismo il soffio dellequit che pu
diventare tempesta ma pu anche essere dolce come il ponentino. Soprattutto, con il titolo, ho cercato di spiegare cosa sia stata (almeno in una
lettura che sempre un po di parte per quanto non faziosa) la vita di
Buozzi: un viaggio senza tempo che ha consentito il passaggio del sindacato dalle concezioni pionieristiche delle Leghe di resistenza (sebben
che siamo donne...) alla organizzazione di industria, dalla solidariet
dei mestieri a quella dellappartenenza a un pi vasto e complesso apparato produttivo, una fase di passaggio che probabilmente ha trovato la
sua compiutezza quasi mezzo secolo dopo, non a caso tra i metalmeccanici con la creazione della Flm (sempre quella canzone delle mondine riprodotta in apertura, diceva: la libert non viene perch non c
lunione, crumiri col padrone e durante lAutunno Caldo i lavoratori
marciavano dietro uno striscione: Uniti si vince, un impegno che anni
dopo Trentin avrebbe rilanciato: Se uniti non sempre si vince, certo si
perde meno). Ma poi c anche un secondo aspetto: il senso della storia
drammatica di un uomo, il messaggio estrinseco e intrinseco che ben
radicato in un certo modo di essere sindacato e di essere sindacalisti, a
volte anche in maniera totalmente inconsapevole, anche non conoscendo
nemmeno la data di nascita di Buozzi. Ecco perch ho provato a uscire
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La sua Italia
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gico che con un martello modella un pezzo di metallo battendo sullincudine, dallaltra, alla destra, quello di un contadino impegnato nella raccolta
dal grano armato di falce. Sulla lapide una lunga iscrizione: Nellestate
del 1943 Bruno Buozzi torn dallesilio a difendere nella tempesta della
guerra civile i lavoratori italiani. Catturato dal nemico tedesco e fascista
fu trucidato il 4 giugno 1944 perch con lui si spegnesse la voce del pi
forte compagno. Inizi il suo martirio, la lotta che fece tremare i tiranni.
Rispose al suo sangue altro sangue che in cento officine dItalia fu gloria,
promessa, diritto. Alle fortune del lavoro italiano.
Oggi che si fatica a ricordare, forse vale la pena ricostruire questa
grande storia umana e politica, segnata dalla fedelt a una idea, da una coerenza che ammette gli errori ma non i tradimenti. Il suo viaggio terminato
a Roma, era cominciato oltre quattrocento chilometri pi a nord, a Pontelagoscuro, praticamente una prosecuzione di Ferrara. Era il 31 gennaio del
1881. Era unItalia lontana da quella che stava uscendo dalla guerra, lontanissima da quella dei nostri giorni. Eppure, senza nemmeno grandissimi
sforzi intellettuali, si possono leggere in filigrana, in quel crepuscolo dellOttocento, le cause (almeno alcune) dei problemi che ancora affliggono
il nostro Paese in questalba del Terzo Millennio. E la stessa biografia giovanile di Buozzi in qualche maniera finisce per interpretare e per identificarsi con la biografia dellItalia, con i fermenti che la percorrono, con i
processi sociali che si sviluppano cambiando la fisionomia di una nazione
unita solo da venti anni ma che si porta dietro (anche amplificando) le contraddizioni di un percorso per molti aspetti eroico ma per altri aspetti decisamente deludente. Un anno dopo la nascita di Bruno Buozzi, sarebbe
morto Giuseppe Garibaldi e la sua scomparsa che arrivava dopo quella di
Giuseppe Mazzini (1872), segnava la chiusura di una fase storica, il passaggio del testimone a una nuova classe dirigente che avrebbe tradito una
parte delle attese e delle speranze del processo unitario. Lo stesso Garibaldi,
nellultima fase della sua esistenza, aveva manifestato una certa amarezza
per il modo in cui le cose erano andate. E lui probabilmente pensava alla
spedizione dei Mille, alla liberazione del Sud e alle attese germogliate
nella popolazione, soprattutto nei contadini pi poveri. Invece, nellItalia
in cui Buozzi nasceva, si avvertiva ancora leco di una guerra cruenta, mai
ufficialmente dichiarata ma che, come ha sottolineato lo storico inglese,
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Lo stato di famiglia di Bruno Buozzi redatto dal comune di Ferrara il 2 dicembre 1939
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delle 704 leghe che si riunirono a Bologna), e poi storica leader (a partire
dal 1906) della Federazione. Anche lei, al pari di Buozzi, avrebbe favorito
lo scatto del sindacato dei lavoratori della terra verso la modernit. Anche
lei avrebbe opposto un rifiuto ai corteggiamenti di Benito Mussolini, perennemente alla ricerca di foglie di fico attraverso le quali dare la parvenza di una legittimit democratica al suo regime. Era, come stato detto
autorevolmente, la nuova donna socialista, figura non dissimile da quella
di Anna Kuliscioff: forte e battagliera, una femminista ante-litteram che,
non a caso, da bambina preferiva i libri alle bambole. In un mondo che non
riconosceva ancora la necessit dello studio (in particolare per le donne)
lei aveva deciso di iscriversi alla facolt di giurisprudenza a Parma. Adolfo
Pepe in un saggio realizzato per presentare una mostra a lei dedicata, ha
spiegato le scelte politiche della Altobelli utilizzando le sue stesse parole:
Ero infatuata degli scritti e dellazione che esplicava Andrea Costa, bench
adorassi Mazzini e Garibaldi, i due eroi sacri a tutti gli italiani... Lopera di
Andrea Costa appariva alla mia mente pi audace e complessa e pi rispondente alla realt che non alla dottrina idealistica di Giuseppe Mazzini. Ventidue anni prima di Buozzi, infine, a centoventi chilometri di distanza, a Reggio
Emilia, era nato Camillo Prampolini, una figura complessa in cui coesistevano
numerose anime: certo, quella del militante, ma anche delleducatore e del costruttore di nuove forme produttive come la cooperazione. Da lui Buozzi verr
affascinato tanto da tratteggiare alla sua morte (nel 1930) un commosso ritratto
su lOperaio Italiano (avremo modo pi avanti di ritornare su questo argomento).
Andrea Costa di Argentina Altobelli non era solo un punto di riferimento ideale, ma anche un concittadino (ancorch pi anziano di quindici
anni): primo parlamentare socialista, cresciuto anarchico ma convertitosi al
socialismo anche grazie alla frequentazione di Anna Kuliscioff, dalla quale
ebbe una figlia, Andreina. Una conversione al legalitarismo che spieg cos:
Noi ci racchiudemmo troppo in noi stessi e ci preoccupammo assai pi della
logica delle nostre idee e della composizione di un programma rivoluzionario
che ci sforzammo di attuare senza indugio, anzich lo studio delle condizioni
economiche e morali del popolo e dei suoi bisogni sentiti e immediati... quando,
spinti da un impulso generoso, noi abbiamo tentato di innalzare la bandiera della
rivolta, il popolo non ci ha capito e ci ha lasciati soli. Che le lezioni dellespe47
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produttivo pi forte (66,8 per cento degli occupati tra gli uomini, il 63 fra
le donne) ma lindustria cominciava a crescere (17,1 per cento di occupati
maschi, 25,6 femmine, segno evidente che il settore in quel momento pi
ampio era il tessile). Cera, daltro canto, un fermento generale che percorreva lEuropa e che si legava da un lato allo sviluppo dei trasporti (nel 1882,
ad esempio, venne inaugurato il traforo del San Gottardo, tra lItalia e la
Francia) e delle comunicazioni (la scoperta delle onde elettromagnetiche
compiuta dal fisico tedesco Heinrich R. Hertz nel 1887 consentir a Guglielmo Marconi, dodici anni dopo, di mettere a punto un sistema di radiotrasmissioni) e dalla scoperta di nuove fonti di energia (la turbina idraulica
e la dinamo favorirono la produzione dellelettricit per via idraulica). Nacquero nuovi settori industriali come la chimica (intorno al 1880). La spinta
allo sviluppo dellindustria, in Italia cominci ad avvertirsi verso il 1879 e
in sei anni le importazioni di carbone raddoppiarono. Lo sviluppo industriale venne, ovviamente, accompagnato dalla ricerca di sistemi di organizzazione del lavoro pi efficienti (Frederik W. Taylor mise a punto nel
1893 il metodo pi famoso, quello che va sotto il nome di taylorismo, la
catena di montaggio, che si lega in maniera in qualche misura indissolubile
tanto allo sviluppo dei movimenti sindacali quanto alla diffusione della predicazione socialista). Bruno Buozzi, alla fine, emigr coprendo soltanto
una distanza di duecentocinquanta chilometri ma fu anche lui coinvolto in
un processo che in quegli anni fin per essere quasi un corollario dello sviluppo industriale. Nel solo 1881 andarono via dallItalia quasi 136 mila
persone (circa cinquantunomila si trasferirono in Francia, sedicimila in Argentina, undicimila e cinquecento negli Stati Uniti). Il nuovo stato unitario
aveva per lungo tempo bloccato i flussi migratori, soprattutto per garantire
manodopera a basso costo nelle campagne meridionali. Poi, a partire dal
1880, apr le frontiere: la sovrappopolazione aveva raggiunto al Sud livelli
di guardia. Oggi le migrazioni sono tornate a essere un tema di propaganda
politica ed elettorale con tutto quello che ne consegue a livello di disinformazione e di allentamento dei vincoli solidaristici. Eppure, in quel mondo
decisamente meno sovraffollato di quello attuale, nel giro di trentaquattro
anni, dal 1880 al 1914 diciassette milioni di persone si spostarono dallEuropa (dalle zone pi sottosviluppate, ovviamente) e alla statistica gli italiani
diedero un contributo decisivo (quattro milioni, normalmente contadini po50
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si ritrovarono in una situazione di grave sofferenza che lo Stato prov ad alleviare attraverso aiuti e sovvenzioni che aprirono la strada ad altre operazioni speculative. E poi la finanza pubblica. AllUnit lItalia era arrivata
portandosi dietro un enorme debito pubblico. Nel 1876, Marco Minghetti
riusc a realizzare il pareggio di bilancio. Almeno in apparenza: tenne fuori,
infatti, i quattrini spesi per la costruzione delle ferrovie.
Ma, soprattutto, quando arriv a Milano, Buozzi si ritrov a fare i
conti con idee nuove che parlavano alle classi meno favorite e che, per,
si andavano irrobustendo dal punto di vista numerico con lespansione del
settore industriale. Ha scritto Donald Sassoon: Il marxismo si diffuse rapidamente in tutta la sinistra europea dopo che divenne lideologia ufficiale
del pi importante partito socialista dellepoca, la Sozialdemokratische Partei Deutschlands (Spd)13. E cominci dalla Germania anche perch la percentuale di lavoratori impiegati nellindustria era la pi alta a livello europeo,
dopo lInghilterra: 39,1 per cento nel 1907 contro il 26,8 in Italia nel 1911,
il 29,5 in Francia nel 1906, il 32,8 in Olanda nel 1909, il 44,6 nel Regno
Unito nel 1911. Nel 1890 la Spd in Germania era elettoralmente gi il pi
forte partito del Paese ed il programma di Erfurt messo a punto da Karl Kautsky defin con maggiore chiarezza latteggiamento di un partito marxista
sulle questioni della democrazia. Gli obiettivi erano chiari: voto diretto e segreto per la creazione di tutti gli organismi rappresentativi, diritto di voto
per le donne, proporzionalismo, stipendio per i deputati, autonomia dei lander, dei comuni e delle province, scuola pubblica e passaggio dallimposizione indiretta a quella diretta e progressiva. Alla fine si realizz quasi un
paradosso: fu con il voto, cio uno strumento della democrazia borghese,
che in tutta Europa i socialisti riuscirono ad sviluppare la loro influenza.
Quando nacque il Psi, Buozzi aveva undici anni e non si era ancora trasferito
a Milano che era anche il cuore del nuovo movimento politico. La data di
nascita del partito il 1892, il luogo Genova. Ma la gestazione non fu breve.
Su versanti diversi contribuirono in maniera decisiva Filippo Turati (come
organizzatore) e Antonio Labriola (in qualit di ideologo). Scrive Sassoon:
Esistevano profonde differenze culturali tra lui (Labriola, n.d.a.) e la maggior parte del gruppo socialista raccolto intorno a Filippo Turati. Labriola
era un intellettuale meridionale, i cui mentori teorici erano Hegel e Herbart,
mentre Turati e compagni erano settentrionali pragmatici e convinti positi55
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
L A S U A I TA L I A
Emilio Canevari firm il patto di Roma al posto di Bruno Buozzi ucciso dalle SS alla Storta
Caterina Maria Gaggianesi meglio conosciuta con il diminutivo di Rina: era la moglie
di Bruno Buozzi; ora riposa accanto a lui al cimitero del Verano a Roma
3
Aldo Forbice: la Forza tranquilla. Bruno Buozzi sindacalista riformista, Franco Angeli
pag. 19; appunto contenuto nel diario di Pietro Nenni (Tempo di guerra fredda, diario
1943-1969", Sugarco 1981, pagg. 83-4)
4
Giancarlo De Cataldo: Il Maestro, il Terrorista, il Terrone; Laterza 2011, pag 118
5
Antonio Gramsci: Operai e contadini, LOrdine Nuovo, 2 agosto 1919; in La questione Meridionale, Editori Riuniti 1974, pagg. 64-5
6
Rosario Villari: Mille anni di storia; Laterza 2005, pag 539
7
Pietro Nenni: La lotta di classe in Italia; Sugarco 1987, pag 59
8
Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume Edizioni Avanti! 1955, pag 15
9
Pietro Nenni: La lotta di classe in Italia Surgarco 1987, pagg. 71-2
10
Rosario Villari: Mille anni di storia Laterza 2005, pag 339
11
Ibidem pag 340
12
Ivi
13
Donald Sassoon: Cento anni di socialismo Editori Riuniti 1997, pag. 9
14
Ibidem pag 15
15
Pietro Nenni: La lotta di classe in Italia Sugarco 1987; pag. 87
16
Ivi
2
57
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nile, la medaglia a due facce del durissimo impegno nei campi e del mancato riconoscimento di fondamentali prerogative democratiche come il voto
che arriver in Italia soltanto dopo la fine della seconda guerra mondiale
quando il concetto di suffragio assumer una dimensione realmente universale, senza lesclusione di analfabeti e nullatenenti. E delle donne. Con
la sua azione, lAltobelli ispirer una parte essenziale del movimento sindacale. Colta (non amavo i giochi, ero appassionata alla lettura che preferivo alle bambole e a ogni altro divertimento. Appena mi si regalava
qualche moneta correvo alla bottega di un libraio vicino al negozio di mio
zio a comprarmi il libro che mi era possibile acquistare. Mi formai cos
una biblioteca nella quale si ammucchiavano i libri pi svariati1), sensibile a quel vento nuovo che spirava dal Nord dellEuropa. A cominciare da
quella rivendicazione politica rappresentata dal voto alle donne che Karl
Kautsky aveva inserito nel 1891 nel programma di Erfurt della Spd. Energica, risoluta, determinata. Una donna nuova che partecipa alla creazione
della rivista la difesa delle lavoratrici con Anna Kuliscioff, Angelica Balabanoff, Linda Mainati, Margherita Sarfatti, Maria Bornaghi e Maria Goja;
che conquista la leadership della Federazione nazionale dei lavoratori della
terra appena cinque anni dopo la sua fondazione (1901); e che mette il suo
sapere a disposizione dei braccianti per fornire loro strumenti non solo di
riscatto professionale ma anche culturale e spirituale. Una strada che sar
in qualche maniera nel destino di Buozzi, evidentemente affascinato da percorsi umani che attribuiscono al militante politico anche il ruolo di educatore, soprattutto quando lobiettivo la promozione degli ultimi e dei
penultimi.
E molto di questo suo modo di intendere la missione di un socialista
e di un sindacalista pu essere ritrovato in un articolo che pubblic sullOperaio Italiano, il giornale della CGdL in esilio qualche settimana dopo
la morte di Prampolini. Scriveva: Camillo Prampolini dimostr nei fatti
come si possa essere insieme idealisti e realizzatori. La sua provincia (Reggio
Emilia, n.d.a.) era una delle meno adatte per dare vita a un movimento socialista. Nelle campagne non vi era grande propriet e quindi mancava quel
bracciantato che nelle provincie finitime di Mantova, Modena, Ferrara, ecc.,
facilitava la costituzione di leghe di resistenza e la lotta di masse numerose
per la conquista di migliori condizioni di lavoro. La provincia di Reggio Emi63
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camente, a indicare anche la possibile azione immediata, il piccolo provvisorio parziale riparo alla necessit pi urgente. Ma questo riparo era non
solo illuminato di spirito socialista e riferito alle mete finali, ma era sulla
strada del fine; riallacciava il reale contingente alleterno remoto ideale6.
Un oratore decisamente diverso dal giovane Bruno che nella fabbrica, a Milano aveva irrobustito i riferimenti politici (riformisti turatiani) e sindacali
(la Fiom). Appena arrivato nella Grande Citt (nel 1906, subito dopo il servizio militare come puntualmente segnalava la questura del capoluogo lombardo) era riuscito a sistemarsi alla Marelli. Racconta Gino Castagno:
Fortemente dotato nella mente e nel fisico, alterna il lavoro con lo studio
intenso per superare le deficienze della istruzione mancata e trova modo di
dedicarsi allo sport ed essere un appassionato corridore ciclista. Diceva
pi tardi un anziano socialista di Milano: Buon per noi operai che non sia
troppo emerso in questa carriera7. Il ciclismo aveva tutti i tratti di uno
sport eroico: strade fangose, biciclette non certo paragonabili a quelle attuali. Il Giro dItalia stava per nascere (prima edizione nel 1909) e sulle
strade furoreggiavano Carlo Galletti e Luigi Ganna el Luison. Ma cera
soprattutto lo studio nelluniverso del giovane Bruno: Confesser pi tardi
di essersi ritrovato pi volte, al mattino, addormentato sulla sedia al tavolo
di lavoro8, ha raccontato sempre Castagno. La giornata sempre troppo
breve. Dopo le undici o dodici ore di lavoro in officina si applica la sera
finch pu reggere ai morsi del sonno9. Diventer capo-reparto alla Marelli
e poi passer alla Bianchi: chiss, forse un omaggio alla sua passione sportiva. Entra nella Fiom (lega tornitori) nel 1905 (nello stesso anno aderisce
al Psi), viene eletto nel Consiglio di Amministrazione e come amministratore
partecipa alle riunioni del direttivo.
Ma ancora timido, incerto; sicuramente preparato sui temi sindacali specifici, le lacune culturali le ha colmate nelle notti insonni. Ma
parlare davanti a un pubblico cosa complicata. Ricordava Castagno: Fu
qui (nel direttivo, n.d.a) che egli dimostr subito di essersi gi formata una
buona e solida cultura e di possedere ormai una completa preparazione
sui problemi del lavoro e dellorganizzazione. Soltanto non aveva ancora
vinto, pi che la timidezza, la ritrosia a esprimersi in pubblico. Delegato
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impossibile ma ci non toglie che, come pure da molte parti vien detto,
esiste un super-governo delleconomia (che non ha nulla a che vedere con
quelli democraticamente eletti) che di fatto garantisce le medesime tutele
alle categorie pi agiate, a quelluno per cento che detiene gran parte delle
ricchezze del mondo. E da questultimo punto di vista non che siano stati
compiuti molti passi avanti perch anche in quellepoca di pionierismo industriale, la distribuzione del reddito era estremamente iniqua. Non a caso
un premio Nobel come Paul Krugman sostiene che in America si sia tornati
molto indietro, pi o meno al modello di societ che esisteva prima del Venerd Nero, che apr, comunque, la strada a forme di welfare che, anche
in una crisi come questa hanno impedito la replica di fenomeni drammatici
come quelli che caratterizzarono il 1929.
Liniqua distribuzione delle ricchezze era evidentemente causa di
enormi problemi sociali e gli enormi problemi sociali favorivano la predicazione socialista, la sua capacit di penetrazione fra le categorie pi deboli.
Cosa che non poteva non destare un certo allarme. Ad esempio, nelle gerarchie ecclesiastiche. Ma, soprattutto, fra i cattolici comuni che sentivano franare il terreno dellinterclassismo e avvertivano la necessit di
impedire che il socialismo conquistasse una posizione di monopolio nella
rappresentanza del mondo del lavoro (e dei suoi problemi). Anche in questo
caso, il vento cominci a spirare da nord, da Magonza in particolare dove
il vescovo Wilhelm Emmanuel von Ketteler cominci a definire le prime
linee di una strategia sociale dando alle stampe un libro dal titolo significativo ancorch piuttosto banale: Liberalismo, socialismo e cristianesimo.
Era il 1864 e pian piano quelle idee cominciarono a diffondersi: in Austria
attraverso Karl von Vogelsag, ma un po dovunque, nel resto dellEuropa.
Le gerarchie vaticane, sempre piuttosto inclini al conservatorismo, trovarono una saldatura con queste nuove idee attraverso Leone XIII. Papa Vincenzo Gioacchino Raffaele Luigi Pecci aveva avuto una formazione
diplomatica, non era sicuramente un progressista ma aveva una mente elastica, capiva che il mondo stava cambiando, che gli amici di ieri (lassolutismo politico) non potevano essere gli amici di sempre, al pari dei nemici
di sempre con i quali una forma di accomodamento si sarebbe potuto anche
trovarla. Quando il 15 maggio del 1891 il pontefice rese pubblica lenciclica
Rerum Novarum, tutti capirono che qualcosa stava cambiando allinterno
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stema, che predicano la tabula rasa senza saper bene cosa possa arrivare
dopo o, sapendolo bene, ne perseguono comunque lobiettivo. Esaltazione
della violenza e polemica anti-democratica: in Italia provvide Benedetto
Croce a far conoscere il filosofo francese che per trov orecchie attentissime nel socialista Arturo Labriola che vedeva nello sciopero uno strumento
politico per far esplodere la rivoluzione e nei sindacati larma principale
puntata alla tempia dello stato borghese.
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spina dorsale che si drizza, ogni abuso incancrenito che si sradica, ogni
elevamento del tenore di vita dei miseri, ogni legge protettiva del lavoro,
se tutto ci coordinato a un fine ben chiaro e cosciente di trasformazione
sociale, un atomo di rivoluzione che si aggiunge alla massa... Questa via
rivoluzionaria noi seguiamo ogni giorno... Noi vi staremo e vi proseguiremo
fino al giorno che i nostri avversari a viva forza, non ce ne cacciano fuori.
Allora, quando la via fosse murata davanti; quando fosse reso impossibile
compiere in essa ogni proficuo lavoro; allora, come ben disse il Prampolini
alla Camera, allora le violenze dallalto renderebbero fatali anche le esplosioni dal basso: n saremmo noi che sciuperemmo gli occhi e le labbra a
lacrimare sullinevitabile e a lacrimare il destino. Allora quegli opportunisti che noi siamo, troverebbero opportuno adottare una tattica nuova13.
Il corteggiamento di Giolitti non ebbe successo: portare al governo
il Psi avrebbe avuto come conseguenza la divisione del partito. Era il 1903.
Il politico piemontese se ne fece una ragione e in questo paese di ossimori
(lui si definiva conservatore e radicale; ma il tempo ci ha spiegato che si
pu fare di peggio, ad esempio: di governo e di opposizione), costru il suo
governo andando a pescare in tutti i settori della Camera, allineandosi perfettamente ai collaudati princpi del trasformismo. Gli anni milanesi furono
la scuola di Buozzi. Perch l, in quegli anni, che la sua idea di sindacato
(che era una chiara conseguenza della sua scelta politica) acquist i caratteri
che poi verranno alla luce nelle difficili vertenze che precedettero la prima
guerra mondiale e in quelle che seguirono il conflitto e che culminarono
nelloccupazione delle fabbriche, nel Biennio Rosso. In particolare fu la
frequentazione degli ambienti riformistici (Turati, la Kuliscioff, ma soprattutto Claudio Treves) che gli trasmisero lidea di un sindacato aperto, capace di coinvolgere se non tutti almeno la fetta pi ampia possibile di
lavoratori, realmente unitario cio al di sopra degli steccati ideologici e di
partito. E c una polemica che il giovane Buozzi che si stava accostando
alla Fiom la cui tessera avrebbe preso di l a poco, segu probabilmente con
grande interesse trovando conferma alla sua idea inclusiva. Esplose subito
dopo la celebrazione del congresso bolognese (24 e 25 novembre del 1901)
in cui nacque ufficialmente la Federazione nazionale dei lavoratori della
terra. In quella sala cera Argentina Altobelli e cerano 704 leghe in rappresentanza di 152.022 iscritti. Una organizzazione destinata ad assumere
74
dimensioni sempre pi ampie visto che nel giro di un anno le leghe raddoppieranno (1.293) e le iscrizioni avranno un notevole balzo in avanti
(240.000). In conclusione dei lavori venne votato un ordine del giorno in
cui si auspicava che le Camere del Lavoro acquisissero col tempo una coloritura, esclusivamente socialista (Argentina Altobelli aveva compiuto le
prime prove politiche tra i repubblicani). Quel voto non sfugg n a Claudio Treves, vicedirettore di Critica Sociale, n a Filippo Turati, direttore
e fondatore. E nel numero immediatamente successivo al congresso in questione, Treves pubblic un articolo non lunghissimo ma decisamente duro.
Gi dallavvio, un paio di interrogativi: Laugurio espresso dal Congresso
dei contadini di Bologna che le Camere del Lavoro abbiano ben presto a
diventare socialiste, stato esso maturato come richiedeva la gravissima
questione? Non stato esso forse pi il volo lirico di un impellente idealismo che non la ponderata sintesi di unesperienza lungamente durata e vagliata?14. Domande che spiegavano ampiamente da che parte si collocasse
Treves e come i riformisti intendessero lattivit sindacale. Insomma, lidea
di Camere del Lavoro monoculturali non stava n in cielo n in terra:
Finora il partito socialista aveva distinto nettamente lorganizzazione economica dalla politica... Coerentemente con questi principi i socialisti hanno
dato tutta lopera loro con fervore, con entusiasmo, per organizzare economicamente il proletariato dei campi e delle officine, mettendovi una specie
di scrupolo per dare allorganizzazione un carattere assolutamente neutrale.
Due ragioni di ordine, luna teorica e laltra pratica persuadevano i socialisti a tenersi fermi a questo metodo. Primo. La convinzione incrollabile che
senza necessit di particolari sobillazioni... si sarebbe sviluppata gradatamente e successivamente la piena coscienza di quellantagonismo di classe
circa le forme politiche della propriet, la cui soluzione non pu logicamente
ravvisarsi altrove che nella socializzazione della propriet stessa... Secondo.
La posizione precisa che di fronte alle truccature clericali, repubblicane e
anarchiche intese a dividere il proletariato... era consigliata a noi per schivare ogni gara che potesse gettare sullorganizzazione operaia il sospetto
di un interesse temporale, di partito di uno sfruttamento a fini elettorali del
bisogno di organizzazione delle masse, affinch lo stesso disinteresse del
movimento promosso dai socialisti attirasse i lavoratori, sciogliendone
prima la diffidenza , suscitandone di poi la simpatia verso il nostro par75
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M. Casalini (a cura di): Argentina Altobelli. Episodi di vita di una donna battagliera,
pag. 5
2
Giovanni Zibordi, direttore del giornale La Giustizia. Prampolini era diventato redattore
de Lo scamiciato; due successive trasformazioni portarono prima alla nascita di Reggio
Nuova e poi de La Giustizia. Zibordi stato, infine, anche biografo di Prampolini
3
Bruno Buozzi: Camillo Prampolini. Il proletariato ha perso il suo apostolo pi puro e
il suo miglior maestro in LOperaio Italiano del 16 agosto 1930, in scritti dallesilio
Opere Nuove 1959, pagg. 67-8
4
Giuliano Pischel: Antologia della Critica Sociale 1891-1926" Lacaita 1992, pag. 289
5
Ivi
6
Bruno Buozzi, op. cit., pagg. 65-6
7
Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume Edizioni Avanti! 1955, pag 15
8
Ivi
9
Ivi
10
Ivi
11
Denis Mack Smith: Storia dItalia dal 1861 al 1997" Laterza 1997, pag. 268
12
Anna Kuliscioff - Filippo Turati: Rivoluzionari od opportunisti? in Giuliano Pischel:
Antologia della Critica Sociale 1891-1926" Lacaita 1992, pag. 93
13
Ivi
14
Claudio Treves: Debbono le camere del lavoro diventare socialiste? Critica Sociale
anno XI (1901), n. 23
15
Ivi
16
Ivi
17
Filippo Turati: Variazioni sul tema dellarticolo precedente Critica Sociale, anno XI
(1901), n. 23
77
Avrebbe voluto resistere. Perch non si sentiva pronto. Perch sapeva che limpresa era ricca di insidie, scomodissima. Se non lo fosse stata
difficilmente si sarebbero rivolti a lui. Della delegazione che lo convinse
ad abbandonare il ruolo di Maestro darte per abbracciare quello di leader
sindacale, faceva parte Gino Castagno, anche lui giovane dirigente. Quel
passaggio della vita della Fiom (ancora i primordi, era il 1909 e la federazione era nata appena otto anni prima) lha raccontato cos: Sorse allora
un nuovo problema. A chi affidare la Segreteria in un momento cos delicato per lorganizzazione? A Torino non si trov alcun elemento idoneo,
anche perch chi poteva essere ritenuto capace, da un punto di vista tecnico-sindacale, pareva troppo compromesso dalle posizioni assunte di tendenza ultra-riformista. Fu allora che i socialisti milanesi avanzarono il
nome di Buozzi, quasi sconosciuto a Torino. Partirono i torinesi allincontro. Fu lieta ventura di chi redige queste poche note di fare parte della delegazione la quale ricav dallincontro tale ottima impressione da mettere
senzaltro tutto il proprio impegno nel vincere le riluttanze di Buozzi ad
accettare lincarico offerto. Egli intendeva, infatti, continuare nellinsegnamento professionale1. Il viaggio era stato preceduto da una violenta
polemica con i milanesi contrari al trasferimento della sede da Milano a
Torino, da un convegno straordinario ad Alessandria nel corso del quale il
trasferimento venne confermato dopo veri e propri corpo a corpo che
portarono allestromissione dalla sala (con metodi piuttosto sbrigativi) del
capo dei dissidenti (Bacchi) e di un paio di suoi sostenitori. Lo scontro, che
aveva avuto un epilogo fisico, in realt era nato sul terreno politico perch
gli oppositori aderivano alla corrente dei sindacalisti rivoluzionari con i
quali Bruno Buozzi sar costretto (come vedremo pi avanti) a fare spesso
i conti (e insieme a lui anche i lavoratori, iscritti e non iscritti al sindacato).
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Il bisogno di costruire strutture sindacali di rappresentanza era forte ma segnato da molte contraddizioni. I meccanici a Milano una prima Lega lavevano creata gi nel 1891, altre erano state sciolte da Crispi nel 1894 e,
soprattutto, dalla repressione di Pelloux. Poi, a Roma, allalba del nuovo
secolo (1900) era nata la Lega Operai Metallurgici che aveva creato un Comitato Centrale di Propaganda e ristabilito rapporti con le ventuno sezioni
esistenti in Italia a cui aderivano 4.655 soci. Lanno dopo, al congresso di
Livorno, nacque la Fiom: sede a Roma, segretario Ernesto Verzi. Da quel
momento, il bilancio degli iscritti segu un andamento altalenante: raggiunse il picco massimo nel 1903 (ventinovemila), quando Buozzi si present davanti alla platea di Firenze erano diecimila ma i soci paganti appena
settemilacinquecento. Le cose andavano malissimo soprattutto a Torino, il
centro industriale pi importante, dove i soci paganti non erano pi di un
migliaio. Insomma, la Fiom rischiava la sorte evocata da Buozzi: un ruolo
puramente decorativo, anzi la bancarotta, politica e amministrativa. Nella
capitale industriale italiana (e dellauto che stava cominciando a conoscere
i primi successi) i metallurgici erano pi di trentamila: 16.800 lavoravano
in aziende metalmeccaniche, settemila in quelle automobilistiche. Troppo
agevole prendere atto dellirrilevanza della Fiom, dal punto di vista della
rappresentativit.
Con gli altri settori produttivi, le cose non andavano meglio: a Torino, la citt pi vivace da un punto di vista economico del Paese gli iscritti
alla Camera del Lavoro non arrivavano a diecimila a fronte di un esercito
di novantamila lavoratori, 65 mila impiegati in aziende con pi di 25 dipendenti. Ha spiegato Paolo Spriano: La crisi sindacale anche una crisi
di rapporti umani: loperaio disorganizzato ora facilmente penetrabile
alle accuse di corruzione rivolte ai dirigenti che egli non conosce perch
espresso al di fuori del processo produttivo, sulla base di competenze giuridiche, o, peggio, demagogiche; la sua psicologia profondamente diversa
da quella delloperaio di fabbrica5. La scelta di Buozzi (di qui, probabilmente anche limpressione straordinaria che sollecit in Castagno e negli
altri componenti della delegazione che lo convinsero ad accettare una impresa che sembrava molto simile alla resurrezione di Lazzaro) colm proprio questa lacuna. Buozzi era uno di quegli operai che la Fiom intendeva
rappresentare, lo era sin dalla pi tenera et: aggiustatore e tornitore e poi
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Dal podio fiorentino, Bruno Buozzi nel novembre del 1910, snocciolava dati che se da un lato dicevano che la caduta era stata in qualche
maniera arrestata, dallaltro sottolineavano che la strada per la guarigione
era ancora lunga, contorta e complessa. Dichiarava il segretario: Mentre
lultima gestione dei nostri predecessori d unentrata mensile, per sole
quote, di L. 672,29; la nostra gestione 1910 per la stessa voce ci d un incasso di L. 1.228, 56 quasi il doppio cifra, poi, questa, in continuo aumento che certamente a dicembre arriver a L. 1.500. I debiti che alla fine
di luglio 1909 salivano a L. 10.748,25, oggi sono ridotti a L. 5.321,50. Oltre
questo abbiamo prelevato dalla somma per il funzionamento della federazione oltre L. 1.000 che abbiamo versato extra sottoscrizioni, agli scioperi
che si sono succeduti. Al 30 settembre il debito federale appena di L.
380,257.
Le falle erano state turate ma si trattava di riprendere il cammino.
Di quelle falle erano rimasti gli strascichi velenosi, le accuse contro Cleobulo Rossi, il segreteraio (aveva retto la Fiom insieme a Silla Coccia) che
con la sua opaca e criticata gestione amministrativa aveva affossato i conti,
minato la credibilit e consentito alla propaganda dei sindacalisti rivoluzionari un generoso raccolto di consensi. Cera chi avrebbe voluto una immediata rimozione di Rossi ma poi con una proposta di mediazione, Buozzi
diede al vecchio segretario la possibilt di una uscita meno traumatica:
quindici giorni di tempo per risistemare lequilibrio di bilancio. Allinizio
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del 1911, poi, la sede venne trasferita a Torino (dopo essere transitata a Milano, ed aver in un primo momento stazionato a Roma). In queste condizioni la Fiom di Buozzi poteva ripartire.
Peraltro, in una situazione in cui lo sviluppo industriale faceva segnare, pur tra cicliche crisi, significativi passi in avanti. Insomma, il reclutamento era possibile, la materia prima cera. Bisognava trovare solo la
chiave giusta per conquistarla e organizzarla. E qui entrava in ballo la specificit del processo di sindacalizzazione italiano avviato sul confine del
passaggio dalle officine tradizionali allindustria, come dire, dal lavoro ancora molto manuale alla macchina. La Fiom (tanto quella di Bruno
Buozzi quanto quella precedente alla sua elezione a segretario) si era posta
un obiettivo: dare allItalia un sindacato dindustria. Finendo, per, per
scontrarsi con quelle che erano le origini del processo di organizzazione.
In principio cerano i mestieri ed era quella la solidariet che reggeva,
lidentit pi forte. Il modello industriale faceva leva soprattutto sulloperaio specializzato ma in quel momento, con lespansione della siderurgia e
dellindustria legata ai trasporti, entravano in fabbrica schiere di ex contadini alla ricerca di pane sicuro. Un processo che lItalia rivivr pi tardi,
negli anni Cinquanta e Sessanta, con i massicci flussi migratori e lindustrializzazione del Mezzogiorno, quando migliaia di lavoratori un tempo
impegnati nei campi cambiarono abiti indossando la tuta blu e trasformandosi, spesso, in quello strano ircocervo che assunse il nome di metalmezzadro.
La Fiom riusciva a parlare agli operai specializzati, quelli che, dotati
di un mestiere, avevano adeguato le loro capacit e le loro competenze
alla macchina, ma faticava a dialogare con gli altri. Volendo si potrebbe
dire che gli sfuggiva ancora quelloperaio-massa (anche lui, normalmente,
figlio del Sud dal punto di vista geografico e figlio di un contadino da un
punto di vista strettamente biologico) che fu, poi, lanima dellAutunno
Caldo e che agevol quellesperimento di sindacato unitario che va sotto il
nome di Federazione dei Lavoratori Metalmeccanici. Allepoca, per, su
quelloperaio poco specializzato e in qualche misura un po anarcoide faceva presa la propaganda dei sindacalisti rivoluzionari che, come ha sottolineato Maurizio Antonioli, aveva come punto di riferimento organizzativo
il modello industrialista inglese che si basava sullorganizzazione fabbrica
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per fabbrica e la costante attenzione nei confronti degli strati dequalificati8. Il tutto accompagnato da quelle accuse di corruzione che, come ha
detto Spriano, venivano lanciate contro i vertici della CGdL e della Fiom.
Quello automobilistico era il settore industriale tecnologicamente
pi avanzato e in via di grande espansione. E buona parte di quei primi anni
della segreteria di Bruno Buozzi e della vita sindacale verr condizionato
proprio dallaffermazione di questo mezzo di trasporto che, non a caso, segner la rinascita dellItalia anche dopo la seconda guerra mondiale trainando il boom economico degli anni Sessanta, condizionando in maniera
decisiva da un lato le politiche economiche, industriali e sociali e dallaltro
gli stili di vita. La stessa cosa accadde anche allora e produsse effetti tanto
sul fronte operaio quanto su quello padronale. Torino, che gi era il centro
produttivo pi importante del Paese, con lautomobile accentu questo carattere, diventando meta di un massiccio processo di inurbamento tanto
vero che nel 1911, anno dellEsposizione Universale, la citt aveva una popolazione di 428 mila abitanti e la Fiat spediva allestero gi tremila sue
autovetture. Ma il settore non ruotava solo intorno a quella che dopo la
prima guerra mondiale sarebbe diventata la pi grande fabbrica italiana.
Cerano altre realt, anche abbastanza significative. Tanto significative da
indurre gli imprenditori del settore, gi riuniti nella Lega Industriale, a organizzarsi nel Consorzio Fabbriche dautomobili. Novit non di poco conto
nel panorama delle relazioni industriali perch il nuovo organismo sindacale si basava su criteri di disciplina piuttosto ferrei sintetizzati nellassoluta
fedelt alle decisioni prese a maggioranza e per garantirla veniva richiesto
il deposito di cambiali che sarebbero state riscosse in caso di violazione
della linea adottata.
Come ha raccontato Spriano fu in quel settore che nacquero le prime
grane per Buozzi. Situazioni che si trascinavano da almeno tre anni prima
del suo arrivo alla segreteria e che avevano inciso in misura non irrilevante
sulla rarefazione dei rapporti tra gli operai e la Fiom. Da l, dalle fabbriche
di automobili, partirono intorno al 1911 le prime avvisaglie di un movimento scoordinato, lesatto contrario, cio, del modello di sindacato che
Buozzi aveva in mente (un modello che mise pure per iscritto: Dove lorganizzazione non esiste o debole, il proletariato non riesce neppure a discutere direttamente con gli industriali, e non quindi portato a contatti o
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a transazioni perch deve subire fatalmente tutto ci che gli viene imposto.
Tanto pi, invece, lorganizzazione forte, quanto pi affronta questioni
importanti, e discute e stipula concordati o transazioni, e entra quotidianamente nelle fabbriche e ha rapporti pi continui colle organizzazioni padronali o col governo per discutere di ogni cosa che interessi i suoi
associati). Per giunta su questa via in qualche misura anche incentivato
dalla nuova controparte padronale (il Consorzio) disposta a fare concessioni
LItalia politica degl inizi del Novecento in una tavolozza realizzata con
le cartoline di Scalarini: si riconoscono il radicale, il repubblicano, il moderato,
il socialista, il clericale e la donna senza partito perch... mi ha lasciato
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a condizione di una ferrea pace sociale (niente scioperi improvvisi, tolleranza zero sui ritardi nellentrata in fabbrica, avventiziato di sei mesi e
preavviso di soli tre giorni per i licenziamenti). A pelle di Leopardo alcune
concessioni erano state ottenute nelle varie fabbriche: prima lAquila dove
era stato conquistato lorario unico il sabato, con uscita alle 14 e anche una
tolleranza di una decina di minuti sullingresso. Quindi lItala dove lorario
di lavoro venne ridotto da 60 a 57 ore a parit di salario.
Il Consorzio la tolleranza sugli orari lapprezzava poco (anzi, la voleva stroncare) in compenso, per, era disposto a qualche cedimento sul
fronte del sabato inglese e su quello degli aumenti salariali. Proprio per
mettere un po dordine in questo caos rivendicativo, la Fiom nel dicembre
del 1911 stipul un contratto (allepoca si chiamavano concordati) con cui,
tra laltro la Federazione otteneva il riconoscimento e limpegno dei datori
di lavoro a trattenere direttamente sulle buste-paga la quota. Per la Federazione questultima era una grande conquista perch si inseriva immediatamente nel Modello di sindacato a cui lorganizzazione faceva riferimento,
cio, come ha sottolineato Maurizio Antonioli, il modello tedesco. Per i
dirigenti della Fiom il sindacato dindustria era... strumento di controllo
e nello stesso tempo di elaborazione degli interessi generali... il suo obiettivo non era tanto quello di rappresentare tutti gli operai (anche quelli
estranei ai valori del modello sindacale) quanto quello di trattare per tutti,
di essere lunico veicolo contrattuale e come tale di diventare un elemento
stabile del nuovo sistema di relazioni industriali. Il sindacato di industria
quindi come passaggio decisivo alla contrattazione collettiva9.
Lidea che Buozzi aveva del sindacato, daltro canto, era facilmente comprensibile. Tanto per cominciare, una organizzazione forte, che
non si facesse prendere la mano. Diceva: Noi siamo risolutamente contrari alla teoria che lorganizzatore e lorganizzazione debbano sempre seguire la massa, anche se disorganizzata (evidente il riferimento al
sindacalismo che non gradiva: quello dei rivoluzionari, n.d.a.). Tale teoria
rende inutile lorganizzazione. Serve a formare dei ribelli di unora ma non
mai delle coscienze rivoluzionarie. Ad organizzare improvvisamente delle
migliaia di operai, facili da condurre al macello, ma che se ne andranno
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immediatamente non appena finita lagitazione per la quale si sono associati. La coscienza delle masse si sviluppa e si dimostra con lopera paziente, illuminata e disciplinata, la quale, sola attraverso anche qualche
rinuncia che spesso un segno di forza sa conquistare e conservare
per prepararsi a nuove conquiste10.
La fondatezza di quella valutazione lui stesso la verificher proprio
in quel che accadr dopo quel concordato del 1911 firmato con i produttori
di automobili. La sua idea era quella di un militante sindacale consapevole
e quindi disponibile a pagare quote anche piuttosto salate in cambio di servizi che non riguardavano solo la contrattazione ma che uscivano dai confini
della fabbrica debordando nelluniverso sociale, nel controllo del mercato
del lavoro attraverso il collocamento. Le quote come cartina di tornasole
dellimpegno, della convinta adesione. Un tema che si riproporr nel corso
delle trattative per il Patto di Roma. Lidea che un lavoratore potesse ottenere
gratuitamente benefici che un altro suo compagno aveva costruito sobbarcandosi dei sacrifici, disturbava Buozzi. Lorganizzazione era forte se
aveva delle basi economiche solide e se con quelle basi riusciva a sostenere
lotte che in quegli anni duravano decisamente a lungo. Spiegava ancora Antonioli: Il modello di sindacato di industria a cui la Fiom tendeva muoveva
da altre premesse (rispetto a quelle dei rivoluzionari basato sulla singola
fabbrica). La sua cellula non era la fabbrica ma la sezione territoriale, la
cui tenuta si fondava su nuclei di militanti esperti, coscienti, preparati e
i cui collegamenti con la fabbrica erano assicurati da collettori. La ricomposizione della categoria quindi doveva avvenire attraverso il filtro
dellorganizzazione esterna al luogo di lavoro e procedeva dallalto lungo
le fasce della manodopera qualificata, di quegli operai attorno a cui ruotava
il processo di produzione e che erano in definitiva i cardini dei reparti... Il
sindacato di industria significava soprattutto centralizzazione, superamento
delle barriere professionali ed estensione al maggior numero di categorie
per un controllo pi efficace del mercato del lavoro11.
Quel che intendeva per sindacato, Buozzi lo illustr abbastanza chiaramente in un articolo elaborato solo pochi mesi dopo la sua elezione alla
segreteria della Fiom, davanti a quei dati relativi agli iscritti che parlavano
la lingua di un fallimento in corso (nel 1920 le 27 sezioni del 1909 si moltiplicheranno quasi per dieci diventando 221 e gli organizzati dai settemila
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che lasciano pochi spazi allottimismo, almeno a quello pi sfrenato. Il segretario della Fiom sottolineava: Oggi i nostri soci non sono convenientemente tutelati, il lavoro di propaganda fiacco e inadeguato e quello di
amministrazione farraginoso e costoso. Lunione eliminerebbe gran parte
degli inconvenienti odierni e i soci, avendo pi diretta la visione dei frutti
dei loro sacrifici, non abbandonerebbero, come fanno cos spesso ora, la organizzazione dopo pochi mesi di iscrizione. Continuava: Il proletariato
metallurgico milanese ha una educazione anarchico-borghese che ha bisogno
di essere combattuta e rifatta. ribelle ma non rivoluzionario; protesta sempre e sempre si sottomette; individualista, di quellindividualismo scettico
tanto caro al Corriere della Sera ed , pi che nemico, ignaro di ci che
sia o debba essere il sentimento vero della forza collettiva e dellorganizzazione; vorrebbe essere e fare e non sa come muoversi... Lurlo, linvettiva, la
protesta, per quanto sacrosante, cadono nel vuoto se non sono materiate e
sostenute da una vigile coscienza di classe che sappia prevenire i fatti ed opporre una forza disciplinata e coraggiosa14. Un giudizio severo sul proletariato milanese, su una coscienza ancora troppo timida e mutevole.
Daltro canto, se oggi il problema sono i populisti, allepoca la medesima funzione veniva svolta dai sindacalisti-rivoluzionari, molti dei quali,
poi, conclusero il loro percorso politico tra le braccia di Mussolini, a cominciare da quellEdmondo Rossoni che sar il capo, almeno inizialmente,
del sindacato fascista. Filtrate attraverso intellettuali italiani come Arturo
Labriola (che poi far il ministro del lavoro con Giolitti durante loccupazione delle fabbriche), facevano breccia le riflessioni sulla violenza di
Georges Sorel: Il socialismo tende sempre pi a configurarsi come una
teoria del sindacalismo rivoluzionario o meglio come una filosofia della
storia moderna nella misura in cui questultima subisca il fascino del sindacalismo. Risulta da questi dati incontestabili che, per ragionare seriamente del socialismo, bisogna prima di tutto preoccuparsi di definire
lazione che compete alla violenza nei rapporti sociali di oggi. Lo sciopero generale come uno stato danimo epico che tende tutte le forze dellAnima verso condizioni che permettano di realizzare unofficina che
funzioni liberamente e che sia prodigiosamente progressiva. Diventava
pallida cosa la proposta di una azione giorno per giorno, continua e progressiva a fronte della promessa della Palingenesi. In pi, su questo crinale
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critico si inserivano anche le rese dei conti interne al Psi, i cambi di maggioranza al vertice, laggressivit dialettica di Mussolini allepoca attestato
su posizioni massimaliste.
Alla fine la prima grande sconfitta a Buozzi la regaleranno non
gli anarco-individualisti milanesi, ma il proletariato torinese, addirittura
quello fortemente specializzato delle fabbriche automobilistiche. Il fatto
che Buozzi non era riuscito a consolidare il lavoro di riorganizzazione. Dal
momento dellinsediamento aveva sostenuto cinquantuno agitazioni e viaggiato in lungo e in largo (duecentodue giornate a contatto diretto con i lavoratori, ha raccontato Castagno). Uno sforzo propagandistico arricchito
dal lavoro dei membri del Comitato Centrale che nelle diverse sezioni per
riorganizzarle avevano trascorso trecentoventidue giorni in trasferta. Un
impegno massacrante che, per, non imped al segretario della Fiom di sposare, il 15 febbraio del 1912, la sua Rina (due anni dopo sarebbe nata la
prima figlia, Ornella, nel 1918 la seconda, Iole) e di metter su casa a Torino,
in Corso Regina Margherita. Il matrimonio coincise con i giorni pi turbolenti della sua nuova esperienza di leader. Lo scontro con i datori di lavoro
fu durissimo, ma ancora pi feroce fu quello con i sindacalisti rivoluzionari.
E la Fiom si ritrov al centro di un fuoco concentrico tra chi voleva mettere
le cose a posto (i padroni) e chi voleva lucrare vantaggi lavorando ai fianchi la Federazione. Persero tutti, alla fine. Tranne gli industriali dellautomobile che con la sinistra si ripresero quel che avevano elargito (e non certo
senza contropartite) con la destra.
Perch il concordato a cui prima abbiamo accennato, firmato nel
dicembre del 1911, venne messo di fatto in fuorigioco dai lavoratori, vittima
del clima di sfiducia che circondava in quel momento la Fiom. Inutilmente
tra la fine di dicembre del 1911 e gli inizi di gennaio del 1912, mentre preparava le carte per sposare Rina, Bruno Buozzi and in piazza per provare
a convincere i lavoratori. Pi forte delle sue argomentazioni, risult essere
la propaganda dei sindacalisti rivoluzionari che trovava terreno fertile proprio su quei sentimenti di delusione che accompagnavano loperato della
Fiom e che furono espressi in uno striscione che accompagn una delle manifestazioni (la pi massiccia) di quella vertenza lunga sessantacinque
giorni. Diceva: Cittadini, siamo stati traditi dalla Federazione Metallurgica. Difficile, per, parlare di tradimento a fronte di una riduzione del94
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di quella tensione di massa cos avvertibile nei primi giorni dello scontro.
Accadde piuttosto che sul radicalismo sociale cos intrinseco alla connotazione culturale dei lavoratori Fiat si innestasse il particolare radicalismo
che ritroviamo cos frequentemente nella storia del movimento operaio torinese18. Cambiando nomi ed epoche storiche, il risultato non cambia. Il
conto pagato dai lavoratori fu altissimo: due milioni di salari perduti. Mesi
dopo, Zocchi e compagni provarono a riaprire i giochi in fabbrica presentando il 15 settembre del 1912 agli imprenditori un memoriale (cio una
piattaforma rivendicativa) con il quale intendevano recuperare i diritti perduti e il cuore dei lavoratori. La risposta fu negativa anche perch gli imprenditori torinesi consideravano quel sindacato poco rappresentativo (un
migliaio di iscritti) e perch non accettava il principio dei contratti a scadenza fissa, accettazione che aveva come corollario la rinunzia allo sciopero
nel periodo di vigenza dellaccordo. Ci non toglie che in poco tempo
venne organizzata la rivincita.
Laria era cambiata avendo Bruno Buozzi consolidato la riorganizzazione della Fiom. La cocente delusione dei sessantacinque giorni,
aveva dato modo al segretario di riproporre con un certo successo la logica
riformista delle conquiste graduali, del passo dopo passo, delle vertenze
organizzate e, soprattutto, basate su dati di fatto, su studi e analisi approfonditi e non su un tumulto emotivo, confuso e passeggero. I metodi utilizzati per governare la nuova vertenza che fu preparata con pazienza e
attenzione certosina, ebbero profili decisamente moderni. Tanto per cominciare, le richieste furono definite grazie a una consultazione massiccia della
base (si svolse pi o meno da ottobre agli inizi di febbraio) e vennero soppesate con studi che furono utilizzati per sgretolare il muro dei datori di
lavoro, per dimostrare che gli aumenti di costi erano perfettamente compatibili con gli aumenti di produttivit passati e futuri. Quindi, venne costruita una vera e propria commissione contratto: una decina di aziende
(Itala, Spa, Frejus, Fiat-Brevetti, Fiat-Ansaldi, Lancia, Scat, Rapid) nominarono tre rappresentanti a testa, in tutto un parlamentino di quasi una
trentina di persone, una scelta che fece compiere un enorme balzo in avanti
alla democrazia sindacale. A tutto questo Buozzi arriv dopo aver rimesso
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soste degli scioperanti che vi consumavano la scarsa refezione e vi si trattenevano. Nei primi giorni un tavolo preso a prestito da una vicina osteria
fu la tribuna degli oratori; poi alcuni compagni intraprendenti trovarono
delle tavole e costruirono un piccolo palco stabile a ridosso di un gruppo
di grandi platani... Tutti noi, compagni giovani e anziani del Sindacato,
passammo pi o meno felicemente su quella tribuna; ma il pi atteso e gradito era ogni giorno il discorso di Buozzi. In quei pochi anni di direzione
sindacale, di esperienza di lotte, di studio dei problemi generali e specifici,
egli era diventato un maestro e approfittava di quegli incontri quotidiani
per formare la coscienza dei compagni, ampliando il campo delle loro conoscenze21. Quelle giornate al Parco Michelotti le ricord pure in una conferenza alluniversit nel 1949, il segretario del Pci, Palmiro Togliatti, quasi
con tenerezza: Nel 1912, nel 1913, a certe ore del mattino, quando abbandonavamo laula e dal cortile uscivamo nei portici avviandoci verso il
Po, incontravamo frotte di uomini diversi da noi, che pure seguivano quella
strada. Tutta una folla si dirigeva verso il fiume e i parchi sulle rive, dove
in quei tempi venivano confinati i comizi dei lavoratori in sciopero.
Gli imprenditori dellautomobile minacciarono il licenziamento in
massa di tutti gli scioperanti ma al contrario della vertenza precedente, questa volta i metalmeccanici riuscirono a raccogliere la solidariet del Psi (che
era stato, invece, titubante nei sessantacinque giorni) e persino contiguit
abbastanza impreviste. Perch, alla fine, nella conclusione positiva della
vertenza pes anche latteggiamento de La Stampa, imprevedibilmente
favorevole agli operai, una imprevedibilit solo apparente visto che il direttore, Alfredo Frassati, era politicamente vicino a Giovanni Giolitti che,
a sua volta, nella fase conclusiva della vicenda apr la strada allaccordo
con un durissimo attacco a Louis Maurice Bonnefon Craponne, presidente
della Lega Industriale che aveva proclamato la serrata di tutte le industrie
torinesi (che nella vertenza non erano coinvolte) con lobiettivo di tagliare
i viveri agli scioperanti che colmavano la mancanza di salario con le sottoscrizioni dei colleghi che al lavoro continuavano ad andare. Lannuncio
delliniziativa era stato dato il 20 maggio (la serrata doveva cominciare il
26); lo stesso giorno Buozzi commentava: Latto degli industriali fa troppo
bene il nostro gioco, ci favorisce troppo davanti allopinione pubblica, perch
noi non vogliamo guastarlo con un movimento inconsulto? Accettiamo la
99
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Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume Edizione Avanti! 1955, pag. 20
Relazione di Bruno Buozzi al congresso della Fiom, 13-16 novembre 1910, in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943)
Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 29
3
Ivi
4
Ivi
5
Paolo Spriano: Storia di Torino operaia e socialista. Da De Amicis a Gramsci Einaudi
1972, pag. 209
6
Fernando Santi: prefazione al libro di Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume edizione Avanti! 1955, pag 7-8
7
Relazione di Bruno Buozzi al congresso di Firenze 13-16 novembre 1910; in Aldo Forbice
(a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943) Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 14
8
Maurizio Antonioli: La Fiom tra sindacato di mestiere e sindacato di industria in
Bruno Buozzi e lorganizzazione sindacale in Italia a cura del Centro Ricerche e Studi
sindacali-Fiom Milano e della Fondazione Giacomo Brodolini Milano, Editrice Sindacale
Italiana 1982, pag. 27
2
100
A L L A G U I D A D E I M E TA L L U R G I C I
9
13
Ibidem pag 22
Ibidem pag. 23
15
Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume Edizione Avanti! 1955, pag. 28
16
Arturo
17
Paolo Spriano: Storia di Torino operaia e socialista. Da De Amicis a Gramsci Einaudi
1972, pagg. 214-5
18
Giorgio Benvenuto Antonio Maglie: Il divorzio di San Valentino. Cos la scala mobile
divise lItalia Fondazione Bruno Buozzi 2013, pag 120
19
Paolo Spriano, op. cit, pag 224
20
Aldo Forbice: La forza tranquilla, op. cit., Comizio di Bruno Buozzi alla Camera del
Lavoro da un resoconto de La Stampa del 9 febbraio 1913, pag.28
21
Gino Castagno, op. cit., pag 32
22
Aldo Forbice: La forza tranquilla, op. cit., pag. 29
14
101
Verso la guerra
Anche in questa guerra, come in tutte quelle del passato, il proletariato versa il proprio sangue prezioso unicamente forse nellinteresse
della borghesia: e quindi quello italiano ha il dovere di lottare con ogni
mezzo perch lItalia non partecipi alla grande carneficina. La mattina del
19 settembre del 1914, i lettori de Il Metallurgico ritrovarono queste
chiare e inequivocabili parole in un articolo che non lasciava adito a dubbi.
La firma era quella del loro leader, il segretario della Fiom, Bruno Buozzi.
Erano giorni veramente bui e tempestosi. Il diciannovenne nazionalista
serbo, Gavrilo Princip, quasi esattamente tre mesi prima, il 28 giugno, a
Sarajevo aveva abbattuto larciduca Francesco Ferdinando e lAustria, per
tutta risposta, un mese dopo, il 28 luglio, aveva dichiarato guerra alla Serbia. Ma era stata solo la scintilla perch il fuoco che ne deriv era stato,
nelle settimane, nei mesi e negli anni precedenti, adeguatamente alimentato
da altre e pi profonde motivazioni, per quanto un assassinio potesse essere
per qualcuno una ragione non completamente campata in aria (per, sicuramente debole per la carneficina che produsse). In realt lAustria non vedeva lora di lanciarsi in una avventura bellica per provare a puntellare un
impero destinato a un irreversibile declino. E in questo intendimento era
sostenuta dallalleato tedesco animato da uno straordinario spirito di potenza che a partire dal 1870 sino alla seconda guerra mondiale ha periodicamente precipitato lEuropa nella tragedia, sino alla terribile e non
rimarginabile ferita dellOlocausto.
Lo sottolineava in quellarticolo Bruno Buozzi, descrivendo lo sviluppo produttivo, in larga parte drogato, di un paese che aveva deciso di
contendere allInghilterra il primato industriale e che dal primato industriale
voleva passare a quello politico, su tutta lEuropa. Una lunga citazione di
quellarticolo serve a comprendere il clima e le ragioni dellepoca. Scriveva
105
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
VERSO LA GUERRA
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VERSO LA GUERRA
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
nizzando squadre di crumiri. Il 7 giugno, poi, ad Ancona una manifestazione contro la coscrizione obbligatoria a cui aveva partecipato Enrico
Malatesta fin nel sangue (tre morti e una quindicina di feriti). Per protesta
l8 giugno i metallurgici proclamarono lo sciopero generale in tutta Italia
ma a Torino gli operai fermarono il lavoro prima ancora di conoscere le
decisioni dei vertici sindacali e uscirono dalle fabbriche bloccando lattivit produttiva di tutta la citt. Il 9 giugno un corteo di cinquantamila persone attravers la citt concentrandosi davanti alla Camera del Lavoro
dove parl Buozzi. Ma rabbia e tensione (alimentata anche dalla riemersione di sindacalisti rivoluzionari e anarchici) erano cos alte che la la
folla invece di disperdersi rest in strada. Cominciarono gli scontri che
nel pomeriggio diventarono violentissimi: a Piazza Castello la polizia
spar e sulla strada restarono due corpi senza vita. La vicenda passata
alla storia come la settimana rossa. Pietro Nenni che ebbe una parte non
trascurabile lha raccontata cos: In questo memorabile 1914, il 7 giugno,
ad Ancona, alla conclusione di una manifestazione antimilitarista, la polizia per disperdere un corteo operaio spar sulla folla. Due manifestanti
furono uccisi. Lindignazione popolare prese allora la forma di una vera
insurrezione. Lo sciopero generale fu proclamato da un estremo allaltro
dellItalia. I ferrovieri si aggregarono allo sciopero che dur sette giorni
e prese il nome di settimana rossa... Ma per la mancanza di direzione
centrale e di collegamento, il movimento fall e la sera del quinto giorno
di sciopero la Confederazione generale diede lordine di riprendere il lavoro3. Buozzi, dopo le pistolettate di Torino, si era molto adoperato in
quella direzione anche perch avvertiva che la situazione aveva preso una
china ingestibile e, quindi, pericolosa.
Nenni, evidentemente la pensava in maniera diversa e il suo racconto, peraltro, elaborato diverso tempo dopo i fatti, , nellumore che lascia trasparire, molto diverso dal commento che, invece, a caldo Claudio
Treves elabor per la Critica Sociale. Larticolo, come molti altri, era firmato Il vice ed era una presa di posizione durissima contro lo spontaneismo avventuristico. Una durezza visibile gi nel titolo: La teppa e la
rivoluzione socialista. Si domandava Treves: Quel che bisogna vedere
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VERSO LA GUERRA
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VERSO LA GUERRA
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in numerose occasioni. Lo disse in un comizio alla Camera del Lavoro qualche giorno prima dellarticolo su Il Metallurgico: Vincano gli uni o gli
altri, le condizioni del proletariato non miglioreranno, peggioreranno10.
Ripropose per iscritto gli stessi concetti: A noi pare che il proletariato
abbia il dovere assoluto di lottare con ogni mezzo perch lItalia rimanga
neutrale. Noi non abbiamo alcuna difficolt a dichiarare che le nostre simpatie, per ragioni sentimentali pi che altro sono per la triplice intesa
(Francia, Gran Bretagna, Russia, n.d.a.) invece che per gli imperi centrali,
ma non ci sentiamo di andare pi in l. Perch noi non abbiamo consigli
da dare alla monarchia, perch non sappiamo quindi quali intrighi abbiano
tramato e tramino, le diplomazie che fanno la guerra e la pace senza mai
interpellare i popoli; e perch, semmai, compito nostro intervenire per la
pace e non mai per la guerra, della quale non vogliamo assumere alcuna
responsabilit. Larticolo su Il Metallurgico si chiudeva in maniera
netta: In questa guerra il proletariato centra pi per farsi ammazzare che
per altro. Non siamo pi alla guerra feudale, alla guerra tipicamente dinastica o alla guerra ideale di nazionalit; ma alla guerra essenzialmente
borghese ed economica11. Il conflitto divise i socialisti europei facendo
saltare in aria la II Internazionale visto che scomparso Jean Jaurs (ucciso
in un caff parigino dal nazionalista Raoul Villain) che aveva nobilmente
illustrato e sostenuto le ragioni della pace, tutti corsero in soccorso dei superiori interessi nazionali, a cominciare dai tedeschi della Spd che al Reichstag appoggiarono il Kaiser votando i crediti di guerra e venendo
immediatamente imitati dai francesi della Sfio, dagli austriaci, dagli ungheresi e dai cechi.
La battaglia parlamentare che precedette linutile approvazione di
una dichiarazione di guerra firmata con un certo anticipo dal re, e i mesi
che accompagnarono questo scontro politico, esacerbarono cos tanto i rapporti (caratterizzati da aperti tradimenti e voltafaccia) da sfociare in alcune
occasioni in veri e propri duelli con tanto di padrini. Fu il caso di Claudio
Treves che diffamato da Mussolini che in pochi mesi aveva mutato bandiera, lo sfid a singolar tenzone. Eppure proprio uno dei collaboratori
pi assidui della Critica Sociale di cui Treves era il vice-direttore, cio
Giovanni Zibordi, direttore a sua volta del giornale di Prampolini, La Giustizia, in occasione dellundicesimo congresso del Psi (quello che si svolse
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VERSO LA GUERRA
a Milano dal 21 al 25 ottobre del 1910) aveva letto una accalorata relazione
contro una pratica che mieteva vittime anche tra le file socialiste, argomentando come e perch quella consuetudine fosse in contrasto con lessenza
del socialismo: Ora il duello veramente questione di principio. Esso repugna a noi, in quanto siamo anticlericali ed areligiosi, per la sua fisionomia di giudizio di Dio... Contrasta poi fieramente ai nostri principi
egualitari. Fu un privilegio della casta guerriera e della aristocrazia, indi
pass nei ceti borghesi quasi per una affermazione di conquista democratica12. In ogni caso, Treves il pomeriggio del 29 marzo del 1915 incroci
la sciabola con Mussolini alla Bicocca di Niguarda. Nel frattempo, per,
perorava sulla Critica Sociale la causa della neutralit con queste parole:
La neutralit socialista non passivit, indifferenza, apatia. e deve essere unaltra, attiva, agile missione di neutri mediatori che si impegnano
per la pace, ma non per ricostituzione assurda dello status quo ante, per
la pace con tutto il ricomponimento europeo reclamato dallo spirito di giustizia del socialismo; rinnovamento sulla base dei pi certi postulati dei
diritti delle genti, come lapplicazione normale del principio plebiscitario,
la libert degli aggruppamenti, lintesa pi stretta delle nazioni reintegrate,
per la limitazione reciproca degli armamenti, ladozione obbligatoria degli
arbitrati13. E concludeva Treves che si firmava Il Vice: Lintervento guerresco senza sufficiente dignit di motivi, con sacrificio immane di uomini
e di cose, con equivoco vantaggio dei fini nazionali, con certissima immolazione dei diritti della classe proletaria, mettendoci ultimi tra i belligeranti, facendoci perdere ogni prestigio tra i neutrali, sarebbe ai nostri
occhi, di italiani, di socialisti, lestrema iattura. Treves fu facile profeta
perch la contrattazione un po da suk che il governo italiano intavol, giocando su pi tavoli, tirando sul prezzo come si fa al gran bazar di Istanbul,
in effetti fin per farci perdere autorevolezza, non tanto con i neutrali14,
quanto con i nuovi alleati di Gran Bretagna e Francia che cominciarono a
guardarci con sospetto, circospezione e supponenza. Forse ricordando quel
che allora era avvenuto, anni dopo Winston Churchill ci gratific con un
aforisma decisamente poco simpatico: Gli italiani perdono le partite di
calcio come fossero guerre e le guerre come fossero partite di calcio.
Ma se Treves guardava alla concretezza dei diritti da conquistare e
delle relazioni internazionali da organizzare su basi nuove, Antonio Gram115
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
VERSO LA GUERRA
zarsi di questa e impadronirsi delle cose pubbliche, se, almeno, io ho interpretato bene le sue un po disorganiche dichiarazioni, e le ho sviluppate
secondo quella stessa linea che egli avrebbe fatto17. In realt, Mussolini
pensava ad altro: sicuramente a sbarazzarsi della classe dirigente per sostituirsi ad essa e impadronirsi delle cose pubbliche ma non nel senso e
nella coloritura che ancora Gramsci tendeva ad attribuirgli. Ma poi provvide
lo stesso ex direttore dellAvanti! a sciogliere i dubbi residui.
Il precipitare della situazione cambi gli elementi del dibattito. Da
un lato il proletariato che sapeva bene che sarebbe diventato carne da cannone, dallaltro gli imprenditori che gi cominciavano a vedere nella
guerra un ottimo affare. Buozzi, che era uomo concreto, cap come le cose
sarebbero evolute: da un lato pressioni sempre pi forti, dallaltro condizioni di lavoro sempre pi difficili e spazi di libert sempre meno ampi. La
Fiat, ad esempio, spinse (insieme alle altre aziende metallurgiche, anzi pi
di altre) per un piccolo aggiornamento del concordato del 1913, quello
che aveva ricucito il rapporto tra la Fiom e i lavoratori, in pratica il capo-
117
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VERSO LA GUERRA
tenere i bambini che vanno alle scuole elementari: in Italia non si fatto
nulla. stata anzi sospesa lapplicazione di alcune leggi sociali, si reso
pi caotico il gi difficile commercio con lestero facendo diventar matti
gli industriali che producono merci non necessarie al paese e favorendo
gli esportatori dei generi di prima necessit18.
Buozzi aveva capito che il fronte interno si sarebbe dovuto misurare con i problemi drammatici della fame ma anche con i risentimenti
di una classe lavoratrice che si sentiva, e certo non a torto, usata, sfruttata
e spedita in guerra, come persino Giolitti sapeva bene, con un equipaggiamento e una organizzazione inadeguata. Capiva, da sindacalista, che bisognava lavorare per fare in modo che non tutti i diritti conquistati venissero
perduti allinterno di una societ militarizzata, sottoposta al controllo della
censura e che delegava alle forze dellordine il mantenimento di una pace
sociale attraverso la repressione. Da quel momento, le ribellioni improvvise e cruente scandirono la quotidianit di chi non andava in trincea. E da
questo punto di vista, Torino, la citt in cui Buozzi operava prevalentemente, era pi sensibile di altre allo spontaneismo ribellistico. Le avvisaglie, il segretario della Fiom le avvert subito. Prima della dichiarazione di
guerra e del dibattito parlamentare, trecento deputati e cento senatori manifestarono la loro adesione alla posizione neutralista di Giolitti passando
dal suo albergo e consegnando il proprio biglietto da visita (i numeri, poi,
cambiarono perch il leader piemontese, irritato e offeso dal comportamento del re, consapevole che non sarebbe riuscito a cambiare il corso degli
eventi, prefer ritirarsi nella sua tenuta, disertando anche il dibattito parlamentare). Era il 12 maggio. Gli operai uscirono dalle fabbriche e autonomamente organizzarono cortei nella citt. La polizia caric con ferocia e
Bruno Buozzi venne ferito negli scontri. Solo un antipasto di quello che
sarebbe avvenuto sullasse Torino-Milano qualche giorno dopo. Il 15 nel
capoluogo lombardo, la polizia caric uccidendo un manifestante. Contemporaneamente a Torino si fronteggiavano due manifestazioni, una di interventisti (erano normalmente protette e favorite perch si potevano svolgere
al mattino) e una di neutralisti. Gli operai erano irritati per quei continui
happening a favore della guerra. Questa irritazione lievitava domenica 16
ed esplodeva luned 17 quando i negozi non alzarono le serrande, i tram
non uscirono dai depositi e le officine restarono deserte. Centomila persone
119
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120
VERSO LA GUERRA
1
Angelo Bolaffi: Cuore tedesco. Il modello Germania, lItalia e la crisi europea Donzelli
2013, pag. 63
2
Antonio Gramsci: La questione meridionale, citazione da Paolo Spriano: Storia di
Torino operaia e socialista. Da De Amicis a Gramsci Einaudi 1972, pag. 200
3
Pietro Nenni: La lotta di classe in Italia Sugarco 1987, pagg. 125-6
4
Il Vice: La teppa e la rivoluzione socialista in Giuliano Pischel: Antologia della Critica Sociale 1891-1926" Lacaita 1992, pag. 362
5
Ivi
Ivi
7
Bruno Buozzi: Il significato e la tattica dello sciopero in Italia, il Metallurgico 30 luglio
1914 in Bruno Buozzi scritti e discorsi, Editrice Sindacale Italiana 1975, pag. 70
8
Ibidem pag 71
9
Ibidem pag 73
10
Bruno Buozzi: Per la neutralit italiana, Il Metallurgico 19 settembre 1914, in Bruno
Buozzi scritti e discorsi Editrice Sindacale Italiana 1975, pag. 77
11
Ivi
12
Giovanni Zibordi: I socialisti e il duello, relazione allundicesimo congresso del Partito Socialista Italiano, Milano 21-25 ottobre 1910
13
Il Vice: Pro e contro lintervento in Giuliano Pischel: Antologia della Critica Sociale
1891-1926", Lacaita 1992, pag. 364
14
Ibidem pag. 364
15
Antonio Gramsci: Neutralit attiva e operante, da Nel mondo grande e terribile.
Antologia degli scritti 1913-1935" a cura di Giuseppe Vacca, Einaudi 2007, pagg. 4-6
16
Ibidem pag. 7
17
Ivi
18
Bruno Buozzi: Mentre cresce la fame, Il Metallurgico gennaio - febbraio 1915; in
Bruno Buozzi scritti e discorsi, Editrice Sindacale Italiana, pagg. 79-81-2
6
121
Foto di gruppo per dirigenti sindacali: Bruno Buozzi il primo da destra seduto
Una immagine di serenit ma la parte finale della Grande Guerra fu contrassegnata
dalla disfatta di Caporetto e dalle sommosse per il pane
Eravamo stati incapaci di impedire la guerra e sarebbe stato puerile, ridicolo pensare di impedirne le conseguenze. E quando sentimmo la
mobilitazione alle spalle, ci demmo dattorno perch essa riuscisse il meno
peggiore possibile e perch la nostra Federazione venisse considerata come
si meritava1. Il Psi aveva perso la sua battaglia, i socialisti europei si erano
divisi facendosi trasportare dove il cuore (nazionale) li chiamava, probabilmente perdendo lunica, forse timida possibilit di bloccare la Grande
Carneficina. Bruno Buozzi in quella frase scritta anni dopo la fine della
prima guerra mondiale, esprimeva un senso di disagio: da un lato una avventura bellica che la sinistra non voleva e che lItalia sino allultimo non
aveva accettato (lunico Paese europeo volontariamente entrato in guerra
nonostante una opinione pubblica e una classe politica ampiamente contraria: una situazione che peser, ad esempio, su Giacinto Menotti Serrati
nel momento in cui rifiuter il diktat di Lenin di espellere i riformisti, anche
loro lealmente schierati contro il conflitto, come condizione per aprire al
partito le porte dellInternazionale); dallaltro una tempesta che, comunque,
infuriava. Che fare? Rimanere alla finestra accettando il peggio? Il n aderire comportava anche il rifiuto di qualsiasi scelta che consentisse di limitare i danni? Sarebbe stato intelligente o, come scrisse Buozzi, solo puerile
e ridicolo? Problemi che in Italia si ponevano in maniera pi drammatica
che in altri Paesi.
E il motivo era semplicissimo: la nostra dichiarazione di guerra era
figlia di un impasto di patriottismo, pressappochismo e cialtroneria. Antonio
Salandra era convinto che il conflitto sarebbe durato non pi di tre mesi
(errore di valutazione che commetter in qualche misura anche Mussolini
un quarto di secolo dopo): in pochissimo tempo, insomma, avremmo messo
allincasso la cambiale concordata a Londra con Gran Bretagna e Francia.
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Ne era cos convinto che agli alleati chiese aiuto finanziario solo per un
paio di mesi e si guard bene dal sollecitare rifornimenti di combustibili e
materie prime, un errore che, come vedremo, sulle condizioni del Paese
produrr effetti dirompenti sotto forma di sanguinose sommosse. Al comando delle operazioni fu sistemato Luigi Cadorna, uno di quei generali
poco stimati da Giovanni Giolitti, discreto organizzatore, pessimo stratega.
Il governo non gli diede certo una mano visto che lesercito fu messo al
corrente del cambio di alleanze (che comportavano, conseguentemente,
anche laggiornamento dei piani di guerra) soltanto venti giorni prima dellinizio delle ostilit; per un anno, i nostri nemici furono solo gli austriaci,
poi, ad agosto del 1916, dato che i nostri alleati si stavano dividendo le spoglie della Turchia, dichiarammo guerra anche alla Germania. Il vero conto
di tutto questo pressappochismo lo pag il Paese, lo pagarono le persone
in carne e ossa. In tre anni di guerra cinque milioni di italiani vennero richiamati alle armi, seicentomila non fecero ritorno a casa; dopo la Caporetto bellica, subimmo una Caporetto finanziaria: le importazioni attestate
a tre miliardi di lire sino al 1914 salirono a 18 coperte per meno di un terzo
dalle esportazioni; complessivamente allo Stato la guerra cost 148 miliardi, il doppio della spesa pubblica sostenuta dal 1861 al 1913.
Certo, ci si poteva anche sistemare alla finestra e attendere. Si poteva dare sostegno alla soluzione prospettata dal Papa, Benedetto XV che
dopo aver parlato di inutile strage, aveva proposto la pace bianca senza
annessioni, allargamento di confini, mutamento della geografia del continente. Ma dopo i tre mesi previsti da Salandra (che poi confid, da vero gigante della politica, che se loffensiva austro-tedesca contro i russi fosse
cominciata qualche giorno prima, avrebbe evitato di cambiare cavallo in
corsa e sarebbe rimasto neutrale) la guerra continuava e prometteva di continuare molto a lungo. Tra rovesci (Caporetto, settecentomila uomini costretti ad arretrare di centocinquanta chilometri e ad attestarsi faticosamente
sul Monte Grappa e sul Piave, la defenestrazione di Cadorna, il suicidio di
Leopoldo Franchetti al quale Giustino Fortunato avrebbe poi dedicato commosse parole: Il fatal giorno in cui labisso ci si apr dinnanzi... quel
cuore, che tutto e sempre aveva vissuto di fede, non poteva pi battere e si
spezz) e una opinione pubblica demoralizzata, debole, impoverita e piegata. Buozzi con la forza della ragione e della concretezza non accettava
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lidea dellineluttabile, non poteva aderire ai principi filosofici di un popolare detto siciliano: calati juncu ca passa la china (piegati giunco che passa
la piena). Perch la piena avrebbe travolto tutti, gli uomini al Fronte e quelli
nelle officine. Si poteva coniugare la coerenza della posizione politica con
il pragmatismo di una azione quotidiana volta a difendere gli interessi dei
lavoratori e delle categorie pi deboli? Si poteva e Buozzi lo spieg nella
relazione morale che lesse al Convegno nazionale straordinario del 25 giugno 1916 che si svolse a Torino. La guerra infuriava gi da un anno ed era
gi alta la polemica contro i pescicani, gli imprenditori che in barba a
tutto e a tutti, si stavano arricchendo con la guerra. Il segretario rivendic
la sua coerenza e critic laltrui incoerenza. Spieg che la Fiom aveva partecipato col suo giornale e con i suoi uomini alla campagna perch lItalia
non partecipasse alla conflagrazione europea. Indipendentemente dai nostri
princpi, i quali non potevano e non possono permetterci, neanche ora, di
confonderci colla classe dominante2. Aggiunse, ci non vuol dire che il
proletariato debba disinteressarsi della guerra. Chi sostiene che la neutralit del partito socialista e delle organizzazioni operaie porta a questo
stolto o in malafede... Abbiamo... aspramente criticato i socialisti e le organizzazioni operaie degli imperi centrali per non aver tentato di impedire la
guerra, o quanto meno bollato come meritavano i loro governanti, perch,
da chi aveva sempre predicato la pi rigida intransigenza e deriso il cosiddetto riformismo degli altri paesi e da chi era depositario ed aveva la responsabilit della quasi totalit dei segretariati internazionali, noi avevamo
il diritto di pretendere di pi3.
Cera poi unaltra questione che gi dopo un anno di guerra Buozzi
analizz con chiarezza: il conto del conflitto, chi lo avrebbe pagato? I numeri li abbiamo visti: in tre anni una spesa pubblica doppia rispetto a quella
complessivamente sostenuta in cinquantadue. Contro gli speculatori, il segretario della Fiom puntava il dito: Gli industriali, che pure dalla guerra
hanno tratto benefici incalcolabili (i bilanci pubblicati in questi ultimi mesi
hanno segnato utili sbalorditivi) non hanno concesse migliorie che per imposizione delle nostre organizzazioni o dei comitati di mobilitazione. Per
contro gli operai metallurgici, che in questo momento passano per dei privilegiati, hanno forse peggiorato le loro condizioni. La non sospetta Lega
Industriale di Torino, nella sua relazione annuale test pubblicata, avverte
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che i guadagni degli operai delle industrie torinesi sono aumentati di circa
il 32 per cento, percentuale gi di per se stessa inferiore a quella dellaumento del costo della vita. E se si tiene conto che tale maggior guadagno
stato raggiunto aumentando considerevolmente gli orari di lavoro, si vede
che i salari degli operai, in relazione al costo della vita sono diminuiti4.
Da un punto di vista salariale, la guerra aveva garantito qualche beneficio agli operai pagati, per, a carissimo prezzo, con un allungamento
degli orari di lavoro, con un aumento vertiginoso degli straordinari, con
una perdita di diritti e di libert in fabbriche sempre pi militarizzate. Ne
parleremo pi avanti. Ma la situazione, allinterno dei luoghi di lavoro, era
diventata insopportabile perch a fronte di un proletariato chiamato a fare
grandi sacrifici (solo parzialmente corrisposti in termini monetari), cera
una classe imprenditoriale che accumulava utili. Non solo: cera un futuro
che non prometteva nulla di buono perch il costo della vita non sarebbe
ritornato ai livelli precedenti la guerra (comunque fossero andate le cose)
e la disoccupazione, con gli uomini che sarebbero tornati dal fronte, sarebbe
aumentata creando problemi gravissimi da un punto di vista sociale in un
Paese che mancava su questo versante di adeguate strumentazioni protettive. Insomma, sarebbe stato assolutamente necessario sostenere, a conflitto
concluso, i pi deboli, sarebbe stato necessario evitare che gli ultimi venissero abbandonati al loro triste destino.
E, allora, Buozzi proponeva una imposta che oggi non faticheremmo a chiamare patrimoniale. Spiegava: In Italia, per non dire altro,
non esiste una legislazione sociale degna di tal nome. Come potr lo Stato
provvedervi? evidente che se dovr pagare tutti gli interessi dei debiti di
guerra, le risorse della nazione saranno pressoch assorbite. Perch ci
non avvenga la Confederazione Generale del Lavoro reputa opportuna la
falcidia dei patrimoni privati per il pagamento dei debiti di guerra, ed
anche noi non vediamo altra via duscita5. Insomma, che la guerra borghese se la paghino i borghesi. La scelta di Buozzi, quel non aderire declinato in una versione pi pragmatica, se garantiva benefici allinterno
della fabbrica, non era totalmente apprezzata nel partito dove doveva fare
i conti con lala pi intransigente. Daltro canto, Buozzi aveva assunto un
ruolo non secondario nel Psi torinese dopo lirruzione poliziesca del 17
maggio del 1915 nella Casa del Popolo e larresto dei dirigenti. Per reggere
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T R A R I V O LT E E PA C E
le sorti del partito era stata nominata una nuova commissione esecutiva di
cui faceva parte anche il segretario della Fiom.
Le diversit di opinione lo portarono a scontrarsi spesso con dirigenti irremovibili come Francesco Barberis o Elvira Zocca. Alla base del
dissidio il rapporto con la guerra che il Psi non era riuscito a evitare ma
che, una volta cominciata, incideva sulla vita delle persone e, pertanto, non
si poteva fare finta che non esistesse. Buozzi, al contrario degli irremovibili,
voleva stare dentro le istituzioni che nacquero proprio per sostenere lo
sforzo bellico: la Commissione di Mobilitazione e i vari Comitati (ad esempio quello di assistenza alle vittime della guerra). Non si nascondeva dietro
un dito. E quasi concludendo quella relazione morale diceva senza particolari giri di parole: Riteniamo che gli operai abbiano il diritto di essere
rappresentati anche nel Comitato Centrale di Mobilitazione.
Ma la sua era sempre la partecipazione di un sindacalista, cio animata dallo spirito del controllore. Lobiettivo non era quello di partecipare a ingiusti utili, di speculare, ma di garantire allinterno della fabbrica
condizioni di vivibilit in una fase in cui tutto sembrava andare in fumo e
non esistevano pi certezze. Insomma, una partecipazione che si trasformava in un sostegno, in una stampella per chi trascorreva sempre pi ore
in fabbrica e si ritrovava a dover fare i conti con una disciplina che con la
cultura industriale non aveva nulla a che spartire. Che doveva anche fare i
conti con la voracit e la spregiudicatezza di imprenditori che usavano le
logiche di una condizione di guerra per imporre le proprie scelte. Insomma,
quella disciplina marziale che in tempo di pace non era realizzabile, diventava un obiettivo troppo ghiotto in tempo di guerra e bisognava coglierlo
al volo. Ed era contro queste spinte strumentali che Buozzi e la Fiom provavano a costruire degli argini, facendo sopravvivere dentro la fabbrica logiche sindacali che ancora ricordavano quelle di unepoca pregressa,
quando il fuoco del conflitto non aveva messo in attesa taluni princpi di
civilt.
Significativo era latto daccusa contenuto nella relazione morale
del 1916: Dobbiamo premettere subito che la Mobilitazione Industriale
si risolta nella sola mobilitazione degli operai. Gli operai sono stati messi
nella assoluta impossibilit di speculare sulla guerra, tantoch, malgrado
lenorme richiesta di manodopera, non sono riusciti ad aumentare le loro
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paghe... che in modo insignificante. Gli operai non si sono lamentati e non
si lamentano di ci, e si pu essere certi che avrebbero avuto ripugnanza
a speculare sulla guerra, anche se fossero lasciati liberi, ma devono constatare ancora una volta che alla classe industriale la quale ha assai
meno scrupoli di quella operaia non stato fatto lo stesso trattamento.
Non lasciamo colpa di ci agli uomini. Comprendiamo perfettamente che
se pu riuscire facile regolarizzare la manodopera pressoch impossibile
moralizzare la classe industriale, la quale, certo, che se non avesse avuta
la libert di guadagnare, come ha guadagnato, in modo favoloso sulla
guerra, non avrebbe avuto scrupoli a rinunciare a produrre per lo Stato,
cos come corre voce stiano tentando alcuni gruppi industriali6.
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sui suoi dipendenti ma non nellofficina, dove loperaio pu trovarsi quotidianamente in conflitto coi superiori per ragioni di paga, di cottimo o di
regolamento7.
E a sostegno della strumentalit con la quale i datori di lavoro utilizzavano questa presenza dellesercito, Buozzi indicava, come era suo costume, casi concreti: In molti stabilimenti gli industriali sorprendono la
buona fede degli ufficiali, ai quali fanno applicare multe esagerate ed altre
punizioni per mancanze per le quali basterebbe richiamarsi al Regolamento
interno o per fatti per il passato mai puniti, perch conseguenza di risentimenti legittimi dovuti a questioni dinteresse. E in molti posti, mentre gli
operai si preparavano a chiedere miglioramenti, gli ufficiali non si sono
limitati ad assumere informazioni, ma hanno fatto delle vere e proprie pressioni che avevano tutta lapparenza di essere consigliate dagli industriali8.
Insomma, limprenditore usava lesercito come il suo braccio armato (nel
vero senso della parola e non metaforico) per annullare totalmente diritti
che anche in tempo di guerra potevano tranquillamente sopravvivere. Una
libert che riducendosi al lumicino finiva per provocare situazioni vessatorie: Un fatto che ha richiamato lattenzione dellopinione pubblica e
dolorosamente sorpreso la classe lavoratrice stato quello di vedere paragonato dai Tribunali Militari, labbandono dello stabilimento, da parte
di un operaio, allabbandono di un posto di una sentinella. In proposito
sono state date pene di parecchi anni di carcere9.
Le scelte di Buozzi furono aspramente criticate dagli intransigenti.
Eppure, dei benefici ai lavoratori le portarono. Difficile, peraltro, immaginare che se gli operai avessero deciso di rinunciare totalmente ai propri poteri contrattuali, le fabbriche si sarebbero fermate. Sarebbero, al contrario,
andate avanti e in una societ fortemente militarizzata, con una ferrea censura di guerra alla fine solo gli imprenditori avrebbero guadagnato. Un dato
emerso chiaramente: la guerra diede lo slancio definitivo allattivit industriale. Ne benefici in particolare Torino che era il centro produttivo pi
importante del paese e il luogo in cui si sviluppava un settore d avanguardia: quello automobilistico. La citt, nonostante la guerra, si popol, diventando meta anche di massicci flussi migratori: nel 1914 gli abitanti erano
poco pi di 456 mila, alla fine della guerra erano diventati oltre 525 mila;
gli operai nel 1918 erano oltre 143 mila con una fortissima presenza di
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donne che nei capannoni industriali avevano sostituito gli uomini spediti
al fronte (quasi cinquantacinquemila). Sarebbe stato giusto in questo contesto fermare la contrattazione? Buozzi e gli uomini della Fiom ritennero
opportuno continuare a difendere operaie e operai tanto vero che il 14
gennaio del 1916 firmarono un nuovo accordo nel settore automobilistico
che non cancellava quello del 1913 ma lo modificava in alcuni aspetti che
riguardavano la durata del lavoro. Ha spiegato Paolo Spriano: Salvano il
principio del sabato inglese (lorario di lavoro normale sar di 55 ore effettive, ripartite in 10 ore da luned a venerd e 5 al sabato, articolo 4) e
tutelano loperaio sulla questione dello straordinario (Le ore di straordinario non possono superare le 10 settimanali, vengono pagate con il 50
per cento daumento il sabato, per le prime due giornaliere, con il 75 per
cento oltre le due)10. Ma oltre allattivit contrattuale, Buozzi cercava di
svolgere anche una azione di tutela tanto vero che un paio di mesi dopo
laccordo sugli automobilisti, precisamente il 30 marzo, il segretario partecipava a una assemblea della Fiom in cui veniva approvato un ordine del
giorno in cui si affermava che gli operai della Fiat protestano contro le
continue vessazioni assolutamente ingiustificate, contro lesagerata applicazione delle multe, contro le frequenti discriminazioni dei cottimi, fatte
anche unicamente per rappresaglia; deliberano di insistere perch sia tolto
lobbligo del lavoro festivo, ritenendo sufficienti le ore straordinarie, che
si fanno fare in grande numero e delegano una commissione perch si rechi
dal Comitato regionale di mobilitazione a reclamare il ritiro delle multe
applicate agli assenti dal lavoro della scorsa domenica11.
Tematiche, insomma che Buozzi svilupper proprio nella relazione
morale del giugno 1916. Nonostante gli scontri con lala intransigente del
partito, il leader della Fiom prosegu sulla sua strada, con indubbia coerenza: da un lato la scelta politica, dallaltro le necessit sindacali ed economiche, insomma, le idee ma anche il pane. E sar la scelta politica che
lo porter ad aderire alla conferenza dei partiti socialisti che si svolse a
Zimmerwald, in Svizzera, dal 5 all 8 settembre del 1915. In quella sede
venne rilanciato limpegno pacifista con lapprovazione di un documento
dal tono e dal contenuto inequivocabile: La guerra continua da pi di un
anno. Milioni di cadaveri coprono i campi di battaglia; milioni di uomini
sono rimasti mutilati per tutto il resto della loro esistenza. LEuropa di132
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T R A R I V O LT E E PA C E
che venne requisita per ordine del prefetto. Ma a partire dal 21 agosto gli
scaffali furono di nuovo vuoti e il 22 cominci la rivolta con gli operai che
dopo la pausa per il pranzo si rifiutarono, in numerose fabbriche, di tornare
al lavoro; nel tardo pomeriggio non cera pi un officina in attivit.
I dirigenti sindacali provarono a evitare il peggio. Il segretario della
Camera del lavoro, Saverio DAlberto, chiese alla polizia di parlare alla
folla, che aveva ormai invaso le vie della citt, per calmarla: rimedi larresto seduta stante. Un po meglio and a Bruno Buozzi che rivolse al prefetto la medesima richiesta: non lo arrestarono ma non lo fecero parlare. Si
pentirono dopo, per quella scelta. Perch da quel momento in poi fu una
escalation fatta di saccheggi, di barricate e di scontri feroci. Solleciteranno
nuovamente Buozzi a parlare nella tarda serata del 22 ma ormai era troppo
tardi: la rabbia era padrona di Torino. Dur altri tre giorni: il 24 agosto fu
il pi cruento, il 25 i fuochi cominciarono a spegnersi. Con un bilancio
estremamente tragico: 41 morti. La scintilla fu il pane, ma il vero carburante
della protesta fu politico: la stanchezza nei confronti di una guerra che solo
una minoranza del paese aveva voluto. La vicenda torinese ebbe inevitabili
code polemiche tra i socialisti. E cominciarono in quel momento a misurarsi
le distanze che diventeranno incolmabili quattro anni dopo, con la scissione
di Livorno. Le contrapposizioni riguardavano in particolare i riformisti e
quelli che avrebbero dato vita al PCdI.
Claudio Treves, con un articolo, sulla Critica Sociale, sosteneva che
non era certo con un moto locale che si poteva pensare di fermare la guerra.
Insomma, come gi per i fatti di Ancona, Treves non riusciva a individuare
in questa caotica esplosione di rabbia, per quanto dotata di una connotazione politica, lespressione di un momento rivoluzionario capace di fermare il mondo, anzi la guerra. Perch, sottolineava Treves, in un momento
come quello che lEuropa stava attraversando, nessun moto improvviso
avrebbe potuto produrre risultati positivi. Tornava la logica del gradualismo
contro il colpo di mano improvviso, dellazione organizzata contro la rabbia
estemporanea, seppur generosa, dei disorganizzati. Antonio Gramsci, per,
non la pensava nella medesima maniera e manifest il suo dissenso in maniera piuttosto acida: La realt che la sottile analogia dellon. Treves
per essere tanto sottile finisce collessere assenza assoluta di intelligenza13; o ancora: La sottile analogia strategica tra la guerra e la lotta
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di classe lha indotto (Treves, n.d.a.) a dare corpo a quei fantasmi metaforici che sono lesercito proletario coi suoi battaglioni, con le sue fortezze14. Ma al di l delle invettive (e pensare che in quel momento
militavano nello stesso partito, ma evidentemente gi da separati in casa),
la sostanza politica per Gramsci era semplice: Lesistenza, la dimostrazione dellesistenza il problema massimo del proletariato italiano in questo momento. E questo proletariato non lo stesso di tre anni fa. pi
esteso, ha attraversato pi intense esperienze spirituali... Noi ci sentiamo
solidali con questo nuovo immenso pullulare di forze giovani e non ne rinneghiamo quelli che i filistei chiamano errori, e gioiamo del senso della
vita gagliarda che ne promana. E pertanto compatiamo la vecchia mentalit astratta che tutta in ghingheri sciorina le vecchie prediche15 e si pavoneggia sui trampoli delle sottili analogie e delle metafore viete. Il
proletariato non vuole predicatori di esteriorit, freddi alchimisti di parolette, vuole comprensione intelligente e simpatia piena damore16.
Daltro canto, la sommossa di Torino agli occhi di Gramsci appariva come un evento rivoluzionario, la citt piemontese gli ricordava Pietrogrado. E lo scrisse pure, tre anni dopo: Quando nel luglio del 1917
arriv a Torino la missione inviata nellEuropa occidentale dal Soviet di
Pietrogrado, i delegati Smirnov e Goldemberg, che si presentarono dinanzi
a una folla di cinquantamila operai, vennero accolti da grida assordanti
di Evviva Lenin! Evviva i bolscevichi. Goldemberg non era troppo soddisfatto di questa accoglienza; egli non riusciva a capire in che maniera il
compagno Lenin si fosse acquistata tanta popolarit fra gli operai torinesi... Non pass un mese che i lavoratori torinesi insorsero con le armi in
pugno contro limperialismo e il militarismo italiano. Linsurrezione scoppi il 23 agosto 1917. Per cinque giorni gli operai combatterono nelle vie
della citt... Ma i due anni di guerra e di reazione avevano indebolito la
gi forte organizzazione del proletariato e gli operai inferiori di armamento
furono vinti. Invano sperarono in un appoggio da parte dei soldati, questi
si lasciarono ingannare dallinsinuazione che la rivolta era stata inscenata
dai tedeschi... Caddero pi di 500 operai, pi di 2000 vennero gravemente
feriti17. Al di l del racconto dai toni epici (e dai numeri non verificabili e
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Lenin era al potere, n.d.a.). Comunque, noi non abbiamo abbastanza elementi che ci permettono di giudicare con tranquillit delle cose di Russia
e non sentiamo neppure la necessit di dichiararci massimalisti. Una cosa
per possiamo affermare con tranquilla sicurezza: che il nostro movimento, che il movimento che fa capo alla Confederazione del Lavoro non
ha occupata tutta la coscienza del problema immediato delloggi ma
vuole tutto il socialismo.
Insomma, mentre la guerra infuriava ancora, le anime socialiste si
preparavano a quella divisione che segner in maniera decisiva la storia
della sinistra italiana, condizionandone evoluzione e sviluppo. Questo separazione delle anime emerse con grande chiarezza dopo Caporetto. Perch la grande rotta del 24 ottobre 1917 spinse lala riformista (Turati, Treves
e lo stesso Buozzi) ad assumere una posizione in cui sul n aderire n sabotare prevaleva la preoccupazione di evitare, comunque, linvasione del
paese. Turati, peraltro, era da tempo convinto che una sconfitta non avrebbe
certo fatto gli interessi del proletariato. Ma di fronte a quella fiumana di
soldati in rotta verso il Piave, insieme al suo vecchio sodale, Claudio Treves, prese carta e penna e intervenne sulle colonne della Critica Sociale.
Larticolo aveva il sapore di un vero e proprio appello. I due sottolineavano
che quando questa cosa prevedibile e non mai pensata, avviene, che la
nostra patria invasa dal nemico, allora si sente come ci sensibilmente
differente da tutto quello che si pensato, sentito e sofferto per tutte le altre
patrie offese, invase. Il nostro amore centrifugo, va da noi allumanit,
non dallumanit a noi. Il socialismo dottrina realistica anche nel sentimento, anche nellamore20.
Turati e Treves, presagendo le obiezioni di altri settori del Psi, sottolineavano che questa sortita non corrispondeva a una smentita della posizione assunta dal partito prima della guerra e una volta che la guerra era
cominciata: Con ci il socialismo non abiura nulla di s, rafferma anzi
tutto se stesso: tutta la sua passione per la pace fra gli uomini, per lunione
nazionale e internazionale dei lavoratori contro i detentori del privilegio
politico ed economico. Esso non oblia, non si confonde, non mente in unioni
artificiali: resta se stesso e tutto se stesso protende al proletariato, gridando:
aiuta, aiuta! lora suprema del dovere e del sacrifizio21. Lappello diventava ancora pi chiaro: Stringere la compagine necessaria alla suprema
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resistenza, aiutandola con ogni disciplina, con ogni sacrifizio. Non altra
la posizione del Gruppo Socialista in Parlamento allorch professa solidariet umana col Paese percosso... Gli estremisti della pace pensano che
quando la libera patria invasa e cadono sotto i colpi del nemico tutti i suoi
istituti, precipita la stessa tribuna parlamentare da cui il socialismo parlava
al nostro Governo... Linvasione, se si compie, soffoca anche quella voce
sotto lunico strepito trionfante delle armi, soggiogatrici feroci. Conclusione: Nel dolore cocente della patria invasa il proletariato soffre per ragioni proprie. Ed ecco perch in tutte le grandi ore della storia esso si
solleva e tende le nerborute braccia al grande cimento. Esso squassa la piccola rete delle coerenze formali per attingere la grande coerenza sostanziale
della vita e dellamore: non rinnega se stesso e salva la patria.
Caporetto fu lultimo disastro ma, probabilmente, diede anche una
spinta al Paese che nei momenti difficili sempre riuscito a trovare i motivi
di una diffusa solidariet. La guerra cominci a concludersi dopo quella
drammatica ritirata, anche se dur ancora un anno. Un anno nel corso del
quale Bruno Buozzi cominci a meditare sui problemi del dopoguerra. Nel
congresso di Roma, quello che si concluse il giorno dopo la virtuale vittoria,
volle rispondere ai critici che gli avevano contestato la partecipazione alla
Mobilitazione. Snocciol davanti alla platea i risultati ottenuti: contenimento a dieci ore dellorario giornaliero, straordinari pagati con una maggiorazione del 25 e 50 per cento, turni notturni con paga maggiorata del 25
per cento, il pagamento di un extra a favore di quegli operai che, per ragioni
indipendenti dalla loro volont, non potevano fare il cottimo, stesse tariffe
del cottimo (rese immodificabili per tutta la durata della guerra) anche per
le donne. Concludeva il bilancio con una punta di amarezza: Purtroppo
non tutti i suddetti diritti sono stati riconosciuti ovunque, specialmente nei
riguardi delle donne, soprattutto per la disorganizzazione delle masse22.
In quella sede rilanciava la sua idea pragmatica di sindacalismo e, anche,
di socialismo perch nel frattempo larrivo di Lenin al potere aveva, come
abbiamo visto, prodotto i primi effetti anche in Italia. E cos parlando di rivoluzioni possibili o impossibili, affermava: Non diciamo di no, ma lorganizzazione ha il dovere se non vuole tradire la sua visione di non
cullarsi solo nella speranza della rivoluzione e di prepararsi a ogni eventualit. Essa non deve dimenticare i fini ultimi, ma deve tendere i suoi sforzi
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ad elevare ogni giorno di pi il tenore di vita delluomo per dargli la possibilit di crearsi una migliore coscienza23. Una visione tuttaltro che messianica della via verso il socialismo. E anche la difesa di una idea di
sindacato che non fa solo antagonismo, che non programma e organizza
solo lotte fini a se stesse, ma utilizza la mobilitazione per raggiungere degli
obiettivi, cio degli accordi: Pi le nostre forze aumenteranno, pi aumentano fatalmente i contatti e le transazioni con la borghesia. In ci non
c nulla di paradossale. Dove lorganizzazione non esiste o debole il
proletariato non riesce neppure a discutere direttamente con gli industriali
e non quindi portato a contatti o a transazioni perch deve subire fatalmente tutto ci che gli viene imposto.
Bruno Buozzi avvertiva che da un punto di vista sociale il clima,
finita la guerra, sarebbe diventato decisamente complicato. E allora indicava le priorit. I salari perch, un po come oggi, in Italia nelle industrie
metallurgiche in genere... sono pi bassi e gli orari pi lunghi. Non esagerato affermare che in Francia, Germania, Inghilterra e Stati Uniti la manodopera retribuita dal 50 al 100% ed oltre pi che nel nostro paese24.
La riconquista delle libert sindacali: Siamo recisamente contrari al permanere della Mobilitazione industriale. Creata per la guerra deve finire
con essa: accettata o subita durante e per la guerra, non sar n accettata
n subita dopo la pace, e non riusciamo neppure a comprendere come si
potrebbe tenere mobilitati gli operai dopo smobilitati lesercito e larmata.
Inoltre ci pare assurdo il solo pensare che gli industriali possano sottostare,
in tempo di pace, alle limitazioni che oggi sono loro imposte dallo stato di
guerra25. E poi: niente divieti allemigrazione. Infine, il lavoro. Buozzi
prevedeva che un temporaneo aumento della disoccupazione sarebbe stato
la conseguenza della mancanza di commesse statali, soprattutto quelle pi
direttamente legate alla guerra. Di qui La proposta di un sussidio di disoccupazione e della gestione del ricollocamento dei lavoratori attraverso strutture apposite. Scriveva: A noi pare perci che lunico provvedimento
sarebbe lassicurazione contro la disoccupazione fiancheggiata dalla istituzione degli uffici di collocamento sulla quale osiamo pensare che operai
e industriali potrebbero trovarsi daccordo26. il seme del sindacato
nuovo a cui Buozzi pensava e lavorava. Per il futuro.
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Nulla poteva essere pi come prima. Lo dicevano in tanti, lo capivano praticamente tutti e chi pensava di non capirlo, sotterraneamente lo
immaginava perch spesso i pensieri non prendono forma ma restano l,
negli anfratti della nostra mente, come certi sottili rumori di sottofondo che
si nascondono nel contesto caotico. Non li avverti, ma ci sono. La guerra
non aveva cambiato soltanto i confini, spazzato via un impero protervo e
molto spesso ottuso, modificato i confini e i rapporti di forza internazionali
con lirruzione sulla scena in versione di potenza mondiale degli Stati Uniti.
Aveva cambiato gli uomini, soprattutto le loro coscienze perch anche chi
era tornato con le proprie gambe a casa, semmai appoggiandosi temporaneamente su due stampelle, aveva riportato nel sicuro recinto delle mura
domestiche unanima dissestata, percorsa da aneliti e paure nuove. La
guerra era stata un grande, feroce, spietato frullatore, aveva cambiato le
priorit, modificato le percezioni, trasformato i rapporti, in alcuni casi arricchendoli, in altri casi inaridendoli. La guerra era stata la continua paura
negli occhi, lanimalesco spirito di sopravvivenza trasformato in elementare
ed essenziale filosofia. Era una felicit strana quella che aveva percorso le
strade dItalia, in quel 3 di novembre, quando la flotta aveva attraccato a
Trieste: pi che altro, un grido liberatorio, un ce labbiamo fatta collettivo, il sospiro di sollievo trasformato in un coro lungo e largo quanto la
penisola. LItalia ne era uscita, salva, anche mettendo qualche toppa allonore perduto a Caporetto e prima di Caporetto nelle trattative da mercato
rionale condotte da una classe politica in larga misura impresentabile (valga
la cosa come memento: in fondo, da questo punto di vista, non ci sono state
nel Paese troppe Et dellOro mentre il bronzo si sprecato, soprattutto nel
modellamento delle facce). Tornavano i reduci che avevano smesso di essere combattenti e attendevano di riscuotere la cambiale che il Paese aveva
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contratto con loro. Nelle trincee si erano formate nuove solidariet, si erano
avvicinati i dialetti, lItalia unita sulla carta, che la classe dirigente savoiarda
conosceva al massimo sino a Roma, aveva trovato in qualche maniera un
luogo, seppur pericoloso e dolente, in cui battezzarsi come soggetto collettivo, in cui scambiarsi esperienze, racconti, emozioni, sensazioni. E
paure. C un drammatico film del 1978, Tornando a casa, che illustra le
frustrazioni e le delusioni di chi torna da un massacro, un massacro ordinato
dallo Stato, unico detentore legittimo del potere della forza, un potere
grande e terribile come diceva Montesquieu a proposito della magistratura.
Parlava del Vietnam, quel film. Ma le guerre sono uguali e anche i racconti
si somigliano. In quelle trincee erano nate forti solidariet, la carne da cannone aveva voce, testa e cuore. Venivano dai campi, venivano dalle officine. Avevano vissuto nel fango, dormito alladdiaccio, condiviso il rancio
non sempre abbondante e ancor meno ottimo. Avevano, per, capito che
con loro lItalia aveva contratto un debito.
Anche perch, nel frattempo, alcuni di quelli che erano rimasti a
casa avevano trasformato la tragedia in un grande affare. La definizione
storicizzata nota: pescicani. Industriali che avevano sfruttato i tempi (e
le circostanze) per accumulare profitti, per diventare sempre pi ricchi: non
a caso la Fiat era uscita dal conflitto con le stimmate della pi grande
azienda del Paese, grazie alle commesse statali (non solo italiane). Si saldavano le recriminazioni, i risentimenti e le attese di chi tornava e di chi
era rimasto in unofficina a produrre per una vittoria il cui costo era ricaduto
su molti ma non su tutti. Bruno Buozzi lo aveva detto chiaro e tondo proprio
in quel congresso che termin mentre le piazze e le strade dItalia venivano
invase da tricolori festanti: bisognava cambiare registro. La Guerra era finita e con essa doveva finire anche quella Mobilitazione che aveva portato
alla militarizzazione delle fabbriche. Qualche beneficio gli operai lo avevano ottenuto: i salari, soprattutto tra i metallurgici, erano aumentati seppur
in maniera decisamente meno visibile dei prezzi. Il carovita erodeva i bilanci familiari del proletariato, rendeva difficile una vita gi stentata per
via della guerra e dei suoi postumi. Lo disse anche in Parlamento, lonorevole Buozzi (vi entr il 9 giugno 1920 quando Francesco Misiano eletto a
Torino e Napoli opt per il capoluogo piemontese lasciando libero il seggio
campano): Dovete convenire che il costo della mano dopera sui prodotti
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nendo insieme una umanit che altrimenti si sarebbe prima divisa e poi sarebbe entrata decisamente in rotta di collisione.
Cera un grande fermento sui posti di lavoro. E le organizzazioni
operaie e sindacali erano fortissime. I numeri, crescenti, ne erano la conferma: Il Partito Socialista nel paese era radicatissimo avendo aperto la bellezza di duemila sezioni frequentate da duecentomila iscritti; alle elezioni
(con metodo proporzionale) in cui venne eletto deputato anche Bruno
Buozzi, il Psi ottenne una straordinaria affermazione conquistando ben 156
seggi (al Senato non ne aveva nessuno per il semplice motivo che quella
Camera non era elettiva ma composta soltanto di cooptati); le cooperative
si contavano a migliaia. E poi cera il sindacato. Alla Confederazione Generale del Lavoro risultavano iscritti due milioni di italiani. Ma la CGdL
non era lunica organizzazione sulla scena. LUsi, la vecchia sigla nata grazie ai sindacalisti rivoluzionari e con sangue anarchico, poteva contare su
trecentomila aderenti; notevolmente forte era il sindacato bianco, la Cil
(Confederazione Italiana del Lavoro) che aveva in qualche maniera incassato anche il dividendo del Patto Gentiloni (un milione e ottocentomila
iscritti) e si difendeva la UIdL (Unione Italiana del Lavoro) di ispirazione
repubblicana (duecentomila tessere). Complessivamente poco meno di
quattro milioni e mezzo di lavoratori organizzati. Era in qualche maniera
la conseguenza della guerra, del bisogno di riscuotere quel che le trincee
avevano promesso. Quanto poi tutto questo fosse sorretto da una vera consapevolezza, da una robusta coscienza operaia, tutto da vedere; quanto
tutto questo fosse incentivato dalla prospettiva di un successo e di un guadagno immediato pi che da un moto sorretto anche di idealit, non si potr
mai stabilirlo n con certezza n con approssimazione.
Nelle fabbriche, per, di discuteva, si dibatteva e si parlava dei modi
in cui aggiungere alla rappresentanza caratteristiche ancora pi democratiche. , daltro canto, storia antica: c sempre una certa diffidenza tra i vertici di una organizzazione e la base, una distanza da colmare nel lavoro
quotidiano ma che difficilmente riesce a essere colmata completamente.
il limite della democrazia rappresentativa che obbliga sempre qualcuno a
decidere per tutti. E se un filosofo diceva che la democrazia il migliore
dei sistemi imperfetti, anche lidea di una rappresentanza che alla fine stabilisce ci che si pu ottenere e ci che non possibile ottenere, , per
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mocrazia operaia che occorre liberare dalle limitazioni imposte dagli imprenditori ed alle quali occorre infondere vita nuova. Gi oggi le Commissioni Interne limitano il potere del capitalista nella fabbrica. Sviluppate ed
arricchite, dovranno essere domani gli organi del potere proletario che sostituisce il capitalista in tutte le sue funzioni utili di direzione e di amministrazione. Gi fin doggi gli operai dovrebbero procedere alle elezioni
in vaste assemblee di delegati, scelti fra i migliori e pi consapevoli compagni sulla parola dordine: Tutto il potere dellofficina ai comitati dofficina. Coordinata allaltra: Tutto il potere dello stato ai Consigli operai e
contadini9. Le parole dordine riecheggiano il tutto il potere ai Soviet
di leniniana provenienza. La battaglia sui Consigli che Gramsci e gli ordinovisti in questa prima fase conducono con una certa prudenza, diventer
col tempo pi aggressiva, verr utilizzata per mettere sotto accusa la dirigenza riformista del sindacato e anche per preparare le condizioni per la
scissione di Livorno. Ne parleremo nel prossimo capitolo. Ma chiaro che
in questa storia complessa la polemica sui Consigli gioc un ruolo tuttaltro
che secondario. Sotto alcuni aspetti, loccupazione delle fabbriche, cio la
lunga vertenza che sfoci in quella clamorosa agitazione, ricorda quello
che era avvenuto nel biennio 1911-1913. L ci fu un accordo rifiutato che
poi port la Fiom a recuperare le posizioni puntando non solo sulla democrazia interna ma, soprattutto, sulle conquiste. Anche nel 1920 si parte con
un passo falso: il cosiddetto sciopero delle lancette. Cos come nel 1911 il
sindacato di Buozzi sub laggressivit dei sindacalisti rivoluzionari, di Alceste De Ambris, Filippo Corridoni, Edmondo Rossoni, Arturo Labriola e
Paolo Orano, allo stesso modo nellaprile di nove anni dopo, la Fiom fin
per essere scavalcata dallattivismo proletario.
La Fiat aveva deciso di continuare a far ricorso allora legale come
in tempo di guerra. Ma proprio il ricordo del conflitto scaten lopposizione
operaia. Un lavoratore ebbe lidea di riportare indietro le lancette, cio di
tornare al conteggio solare. Scoperto da un guardiano, venne licenziato in
tronco. Il Consiglio di Fabbrica lo difese e senza interpellare la Commissione Interna proclam lo sciopero. Lazienda rispose a suo modo: con la
serrata. Ma non fin l. Perch dallo sciopero tout court si pass a quello
bianco che dur altri due giorni e venne interrotto da una nuova serrata che
dur venti giorni e convinse la Camera del Lavoro a proclamare lo sciopero
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lo giudicarono un intollerabile attentato al potere padronale e alle gerarchie in esso stabilite. Le conseguenze furono che nel convegno del partito
socialista che si svolse a Milano il 20 e 21 aprile del 1920 venne respinta
la proposta degli ordinovisti di trasformare lo sciopero torinese in una astensione dal lavoro nazionale con la conseguenza che il 23 aprile lagitazione
termin anche nel capoluogo piemontese. Alla base di tutto questo uno
scontro ideologico che riguardava direttamente Bruno Buozzi. Perch se
per Turati in Italia non esisteva la possibilit stessa di fare come in Russia, poich lo stato e la classe dirigente erano uscite rafforzate dalla
guerra... per Gramsci siffatta possibilit si presentava come oggettiva e poteva essere vanificata unicamente dallinsipienza soggettiva delle forze rivoluzionarie. Conclusione: Per il leader riformista occorreva seguire la
via della riforma democratica e gradualista per scongiurare un rivoluzionarismo che portava alla reazione; per il leader rivoluzionario bisognava
abbandonare ogni riformismo e sottrarre la rivoluzione alla direzione di un
massimalismo inetto, sottoponendola alla guida di un nuovo e diverso massimalismo. Alla luce di queste analisi, quel che avverr dopo, comprese le
recriminazioni di Bruno Buozzi (la sua collocazione in una posizione sostanzialmente mediana), appariranno agevolmente comprensibili.
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dichiarazione fatteci da vostri rappresentanti, ci sembra tuttaltro che desiderata dalla vostra organizzazione13. Seppur ancor fuori dalla piattaforma rivendicativa, comincia cos a far capolino la questione del controllo
della fabbrica e di quelli che poi verranno chiamati diritti di informazione.
Chiaramente viene sollevata con intento da un lato ostruzionistico e dallaltro provocatorio. La lettera di Buozzi era la risposta a una missiva spedita dagli industriali qualche giorno prima, precisamente il 22 luglio, nella
quale le aziende dicevano di non essere nelle condizioni economiche per
soddisfare le richieste, una affermazione che induceva Buozzi a sottolineare
che la pregiudiziale di discutere in comune con le altre organizzazioni sia
stata da voi presentata nella speranza di poter evitare una seria discussione
sui memoriali presentati14.
Davanti allintransigenza padronale e per convincere la controparte
a sedersi al tavolo delle trattative, il 26 luglio la Fiom decise il blocco degli
straordinari, scelta che convinse gli imprenditori ad accettare lincontro che
si svolse il 29 luglio. Ma anche questa volta la risposta, ancorch articolata
in cinque punti, era sintetizzabile in poche parole: no su tutti i fronti perch
laccoglimento, anche se possibile, delle domande operaie, porterebbe a
un nuovo aumento del costo dei prodotti con corrispondente sacrificio da
richiedersi ad altri cittadini e, in definitiva, agli stessi operai. Insomma,
gli incrementi salariali venivano rifiutati per il bene della collettivit. In
ogni caso, i contatti continuavano. Nuova riunione il 10 agosto ma il 13 la
delegazione imprenditoriale si presentava con una mozione approvata dai
soci nella quale si diceva che la Commissione interregionale nominata
dalla Federazione nazionale sindacale dellindustria meccanica, metallurgica e navale, deve con vivo rammarico constatare che i dati e le notizie
esposte per dimostrare le attuali condizioni dellindustria frutto di un
lungo e coscienzioso lavoro non sono stati tenuti nella dovuta considerazione da nessuna delle organizzazioni operaie15. Si tratta di un piccolo
capolavoro narrativo: gli industriali si rammaricavano non per il fatto di
non poter aggiornare i salari, ma per il fatto che i lavoratori non se ne erano
fatti una ragione.
Insomma, le trattative, dopo un mese, erano sempre allo stesso
punto, cio alla rottura. Anche perch, contemporaneamente, lelegante diniego contenuto nella mozione era stato illustrato con una metafora hard
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queste repubbliche proletarie, dato che le forze non si rivelano e non lasciano comprendere le loro reali intenzioni, la constatazione che queste repubbliche vivono ha una portata e un valore storico smisurato19.
Gramsci avvertiva il soffio della rivoluzione e le sue parole erano conseguenti. Ma da un versante decisamente diverso, Filippo Turati diceva: La
rivendicazione del controllo operaio, mantenuto nei limiti in cui oggi possibile fruttuosamente esercitarlo, essa stessa una rivoluzione, la pi
grande, dal punto di vista socialista, dopo il conquistato diritto di coalizione e il suffragio universale20. Per Turati, insomma, era gi quella una
evoluzione, dal punto di vista dei diritti dei lavoratori, rivoluzionaria, cosa
che nel suo gradualismo si traduceva in un traguardo raggiunto che consentiva di guardare ad altri traguardi. Senza colpi di mano.
In sostanza era cominciata unaltra partita, tutta politica e allinterno
del Psi. Le prime avvisaglie si erano avute il 4 e 5 settembre quando a Milano la CGdL si era riunita con la direzione del Psi sulla base del patto di
azione che era stato rinnovato appena due anni prima, il 19 settembre del
1918. In quella sede, Buozzi venne messo sotto accusa: Ti sei fatto prendere la mano, gli dissero. E lui rispose rivendicando pienamente la responsabilit delle scelte e dellazione. In realt il leader sindacale aveva una
strategia: spingere il Psi al potere attraverso una azione eclatante, non in
funzione rivoluzionaria, per, ma democratica, favorendo cio la costituzione di un governo di programma che avesse al centro unidea di Costituente capace di mutare il volto dello stato in senso progressista. Ma lo
scontro decisivo si gioc il 10 e 11 settembre quando partito e sindacato
tornarono a riunirsi per decidere se lazione di lotta aveva ormai travalicato
i confini economici per spaziare su un terreno politico. In questo secondo
caso, CGdL e Fiom si sarebbero dovute fare da parte per mettere tutto nelle
mani del Psi. Insomma, dallazione rivendicativa alla rivoluzione, alla lotta
armata.
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la Fiom prov a mediare proponendo lallargamento del movimento, daccordo con Confederazione e Partito, per instaurare la repubblica socialista
e mandare al potere un governo socialista, col programma di attuare tutte
le riforme politiche ed economiche pi insistentemente invocate dal proletariato21. Alla fine vinse la linea della CGdL. Lordine del giorno DAragona ottenne 591.245 voti contro i 409.569 di Bucco. Gli astenuti furono
93.623 cio la Fiom. Soprattutto su questa scelta adottata da Buozzi e i suoi
uomini successivamente si aperto un dibattito. Piero Boni, segretario generale della Fiom in coabitazione con Bruno Trentin e poi segretario generale aggiunto della Cgil, uno dei riscopritori delleredit ideale di Buozzi,
consider quella scelta caratterizzata da un certo livello di renitenza: che
fosse stato contro o a favore del trasferimento della gestione della vertenza
al partito, avrebbe dovuto comunque esprimersi.
Ancor di pi il clima di quei giorni, il livello dello scontro non solo
esterno (con gli industriali) ma anche interno (tra comunisti e massimalisti
da un lato e riformisti come Buozzi dallaltro) lo ha illustrato Pietro Secchia
in un libro del 1971: Le armi del fascismo 1921-1971. A volte i ricordi
del gi piuttosto anziano dirigente politico (aveva sessantotto anni quando
scrisse quel saggio) che il Pci aveva largamente rimosso dalla sua storia
(forse a causa di imbarazzanti riferimenti a vecchi album di famiglia) sono
un po confusi. Ad esempio, quando affermava che verso la fine di settembre furono convocati a Milano gli organismi direttivi del Partito Socialista
e della Confederazione del Lavoro che a lungo discussero se il movimento
aveva carattere economico o politico. Il vertice, invece, si tenne fra il 10 e
l11 settembre. Ma ci che conta latteggiamento che alcuni settori del
proletariato torinese (in particolare quelli che facevano maggiormente riferimento ai Consigli di Fabbrica e allOrdine Nuovo) avevano nei confronti
dellagitazione. Per loro, infatti, quello era linizio della rivoluzione.
Secchia raccontava quei giorni anche attraverso la testimonianza di
Vincenzo Bianco, metallurgico, ordinovista. Bianco nel 1930 su Lo Stato
Operaio spiegava cosa avrebbero dovuto fare le avanguardie rivoluzionarie preliminarmente: Eliminare dalla direzione i traditori riformisti
per lanciare la parola dordine della presa del potere. Ma un piano simile esigeva, per la riuscita, che i dirigenti riformisti fossero allontanati
con la forza. Preventiva epurazione, dunque. Bianco raccontava anche
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lorganizzazione militare che era stata avviata: In alcune fabbriche si trovarono mitragliatrici in numero abbastanza grande. Poi, per, accadde
che nei capannoni si svilupp sin dallinizio negli operai uno spirito di
fabbrica e quando si riusc a superare... si era gi arrivati al momento
in cui DAragona e Buozzi trattavano con Giolitti il tradimento.
Fra i giocatori della stessa squadra le visioni erano inconciliabili.
Il racconto di Bianco induceva Secchia a concludere: I massimi dirigenti
della classe operaia, la direzione del Partito socialista e in particolare
della Confederazione del lavoro, sono orientati non alla presa del potere
ma a strappare un ottimo contratto. Anche i migliori lavorano come se la
rivoluzione dovesse cadere dal cielo, realizzata e messa ai voti col consenso
dei riformisti. Il fatto che in quel momento gi si pensava a quel che sarebbe dovuto accadere a Livorno, a gennaio dellanno successivo. Scriveva
Secchia: Gli aderenti alla frazione comunista astensionista che lavoravano alla Fiat, riunitasi nella notte del 20 settembre, decisero di inviare
un compagno a Milano, portatore di un ordine del giorno col quale chiedevano la costituzione del partito comunista. Ci volle tutta lautorit di
Gramsci, di Togliatti e di Terracini per persuadere quei compagni che era
necessario per almeno due o tre mesi, sino al congresso di Livorno, continuare a lottare in seno al Partito socialista per poter poi portare al Partito
comunista il maggior numero di militanti.
Il leader metallurgico in quelle fasi tempestose ha spiegato (ne parleremo pi avanti) che quella scelta (lastensione nella riunione del 10 - 11
settembre) matur perch non voleva condizionare i veri protagonisti di
quella partita, cio il Psi e la CGdL. Voleva, soprattutto, stanare il partito,
indurlo a una risolutezza che, al contrario, non ci fu, nonostante in quella
riunione ci fosse il vertice al gran completo. Egidio Gennari, che sino allanno prima era stato segretario del partito, a votazione conclusa rilasci
una dichiarazione a nome della direzione del Psi da cui non traspariva n
delusione n particolare animosit: Io ricordo che fra la CGdL e il Ps esiste un patto di alleanza che, ritengo, nessuno di noi ha interesse di infrangere specialmente in questo momento nel quale indispensabile unire le
forze del proletariato per una lotta che pu iniziarsi in un certo senso, ma
che probabilmente dovr essere condotta sino allestremo. Il patto di alleanza stabilisce che per tutte le questioni di carattere politico la Direzione
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Dieci anni dopo, Buozzi analizza la vertenza culminata con loccupazione delle fabbriche
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non si erano create visto che Giolitti non aveva replicato con la repressione
e la violenza; a Lenin, che aveva criticato i dirigenti italiani, rispondeva:
Non il caso di parlare di dimostrazione della capacit insurrezionale
alcuna ma solo un largo e profondo movimento sindacale, salvo qualche
incidente sporadico, totalmente pacifico.
La prospettiva rivoluzionaria, alla fine di quella riunione, non veniva accantonata ma rimaneva sullo sfondo, come un orizzonte inafferrabile. Gennari in occasione della scissione di Livorno ader al PCdI,
presumibilmente faceva riferimento allala che in quel momento avrebbe
dovuto con maggior vigore puntare alla rivoluzione. Ma non lo fece. Ludovico DAragona si tenne tra le mani il testimone: Io devo ringraziarvi
a nome del Consiglio Direttivo. Gli applausi (a Gennari) dimostrano che
noi dobbiamo ringraziare la Direzione del partito per le dichiarazioni fatte.
Noi possiamo assicurare la Direzione del partito che quando essa creder
opportuno di assumere la responsabilit completa della direzione del movimento, noi, cos come abbiamo offerto le forze confederali, lo faremo
anche quel giorno23. Lordine del giorno approvato, seppur piuttosto
lungo, era facilmente sintetizzabile: Il Consiglio Nazionale della Confederazione generale del lavoro, udita la relazione del segretario generale della
Fiom e del Consiglio Direttivo della Confederazione... decide che obiettivo
della lotta sia il riconoscimento da parte del padronato del principio del
controllo sindacale delle aziende intendendo con questo aprire il varco a
quelle maggiori conquiste che devono immancabilmente portare alla gestione collettiva e alla socializzazione24. Bisogna anche aggiungere che alla
ricerca di uno spazio politico e rivoluzionario era anche Mussolini che il 10
settembre incontr Buozzi in albergo insieme a Manlio Morgagni del Popolo dItalia (sarebbe arrivato al vertice dellagenzia Stefani e si sarebbe
suicidato dopo il 25 luglio del 1943); allincontro era presente anche Mario
Guarnieri. Il futuro duce peraltro tra il 1918 e il 1921 ebbe sul Popolo
dItalia un atteggiamento benevolo nei confronti della Fiom (scrisse Michele Bianchi, uno dei quadrumviri della marcia su Roma, sul giornale del
duce del 2 settembre 1920: Il nostro atteggiamento stato sin dal primo
momento improntato a simpatia per le masse. Oggi diciamo che la presa di
possesso un errore formidabile, salvo che gli organizzatori non intendano
di servirsene come pedina per un disegno smisuratamente pi vasto. Deve
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dentemente interpretate, come un momento di passaggio verso la rivoluzione bolscevica. Salvemini in quel periodo elabor alcuni brevi saggi in
forma di lezioni per i suoi studenti americani. In realt, quegli scritti, redatti
in inglese, divennero solo molto tempo dopo un libro. Salvemini aveva un
obiettivo: spiegare che alla base degli allarmi statunitensi cera solo un malinteso, anzi un errore di traduzione. Scriveva: Una delle idee sbagliate diffuse nei paesi di lingua inglese in rapporto a questi fatti dovuto soltanto a un
errore di traduzione della parola italiana controllo. La parola controllo
in italiano non lequivalente del termine inglese control che significa possesso e direzione. Gli operai... chiedevano che i bilanci delle aziende fossero
verificati e resi pubblici; domandavano anche che in ogni fabbrica gli operai
eleggessero una commissione che li rappresentasse nelle vertenze e nella stipulazione di accordi di lavoro. Ma gli agenti fascisti... hanno tradotto la parola italiana controllo con la parola inglese control e cos stata creata
la leggenda che gli operai volevano la propriet o almeno la direzione delle
fabbriche. Anche a quel tempo il sistema della comunicazione, giocando
sul rimbalzo linguistico, sul malinteso, finiva per alimentare campagne di
parte. Tutto, insomma, fa brodo. Ma il senso era chiaro: finita loccupazione
delle fabbriche, cominciavano le polemiche e le accuse.
Contemporaneamente alla vertenza industriale si svilupp anche il
movimento delloccupazione delle terre ed significativo il modo in cui
Bruno Buozzi, molti anni dopo, valut quel fenomeno nel libro che scrisse
in esilio insieme a Vincenzo Nitti. Il segretario della Fiom ridimensionava
lincidenza di quel fenomeno in chiave di trasfomazione dello status quo
(in realt qualcosa col tempo riusc a produrre proprio in senso riformistico), in particolare in rapporto alle potenzialit di innovazione legate alla
vertenza che aveva guidato lui. Scriveva: Loccupazione delle terre un
grave segnale di crisi, ma non presenta in pratica alcun serio pericolo. Un
concetto in qualche maniera sottolineato da una successiva notazione:
Molto pi rapida, pi estesa, pi organica e pi impressionante fu loccupazione delle fabbriche. In veste quasi giornalistica spiegava quello che
era accaduto nelle campagne italiane nel corso del Biennio Rosso: Loccupazione delle terre fu un fenomeno caratteristico dellItalia meridionale e
della Sicilia: avvenne in forma quasi pacifica e dur parecchi mesi (19191920)... Con la sovrabbondanza di grandi propriet fondiarie, gli immensi
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1
Bruno Buozzi, discorso alla Camera del 9 luglio 1920; in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943), Fondazione Modigliani
Franco Angeli 1994, pag. 166
2
Ibidem pag. 161
3
Ibidem pag. 162
4
Ibidem pag. 167
5
172
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lista 1935 in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e
discorsi (1910-1943) Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 153
23
Ivi
24
Bruno Buozzi: Loccupazione delle fabbriche op. cit., pagg. 145-6
25
Bruno Buozzi: Loccupazione delle fabbriche quindici anni dopo, op. cit. pag 153
26
Bruno Buozzi relazione al sesto congresso della Fiom, Milano 24-26 aprile 1924; in
Bruno Buozzi scritti e discorsi Editrice Sindacale Italiana 1975, pag. 171
27
28
173
Rivoluzioni e polemiche
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allintervento del governo. Effettivamente il proletariato usciva dalla battaglia indebolito e scoraggiato, mentre la borghesia che aveva provato il
brivido dellesproprio, fece decisamente sue idee di repressione e violenza5. Levocazione epica della piazza, dello scontro, indipendentemente
dal suo esito, sembra fare capolino in questa antica interpretazione nenniana. Unepica un po fine a se stessa perch, poi il combattimento sanguinoso avrebbe portato probabilmente alla sconfitta. Per un lungo elenco
di motivi: la forza politica ed economica della borghesia industriale, il controllo delle strutture preposte alla gestione dellordine pubblico, cio della
piazza, la mancanza di una adeguata preparazione militare e di un adeguato equipaggiamento per imbarcarsi in un processo rivoluzionario che,
nelle condizioni date, non poteva che assumere connotati violenti. Polizia
ed esercito, a Torino, in occasione della rivolta del pane nel 1917, sorprendendo Gramsci, non avevano deposto le armi davanti ai proletari affamati. I proletari in divisa, come li avrebbe tanti decenni pi tardi definiti
Pier Paolo Pasolini, non si intenerirono e fecero 41 morti. Un dettaglio che
non sfuggiva a Bruno Buozzi: La presa di possesso delle fabbriche un
movimento rivoluzionario che ha per obiettivi dei miglioramenti. Se il movimento dovesse diventare prettamente comunista sarebbe infranto. O si ha
una forza materiale di guerra e noi non labbiamo, nel mentre abbiamo una
grande forza spirituale ma senza la forza materiale non si vince6.
Pietro Nenni, in quel suo racconto, evocava anche latteggiamento
di Mussolini: ambiguo, soprattutto se valutato in rapporto a quel che sarebbe accaduto dopo. Scriveva Nenni a proposito dellarroganza della
stampa borghese intervenuta a sostegno delle posizioni degli industriali:
Una sola eccezione a questa tracotanza. Mussolini nel suo Popolo dItalia difendeva la neutralit del governo: Chi pu affermare aggiungeva
che intervenendo in maniera forte non avrebbe acceso un incendio infinitamente pi difficile da domare. E sulla base stessa del problema egli
prendeva posizione a favore del controllo operaio che esaltava come una
vera rivoluzione, stabilendo nelle fabbriche gli uguali diritti del capitale e
del lavoro. Il fascismo era ancora un movimento insignificante, senza direttive e senza inquadramento. Ma, due mesi pi tardi, dopo il successo dei
socialisti nelle elezioni comunali, che valsero al proletariato la conquista
di 2.162 comuni e di 26 amministrazioni provinciali, il fascismo, fino ad
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allora inesistente, fece la sua comparsa. Allora risuon nella valle del Po
il grido A noi!. Nel frattempo il proletariato per facilitare il compito dei
suoi nemici si divideva7. Gli interventi giornalistici a cui faceva riferimento Nenni, confermavano la posizione tenuta da Mussolini nel colloquio
con Buozzi (che abbiamo riportato nel precedente capitolo). Il leader socialista ha ragione quando afferma che in quel momento il fascismo un
movimento ancora in fasce ma diventer adulto piuttosto rapidamente
anche per le sottovalutazioni e le disattenzioni di chi avrebbe dovuto contrastarlo. In quel 1920 era ancora solida lidea anche in uomini politici navigati come Giolitti e Turati che alla fine Mussolini si sarebbe liberato dei
gaglioffi, avrebbe costituzionalizzato il suo partito. I calcoli dicono che
nei due anni che precedettero la marcia su Roma, negli scontri politici
rimasero uccisi trecento fascisti e ben tremila loro avversari, socialisti in
particolare. E fu un crescendo rossiniano tanto vero che alla fine del 1921
si contavano in media una dozzina di aggressioni al giorno. Nelluso dello
strumento dellambiguit, Mussolini era un vero maestro. In quei mesi in
cui le fabbriche erano occupate e si discuteva di Controllo, lui nei comizi
in piazza urlava: Noi siamo storicamente sul piano rivoluzionario dal 1915.
Noi dobbiamo marciare davanti ai lavoratori. Si devono dunque accettare
i postulati della classe operaia. Domander le otto ore. I minatori e gli ope-
182
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sul versante sindacale: forme di rappresentanza, democrazia interna, partecipazione. Con loccupazione delle fabbriche entr in ballo il ruolo stesso
dellorganizzazione dei lavoratori, la sua funzione rispetto agli obiettivi
del partito ed era inevitabile che i comunisti entrassero in rotta di collisione
con Buozzi. Da un lato, la tesi che il sindacato fosse unarma del processo
rivoluzionario, pi o meno al servizio del partito (la cinghia di trasmissione
che resister almeno sino alla met degli anni Cinquanta quando timidamente Giuseppe Di Vittorio comincer a metterla in discussione, per finire
in crisi allinterno dello scontro tra Enrico Berlinguer e Luciano Lama
nella prima met degli anni Ottanta); dallaltro, unidea delle organizzazioni dei lavoratori che, impegnate sul versante economico, devono operare per far avanzare diritti e garanzie sui luoghi di lavoro e nella societ,
non strumenti finalizzati alla spallata ma pragmatici costruttori di un futuro migliore in cui il socialismo lobiettivo finale raggiungibile anche
con metodi democratici.
I toni di Gramsci divennero sempre pi duri, le accuse sempre pi
dirette. Il primo terreno di scontro era stato quello dei Consigli che Gramsci
descriveva in questo modo: Lesistenza del Consiglio d agli operai la diretta responsabilit della produzione, li conduce a migliorare il lavoro, instaura una disciplina cosciente e volontaria, crea la psicologia del
produttore, del creatore di storia. Gli operai portano nel sindacato questa
nuova coscienza e dalla semplice attivit di lotta di classe, il sindacato si dedica al lavoro fondamentale di imprimere alla vita economica e alla tecnica
del lavoro una nuova configurazione, si dedica a elaborare la forma di vita
economica e di tecnica professionale che propria della civilt comunista.
In questo senso i sindacati, che sono costituiti con gli operai migliori e pi
consapevoli, attuano il momento supremo della lotta di classe e della dittatura del proletariato: essi creano le condizioni obiettive in cui le classi non
possono pi rinascere16. Nulla di pi lontano dal concetto di rappresentanze
dedite alla soluzione dei problemi dei lavoratori che coltivava Buozzi che,
infatti, non aveva grande fiducia nei Consigli e guardava con sospetto anche
quel coagulo di organizzati e disorganizzati, una confusione che lo faceva ritornare ai tempi dello scontro con i sindacalisti rivoluzionari. Per semplificare: il sindacato era per Buozzi strumento di tutela sui luoghi di lavoro; per
Gramsci invece mezzo di didattica rivoluzionaria, perci inevitabilmente
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attese tanto a prendersi la rivincita su quellaccusa e al congresso di Livorno, quello della scissione, tra gli applausi disse: Quando avrete fatto il
Partito Comunista, quando avrete e non mi pare che ancora vi ci si avvii
molto rapidamente - impiantato i Soviety in Italia, se vorrete fare qualcosa
che sia rivoluzionaria davvero, che rimanga come elemento di civilt
nuova, voi sarete forzati, a vostro dispetto, ma dopo ci verrete, perch siete
onesti, con convinzione, a percorrere completamente la nostra via, a percorrere la via dei socialtraditori25.
Buozzi in realt non fren la rivoluzione, probabilmente non la favor, ma avrebbe accettato le decisioni del Partito se i suoi dirigenti avessero
mostrato maggiore risolutezza. Poi, ovviamente, resta da vedere se la situazione era realmente rivoluzionaria come dicevano Lenin, Zinoviev e Bucharin. E forse da questo punto di vista utile far ricorso a una analisi di
Nicolao Merker: Citando nel 1895 la ristampa dello scritto di Marx le
lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, Engels denunciava, infatti,
nellintroduzione labbaglio, dal 1848 alla Comune di Parigi di voler affidare labbattimento del capitalismo a colpi di sorpresa o anche a una
sola grande battaglia con combattimenti di strada e barricate: la storia
ha dato torto anche a noi; ha rivelato che la nostra concezione dallora
era illusione... Lironia della storia capovolge ogni cosa. Noi i rivoluzionari, i sovversivi, prosperiamo molto meglio con i mezzi legali che con i
mezzi illegali e con la sommossa26. Ma a quei tempi, al revisionismo
di Engels venivano preferite le certezze di Lenin.
Buozzi, alla fine, si era ritrovato fra due fuochi: quello fascista che
distruggeva le sedi del sindacato e quello comunista che avrebbe voluto distruggere i riformisti. Ma mentre Mussolini consolidava il suo potere, volle
rispondere, in maniera indiretta a Gramsci: Ai partiti che si dicono proletari incomberebbe anche lobbligo morale di non farsi incitatori di aspre
polemiche e di indisciplina nel movimento sindacale27. Il bilancio finale
delloccupazione delle fabbriche se da un punto di vista politico non fu
esaltante, comunque a livello pi strettamente sindacale qualcosa garant
anche se poi la conquista pi importante, il Controllo, non si trasform in
un atto concreto. Ma lui lo rivendic sempre come un suo successo, anche
quando molti anni pi tardi gli rinfacciarono di essere caduto nella trappola
del presidente del Consiglio: La Confederazione non accett mai alcuna
192
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Mario Isnenghi: Storia dItalia. I fatti e le percezioni dal Risorgimento alla societ
Bruno Buozzi: La lotta per il controllo in Italia in lOperaio Italiano, 6 febbraio 1932;
Ivi
193
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6
Aldo Forbice: La Forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista, Franco An-
Denis Mack Smith: Storia dItalia dal 1861 al 1997" Laterza 1997, pagg. 410-1
10
Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume Edizione Avanti! 1955, pag. 74
11
12
Bruno Buozzi: Loccupazione delle fabbriche quindici anni dopo in Aldo Forbice (a
cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943), Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 154
13
Bruno Buozzi: Le condizioni della classe lavoratrice in Italia Feltrinelli 1973, pag. 36
14
15 luglio 1936 ripreso da Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi, commenti, inediti a cura di Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pag.121
16
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braio 1921
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Filippo Turati: discorso al congresso di Livorno, 15-21 gennaio 1921; in Giorgio Ben-
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27
Bruno Buozzi: relazione al sesto congresso della Fiom. Milano 24-26 aprile 1924; in
1932; ripreso da Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi, commenti, inediti a cura di Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pag. 89
29
Aldo Forbice: La Forza tranquilla. Bruno Buozzi sindacalista riformista Franco An-
Bruno Buozzi: relazione al quinto congresso della Fiom, Roma 31 ottobre 4 novembre
1918; in Bruno Buozzi scritti e discorsi Editrice Sindacale Italiana 1975, pag. 161
195
Al vertice confederale
Aveva preso la Fiom disfatta e piena di debiti; laveva rivitalizzata, ricostruendo con i lavoratori un rapporto di fiducia che si era sfilacciato anche a causa della concorrenza del sindacalismo rivoluzionario;
laveva tenuta in vita nel marasma della guerra, attutendo le conseguenze
delle regole imposte dalla Mobilitazione sia da un punto di vista salariale
che da quello dei diritti; laveva messa alla testa del movimento sfociato
nelloccupazione delle fabbriche. Risultati che aveva ottenuto con il lavoro,
con limpegno quotidiano, con lo studio dei problemi e dei bilanci per poter
controbattere alle offensive dei datori di lavoro. Ma quando il 17 dicembre
del 1925 si ritrov alla guida della CGdL, Bruno Buozzi cap perfettamente
che la strada verso la rinascita sarebbe stata lunga, tortuosa e dolorosa
(come ha raccontato nel suo libro Gabriele Mammarella, al momento dellinsediamento afferm: Non ho promesse da fare... Le amarezze presenti
devono trovare il loro antidoto nella gioia di servire un ideale... con una
dichiarazione di fede nel passato e nel programma della Confederazione).
Perch, per quanto complesse le situazioni che aveva dovuto affrontare nei
primi mesi al vertice della federazione dei metallurgici, non erano drammatiche come quelle che si ritrovava a fronteggiare nel pieno del tramonto
della democrazia liberale e dellalba di quello che Palmiro Togliatti poi definir un regime autoritario di massa. I problemi dei metallurgici erano risolvibili rivedendo i meccanismi della rappresentanza, tessendo una tela
pi fitta di rapporti con la base operaia, gestendo meglio le risorse finanziarie, articolando i memoriali in maniera credibile e inattaccabile nella
logica politica e nei contenuti economici. I problemi, insomma, erano tutti
interni alla dinamica delle relazioni sindacali, della vita stessa di una organizzazione. Il bandolo della matassa poteva essere ritrovato, con una ricerca
attenta e allo stesso tempo prudente. Ma quelli che Bruno Buozzi si ritrov
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AL VERTICE CONFEDERALE
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AL VERTICE CONFEDERALE
inesorabilmente allangolo, ridotta come quei pugili che dopo aver incassato una gragnola di colpi, si preparano a prendere lultimo, quello del definitivo ko. Ma va anche detto che i comportamenti contraddittori, anche
vili di alcuni dirigenti sindacali contribuirono a rendere pi amaro questo
ineluttabile (per le condizioni storiche) destino. E Buozzi, da questo punto
di vista, con le sue scelte riusc, in una maniera diversa, a compiere limpresa che aveva gi realizzato nella Fiom: restituire dignit a una organizzazione da altri offesa e vilipesa.
Il filo della storia va ripreso dalla conclusione del movimento che
aveva prodotto loccupazione delle fabbriche. Perch da l che cominci
tutto. Lo ha scritto sempre Buozzi in un saggio che mise a punto negli anni
del confino di Montefalco: Nel 1921-1925 gran parte delle 108 Camere
del Lavoro esistenti in Italia furono distrutte e abolite... Nel 1920 di fronte
a oltre 2.500.000 iscritti alla Confederazione Generale del Lavoro socialista, il sindacalismo fascista non poteva opporre che poche centinaia di
migliaia di organizzati. Nel 1922 questi erano 857.611. Solo dopo che la
Confederazione Generale del Lavoro cess completamente di esistere e
dopo che tutte le sue sezioni furono soppresse, il numero di iscritti al sindacato fascista aument3. Di quella violenza che era stato uno dei motori
dellascesa mussoliniana, fu vittima, pi volte lo stesso Bruno Buozzi. Ad
esempio in occasione della celebrazione del 1 maggio del 1920. La polizia,
che sentiva il vento nuovo, per tener fede ad antiche abitudini, decise di
disperdere i manifestanti facendo uso delle armi. Il bilancio di quella che doveva essere una festa, fu drammatico: tre morti, due lavoratori e un poliziotto.
Due giorni dopo, a piazza Carlina, in occasione dei funerali delle vittime del
Primo Maggio, nuovamente le forze dellordine caricarono con violenza.
Buozzi che era alla testa del corteo prima protest con i capi della Guardia
Regia per indurli a far cessare tanta violenza, poi organizz la raccolta dei
feriti. Ancor di pi pag questa violenza sulla propria pelle il 27 febbraio
1924 quando una squadraccia fascista agli ordini del tenente Mariotti fece irruzione nei locali confederali torinesi. Il segretario metalmeccanico venne
picchiato. Ferito e sanguinante, si rec nella farmacia pi vicina dove si rifiutarono di soccorrerlo. Solo allospedale San Giovanni gli prestarono le necessarie cure. Laggressione era stata premeditata e direttamente ordinata dal
vertice fascista tanto vero che Mariotti se la cav con una condanna mite
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scino del poeta non era insensibile nemmeno Gino Baldesi che poi collaborer alacremente alla Carta del Lavoro, la summa dellideologia corporativa. Da un punto di vista sindacale, il fascismo non aveva ancora un
corpo dottrinario strutturalmente definito; la contaminazione del sindacalismo rivoluzionario e di quello nazionalista era evidente, ma in realt
convergevano anche altri elementi. Come ha scritto Adolfo Pepe in nessun
altro settore istituzionale la soluzione fascista appare pi permeata di uno
spirito di compromesso nel quale il patrimonio specifico fascista sembra,
insieme e contraddittoriamente, potenziato al massimo e diluito nel prima
e nel dopo di una vicenda dotata di un suo proprio tempo interno di trasformazione11. E Mussolini alimentava lidea di un Grande Compromesso,
sembrava cercarlo. DAragona non si sottraeva. Accettava un primo incontro, nei giorni della salita al potere, della chiamata del re. Il segretario,
evidentemente pi che convinto della validit delle sue scelte, ne parlava
al congresso della CGdL nellagosto del 1923: Durante la marcia su Roma
andammo infatti da Mussolini, nulla dovevamo temere. Siamo uomini di
idee e senso di responsabilit. Mussolini ci invit ad assumere la responsabilit del Ministero della Economia Nazionale e a fonderci con le corporazioni fasciste. Rispondemmo che non potevamo accettare nessuna di
queste offerte: si rivolgesse dapprima ai partiti. Dichiarammo, per, che
come avevamo dato la nostra collaborazione tecnica a tutti i precedenti
Governi, lavremmo data anche a quello fascista12. Furono giorni convulsi
quelli che precedettero il varo del primo governo Mussolini. Circolava la
voce che nella lista di ministri preparata dal futuro duce ci fosse il nome
di Buozzi (e accanto al suo, tra parentesi, quello di Baldesi). Ma Buozzi
non aveva alcuna intenzione di sostenere Mussolini tanto vero che ai liberali (Giovanni Amendola in particolare), convinti ancora di avere a che
fare con un fenomeno passeggero, spiegava che Mussolini ha un temperamento autoritario. Contemporaneamente, criticava Baldesi che mostrava interesse eccessivo nei confronti di quelle aperture.
I contatti, per, andarono avanti. Il 24 luglio del 1923 da Mussolini
si recarono insieme a DAragona, anche Carlo Azimonti, Angiolo Cabrini,
Emilio Colombino, Attilio Terruzzi e Bruno Buozzi. Era presente pure il
sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giacomo Acerbo che diventer
famoso con la legge elettorale che spianer definitivamente la strada al fa206
AL VERTICE CONFEDERALE
scismo (nove giorni prima, il capo del governo proprio intervenendo alla
camera a sostegno di quel provvedimento, aveva lanciato un nuovo segnale ai sindacalisti ribadendo la disponibilit a quella apertura che lanno
prima era stata impedita dal rifiuto di Buozzi da un lato e dalla opposizione
dei nazionalisti dallaltro). DAragona era disponibile a collaborare pure
alla stesura di un patto del lavoro. Buozzi, che era gi il leader pi autorevole del sindacato essendo il capo della federazione pi forte e combattiva, continu a sostenere la linea di DAragona ma bocci senza appello
lidea di partecipare alla definizione di quel documento. Nonostante il crollo
degli iscritti (dei 2,2 milioni del 1920, nel 1924 ne erano rimasti meno di
un decimo, duecentomila), lautorevolezza della Confederazione era molto
forte, una realt che avrebbe indotto Mussolini a sostenere che il sindacato
(il suo sindacato, ovviamente) era fascista ma i lavoratori ancora no. A
marzo del 1925 i metallurgici scesero in sciopero.
Non doveva essere una agitazione nazionale ma, pian piano, lo divenne. E molti aspetti finirono per sovrapporsi. In Lombardia, ad esempio.
A Brescia i sindacati fascisti provarono a mettere allincasso un primo successo per convincere i lavoratori ad abbandonare le vecchie organizzazioni.
Al centro della protesta, il salario, il suo adeguamento al costo della vita.
Ci fu anche un accordo tra la Confederazione delle corporazioni e gli industriali, il 15 marzo 1925 ma gli aumenti furono inconsistenti (persino
Augusto Turati manifest la sua insoddisfazione, per una intesa che era
stata voluta dal duce preoccupato dal prolungamento e dallestensione
della manifestazione, e favorita da Roberto Farinacci). La Fiom si inser su
quella vertenza dimostrando che la sua capacit di mobilitazione era ancora
intatta, tanto vero che in pochi giorni le agitazioni coinvolsero tutto il
nord industriale, diventando massicce a Torino. E quando a Milano, il 18
marzo Buozzi invit gli operai a tornare al lavoro, le officine si ripopolarono nonostante non fosse stato ottenuto alcun successo. A Torino, dove
aveva un seguito maggiore la predicazione comunista, linvito cadde, invece, nel vuoto ma i fascisti con i soliti metodi si preoccuparono di farla
terminare. La mancanza di risultati determin uno sfilacciamento evidente
nei rapporti tra la base operaia e le vecchie organizzazioni sindacali (senza
determinare, di converso, un irrobustimento delle relazioni con quelle fasciste): la conseguenza fu un calo verticale e drammatico degli iscritti alla
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federazione metallurgica. Peraltro, i comunisti, attraverso lUnit, avevano approfittato delle difficolt della Fiom per lanciare una offensiva contro gli odiati riformisti capeggiati da Bruno Buozzi. Da un lato, il regime
indeboliva le vecchie organizzazioni sul fronte della rappresentanza, dallaltro il fuoco (quasi) amico del PCdI provvedeva a screditare la figura
del leader.
La deriva, per, era chiara e il sindacato era lultimo terreno dello
scontro, quello definitivo. Lo aveva capito perfettamente Claudio Treves,
che prima dellomicidio Matteotti, sulla Critica Sociale aveva scritto un
articolo (firmato Il Vice) contro quellidea di sindacato corporativo che prevedeva labolizione del conflitto sociale. Diceva: Il contenuto morale del
movimento sindacale operaio e socialista sta per noi precisamente nel fatto
che le conquiste della classe lavoratrice si identificano, se non nei singoli
momenti, almeno nel loro risultato complessivo, con gli interessi della societ. Per tale motivo la lotta di classe da considerarsi oltre che una necessit, una benefica necessit, perch, pur con tutti i dolori che suscita,
sprone allincremento della ricchezza, al progresso dellintelligenza, allelevazione di tutta la vita sociale. Ogni sforzo di sopprimerla perci,
oltre che vano, dannoso, non riesce, naturalmente, a far tacere lo stimolo
degli opposti interessi (e il fascismo ne fa quotidiana esperienza) ma li trae
a ricercare la soddisfazione in patti che si convertono in danno della
grande maggioranza dei cittadini. Il padronato concede qualche miglioramento, ma le organizzazioni sindacali operaie si impegnano alla solidariet con i padroni per una elevazione dei prezzi dei prodotti, per la difesa
o la creazione di una condizione di monopolio contro la concorrenza interna ed estera, per il conseguimento di misure protettive e di altri favori
statali: tutte concessioni a profitto di interessi particolari, con danno degli
interessi generali dei cittadini, in quanto consumatori o in quanto contribuenti, o nelluna e nellaltra di tali loro qualit; con danno anche, del
progresso economico e civile del paese, per un insieme di conseguenze immediate e mediate che non neppure necessario indicare13.
Il fatto che lidea di sindacato che aveva in testa Mussolini era
piuttosto diversa da quella che la Fiom di Buozzi aveva portato avanti. Lultima grande vertenza, quella delloccupazione delle fabbriche, era nata perch la federazione voleva dare una cornice unitaria nazionale a una serie
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AL VERTICE CONFEDERALE
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Noi attendiamo con animo sereno e scevro di pregiudizi lattuazione di riforme favorevoli alla massa proletaria15. Le risposte DAragona le ebbe
di l a breve e per lui non furono confortanti. Le pubbliche strizzatine docchio verso il fascismo avevano alimentato notevoli diffidenze nei suoi confronti. In pi il clima generale segnalava che si stava rapidamente
scivolando verso laccordo di Palazzo Vidoni. La CGdL si interrog sulla
possibilit di rispondere con lo sciopero generale a un accordo, nel momento in cui fosse stato concluso, che consegnava al sindacato fascista la
rappresentanza esclusiva dei lavoratori. DAragona manifest la sua contrariet a questa azione di lotta nella riunione del 28 settembre 1925; Buozzi
al contario si dichiar favorevole. Il segretario generale della confederazione a quel punto present le dimissioni che il 2 ottobre vennero accolte
anche perch nel frattempo il fantasma di Palazzo Vidoni si era materializzato. Era un documento breve ma esplicito: La Confederazione generale
dellindustria riconosce nella Confederazione delle corporazioni fasciste
e nelle organizzazioni sue dipendenti la rappresentanza esclusiva delle
maestranze lavoratrici. La Confederazione delle corporazioni fasciste riconosce nella Confederazione generale dellindustria e nelle organizzazioni sue dipendenti la rappresentanza esclusiva degli industriali. Tutti i
rapporti contrattuali tra industriali e maestranze dovranno intercorrere
tra le Organizzazioni dipendenti dalla Confederazione dellindustria e
quelle dipendenti dalla Confederazione delle corporazioni. In conseguenza
le commissioni interne di fabbrica sono abolite e le loro funzioni sono demandate al sindacato locale che le eserciter solo nei confronti della corrispondente Organizzazione industriale. Entro dieci giorni saranno iniziate
le discussioni delle norme generali da inserirsi nei regolamenti. il Patto
di Palazzo Vidoni. Il sindacalismo libero non esisteva pi: il padronato trattava solo con le organizzazioni fasciste, lo strumento pi forte, a contatto
con la base, cio le Commissioni Interne, venivano azzerate, il conflitto, a
questo punto, poteva considerarsi fuori dai cancelli: ci sarebbe rientrato
soltanto molti anni dopo.
Mussolini, per, non si ferm a quel patto. Lo blind con lo strumento
coercitivo di una legge elaborata da Alfredo Rocco, la numero 563 del 3
aprile del 1926 che venne pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 14 aprile.
Ventitr articoli in tutto suddivisi in tre parti. La prima dal titolo decisa210
AL VERTICE CONFEDERALE
mente esplicativo: Del riconoscimento giuridico dei sindacati e dei contratti collettivi. Allarticolo uno venivano indicate le condizioni per il riconoscimento (iscrizione di almeno un decimo dei lavoratori del settore,
dirigenti che diano garanzia di capacit, di moralit e soprattutto di sicura
fede nazionale); il riconoscimento veniva disposto per decreto reale (articolo 4), la nomina o lelezione dei presidenti avveniva con decreto del ministro competente di concerto col collega dellInterno (articolo 7) con la
possibilit della revoca dellincarico in ogni momento; larticolo 8 indicava
gli organismi pubblici che avrebbero vigilato sulle organizzazioni e a queste
istituzioni di controllo era attribuito anche il potere di disporre lamministrazione straordinaria o il commissariamento; i contratti collettivi valevano
per tutti i lavoratori e dovevano essere pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.
Ma la parte maggiormente esplicativa della cultura del regime era la terza:
Della serrata e dello sciopero. Luna e laltro aboliti (articolo 18); chi organizzava una astensione dal lavoro poteva essere punito con la carcerazione
da uno a due anni. Nel pubblico impiego, il tasso di severit aumentava. Chi
interrompeva un servizio pubblico veniva punito con la reclusione da uno a
sei mesi e linterdizione per sei mesi dai pubblici uffici; per i promotori la
pena detentiva saliva da sei mesi a due anni con interdizione sino a tre anni;
se poi linterruzione provocava pericolo alla collettivit la reclusione non
poteva essere inferiore a un anno; se, invece, era scappato anche il morto, le
porte del carcere si aprivano per almeno tre anni (articolo 19).
Quando arriv al vertice della Confederazione, Buozzi prov a salvare il salvabile, in particolare da un punto di vista organizzativo. Le Camere del Lavoro erano riserva di caccia delle squadracce fasciste che si
esercitavano quotidianamente nelle loro pratiche violente. Buozzi le chiuse
anche perch le sedi venivano puntualmente devastate; i segretari vennero
sostituiti con fiduciari che erano nominati direttamente dalla Confederazione. Intorno alla CGdL il fascismo aveva fatto terra bruciata. E in quel
contesto ognuno reagiva a suo modo, mettendo a nudo piccole e grandi
vilt. Giovan Battista Maglione di fatto in un Consiglio Direttivo della Confederazione annunciava la nascita dellAssociazione di Studio Problemi del
Lavoro (la legge lasciava questo teorico spazio di libert). Lavrebbe co211
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
AL VERTICE CONFEDERALE
vite contro gli oppositori. Buozzi (che nel frattempo, il 20 ottobre, aveva
chiuso lorgano confederale, Battaglie Sindacali) cap subito che per lui
laria si era fatta pesante. Lo cap soprattutto quando una squadraccia, a
tarda sera, fece irruzione nel suo palazzo, a Corso Regina Margherita. Il
segretario della CGdL non era in casa e i bravi si limitarono a consegnare
solo dei messaggi di tipo epistolare, vergati sulle pareti: A morte
Buozzi; Buozzi morirai. Il 27 ottobre il segretario lasci lItalia dovendo partecipare agli inizi di novembre a un convegno internazionale a
Zurigo. Le nuove leggi eccezionali varate dopo lattentato di Zamboni (insieme agli inviti epistolari che il fratello Antonio gli inviava da Torino),
lo convinsero a rimanere allestero.
Lo cercarono invano e troppo tardi. Alla richiesta di notizie sul
sovversivo Bruno Buozzi, il capitano della compagnia di Ferrara dei carabinieri reali, Raffaele Bianco, rispondeva: Si partecipa che da indagini
esperite risultato che lex Deputato (per deferenza, la d rimaneva maiuscola, n.d.a.) socialista, Buozzi Bruno fu Orlando e fu Berto Maddalena
(Busti n.d.a.) nato il 31 gennaio 1881 a Pontelagoscuro, ex segretario della
Federazione Nazionale Metallurgici (lufficiale si era fermato alla precedente qualifica in quanto la CGdL non era un sindacato riconosciuto,
n.d.a.), non ha fatto rientro al suo paese nativo. A Pontelagoscuro ha una
zia materna, Buozzi Udgarda, abitante in via Piacere, unica superstite della
famiglia, con la quale da oltre un anno, non mantiene alcuna corrispondenza. Anche dalle indagini esperite presso lufficio postale, lelemento fascista ed altre fonti, risultato non essere egli in corrispondenza con altre
persone. Risulta che un anno fa la moglie ed i figli del Buozzi abitavano a
Torino viale Margherita, ove si ritiene abitino ancora e dove si ritiene altres
siasi rifugiato il Buozzi stesso. La richiesta di informazioni era del 28 gennaio 1927, la risposta del 4 febbraio. Non propriamente un esempio di sagacia
investigativa.
Buozzi, in realt, si era tenuto alla larga dallItalia. Si era fatto vivo
solo con un comunicato il giorno di Natale in cui annunciava che la confederazione avrebbe operato sempre di pi allestero (una dichiarazione che
suscit la reazione risentita di Giovanni Bensi come vedremo pi avanti).
Inoltre, poco prima, a fine novembre, in seguito al saccheggio della sede
confederale avvenuto allinizio del mese, aveva fatto sapere a Maglione di
213
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AL VERTICE CONFEDERALE
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
tazione della Carta del Lavoro, quel fiancheggiamento del fascismo che, a
liberazione avvenuta, decret la sua emarginazione dalla vita sindacale e
politica dellItalia democratica.
Perch tra tanti difetti, al sindacato va riconosciuto un merito. Lo ha
evidenziato Adolfo Pepe: In questo settore (il sindacato, n.d.a.) la continuit e la rottura non potr essere simile a quella degli altri centri del regime, lesercito, la magistratura, la diplomazia, la classe economica, la
burocrazia medio-alta, luniversit, la cultura, leditoria, il mondo politico
stesso. Mentre in tutti questi ambienti la pacificazione e la continuit finirono ben presto per prevalere, sia in termini di uomini che di impostazioni
istituzionali e di prospettiva, protraendosi fino agli anni Cinquanta e alla
rivoluzione sociale ed economica che allora scuote il paese e fa compiere
al compromesso nazionale un deciso salto, il sindacato fascista... verr annullato come legittimit etico-ideale, prima ancora che politica19. Insomma, i segni del continuismo su questo fronte non ci sono stati. Il nuovo
sindacato, quella dellItalia repubblicana e democratica, non ha nulla a che
vedere n con quelli che costruirono le organizzazioni fasciste n con quelli
che, fedeli al vecchio motto, tengo famiglia, preferirono la renitenza o,
peggio ancora, il tradimento.
Buozzi, da questo punto di vista ha trasmesso il suo pensiero. Per
lui il sindacato fascista era un organismo fittizio, costruito in laboratorio,
figlio della prepotenza e della violenza, che non aveva dato nulla ai lavoratori, nemmeno quello che dichiarava di voler dare perch era solo uno
strumento nelle mani di un regime autoritario. Un organismo fittizio che
era stato, per, dotato di una costituzione reale. In pratica lultimo colpo
al passato: lapprovazione della Carta del Lavoro da parte del Gran Consiglio nella riunione del 21 e 22 aprile 1927. Trenta punti per sintetizzare teoria e pratica del corporativismo. Dichiarazioni di principio
(Lorganizzazione sindacale o professionale libera) smentite nella pratica (Ma solo il sindacato, legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo
dello Stato, ha il diritto di rappresentare tutta la categoria di datori di lavoro
o di lavoratori); logiche che poco hanno a che vedere con la dinamica reale
dei rapporti tra le parti (Nel contratto collettivo di lavoro trova la sua
espressione concreta la solidariet tra i vari fattori della produzione); larticolazione di un sistema che dovrebbe azzerare il conflitto tra le classi (Le
216
AL VERTICE CONFEDERALE
Corporazioni costituiscono lorganizzazione unitaria delle forze della produzione e ne rappresentano integralmente gli interessi... Le Corporazioni
sono dalla legge riconosciute come organi di Stato); la sostituzione dello
sciopero con strumenti conciliativi e legali (Nelle controversie collettive
del lavoro lazione giudiziaria non pu essere intentata se lorgano corporativo non ha prima esperito il tentativo di conciliazione); una strana idea
di congruit del salario e dei modi in cui definirlo (Lazione del sindacato,
lopera conciliativa degli organi corporativi e la sentenza della magistratura
del lavoro garantiscono la corrispondenza del salario alle esigenze normali
della vita, alle possibilit della produzione e al rendimento del lavoro);
una logica paritaria nella distribuzione degli oneri senza tenere presente
che in ogni rapporto vi un soggetto debole e che in quelli di lavoro, da
quella parte si colloca il lavoratore (Le conseguenze delle crisi di produzione e dei fenomeni monetari devono equamente ripartirsi fra tutti i fattori
della produzione); il recupero di alcune conquiste della CGdL e della Fiom
utilizzate anche come strumento per la conquista del consenso (Il prestatore di lavoro ha diritto al riposo settimanale in coincidenza con le domeniche; Dopo un anno di ininterrotto servizio il prestatore dopera, nelle
imprese a lavoro continuo, ha il diritto ad un periodo annuo di riposo feriale
retribuito; Nelle imprese a lavoro continuo il lavoratore ha diritto, in caso
di cessazione dei rapporti di lavoro per licenziamento senza sua colpa, a
una indennit proporzionata agli anni di servizio); una serie di obiettivi
che il regime si proponeva di raggiungere per sottolineare il suo carattere
sociale (Lo Stato fascista si propone: 1. il perfezionamento dellassicurazione infortuni; 2. il miglioramento e lestensione dellassicurazione maternit; 3. lassicurazione delle malattie professionali e della tubercolosi
come avviamento generale allassicurazione generale contro tutte le malattie; 4. il perfezionamento dellassicurazione contro la disoccupazione involontaria; 5. ladozione di forme speciali assicurative dotalizie per giovani
lavoratori).
Funzion il sistema? Buozzi analizzandolo nel confino di Montefalco
scriveva: Il corporativismo avrebbe dato al paese unimpronta particolare
e avrebbe risolto i problemi dei rapporti fra le classi, abolendo la lotta tra
capitale e lavoro e giungendo a una forma di pacificazione sociale e di collaborazione unica nella storia20. Insomma, sottolineava Buozzi, il corpo217
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
Questo scritto Bruno Buozzi lo realizz per lAlmanacco Socialista del 1931. Si trattava
di un numero particolarmente significativo perch segnava la ripresa delle pubblicazioni
dopo una breve interruzione legata allascesa al potere del fascismo e alla fuoriuscita
dallItalia di molti leader politici. Larticolo (Cenni storici sulla Confederazione Generale del Lavoro) venne riprodotto anche su lOperaio Italiano del 20 dicembre 1930. In
Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi, commenti inediti a cura di Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pag. 78
2
Ivi
3
Bruno Buozzi: Le condizioni della classe lavoratrice 1922-1943" Feltrinelli 1973, pag 96
4
Da quella espulsione, nascer il Psu di Turati, Treves, Saragat, Pertini e Matteotti che
verr eletto segretario. Aderir anche Buozzi. Due anni dopo al gruppo si unir Carlo
Rosselli
5
Castagno fa riferimento allespulsione della frazione terzinternazionalista di Serrati,
Maffei e Riboldi avvenuta in seguito alla vittoria di Nenni al congresso socialista
6
Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume Edizione Avanti! 1955, pagg. 73-4
7
Bruno Buozzi, relazione al sesto congresso della Fiom, 24-26 aprile 1924 a Milano; in
Bruno Buozzi scritti e discorsi Editrice Sindacale Italiana 1975, pag. 173
8
Ibidem pagg.174-5
218
AL VERTICE CONFEDERALE
9
Ibidem 175
Ibidem 175-6
11
Adolfo Pepe: Il sindacato fascista in A. Del Boca M. Legnani M.G. Rossi: Il regime
fascista Laterza 1995, pag. 221
12
Dal Bollettino CGdL, 1923, n. 9 sul Congresso Confederale; in Gino Castagno: Bruno
Buozzi ristampa del volume Edizione Avanti!, pag 76
10
13
219
Sindacato e partito
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
mediatore pi abile di quanto il leader socialista avesse inizialmente immaginato. Abile nel difendere la vecchia classe dirigente liberale, il vecchio stato basato sul censo che in ogni caso da quelle urne usc
sostanzialmente a pezzi. Turati in quellItalia era il conoscitore pi profondo
di sistemi elettorali; allo studio della materia si era dedicato con passione
proprio con lobiettivo di sostituire il meccanismo proporzionale al maggioritario a doppio turno che aveva preservato, insieme a un suffragio molto
limitato, le vecchie classi dirigenti, prolungando la loro permanenza al vertice dello Stato ben oltre i loro effettivi meriti. Turati voleva, per via democratica, scardinare un sistema in cui prevalevano i potentati, i cacicchi,
i boss locali che distribuendo favori, si garantivano grandi privilegi. Giovanni Giolitti, da questo punto di vista, era un esempio luminoso. Ma non
solo lui anche perch se il leader piemontese aggiungeva a questo suo vecchio metodo di gestione del potere almeno un certo talento, molti altri erano
solo lespressione di una condizione che privilegiava il censo, la nascita in
un certo ambiente piuttosto che in un altro. Per raggiungere lobiettivo di
una nuova legge elettorale che riformasse realmente il sistema e non si limitasse solo ad ampliare il numero degli elettori come aveva fatto qualche
anno prima proprio Giolitti, Turati mise in piedi, insieme al cattolico Filippo
Meda, fin dal 1911, cio molto prima della conflitto Mondiale, lAssociazione Proporzionalista Milanese. E su quella riforma elettorale, il Psi era
schierato (quasi strano a dirsi) in maniera compatta. Perch tra i Popolari,
nonostante la posizione chiara di Sturzo, qualche distinguo cera.
La cosa a noi oggi pu far sorridere, considerata la maniera un po
leggera con la quale viene affrontata la materia, ma quella fu una grande
battaglia di democrazia perch il maggioritario a doppio turno era considerato un sistema che impediva una reale rappresentanza delle correnti di
opinione che si agitavano nel Paese: bastava un voto in pi nel proprio collegio per essere eletti e favoriva la subordinazione degli interessi nazionali
alle clientele locali (da questo punto di vista, evidentemente, una legge elettorale non basta per correggere la situazione). Turati vedeva nel nuovo sistema elettorale la chiave per aprire le porte dellItalia al vento della
democrazia, quella vera. E una democrazia vera si basa sui partiti: il sistema
proporzionale consentiva, scavalcando la concezione individualistica del
confronto politico alimentato dal maggioritario (ieri come oggi), di raffor224
S I N D A C AT O E PA R T I T O
zare le organizzazioni di massa. Le cose andarono effettivamente cos perch in quelle elezioni per la prima volta vinsero i partiti organizzati, il Psi
che conquist il 32,3 per cento dei voti e ben 156 seggi ed il Ppi che convogli sulle sue liste un 20,5 per cento che gli garant una rappresentanza
di cento parlamentari. Turati avrebbe voluto un proporzionalismo pi
spinto, ma la mediazione di Nitti consent alle vecchie classi dirigenti di
limitare la portata rivoluzionaria della scelta: meccanismi come il panachage (cio la possibilit per lelettore di dare la preferenza al candidato
di unaltra lista rispetto a quella votata) e il metodo di ripartizione dei seggi
(quello messo a punto dal costituzionalista belga Victor Hodt che escludendo lutilizzo dei resti finiva per favorire il partito di maggioranza relativa) furono per Turati altrettanti motivi di delusione. In pi, il suo partito
gli impose che la maggioranza dei candidati doveva essere espressa dalla
corrente massimalista che in quel momento deteneva la leadership del Psi.
Il mutamento della geografia parlamentare fu, comunque, notevole.
Fra i nuovi eletti cera anche lui, Bruno Buozzi. Il partito lo aveva
candidato in due circoscrizioni, a Torino e a Napoli, lui si ritrov quasi per
caso a rappresentare la citt meridionale anche se poi possibile che la cosa
gli abbia fatto piacere perch, come ha scritto Gino Castagno voleva essere
pi vicino agli operai meno difesi2. Il primo intervento in aula lo fece dopo
aver ascoltato le dichiarazioni programmatiche illustrate da Giovanni Giolitti chiamato a guidare il suo quinto governo. Era il 9 luglio del 1920
quando prese la parola, spiazzando in qualche maniera laula, perch lui,
inveterato riformista, utilizz toni e termini che sembravano usciti dal vocabolario di Serrati. Disse: Noi in fondo siamo gli eletti di tutti e di nessuno. Noi stessi che rappresentiamo qui dentro il partito pi forte e meglio
organizzato, sentiamo spesse volte che, al di sopra del nostro partito, chi
ci manda qui la massa anonima e irresponsabile. Su questa constatazione,
credo che non molti di voi possano dissentire. Ma una conseguenza logica
di questa constatazione non pu essere che questa, e cio che il Parlamento, o il suo sostituto, potr funzionare bene solo il giorno in cui sar
composto di uomini, di rappresentanti nominati esclusivamente dalle organizzazioni dei produttori. In altre parole noi pensiamo che i paesi potranno essere amministrati meglio, quando saranno gestiti dai Soviet,
anzich dal Parlamento. A quel punto laula cominci a rumoreggiare,
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forse anche per la sorpresa. Buozzi and avanti: Qualcuno di voi potr
fare qualche smorfia su quello che vado dicendo; ma la verit , o signori,
che mentre voi quotidianamente rinunciate a qualche cosa del vostro programma, che mentre voi quotidianamente rinunciate a qualcheduno dei vostri privilegi, che mentre voi in altre parole vi sforzate di cedere senza dare
lapparenza di cedere, che mentre voi insomma cercate di minimalizzare il
pi possibile il vostro programma, noi proprio in questo periodo, di fronte
a voi sventoliamo sempre pi alto il nostro programma massimo, intorno
al quale chiamiamo a raccolta tutte le nostre forze, e per il quale ci apprestiamo a combattere con sempre rinnovata fede e moltiplicata energia3.
Cera, evidentemente, in quel gruppo socialista per la prima volta
nella storia del Paese numericamente robusto, la voglia di sottolineare le
radici, i riferimenti, il desiderio, insomma, di spiegare la novit di quella
presenza in una politica che aveva perduto i suoi vecchi contorni: la nuova
legge elettorale, che aveva battezzato i grandi partiti di massa, pur prodotto di un compromesso decisamente lontano da quelli che erano gli obiettivi iniziali di Turati e dei socialisti, aveva comunque aperto la strada a
forme nuove di democrazia, la democrazia di forze realmente rappresentative degli umori del Paese, sul riferimento individuale prevaleva lidentit
collettiva, lidentit di gruppo. Cera lorgoglio ma non ancora la lucidit;
cera la consapevolezza del passato ma anche troppe diversit che impedivano ai socialisti di organizzare una proposta politica coerente, capace
anche di bloccare un fascismo che avrebbe ridotto quello spirito di democrazia a una parentesi breve.
Nessuno, insomma, nascondeva che il Paese fosse giunto a una svolta.
La guerra era uno spartiacque. Incalzava orgogliosamente Buozzi (forse
anche un po ingenuamente), puntando il dito verso la vecchia classe dirigente che si preparava a sostenere il governo di un anziano e ormai spento
Giolitti: La distanza in metri qui dentro poca, ma ci che ci separa
enorme. Voi siete il passato, anche quando non volete esserlo; noi siamo
lavvenire. Voi, attraverso tutta lopera che andate compiendo, vi dimostrate sempre pi i migliori ed i pi forti puntelli del vecchio regime borghese e della conservazione sociale. Fra noi e voi, qui dentro si svolge
leterna polemica tra il passato, il presente e lavvenire. Lasciatemi dire
(lo ripeto perch sento che a voi d fastidio), lasciatemi dire: voi siete il
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Nonostante tutto, nonostante leccesso di litigiosit che caratterizzava la vita del Partito, i socialisti si erano confermati come la forza politica
di maggioranza relativa. Avevano ottenuto, nella consultazione del 15 maggio 1921, un milione e 631 mila voti, cio il 24,7 per cento, e avevano conquistato 123 seggi. I popolari erano cresciuti (108 seggi), i comunisti
avevano guadagnato il 4,6 per cento dei consensi e quindici parlamentari.
Mussolini si present nella lista dei Blocchi Nazionali che fu il termometro dello scivolamento del paese verso la reazione visto che conquist
105 parlamentari (il 19,7 per cento), trentacinque dei quali di diretta espressione del partito del futuro duce (che per numero di preferenze ottenute
risult il terzo pi votato dItalia). I numeri, comunque, erano ancora favorevoli a una coalizione capace di impedire lascesa al potere del fascismo.
La strada era quella indicata da Buozzi (lalleanza con i Popolari che, tra
laltro, aveva portato alla riforma proporzionalista) ma il Psi, dilaniato dalle
lotte intestine (un anno dopo sarebbero andati via i riformisti di Turati), rinunci a compiere quel passo che avrebbe probabilmente evitato al paese
la buia notte della dittatura.
Quando Mussolini chiese i pieni poteri, il segretario della Fiom
intervenne di nuovo con un appassionato discorso (ne parleremo pi avanti).
Ma era ormai troppo tardi per fermare la valanga. Da parlamentare e da dirigente sindacale, Buozzi avvertiva che gli spazi di libert si stavano restringendo sempre di pi, che lagibilit democratica era a rischio. Quel sistema
proporzionale che avrebbe dovuto portare, nelle intenzioni di Turati, a un
ampliamento della democrazia, per una di quelle situazioni paradossali che
spesso la storia descrive, stava inesorabilmente facendo precipitare lItalia
verso il regime, cio verso la sostanziale cancellazione del sistema parlamentare. Alla sua seconda legislatura, Buozzi assisteva contemporaneamente
alla dissoluzione degli spiriti democratici e allannichilimento della dinamica
sindacale basata sulla mediazione tra le parti, sul conflitto che trovava il suo
sbocco positivo con la contrattazione. Assisteva, insomma, al trionfo della
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prepotenza (anche padronale). Da parlamentare assisteva pure a unaltra vicenda paradossale: una minoranza che si trasformava in maggioranza utilizzando le vilt, gli errori politici, le sottovalutazioni della maggioranza e
le complicit di un re che anche davanti a vicende violentemente scandalose,
come lomicidio Matteotti, volle confermare tutta la sua indifferenza nei
confronti dei principi costituzionali chiudendo gli occhi e accettando che le
Nenni e Pertini nel 1947: figure centrali nella storia politica di Bruno Buozzi
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monte. Si era presentato nelle liste del Psu, il partito a cui aveva aderito il
3 ottobre del 1922, cio quarantotto ore dopo la fondazione ufficiale, seguendo il suo maestro, Filippo Turati (daltro canto, sino a quando il leader riformista era rimasto nel Psi, il segretario della Fiom aveva aderito alla
sua corrente, Concentrazione socialista).
Nei confini stretti di una dittatura che usava ancora il sistema parlamentare come una trasparente foglia di fico, Buozzi spar le ultime cartucce polemiche. Sapeva bene che poco o nulla si poteva contro una maggioranza di
quattrocento parlamentari e con un paese intimidito dalle violenze continue,
incapsulato nella camicia di forza di leggi liberticide e, comunque, come da
inveterate abitudini, pronto a correre, a maggioranza, in soccorso del vincitore. L, in quei banchi, ritrov, in veste di colleghi parlamentari, vecchi avversari sindacali, rappresentanti di quel ceto industriale che con maggiore o
minore ardore avevano assecondato lascesa al potere di Mussolini. Tra i
primi (cio quelli che avevano assecondato con maggior ardore) Jacob Angelo Gino Olivetti, liberale conservatore, dirigente di primo piano delle organizzazioni industriali (segretario della Lega di Torino nel 1906 e poi della
Confindustria dal 1919 al 1933), convinto sostenitore del corporativismo economico declinato in chiave di supremazia tecnico-manageriale e di controllo
ferreo sulla disciplina in fabbrica. Agli occhi del duce aveva un solo difetto: era ebreo e dopo il varo delle leggi razziali la sua stella allinterno
del Partito Nazionale Fascista tramont, anzi emigr: prima in Svizzera, poi
a Parigi, infine, per la definitiva sistemazione, in Argentina, dove mor.
Buozzi lo conosceva bene. Molto meglio conosceva Giuseppe Mazzini che non condivideva lardore filo-mussoliniano del collega. Mazzini
era un liberale e aveva conosciuto Buozzi in occasione dello sciopero delle
lancette quando i colleghi gli avevano attribuito il compito di guidare la
delegazione industriale nelle trattative. Si ritrovarono poco dopo, nel clima
infuocato delloccupazione delle fabbriche. Uno di fronte allaltro. E fu in
quella vicenda che si guadagn i galloni di presidente della Confindustria
(lelezione avvenne poco dopo la conclusione della vertenza, il 29 ottobre
del 1920). La mediazione di Giovanni Giolitti era sostenuta da Giovanni
Agnelli e lui si schier con determinazione dalla parte del fondatore della
Fiat. Agnelli, evidentemente, non aveva nessuna intenzione di cedere spazi
di controllo della sua fabbrica agli operai ma vedeva nelliniziativa del pre231
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sidente del consiglio loccasione per prendere tempo, per far scivolare la
cosa nella nebbia pi che dellimpossibile, dellirrealizzabile, insomma,
come avrebbe detto il nipote Gianni, per gettare la palla in angolo. Cosa
che effettivamente avvenne perch il decreto prevedeva ladozione di una
legge che doveva essere elaborata da una una commissione a cui partecipava anche Mazzini e che non giunse ad alcuna conclusione (perch sostanzialmente sabotata dagli industriali). Questa assenza di conclusioni era
una vittoria per gli industriali. E una nota di merito per Mazzini che aveva
assecondato quella strategia. Il rapporto con Buozzi, per, si fondava sulla
reciproca stima anche favorita dal fatto che Mazzini non si schiacci mai
sulle posizioni di Mussolini non condividendone le pratiche di costruzione
del consenso. Tanto vero che quando il duce venne defenestrato, Pietro Badoglio pens a lui per il posto di commissario della Confindustria. E
Mazzini, a sua volta, per il ruolo di commissario delle organizzazioni sindacali dei lavoratori, indic al Maresciallo quel vecchio avversario con cui
aveva avuto tanti scontri.
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peto: si trattava di operai boicottati dagli industriali italiani e di perseguitati politici. Un atto di accusa contro il regime recitato nel momento in
cui Mussolini si preparava a lanciare lultima offensiva contro l organizzazione sindacale libera attraverso il patto di Palazzo Vidoni e la legge
Rocco che aboliva il diritto di sciopero.
Il fascismo, per, ancora non aveva piegato Buozzi e se concludere
contratti era diventato complicato, allora non restava altro da fare che difendere i lavoratori dallo scranno parlamentare. Spiegava, sempre puntando
il dito contro Mazzini: La maggioranza degli industriali italiani non ha
ancora acquistata la coscienza del contratto di lavoro. Il contratto di lavoro
si subisce come una calamit salvo che da una parte dei grandi e medi industriali... La situazione grave questa: quando lindustriale viola il contratto e si verifica lintervento dellorganizzazione industriale, il massimo
che gli possa capitare di essere invitato a rispettare il contratto di lavoro,
senza alcuna sanzione. Quando invece sono gli operai a violare i concordati, allora sono multe, sospensioni, licenziamenti, i quali, talvolta, nei
paesi in cui c una sola officina significano lesilio, la condanna ad andare
in giro per il mondo10. Il tutto tra le interruzioni di Olivetti.
Fu quello lultimo intervento parlamentare di Buozzi: ormai non
era pi tempo di politica in Italia e anche lui, al pari di tanti operai, doveva
prepararsi allesilio. La carriera politica stava per finire. Ma quella fine probabilmente lo angustiava poco. Lo angustiava molto di pi la fine (almeno
in patria) dellattivit sindacale. La politica lui laveva vissuta sempre come
un impegno secondario, sicuramente non come laspetto centrale della sua
attivit. I suoi interventi in Parlamento non erano stati numerosi anche perch le vertenze, le trattative assorbivano gran parte del suo tempo. Era cresciuto in unofficina, conosceva la durezza del lavoro, i sacrifici, limpegno
quotidiano. Ma il lavoro aveva completato la sua personalit. Avvertiva,
negli umori pesanti dellofficina, qualcosa di eroico, di epico. Si sentiva
circondato da personaggi come quelli che descriveva Edmondo De Amicis
che negli anni giovanili di Buozzi era stato una sorta di nume tutelare del
socialismo, quanto meno da un punto di vista intellettuale. Amico di Filippo
Turati che aveva avuto un ruolo non secondario nella sua adesione a quegli
ideali, collaboratore della Critica Sociale, la figura di maggior spicco di
quel socialismo dei professori che a Torino aveva affascinato tante gio234
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politica dei lavoratori e nel momento in cui le condizioni consentirono almeno la ricomposizione dei socialisti, lui si ritrov in quel partito rimanendo sulle posizioni che aveva sempre sostenuto.
Bruno Buozzi, intervento alla Camera del 9 luglio 1920. In Aldo Forbice (a cura di):
Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943) Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 161
2
Gino Castagno: Bruno Buozzi, ristampa del volume Edizione Avanti! 1955, pag. 77
3
Bruno Buozzi, intervento alla Camera del 9 luglio 1920. Ibidem pagg.161-2
4
Bruno Buozzi, intervento alla Camera del 9 luglio 1920. Ivi
5
Bruno Buozzi, intervento alla Camera del 22 maggio 1925. Ibidem pag. 184
6
Bruno Buozzi, intervento alla Camera del 22 maggio 1925. Ivi
7
Bruno Buozzi, intervento alla Camera del 22 maggio 1925. Ibidem pag. 185
8
Bruno Buozzi, intervento alla Camera del 22 maggio 1925, Ibidem pag. 192
9
Bruno Buozzi, intervento alla Camera del 22 maggio 1925, Ivi
10
Bruno Buozzi, intervento alla Camera del 22 maggio 1925. Ibidem pag. 193
11
Bruno Buozzi: Ai metallurgici triestini, in il Metallurgico, Milano 1 maggio 1910.
Da Bruno Buozzi scritti e discorsi Editrice Sindacale Italiana 1975, pagg. 55-6
12
Bruno Buozzi: Ai metallurgici Triestini. Ivi
13
Bruno Buozzi: Di un partito del Lavoro in il Metallurgico Milano 10 agosto 1910;
da Il riformismo socialista italiano. Matteotti-Buozzi Marsilio 1981, pag. 199
14
Bruno Buozzi: Di un partito del Lavoro. Ibidem pag. 200
15
Bruno Buozzi: Di un partito del Lavoro. Ibidem pag. 201
239
Filippo Turati al balcone di casa Buozzi con la moglie del leader sindacale
(alla sua destra) e le figlie Ornella e Iole accanto al padre. In quella
abitazione parigina il fondatore del Psi sarebbe morto il 29 marzo 1932
Riuniti in vita e, in qualche maniera, riuniti nella fine. Attraversarono insieme le vicende del socialismo italiano; insieme, quasi passandosi
il testimone sono usciti di scena: drammaticamente, in alcuni casi, pi
serenamente, in altri. Tutti, tranne Giuseppe Saragat, con un rimpianto: non
aver visto lalba di una nuova Italia, quella democratica, guarita dallinfezione del fascismo. Giacomo Matteotti e Bruno Buozzi vittime della ferocia
della dittatura e della guerra, il secondo assassinato dai nazifascisti in fuga,
esattamente ventanni dopo la scomparsa del primo, ucciso dai sicari di
Mussolini. Claudio Treves scomparso esattamente un anno dopo Filippo
Turati, di ritorno da una commemorazione di Matteotti. Uniti nella vita e
negli ideali. Che li avevano portati in rotta di collisione allinterno del Psi
prima con i massimalisti e poi con i comunisti. Espulsi, infine, da Serrati
per ordine di Mosca. Qualche giorno dopo quel congresso autunnale, Claudio Treves scriveva: Quanto a noi socialisti che riprendiamo dopo le fluttuazioni socialcomuniste la via maestra per continuare la politica di
progressiva ascensione del proletariato attraverso la propaganda, leducazione politica, sindacale, cooperativa, intellettuale della classe lavoratrice; i metodi gerarchici e assolutistici del militarismo, rivoluzionario
quanto si vuole, ci sono affatto estranei, perch diametralmente opposti al
fine che noi ci proponiamo. Noi abbiamo bisogno di libert di movimento:
tattico e di autonomia di direzione conforme alle circostanze nostre e ai
bisogni del proletariato in confronto dei nostri partiti borghesi. Noi non
possiamo delegare la nostra coscienza, che fatta del senso di responsabilit, ad altri, per quanto illustri e benemeriti della rivoluzione, ma da noi
distanti e con interessi particolari importantissimi che essi debbono mandare avanti ad ogni considerazione degli interessi dei singoli raggruppamenti nazionali del proletariato. Messa la scissione su tale terreno, non
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campagna elettorale era nel nome dellunit dei lavoratori; una preoccupazione che lo accompagn per tutta la vita: non dividere gli operai. Per
questa ragione era cos critico con i comunisti e i massimalisti. Eppure, proprio in nome di questa preoccupazione... quando in Francia negli anni bui
dellesilio una gran parte dei socialisti, Modigliani fra i primi, propose
lespulsione di Nenni perch insisteva nello stretto collegamento con i comunisti allora stalinisti e morbidi con Hitler dopo il patto russo-tedesco di
spartizione della Polonia, ricordo che Bruno Buozzi si batt perch venisse
ritirata la mozione contro Nenni. Se lo espelliamo rompiamo lunit operaia e diamo Pietro in mano ai fascisti disse Buozzi.
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Raccontava di quella lontana campagna elettorale, del clima di tensione e intimidazione che lavvolgeva, delle qualit umane del vecchio
amico: Ricordo che durante la campagna elettorale del 1924 Buozzi tenne
una riunione nel chiuso di un locale, cero anchio con lui. Irruppero i fascisti e ci dispersero. Il magistrato dichiar che la nostra attivit elettorale
era una provocazione8. Tra il leader anziano e il giovane allievo i contatti furono intensi e tocc a lui scrivere sull Avanti! Il fondo che accompagnava la notizia delleccidio de La Storta. I toni erano appassionati.
Scriveva Saragat: Noi che da un quarto di secolo abbiamo lottato al suo
fianco, lo abbiamo seguito nelle vie dellesilio, abbiamo seguito la sua
opera instancabile a favore delle classi lavoratrici italiane e della libert
della patria, abbiamo perduto il pi caro dei fratelli, il migliore dei compagni. La classe operaia italiana ha perso la sua guida pi illuminata;
lItalia uno uno dei suoi figli pi grandi, gli uomini liberi di tutto il mondo
uno dei pi forti combattenti per la sacra causa della giustizia sociale9.
Non fu un articolo facile. A Roma erano entrati gli americani e i tedeschi,
uscendo, avevano lanciato quel macabro messaggio: Assassinando Bruno
Buozzi il nazi-fascismo ha cercato di colpire la classe lavoratrice. Ma il
calcolo stato sbagliato. Vacilliamo sotto il colpo che ha troncato la vita
al migliore dei nostri ma centuplichiamo il nostro odio e la nostra volont
di una giustizia riparatrice. I rapporti tra Saragat e Buozzi erano strettissimi, consolidati nel periodo dellesilio e della lotta al fascismo. Il fitto epistolario svela sentimenti e retroscena politici. In una lettera del 13 febbraio
del 1927, il leader sindacale faceva coraggio a se stesso e al suo pi giovane
compagno: Io sono quindi qui per tentare di ricostruire come hai giustamente detto nella tua la Confederazione e per tenere alto il buon nome
del movimento sindacale italiano. Il compito gi estremamente difficile
stato reso pi difficile dallabiura dei sette. Ma non mi perdo danimo.
Anzi, io stesso alle volte sono sorpreso per la fermezza, direi quasi per lo
stoicismo con cui riesco a superare e a vincere le amarezze di questo tremendo periodo. Lavoro, e sento che non lavoro invano. Non so quando il
mio lavoro render, ma ho la certezza che render. E poich dalle tue lettere agli amici traspare una certa malinconia, che talvolta assume lapparenza della sfiducia, vorrei che ti sforzassi di guardare lavvenire con un
poco di ottimismo. Bada che io non mi nascondo le enormi difficolt che
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T U R AT I , T R E V E S , M AT T E O T T I E S A R A G AT
dovremo superare. Ma tu minsegni che lottimismo una delle pi formidabili leve di azione10.
Litaliano in esilio conforta italiano rimasto in patria. Non nascondendogli le amarezze che sono legate alle vicende della CGdL. Perch i sette
a cui Buozzi fa riferimento nella lettera sono Carlo Azimonti, Lodovico
Calda, Emilio Colombino, Ludovico DAragona, Ettore Reina, Giovan Battista Maglione e Rinaldo Rigola. Sono i giorni in cui sullasse Milano-Parigi
abbondano i colpi bassi. Il 4 gennaio 1927 il consiglio direttivo della CGdL,
come abbiamo scritto in precedenza, chiuse la Confederazione e la mise in
liquidazione. A fine mese, il 30 gennaio, Bruno Buozzi a Parigi deliberava
il trasferimento in Francia del comitato esecutivo: Per continuare la propria attivit conformemente al mandato affidatogli dagli operai. Buozzi
aveva in mente, da tempo, il trasferimento della Confederazione (tanto
vero che lOperaio Italiano aveva avviato le sue pubblicazioni gi nel
1926), non la sua liquidazione. Dopo la dichiarazione di scioglimento, era
rimasto in attesa per capire levoluzione della situazione italiana perch tra
le ipotesi in discussione cera ancora quella della consegna della sigla confederale al Sindacato Internazionale. Avendo intuito che i sostenitori di
quella soluzione erano stati messi in minoranza da coloro che viaggiavano
verso un rapporto collaborativo col regime, decise di rompere gli indugi.
Con lui lavoravano alacremente Giovanni Bensi, Pallante Rugginenti e Felice Quaglino. Lo scioglimento aveva, comunque, profondamente
irritato il segretario ancora in carica che a quel punto si attendeva il peggio.
Che arriv puntualmente il 2 febbraio sotto forma di un dispaccio dellagenzia Stefani, lagenzia ufficiale di stampa, che dava conto di un un documento con le firme dei sette. Per Buozzi era labiura (fu anche il titolo di
un durissimo commento de lOperaio Italiano). I sette, infatti, contraddicendo la loro storia, dichiaravano: Il regime fascista una realt e la
realt va tenuta in considerazione. Questa realt scaturita anche da principi nostri, i quali si sono imposti. La politica sindacale del fascismo, per
esempio, si identifica sotto certi aspetti con la nostra... Il regime fascista
ha fatto una legge altamente ardita sulla disciplina dei rapporti collettivi
di lavoro. In quella legge vediamo accolti dei principi che sono pure nostri.
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Finch durava lo stato liberale da una parte, e finch dallaltra gli operai
rimanevano fermi nel loro misconoscimento dello Stato, una legge di tal
fatta era improponibile. La Rivoluzione fascista ha tagliato il nodo gordiano e noi ne dobbiamo prendere atto. Rigola aveva provato con una
lettera a Quaglino a ridimensionare preventivamente la portata della decisione del 4 gennaio (Lo scioglimento era inevitabile e secondo me anche
augurabile per evitare ogni pericolo di patteggiamenti e di compromessi...
Si tratta di svolgere una azione indipendente da quella delle corporazioni
fasciste). Era forte, insomma, tra i dirigenti della CGdL rimasti in Italia
la voglia di chiudere bottega (ai primi di novembre del 1926 la sede di via
Manfredo Fanti era stata prima sequestrata e poi riconsegnata e in quella
occasione, secondo una nota del ministero dellInterno, DAragona
avrebbe preferito che non ci fosse stato il dissequestro per dimostrare
nel modo pi evidente lassoluta impossibilit di svolgere attivit sindacale in Italia).
L Avanti! fu durissimo con i traditori. Ma nella sua lettera a
Saragat, Buozzi non solo accentuava le critiche ma distribuiva meglio le
responsabilit, non nascondendo la rabbia per quello che lui definiva il
colpo pi duro che ci potesse toccare11. Rivelava a Saragat: Nenni col
quale specialmente, e con Rugginenti, ci facciamo ottima compagnia mi
dice che gli hai scritto che la cosa era fatale, che Gobetti laveva prevista
da quattro anni e che da quattro anni si trattava per arrivarci. In ci c
del vero e dellesagerazione12. Sottolineava che mai avrebbe pensato a un
tradimento di Rigola e Maglione. Spiegava a Saragat che Rigola pochi
giorni prima che partissi dallItalia... mi disse che dovevamo irrigidirci
sulle nostre posizioni, mentre Maglione parlava del fascismo come un
blocco impossibile da permeare e da trasformare. Cadr forse di schianto,
ma impossibile fare previsioni. Noi possiamo attenuare l opposizione di
principio facendo opposizione di merito, ma dobbiamo rimanere noi stessi.
Conclusione su Rigola: La cecit (aveva perso la vista in un incidente sul
lavoro, n.d.a.) rende facilmente impressionabile; lhanno circuito; lhanno
rovinato. Ma Buozzi svelava pure che Rigola e Maglione impedirono il
travasamento della Confederazione nelle corporazioni che pure era stato
proposto (da Baldesi n.d.a.). Poi spiegava che i tre meno rispettabili sono
Calda, Azimonti e Colombino e che DAragona sia pure meno apparen252
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temente ha aiutato. Poi Buozzi passava al racconto del modo in cui si era
giunti alla scelta pi vergognosa, cio la dichiarazione con la quale i dirigenti
raccolti intorno a Rigola abbracciavano il credo corporativo: Il 16 gennaio i sette avrebbero buttato gi lo schema della dichiarazione. Calda sarebbe stato incaricato di sottoporla allesame del duce. Il duce lavrebbe
tenuta nelle sue mani alcuni giorni. E quando ritenne giunto il momento di
fare il colpo... consegn il documento ai giornali ed ispir i commenti,
dando come firmatari i partecipanti alla riunione. Mussolini, insomma,
avendo capito che Buozzi stava sottraendo la sigla confederale alle angherie
del regime, aveva provato ad annullare gli effetti delle decisioni parigine
sdoganando la lettera. Qualcuno, quindi, vi ritrov la propria la firma
senza averla mai apposta? Scriveva ancora Buozzi: DAragona ha giurato
qui, a Modigliani, a voce e per iscritto, di non aver mai firmato. Egli ha
per confessato che il documento risponde alle idee espresse nelle riunioni
tenute dai sette, ed ha fatto delle riserve su alcune espressioni. Conclusione: I sette vanno condannati senza riserve, e sulla bestialit del documento da essi redatto anche se non firmato vedrai su lOperaio
Italiano, un magnifico articolo di Treves: Abiura.
Larticolo, che Saragat ricevette a Vienna dove nel frattempo aveva
trovato rifugio, suscit lentusiasmo del pi giovane compagno e amico e
quando nacque lidea di mettere insieme in un opuscolo le prime elaborazioni dellopposizione in esilio a Mussolini, il futuro presidente della Repubblica scrisse a Buozzi: Non dimenticare di inserirvi anche larticolo
di Treves Abiura, che una delle cose pi forti che siano mai uscite dalla
sua penna13. Una Abiura che tornava continuamente nelle impressioni
(e nelle notizie) che i due si scambiavano. Buozzi, ad esempio, si lamentava
di dover combattere a livello internazionale con i contraccolpi subiti dalla
dichiarazione di scioglimento e dalla successiva adesione dei sette al corporativismo fascista: Per quanto mi riguarda in questi ultimi due mesi
sono stato pi che occupato per neutralizzare le conseguenze del colpo dei
sette ex confederali. Quando credevo di avere sistemato o quasi la Confederazione, mi sono ritrovato in alto mare. DAragona stato per molti anni
nostro rappresentante internazionale, e ti assicuro che non sono ancora
riuscito a persuadere tutti i miei colleghi dellInternazionale sindacale ad
abbandonarlo al suo destino. Ma sto riuscendoci14. Saragat, dal canto suo,
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con Gilles Martinet che molti anni pi tardi sarebbe diventato ambasciatore
francese in Italia, lo cuc la moglie di quello che sarebbe stato eletto presidente della Repubblica). Oltre mezzo secolo dopo quelle lettere, nellintervista gi citata, diceva mescolando commozione e rammarico: Se penso
poi... io e Pertini (compagni nel Psu del leader sindacale, segno che in quel
gruppo stava nascendo un pezzo robusto della classe dirigente repubblicana, n.d.a.) saremmo andati al Quirinale. Buozzi ed altri finiti con una
raffica, moltissimi di noi morti in esilio. E ora questa nostra patria nella
bufera... Bruno Buozzi stato un uomo del quale si pu dire che aveva
grande nobilt danimo. Che poi ci che pi conta al tirar delle somme,
anche quando si fa politica15. Non erano parole di circostanza, non era
uno di quei santini verbali stampati post mortem tendenti a esaltare figure che sino al giorno prima si erano profondamente disistimate. Era la
realt di un rapporto fatto di grande ammirazione. In una lettera di oltre
mezzo secolo prima, Saragat diceva: Otto Bauer reduce da Parigi ha riportato limpressione che gli emigrati italiani tra cui vi sono persone di
altissimo valore morale e intellettuale manchino in realt di un capo. Non
credo che Otto B. ti abbia avvicinato (avvicin Nenni e ne riport buona
impressione, tanto da considerarlo come lunico passabile) perch se ti
avesse conosciuto avrebbe per lo meno incluso anche te nel giudizio favorevolissimo che diede su Nenni... Io credo che il Bauer abbia perfettamente
ragione affermando che la primissima esigenza in queste circostanze trovare un capo senza di che non c nessuna possibilit di azione concreta. Ti
dico queste cose per indurti ad assumere una nuova responsabilit16.
Le lettere personali illustrano frammenti di vita quotidiana, raccontano entusiasmi e delusioni. I giudizi politici, in pubblico filtrati dalle logiche di appartenenza, diventano pi semplici e sinceri. Come anche la
manifestazione degli stati danimo. Si sfogava Saragat: Nellultima mia
ti avevo scritto prospettandoti un certo stato danimo che serpeggia tra i
nostri giovani profughi in Francia. Se si ha da credere ed io credo alla
lettera che Santi17 mi manda da Milano, e che ti accludo, si deve convenire
che anche in Italia il malumore verso i dirigenti grandissimo. Che succede
a Parigi? Santi nella lettera che ti accludo mi parla di litigi18. E il suo
amico leader lo rassicurava, lo confortava, aggiungendo alcune valutazioni
politiche che davano il senso dei rapporti sfilacciati a sinistra nelle prime
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B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
I momenti privati riguardavano le famiglie lontane, latteso ricongiungimento (dovremmo di tanto in tanto riflettere su questo davanti ai problemi che adesso pone al nostro paese limmigrazione, soprattutto quella
legata a motivi politici, le guerre, le dittature violente, le repressioni). Saragat che era arrivato da poco a Vienna manifestava le sue speranze: La
mia Giuseppina mi scrive che tua moglie e le tue bambine sarebbero state
a trovarle a Ciri dove essa abita... Se riuscir a mettermi a posto a Vienna,
ove sono in trattative abbastanza promettenti con una grande banca tedesca, cercher di risolvere anche il problema familiare perch ti confesso
che il distacco dalla mia Giuseppina e dal mio bambino mi pesa molto20.
E qualche mese dopo: Carissimo Buozzi, mia moglie mi scrive che si trova
sovente con la tua e che naturalmente parlano dei rispettivi mariti. Non ti
so dire quanto sia contento di questa amicizia tra le nostre madame che,
poverine, scontano pi di noi la scabrosit dei tempi21. Infine la gioia ma256
T U R AT I , T R E V E S , M AT T E O T T I E S A R A G AT
nifestata al pi anziano compagno: Carissimo Buozzi, mia moglie e il bimbetto sono qui da un paio di settimane e mi pare di rinascere. Sei gi riuscito a ricomporre la tua famiglia? La mia Giuseppina prima di partire
vide tua moglie a Milano e seppe da lei che attendeva con impazienza il
momento dellespatrio(22).
Lo stato danimo di quegli uomini che si accingevano a una lunga
battaglia (politica e reale) era gramscianamente diviso tra il pessimismo
Treves fu uno dei grandi alleati politici di Buozzi nelle battaglie sindacali
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dellintelligenza e lottimismo della volont (Giorno e notte sono tormentato dal problema dellazione che possibile esercitare contro il fascismo. per me e credo per tutti noi una necessit fisica oltre che morale.
Treves mi ha scritto comunicandomi laugurio che vi siete fatti lun laltro
per lanno nuovo: Il 1927 a Roma. Purtroppo non ho questa speranza
perch ormai la faccenda troppo radicale e solo radicalmente, vale a dire
rivoluzionariamente, potr essere risolta e le rivoluzioni non maturano in
un solo anno, Giuseppe Saragat a Buozzi il 13 gennaio del 1927); stati
danimo compromessi, controversi, angosciati (Treves grande giornalista;
senza giornale un uomo morto. Turati affetto da un esaurimento nervoso
al punto da avere la vista temporaneamente inservibile persino per leggere, Buozzi a Saragat il 26 marzo 1927). Ma lintreccio di queste vite
che forma un universo umano straordinario, fatto di un reciproco apprezzamento, sincero, non ipocrita. La parola non lontana dal sentire. Il giorno
dellassassinio di Giacomo Matteotti, Claudio Treves scrisse: Tra breve,
tutto ci che veramente, sanamente amore e culto della patria, condanner il regime che lo umilia, piegher il ginocchio pronunciando il tuo
nome, o Matteotti nostro, martire dell antinazione... e abiurer per sempre la pi iniqua ed ipocrita delle distinzioni su cui il regime poggia le sue
usurpazioni: i reprobi e gli eletti riconoscendo in essa un immanente tradimento. Tutti i figli della patria sono uguali ed ugualmente degni, finch
ne osservano le leggi e ne propugnano, secondo loro coscienza insindacabile, lonore, la prosperit e la grandezza. La fazione che oltre il potere
che detiene, si arroga, con il terrore di segrete associazioni, ordinate per
il delitto e la strage, di imporre a tutti il suo volere e tutti i diritti altrui ridurre al proprio talento, vera nemica della patria, perch la patria non
ha per nemici che i suoi oppressori, siano di sangue straniero o siano di
sangue nostro. Ma luomo che muore per la sua fede, che sigilla col sangue
la missione, quegli la pi alta manifestazione che onori e faccia onorare
la patria(23). E Filippo Turati aggiunse: Egli era il pi forte, il pi armato,
il pi irreduttibile; doveva essere la vittima. I briganti hanno scelto bene,
hanno colpito giusto; nel suo e nel nostro cuore con la pugnalata medesima. E doveva essere la vittima anche per questo: che nessun sacrificio
poteva riescire insieme pi nefasto e pi utile, forse (mi trema la penna
nello scrivere) pi necessario. Il precipizio delliniquit doveva cominciare
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di qui; e pi nulla potr arrestarlo. Egli lo sent, egli lo disse, nel rantolo
delle ultime parole, strozzate, sgozzate(24).
Sentivano che quel saluto allItalia per alcuni di loro sarebbe stato
definitivo. Scrisse Buozzi di Turati, commemorandolo: stato detto, forse
a ragione, che Filippo Turati, pi che un capo politico, deve essere considerato un altissimo maestro di vita e di morale. Grande cuore, non sapeva
odiare. Contro lo stesso fascismo, pi che odio nutriva ripugnanza e disprezzo. E quando qualcuno gli diceva che alla caduta del fascismo la sua
Milano sarebbe accorsa ad accoglierlo trionfalmente, scuoteva la testa e
soggiungeva: non ritorner, ma penso ugualmente con disgusto alle molte
mani che mi verrebbero offerte da uomini che, dopo aver lustrato le scarpe
al fascismo, giurerebbero di avere sempre palpitato con noi(25). Facile profeta in un paese in cui una tra le ideologie pi diffuse quella del pagnottismo. Un paese che non avrebbe atteso troppo per confermare quella sua
amara profezia visto leffimero successo dellUomo Qualunque di Guglielmo Giannini (che ha, comunque, trovato nel tempo dei valenti e volenterosi continuatori nonch appassionati eredi), sostenitori di una idea di
nazione cos lontana da quella immersa in una sana religione civile, una
ideologia che, come ha scritto Giovanni De Luna si identificava in una semplice dichiarazione di principio: Noi vogliamo vivere tranquilli, non vogliamo agitarci permanentemente come non abbiamo voluto vivere
pericolosamente; vogliamo andare a teatro, uscire la sera, recarci in villeggiatura, trovare le sigarette, ordinarci un abito nuovo26).
Insomma, la sempiterna Italietta, cos lontana dagli ardori ideali di
Vittorio Alfieri o Carlo Pisacane, immersa nella contemplazione di una quotidianit senza imprevisti e ancor meno problemi, sacerdotessa dellovvio
e dellincolore, sempre in bilico tra populismo e nullafacentismo. LItalietta che, come diceva Flaiano, odia gli arbitri perch sono gli unici obbligati a decidere. Lui, Turati, con i suoi allievi, aveva, invece deciso di
rischiare. E la stessa scelta aveva fatto Claudio Treves, che consegn a
Buozzi (pi ancora di Turati) quellidea di sindacato su cui, come aveva
scritto a Saragat, continuava a meditare, per lavvenire. Unidea che lo
stesso Buozzi aveva cos illustrato: Lalta considerazione che Egli (Treves,
n.d.a.) aveva del movimento operaio si rivelava anche dal modo con cui
concepiva i rapporti tra Partito e sindacati. La sua massima era questa:
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sindacati fascisti di Brescia avevano inscenato una agitazione dei metallurgici nella speranza di conquistare lo spirito delle masse. La Fiom vi
entr a vele spiegate. I sindacati fascisti furono travolti. E per alcuni giorni
200.000 metallurgici della Lombardia, del Piemonte e della Venezia Giulia
respinsero tutti gli ordini dei sindacati fascisti e abbandonarono le fabbriche e ripresero il lavoro per ordine della Fiom(29). E ancora: Poi viene
lesilio ed Egli sar ancora al nostro fianco. Correr alle riunioni internazionali a perorare la causa della Confederazione del Lavoro. Scriver
per lOperaio Italiano, il documento dellabiura, magnifico, altissimo
documento di condanna della dichiarazione costitutiva del gruppo dei Problemi del Lavoro(30). A Saragat, invece, tocc salutare Buozzi: Il popolo
italiano raccoglier questo testamento sacro e lo consacrer con la forza
vendicatrice e riparatrice delle armi. Ai compagni affranti, agli amici innumerevoli noi non daremo parole di conforto ma consigli di lotta(31).
Claudio Treves: Dopo il congresso della scissione in Critica Sociale, 16-31 ottobre
1922
2
Nicolao Merker: Karl Marx. Vita e opere Laterza 2010, pag. 184
marzo 1980
8
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9
10
Bruno Buozzi, lettera a Giuseppe Saragat, 13 febbraio 1927. In Bruno Buozzi scritti
Bruno Buozzi, lettera a Giuseppe Saragat, 13 febbraio 1927. Ibidem pag. 205
12
13
Giuseppe Saragat, lettera a Bruno Buozzi del 29 marzo 1927. Da Aldo Forbice (a cura
Lettera di Bruno Buozzi a Giuseppe Saragat del 16 marzo 1927. Da Aldo Forbice (a
cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem
pag. 270
15
16
Giuseppe Saragat, lettera a Bruno Buozzi del 18 febbraio 1927. Da Aldo Forbice (a
cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem
pag. 266
17
18
Giuseppe Saragat, lettera a Buozzi del 23 marzo 1927. Da Aldo Forbice (a cura di):
Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem pag. 268
19
Lettera di Bruno Buozzi a Giuseppe Saragat, 26 marzo 1927. Da Aldo Forbice (a cura
di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem pag.
269
20
Giuseppe Saragat, lettera a Bruno Buozzi del 23 marzo 1927. Da Aldo Forbice (a cura
Giuseppe Saragat, lettera a Bruno Buozzi dell8 giugno 1927. Da Aldo Forbice (a cura
di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem pag.
273
22
Giuseppe Saragat, lettera a Bruno Buozzi del 29 agosto 1927. Da Aldo Forbice (a cura
di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem pag.
275
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LAntifascista
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L A N T I FA S C I S TA
che potrebbe essere sviluppata anche nei confronti di certi movimenti politici dei giorni nostri, che predicano il superamento di destra e sinistra ma
poi manifestano una certa indisponibilit ad accettare le regole della democrazia (per quanto sgangherata o poco credibile essa possa essere). Il consenso, in termini parlamentari, che Mussolini aveva raccolto nelle elezioni
dellanno precedente era stato piuttosto limitato, ma pian piano, con la violenza e con messaggi buoni se non per tutti i gusti, per molti di quelli in
campo, stava costruendo le condizioni per il consenso futuro. Soprattutto
aveva assorbito preoccupazioni, paure e risentimenti che erano cresciuti
anche a causa di una crisi economica che produceva uninflazione sostenuta
e aumentava la disoccupazione. Si sintonizz con i mal di pancia degli industriali che avevano visto crollare gli ordinativi legati alle imprese belliche
e che sognavano qualche altra avventura coloniale per far risalire la domanda in quel settore. Raccoglieva i malumori legati alle difficolt dellindustria pesante che aveva visto naufragare i cartelli che erano stati
costruiti intorno allIlva e allAnsaldo (che insieme agli armatori genovesi
erano stati i primi finanziatori del duce) con il conseguente fallimento di
alcuni istituti di credito. Studenti, ex combattenti, colletti bianchi rimasti
senza lavoro si saldavano alle folle di nazionalisti, futuristi, sindacalisti
violenti. Ci non toglie che lascesa fosse evitabilissima.
Ha scritto Denis Mack Smith: La marcia su Roma non fu che un
viaggio in treno (quello notturno del duce da Milano a Roma, che si
tenne alla larga dalla manifestazione sino a quando non ottenne la garanzia che avrebbe formato il nuovo governo, n.d.a.) in risposta a un esplicito
invito del sovrano3. La pensa diversamente Mario Isnenghi per il quale
due ordini di considerazioni che bene non contrapporre hanno portato,
invece, da non molti anni a una rivalutazione quantitativa e qualitativa dellavvenimento. Sulla quantit le opinioni non riescono a convergere: c
chi parla di non pi di venticinquemila persone, chi avanza la cifra di sessantamila e chi arriva addirittura a centomila. La tesi del colpo di Stato organizzato e preparato sarebbe confermata dal fatto che la marcia venne
anticipata da tre riunioni, una a Milano, laltra a Bordighera e quella decisiva a Firenze. E poi le vittime: sette a Cremona, citt di Farinacci, una decina a Bologna dove venne assaltato il carcere, ventidue a Roma, proprio
nei giorni conclusivi.
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B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
Resta il fatto che Mussolini si sarebbe fermato al massimo a Monterotondo se non avesse potuto contare su alcuni vizi italiani: una carente
cultura democratica, allepoca ancora pi carente perch lo Stato era troppo
giovane e figlio di un complesso di idealit (il Risorgimento) che aveva mobilitato (e nobilitato) la mente di pochi; una discreta vilt istituzionale da
parte soprattutto di quegli alti funzionari (i prefetti, ad esempio) che non
avevano alcuna intenzione di assecondare i vecchi padroni nel timore che
fossero sostituiti da nuovi (come in effetti avvenne); le contraddizioni di
un esercito che tendeva a sparare con disinvoltura sugli operai, proclamava
la neutralit rispetto alle vicende politiche ma che attraverso alcuni generali
flirtava con Mussolini. Simpatie, peraltro, tanto scoperte da allarmare il re
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L A N T I FA S C I S TA
che decise di non controfirmare lo stato dassedio deciso dal governo, obbligando cos il presidente del consiglio, Luigi Facta (Mi creda, maest, basterebbero quattro cannonate a farli scappare come lepri), alle dimissioni;
Vittorio Emanuele III, daltro canto aveva ritenuto pi convincenti le argomentazioni del capo di stato maggiore della vittoriosa Grande Guerra, Armando Diaz: Lesercito far il suo dovere, come sempre, ma meglio non
metterlo alla prova. Al conto poi bisognava aggiungere: linsipienza di una
classe politica liberale al tramonto che avendo paura del socialismo pensava
di poterlo fermare giocando solo una mano di poker con il fascismo; la cecit
di alcuni esponenti di punta dellintellighenzia come Benedetto Croce e Luigi
Albertini (direttore del Corriere della Sera) che poi si pentiranno della scelta
compiuta; le divisioni del partito socialista (il pi forte per numero di parlamentari); lillusione rivoluzionaria dei comunisti che mentre Modigliani, alla
fine del dibattito per la fiducia al nuovo governo, presumendo la china imboccata, urlava viva il Parlamento, replicavano abbasso il Parlamento;
linaffidabilit della casa regnante incline ai fascisti con la regina madre, Margherita, e il Duca DAosta, cugino del re ma pronto (si dice) a sostenere il
golpe fascista per prenderne il posto; la tendenza dello stesso Vittotio Emanule III a fare per suo conto (come aveva sperimentato gi in occasione dellentrata in guerra nel 1915) senza rispettare le regole parlamentari.
Se la somma di queste condizioni non gli avessero dato una mano,
il pomeriggio del 30 ottobre 1922 Mussolini non avrebbe presentato la sua
lista di ministri (solo quattro fascisti, dieci non fascisti tra i quali un paio
di popolari compreso Giovanni Gronchi con il quale Bruno Buozzi avrebbe
poi trattato per far rinascere il sindacato unitario nellItalia liberata e che
sarebbe diventato, nel 1955, presidente della Repubblica). Se tutti avessero
remato in direzione contraria, Bruno Buozzi non avrebbe il 6 luglio del
1930 dichiarato al giornale svedese Dagens Nyheter: Il fascismo come
un grande edificio costruito su cattive fondamenta. E ancor pi amaramente: Per quanto riguarda le opinioni politiche degli italiani, potrei concisamente esprimermi come segue. Un italiano, che si trovi solo,
antifascista. Due italiani, che si trovino insieme, arrischiano una parolina
critica sul fascismo. Tre, riuniti a conversare, di politica, non dicono niente.
Quando poi sono quattro diventano tutti buoni fascisti4.
Abilissimo a conciliare messaggi ultimativi e strizzatine docchio
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Mescolava, il duce, i messaggi: la parte rassicurante rappresentata da un governo a minoranza fascista (quattro ministri appena), incentrato sullo specchietto per le allodole della maggioranza proveniente da
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L A N T I FA S C I S TA
aree diverse, dallaltro, per, ci teneva a sottolineare che il libro era stato
appena aperto e che poi ci sarebbero state altre pagine da leggere (il non
volere in questo primo tempo, lasciava aperta la porta al volere in un
secondo tempo). A questo punto avanzava la richiesta a cui Buozzi avrebbe
risposto in maniera molto netta: Chiediamo i pieni poteri perch vogliamo
assumere le piene responsabilit. Senza i pieni poteri voi sapete benissimo
che non si farebbe una lira, dico una lira di economia. Con ci non intendiamo escludere la possibilit di valutare collaborazioni... ci siamo proposti
di dare una disciplina alla Nazione e la daremo. Nessuno degli avversari di
ieri, di oggi e di domani si illuda sulla brevit del nostro passaggio al potere.
Mussolini si era insediato al vertice dello stato e non aveva alcuna intenzione di traslocare in tempi brevi. Con quel discorso assecondava i desideri di quei settori, politici ed economici, che reclamavano ordine dopo
il disordine, una disciplina sostanzialmente militare nelle fabbriche, un po
perch la crisi aveva ridotto drasticamente gli utili e un po perch la guerra,
con la Mobilitazione, aveva rafforzato abitudini che il Biennio Rosso
aveva provveduto in qualche maniera a smentire. Mussolini forniva la promessa di un ritorno al bel tempo andato quando un operaio eseguiva senza
fare obiezioni, accettava soluzioni senza avanzare interrogativi. Soprattutto
si accontentava di poco, a livello salariale. A risarcirli si poteva provvedere
con un po di popolare divertimento: panem et circenses. Contemporaneamente consegnava a tutti lidea che lItalia, con il suo avvento, avrebbe ripreso a volare, avrebbe risolto i problemi economici, avrebbe rilanciato
leconomia e reso tutti pi ricchi. Insomma, camminava in bilico sulle attese
pi disparate, avendo in mente un paese in cui le garanzie costituzionali
sarebbero state eliminate, la libert trasformata in carta straccia, la democrazia sospesa con la conseguente consegna di tutto il potere nelle mani
non di un uomo ma di un taumaturgo, di un Capo dal corpo mistico. Ha
spiegato con grande lucidit Borgognone: I poteri del presidente del Consiglio, dunque, non si sarebbero dovuti basare esclusivamente sulla nomina
del re e sulla fiducia parlamentare, ma anche e per molti versi principalmente, su una legittimazione plebiscitaria. In tale prospettiva i risultati del
voto non dovevano essere considerati primariamente come un metodo per
dare espressione alla pluralit delle posizioni, bens come referendum pro
o contro il leader, il quale, una volta ottenuta linvestitura popolare, aveva
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B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
il diritto e il dovere di mettersi alla guida di una nazione omogenea e unanime. Quale alternativa alla democrazia rappresentativa in cui il concetto
di sovranit popolare si riduceva in sostanza al plebiscito per legittimare
il capo carismatico5. Le elezioni come semplice atto di investitura. Unidea
che raccoglie consensi interessati anche tra molti contemporanei: evidentemente siamo in presenza di un cronico difetto italico.
In quel discorso di Mussolini cerano tutti gli elementi per essere
preoccupati e per consigliare linnalzamento di qualche argine. Ma in quel
momento chi forniva al duce i numeri parlamentari per cominciare la
sua avventura era convinto che quella sarebbe stata una semplice parentesi
(lo pensava persino Croce); quelli che si attestavano pi dogmaticamente
allopposizione, come i comunisti, ritenevano, a loro volta, che quella potesse essere la crisi finale del capitalismo italiano. Non fu n una parentesi
n la crisi finale. Con un intervento dai contenuti borghesi, Buozzi articol lopposizione del suo gruppo, opposizione pragmatica perch avvertiva che la crisi non riguardava il capitalismo ma quella democrazia
parlamentare che con gradualismo Turati e il suo gruppo avrebbero voluto
far approdare a quelli che pi tardi sarebbero stati chiamati equilibri pi
avanzati. I pieni poteri che reclamava Mussolini riguardavano soprattutto
gli assetti economici e, quindi, anche larticolazione del conflitto sociale.
Spieg il segretario della Fiom: Noi crediamo fermamente che i
pieni poteri, che si chiedono a questa Camera, diminuirebbero, se accordati, il prestigio dellItalia allestero, perch o farebbero supporre che
quando lItalia si recata alle conferenze internazionali ad esporre le sue
necessit ha affermato il falso, o che lItalia in stato fallimentare il che
io non credo assolutamente o che gli italiani hanno cos poco patriottismo
da avere bisogno di una dittatura finanziaria per compiere il loro dovere6.
Evidentemente, Mussolini non pensava solo alla finanza: la sua dittatura
aveva (avrebbe avuto) caratteri pi ampi e complessivi. E allora Buozzi diceva: C una sola dittatura necessaria in Italia, onorevole Mussolini: la
vostra sui fascisti per indurli alla disciplina (il festival della violenza era
da tempo in pieno svolgimento, n.d.a.). E voi non dovete cercare di indorare
questa dittatura come una pillola, con i pieni poteri che ci chiedete. Io sono
fra quelli che credono, salve complicazioni internazionali, al superamento
relativamente sollecito dellattuale crisi finanziaria e senza provvedimenti
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L A N T I FA S C I S TA
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Come si legge nellincisione su tre righe che campeggia sul Palazzo della civilt del lavoro (ai romani noto anche come il Colosseo Quadrato, nove archi
in orizzontale e sei in verticale, il numero delle lettere e delle consonanti che
formano il cognome e il nome del duce, secondo alcuni esegeti dellopera)
un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di
navigatori, di trasmigratori e... di evasori fiscali. Dalla notte dei tempi.
Affermava ancora Buozzi guardando gli scranni disposti in semicerchio: C qualcuno qui i deputati industriali ed agrari la Confederazione generale dellIndustria e la Confederazione generale dellagricoltura
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che potrebbe insegnarvi magistralmente, signori del governo, come si potrebbero scovare e perseguire i contribuenti, industriali, agrari e commercianti,
che tradiscono la patria13. Di prendere quel tipo di lezioni, per, Mussolini
non aveva proprio voglia anche perch i finanziamenti per lui e per il suo
partito erano arrivati da quelle parti e a quelle parti con la sua proclamata determinazione strizzava locchio. Un pezzo dItalia, poi, non vedeva lora di
accodarsi a qualcuno che la conducesse per mano verso lidi sconosciuti. Giustino Fortunato, uno di quei liberali che non si erano lasciati abbagliare dal
pifferaio magico romagnolo essendo il suo pensiero fortemente ancorato
ai principi di libert, non a caso disse del fascismo che non si trattava di una
rivoluzione ma di una rivelazione, non un accidente passeggero ma la pi
incredibile, terribile tragedia prodotta certo dalla violenza squadristica ma
ancor di pi dalle debolezze italiane, in particolare il prodotto delle deficienze morali e delle incapacit secolari della borghesia italiana. E tra
queste carenze morali, la spinta formidabile e diffusa al servilismo. Una conferma? Al momento dellarrivo al governo di Mussolini, il Partito Nazionale
Fascista poteva contare su trecentomila iscritti; un anno dopo erano settecentottantamila. LItalia in camicia nera aveva cominciato a mettersi gi da
prima che lindumento diventasse di moda per imposizione del duce.
Spinto anche da questi umori popolari, Mussolini cominci a consolidare il suo regime e per farlo nel migliore dei modi pens alla riforma
elettorale sfruttando, anche in questo caso, la disponibilit della vecchia
classe liberale (non solo i filo-fascisti alla Salandra) che non vedeva lora
di sbarazzarsi della riforma proporzionale voluta da Turati, riveduta e corretta da Nitti e che era considerata la causa dellinstabilit (una storia, anche
questa, che si ripetuta, in tempi a noi vicini). La campagna elettorale (le
camere erano state sciolte il 23 gennaio del 1924, le elezioni indette per il
6 aprile) fu avvelenata da violenze e intimidazioni. Ne fece le spese anche
Bruno Buozzi che a febbraio, cio, pochi mesi prima delle elezioni con la
nuova legge Acerbo era stato aggredito a Torino. Ma prima di lui, oggetto
di intimidazioni erano stati Francesco Saverio Nitti (a novembre del 1923
la sua casa era stata visitata dai bravi di Mussolini), Giovanni Amendola
(assalito per strada da un gruppetto di squadristi il giorno di Santo Stefano;
nel luglio del 1925, poi, sarebbe stato violentemente bastonato, un agguato
che lo avrebbe condotto pochi mesi dopo alla morte), Enrico Gonzales (can278
L A N T I FA S C I S TA
didato socialista a Genova: il suo comizio venne interrotto dai fascisti armati di bastone); dopo di lui la violenza colp mortalmente a Reggio Emilia
un altro candidato socialista, Antonio Piccinini; quindi fu la volta di Alberto
Giannini, direttore del giornale satirico, Il Becco Giallo, percosso da una
banda guidata dalluomo che uccise a colpi di pugnale Matteotti, cio Amerigo Dumini; a Bari, poi, misero letteralmente alla porta della citt tutti i
candidati socialisti facendo roteare i manganelli e agitando le rivoltelle.
Giacomo Matteotti aveva schierato il Psu su una posizione di netta
intransigenza nei confronti del fascismo: conosceva perfettamente il volto
violento del regime e degli scherani di Mussolini per averne verificato il
profilo personalmente. A Ferrara, nella sede del partito (era stato inviato l
in qualit di commissario, era stato accolto dai fascisti a sputi e a schiaffi);
a Castelguglielmo, dopo aver denunciato alla camera, facendo nomi e cognomi, gli atti intimidatori delle squadracce, era stato vittima di una pesantissima aggressione: picchiato in aperta campagna, era stato abbandonato
e costretto a tornare a Rovigo a piedi; a Padova, durante la campagna elettorale per la consultazione del 1921, era stato ancora oggetto di violenze.
Aveva sempre denunciato tutto in Parlamento e quando quel 30 maggio del
1924 alle 15,30 prese la parola, tutti, compreso Mussolini, trattennero il respiro: sapevano che il discorso del leader socialista unitario non avrebbe
risparmiato nulla e nessuno. Vale la pena rileggere quellintervento perch
una lezione di impegno e correttezza civile.
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romo. Il sesto era per Matteotti che su quellauto comp il suo ultimo viaggio.
Abbandonarono il corpo (che fu ritrovato il 16 agosto) dalle parti di Riano
Flaminio, nel bosco della Quartarella, a una ventina di chilometri di distanza
dal posto in cui venti anni dopo fu ritrovato il cadavere di Bruno Buozzi.
Era stato un discorso duro e appassionato, che apr una crisi che
avrebbe potuto portare anticipatamente alla fine del fascismo. Se ci fosse stata
maggiore determinazione, se Giovanni Amendola non avesse atteso un intervento del re (cio la rimozione di Mussolini), probabilmente le cose sarebbero
andate diversamente. Invece, ci fu solo lAventino, una risposta al tempo stesso
orgogliosa e impotente, a cui Bruno Buozzi partecip, pagando quella scelta
con la decadenza dalla carica di parlamentare decretata dalla Camera il 9 novembre del 1926, cio quando il segretario, a quel punto, della CGdL aveva
gi abbandonato lItalia per trasferire allestero lattivit sindacale.
Su quellomicidio e soprattutto sulla intransigenza di quel discorso
si sono intrecciate le interpretazioni. Renzo De Felice, ad esempio, ha sostenuto che lintervento di Matteotti serviva a bloccare la marcia di avvicinamento di alcuni esponenti della sinistra a Mussolini (ad Alceste De
Ambris il duce aveva offerto un posto ministeriale ricevendo un rifiuto;
aperture vi erano state anche in direzione di alcuni esponenti della CGdL).
A parere di altri storici, poi, lomicidio fu deciso per impedire a Matteotti
di rendere pubbliche le notizie che aveva raccolto intorno a un paio di affari
con circolazione di mazzette (uno riguardava i diritti di sfruttamento di
eventuali giacimenti petroliferi in Emilia e nel Sud alla Sinclair Oil; laltro
un traffico sotto costo di indumenti e materiali bellici) che riguardavano il
gruppo dirigente del Pnf e, direttamente, il circolo familiare del duce. Al
di l delle ipotesi, il dato concreto che in quel momento lopposizione cominci a capire che in Italia non esistevano pi spazi per una vera e libera
attivit politica e sindacale.
Un altro dato certo riguardava lo stato danimo di Matteotti, uno
stato danimo che era figlio dello spirito del tempo. Il segretario del Psu vedeva troppa rilassatezza nelle file socialiste, uninazione che sconfinava
nellarrendevolezza. La situazione doveva essere proprio quella che appariva
a Matteotti se Filippo Turati in quei mesi scriveva ad Anna Kuliscioff: Non
c anima in nessuno, tranne in Matteotti, che per trovarsi quasi solo ad
averla, riesce pi irritato e scontroso15. Contemporaneamente, il segretario
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L A N T I FA S C I S TA
del Psu scriveva al Capo storico: Il disfattismo trova tutti i pretesti e tutte
le ragioni e mi duole soprattutto quando arriva a far presa su di te che eri
uno dei pochissimi che resisteva allinerzia dei molti16. E ancora: Gli uomini del nostro partito erano tutti leoni nel buon tempo antico; ora sono
tutti presi dalla gotta... In tali condizioni non posso continuare a fare il segretario... Dirigere un esercito che continua a scappare ridicolo17. Dopo
la vittoria di Nenni al congresso del 1923, avrebbe voluto una ricomposizione del fronte socialista, una riunificazione del Psi. Quando il 7 giugno
Mussolini (giorno della fiducia al suo governo) pronunci un discorso cauto
in cui riconosceva la legittimit dellesistenza di una opposizione catturando
attenzioni nel campo socialista (anche da parte di un galantuomo come Modigliani), Matteotti ebbe la conferma che era venuto il momento di recidere
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1932: Mussolini incontra i lavoratori impegnati nella bonifica delle paludi pontine
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polemica. Aveva detto, in una intervista a LItalia del Popolo, organo del
partito repubblicano: Non i soli comunisti, ma anche parecchi socialisti e
repubblicani mi sembra nascondano nel fondo del loro cuore una viva simpatia per il sindacalismo fascista. Ci che essi detestano in esso non la
mancanza di libert, ma solo il fatto che la libert vi sia confiscata a profitto del partito fascista anzich a profitto dei loro partiti. Se si mettessero
al posto dei ventimila segretari fascisti, ventimila segretari comunisti, socialisti o repubblicani, il sindacalismo fascista diventerebbe sacro e inviolabile. Beninteso per il solo partito che riuscisse a controllarlo. Buozzi,
alla fine di agosto del 1929, replicava amareggiato: Questa dannata vita
in esilio riesce talvolta a giuocare brutti scherzi persino agli ingegni pi
eletti ed ai combattenti disinteressati... Che qualche socialista o repubblicano sia animato dai sentimenti liberticidi di cui parla Salvemini, pu darsi.
Ogni corrente politica ha sempre qualcuno che vi aderisce per sbaglio. Ma
che fra gli antifascisti siano numerosi i socialisti o i repubblicani che amerebbero confiscare fascisticamente la libert sindacale a profitto del loro
Partito, crediamo di poterlo escludere nel modo pi categorico (25). E, ricordava il segretario della CGdL che nella relazione letta due anni prima
in occasione della Conferenza Internazionale del lavoro, erano stati sottolineati due capisaldi della libert sindacale: la possibilit per i lavoratori di
scegliere senza condizionamenti lorganizzazione a cui aderire; il riconoscimento degli stessi diritti a tutti i sindacati, senza distinzioni ideologiche.
288
L A N T I FA S C I S TA
1
Bruno Buozzi, discorso alla Camera del 25 novembre del 1922; in Aldo Forbice (a cura
di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943) Fondazione
Modigliani Franco Angeli 1994, pag.183
2
Giovanni Borgognone: Come nasce una dittatura. LItalia del delitto Matteotti Laterza
2012, pag. 15
3
Denis Mack Smith: Storia dItalia dal 1861 al 1997, Laterza 1997, pag. 431
4
Bruno Buozzi, intervista al Dagens Nyheter in Bruno Buozzi scritti e discorsi, Editrice
Sindacale Italiana 1975, pag. 269
5
Giovanni Borgognone, idem pagg. 15-6
6
Bruno Buozzi, discorso alla Camera del 25 novembre 1922. Ibidem pag. 173
7
Bruno Buozzi, discorso alla Camera del 25 novembre 1922. Ivi
8
Bruno Buozzi, discorso alla Camera del 25 novembre 1922. Ibidem pag. 174
9
Bruno Buozzi, discorso alla Camera del 25 novembre 1922. Ivi
10
Bruno Buozzi, discorso alla Camera del 25 novembre 1922. Ibidem pagg. 174-5
11
Bruno Buozzi, discorso alla Camera del 25 novembre 1922. Ivi
12
Bruno Buozzi, discorso alla Camera del 25 novembre 1922. Ibidem pag. 177
13
Bruno Buozzi, discorso alla Camera del 25 novembre 1922. Ibidem pagg. 177-8
14
Giacomo Matteotti, discorso alla Camera del 30 maggio 1924
15
Mario Isnenghi: Storia dItalia. I fatti e le percezioni dal Risorgimento alla societ
dello spettacolo Laterza 2011, pag. 433
16
Mario Isnenghi, Ibidem pag. 434
17
Mario Isnenghi, Ivi
18
Bruno Buozzi, intervento al sesto congresso della CGdL, 12 dicembre 1924, in Aldo
Forbice (a cura di): Riformismo e sindacato. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (19101943) Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 121
19
Bruno Buozzi, intervento al sesto congresso della CGdL, 12 novembre 1924, in Aldo
Forbice, Ibidem 126
20
Benito Mussolini, discorso alla Camera del 3 gennaio 1925
21
Benito Mussolini, Ivi
22
Benito Mussolini, Ivi
23
Benito Mussolini, Ivi
24
Mario Isnenghi, op. cit. pag. 452
25
Bruno Buozzi: Per la verit e per la storia in lOperaio Italiano 31 agosto 1929; da
Bruno Buozzi: Scritti dallesilio, Opere Nuove 1959, pagg. 22-3-4
289
Il no al duce
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
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IL NO AL DUCE
della Confederazione, confermava il suo rifiuto a rientrare in Italia e riprendere il suo posto di responsabilit, non restava altra soluzione possibile
che la cessazione di ogni attivit e la chiusura della sede4. Maglione faceva finta di non ricordare che con ampio anticipo (novembre 1926) il segretario gli aveva comunicato lintenzione di trasferire allestero la CGdL.
Il fatto che intorno allo scioglimento si svilupparono manovre di vario
tipo che dovevano portare a una sorta di bacio della morte: la confluenza
sostanziale dei vecchi sindacati liberi con quelli decisamente meno liberi
organizzati per conto del fascismo da Edmondo Rossoni. Tentativi che non
si esaurirono certo in un giorno, in una settimana o in un mese. Continuarono a lungo, anche dopo la partenza di Buozzi e cercarono, alla fine, (come
vedremo tra poco) di coinvolgere pure il Segretario Confederale.
Maglione offriva nel suo scritto uno spaccato di questo intenso pasticciare: Baldesi... mi aveva fatto recapitare una lettera per richiedere la
convocazione del Consiglio. Ed io mi recai allora a Roma, dove mi incontrai con lui, con Lodovico Calda e con DAragona. Baldesi mi rifer di un
suo incontro con Rossoni e della sua intenzione di proporre il passaggio
motivato della Confederazione ai sindacati fascisti, al che io opposi subito
che, in assenza di Buozzi e indipendentemente da ogni veduta personale,
nessuno avrebbe potuto impegnare il nome della Confederazione5. Nelle
storie di tradimenti, per, vi sono anche risvolti affaristici. Abbiamo precedentemente riportato un passaggio di una lettera a Saragat in cui il Segretario Confederale indicava gli uomini che a suo parere maggiormente
si erano distinti in questa penosa vicenda. Tra questi, Lodovico Calda,
che aveva, infatti, un interesse personale ed economico da soddisfare nel
rapporto con Mussolini. Calda era leditore del Lavoro di Genova le cui
pubblicazioni erano state sospese per disposizione delle autorit di governo,
proprio in virt delle nuove leggi sulla stampa (quando ricominciarono, il
quotidiano divenne una sorta di organo del sindacalismo fascista). Raccontava ancora Maglione: Calda mi rifer del suo incontro con Mussolini
presso il quale si era recato come presidente della Societ editrice Il Lavoro di Genova per chiedere di poter riprendere la pubblicazione del quotidiano, e dalla risposta avutane cap che tutto doveva ritenersi legato a
quanto sarebbe stato deciso in merito alla Confederazione del Lavoro. Da
DAragona mi recai insieme a Calda e, nelloccasione, io affacciai la tesi
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IL NO AL DUCE
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alle critiche del segretario confederale, affermava: Accuse che si compendiamo nella tua assenza ingiustificata dallItalia e nellaver organizzato
senza autorizzazione un ufficio allestero senza nessuna pratica utilit.
Le critiche di Buozzi riguardavano il manifesto costitutivo dellAssociazione Problemi del Lavoro e Colombino replicava: Tu ti sei
creato un bersaglio artificiale, ti sei creato un manifesto di comodo, delle
dichiarazioni politiche che esistono soltanto nella tua fantasia, e poi gi a
palle infuocate come un Don Chisciotte in miniatura. Tu abusi di unarma
polemica che il tempo ritorcer contro di te7. evidente che il tempo ha
prodotto ben altri effetti visto che il Regime si manifest per quel che effettivamente era e che quella Associazione di Studio non riusc ad avere
alcun effetto concreto sullevoluzione del sindacalismo fascista che rimase
sempre uno strumento nelle mani del sistema. Le certezze di Colombino
erano in quel momento, la conseguenza di una coscienza inquieta, che doveva fare i conti con scelte che non avevano nulla a che vedere con il passato collettivo e, soprattutto, personale, che ne erano, anzi, laperta smentita.
E, allora, andava allattacco: I dirigenti responsabili che sono rimasti al loro posto han creduto bene di tagliar netto col passato, e ne
avranno avuto le loro brave ragioni. Ma di questo scrivi ai responsabili,
non a me, i quali ti accusano di aver trasportato senza autorizzazione lorganizzazione per mantenerti il posto (Parole e musica non di Colombino)8.
Le contraddizioni sono evidenti. Da un lato Maglione riconosceva che nelle
mani di Buozzi si concentravano tutti i poteri pertanto poteva senza autorizzazione, portare allestero la sede della CGdL anche perch ormai da
mesi, soprattutto dopo il discorso di Mussolini alla Camera, si discuteva
allinterno dellorganizzazione sul futuro. Buozzi stesso era stato eletto per
salvare il salvabile in una situazione disperata (e con i vertici della Confederazione, a cominciare da DAragona, costretto a mollare la poltrona manifestando disponibilit inquietanti nei confronti del Regime). Dallaltro
lato, che la scelta del segretario non fosse un fulmine a ciel sereno (e non
fosse frutto di una scelta individuale, per salvare il posto) veniva confermato dal fatto che mentre da un lato si provvedeva a chiudere in Italia il
giornale Battaglie Sindacali, dallaltro, dallaprile del 1926, si apriva a
Parigi lOperaio Italiano. E tutto questo mentre, dallaltra parte si costituiva lAssociazione di Studio e Il Lavoro si trasformava ne Il Lavoro
298
IL NO AL DUCE
fascista diventando un pezzo di quella nuova Italia che Colombino evocava in conclusione della sua lettera: E ora una parola di consiglio, se
permesso. Tutto al mondo cambia. Cambiano le situazioni nel nostro Paese.
Cercare di essere pi sereni e rallentare, nel vostro interesse e nellinteresse
dellItalia, quelle vostre campagne che non possono produrre alcun effetto
che un inasprimento allinterno. I profughi che combattono lo straniero
accampato in Patria hanno avuto sempre ragione. I profughi che combattono contro il proprio paese in gestazione politica hanno avuto sempre
torto. La Rivoluzione francese e la Rivoluzione Russa insegnano. Noi, comunque si voglia giudicare il passato, siamo al punto della ricostruzione
politica del Paese. A questo lavoro dobbiamo cooperare perch solo a ricostruzione politica compiuta andremo verso la nuova democrazia e verso
la Libert!9. Colombino mor a Roma nel 1933: la sorte gli ha impedito
di prendere atto dellinfondatezza delle sue ragioni e, soprattutto, degli errori marchiani contenuti nelle sue profezie; lItalia avrebbe conosciuto solo
un disperato e tetro futuro di guerra.
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
IL NO AL DUCE
siderandolo lautore di un articolo (anonimo) apparso su lOperaio Italiano nel gennaio precedente. Il segretario confederale, a quel punto, riprese carta e penna e scrisse una lettera aperta che cominciava in maniera
estremamente diretta: Quel vecchio confederale che avete creduto di identificare nella mia persona non intende mostrare la faccia per lovvia ragione che non vuole correre lalea del domicilio coatto per far piacere a
voi14. Qualcosa stava cambiando nel consenso che il regime era riuscito
comunque a costruirsi attorno. In Europa si respirava unaria, anche a causa
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Nel 1928 aveva provveduto a modificare ulteriormente la legge elettorale facendole assumere un carattere puramente plebiscitario-confermativo.
La scelta degli elettori, che lessenza di una consultazione democratica, era
stata totalmente abolita. Le organizzazioni dei lavoratori e degli industriali
sottoponevano un elenco di nomi al Gran Consiglio che li filtrava e li inseriva
in un listone. Agli elettori venivano consegnate due schede, una che approvava la lista dei candidati e li mandava alla Camera (la domanda posta era
semplicissima, come la risposta daltronde: Approvate voi la lista dei deputati designati dal Gran Consiglio Nazionale del Fascismo?), laltra che, teoricamente, disapprovava e li lasciava a casa. Non solo. Per essere sicuro dei
risultati del suo lavoro, Mussolini restrinse anche larea del suffragio che
non aveva pi nulla di universale visto che potevano partecipare solo i maschi
iscritti a un sindacato, a una associazione di categoria, al partito, i militari e
i religiosi. Risultato: gli aventi diritto al voto scesero da 12,1 milioni a 9,5.
Laffluenza alle urne il 24 marzo 1929 fu, ovviamente oceanica, al pari del
consenso certificato con la scheda di conferma (che significativamente era
rossa, bianca e verde; laltra soltanto, quasi tristemente, bianca). Otto milioni
e mezzo di italiani, cio il 98,3 per cento dei votanti, disse che quelli scelti
LItalia ha una nuova legge elettorale: ecco la scheda tricolore del plebiscito
con la quale si confermano semplicemente le scelte compiute dal Gran Consiglio
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dal Gran Consiglio erano i migliori deputati che il Paese potesse desiderare
e, pertanto, potevano andare a occupare gli scranni parlamentari. Solo l1,6
per cento (135.773) non li ritenne degni. Sullaffidabilit delle cifre corrono
molti dubbi perch probabilmente i votanti non furono quelli dichiarati (non
aveva alcun senso mettere una croce su un foglio di carta) e i contrari molto
probabilmente furono creati ad arte, cos, per dare limpressione che in Italia
esistesse ancora un barlume di libert.
Prima che questa triste e insignificante liturgia avesse luogo, Antonio Buozzi, il fratello di Bruno, part alla volta di Parigi (venne contattato
il 4 febbraio e l11 prese il treno per la Francia dopo aver rapidamente ottenuto il passaporto). Antonio era anche lui socialista e anche lui militante
sindacale. A muoversi fu personalmente Mussolini che pieg anche le resistenze di Rossoni che non amava particolarmente il segretario della
CGdL. Non solo, lo obblig anche a un viaggio a Torino per convincere il
fratello di Buozzi a partecipare a questa missione. Il messaggio era
chiaro: per Bruno le porte dellItalia erano aperte. Nelloperazione erano
coinvolti anche il ministro dellinterno Michele Bianchi, Ezio Villani, ex
ispettore della CGdL e Romualdo Rossi, amico di Villani ma soprattutto di
Bianchi. La risposta del leader sindacale fu ovviamente negativa anche perch a una sola condizione lui avrebbe potuto prendere in considerazione il
ritorno nel suo Paese: la restituzione agli italiani delle libert politiche e
sindacali, ipotesi che non albergava certo nella mente delduce. Fu sempre
Antonio a riferire direttamente al capo del fascismo la risposta. Ma era evidente che bisognava squarciare il velo di segretezza che avvolgeva quella
strana trattativa anche per evitare strumentali interpretazioni e per non lasciare dubbi tra i lavoratori. Solo che non si poteva dare pubblicit alla vicenda mettendo in difficolt Antonio. La soluzione fu semplice: una lettera
di Buozzi a Ezio Villani, risposta che poi sarebbe stata veicolata sugli organi
di informazione, con prudenza e discrezione. Anche Villani era convinto
che la cosa si potesse fare e aveva fatto pervenire a Buozzi qualche messaggio in tal senso. Ma se le porte dellItalia erano aperte, quelle di Buozzi
nei confronti del fascismo erano chiuse.
E a Villani lo spiegava sin dalle prime righe dicendo che gli rispondeva solo per due ragioni: Perch la stima che ho di te e la nobilt con
cui redatta la tua lettera meritano particolare riguardo; perch desidero
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IL NO AL DUCE
sono possibili solo tra forze che hanno la stessa possibilit di manifestarsi
liberamente, e non quando una di essa in completa bala dellaltra. Trattative di carattere politico sono possibili solo fra due forze che, in caso di
mancato accordo, possono riprendere ciascuna la propria libert senza che
una di essa possa essere ridotta al pi umiliante silenzio dallaltra. Quando
insomma c una forza che pu concedere e togliere a sua libido, e quando
in caso di conflitto, una di tali forze pu essere relegata in carcere o al domicilio coatto senza che abbia neppure la possibilit di far conoscere la pi
minima delle sue proteste, le trattative sono peggio che una irrisione21. Allamico, Buozzi impartisce una piccola lezione di dinamica democratica:
in un sistema che sia veramente tale, il confronto tra pari, non mai sbilanciato in un verso piuttosto che in un altro, perch solo tra pari le scelte
non sono strumentali o, peggio ancora, obbligate. la sintassi della democrazia, spiega, il segretario confederale. Che poi passa ad analizzare la questione sul versante della dignit personale e della fedelt ai valori.
Diceva: Ammesso pure e non concesso che si accettassero delle
trattative, e che il governo fascista, veramente compreso della necessit di
una sistemazione, facesse le pi larghe concessioni, intuitivo che queste,
per il sol fatto di essere state discusse e concesse ad hominem perderebbero
a priori qualsiasi efficacia. pure intuitivo che chiunque ottenesse per s
ci che viene rifiutato ad altri, finirebbe, per questo solo fatto, per perdere
inesorabilmente e giustamente il prestigio che gode. Guarda cosa accaduto al gruppo Rigola. Anzich chiedere, nel modo strettamente burocratico
voluto dalla legge, il consenso di costituire la sua associazione e di pubblicare la sua rivista, ha voluto trattare e patteggiare ed ha finito per essere
considerato fascista o fiancheggiatore del fascismo e per svalutato prima
ancora di iniziare la sua opera. Daltro canto, io mi sentirei il pi spregevole degli italiani se, nella mia qualit di Segretario della Confederazione,
pi ancora che di antifascista, discutessi ed ottenessi per me una libert
che non concessa agli altri italiani. Io non ammetto, dunque, neppure in
ipotesi, trattative personali e concessioni ad hominem. Per me, al fascismo,
non ho nulla da chiedere. La nostalgia della patria tortura lanimo mio e
quello di molti altri, ma il problema ripeto supera la persone. Luomo
dabbene diceva Platone per quanto maltrattato dalla Patria, conserva
eternamente nel cuore un interesse per lei e cerca le occasioni di riconci309
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liarsi con essa e di servirla. Ma nelle condizioni attuali credo profondamente di servirla meglio qui, piuttosto che a Roma o a Torino per graziosa
concessione del fascismo22.
Infine, il giudizio morale e storico prima ancora che politico, sul fascismo, un giudizio che ha il sapore di una profezia (che non vale solo per
qualche mente malata o qualche revisionista daccatto): Io considero sempre il regime fascista come un regime anacronistico per i nostri tempi, e
penso che verr forse un giorno in cui nessuno oser assumere le sue difese.
Esso almeno per me un castello costruito sulla sabbia, un colosso dai
piedi dargilla. Potr resistere dei decenni, ma se non si trasformer profondamente, croller quando meno il mondo se laspetta23. La conclusione
una condanna senza appello, formulata molto prima che la storia ne scrivesse le motivazioni: Fino a quando ci saranno leggi eccezionali, fino a
quando ci sar il Tribunale speciale, fino a quando ci sar il domicilio coatto, fino a quando non ci sar libert di stampa, di riunione e di parola,
follia pensare ad una qualsiasi sistemazione che non sia basata sulla
forza(24).
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Lautonomia sindacale
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pri strumenti rivoluzionari, quindi schiettamente politici. Scriveva il giovane intellettuale comunista: Se i funzionari dellorganizzazione sindacale
considerano la legalit industriale come un compromesso necessario ma
non perpetuamente, se essi rivolgono tutti i mezzi di cui il sindacato pu
disporre per migliorare i rapporti di forza in senso favorevole alla classe
operaia, se essi svolgono tutto il lavoro di preparazione spirituale e materiale necessario perch la classe operaia possa in un momento determinato
iniziare unoffensiva vittoriosa contro il capitale e sottometterlo alla sua
legge, allora il sindacato uno strumento rivoluzionario, allora la disciplina sindacale, per quanto rivolta a far rispettare dagli operai la legalit
industriale, la disciplina rivoluzionaria. I rapporti che devono intercorre
tra sindacato e Consiglio di Fabbrica debbono essere considerati da questo
punto di vista: dal giudizio che si d sulla natura e il valore della legalit
industriale. Il Consiglio la negazione della legalit industriale, tende ad
annientarla in ogni istante, tende incessantemente a condurre la classe
operaia alla conquista del potere industriale, a far diventare la classe operaia la fonte del potere industriale... Il Consiglio tende, per la sua spontaneit rivoluzionaria, a scatenare in ogni momento la guerra delle classi2.
Una interpretazione delle rappresentanze che certo non poteva essere apprezzata da Buozzi (non a caso, il leader della Fiom assecond molto
parzialmente le spinte che venivano dal gruppo torinese raccolto intorno
allOrdine Nuovo, non avendo particolare fiducia in quelle strutture e,
soprattutto, delluso che ne veniva ipotizzato). In un simile contesto, lidea
di autonomia, evidentemente, svaniva: il Consiglio di Fabbrica diventava
motore della rivoluzione; quasi scomparivano dalla sua costituzione materiale quelle funzioni che sono tipiche di un sindacato, soprattutto allinterno
dei luoghi di lavoro. Si trattava di una distribuzione di compiti e di prerogative che ricordava altre polemiche, in particolare quella con i sindacalisti
rivoluzionari, polemiche alle quali avevano risposto soprattutto i principali
animatori della Critica Sociale, cio gli ideologi del riformismo. Precedentemente abbiamo parlato della polemica di Turati e Treves con gli autori
della mozione che, nel corso del congresso di fondazione della Federterra,
avevano auspicato la trasformazione delle Camere del Lavoro in luoghi di
stretto rito socialista. Una soluzione poco sostenibile dal punto di vista
dei due esponenti riformisti perch finiva per restringere il campo sociale
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L A U T O N O M I A S I N D A C A L E
in cui pescare nuovi adepti e perch poteva avere come conseguenza la fuga
dei pi timorosi e dei meno consapevoli. Era il 1901. Quattro anni dopo
Antonio Graziadei chiedeva spazio alla rivista per sostenere che se il Psi
(considerato una aggregazione sociale caratterizzata dalla massiccia presenza di figure borghesi) aveva fede nella classe operaia o, almeno, nei
gruppi pi evoluti di essa, ha lobbligo tanto di volere che quella, o almeno
questi, riescano a sciogliersi dai loro protettori (cio i socialisti, n.d.a.),
quanto di aiutarli sinceramente perch un simile passaggio si compia in
modo pi rapido e sicuro. Una tale emancipazione del resto fatale...
naturale che il movimento operaio, aumentando di coscienza e coincidendo
con una maggiore coscienza e sincerit anche delle altre classi, debba fi-
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Con un articolo che evidentemente rappresentava la linea del giornale (firmato, appunto, Critica Sociale), Turati e Treves replicavano ancora una volta contestando questa idea che avrebbe dovuto indurre il
sindacato ad allargare i propri confini fino a identificarsi col partito e a sostituirsi al partito. Scriveva la rivista: Codesto sindacalismo vero e genuino
e riformista per la pelle si propone (quando sar tempo) questi due obiettivi: 1) emancipare la classe operaia da tutti i partiti, compreso il partito
socialista (due cose dunque, per il Graziadei, affatto distinte tra loro) decomponendo questultimo, togliendogli ogni ragione dessere, cacciando
dal movimento operaio i medici, i professori, gli avvocati, ecc. (ahim sciagurato sindacalismo rivoluzionario se questo dovesse avvenire); 2) rinforzare lazione economica del proletariato rispetto alla sua azione politica e
parlamentare. Orbene tutto questo discorso noi labbiamo gi udito; appartiene ai ricordi della nostra giovinezza... Soltanto, allora tutto ci aveva
un altro nome, si faceva chiamare corporativismo. Le decisioni del congresso di Stoccarda non erano state ancora adottate e la CGdL non era nata
ma ai riformisti lidea di emarginare in una ridotta totalmente proletaria il
movimento andava poco a genio. Continuava la rivista: Un movimento
proletario, barricato gelosamente entro rigide dogane professionali, privato
volontariamente delle disinteressate testimonianze delle forze economiche,
intellettuali e morali, che gli vengono dalle adesioni dei transfughi delle altre
classi, un movimento che si diminuisce e si castra con le proprie mani.
In nome della purezza rivoluzionaria, insomma, non si possono co320
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bersaglio delle critiche, sottoline come in quel momento il Psi fosse nelle
mani dei massimalisti, che al tavolo in cui venne deciso di mantenere lagitazione sul terreno economico non ravvisando ancora linsorgere di condizioni rivoluzionarie, cera Egidio Gennari che di quellala era autorevole
esponente. Turati alle indicazioni del congresso di Stoccarda sostanzialmente si uniform, forse anche perch in quel momento doveva combattere
loffensiva dei sindacalisti rivoluzionari. Ma lidea che il sindacato dovesse
andare oltre i confini del Psi per avere dimensioni sociali pi ampie, era
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radicata nel suo modo di intendere il rapporto tra le due entit. Poi evidente che nella logica di allora (che diversa da quella attuale), lui vedeva
Partito e sindacato protesi comunque verso il medesimo obiettivo (cio il
socialismo), ma divisi sul tipo di azione che i due soggetti dovevano sviluppare quotidianamente.
La questione del rapporto stata posta periodicamente in Italia. Le
relazioni tra sindacato e partito non sono state sempre amichevoli, anzi a
volte sono diventate conflittuali. Erano proprio queste divergenze, questo
continuo braccio di ferro, che inducevano (ma non solo, cerano anche ragioni pi contingenti che emersero chiaramente negli anni a ridosso dellavvento del fascismo) Rinaldo Rigola a prefigurare un Partito dei
Lavoratori, tentazione ricorrente che Buozzi, con grande realismo, metteva
in un cantuccio perch convinto che lItalia non era lInghilterra. Non lo
era per condizioni economiche: la struttura industriale del nostro Paese non
era, in quel momento, nemmeno lontanamente paragonabile a quella britannica. Non lo era per condizioni sociali: il grande divario tra Nord e Sud,
la profonda diversit da un punto di vista produttivo di queste due facce
del medesimo stato. Non lo era per tradizioni politiche: il laburismo non
era stato affascinato da Marx nella medesima misura in cui lo era stato il
socialismo italiano. Conclusione: se la maturazione dal punto di vista della
coscienza di classe in Gran Bretagna era stata favorita dal lavoro delle Trade
Unions che poi lo travasarono nel partito, in Italia non era percorribile la
strada nel medesimo senso di marcia.
Buozzi lo diceva con chiarezza: lInghilterra lontana. Ma pur essendo il partito la filiazione del sindacato, in tempi anche recenti (ad esempio, con Tony Blair) le relazioni fra i due soggetti non sono state idilliache.
Non ci si pu sorprendere se anche in Italia vi siano stati dei momenti di
incomunicabilit, se ci sono state delle fasi in cui il partito ha prevaricato
il sindacato e altre in cui alle confederazioni stata contestata laccusa di
pansindacalismo, cio lintenzione di invadere il campo dei partiti per realizzare, di fatto, una sostituzione (soprattutto alla fine degli anni Sessanta
e agli inizi dei Settanta), per rivendicare una azione di supplenza. Una storia, insomma, che non si sviluppata secondo una linea retta. Ma in questo
contesto emergono con maggiore chiarezza i meriti di Buozzi. Ha scritto
ancora Piero Boni: Senza autonomia non vi valida coscienza operaia e
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Di qui le sue critiche severissime e senza appello al sindacato fascista. In esilio scriveva a proposito dei rinnovi contrattuali messi a punto
dal regime: Se i gerarchi fascisti non fossero ignoranti presuntuosi, per
non dire di peggio, potrebbero difendere magnificamente gli interessi dei
lavoratori chiedendo laggiornamento dei vecchi contratti di lavoro stipulati dalla Confederazione Generale del Lavoro. Se, ad esempio, avessero
preso i vecchi contratti della Fiom. Ed avessero chiesto di aumentare i salari in relazione allaumento verificatosi nel costo della vita, ne sarebbe
uscito un contratto di lavoro con salari superiori, e, soprattutto, con clausole che permetterebbero agli operai di farlo rispettare facilmente. Esisterebbero, ad esempio, quelle tali commissioni interne che impedivano agli
industriali di applicare il lavoro a cottimo come fanno attualmente, cio
come un sistema di salario esoso ed inumano sfruttamento. Ma il fascismo,
che pure si vanta tanto forte, ha una tremenda paura di quel passato che
sperava di aver distrutto. Delle antiche organizzazioni esso non pu ricordare n il nome n le opere. Ma nomi ed opere sono nel cuore e nel cervello
di troppi lavoratori perch possano essere dimenticate. Spetta a questi lavoratori spiegare ai giovani che tutto ci che il fascismo ha cambiato o sostituito, ha cambiato e sostituito in peggio8.
LAutonomia di Buozzi era un valore allo stesso tempo complesso
(per la variet dei riferimenti) e semplicissimo. In questo, probabilmente,
lo aiutava proprio la sua formazione riformista, pragmatica e poco incline
agli eccessi dottrinari. Questi aspetti della lotta politica li lasciava ad altri.
Il suo interesse era per i risultati concreti che erano figli dellidentit ideologica e della coerenza. Per lui, sino alla fine, i compiti erano chiari: il partito coltivava le coscienze, il sindacato faceva la lotta di classe. Ma la
semplicit non deve essere confusa con il semplicismo perch se vero che
Buozzi non era un raffinato ideologo preferendo le soluzioni concrete
(anche per questo non lo affascin troppo la storia dei gramsciani Consigli
di Fabbrica), anche vero che il meglio delle sue elaborazioni si ritrovano
in quelle che oggi chiameremmo piattaforme rivendicative, negli accordi.
Finita la guerra lui avanz una serie di richieste che andavano dalla Repubblica alla Costituente (che trov fredda accoglienza nel partito) al controllo
delle fabbriche. Certo, poi cerano anche i miglioramenti salariali, le riduzioni dorario, le conquiste che riguardavano la vita quotidiana degli operai
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1
Piero Boni: Bruno Buozzi e il patto di Roma. Cronaca e storia dellunit sindacale
Ediesse 1984, pag. 10
2
Antonio Gramsci: Sindacati e Consigli LOrdine Nuovo, 12 giugno 1920
3
Antonio Graziadei: Sindacalismo, riformismo, rivoluzionarismo in Giuliano Pischel:
Antologia della Critica Sociale 1891-1926 Lacaita 1994, pagg. 202-3
4
Critica Sociale: Sindacalismo riformista? in Giuliano Pischel: Antologia della Critica Sociale 1891-1926 Lacaita 1994, pagg. 204-5
5
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Lunit sindacale
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L U N I T S I N D A C A L E
La rottura tra sindacato e comunisti aveva ragioni profonde, ragioni politiche non facilmente risolvibili. Perch in ballo vi era linterpretazione della
funzione che il nuovo partito attribuiva alle organizzazioni sindacali. Una
interpretazione che aveva un contraccolpo diretto ed evidente sul concetto
di autonomia e, di conseguenza, sullunit visto che i due termini della questione si tenevano inevitabilmente insieme. Spiegava ancora Buozzi in
quella relazione ricordando luscita dal Psi di Bissolati e Bonomi: La recente scissione di Livorno ha indiscutibilmente basi diverse e pi profonde.
Gli usciti del 1913, sopravvalutavano il movimento economico al punto da
considerare il partito un ramo secco, i comunisti odierni sopravvalutano
il movimento politico al punto da considerare i sindacati come degli strumenti ciechi dellazione del partito: ma mentre i primi non contavano su
masse compatte e potevano essere considerati dei capitani senza soldati, i
secondi invece hanno effettivamente forti nuclei compatti, dei quali la Confederazione Generale del Lavoro dovr tener conto. In sostanza Buozzi
non voleva dare alla conferma del Patto dAlleanza con il Psi il significato
di una rottura con gli operai comunisti; avvertiva la necessit di tenerli dentro lorganizzazione evitando scismi che avrebbero potuto creare solo problemi al sindacato.
Tanto vero che nel valutare le motivazioni dellindubbio seguito
di cui godeva il PCdI allinterno della classe lavoratrice (i comunisti hanno
le loro forze intrinseche notevolmente valorizzate dallo stato danimo delle
masse esasperate dalle sofferenze fisiche e morali sopportate durante la
guerra e dallautorit che proviene loro dallessere considerati i soli fedeli
del verbo della Terza Internazionale), il segretario della Fiom sottolineava
con toni e intenti polemici: Il tempo far giustizia anche di questo (cio
del fatto di sentirsi unici depositari del verbo socialista, n.d.a) e dir
pure se siano stati pi utili a Mosca coloro che lhanno adulata e continuano ad adularla servilmente, o coloro invece che con pi alta dignit di
uomini e di socialisti si sono sforzati di essere di essa dei ferventi e sinceri
collaboratori, senza rinunciare peraltro ad esprimere francamente il loro
pensiero, non tacendo n sottacendo le particolari condizioni ed esigenze
del loro paese5.
Buozzi riteneva che lunit dellorganizzazione la si tutelava molto
meglio attraverso laffermazione del principio di autonomia, che doveva
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zia dellunit: gli unici soci con diritto di voto e di parola allinterno
dellOrganizzazione erano i lavoratori rappresentati (non solo quelli con
tessera visto che nel frattempo nascevano anche i Consigli di Fabbrica),
non i leader politici che avevano altri compiti a cui assolvere e che dovevano tenersi alla larga delle tematiche proprie del sindacato.
Tutto questo, semmai non completamente o pienamente sviluppato era
gi presente in Bruno Buozzi. Sar quella spinta unitaria che lo porter, dopo
la seconda e la terza scissione (quella dei riformisti di Turati del 1922 e
quella dei terzinternazionalisti di Serrati nel 1923) a liberarsi le mani, a
riprendere la libert di azione perch da quella babele di voci lorganizzazione sindacale correva il rischio di uscire stordita. A quel punto, con tanti
interpreti del pensiero e delle necessit proletarie, meglio non avere patti rigidi di alleanza che finivano per creare oggettivamente un rapporto di subalternit rispetto allalleato scelto. Ci non toglie che quando le condizioni
garantirono un ritorno alla logica unitaria, Buozzi le sfrutt. Quando i socialisti sanarono la frattura delle due sigle (Psi e Psu) Buozzi partecip attivamente alla ricomposizione; quando le condizioni di impraticabilit
democratica obbligarono i comunisti a rinunciare allidea di un sindacato
clandestino, Buozzi favor la riunificazione superando le vecchie polemiche;
quando con la caduta di Mussolini fu possibile ripristinare limmagine di un
sindacato che rimetteva insieme tutte le vecchie anime (quella comunista e
quella cattolica anticipando cos la rinascita della Cgil unitaria) lui volle in
qualit di vice-commissari alla morente corporazione dei lavoratori da un
lato Giovanni Roveda (comunista) e dallaltro Gioacchino Quarello (cattolico); fu decisiva la sua azione nelle trattative che portarono al Patto di
Roma, un accordo che non fu esattamente come lui avrebbe voluto e anche
per questo nacque debole (fu poi ulteriormente indebolito dalle condizioni
politiche internazionali e nazionali, queste ultime riflesso delle prime).
Lunit, insomma, un valore che non nasce dalla capacit di mettere insieme sigle di partiti di diversa provenienza ideologica. Nasce dalla
capacit del sindacato di rappresentare ed esprimere le esigenze della classe
operaia, di organizzare vertenze e stringere accordi che corrispondano al
profondo sentire dei lavoratori. Lunit non pu essere un processo posticcio, non pu essere la somma di contingenti interessi, deve essere, al contrario, la sintesi di vaste e radicate ragioni. La Flm, ad esempio, non fu il
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Tasca ne era convinto: La direzione del partito ha perduto dei mesi interi
a predicare la rivoluzione ma non ha previsto niente, niente preparato:
quando i voti... danno la maggioranza alle tesi confederali, i dirigenti tirano un sospiro di sollievo. Liberati adesso da ogni responsabilit possono
gridare a piena gola al tradimento della CGdl: hanno cos qualcosa da offrire alle masse che hanno abbandonato nel momento decisivo8. Analisi
che conforta quella che nel 1935 svolse, in maniera molto secca e diretta,
Bruno Buozzi: La causa principale della sconfitta del movimento socialista italiano va addebitata alla mancanza di decisione degli organi dirigenti del partito.
In quello storico vertice, la Fiom si astenne. Pensava che fosse possibile giocarsi una carta di riserva che poi non era tanto di riserva perch
faceva parte integrante delle rivendicazioni politiche che accompagnavano la vertenza: linstaurazione di una Repubblica che consentisse di aumentare il tasso di democrazia in Italia, la creazione di una Costituente, un
governo di coalizione con il Psi al suo interno per realizzare tutte le riforme politiche ed economiche pi insistentemente reclamate dal proletariato socialista e compatibili con le condizioni del paese9. La
prefigurazione di quello sbocco fa capire la connotazione estremamente
politica che il segretario della Fiom aveva cominciato a dare allazione della
sua organizzazione. Insomma, i miglioramenti non erano pi sufficienti;
per offrire garanzie ai lavoratori bisognava fare uscire lItalia dal pantano
di una monarchia che non aveva mai assecondato le spinte modernizzatrici
presenti nella societ, che non riusciva a comprendere pienamente che il
mondo stava cambiando e che decise, alla fine, di assecondare questo cambiamento nella maniera peggiore, cio favorendo linstaurazione di un regime autoritario, un regime, come avrebbe scritto Buozzi, fuori dal tempo
e dal consesso degli stati europei pi civili.
su piattaforme forti che si costruisce lunit forte. E quella di
Buozzi era una piattaforma forte, con la quale si puntava alla trasformazione della societ pur non mettendo nel conto il totale abbattimento vagheggiato, al contrario, dai comunisti. Era pur sempre una via di uscita
graduale dalla crisi di quei tempi (che era economica ed istituzionale) ma
pi realistica di una rivoluzione soltanto sperata ma mai preparata (come
sosteneva Tasca). Quella nuova Italia che Buozzi aveva in mente avrebbe
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1
I riformisti a cui fa riferimento il segretario della Fiom sono Leonida Bissolati e Ivanoe
Bonomi entrambi espulsi nel 1912 dal partito non avendo preso posizione contro la guerra
libico-turca.
2
Bruno Buozzi: Intervento al congresso della CGdL svoltosi a Livorno dal 26 febbraio al
3 marzo 1921; in Aldo Forbice (a cura di): Riformismo e sindacato. Bruno Buozzi, scritti
e discorsi (1910-1943) Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 98
3
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ma che cambi aria perch quella austriaca, per via di Hitler, era diventata
irrespirabile. A Parigi avevano trovato accoglienza gli uomini del sindacato: Giovanni Bensi e Pallante Rugginenti, esponenti della Confederazione, leali a Buozzi; il leader dei ferrotranvieri, Giuseppe Sardelli, e quello
degli edili, Felice Quaglino, lesponente delle cooperative ravennati, Nullo
Baldini. Cerano le condizioni per provare a ricominciare. Dopo il famoso
discorso del 3 gennaio del 1925 di Benito Mussolini, dopo laccordo di Palazzo Vidoni, dopo le leggi che avevano consegnato ai sindacati fascisti,
fedeli maggiordomi del regime, la forzata rappresentanza dei lavoratori
che, per, non si poteva esercitare in forme conflittuali visto che il diritto
di sciopero era stato abolito insieme ad altre libert fondamentali come
quella di stampa e, quindi, di espressione del pensiero. Buozzi e i suoi uomini pi fedeli avevano cominciato a lavorare per trasferire la Confederazione in Francia (mentre gli altri, come abbiamo visto, lavoravano per
trasferire se stessi sotto lombrello protettivo e generoso di Mussolini).
Chiuso in Italia il giornale Battaglie Sindacali, i capi dellorganizzazione avevano cominciato ad adoperarsi per aprirne uno in esilio, al
riparo dalle vessazioni non solo politiche ma anche economiche (espropri).
Ad aprile del 1926, lOperaio Italiano era gi una realt; il 1 maggio,
data altamente simbolica, il primo numero vedeva la luce. Era soprattutto
un manifesto: lillustrazione di quelle che sarebbero state le finalit politiche (a medio termine, evidentemente) e quelle pratiche (a breve termine)
di quel foglio che avrebbe dovuto tenere accesa nei cuori dei lavoratori
italiani la luce della CGdL. Ovviamente tra gli obiettivi, la lotta al fascismo
sino al suo abbattimento, sino allestirpazione della mala pianta che aveva
inquinato i terreni della Penisola rendendoli aridi dal punto di vista dei diritti; la contestazione continua, puntuale, dei sindacati fascisti, incompatibili
con una idea vera di organizzazione a tutela del lavoro e dei lavoratori; la
battaglia per la riaffermazione di quel sindacalismo libero che continuava
a far sentire la sua voce, seppur flebile, dallesilio; difesa dei diritti dei lavoratori stranieri, italiani in particolare, la maggior parte dei quali obbligati
ad abbandonare il proprio paese perch contrari alla dittatura. La nostra
sar una azione pratica, terra terra, come ai primi tempi in cui si cominci
la costituzione di quelle meravigliose organizzazioni violentemente distrutte
dal fascismo per mandato delle classi padronali1. Ricominciare a vivere:
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IN ESILIO
questo era lobiettivo, contro gli attacchi di un regime che usava la repressione per rendere schiavo un paese; contro lindifferenza di tutti quelli, a
cominciare dalla casa regnante, che avevano accompagnato con indulgenza
la nascita del fascismo calpestando le regole, infangando la costituzione,
insultando la dignit delle persone. Nella sua casa, l tra Montmartre e Pigalle, Buozzi accoglieva amici e profughi. Filippo Turati che era approdato
a Parigi un anno dopo la morte della sua compagna, Anna Kuliscioff. E gli
amici e compagni di viaggio in quella avventura straordinaria che si chiama
sindacato. Gente come Giovanni Bensi che a Parigi ci era arrivato debilitato
nel fisico. A Milano aveva diretto la Camera del Lavoro; era diventato il
bersaglio delle squadracce: agguati, percosse; cinque anni di inferno. Fino
allepilogo: la chiusura della Camera del Lavoro, il rifiuto orgoglioso di
consegnare alle autorit gli elenchi degli iscritti. Se ne and in Francia malato, fiaccato, insieme alla sua compagna e al figlio di tre anni. Mor che di
anni ne aveva appena trentacinque, nel 1928. Sulla sua tomba, al cimitero
Pre Lachaise (dopo la guerra, nel 1949, la salma venne traslata in Italia,
al cimitero Monumentale di Milano) cera scritto: Giovanni Bensi/ italiano: Socialista/ morto esule/ per la sua fede. Non molto distante, riposava
Piero Gobetti. Intorno una compagnia di protagonisti del nostro tempo da
Oscar Wilde a Paul Laforgue, da Amedeo Modigliani a Marcel Proust, da
Gertrude Stein a Paul Eluard, da Maurice Merleau-Ponty a Guillaume Apollinaire, per scendere, ai nostri giorni, sino a Edith Piaf il Passerotto e a
una icona rock, Jim Morrison, il Re Lucertola.
Tra le carte di Bruno Buozzi c una lettera in qualche maniera tenerissima. Cerano stati dei malintesi, Bensi si era sentito messo da parte,
quando a Natale del 1926 il segretario della CGdL aveva annunciato che la
Confederazione avrebbe sempre di pi operato in esilio. Buozzi gli scriveva: Carissimo Bensi, alcune sere fa Nenni mi disse che ti aveva visto
molto sconfortato e invitai subito Rugginenti di avvertirti che desideravo
parlarti. Ieri, invece di vedere te, ricevetti la tua. Non durerai a credere
che essa mi ha profondamente sorpreso e addolorato. Evidentemente ci
sono dei malintesi. O meglio, lanimo nostro tanto turbato per la situazione in cui ci troviamo alimenta talvolta fino alliperbole come ha fatto
ora in te dubbi e impressioni che la minima riflessione o poche parole di
spiegazione basterebbero a eliminare. Erano i giorni della polemica con
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IN ESILIO
non siamo venuti in Francia per fare i liberi e pacifici cittadini. Per il resto sei
ingiusto. Io non ho fatto nulla di importante senza interpellarti2.
Poi, nel finale, Buozzi riannodava le fila di un rapporto di amicizia,
scuoteva il compagno preoccupato, depresso, avvilito da una salute che
scricchiolava: Nei prossimi giorni dovremo prendere le deliberazioni pi
importanti. Vuoi tu figurare assente? Io non posso e non voglio fare da
solo. Tu mi dirai che ci sono altri. E io dico e tu lo sai che io tengo a te
e voglio bene a te almeno quanto a qualsiasi altro compagno... Fatti vedere.
Se non cercassimo di vincere tutte le nostre angosce; se non riuscissimo
ad eliminare e ad impedire il sorgere di ogni e qualsiasi malinteso, ogni e
qualsiasi ombra , saremmo degli incoscienti e dei folli. Io e te non siamo
n luna n laltra cosa. Bisogna per parlarci e non tacerci ci che pensiamo. Fatti quindi vedere al pi presto o fammi sapere dove e quando possiamo trovarci. Verr io... Ti abbraccio fraternamente, tuo Bruno3. Bensi
mor quasi esattamente un anno dopo, il 26 aprile del 1928. E al di l degli
aspetti che riguardano lamicizia tra i due, la lettera offre uno spaccato dello
stato danimo di chi in esilio sentiva in crisi tutta la propria vita, temendo
di non avere punti di riferimento, di essere stato costretto a rinunciare a
delle certezze per lincerto vivere in terra straniera, a fare i conti con disponibilit economiche molto limitate e, quindi, con una esistenza caratterizzata da rinunce e sacrifici.
Bruno Buozzi aveva provveduto, in qualche maniera, a costruire
una sorta di fondo di resistenza. Da sindacalista, da uomo abituato ai lunghi
scioperi e alla necessit di fornire ai lavoratori gli strumenti materiali per
vivere anche in assenza di un salario puntualmente versato, capiva che
quella non sarebbe stata una scampagnata, che il ritorno da Parigi non sarebbe avvenuto in tempi brevi. La Confederazione Generale non aveva una
cassa propria. Doveva, perci, appoggiarsi alla Union des Coopratives.
Laveva creata Felice Quaglino grazie ai capitali della Federazione Italiana
Operai Edili. Quaglino aveva cos evitato quellesproprio che la legge sui
sindacati consentiva alle autorit fasciste. Ad amministrare limpresa provvide in un primo tempo, Emilio Canevari che firm il Patto di Roma dopo
la morte di Buozzi. Poi, in quel posto si insedi Nullo Baldini, luomo che
aveva fondato a Ravenna lAssociazione dei braccianti agricoli e che poi a
Nerac in Guascogna, nelle tenute del senatore (e banchiere, stato il primo
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IN ESILIO
Fu questo arresto, il fatto che la polizia fascista avesse ormai mangiato la foglia, che consigli, dopo la liberazione, di far compiere allavvocato solo un ultimo viaggio. Era il 1930. A quel punto i soldi cominciarono
a scarseggiare e gli uffici confederali di assistenza agli esuli vennero smantellati. Il giovane e intraprendente studente universitario, De Rosa, si incaric, nel periodo in cui Passoni era ospite delle prigioni fasciste, di
provvedere al trasbordo di liquidit. A Parigi, nella casa di Buozzi, il ragazzo conobbe Turati, Treves e soprattutto Carlo Rosselli a cui si colleg
politicamente. Dopo un passato turbolento caratterizzato anche da esperienze squadristiche che gli erano costate una condanna a tre mesi e quindici
giorni di detenzione, De Rosa aveva cambiato riferimenti politici: frequentando la facolt di giurisprudenza era diventato antifascista sino ad espatriare, nel 1928, in Francia per evitare il servizio militare. Fu Carlo Rosselli
ad accompagnarlo, il 22 ottobre 1929, alla stazione quando si imbarc per
Bruxelles dove Umberto II si preparava a chiedere la mano di Maria Jos.
Il 24 ottobre, mentre quello che passer alla storia come il re di maggio,
rendeva omaggio alla tomba del milite ignoto, il silenzio venne squarciato
da un colpo di pistola: a sparare aveva provveduto proprio De Rosa che
venne condannato a sette anni di carcere. Se ne fece meno (fu liberato nel
1933). Poi part per la Spagna per combattere i franchisti e nel 1936 mor
sul campo di battaglia: era il comandante del battaglione Octubre n.11.
La vita di Buozzi cambi negli anni trenta. E anche la casa. Dato
che i soldi scarseggiavano si era messo a fare il rappresentante di prodotti
alimentari. La crisi economica esplosa nel 1929 aveva imposto delle economie e la CGdL non era pi in grado di pagare uno stipendio al segretario
che a quel punto invest i risparmi e una piccola eredit che gli aveva lasciato Turati in quella attivit imprenditoriale. Dal 1 aprile 1935 cominci
a lavorare gratuitamente per il sindacato. Tra laltro il commercio di salumi
torn utile in occasione della guerra di Spagna quando fu necessario garantire anche sostegni alimentari ai volontari italiani. Clignancourt una
porta daccesso a Parigi: la Pripherique, un boulevard fratello gemello del
raccordo anulare di Roma (e come quello quasi sempre intasato), delimita
il confine della citt. Dallaltra parte ci sono le Banlieue, Saint Ouen, Saint
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Denis, eccetera; il mercato delle pulci da quelle parti. Oggi, su quel confine
in cui la citt delle luci finisce e cominciano quelle che noi definiremmo
borgate (molto meno illuminate), vive una immigrazione nuova, proveniente
soprattutto dalle ex colonie. Allepoca, a Boulevard Ornano, Buozzi fiss
la sua dimora e la sede della sua attivit commerciale. A Parigi il segretario
confederale costitu pure il Comitato Sindacale dAssistenza ai Lavoratori
Italiani. E gran parte dellopera svolta in Francia si incentr proprio sulla
tutela degli esuli, stretti tra le leggi repressive italiane varate proprio per ren-
Le leggi liberticide creavano problemi agli italiani allestero: ecco una denuncia di Buozzi
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IN ESILIO
dere la loro vita pi difficoltosa e le diffidenze del Paese in cui avevano trovato rifugio. Nel 1929 scoppi la crisi economica considerata sino a poco
tempo fa come la pi grave dellepoca moderna (lultima, quella esplosa nel
2007 potrebbe averla superata). Gli effetti del venerd nero americano si
fecero sentire per un decennio. Il giorno peggiore della storia del capitalismo
(che poi in realt era un gioved 24 ottobre negli Usa) prosegu anche il luned (meno tredici per cento dellindice di Wall Street) e il marted (meno
dodici), fece fallire negli Stati Uniti quattromila istituti di credito, cre venticinque milioni di disoccupati, rase al suolo il Pil dei paesi europei (meno
trentatr per cento in Italia, meno ventotto in Francia, addirittura meno quarantasette in Germania). La conseguenza fu che tutti cominciarono a barricarsi nei propri cortili nella speranza di limitare al minimo gli effetti della
crisi (che Mussolini faceva finta di non avvertire solo perch aveva abolito
la libert di stampa). Bruno Buozzi, dopo aver svolto una relazione al congresso della Lidu, la Lega Italiana per i Diritti dellUomo, pubblicava su
lOperaio Italiano un articolo in cui contestava le leggi adottate dal regime
in materia sindacale perch lasciavano senza tutela gli emigrati.
Il problema era semplice: potevano agire, grazie ai rapporti internazionali, solo i sindacati riconosciuti dal regime; ma con le organizzazioni
fasciste nessuno intratteneva rapporti. Risultato: nessuno poteva tutelare
emigrati, espatriati, esuli. Scriveva Buozzi: Lart. 6, ultimo accapo, della
Legge sindacale del 3 aprile 1926 dice: In nessun caso possono essere riconosciute associazioni che, senza lautorizzazione del governo abbiano comunque vincoli di disciplina o dipendenza con associazioni di carattere
internazionale. Basta un attimo di riflessione per persuadersi che questo
articolo copre di una veste giuridica un vero e proprio tradimento a danno
di 10 milioni di suoi figli in gran parte lavoratori che lItalia ha sparsi
per il mondo. Nessun Paese quanto lItalia avrebbe interesse a coltivare
rapporti cordiali con i sindacati dei paesi di emigrazione. Col regime fascista tali rapporti sono resi impossibili. Esso ha distrutto con la violenza i
sindacati liberi, cio i soli sindacati che potevano essere ascoltati allestero5.
Il segretario confederale sottolineava un paradosso che rappresentava, in realt, una vera e propria discriminazione (a conferma del carattere
di parte del regime fascista): Industriali, agrari, commercianti possono
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liberamente far parte delle loro organizzazioni internazionali... In altre parole, il fascismo ammette linternazionalismo del capitale ma non quello
del lavoro. Questa discriminazione aveva come conseguenza che i consolati non potevano svolgere a favore degli emigrati lavoro di assistenza.
Sottolineava Buozzi: Il Governo fascista si affanna ad affermare che
lazione di difesa dei lavoratori italiani allestero affidata ai consolati.
Menzogna stupida o illusione idiota... Gli italiani allestero sono fatalmente
portati a rivolgersi, per la difesa dei loro interessi, ai sindacati a tendenza
socialista. E siccome i consolati hanno lordine di perseguitare gli antifascisti anche allestero, accade che gli operai che si occupano attivamente
di movimento sindacale, vengono denunziati alla polizia come elementi pericolosi per lordine pubblico6.
Infine, unaltra norma metteva a rischio quel principio di reciprocit
che gli stati seguivano sulla materia del lavoro. Concludeva il segretario
confederale: Lart.2 del regolamento che accompagna la legge sindacale
del 3 aprile 1926 stabilisce quanto segue: Gli stranieri, che risiedono in
Italia da almeno dieci anni, possono essere ammessi in qualit di soci nelle
associazioni sindacali legalmente riconosciute, ma non possono essere nominati od eletti ad alcuna carica o funzione direttiva. La gravit di questa
disposizione evidente. Essa contrasta col pensiero moderno di tutti i paesi
civili, il quale tende a riconoscere, agli operai stranieri, gli stessi diritti
sindacali riconosciuti agli operai nazionali. In proposito, specialmente fra
paesi di emigrazione e di immigrazione, esistono numerosi trattati di lavoro
cosiddetti di reciprocanza. Qualche paese, compresa la Francia, limita il
diritto di coprire cariche direttive, come quella di segretario...; ma la libert di aderire ai sindacati non contestata da alcuna legge... LItalia
paese largamente esportatore di mano dopera avrebbe tutto da guadagnare ad essere larga di concessioni verso i pochi stranieri che si recano
a lavorare entro i suoi confini, onde poter reclamare larghezza dai paesi
che ospitano i suoi numerosi emigrati7.
Buozzi aveva stretto rapporti con la Cgt (Confdration Gnrale
du Travail) e, daltro canto, questo legame consentiva allorganizzazione
italiana una certa libert e ampiezza di movimenti. Ma la crisi stava cambiando le situazioni. Anche quelle politiche. Sulla scena, agli inizi degli
Anni Trenta comparve, infatti, Pier Laval che fra il 1931 e il 1944 ricopr
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alcuni importanti centri minerari gli operai sono quasi tutti stranieri ed i
francesi occupano pressoch esclusivamente posti di direzione e controllo.
In alcune regioni, infine, le terre rimangono incolte mentre potrebbero essere redente se gli stranieri, invece di essere respinti, venissero chiamati
ed aiutati. Immorale e inumana perch nessuno Stato ha il diritto di chiamare gli stranieri negli anni di abbondante lavoro per cacciarli al di l
della frontiera nel momento della crisi8.
A sostegno delle ragioni degli immigrati era intervenuto il partito
socialista (la Sfio) ma con un provvedimento che rischiava di creare altri
problemi. E, allora, Buozzi spiegava: opportuno esaminare gli articoli
pi importanti. Larticolo 1) chiede che, a partire da una data da fissarsi,
venga interdetta lentrata in Francia di lavoratori stranieri. Opporsi a questo articolo mentre i disoccupati aumentano sarebbe demagogico. soltanto opportuno aggiungere che esso non infirma in alcun modo il diritto
di asilo, cio lentrata in Francia di perseguitati politici... Lart. 2) chiede
che nessunimpresa sia autorizzata ad assumere operai stranieri, se la proporzione degli stranieri che ha gi al suo servizio supera il 10 per cento9.
Poi Buozzi dava conto dellarticolo 7 che stabiliva parit di salari tra francesi e stranieri (Se questo articolo passer, numerosi impresari fascisti
saranno costretti a por termine allindegno sfruttamento che oggi esercitano sui loro connazionali). Spiegava Buozzi: Questo progetto di legge
riuscito ad eliminare soltanto in parte le preoccupazioni dei lavoratori
stranieri. Lon Blum (cio il leader della Sfio, n.d.a.), in un chiaro articolo
pubblicato su Le Populaire del 20 novembre ha spiegato che il G.P.S.
(il gruppo parlamentare del partito, n.d.a.) si proposto di consolidare lo
statu quo e di conservare il loro impiego a tutti gli operai che lavorano
attualmente in Francia. Siamo spiacenti di dover rilevare che cos come
sono stati compilati gli art. 2 e 3 corrispondono soltanto parzialmente a
questi criteri... La crisi ha gi reso disoccupati molti operai ed prevedibile
che ne render disoccupati molti altri. Il problema non quindi quello
che sarebbe impossibile da risolvere di conservare limpiego a chi ce
lha, ma di non creare due categorie di disoccupati. Purtroppo, invece, gli
articoli 2 e 3, se non saranno modificati, creeranno uno stato di inferiorit
agli operai stranieri, in quanto limitano agli imprenditori che hanno pi
del 10 per cento di stranieri la libert di assumerne altri, senza neppure
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Per gli emigrati la vita in Francia era dura: la CGdL interveniva a loro difesa
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Poi cera lattivit pubblicistica rivolta a svelare gli inganni del regime e, in particolare, lipocrisia di un sindacato, quello fascista, che era
un docile strumento nelle mani del regime e che, quindi, nulla aveva a che
vedere con lattivit delle organizzazioni libere che avevano operato in Italia sino alla presa del potere da parte di Mussolini. Nel corso di una conferenza che si trasformava in una cronaca per il giornale La Libert (era
lorgano della Concentrazione Antifascista, diretto da Claudio Treves),
Buozzi diceva: Il sindacalismo fascista non ha nulla in comune col sindacalismo classico, espressione della volont dei lavoratori; una macchina per incassare quote, sostenuta per fare lo spionaggio nelle fabbriche,
nei campi, negli uffici, nelle aziende13. Spiegava agli anti-fascisti presenti
nella sala dellUnione Giornalisti Italiani Giovanni Amendola la genesi di
un fenomeno posticcio: Malgrado i fondi dei padroni e il manganello,
fino alla marcia su Roma il sindacalismo fascista non ebbe... alcun seguito14. Dopo aver spiegato la maniera in cui Mussolini aveva convinto
le controparti (in particolare gli industriali che erano i meno entusiasti), il
segretario della CGdL concludeva con un messaggio in qualche misura possibilista. Dopo aver sottolineato che il sindacato fascista cresciuto e vive
perch lo ha imposto il regime, si domandava: Rimarr sempre qual
oggi? La risposta non facile. Unorganizzazione, comunque, costituita,
tosto o tardi reclama di essere democratizzata. Passata lubriacatura della
cosiddetta rivoluzione fascista, anche i fascisti saranno portati a reclamare
che il loro sindacato sia qualcosa di pi di ci che ora. Gli operai fascisti
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Nelle fabbriche italiane si costruiscono gli aerei per la guerra del duce
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carico di commozione che venne pubblicato sul giornale della Concentrazione, La Libert. Scriveva: Come egli disse nella favella ardente e purissima che egli solo aveva, noi abbiamo scelto lesilio, con tutte le sue
amarezze, tutti i suoi sconforti, non per mettere in salvo quelle miserabili
cose che sono la nostra vita e la nostra tranquillit personale, ma per non
essere ridotti allimpotenza assoluta: per lavorare con maggiore efficacia,
dintesa con i nostri compagni rimasti laggi, alla riscossa immancabile...
Pi umilmente: ardore concordia sacrificio il motto che ci viene dalle sue
ceneri. Autonomia di coscienza e di fedi, di gruppi e di partiti, ma unit inflessibile nella causa comune. Ordine, armonia, solidariet nelle iniziative,
energia estrema, infaticabile perseveranza per recarle a compimento; austerit fiera in ogni atto, come si conviene a quelli che si sono assunta la missione grandiosa, religiosa, di adoperare la patria in esilio per spezzare i
ceppi della patria schiava... un cilicio che noi portiamo, che egli volle portare con noi, di cui fece un labaro, ed il labaro consegn a noi perch lo conservassimo immacolato fino alla vittoria di cui egli non ha mai
dubitato19. Ancor pi toccante il racconto di Ornella Buozzi, la primogenita di Bruno, per lAlmanacco Socialista dellanno dopo. Per Ornella, Turati era un nonno affettuso. Lo avevano accolto nella casa di Boulevard
Ornano e lei ricordava scene di vita familiare: Il risveglio di tutti lo trovava
gi a lavoro nel disordine dello studio invaso di carte e plichi, in compagnia
del grande ritratto dellAnna che dal vano di una porta gli sorrideva, incitamento e promessa. E concludeva: impressionante vedere gli uomini
che furono i suoi figlioli spirituali costretti ad affrettarsi meccanicamente
- col viso bagnato di lacrime e la voce interrotta - a preparare i comunicati
ai giornali: morto Filippo Turati.
La riunificazione socialista moltiplic i segnali per giungere anche
a una unit di azione con i comunisti. A lanciare il dibattito aveva provveduto nei primi numeri il Nuovo Avanti!. Poi a renderlo concreto ci aveva
pensato Pietro Nenni nel Consiglio Generale del luglio 1934. Il 17 agosto
dello stesso anno veniva firmato il Patto dUnit dAzione. La prima conseguenza fu la programmazione di un Congresso degli operai italiani allestero per rispondere allavventura colonialista di Mussolini in Abissinia
(che, come abbiamo detto, aveva avuto il via libera anche da Laval). In un
primo tempo, avrebbe dovuto svolgersi a met agosto a Basilea, ma poi si
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IN ESILIO
tenne in due tempi: una conferenza in difesa del popolo eritreo il 2 settembre a Parigi (Bruno Buozzi svolse la relazione introduttiva a nome del partito socialista); il congresso generale a Bruxelles il 12 e 13 ottobre (Buozzi
intervenne e fu inserito nel Comitato dAzione che doveva gestire la lotta
antifascista).
Poi arriv lappello unitario del 1 maggio 1936. Le cose si sarebbero complicate dopo, quando il 23 agosto 1939 Molotov e Ribbentrop firmarono il patto tedesco-sovietico. LEuropa stava scivolando
inesorabilmente verso la guerra, nel segno del fascismo e del nazismo. Lannuncio pi squillante arriv dalla Spagna (Ornella Buozzi era a Barcellona
quando nel luglio 1936 i franchisti scatenarono lattacco contro la Repubblica popolare e raccont per il Nuovo Avanti! i primi due giorni di battaglia). Le brigate dei volontari non furono sufficienti a fermare loffensiva
di Francisco Franco che poteva contare sugli aiuti di Mussolini e sulla politica di non intervento di Gran Bretagna, Francia e Belgio. Nella difesa di
Madrid cadde anche De Rosa, lo studente che si era sostituito allavvocato
Passoni per portare i soldi alla CGdL e al Comitato di Assistenza ai Lavoratori Italiani. Quando i volontari italiani e i combattenti spagnoli ripararono
in Francia furono immediatamente dirottati nel campo di concentramento
di Vernet: la situazione era decisamente cambiata. Gli eventi ormai si svolgevano a un ritmo accelerato. Il Partito socialista allestero teneva il suo
quinto congresso a Parigi dal 26 al 28 giugno del 1937 con Buozzi che svolgeva la relazione sulle vicende sindacali. Lultimo ancora in tempo di pace.
Una ventina di giorni prima, il 9 giugno, erano stati ammazzati Carlo e Nello
Rosselli.
Il 1 settembre del 1939 la Germania invase la Polonia, forte anche
del patto firmato da Ribbentrop e Molotov: la seconda guerra mondiale cominciava provocando la prima vittima politica, il Patto dUnit dAzione
tra socialisti e comunisti che venne sciolto, mentre repubblicani e Gl rompevano i rapporti con il PCdI. Pietro Nenni entrava in rotta di collisione
con lInternazionale Socialista: si dimetteva dallesecutivo con una lettera
polemica a Fritz Adler. Il leader socialista non condivideva la scelta della
rottura: riteneva che la battaglia antifascista venisse prima di tutto e obbligasse a confermare lunit dazione con i comunisti. Buozzi e Saragat, pur
riformisti erano su una linea mediana che evitasse divisioni traumatiche e
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IN ESILIO
1
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi sindacalista riformista Franco Angeli
1984, pag. 73.
2
Bruno Buozzi, lettera a Giovanni Bensi del 4 gennaio 1927; in Aldo Forbice (a cura di):
Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943) Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 210
3
Bruno Buozzi, lettera a Giovanni Bensi. Ibidem pag. 211
4
Gino Castagno: Bruno Buozzi Ristampa delle Edizioni Avanti! 1955, pag.108
Bruno Buozzi: Lopera nefasta del regime fascista a danno degli emigrati lOperaio
Italiano, 31 maggio 1930, in Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi,
commenti, inediti a cura di Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pag. 67
6
Bruno Buozzi: Lopera nefasta del regime fascista a danno degli emigrati, Ibidem 678
7
Bruno Buozzi: Lopera nefasta del regime fascista a danno degli emigrati. Ivi.
8
Bruno Buozzi: Per la difesa dei diritti dellemigrazione lOperaio Italiano, 26 novembre 1931, in Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi, commenti, inediti a cura di Angelo Coco. Ibidem pag. 85
9
Bruno Buozzi: Per la difesa dei diritti dellemigrazione. Ivi
10
Bruno Buozzi: Per la difesa dei diritti dellemigrazione Ibidem pag. 86
11
Bruno Buozzi: La Confederazione del Lavoro Italiana in difesa della mano dopera
straniera lOperaio Italiano 28 ottobre 1933. Ibidem pag. 109
12
Bruno Buozzi: La Confederazione del Lavoro Italiana in difesa della mano dopera
straniera lOperaio Italiano 28 ottobre 1933. Ibidem pag. 110
13
Bruno Buozzi. Come nato e come funziona il sindacalismo fascista in La Libert 5
febbraio 1928; da Scritti dellesilio Opere Nuove 1958, pag. 9
14
Bruno Buozzi, Ibidem pag. 10
15
Bruno Buozzi, Ibidem. pag 12
16
Bruno Buozzi, Ibidem. pag 13
17
Bruno Buozzi: Fascismo e sindacalismo libero sono inconciliabili Nuovo Avanti! 20
luglio 1934 in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e
discorsi (1910-1943) Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 251
18
Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume Edizioni Avanti! 1955, pag.124
19
Gino Castagno, Ibidem pagg. 134-5
5
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Lattivit Internazionale
Lattivit internazionale di Bruno Buozzi fu intensa. Nella foto una pausa della riunione
della Federazione Internazionale di Amsterdam. In piedi, quinto e sesto
da sinistra il segretario della FSI, Oudegeest, e il leader della CGT francese, Jouhaux
Alla fine, la battaglia del Bureau International du Travail in qualche maniera la vinse lui. Dieci anni di schermaglie, di denunce, di dossier
sul terreno neutro di Ginevra fiaccarono anche Benito Mussolini che nel
1936 decise di uscire dallorganizzazione. Prese a pretesto le critiche che
lorganismo (nato sotto la Societ delle Nazioni e trasmigrato, dopo la seconda guerra mondiale, sotto le insegne dellOnu) mosse nei confronti della
politica dellautarchia. Ma era, evidentemente, una giustificazione debole.
La realt che il fascismo non aveva mai convinto troppo il Bit con i suoi
sindacati, soprattutto non era riuscito a convincere le organizzazioni dei lavoratori, in particolare quelle che operavano allinterno di sistemi democratici. Bruno Buozzi, poi, con la sua costante presenza nei vertici
internazionali, con il lavoro di denuncia sviluppato, anno dopo anno, in
tutte le sedi possibili, aveva contribuito a creare il deserto intorno alle organizzazioni volute dal duce che, peraltro, nonostante limpegno della
repressione, non erano riuscite a sfondare nemmeno nelle officine, almeno
non erano riuscite a fare breccia nei cuori dei lavoratori che vi aderivano
perch non avevano alternativa. Se lavessero avuta, si sarebbero regolati
diversamente. Lo sottolineava, ad esempio, Pietro Nenni: Perfino le elezioni delle commissioni interne delle fabbriche, per tutto il tempo che sono
state tollerate dal governo, hanno assicurato maggioranze ai rossi. A
tal punto che nel 1925 il fascismo, avendo dovuto abbandonare la speranza
di un compromesso con la CGdL, pass violentemente alloffensiva con lo
scioglimento della CGdL e con la soppressione dellorganizzazione1. I
metodi usati da Mussolini (per quanto da molti governi tollerati) per piegare le resistenze erano, dunque, piuttosto noti. Ci non toglie che il lavoro
di Buozzi, in quegli anni, sia stato capillare e certosino.
stato forse il versante su cui meglio si svilupp la sua capacit di
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costruire relazioni. Privata del suo ruolo in Italia, la Confederazione Generale del Lavoro aveva una sola strada da percorrere: acquisire spazio e autorevolezza allestero, segnalare con la sua presenza sul proscenio
internazionale il caso Italia, dimostrare ai lavoratori rimasti sulla Penisola che quella messa in piedi a Parigi non era solo una sigla ma un presidio
di libert. Che sarebbe risorto nel momento in cui il Paese si fosse liberato
da quei ceppi a cui Buozzi aveva fatto riferimento nel momento in cui
aveva ricordato la figura di Filippo Turati. A livello internazionale, la partita
con il regime si giocava ad armi (quasi) pari: Mussolini poteva comprimere
la libert in Italia, piegare con metodi violenti la volont degli italiani, chiudere a tutti i concorrenti politici e sindacali gli spazi di agibilit democratica, ma fuori dai confini, oltre le Alpi e le coste del Mediterraneo quei
metodi non erano utilizzabili.
Come scrisse Buozzi a commento proprio di una vivacissima riunione del Bureau: In terreno libero, in terreno neutro, dove la parola non
pu essere soffocata dal manganello, dal domicilio coatto, dal tribunale
speciale e dai plotoni di esecuzione, per i fascisti il contraddittorio assolutamente insostenibile. Quando un regime ha sulla coscienza i misfatti che
ha il regime fascista, non pu difendersi con mezzi civili2. Pian piano,
Mussolini fu costretto a rinunciare a una operazione che in Italia gli era riuscita: cio mettere fuori gioco i sindacati liberi. Allestero dove non doveva
fare i conti con sedi devastate (ancorch la sua casa, prima quella al 16 di
Rue de la Tour dAuvergne, poi quella in Boulevard Ornano, venisse tenuta
costantemente sotto controllo dagli inviati dellOvra, la polizia segreta
fascista) e dirigenti bastonati, Bruno Buozzi riusciva a giocarsi qualche
carta, come aveva sempre fatto ai tavoli delle trattative. E poi il segretario
generale della CGdL aveva capito unaltra cosa: le organizzazioni del lavoro dovevano aprirsi, dovevano guardare oltre il proprio cortile, non solo
per allargare i confini della rappresentanza (gli occupati ma anche quelli
che un lavoro lo stavano cercando), non solo per incidere sempre di pi sui
processi produttivi e la gestione e il controllo della produzione, ma anche
per costruire alleanze capaci di intervenire sulle dinamiche economiche internazionali perch se il mercato sotto la spinta del capitalismo diventava
sempre pi ampio (per quei tempi), allora sempre pi ampia doveva essere
lazione di chi doveva provvedere alla tutela degli interessi dei lavoratori.
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Il Piccolo Mondo Antico non reggeva pi. E non reggeva pi, nella
ricerca di queste alleanze internazionali, il collante ideologico perch bisognava trovare terreni di intesa tra soggetti portatori di interessi analoghi. Di
qui la sua tendenza a guardare a ovest piuttosto che ad est, a cercare nella
Federazione Internazionale di Amsterdam la sponda piuttosto che nellInternazionale Rossa cara ai comunisti. Certo, ladesione a una posizione politica, aveva il suo peso. Ma la motivazione pi profonda era, probabilmente,
unaltra: la consapevolezza che a Ovest si ritrovavano modelli di societ (da
un punto di vista economico e produttivo) pi affini a quello che si andava
affermando in Italia. I lavoratori inglesi, francesi e tedeschi erano portatori
di problemi, interessi e bisogni simili a quelli dei colleghi italiani e il motivo
era semplicissimo: facevano riferimento a un modello di organizzazione
economica comune, il capitalismo; a sistemi produttivi (il taylorismo) simili.
Lo stesso Marx, in fondo, non aveva intravisto nella Russia la culla della
sua rivoluzione ritenendo che mancasse ancora, da quelle parti, il passaggio
essenziale di unaltra rivoluzione, quella borghese. Per quanto con ritmi pi
lenti rispetto a Gran Bretagna, Francia e Germania, il settore industriale in
Italia aveva cominciato a espandersi gi a partire dallultimo ventennio
dellOttocento. Conclusione: era da quella parte che bisognava guardare.
Era linternazionalit delle elaborazioni intellettuali che bisognava far prevalere sullinternazionalismo del posizionamento ideologico.
Se lazione concreta di tutela della CGdL in esilio fu ben poca cosa
(a parte il sostegno, a volte anche economico, garantito agli esuli e agli
emigrati), ben pi sostanziosi, invece, furono i risultati che Bruno Buozzi
ottenne con la sua attivit internazionale. Costru un tessuto di rapporti che
la guerra, ovviamente, distrusse, almeno in parte. Ma indic una linea di
azione, uno svolgimento del tema delle relazioni con lestero che riusc a
riemergere pi tardi, ad esempio quando la Flm decise di aderire allorganizzazione occidentale dei metalmeccanici. Era il 24 maggio del 1981
quando per la prima volta dallepoca di Buozzi, un sindacato italiano si
present in maniera unitaria a un congresso internazionale: quello della
Fism, la Federazione Mondiale dei Sindacati Metalmeccanici che si svolse
a Washington; una adesione accolta dal Pci con un velenoso corsivo su
lUnit a firma di Giorgio Napolitano. Quelladesione fu figlia (probabilmente inconsapevole) degli stessi ragionamenti che Buozzi sviluppava
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Lattivismo su questo terreno induceva Buozzi a non saltare nemmeno una delle riunioni che venivano organizzate. Nellaprile del 1931, ad
esempio, partecip in Spagna al congresso internazionale dei sindacati. La
sua presenza non sfugg ai poliziotti fascisti che colsero loccasione per
spedire a Roma una dettagliata relazione: Dalle informazioni portate da
Buozzi, reduce dalla Spagna, dove, a quanto pare, ha visitato i maggiori
centri ed ha incontrato elementi antifascisti delle colonie italiane, ed ha
visto anche alcuni membri del governo, la Concentrazione ha tratto la certezza che in questo paese lantifascismo ha un campo aperto ad una pi
vasta lotta contro il fascismo, e dove potrebbero convergere facilmente gli
sforzi che attualmente vengono sprecati altrove, senza risultati tangibili. Il
Buozzi ha presentato una diffusa relazione, ricca di dati e di cifre e le cui
conclusioni si riassumono nellaffermazione che lelemento italiano di Barcellona pu costituire, se abilmente lavorato, un reclutamento assai pi
poderoso di quello di Parigi, tale in ogni modo da rappresentare un nuovo
centro importantissimo di agitazione4. La Spagna cinque anni dopo fu
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mente favorevoli per fare opera di proselitismo fra gli italiani impegnati
soprattutto nel settore agricolo. Buozzi invitava Carrefour a prendere questa
auto-candidatura con le molle: Belli... in sostanza un critico e un ipercritico che si compiace di demolire. Quanto al lavoro di costruzione, io dubito
fortemente che egli possa farne, e non solamente nel Gers, ma dappertutto8.
E poi spiegava i motivi che rendevano complicata una azione di proselitismo
su vasta scala da quelle parti: Voglio esaminare subito la parte dottorale
del suo rapporto , quella che concerne lazione da svolgere tra i contadini
del Gers. Vi vedo almeno due affermazioni inesatte... Non vero (e bisogna
avere il coraggio di dire tutta la verit anche quando essa ci sembra dolorosa) che gli immigrati italiani dellagricoltura del Sud-Ovest siano in qualche misura militanti sindacali... Limmigrato italiano nei campi di questa
regione in maggioranza proveniente dalle provincie italiane che anche negli
anni 1919-1920 non avevano dato alcuno sforzo alle nostre organizzazioni,
o al massimo qualche segno di entusiasmo senza la preparazione e lesperienza che si possono acquistare solo con anni di lotta e dazione proletaria...
Dire che in questi ambienti facile fare della propaganda ingannare se
stessi e i compagni francesi... Lesempio di Tolosa sintomatico. L abbiamo
un compagno che da pi di due anni si votato alla propaganda fra i contadini italiani. Egli ha giustamente organizzato un sistema di propaganda epistolare, come Belli indica. Ebbene! Su qualche decina di migliaia di italiani
che lavorano nellagricoltura del Sud-Ovest, il nostro sindacato conta meno
di cinquecento aderenti... Bisogna tenere conto anche di questaltro elemento
che Belli sembra dimenticare: i mezzi finanziari. Noi non possiamo permetterci il lusso di installare funzionari dovunque occorrerebbe9. E qui Buozzi
inseriva un tema che fu sempre al centro dei suoi discorsi, da quando, segretario della Fiom, aveva deciso di aumentare le quote sociali scatenando le ire
di alcuni oppositori: la partecipazione allattivit sindacale che non pu prescindere da una manifestazione concreta cio economica, di adesione. E allora
sottolineava: Se i compagni immigrati italiani volessero considerare la organizzazione sindacale non come una opera di beneficenza, ma come uno
strumento di lotta... dovrebbero innanzitutto darle la loro adesione e dopo
reclamare da essa i servizi necessari10.
La rete di relazioni internazionali che Bruno Buozzi aveva tessuto
era irrobustita anche da legami personali che, pur nella criticit del mo383
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Nella veste di esperto in emigrazione fece notevole carriera e il fascismo, quando arriv al potere, decise di cooptarlo consegnandogli una
tessera onoraria del Partito (in una lettera a Mussolini lui, per, ci tenne a
sottolineare che la sua adesione era stata volontaria e databile nellestate
del 1924, cio dopo lassassinio di Matteotti, cosa che dava, da un certo
punto di vista, ancora pi valore alla volontariet). I rapporti di polizia
dicono che la politica migratoria (rivolta verso lAfrica) del fascismo non
lo convincesse troppo ma il dissenso lo occult piuttosto bene e continu a
salire nella gerarchia fascista tanto vero che nel 1929 Giuseppe Bottai,
gi ministro delle corporazioni, lo propose per la nomina a senatore che
Mussolini accolse con grande calore. Quando il duce arriv al potere, De
Michelis era gi membro del consiglio di amministrazione dellUfficio Internazionale del Lavoro (vi rester sino al 1936, quando lItalia si ritirer
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dal BIT) e nelle stanze ginevrine si muoveva con grande disinvoltura. Cosa
che non pass inosservata. Era, insomma, luomo giusto al posto e al momento giusto. Divenne capo della delegazione italiana alle conferenze periodiche che si svolgevano al Bit e cominci immediatamente (in
particolare a partire dal 1923) a lavorare per garantire a Edmondo Rossoni
e al suo sindacato non un posto al sole, ma uno allombra: lombra della sala
in cui si riunivano rappresentanti dei governi, dei lavoratori e dei datori di
lavoro che partecipavano alla periodica Conferenza. Nonostante limpegno,
De Michelis non riusc a cavare un ragno dal buco sino al 1926, cio sino a
quando la CGdL fu un grado di lavorare, seppur in condizioni molto precarie, in Italia. Poi Mussolini provvide a risolvere il problema e a facilitargli
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la perorazione della causa dei sindacati fascisti in seno al Bit: abol le libert
e var le leggi che riconoscevano una sola organizzazione dei lavoratori,
quella che lui aveva creato a immagine e somiglianza del suo regime.
Nel 1927 De Michelis vinse la sua battaglia e Rossoni, che era presente alla riunione ginevrina, finalmente riusc a entrare in rappresentanza
dei lavoratori italiani al Bit. Non fu, comunque, una passeggiata di salute
perch i sindacati votarono compattamente contro il riconoscimento delle
organizzazioni fasciste e a favore della CGdL in esilio. Peraltro, Buozzi sapeva bene che quella era quasi una missione impossibile. Lo aveva scritto
alla vigilia del vertice decisivo, in una lettera a Pietro Nenni nella quale
sottolineava il cambiamento di atteggiamento del complesso dei rappresentanti governativi, che negli anni passati rappresentava il centro, questanno minaccia di schierarsi almeno in parte per i padroni... Per questo
i nostri amici (evidente il riferimento al leader della Cgt, Lon Jouhaux,
n.d.a.) dicono che ad attaccare Thomas (si tratta di Albert Thomas, socialista
francese, primo direttore del Bureau International du Travail, n.d.a.) si corre
il rischio di fare il gioco dei padroni. Tutti per sono concordi nel ritenere
che se non avverr del nuovo, finita la conferenza bisogner attaccare. La
lettera terminava con un post scriptum che prefigurava la sconfitta: Mentre
sto per imbustare mi annunciano che quasi certamente domani si inizier
battaglia grossa... i rappresentanti degli operai si ritroveranno soli su tutte
le questioni importanti. La missiva datata 1 giugno 1927 ed scritta sulla
carta intestata dellalbergo International et Terminus di Ginevra.
Il nuovo sperato non si materializz. Alla fine, i lavoratori italiani vennero fascisticamente rappresentati grazie non al proprio voto (o di chi li rappresentava nel mondo di allora) ma attraverso il voto dei governi e dei datori
di lavoro che decisero di mettere un timbro ufficiale sulla pratica Rossoni.
Il confronto fu acceso. Contro le pretese fasciste vennero presentate due mozioni, una da Buozzi e laltra dal segretario generale della FSI, Oudegeest. E
sempre Oudegeest insieme al segretario della CGT, Lon Jouhaux, denunciarono la condizione miserabile in cui versavano le libert sindacali in Italia con
organizzazioni costrette a chiudere dalla violenza fascista e italiani obbligati
a iscriversi al Pnf per poter lavorare (o per non essere licenziati).
Lintervento del segretario generale della CGdL fu vibrante e appassionato. Allinzio dellanno cera stato il tradimento del gruppo Rigola
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che De Michelis e Rossoni esaltavano come la conferma che in Italia le libert sindacali continuavano a essere rispettate, che, insomma, la democrazia non era morta ma viva e vegeta. Buozzi diceva: Latto degli ex
confederali italiani Rigola, DAragona e compagni potr essere considerato dai capi del movimento operaio di tutti i paesi pi o meno severamente
secondo tendenze e temperamenti... Ma poich notoriamente nel sistema
del fascismo di non arrestarsi mai ad una vittoria, ecco ora la stampa italiana (in testa Il Popolo dItalia di Mussolini e il Lavoro dItalia di
Rossoni) attaccare il Bureau International du Travail come una istituzione
troppo legata alla II Internazionale e alla Internazionale di Amsterdam e
domandare alla Societ delle Nazioni che tenga a posto questo suo figlio
irrequieto. Questanno Rossoni verr a Ginevra a testa alta e, ritenendosi
ormai immune da ogni attacco sulla legittimit della sua presenza nella
Conferenza internazionale del lavoro, pretender di contrapporre il sindacalismo fascista al sindacalismo come lo definisce lui di Amsterdam5.
Si preparava, il segretario confederale, a una dura battaglia e immaginava che non sarebbe stata semplice e nemmeno vittoriosa. Cercava, allora, di sottolineare laspetto pi critico del sindacalismo fascista: il fatto
di essere al servizio di un regime e di avere lesclusiva della rappresentanza
a discapito di tutte le altre organizzazioni che erano state chiuse per legge.
Affermava: C la questione della libert sindacale... No, non si tratta di
definire teoricamente i limiti della libert sindacale, quanto di vedere in
pratica se il governo italiano rispetta il principio di questa libert nella
sua essenza... Anzitutto sta il fatto che i lavoratori italiani sono inquadrati
nelle organizzazioni fasciste per forza. Dapprima furono le persecuzioni
continue e brutali contro le singole persone dei lavoratori per opera dei
fascisti; olio di ricino, bastonate ai lavoratori pi fedeli alla Confederazione Generale del Lavoro; poi fu la cura ferocemente assidua per far mancare ogni mezzo di sussistenza a chi pretendeva di non entrare nelle
organizzazioni fasciste16. E concludeva con un riferimento storico: (LItalia tutta una Molinella17) per spiegare cosa stava avvenendo nel nostro
Paese. Il riferimento era a quanto accaduto sei anni prima, il 12 giugno del
1921 nella cittadina emiliana. Su ordine del federale di Bologna, Gino Baroncini, un migliaio di squadristi guidati da Augusto Regazzi avevano
messo a ferro e fuoco la Camera del lavoro e la Cooperativa di consumo.
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1935 era stato nominato ministro dei lavori pubblici) a cui sembrava destinato, venne interrotta da un mortale incidente aereo mentre si recava ad
Asmara. In quel 1931 era ancora un leader sindacale (presidente della Confederazione dei sindacati fascisti dellagricoltura) e in tale qualit puntava
ad accomodarsi allambito tavolo del Bit. Ma quella che si svolse a Ginevra,
come spesso capita alle vicende italiane, da tragedia si trasform in farsa.
La farsa la raccont Buozzi con dovizia di particolari in un articolo che apparve su lOperaio Italiano. Premettendo: Il giornale La Suisse stato
il solo che si degnato di rivolgere qualche parola di conforto (non sappiamo
quanto disinteressata) ai vari Bottai, De Michelis e simili, Razza. Ma siccome
si tratta di un giornale ultrareazionario, senza autorit e senza seguito, lo
sfruttamento che, delle sue parole, ha fatto la stampa fascista, ha finito per
dare maggior risalto al ridicolo di cui si coperta la pattuglia fascista20.
Quindi, con finalit didascaliche, il segretario confederale spiegava
cosa era avvenuto a Ginevra e in quale sede: La Conferenza Internazionale
del Lavoro costituisce lassemblea generale dellUfficio Internazionale del
Lavoro. La Conferenza composta di due delegati governativi, di un delegato
operaio e di un delegato padronale per ogni Stato aderente alla Societ delle
Nazioni. La ratifica dei mandati spetta allassemblea. Per la nomina delle cariche vige unaltra procedura. I delegati governativi, operai e padronali si
costituiscono rispettivamente in gruppi distinti e provvedono alla nomina dei
loro rappresentanti nel Consiglio di Amministrazione dellUfficio e nelle commissioni incaricate di esaminare le diverse questioni21. Spiegato il motivo
del contendere, Buozzi passava alla cronaca. E diceva: Data questa costituzione, Rossoni e Razza, malgrado le proteste del gruppo operaio, vennero
sempre ammessi alla conferenza come delegati operai, col voto compatto dei
padroni e di parte dei governi mentre il gruppo operaio (composto di socialisti, di sindacalisti e di cattolici) valendosi dei suoi diritti, li escluse da tutte
le cariche22. Ma dopo tanti duelli, il regime era deciso a chiudere la partita, a conquistare quelle cariche nelle strutture elettive che i sindacati internazionali non concedevano: Allinizio dei lavori fece spargere la voce (la
delegazione italiana, n.d.a) che se si fosse rinnovato il boicottaggio a Razza
ed ai consiglieri tecnici operai, avrebbe abbandonato sdegnosamente i lavori.
Il gruppo operaio, unanime, non si commosse. Escluse Razza ed i suoi amici
da tutte le commissioni e la delegazione fascista rinfoder le armi... Poi tent
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4
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista Franco Angeli 1984, pag. 79
5
Bruno Buozzi: lettera a Carrefour, 11 marzo 1928 in Bruno Buozzi scritti e discorsi
Editrice Sindacale Italiana 1975, pag 235
6
Bruno Buozzi: lettera a Cerrefour, 11 marzo 1928. Ibidem pag. 236
7
Bruno Buozzi: lettera a Carrefour, 11 marzo 1928. Ivi
8
393
Laltra CGdL
Nella foto una fase del congresso di fondazione della CGdL del 1906 che
si svolse a Milano. Sempre nella citt lombarda, in una fabbrica, nacque
nel 1927 la Confederazione clandestina su iniziativa del Partito Comunista
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unico che per la prima volta doveva superare non solo le diversit ideologiche ma anche quelle religiose coinvolgendo i cattolici che sino a prima
del fascismo avevano preferito organizzarsi per proprio conto nella Cil.
Perch evidente che molti di quei veleni, alimentati dalla corsa allegemonia (culturale prima ancora che organizzativa) nella rappresentanza del
mondo del lavoro che troppo spesso ha indotto un pezzo della sinistra italiana a sentirsi il depositario di una verit rivelata che, poi, rivelata non era
affatto, hanno avuto degli strascichi, anche psicologici perch relativi alle
relazioni tra le persone, cio alle dinamiche private pi che a quelle pubbliche. Lo straordinario impegno posto nellaffermazione della purezza
ideologica non ha certo agevolato, negli anni e nei decenni il dibattito, al
contrario ha contribuito a trasformare il campo delle forze progressiste italiano in una sorta di cortile riservato al combattimento tra galli aggressivi.
La conseguenza stata la perdita di lucidit, la difficolt a confrontarsi con la realt in continuo mutamento, la lentezza a prevedere cosa ci
fosse dietro langolo della storia. Atteggiamenti e comportamenti che
hanno, nel campo opposto, prodotto una certa tendenza a inseguire un nuovismo senza contenuti e prospettive, la trasformazione della modernit in
un principio di vita assoluto e incontestabile, una certa disinvolta adesione
a comportamenti superficialmente considerati innovativi ma in realt solo
profondamente sbagliati. Insomma, da un lato lirrigidimento dottrinario,
dallaltro leccesso di elasticit etica. Nel mezzo una sinistra che non riuscita a evolversi finendo per essere in alcuni casi velleitariamente in lotta
col capitalismo, in altri supinamente subalterna. E tutto questo mentre in
Europa quella stessa sinistra si evolveva e governava, a volte scrivendo la
storia, altre volte deludendo le attese, sempre, comunque, riuscendo ad
avere una centralit politica che, al contrario, in Italia stata episodica o
stentata. Una sinistra, in sostanza, che in buona parte rimasta bloccata a
quei vecchi contrasti e a quei vecchi anatemi, formulati, semmai, con parole
nuove, pi moderne o eleganti, ma ferme su un confine che non mai stato
attraversato. Perch, poi, a guardare bene alcuni dei motivi che inducevano
Buozzi e i sindacalisti comunisti a parlare lingue cos diverse pur in una situazione che, al contrario, avrebbe dovuto facilitare luso di una grammatica
e di una sintassi comune, sono in buona parte riemersi quando i negoziati
per la ricostruzione del sindacato sono entrati nel vivo, quando con estrema
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arrivata dallaltra CGdL. Era gennaio e il giornale dava conto di una missiva
spedita alcune settimane or sono dalla segreteria della CGdL comunista
alla CGdL italiana, una formula velenosa per sottolineare che la prima
era una organizzazione che riguardava una sola parte politica mentre la seconda era la diretta prosecuzione dellorganizzazione ecumenica nata nel
1906. Il resoconto svelava il contenuto della lettera: Dopo spiegate le ragioni che attualmente militano in favore dellunit sindacale, chiedeva che
due delegazioni delle due Confederazioni si riunissero insieme per esaminare di comune accordo le basi e le modalit di fusione delle due organizzazioni e il programma della Confederazione unica che ne dovrebbe
risultare1. Al primo contatto scritto, aveva fatto seguito un colloquio tra
Buozzi e Di Vittorio che guidava la CGdL comunista. In quella occasione,
il primo aveva fatto presente che la risposta non sarebbe stata sollecita
perch la proposta di unit doveva essere esaminata dagli organi responsabili della CGdL anche nei suoi rapporti con laffiliazione alla Federazione
Sindacale Internazionale2. Dicembre era evidentemente passato invano e
agli inizi del nuovo anno Di Vittorio bussava di nuovo alla porta di Buozzi,
consapevole della fattibilit delloperazione essendo nel frattempo diventate
favorevoli le condizioni politiche. Il 17 agosto del 1934, infatti, Palmiro Togliatti, segretario comunista, e Pietro Nenni, segretario socialista, avevano
firmato il patto di unit dazione antifascista (intesa che fu poi investita dalla
bufera nel momento in cui Molotov e Ribbentrop firmarono il 23 agosto
1939 il famoso trattato di non aggressione con il quale Hitler e Stalin si dividevano le spoglie della Polonia e lArmata Rossa veniva autorizzata a
invadere le Repubbliche Baltiche). Non cerano, insomma, pi impedimenti
alla ricomposizione di una frattura sindacale che in realt ai comunisti aveva
portato pochissimi benefici visto che la CGdL organizzata in clandestinit
non era alla fine andata oltre la pubblicazione del vecchio giornale Battaglie
Sindacali. La cronaca stringata de lOperaio Italiano spiegava, dunque,
che in data 2 (gennaio 1936, n.d.a.) corrente la confederazione comunista
scrisse nuovamente alla CGdL rievocando i termini della sua proposta di
unit sindacale, lamentando di non avere ancora ricevuto una risposta ed
augurandosi che il lungo silenzio non significhi ostilit preconcetta allunit sindacale. A questa sollecitatoria, lEsecutivo della CGdL ha risposto con la seguente lettera3.
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I toni erano formali. Risentivano, evidentemente, di anni, nel migliori dei casi, di incomunicabilit, nel peggiore di aperta e non ancora sanata ostilit. Daltro canto, nulla era stato risparmiato nel fuoco della
polemica. Nessuno sconto aveva, ad esempio, fatto il Comintern nel momento in cui aveva scritto: Noi dobbiamo considerare Buozzi come un liquidatore della CGdL, un disertore e denunciarlo come tale alla classe
operaia italiana4. Il segretario confederale, nove anni dopo non era pi
un disertore, almeno non lo era per i comunisti italiani che con lui volevano
provare a ricostruire ununit sindacale che diventava uno strumento decisivo nella lotta al fascismo. Le polemiche e le incomprensioni non avevano
facilitato quella battaglia, anzi lavevano il pi delle volte complicata perch limmagine del vero nemico era stata dimenticata per concentrarsi su
un nemico fasullo, che poteva anche essere (in un regime democratico) elettoralmente un avversario ma che in un momento come quello, con una dittatura che si era ormai messa alle spalle gli anni del maggiore consenso e
si avviava (per le avventure coloniali e per la guerra) verso la crisi definitiva, poteva soltanto essere un alleato. Buozzi, nella seguente lettera da
un lato rassicurava gli interlocutori ma dallaltro ci teneva a sottolineare
che le difficolt incontrate nella ricomposizione del tessuto unitario non
erano state prodotte a Parigi ma, semmai, a Mosca e dintorni. Scriveva il
segretario: Abbiamo ricevuto la vostra proposta di unit sindacale e comera nostro preciso dovere labbiamo sottoposta allesame dei nostri
gruppi residenti in Italia. Alcuni di questi gruppi ci hanno gi risposto,
altri ci hanno promesso di farlo fra breve. Appena ricevute queste risposte
convocheremo il nostro Consiglio allargato. Immediatamente dopo e sar
entro il mese corrente vi indicheremo la data e il luogo in cui la nostra e
la vostra delegazione potranno incontrarsi. E poich voi conoscete quanto
noi le difficolt che si devono superare per consultare i gruppi di militanti
che operano in Italia, speriamo vi persuaderete che il nostro ritardo pi
che giustificato e per nulla imputabile a ostilit preconcette allunit sindacale5.
Le lettera esprimeva chiaramente la volont della CGdL di Buozzi
di andare a una intesa. Ma ci teneva a sottolineare una diversit di comportamenti: le ostilit preconcette non facevano parte delluniverso pragmatico
della Confederazione che aveva scelto di trasferirsi a Parigi che ben altre
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ostilit aveva dovuto, negli anni precedenti, fronteggiare. Per rendere ancora pi esplicito il concetto, Buozzi concludeva: Cogliamo anzi loccasione per riconfermare che di questa unit siamo stati sempre fautori
ferventi e che della scissione sindacale italiana noi non abbiamo minima
responsabilit. Voi non ignorate certo che la nostra Confederazione esiste
fino dal lontano 1906, mentre la vostra venne creata nel 1927 quale contro-altare alla nostra. E voi non ignorate del pari, che lultimo tentativo di
unit sindacale fatto verso la fine del 1933 da un gruppo di lavoratori massimalisti, fall proprio a causa dellostilit della vostra organizzazione6.
Buozzi, in un momento in cui si andava a un chiarimento, ci teneva a fare
un piccolo ripasso di storia. Ci teneva, tanto per cominciare, a sottolineare
che non cera stato alcuno scioglimento della Confederazione visto che
lorganizzazione allestero aveva provveduto a disconoscere quanto fatto
da DAragona e soci anche perch, al di l di qualsiasi valutazione politica,
la scelta era stata adottata da persone che non avevano alcun potere. Dunque, rivendicava la continuit che i comunisti, al contrario, avevano
messo in discussione nel momento in cui avevano deciso di costituire unaltra CGdL.
E quella continuit era confermata dal fatto che la Federazione Sindacale Internazionale si era affrettata a riconoscere la legittimit della
ditta aperta a Parigi da Buozzi, anzi, come lo stesso segretario aveva spiegato, aperta ad Amsterdam visto che ufficialmente la sede della CGdL coincideva con quella della Fsi. Ma non si limitava a queste precisazioni, il
segretario. Venuti i nodi al pettine, verificata limpossibilit di gestire in
clandestinit lazione sindacale (conclusione a cui Buozzi era giunto subito
dopo Palazzo Vidoni, il varo della legge sindacale e le norme repressive
che avevano fatto seguito allattentato di Bologna contro Mussolini), i comunisti dovevano prendere atto in qualche maniera degli errori compiuti
con quella scelta. Se il fronte operaio aveva subito una dolorosa frattura, la
responsabilit non era stata di chi, con lucidit aveva preso atto che le cose
in patria avrebbero avuto un corso poco favorevole alla libera gestione
dellattivit sindacale, ma ricadeva inevitabilmente su chi si era illuso che
si potesse continuare contro una legislazione che non prevedeva alternative
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dellorganizzazione. In questa scelta era stato anche sollecitato dalla Federazione Sindacale Internazionale. Ma nemmeno la decisione dei comunisti
era stata un fulmine a ciel sereno. Ad annunciare una simile evoluzione era
stata, proprio il primo dellanno (1927), Camilla Ravera, membro dellUfficio Politico del PCdI. A Palmiro Togliatti aveva comunicato, infatti, che
qualora risultasse ben certo che la CGdL (ci che appare la cosa pi probabile) rinuncia ad ogni lavoro organizzativo e di reclutamento, io penso
che si possa fare un manifesto di partito in cui si denuncia questo atteggiamento dei capi confederali, si richiamano gli operai a tutelare la vita e
gli interessi della loro organizzazione, a ricostruire le fila della CGdL in
modo da ricostruire le forze e darle una capace e degna direzione... In un
primo tempo... il nostro lavoro sindacale dovrebbe soprattutto avere il carattere di unazione di propaganda e di agitazione sindacale, pi che di
stretta organizzazione9.
Il 5 febbraio, un mese dopo lo scioglimento decretato da DAragona
e Rigola, lUnit clandestina annunciava la ricostituzione dellorganizzazione sindacale, seppur in clandestinit. Scriveva lorgano comunista: Il
diritto sindacale occorre conquistarselo e riconquistarselo quando si perduto. Le difficolt che derivano dalla situazione, lesistenza di una proibitiva legislazione fascista, i maggiori sacrifici imposti dalla lotta non
getteranno gli operai nellinerzia e nella passivit, perch gli operai si rifiutano di accettare il presente stato di cose, vogliono superarlo. Quando
le vostre camere del lavoro caddero ad una ad una , parve a taluno come
lorganizzazione fosse morta. Ma i nuclei vitali del movimento sindacale
continueranno a vivere; perch il sindacato non un edificio di mattoni
ma un organismo vivente della vita delle masse. Oggi, che insieme con i
vostri nemici, i vostri capi tentano di far crollare la vostra massima organizzazione, voi affermerete che la Confederazione generale del lavoro vive,
che la deliberazione di coloro che furono i vostri dirigenti non ha alcun
valore, che essa non stata sanzionata da voi e non lo sar mai10. Il 20
febbraio, infine, nellofficina di una fabbrica di specchi in via Porta Vigentina nasceva la CGdL in clandestinit preconizzata da Camilla Ravera e dal
lUnit. In quellofficina oggettivamente non cerano tutte le anime del
lavoro italiano e tutte le anime sindacali. Cerano le federazioni in cui i
comunisti erano maggioranza (legno, alberghieri, impiegati privati), cerano
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Turati (il primo da destra) e i candidati socialisti in una cartolina elettorale del 1900
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Braccato e spiato
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positori, un leader che con la sua storia e la sua autorevolezza poteva orientare le masse, indirizzare la lotta anti-fascista, favorire il reclutamento di
oppositori, organizzare meglio di altri le fila del movimento. Insomma,
era temuto. Temuto e allo stesso tempo rispettato. Riportarlo in Italia favorendone labiura dellantifascismo, avrebbe da un lato indebolito il
fronte degli oppositori e dallaltro dato legittimit al regime. In particolare,
avrebbe dato una parvenza di affidabilit a un sindacalismo fascista che,
al di l dei numeri ufficiali ottenuti con i metodi che Buozzi continuamente
denunciava (lobbligatoriet delliscrizione, il divieto di aderire a organizzazioni alternative, lobbligatoriet dei contratti, lattribuzione in monopolio della capacit negoziale stabilita con il patto di Palazzo Vidoni e
ancor di pi con la legge che vietava anche il diritto di sciopero), non era
riuscito a penetrare realmente allinterno del tessuto produttivo. Il consenso era figlio della paura non del convincimento, del timore di non trovare posto di lavoro o di perdere quello che si era trovato e non tutti erano
in vena di eroismi.
Il sindacato fascista sempre stato una creatura incompiuta, una
realt marginale in un regime che aveva provato, mescolando nel corporativismo anche elementi tipici delle vecchie organizzazioni, a costruire una patina di accettabilit su una realt che accettabile non era per alcuni difetti
strutturali, primo fra tutti lassenza di libert, la confisca dellatto volontario.
Mussolini e Rossoni avevano provato, attraverso il tradimento di DAragona,
Rigola, Colombino e compagni a recuperare in qualche maniera terreno nelle
fabbriche ma invece di far guadagnare credibilit allorganizzazione fascista,
avevano finito per farla perdere a quei vecchi dirigenti sindacali che, comunque, gi prima dellavvento del fascismo allinterno della Confederazione ricoprivano, in qualche misura un ruolo se non secondario, politicamente
subalterno. Nella CGdL erano i metallurgici la categoria di riferimento, la
struttura federale pi forte ed era inevitabile che il suo leader acquisisse allinterno dellorganizzazione nel suo complesso un ruolo e un peso che andava al di l dei confini dello specifico settore produttivo. La Confederazione
si identificava in larga misura in Buozzi gi prima che il dirigente sindacale
venisse chiamato a salvare il salvabile dopo le dimissioni di DAragona. Non
un caso che le vertenze-pilota fossero quelle delle fabbriche metallurgiche
e che le rivendicazioni avanzate dalla Fiom spesso si trasformassero in ri418
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nale (La Libert, n.d.a.) - che ha avuto ottimo successo aiuta moltissimo.
Ed io spero che la concentrazione diventer veramente il centro dellItalia
di domani1. Laspetto ottimistico delle sue valutazioni non trover conferma, al contrario di quello pessimistico. Perch saranno proprio le chiesuole, unite alla scomparsa prematura di Claudio Treves che del giornale
che aveva avuto ottimo successo era stato il grande animatore, porteranno
nel tempo alla dissoluzione della Concentrazione. Daltro canto, tutte le alleanze antifasciste ebbero un andamento altalenante: a una fase di grande
solidariet faceva seguito una di grande polemica. Una legge che riguard
anche luscita dalla guerra, la costruzione della Repubblica, la fase costituente e, infine, la rottura tra la Dc e gli alleati centristi di governo, da un
lato, comunisti e socialisti dallaltro. Certo, in questultimo caso un ruolo
decisivo lo svolse la Guerra Fredda.
Da un lato c la speranza del domani, dallaltro la certezza di un
oggi che troppo lontano dalle speranze e che obbliga a vivere immersi
in una nuova realt, per quanto affascinante come quella parigina. Le amarezze a volte superano le gioie, la nostalgia viene in qualche maniera repressa con il lavoro quotidiano. E poi ci sono le polemiche. La partenza
dallItalia, non capita da tutti e non condivisa da tutti. Le polemiche e i veleni, lidea che alla base della scelta vi siano pi interessi personali che motivazioni politiche, pi lesigenza di mettere in salvo la propria pelle che la
struttura dellorganizzazione. Una condizione personale caratterizzata da
un tumulto di sensazioni e dal bisogno di essere, comunque, capito. C
unaltra lettera significativa di quei primi mesi, sempre al fratello Antonio.
La decisione di trasferire la Confederazione a Parigi era diventata pubblica
a fine dicembre; agli inizi di gennaio, il gruppo DAragona-Rigola aveva
deciso di sciogliere lorganizzazione e di creare le basi per la costituzione
dellAssociazione di Studio Problemi del Lavoro. Militanti e dirigenti
erano, inevitabilmente, un po spaesati. La conseguenza era che intorno a
Buozzi e alla sua scelta erano nati malintesi, interpretazioni malevoli, alimentate anche dallaggressivit giustificatoria di chi aveva deciso di fare
il funerale alla CGdL riservando onoranze di terza classe. Il 16 gennaio del
1927, Bruno Buozzi scriveva al fratello: Ti unisco unaltra lunga lettera,
inviata ad amici di Milano, colla quale credo di aver placato, sintende
nelle anime oneste, il dubbio che alcune lamentele e critiche fatte circolare
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B R A C C AT O E S P I AT O
a mio riguardo fossero fondate. Qualcuno da Milano mi ha gi scritto riconoscendo lealmente che se per un certo periodo si navigato nella incertezza, la colpa non mia. Non pensare che io abbia sofferto per quello
che pu essere stato detto e pu essere stato detto nei miei riguardi personali. La mia coscienza talmente tranquilla che sa non avere in proposito,
alcuna preoccupazione. Certo sarei assai pi felice se mi trovassi in Italia,
fra i miei a lavorare liberamente per i miei ideali2.
Sicuramente anche altri avrebbero gradito la sua presenza in Italia,
cio coloro che erano stati costretti ad ammettere che la perfetta macchina
di controllo, repressiva del regime fascista qualche crepa ce laveva. Bruno
Buozzi, infatti, era riuscito a far perdere le tracce. Il capitano Raffaele
Bianco, comandante della compagnia di Ferrara Interna, quasi contemporaneamente alla lettera che Antonio riceveva dal fratello Bruno, era a sua
volta destinatario (il 28 gennaio) di un invito a compiere delle ricerche per
individuare il segretario confederale. Il capitano rispondeva il 4 febbraio
1927 (Anno V, dellera fascista n.d.a.) in maniera quasi sconsolata, seppur con il piatto stile narrativo che lArma imponeva (ed impone ancora).
Oggetto: Ricerca di sovversivi. A quel punto Bianco comunicava: Con
riferimento al foglio succitato, si partecipa che da indagini esperite risultato che lex deputato socialista Buozzi Bruno fu Orlando e Berti Maddalena (Busti, in realt n.d.a.) nato il 31 gennaio a Pontelagoscuro, ex
segretario generale della Federazione Nazionale Metallurgici (si erano
persi un passaggio, lelezione al vertice della CGdL, n.d.a.), non ha fatto
ritorno al suo paese nativo. Quindi una rapida illustrazione del contesto
familiare che avrebbe potuto accogliere il sovversivo: A Pontelagoscuro
ha una zia materna, Buozzi Udgarda abitante in via Piacere, unica superstite della famiglia, con la quale da oltre un anno non mantiene alcuna corrispondenza. Anche dalle indagini esperite presso lUfficio Postale,
lelemento fascista ed altre fonti, risultato non essere egli in corrispondenza con altre persone. Risulta che un anno fa la moglie ed i figli del
Buozzi abitavano a Torino Viale Margherita, ove si ritiene abitino tuttora
e dove si ritiene altres siasi rifugiato il Buozzi stesso. Bisogna dire che
dal punto di vista del controllo delle persone e del territorio non che la
situazione fosse allepoca brillantissima.
Per quanto occhiuto, il regime aveva pur sempre un segno distintivo
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italiano, cio lapprossimazione. Buozzi, evidentemente, aveva ormai abbandonato Torino e lItalia, viveva a Parigi, dove riorganizzava la struttura
del sindacato. Daltronde, mentre il capitano Bianco esperiva le sue ricerche per fornire ai superiori una risposta che i medesimi probabilmente
non gradirono, il segretario della Confederazione inviava lettere in giro per
lItalia per dare indicazioni e distribuire compiti. A un amico, ad esempio,
alla fine di gennaio, mandava una missiva per chiedergli di raccogliere alcuni documenti e spedirglieli in Francia, distruggerne altri e organizzare il
trasferimento allestero della Fiom. Scriveva: A casa mia, fare subito uno
spoglio sommario degli incartamenti che vi si trovano. Ci sono lettere, scritti
e appunti polemici, incartamenti riguardanti lAlleanza Cooperativa, concordati, statistiche e relazioni: tutto questo deve essere messo in casse e inviato allindirizzo di cui sopra. Gettare al fuoco quanto vecchio e non pu
pi servire, neppure come ricordo, compresi i vecchi ritagli dei giornali.
Fra questi per ve ne sono pochi di questi ultimi anni riguardanti il fascismo, da spedire nelle casse. Le cartelle che si trovano nella scrivania e nellarmadio della sala da pranzo, possono essere spedite come sopra. Tutto
ci per da farsi subito. Appena fatta la spedizione, Comitato Centrale e
Commissione di controllo devono riunirsi di fronte al notaio e prendere la
deliberazione che unisco. La deliberazione dovr naturalmente essere legalizzata e spedita immediatamente in copia alla Federation International
Ouvrier Matellurgiste, Berna. Una copia la invierete anche a me3.
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liticamente noto a questo ufficio fin dal 1912 epoca in cui era consigliere
della Confederazione Generale del Lavoro, con sede a Milano, come professante idee socialiste riformiste. Apparteneva al partito fin dal 1906, anno
in cui si rec a Milano perch nominato segretario di quella Federazione
Italiana Metallurgici. I dirigenti della Questura mostravano una scarsa dimestichezza con le vicende sindacali e facevano un po di confusione nella
ricostruzione della carriera di Buozzi che nel 1912 gi non era pi a Milano
insieme alla sede dei metallurgici trasferita a Torino. Continuava la nota:
Nel 1919, il Buozzi, chiese e ottenne previo assenso del Ministero dellInterno, il passaporto per la Francia, Svizzera, Olanda ed Inghilterra allo
scopo di partecipare alle varie conferenze internazionali del lavoro indette
in quei paesi e specialmente alla pi importante di esse, quella di Amsterdam. Nello stesso anno 1919 fu eletto deputato di parte socialista per la circoscrizione piemontese e per tale sua qualit e dincarico di partito, il
Buozzi si recava sovente fuori Torino per organizzare le leghe operaie, tanto
che da quellepoca, la sua dimora in questa citt divenne puramente formale. Rieletto deputato nellelezioni dellaprile 1924 continu a svolgere
attiva propaganda in favore del partito socialista unitario in seno al quale
godeva di molta influenza... Oratore efficace ed espertissimo in materia di
organizzazioni sindacali il Buozzi godeva di molta influenza nel partito e di
incontrastato ascendente sulle masse... Di carattere mite, per, rifugg sempre dalle violenze tanto che quando le teorie comuniste cominciarono a prevalere sulle socialiste, si deline contro di lui e proprio per i suoi metodi di
temperanza, forte corrente di avversione. Il 27 ottobre 1926 espatri in
Francia e da allora non pi ritornato in patria.
Ai fini polizieschi questa sorta di curriculum vitae non ha un gran
rilievo. Ci non toglie che emergano alcuni elementi interessanti. Tanto per
cominciare, la data in cui Buozzi sparisce dallItalia: il 27 ottobre 1926.
Quattro giorni dopo Anteo Zamboni prova ad ammazzare il duce ferendo solo la tappezzeria della sua auto; a quel punto Mussolini annuncia
il giro di vite e Buozzi decide che laria ormai troppo pesante. Si d allesilio. Molti altri lo avevano preceduto su quella strada. Altro elemento:
la mitezza del carattere che in buona misura emerge anche dal tono delle
lettere. Persino le polemiche pi accese non assumono mai toni eccessivi
da un punto di vista dialettico. Unidea di lotta politica ispirata a principi
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di tolleranza (temperanza) che lo rende, allo stesso tempo, straordinariamente influente fra i lavoratori ma che non gli consente di guadagnare simpatie tra chi sogna la spallata rivoluzionaria, armi in pugno, semmai
lannientamento fisico degli avversari di classe. La definizione pi semplice
: uno spirito squisitamente democratico, disponibile al confronto ma non
allassalto allarma bianca, coerente ma non iracondo. Forse saranno state
anche quelle relazioni che arrivavano da citt in cui Buozzi aveva lavorato
e si era fatto apprezzare a convincere Mussolini (che pure lo conosceva
bene per aver militato anche lui nel Psi) che la soluzione giusta per convincere i lavoratori ad abbracciare la causa del sindacalismo corporativo
era la cooptazione del segretario della CGdL, la sua folgorazione sulla
strada della societ fascistizzata. Il 29 maggio 1929 (Anno VII) la Regia
Prefettura di Torino intercettava uno scritto a cui veniva dato il titolo di:
Libello antinazionale. Destinatario della comunicazione prefettizia la
Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del Ministero dellInterno. Scrive
il funzionario: Dalla milizia postelegrafonica stato rimesso lunito libello antinazionale dattilografico in 7 fogli dal titolo Carissimo Villani
Parigi 26 febbraio 1929 a firma del fuoruscito Bruno Buozzi, rinvenuto dal
personale dellUfficio Poste di Torino Ferrovia fra le corrispondenze ordinarie proveniente dalle buche di impostazione della citt (Borgo S. Salvario: levata delle ore 20 del giorno 24 corrente). La lettera, insomma,
non arrivava direttamente dalla Francia. Forse come ha sostenuto Castagno
era un espediente: attraverso la risposta a Villani (che pure aveva partecipato attivamente alla trattativa), Buozzi (non volendo scoprire troppo il
fratello Antonio) faceva pervenire allesterno il suo messaggio per tacitare
i pettegolezzi che si erano sviluppati anche a causa di qualche dichiarazione
pubblica imprudente.
La conferma di tutto ci arrivava, daltro canto, per via indiretta attraverso un epistolario che precedeva (e anche di alcuni mesi) il rinvenimento del libello antinazionale. Villani scriveva il 4 marzo al Carissimo
Rossi (Romualdo n.d.a.) anche lui coinvolto in quella strana trattativa (era
in ottimi rapporti con il ministro dellinterno Enzo Bianchi). Diceva lex
ispettore della CGdL: Buozzi non vede a che cosa potrebbe servire il suo
ritorno in Italia. Egli troppo onesto per cercare soluzioni personali che se
da un lato garantirebbero il suo avvenire economico, distruggerebbero inte425
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
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Due anni dopo, il 24 ottobre del 1934 (Anno XII), la polizia tornava ad
occuparsi della moglie di Buozzi con una lettera del ministero ai prefetti di
Ferrara e Pavia: La Regia Ambasciata di Parigi con dispaccio 6 corrente
ha riferito: la nominata in oggetto (cio Rina Gaggianesi, n.d.a.) abita insieme al marito, noto socialista militante, al n 8 di Boul. Ornano in questa
capitale. La Gaggianesi professa apertamente idee antifasciste ma non
esplica attivit politica. Quanto sopra si comunica per opportuna notizia
alla Regia Prefettura di Ferrara. La Regia Prefettura di Pavia pregata
di dare cortese riscontro alla ministeriale del 15 settembre u.s. N 62462
e di disporre la iscrizione della Gaggianesi nella rubrica di frontiera. Avvicinandosi i venti di guerra e ormai accertata lindisponibilit di Buozzi
ad avere un rapporto diverso, la pressione intorno al segretario generale
della CGdL si fa sempre pi forte. Un telegramma cifrato del 21 ottobre
del 1936 (Anno XIV) viene spedito a tutti i questori del Regno per rinnovare preghiera vigilanza per arresto comunista (anche la qualifica politica evidentemente segnala un pi alto livello di pericolosit del ricercato,
n.d.a.) Buozzi Bruno nato a Pontelagoscuro 31-1-1881 residente in Francia, iscritto pagina 93 rubrica di frontiera et elenco sovversivi residenti
estero. Il 18 aprile 1939, infine, la Regia Questura di Ferrara chiedeva alla
divisione Polizia di Frontiera e Trasporti del Ministero dellInterno e al Servizio Rubriche di Frontiera di arrestare Buozzi Bruno di Orlando.
Ci sono aspetti anche un po comici in queste comunicazioni. Il 24
gennaio del 1935 il Ministero dellInterno comunicava al prefetto di Ferrara
che luned mattina, 14 ottobre u.s. Si sono riuniti nella Maison du Peuple di Bruxelles i maggiori esponenti del p.s.i., p.c.i. E partito soc. massimalista. Seguivano, quindi, i nomi: Modigliani, Morgari, Buozzi, Trentin
e Parini per i socialisti. Per i comunisti, invece, cerano Grieco, Di Vittorio
e... Ercoli. Cio Togliatti, dettaglio evidentemente sfuggito ai compilatori
della nota. Ai controlli nessuno dei membri della famiglia si sottraeva e
cos, anche fatti privati, diventavano di interesse politico. Il 31 agosto 1938
la Divisione Polizia Politica inviava alla Divisione Affari Generali e Riservati una dettagliata relazione sui movimenti avvenuti allinterno della famiglia Buozzi. E cos si veniva a sapere che una delle figlie di Buozzi
Bruno, Iole, ha sposato e si trova in Corsica col marito e che, prossimamente, anche laltra figlia, Ornella , andr a nozze con un pittore pub428
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dovuto rinunciare allo stipendio confederale e avviare una attivit commerciale per far fronte alle sue necessit economiche. I tentativi di Lorenzi,
fruttuosi con il direttore del Becco Giallo, non furono coronati da successo: Buozzi non era Giannini. Ma nel suo lavoro lagente operava anche
nel campo delle insinuazioni, delle millanterie, degli strumenti pi subdoli
e ambigui per distruggere la credibilit dellantifascismo e limmagine di
un leader. Gli infiltrati e gli uomini dellOvra, allinterno del gruppo dei
fuorusciti italiani, operarono alacremente, con lobiettivo di aprire varchi,
facendo leva (come nel caso di Giannini ) sulle difficolt economiche e su
una certa volatilit dei convincimenti politici personali. Lobiettivo, poi,
era quello di screditare le persone mettendo in circolo notizie infondate, di
indebolirle nei rapporti umani, di fiaccarle dal punto di vista dello spirito.
Ma Buozzi, come pure riconoscevano quei rapporti di polizia che abbiamo
gi citato, era uno dalla schiena dritta, non si fece allettare dalla carota
del negoziato, non indietreggi davanti alla persecuzione poliziesca e non
permise a spioni e infiltrati di incrinare la sua immagine pubblica e
privata.
Bruno Buozzi, lettera al fratello Antonio del 10 giugno 1927 in Bruno Buozzi, scritti e
discorsi Editrice Sindacale Italiana 1975, pagg. 230-231
2
Bruno Buozzi, lettera al fratello Antonio del 16 gennaio 1927 in Bruno Buozzi, scritti
e discorsi. Ibidem pag. 199
3
Bruno Buozzi, lettera a un amico. In Bruno Buozzi scritti e discorsi. Ibidem pagg. 203-4
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giore un po disattento lo era stato, forse anche pi di un po visto che i parenti di Buozzi erano i proprietari di un cinema sistemato proprio davanti
alla caserma da lui comandata. Come se non bastasse, la casa in cui Rina,
Ornella e Iole erano ospitate era proprio sopra il cinema. Insomma, casa e
bottega con vista sullufficio dei Reali Carabinieri. Bisogna ammettere, che
la cosa rassomiglia molto a una di quelle barzellette che circolano sui peraltro encomiabili Militi. Ma a volte il destino crudele. E, peraltro, il povero Battistini, era proprio lanello finale di una catena fatta di disattenzioni.
Solo che gli altri coinvolti potevano contare su un grado (militare o civile)
pi alto del suo. E lo stato fascista che si riprometteva di cambiare gli italiani in realt non era riuscito nemmeno a cambiare se stesso, rimanendo
sempre fedele allimperituro principio: forti con i deboli e deboli con i forti.
E Battistini al cospetto di prefetti e generali era veramente tanto debole,
dunque nelle migliori condizioni per poter pagare il conto. Per tutti. Non
dato sapere se labbiamo sbattuto in Sardegna, come si usava non solo
dire ma anche fare tanti anni fa, prima che lIsola diventasse meta ambita
del turismo pi ricco e carico di glamour (calciatori, veline, imprenditori
che in tv si trasformano in spietatissimi selezionatori di cervelli, immaginiamo senza particolari sforzi e senza straordinarie remore morali).
Che la famiglia Buozzi preparasse la fuga, lo sapevano anche le pietre. Non poteva sorprendere il fatto che il 23 ottobre del 1927, Bruno scrivesse: Organizzai il viaggio senza parlarne neppure ai parenti di Vigevano
i quali, come te, ne ebbero notizie dalla cartolina inviata da Vienna... Io
andai a incontrare i miei cari nella vecchia Austria, dove rimanemmo tre
settimane. Poi ci fermammo un giorno anche in Svizzera, ed ora siamo felici, il massimo che si pu essere felici nella nostre condizioni... Rina semplicemente stordita dal movimento parigino e dice che, una volta trovata
la casa, non uscir pi perch a circolare troppo difficile2. Il trasferimento della refurtiva era stato preparato con cura e grande attenzione. E
straordinaria discrezione. Sicuramente gi a ferragosto il piano era entrato
nella fase operativa tanto vero che, in maniera non particolarmente criptica, Buozzi ne dava conto in una lettera alla moglie. Rina, Ornella e Iole
erano gi da tempo a Vigevano e da l inviavano al segretario generale della
CGdL una lettera allarmata . Alla base di questo allarme una missiva scritta
da Buozzi ma mai arrivata, probabilmente bloccata dalla censura. Un im436
previsto che poteva rivelarsi esiziale, che poteva far saltare tutto. In realt,
per, se pure bloccata dalla polizia fascista, la lettera non conteneva nulla
di compromettente, nessun particolare che poteva svelare i piani di fuga. E
cos Buozzi il 28 di agosto scriveva alla moglie: Carissima, ieri sera, al
mio ritorno dopo alcuni giorni di assenza, ho trovato la tua e quella di Nellina3 che non mi aspettavo cos piene di preoccupazioni. Nella mia del 26
(e non del 30)4 andata smarrita, non cera niente di compromettente. Ti
confermavo e ti spiegavo il telegramma inviatoti lo stesso giorno e ti davo
mie notizie. Non quindi il caso di allarmarsi, e di pensare come dice
scherzosamente Nella a patatrac!5. Poi, in maniera circospetta, Buozzi
provava a spiegare che i preparativi per la fuga erano in corso. Avevano,
per, subito un temporaneo arresto, dovuto alla particolare situazione che
si viveva in Italia e alla necessit di agire con grande prudenza. Diceva,
usando un linguaggio nemmeno troppo cifrato: Le trattative subirono un
arresto per lassenza del titolare della ditta6; ma ora tornato in sede, le
trattative sono state riprese e limpiego sostanzialmente assicurato7.
Credo anzi che avrai gi avuto notizie dirette; se non le hai avute le avrai
prestissimo. Tu d pure tutti i ragguagli che ti chiederanno colla cartolina
a mia firma8. Stai quindi tranquilla e non preoccuparti dellavvenire, anche
se lo vedi meno roseo di come vorresti e vorrei9.
Su come, poi, sia avvenuto il trasferimento, le ricostruzioni si sono
sprecate. Gino Castagno nella sua biografia di Buozzi raccontava, ad esempio: Il viaggio della signora Buozzi e delle due bambine fu molto avventuroso. Esse vivevano nascoste a Torino nella casa del compagno dottor
Gasca, in attesa che gli amici della citt comunicassero loro che era venuto
il momento di partire. Alcuni ferrovieri vennero incaricati di aiutarle e
provvidero a scegliere il treno notturno pi adatto; il viaggio fino a Modane
fu fatto parte nel bagagliaio e parte nel vagone postale. Alla stazione di
confine le viaggiatrici, una per volta, furono prese in mezzo a gruppi di
ferrovieri italiani e francesi e portate al sicuro fuori dalla stazione. Ripartirono poi con un treno locale per proseguire tranquille fino a Parigi, sotto
la sorveglianza di un compagno francese. Versione perfetta per un romanzo di avventura. Ma non vera. Nella lettera al fratello Antonio il segretario della CGdL offre, invece, una ricostruzione che coincide perfettamente
con quella messa insieme dalle autorit di polizia, con una certa fatica. Anzi,
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polizia politica inviava alle prefetture di Milano e Torino questo telegramma: Viene riferito che componenti famiglia noto ex Deputato fuoruscito Buozzi intendano espatriare clandestinamente per recarsi in Francia.
Pregasi disporre tutte misure rigorosa vigilanza impedire effettuazione tale
proposito e telegrafare urgenza attuale recapito singoli componenti famiglia Buozzi, comunicando generalit connotati questo Ministero e Prefetti
terra e mare. Insomma, una vera e propria mobilitazione generale per fermare tre soggetti pericolosissimi: una tranquillissima signora e due bambine. Una mobilitazione tardiva: la donna e le due bambine erano a quel
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punto gi in Francia. Che fossero ormai partite, anche un disattento funzionario di polizia lo avrebbe potuto capire leggendo la comunicazione che
ventiquattro ore dopo il telegramma che mobilitava le forze di terra e di
mare, faceva pervenire al Prefetto di Torino il collega Baccaredda da Pavia:
Per supposta residenza Vigevano della famiglia ex deputato Buozzi composta dalla consorte Gaggianesi Rina e figlie Ornella e Jole; fu ospite a Vigevano per circa tre mesi congiunta Gaggianesi Carmela, maritata Brielli
Battista di Luigi proprietario cinematografo Marconi e ripartiva giorni fa
per Torino senza dare pi notizie di s. Famiglia Brielli ignora indirizzo ed
attuale recapito famiglia Buozzi; connotati Gaggianesi Rina in Buozzi: anni
35 alta, bruna, capelli castani, lisci, non porta cappello, veste decentemente;
Buozzi Ornella anni 15 capelli biondi slanciata alta 1,30 circa, Buozzi Jole
anni 11 capelli castani alta uno e 20 circa, con la scorta di altri e pi precisi
connotati questo Ufficio potr diramare le ricerche e riferire Ministero. Il
telegramma ha, oggettivamente un qualcosa di sordiano. Straordinaria,
poi, la descrizione della signora Buozzi in cui, forse, lelemento pi significativo dato dal fatto che non portasse il cappello. Per il resto la descrizione poteva andare bene per qualsiasi persona di sesso femminile (con o
senza copricapo).
Cominciava, in pratica, il palleggio delle responsabilit che avrebbe
eletto il Maresciallo Maggiore Angelo Battistini ad agnello sacrificale. Perch ventiquattro ore dopo Baccaredda, interveniva, da Torino, il collega
Devita. Telegramma, come si conviene nelle storie di spionaggio, cifrato.
In sostanza, un lungo giro di parole per prendere atto che la signora e le figlie ormai sono ben oltre i confini. Scriveva Devita: Questa Questura partecip Questura Pavia trasferimento signora Gaggianesi Rina moglie ex
Deputato socialista Buozzi Bruno da Torino a Vigevano raccomandando
massima vigilanza. Predetta questura Pavia con nota 10 agosto N. 5633 assicurava che signora Buozzi trovavasi a Vigevano10 presso famiglia cognato
Brielli e aver disposto vigilanza. Allorquando pervenne telegramma Ministero 8 corrente n. 37200/500 venne immediatamente informata prefettura
Pavia che nessun altra comunicazione aveva fatto dopo quella 10 agosto.
Predetta prefettura con telegramma 9 corrente N. 1001 informava che famiglia Buozzi era ripartita giorni fa per Torino senza specificare giorno
partenza. Disposto immediatamente indagini risultata che detta famiglia
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non aveva fatto ritorno questa citt e proseguito attivamente indagini risultato invece che essa troverebbesi Vienna. Infatti stata da questa questura sequestrata cartolina illustrata impostata Vienna col timbro partenza
7 ottobre diretta a parenti di Torino con la firma Bruno Rinaldi, Ornella e
Jole. Da perizia calligrafica risulta che firma Bruno corrisponde perfettamente a quella Bruno Buozzi il quale evidentemente trovasi col raggiunto
famiglia. La dinamica della fuga la spieg molti anni dopo Iole. A Rina e
alle figlie il regime aveva negato il passaporto. A quel punto Buozzi decise
di seguire altre strade, pi discrete e anche pi pericolose. All organizzazione del trasferimento si dedic anche il fratello di Cesare Battisti. In auto,
le tre donne raggiunsero il confine in Alto Adige. Prima di arrivare al posto
di frontiera, per, Rina, Ornella e Iole scesero e, protette dalle tenebre, accompagnate da una buona guida, passeggiando attraverso i boschi, passarono dallaltra parte, in Austria, lasciandosi alle spalle lItalia e Mussolini.
Qui ad accoglierle trovarono lauto che aveva serenamente superato i controlli di frontiera e Bruno che le riabbracci dopo quella lunga e certo non
volontaria separazione. Quindi, tutti insieme verso Vienna.
Le date, in effetti, confermano quelle indicate da Buozzi nella lettera al fratello Antonio e alle cartoline come strumento di comunicazione
anche il segretario generale della CGdL aveva fatto accenno. A quel punto,
il caso esplodeva obbligando a correre ai ripari. Soprattutto i funzionari
dovevano correre per evitare le ire del regime. E cos il prefetto Devita ci
teneva a far sapere che lui aveva immediatamente informato il collega
di Pavia e che alla soluzione del giallo era arrivato proseguendo attivamente le indagini. Contemporaneamente a Devita, scriveva al ministero
dellinterno anche Baccaredda: Seguito mio telegramma nove corrente
1001 da Vigevano informo che ex Deputato Buozzi tre corrente11 scrisse da
Vienna al Brielli che moglie Rina e figlie lo avevano raggiunto a Vienna
ma sarebbero ripartite per Parigi con recapito via Vauvers n. 60. Insomma, il solerte allarme era scattato con almeno diciotto giorni di ritardo
rispetto alla partenza della signora con le sue due figlie. La data della fuga
sarebbe stata ricostruita, infatti, dallispettore generale di Ps incaricato di
andare a Vigevano per accertare le responsabilit. Il 15 ottobre 1927 scri440
veva al capo della polizia: Accertai poi che dette persone erano partite
giorno 21 settembre e presi anche visione di una lettera a firma Bruno, con
la quale questi partecipava ai parenti arrivo a Vienna della moglie e delle
figlie. A chi tutto questo era sfuggito? Allultima ruota del carro. E, infatti,
lispettore, senza alcuna indulgenza, affermava: Responsabilit espatrio
clandestino famiglia ex deputato Buozzi Bruno ricade su Arma Reali Carabinieri Vigevano, che, contrariamente assicurazioni fornite a suo tempo,
con nota 7 agosto u. s. alla Questura di Pavia, aveva trascurato di effettuare
la vigilanza richiesta. Recatomi a Vigevano e interrogato il Maresciallo Battistini Angelo, firmatario della lettera suddetta, in presenza tenente Sig. Caffaratti Luigi, Comandante Interinale della Compagnia e del Vice Questore
di Pavia Cav. Azzali, con sorpresa appresi che detto sottufficiale riteneva
essere presenti persone da vigilare, che insisteva aver veduto fino a qualche
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B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
tutti gli aspetti, far terminare lanno scolastico tanto a Nella che a Iole. Tu
intendi con quale dispiacere ti parlo in tal modo, ma... necessit non conosce legge. Per lalloggio cerca di ottenere che ti lascino stare fino a maggio,
cio fino allepoca della chiusura della campagna e delle scuole, perch
poi dovremmo recarci ad abitare a Roma. Se troverai resistenze, accetta
pure di rimanere sino a tutto marzo. Di qui ad allora, pu darsi che si verifichino degli imprevisti13. Spaccati di vita quotidiana che raccontano la difficolt dellesistenza di un esiliato, della condizione sospesa in cui
vivevano i suoi familiari.
Buozzi avvertiva gli struggimenti della moglie, ne coglieva le angosce attraverso le lettere che periodicamente gli arrivavano, provava a
consolarla e una decina di giorni dopo quella comunicazione con la quale
rinviava il rientro in Italia, le diceva: Rina mia cara, la tua ultima un
poco migliore delle altre, ma non tanto da tranquillizzarmi del tutto sul tuo
stato danimo. Ogni tua parola riconferma limmenso affetto che nutri per
il tuo Bruno e per le nostre care bambine, ma ancora troppo accorata. La
distanza che ci separa indubbiamente dolorosa, ma non tale da giustificare
il turbamento che mi manifesti. Da quando siamo compagni e noi lo siamo
veramente nel senso migliore della parola e sono quasi quindici anni! - la
mia vita pubblica e privata ci ha procurato ogni sorta di emozioni, liete e
tristi, ci che accade oggi non dovrebbe addolorarti troppo14. La solidit
del rapporto consentiva a Buozzi di aggrapparsi alla moglie ma anche di
offrirle, seppure a distanza, una spalla su cui appoggiarsi con le proprie
paure, le proprie inquietudini, i troppi interrogativi sul futuro: La certezza
dellimmenso reciproco affetto che ci lega, dovrebbe, da sola, essere sufficiente per darti animo. Prima che in quindici anni! - mai una nube riusc,
non dico ad oscurare; ma appena a turbare seriamente per ventiquattro ore
la nostra felicit. Perch allora vivere in uno stato permanente di accoramento che rasenta quasi langoscia?
Il leader sindacale svelava, in questi dialoghi intimi, personali una
tenerezza che nel momento pubblico non traspariva, svelava anche il suo
carattere: Tu sai ancora che sono sempre stato ottimista, non ciecamente,
ma relativamente ottimista, anche in mezzo alle tempeste pi tremende.
Sforzati di esserlo anche tu. Tu sai infine che io non ho mai dubitato e disperato del nostro avvenire. Sforzati di non dubitare e di non disperare nep443
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pure tu. Su, allegra! La vita comincia adesso15. Le consegnava il suo ottimismo e provava a scuoterla fornendole una cronaca rassicurante della
sua nuova vita parigina: Natale lho passato abbastanza bene. La popotte16 ha fatto una strage di cappellotti fabbricati sotto la direzione mia
e di Baldini. La strage ha colpito anche numerosi tacchini e capponi inviatici
dai contadini italiani sparsi in questa ospitale terra di Francia. Per capodanno tutti i componenti la Popotte - oltre venti! - sono invitati a pranzo
da una nipote di Victor Hugo, signora ricchissima, socialista, grande amica
degli italiani17. In quel finale di 1926, n Bruno n Rina avevano una idea
chiara del loro futuro. Persino il segretario della CGdL sembrava ancora
tentennare.
Parigi, in quel momento, non gli appariva ancora come la tappa finale del suo girovagare perch, poi, tutto dipendeva dal suo lavoro sindacale: sarebbe riuscito a far rinascere in Francia la Confederazione? Avrebbe
potuto garantirle i mezzi per la sopravvivenza? Tutto questo aveva dei contraccolpi sulla sua vita e su quella della sua famiglia che in Italia attendeva
una parola di chiarezza, una decisione, una scelta. Lattendeva impaziente.
A met gennaio, dopo il tradimento del gruppo Rigola, la costituzione della
CGdL fuori dai confini, era ormai chiaro che lesilio non sarebbe stato una
parentesi chiusa in breve tempo. Bisognava scegliere dove stabilirsi. Diceva
alla moglie: Alla Svizzera occorre rinunciare. troppo cara! Bisogna scegliere tra lItalia e la Francia o lAmerica. Aggiungo anche lAmerica perch se nelle prossime settimane le cose non si metteranno come io desidero,
non escluso loltre Oceano. L troverai anche tu dei parenti. Non farmi il
broncio se ti scrivo scherzosamente. Lironia nasconde talvolta le cose pi
serie e dice la verit18. Le incertezze di Bruno, acuivano le paure della
moglie. Quel riferimento allAmerica, a un luogo cos lontano dallItalia.
Rina gli chiedeva chiarezza, voleva sapere dove avrebbero rimesso su famiglia e lui rispondeva: Tu mi chiedi di dirti seriamente come voglio sistemarmi e cosa intendo fare, ed eccomi ad ubbidire. Seriamente. Lanno
scorso quando mi venne offerta la segreteria della Confederazione sapevo
benissimo che accettando, andavo incontro a responsabilit di lunga durata.
Ci malgrado accettai egualmente e per un fatto molto semplice: gli uomini
del mio stampo, non possono arretrare di fronte al dovere, qualunque esso
sia, specialmente dopo che hanno dato al proprio ideale il meglio della loro
444
Le prospettive non erano ancora chiare e lui provava a ridimensionare le angosce della moglie, costretta a seguire da lontano i problemi del
marito, cercava di evocare in lei la figura delluomo, le qualit morali che
lavevano indotta a sceglierlo: Tu mi dirai che ben pochi dei miei amici e
collaboratori seguono il mio esempio, ma io tengo fino allinverosimile a
due cose: ad avere la coscienza tranquilla ed a lasciare alle mie figlie un
nome onorato, anche se modesto. Ora la situazione questa: in Italia o si
tace, o si parla come vuole il governo, o si va al domicilio coatto. A questultimo - se le informazioni che mi sono giunte sono esatte sono sfuggito
per puro e fortunato caso. Tacere mi riuscirebbe impossibile. Parlare come
vuole il fascismo farebbe orrore a me stesso prima che ad altri. La Confederazione non pu vivere in Italia, ma non deve morire. Quindi eccomi qui
a tentare tutto il tentabile per tenere alto il suo nome... Riuscir? Lo spero...
Purch non manchino i mezzi... Quindi: o avr i mezzi per esplicare una
larga attivit che consenta di tenere degnamente in vita la Confederazione
per un domani migliore, o lascer il posto ad altri, e, senza rinunciare alle
mie convinzioni, mi far una nuova vita. A 46 anni sar un po dura, ma la
buona volont non manca. E ci riuscir... Questo ti spiegher laccenno
allAmerica dellultima mia accenno che non doveva sorprenderti... Se il
mio progetto di sistemazione verr approvato, ci stabiliremo quasi certamente in Francia(20). Alla fine di gennaio del 1927, insomma, non tutto
era certo, non tutto era acquisito. E, soprattutto a livello familiare, Buozzi
aveva un piano di riserva: attraversare lOceano, andare in America. Ma
solo in presenza di un fallimento, personale e politico.
Dalla Francia il leader voleva tenere la famiglia al riparo dai pettegolezzi, dalla campagna diffamatoria che contro di lui si preparavano ad
avviare quelli del gruppo Rigola, in particolare Emilio Colombino. Buozzi
non mancava di mettere al corrente la moglie della sua attivit, dei suoi
problemi. Sapeva che vivendo a Torino, Rina aveva di tutto questo uneco
pi diretta ma anche pi facilmente strumentalizzabile, sapeva che le avrebbero detto che i dolori dellesilio Buozzi se li era un po cercati, che avreb445
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sieme molte gioie e molte soddisfazioni. Provammo anche dei dolori e delle
amarezze. Ma non mai a causa di dissensi nostri. Lo so: di questi dolori e
di queste amarezze il maggior responsabile sono io, o, per essere pi precisi,
la movimentata vita sindacale e politica a cui dedicai tanta parte di me
stesso... Mi sei stata una compagna devota. Mi hai regalato due figliole,
delle quali, grazie alla tua sana educazione, difficile dire di tutto il bene
che meritano... Di tutto ci, oggi, trentennio del nostro matrimonio, qui, da
questo confino, che oggi mi pesa meno che mai, mi sommamente caro
esprimerti la mia pi profonda riconoscenza e riconfermarti tutto il mio affetto, rafforzato, anzich affievolitosi, col passare degli anni. E se posso
chiudere con un augurio, quello che le nostre buone figliole possano godere anchesse, sempre, di una felicit coniugale dolce ed appassionata ad
un tempo, pari alla nostra(26). Quel che colpisce in questo epistolario la
compostezza: una maniera serena di affrontare anche le vicende drammatiche di una dittatura che toglie il respiro e di una guerra feroce. Buozzi
sembra attraversare la bufera quasi in punta di piedi, preoccupandosi di non
arrecare troppo disturbo, di dare ai sentimenti quel valore di conforto dagli
affanni che gli consentir di andare incontro al suo triste destino con la serenit degli eroi.
Bruno Buozzi, lettera al fratello Antonio del 23 ottobre 1927 in Aldo Forbice (a cura
di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943) Fondazione
Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 222
2
Bruno Buozzi, lettera al fratello Antonio del 23 ottobre 1927. Ivi.
3
Il vezzeggiativo che Buozzi usava per indicare la figlia Ornella
4
Il mese di riferimento luglio
5
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 18 agosto 1927 in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943) Fondazione Modigliani
Franco Angeli 1994, pag. 209
6
Lassenza della persona che avrebbe dovuto provvedere a portare allestero Rina, Ornella e Iole.
7
In pratica il trasferimento dallItalia
8
Probabilmente il riferimento al pagamento del servizio di trasporto.
448
14
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 30 dicembre 1926, in Aldo Forbice (a cura di):
Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem pag. 200
15
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 30 dicembre 1926, in Aldo Forbice (a cura di):
Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943). Ivi
16
Era in sostanza la mensa, organizzata sempre nel palazzo di Rue dAuvergne, in cui
pranzavano gli esuli italiani.
17
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 30 dicembre 1926 in Aldo Forbice (a cura di):
Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943). Ivi
18
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 16 gennaio 1927 in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem pag. 201
19
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 26 gennaio 1927 in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem pag. 202
20
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 26 gennaio 1927 in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943). Ivi.
21
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 14 febbraio 1927 in Aldo Forbice (a cura di):
Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem pag. 203
22
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 6 marzo 1927 in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e Riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem pagg. 203-4
23
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 14 febbraio 1927 in Aldo Forbice (a cura di):
Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943). Ivi.
24
Bruno Buozzi, lettera alla moglie dell8 marzo 1927 in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943) Ibidem pag. 204
25
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 5 aprile 1927 in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943) Ibidem pag. 208
26
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 15 febbraio 1942 in Aldo Forbice: La Forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista Franco Angeli 1984, pagg. 85-86
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Larresto, il ritorno
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la sorte non gli avrebbe dato lopportunit di veder crescere. Non aveva resistito al richiamo dei vecchi luoghi e dei vecchi compagni. Guido Raffaelli,
il marito di Ornella, ha raccontato cos, ad Aldo Forbice, le fasi dellarresto:
Quel giorno tornando a casa, la portinaia mi aveva informato che alcuni
agenti, probabilmente dellOvra, insieme ai tedeschi, erano venuti ad arrestarlo. Quasi sicuramente mio suocero aveva avuto limprudenza di tornare
nella sede della Popote, in rue dAuvergne. Lo arrestarono in quellufficio
dove cera ancora Nullo Baldini. Io sono arrivato dopo pochi minuti, ma lo
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L A R R E S T O , I L R I T O R N O
avevano gi portato via. Lho rivisto due mesi dopo, nel parlatorio del carcere de La Sant, insieme a Ornella e nostra figlia. Ma quel giorno non riuscimmo a parlare molto: lui non aveva occhi che per la nipote1.
La capitale francese non era pi il luogo ospitale che tante volte
Buozzi aveva descritto nelle sue lettere. Non era cambiato lumore dei suoi
abitanti, erano cambiati i padroni. Da poco meno di un anno da quando,
il 10 maggio del 1940, aggirando la linea Maginot i tedeschi, avevano varcato i confini della Francia, procedendo verso Dunkerque e cos obbligando
i francesi alla resa, temporanea (qualche giorno dopo, il 10 giugno, lItalia
avrebbe dichiarato guerra a Parigi, il 20 avrebbe avviato una offensiva non
particolarmente brillante dal punto di vista dei successi bellici, per poi chiudere le operazioni con larmistizio di Valle Incisa). I tedeschi erano, insomma, padroni del territorio e i fascisti potevano muoversi con maggiore
libert. E con grande libert si erano mossi il 1 marzo del 1941 dando al signor Francolini la possibilit, tre giorni dopo, di telegrafare, con toni trionfanti, lavvenuta cattura del pericoloso sovversivo. L, a La Sant, Buozzi
ebbe il relativo conforto dellincontro con Giuseppe Di Vittorio (dei rapporti tra i due parleremo pi ampiamente nel prossimo capitolo). Si erano
conosciuti poco prima delle penultime elezioni, quelle del 1921 (poi cerano
stati solo due plebisciti fascisti). Alla politica Di Vittorio si era accostato
provenendo da esperienze e idee notevolmente diverse da quelle di Bruno
Buozzi. Prima anarchico, poi folgorato sulla via del socialismo in maniera
cos violenta da creare un circolo giovanile organico a quelle tendenze nella
sua citt, Cerignola, in Puglia. Poi, nel 1911, lo avevano mandato a Minervino Murge, per guidare la Camera del Lavoro. E qualche tempo prima
delle elezioni Giuseppe Di Vagno (che sarebbe stato ucciso, durante un comizio, il 25 settembre del 1921 dagli squadristi guidati da Giuseppe Caradonna) lo present a Buozzi che era gi un notissimo leader sindacale e
politico. Scambi di battute fugaci, sotto gli occhi truci e le orecchie attente
dei secondini, istruiti dai tedeschi alla massima severit.
In quel primo giorno di marzo cominciava una via crucis che sarebbe durata mesi, caratterizzata per tutti i membri della famiglia Buozzi
da un unico interrogativo: dove spediranno Bruno. E tutti provavano a capire per poter portare un minimo di conforto alluomo che alle sue idee
aveva sacrificato la libert. Scriveva Iole, la figlia minore che aveva sposato
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B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
Gilles Martinet, allo zio Adolfo (la data quella del 2 maggio, anzi del 2
mai, in francese): In una cartolina del 27 aprile Nella annunzia la partenza
probabile di pap a destinazione dellItalia. Informati per sapere dove sar
mandato e quando arriver, e soprattutto, ti supplico fai limpossibile per
venirgli in aiuto. Inutile dirti il nostro dolore e la nostra angoscia. Buozzi
non rest molto nel carcere parigino, una cinquantina di giorni in tutto. L11
maggio Iole scriveva di nuovo allo zio: Pap partito il 24 aprile da Parigi. Non ha potuto portare con s molto danaro. Ti preghiamo di aiutarlo.
Ornella conta venire cost questestate con mamma, e ti rimborseranno. A
Parigi credono che Pap sar mandato a Torino o Ferrara.
Il viaggio, invece, fu molto pi lungo e tortuoso e sempre Iole informava della cosa lo zio: Secondo notizie ricevute direttamente pap non
sarebbe ancora giunto cost (cio a Torino, n.d.a.), ma in attesa, in una citt
tedesca. Per quanto tempo ancora non lo sappiamo. Mia suocera tornata
pochi giorni or sono da Parigi, mi dice che Ornella molto coraggiosa,
mamma, invece, sopporta male la separazione, molto dimagrita. Per fortuna c la bambina di Ornella (9 mesi) che laccaparra e riesce a distrarla.
Ornella e il marito vivono con la mamma. Il viaggio di Buozzi fu una specie di tragico gioco delloca tra citt segnate e ferite dalla guerra. Da Parigi a Treviri dove era stato separato da Di Vittorio, toccando Norimberga,
Monaco, Innsbruck. La drammatica attesa di notizie di quei giorni, emerge
dalla corrispondenza. Il 26 giugno Ornella scriveva allo zio Adolfo: Lultima lettera ricevuta dal babbo, in data 31 maggio, ci informava che egli
sarebbe partito da Treviri pochi giorni dopo, diretto in Italia, ed aggiungeva: Informate immediatamente mio fratello Adolfo... Se poi, come vogliamo sperare, tu potrai vederlo, abbraccialo zio caro, forte forte, per noi
quattro, e digli che siamo costantemente con lui, che viviamo nella speranza di ritrovarlo in buona salute; che la bimba cresce bella e cara, pesa
gi pi di nove chili, e sta in piedi da sola; che mio marito continua a seguire con ardore landamento della ditta, di cui ha fatto mettere perfettamente a giorno la contabilit, e che malgrado le difficolt attuali del
commercio se la cava. In realt, in salute Buozzi non stava benissimo.
Il viaggio verso Treviri lo aveva profondamente debilitato anche
perch, dal punto di vista dellalimentazione i tedeschi non che badassero
a tenere in gran forma i loro prigionieri. In quei trasferimenti aveva perso
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L A R R E S T O , I L R I T O R N O
457
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que stelle e la carne dosata con straordinaria parsimonia: Causa linsufficienza del vitto e gli strapazzi del viaggio (sette tappe in sette prigioni
diverse in due mesi e mezzo) quando arrivai qui avevo perduto nientemeno
che quindici chili3. La durezza di quella vita la raccont, una volta libero,
al compagno di tante battaglie sindacali, Gino Castagno: S vero egli
mi disse un giorno il trattamento dei carcerati molto duro, in Germania
pi che in Italia; in parecchi luoghi i prigionieri sono ancora nelle celle con
le catene, e anchio lo fui; il vitto scarso e ligiene non curata per nulla.
Lincertezza del futuro, il bisogno di sapere quale destino lattendeva oltre
le sbarre de La Sant aveva indotto Buozzi a scrivere una lettera a Mario
Bergamo (repubblicano, si adoperava in Francia per dare aiuto a ebrei ed
esiliati) il 3 aprile: Se si crede veramente che io abbia dei conti da rendere
alla giustizia del mio paese, mi si trasferisca al pi presto in Italia e si decida
al pi presto della mia sorte. Non lo chiedo per me che malgrado i miei
sessantanni ho cuore e nervi buoni; lo chiedo per quella santa donna di
mia moglie che non si mai occupata di politica, che ha vissuto soltanto
per me e per le sue figliole, che da qualche anno ha la salute scossa, e che
il mio arresto ha ridotto nelle condizioni che tu conosci.
Arrestato in inverno, Buozzi torn in Italia soltanto in estate. Era il
20 luglio quando Iole rispondeva a una lettera dello zio Aldolfo che comunicava larrivo del fratello: Ieri sera mi giunta la tua lettera del 13 luglio
e puoi immaginare quale conforto sia stato per me il sapere finalmente in
modo preciso dove si trovi pap. La tua cartolina del 22 giugno (alla quale
avevo subito risposto) mi aveva gi dato un po di speranza, speranza che
si era andata affievolendo dato che non ricevevo conferma n da te, n da
pap. Ed ora bisognerebbe sapere in che stato si trova pap, se ha bisogno
di indumenti, di danaro, di viveri. Molto probabilmente non lo lasceranno
a Vipiteno. Il lungo giro per lEuropa in fiamme era, insomma, quasi
giunto alla conclusione. Il 7 luglio la polizia tedesca aveva consegnato la
preda alla polizia italiana che laveva custodita a Vipiteno; il 13 luglio
lavevano trasferita a Ferrara sistemandola nelle carceri locali; il 9 agosto
il Ministero dellInterno aveva disposto il confino a Montefalco, in provincia di Perugia; il 17 l avevano spedita nella nuova residenza coatta con foglio di via obbligatorio e lingiunzione di presentarsi allautorit di P.S.
di Montefalco.
Lo avevano dotato anche di un appannaggio per
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le spese: otto lire giornaliere per il vitto, cinquanta mensili per lalloggio.
Un sostegno finanziario non proprio da nababbi. A Ferrara, prima di spedirlo al confino, lo avevano interrogato. E il prefetto, Villa Santa, cos in
una nota riservata del 23 luglio, inviata al Ministero dellInterno, sintetizzava il pensiero del prigioniero e le impressioni personali che ne aveva
tratto: Il giorno 8 (il 7 luglio, secondo il prospetto biografico redatto dalla
stessa Prefettura, n.d.a.) andante stato consegnato dalla polizia germanica allUfficio di P.S. di confine del Brennero il sovversivo in oggetto,
che nel corso dellinterrogatorio ha ammesso di aver diretto di fatto, per
circa un decennio, lUfficio Mano dOpera straniera della confederazione
del lavoro francese, di aver fatto parte per alcuni anni della commissione
esecutiva della L.I.D.U. e di aver coadiuvato i noti Turati, Treves, Nenni,
Modigliani, e Ruggimenti (lerrore nel testo perch, il cognome esatto
era Rugginenti, n.d.a.) nellorganizzazione del partito socialista italiano...
ha infine, precisato che dal 1935 ha intrapreso unattivit commerciale...
da ultimo, il predetto ha asserito che anche allestero ha rifuggito da iniziative dirette a condurre la lotta antifascista con metodi violenti... rimasto, per, ostinatamente fedele alle vecchie idee, non accettando alcunch
dei principi sindacali e corporativi del Regime. Pertanto, non si ritiene opportuno che il predetto resti, al presente, libero ed indisturbato nel Regno,
potendo egli svolgere attivit avversa al Regime. Si propone, quindi, che il
soprascritto venga assegnato al confino di polizia.
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tano4. Questo panorama, bucolico e georgico allo stesso tempo, che appare
in qualche misura uscito dalle opere virgiliane, in contrasto con il tumulto
che circondava Buozzi e che stava sempre di pi avvinghiando lItalia. Lui,
il confinato, cercava conforto nei ricordi delle scene di vita quotidiana. E
diceva a Ornella: Mentre scrivo, ho qui appeso davanti a me il bel faccione
non triste ma interrogativo della tua, della nostra Claudine, al quale
do un bel bacione, alla maniera di Iole, cio passando due dita dalla mia
bocca alla sua bocca, il che non mi impedisce di mandarti, anche per lei,
tanti e tanti bacioni quanti ne mando a te e alla mamma5.
Il carattere mite lo aveva reso benvoluto presso gli abitanti del
paese, addirittura presso coloro che erano chiamati a sorvegliarlo, cosa che
aveva prodotto allarme nel federale locale, ottuso come si conveniva a uno
della sua razza, che per stroncare quella insopportabile cordialit (se non
proprio familiarit) aveva chiesto per Buozzi (ed altri quattro) il trasferimento in un altro posto. Aveva stretto un buon rapporto persino con il parroco, lui, inveterato socialista, quindi in odor di mangiapretismo.
Scriveva una lettera a Don Brizio con la quale pi che favori, chiedeva di
essere utile: Come vi ho gi detto, egregio Don Brizio, il mio maggior tormento quello di trovarmi qui condannato allozio e costretto a vivere a carico altrui, io che a 11 anni dovetti lasciare i banchi della scuola per quelli
dellofficina, e che a partire dai 13 anni bastai sempre a me stesso e non
soltanto a me stesso. Se il vostro cortese intervento in mio favore non avr
esito favorevole, ve ne sar grato egualmente. E questo vecchio operaio che
vi scrive (ha ormai 61 anni) sopporter socraticamente la sua sorte senza
imprecare contro la patria, con la sicura coscienza che, in fatto di amore per
il proprio paese altri mi potranno uguagliare ma mai superare. Don Brizio
di cognome faceva Casciola e intratteneva vaste e importanti relazioni. Convinse Buozzi a redigere una sorta di memoriale che il sindacalista gli invi
l11 aprile del 1942 sotto forma di lettera. Che si concludeva ponendo tre
quesiti:esiste qualcosa a mio carico? E se non esiste nulla, mi si consenta
di ritornare in Francia, dove potrei essere utile al mio paese oltre che a me
stesso. Infine, se al mio ritorno in Francia ostano disposizioni dellautorit
tedesca di occupazione, mi si consenta di trasferirmi a Torino.
La lettera conteneva, per, anche una valutazione dellattivit diplomatica italiana relativamente ai rapporti con la Francia. Buozzi, infatti,
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tre Mussolini dichiarava che non si sarebbe fatto ricattare, che non avrebbe
scucito un centesimo. Diede di pi, molto di pi del centesimo e si consol
facendo lunica cosa che in quel momento era in grado di fare: rimuovere
un pubblico funzionario come il capo della polizia, Carmine Senise, che di
l a poco, per, sarebbe stato richiamato.
Quegli scioperi smascherarono lormai cronica debolezza del fascismo, fiaccato da una guerra sempre pi disastrosa e da un consenso che era
ormai venuto meno. Le motivazioni politiche erano forti ma venivano irrobustite dalla consistenza di quelle economiche come sottolineava un manifesto diffuso in Piemonte: Operai, impiegati! Il governo Mussolini,
responsabile di aver trascinato il nostro Paese in una guerra ingiusta e rovinosa, vuole farci morire di fame, dandoci degli stipendi irrisori, pagandoci
con assegni in luogo di moneta e allungando a 12 ore la giornata lavorativa.
Smettiamo di lavorare, prepariamo lo sciopero7. In quegli scioperi emerse
un nuovo protagonista: le donne. Furono loro la parte pi combattiva e determinata del movimento, talmente combattiva e determinata da spiazzare
persino i poliziotti che si videro costretti a ridimensionare la loro azione
intimidatoria. Quattro di loro, a Torino, vennero pure arrestate. Alla fine l
bilancio fu: il riconoscimento di gran parte delle richieste avanzate e la denuncia di ottantasette operai al Tribunale Speciale. Bruno Buozzi, con i
suoi viaggi a Torino, contribu alla riuscita del movimento. Lo sottoline
poi, nel primo congresso della Cgil a Napoli, nel 1945, Oreste Lizzadri:
Egli prese vivissima parte agli scioperi del marzo 43, che stupirono tutto
il mondo, perch la classe operaia dimostr con un fatto concreto che non
aveva mai accettato la dittatura di Mussolini e che sapeva ricorrere a tutti
i mezzi di lotta8.
Quegli scioperi furono il segnale che il fascismo stava franando,
sotto il peso anche della sua tragica cialtroneria. Aveva portato in guerra
un paese impreparato e malissimo armato. Ci sono alcuni dati che sottolineano la distanza tra la nostra macchina bellico-produttiva e quella delle
altre nazioni belligeranti. Nel triennio 1940-1943 lItalia riusc a fabbricare
undicimila aerei; in un solo anno la Germania riusc a produrne venticinquemila, la Gran Bretagna ventiseimila, lUnione Sovietica trentacinquemila, gli Stati Uniti addirittura ottantaseimila; agli italiani per costruire 3705
blindati furono necessari sempre tre anni; in un solo anno, invece, i tedeschi
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e De Stefani, cio il fior fiore del fascismo) contro sette e due astensioni.
In realt, non veniva chiesta la testa di Mussolini ma lattribuzione del comando delle Forze Armate e delle Operazioni militari al Re, cio lapplicazione di un principio costituzionale. Diceva lordine del giorno: Il Gran
Consiglio del Fascismo riunendosi in queste ore di supremo cimento, volge
innanzi tutto il suo pensiero agli eroici combattenti di ogni arma che, fianco
a fianco con la gente di Sicilia in cui pi risplende lunivoca fede del popolo
italiano, rinnovando le nobili tradizioni di strenuo valore e dindomito spirito di sacrificio delle nostre gloriose Forze Armate, esaminata la situazione
interna e la condotta politica e militare della guerra proclama il dovere
sacro per tutti gli italiani di difendere ad ogni costo lunit, lindipendenza,
la libert della patria, i frutti dei sacrifici e degli sforzi di quattro generazioni dal Risorgimento ad oggi, la vita e lavvenire del popolo italiano; afferma la necessit dellunione morale e materiale di tutti gli italiani in
questa ora grave e decisiva per i destini della Nazione; dichiara che a tale
scopo necessario limmediato ripristino di tutte le funzioni statali, attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle
Corporazioni i compiti e le responsabilit stabilite dalle nostre leggi statutarie e costituzionali; invita il Governo a pregare la Maest del Re, verso il
quale si rivolge fedele e fiducioso il cuore di tutta la Nazione, affinch Egli
voglia per lonore e la salvezza della Patria assumere con leffettivo comando delle Forze Armate di terra, di mare, dellaria, secondo larticolo 5
dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa di decisione che le nostre
istituzioni a lui attribuiscono e che sono sempre state in tutta la nostra storia
nazionale il retaggio glorioso della nostra Augusta Dinastia Savoia. Non
era la richiesta esplicita della testa del duce ma di un suo esautoramento
e, soprattutto, un tentativo di scindere le responsabilit, lasciando solo il
dittatore, fino a poco tempo prima acclamato.
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lava come uno dei candidati alla carica di presidente di un governo antifascista di unit nazionale11. La notizia della caduta di Mussolini venne
accolta con manifestazioni di giubilo. Uno solo si suicid: Manlio Morgagni, presidente dellagenzia Stefani, il 26 luglio. Sulla sua tomba nel Cimitero Monumentale di Milano, si legge una epigrafe dettata direttamente da
Mussolini: Qui nel sonno senza risveglio riposa Manlio Morgagni giornalista presidente della Stefani per lunghi anni uomo di sicura fede ne diede
testimonianza nel torbido 25 luglio 1943. Ma quel 25 luglio era stato torbido per chi lo aveva subto, liberatorio per molti altri. Anche se il futuro
era pieno di incognite. Il Paese, fiaccato, voleva uscire dal conflitto e quella
frase di Badoglio (La guerra continua) aveva spento le speranze. Il Maresciallo sapeva di dover rimettere a posto una serie di tasselli, soprattutto
restituire una parte di quelle libert che Mussolini aveva confiscato, sottolineando con un taglio netto che la situazione era, comunque, in movimento.
Laspetto sindacale, da questo punto di vista, si prestava. Il 31 luglio, attraverso lagenzia Stefani faceva sapere che le organizzazioni fasciste potevano essere messe sotto il controllo dei prefetti. A capo del ministero delle
corporazioni, Badoglio aveva chiamato Leopoldo Piccardi (che poi, nel
1956 avrebbe partecipato alla fondazione del Partito Radicale venendo travolto dalla scoperta, da parte di Renzo De Felice, della sua partecipazione
a due convegni giuridici italo-tedeschi considerati come il luogo di elaborazione delle leggi razziali).
Fu lui a disporre la liberazione di Bruno Buozzi. Lordine venne
notificato alle prefetture di Torino e Ferrara il 2 agosto 1943: In relazione
a precorsa corrispondenza, si comunica, per opportuna notifica, che, essendo venuti meno i motivi per cui lindividuo in oggetto venne internato,
egli con provvedimento in data 30 luglio u.s. stato rimesso in libert. A
disporre la liberazione era stato il capo della polizia, Senise. E, significativamente, la liberazione (ufficiale) era avvenuta ventiquattro ore prima del
dispaccio dellagenzia Stefani sulle organizzazioni sindacali. Il 1 agosto,
Piccardi convoc Buozzi (che in realt dal confino di Montefalco se lera
svignata il 28 luglio) per esporgli il suo piano: nominarlo commissario delle
vecchie organizzazioni sindacali fasciste. La risposta del segretario generale
della CGdL fu positiva. Tra laltro, poteva essere quello un terreno fertile
per cominciare a impostare la ricostruzione del sindacato unitario. A Pic470
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cardi fece presente che la struttura organizzativa del Psi era debole e che
per fare in modo che liniziativa avesse successo era necessario associare i
comunisti. Tre giorni dopo, Buozzi ne parl con Nenni e Sandro Pertini,
sottolineando che aveva posto come condizione pregiudiziale per accettare
la presenza di Roveda e Di Vittorio. Le prime reazioni, dei comunisti in
particolare (ma non solo) non furono particolarmente positive. Questa informativa riservata inviata al Ministero dellInterno fornisce una conferma.
Porta la data del 23 agosto 1944: I commenti sulla nomina e accettazione
di Bruno Buozzi al posto di commissario dei lavoratori dellindustria, si
precisano. Inutile dire che i comunisti fanno di questo fatto il loro pianto
del giorno. Le critiche sono vivaci. I comunisti traggono, dal fatto, argomento per dimostrare che, oggi, come per il passato, i socialisti sono pronti
ad assurgere la difesa della borghesia, ogni qualvolta questa si trovi in pericolo. E poi cera lopposizione dei repubblicani stupiti dal fatto che un
socialista possa collaborare con un governo monarchico. E persino fra i
colleghi di partito la maggioranza avversa a Buozzi. Cosa verissima
visto che Nenni era recisamente contrario.
Ma le perplessit non bloccarono il processo avviato. E nemmeno
le condizioni poste dal leader sindacale, cio la cooptazione di Roveda e
Di Vittorio. Certo si trattava di una richiesta molto forte anche perch n
Badoglio n il re avevano tanta voglia di assecondarla. Nel suo diario Oreste Lizzadri ha sottolineato: Piccardi perplesso: personalmente non sarebbe contrario, ma Badoglio, gli altri ministri, e, in definitiva, Vittorio
Emanuele, difficilmente ingoieranno un rospo di tale portata. Invece, lo
deglutirono. Roveda venne nominato vice-commissario insieme al cattolico
Gioacchino Quarello; Grandi and ad organizzare i lavoratori dellagricoltura mentre a Di Vittorio, che era ancora al confino e sarebbe arrivato con
giustificato ritardo, erano stati assegnati i braccianti. Era il seme del futuro
sindacato unitario: le tre grandi correnti di pensiero politico, socialisti, comunisti e cattolici, erano schierate.
Un seme, per, che germogli tra diffidenze, aperture e repentine
chiusure, condizionato dalla situazione politica e dalla diffidenza dei partiti
nei confronti di Badoglio che con quella frase, la guerra continua, aveva
in qualche misura tradito le attese di quelle forze politiche (la quasi totalit)
che reclamavano larmistizio, luscita da un conflitto che stava seminando
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Oreste Lizzadri ha raccontato che lo convoc Bruno Buozzi con due obiettivi: il primo compiere un passo verso Badoglio per prospettargli la necessit di dar vita a un governo veramente rappresentativo e democratico, e
al contempo scindere la nostra responsabilit dagli atti politici del governo
nominato da Vittorio Emanuele. Il secondo, e fu questo il fatto pi importante per gli sviluppi futuri, costituire un comitato che coordinasse unitariamente lazione dei commissari15.
Il giorno dopo, i commissari dimissionari si presentarono da Piccardi. Su Roma infuriava un bombardamento aereo e una parte dellincontro
si svolse in un rifugio. Al ministro delle corporazioni, i sindacalisti chiesero
la liberazione di tutti i prigionieri politici. E, in pi, un atto che svincolasse
i commissari dalla responsabilit politica. La richiesta di aprire le carceri,
indusse Carmine Senise, capo della polizia, ad appartarsi per qualche minuto
con Bruno Buozzi che si sent dire, secondo il racconto di Lizzadri: Io lammiro, la conosco da anni, da quando era segretario della Fiom e della
CGdL... Non credo per che lei faccia una buona richiesta. Ma si rende
conto che cosa significa liberare tutti i prigionieri? Ve ne accorgerete
quando torneranno... i comunisti dal confino. Buozzi fu ovviamente, irremovibile e i prigionieri vennero liberati tutti16. Il percorso, era contorto
perch caratterizzato da molte variabili. Ma la situazione era quella che era:
drammatica per tutti. Anzi, il dramma era solo agli inizi perch, poi, ci sarebbe stata la divisione e loccupazione del paese, la feroce repressione nazista. I segnali si erano gi avuti, a Roma, alle Fosse Ardeatine il 24 marzo
(335 vittime innocenti), a SantAnna di Stazzema in Toscana, proprio due
giorni prima dellincontro dei sindacalisti con Piccardi, cio il 12 agosto,
(560 morti, 130 dei quali bambini, una massacro che condanna moralmente
chi lo comp, le SS guidate dal generale Max Simon, ma coadiuvate da
gruppi di italiani, collaborazionisti fascisti). Badoglio, che incontr nel pomeriggio dello stesso giorno, Piccardi e Buozzi, accett apparentemente
senza battere ciglio la richiesta di liberazione dei prigionieri politici (apparentemente perch poi prov a resistere per tre giorni ma il 17 agosto capitol davanti alla minaccia di uno sciopero generale) ma non prese benissimo
lo smarcamento politico dei commissari dagli atti del suo governo.
Dato che il suo esecutivo non era propriamente popolare e che la
situazione era tremendamente in bilico, alla fine accett. Nel giorno di fer474
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aveva fatto capire che lintenzione di uscire dal conflitto stava pian piano
assumendo concretezza. A Buozzi e Roveda, in dialetto piemontese, aveva
sussurrato: Per la pace qualcosa bolle in pentola(21). Lebollizione sarebbe
stata lenta perch nel frattempo gli alleati sganciavano tonnellate di bombe
su Milano, Torino e Bologna. Agosto fu un mese terribile. I lavoratori non
tolleravano pi le esitazioni del governo: volevano larmistizio e per ottenerlo scioperarono il 19 agosto. Era una situazione estremamente delicata,
che in quel momento non agevolava nessuno, anzi rischiava di creare prospettive funeste. Lo ha raccontato Piccardi a Sergio Turone: Il pericolo
che temevamo era che una sollevazione dichiarata del Nord dividesse lItalia in tre settori: i fascisti, che erano ancora forti, gli antifascisti e in mezzo
il governo che non era n fascista n antifascista. Andai nel nord per vedere
se era possibile indurre i lavoratori a sospendere lo sciopero che nelle intenzioni doveva proseguire a oltranza(22). In quel viaggio a nord, alla ricerca di una temporanea tregua sindacale, Piccardi decise di farsi
accompagnare anche da Buozzi e Roveda.
A Torino la situazione era sullorlo dellimpazzimento visto che allo
sciopero il generale Adami Rossi aveva deciso di rispondere con una violenta repressione, certo non la scelta pi felice in un paese gi fortemente
provato e ormai stufo di armi e divise. Lui, il generale, invece, le armi, le
mitragliatrici, le aveva piazzate addirittura allinterno della Fiat e le aveva
puntate contro gli operai. Non contento, aveva fatto arrestare cinquantatr
lavoratori. Appena giunti a Torino, Buozzi e Roveda fecero capire a Piccardi che in quelle condizioni nessuna mediazione era possibile; chiesero,
perci, che le mitragliatrici fossero rimosse anche perch una fabbrica non
un campo di battaglia e che venissero immediatamente rilasciati gli arrestati. Il generale pieg la testa ma si lament con i suoi comandi che ormai
avevano perso il controllo della situazione italiana. E anche a Milano la situazione era difficile perch nella notti precedenti i bombardamenti sulla
citt erano stati violenti e dalle macerie stavano ancora recuperando i corpi
delle vittime civili.
Ma alla fine, Piccardi, con laiuto di Buozzi e Roveda, riusc a far
cessare lo sciopero. Il sindacalista comunista fu poi bersaglio di aspre critiche da parte dei suoi compagni che avevano intravisto nello sciopero la
scintilla di un moto insurrezionale. Ma la scelta di Roveda venne, qualche
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tempo dopo, confermata da Togliatti che, tornato da Mosca, garant lappoggio del Pci al governo monarchico. Ma c dellaltro. Lo ha sottolineato
Sergio Turone: La moderazione dimostrata in quelloccasione da Roveda
contribu a ridurre nel campo democristiano, la paura del massimalismo comunista e perci, in qualche misura, agevol la strada al patto sindacale unitario(23), cio al Patto di Roma. Laccordo sulle commissioni interne rimase
in piedi appena sei giorni. Alle 18 dell8 settembre la radio annunci larmistizio e lo sbarco a Salerno degli alleati. Poco prima il Maresciallo Badoglio
aveva spedito a Hitler un telegramma dai significati inequivocabili: ...LItalia
non ha pi la forza di resistenza: le sue maggiori citt, da Milano a Palermo,
sono o distrutte o occupate. Le sue industrie sono paralizzate. La sua rete di
comunicazioni, cos importante per la sua configurazione geografica, sconvolta. Le sue risorse, anche per la gravissima restrizione delle importazioni
tedesche, sono completamente esaurite. Non esiste punto del territorio nazionale che non sia aperto alloffesa del nemico, senza adeguata capacit di difesa, come dimostra il fatto che il nemico ha potuto sbarcare come ha voluto,
dove ha voluto e quando ha voluto una ingente massa di forze, che ogni
giorno aumentano di quantit e di potenza travolgendo ogni resistenza e rovinando il Paese. In queste condizioni, il Governo italiano non pu assumersi
pi oltre la responsabilit di continuare la guerra, che gi costata allItalia,
oltre alla perdita del suo impero coloniale, la distruzione delle sue citt, lannientamento delle sue industrie, della sua marina mercantile, della sua rete
ferroviaria, e finalmente linvasione del proprio territorio. Non si pu esigere
da un popolo di continuare a combattere quando qualsiasi legittima speranza
non dico di vittoria ma financo di difesa, si esaurita. LItalia, ad evitare la
sua totale rovina, pertanto obbligata a rivolgere al nemico una richiesta di
armistizio. E Badoglio, a sua volta, si sent obbligato a darsela a gambe, insieme al re e a un nutrito gruppo di generali. Bruno Buozzi e gli antifascisti,
invece, in clandestinit continuarono a combattere.
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L A R R E S T O , I L R I T O R N O
1
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista Riformista Franco Angeli 1984, pag. 81
2
Bruno Buozzi, lettera ai familiari del 16 giugno 1941 in Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista. Ibidem pag. 83
3
Bruno Buozzi, lettera alle figlie Iole e Ornella, in Aldo Forbice: La forza tranquilla.
Bruno Buozzi sindacalista riformista. Ibidem pagg. 83-4
4
Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume Edizioni Avanti! 1955, pag. 153
Gino Castagno: Bruno Buozzi. Ibidem pag. 154
6
Gino Castagno: Bruno Buozzi. Ibidem pag. 157
7
Sergio Turone: Storia del sindacato in Italia. 1943/1980 Laterza 1981, pag. 14
8
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista Franco Angeli 1984, pag. 89
9
Aldo Forbice: La forza Tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista. Ibidem pag. 91
10
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista. Ibidem pag. 92
11
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista. Ibidem pag. 93
12
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista. Ibidem pag. 96
13
Circolare riservata ai comitati regionali in Sergio Turone: Storia del sindacato in
Italia. 1943/1980, Laterza 1981, pag. 22
14
Giorgio Amendola: Lettere a Milano in Aldo Forbice: La Forza tranquilla. Bruno
Buozzi, sindacalista riformista. Ibidem pag. 95
15
Intervista a Oreste Lizzadri pubblicata sull Avanti! del 3 giugno 1964 in Sergio Turone: Storia del sindacato in Italia 1943/1980. Ibidem pag. 24
16
Dichiarazione di Lizzadri a Forbice in : La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista
riformista. Ibidem pag.129
17
Sergio Turone: Storia del sindacato in Italia 1943/1980. Ibidem pag. 25
18
Oreste Lizzadri: Quel dannato marzo in Sergio Turone: Storia del sindacato in Italia
1943/1980. Ivi
19
Oreste Lizzadri: Il socialismo italiano dal frontismo al centro-sinistra. Il filo rosso di
una politica unitaria in Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista
riformista, Ibidem pagg. 130-1
20
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista. Ibidem pag. 134
21
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista. Ibidem pag. 96
22
Sergio Turone: Storia del sindacato in Italia 1943/1980. Ibidem pag. 27
23
Sergio Turone: Storia del sindacato in Italia 1943/1980. Ibidem pag. 29
5
479
Lui e Di Vittorio
Larmistizio era arrivato, la fine della guerra no. Anzi ne era cominciata una pi crudele, contro gli occupanti nazisti e contro quel gruppo
di italiani che aveva deciso di dare vita allo stato e al governo-fantoccio
della Repubblica Sociale. Ovviamente, quello che era stato deciso in quei
quarantacinque giorni di libert aveva un valore morale ma non ne aveva
pi uno pratico, in un paese diviso in due. I commissari dal rinascente governo fascista, decisamente poco rappresentativo della realt e dei voleri
del Paese, isolato in unazione di tanto ottuso quanto feroce sostegno alle
forze di occupazione tedesche, vennero dichiarati decaduti. Era, quel governo, solo un fantasma del potere, obbediente e privo di autonomia,
espressione di uno stato in cui Mussolini, il dittatore che aveva costruito
un mito intorno alla sua forza esibita attraverso una usata e abusata oleografia, ormai era stato declassato a reggicoda di Hitler, un Quisling qualsiasi
che non si poteva eliminare, al pari del norvegese, dopo cinque giorni, ma
doveva essere tenuto in vita per costruire un filo rosso tra passato e presente.
Ma quel filo rosso si stava spezzando. Ci sarebbero voluti altri morti, altri
lutti, altre sofferenze, ma la storia si preparava a presentare il conto a chi
aveva pensato di poterla maneggiare a proprio piacimento.
Pu apparire un paradosso, ma la rimozione dei commissari fu,
in realt, il momento in cui il processo di ricostruzione dellunit sindacale
si mise definitivamente in moto (in realt, i contatti erano partiti gi nel
febbraio del 1943). E probabilmente anche il momento in cui Bruno Buozzi
firm la sua condanna a morte. Perch con gli atti che fecero seguito all8
settembre il leader sindacale divenne ufficialmente uno dei capi della lotta
clandestina. Non a caso la Gestapo lo fece immediamente inserire nella
lista dei ricercati prendendo spunto dal documento che il leader sindacale
aveva firmato il 23 settembre del 1943 nel quale venivano considerate il483
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LUI E DI VITTORIO
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LUI E DI VITTORIO
accompagnata dalla ricerca di una casa in grado di assecondare le sue motivazioni ideali. Spinte e contro-spinte: Masaniello pi che una figura storica,
uno stato danimo, che resiste nel tempo, con i suoi pregi e i suoi difetti.
A Taranto, sotto leffetto dei fumi mortali dellIlva, alle elezioni del 2013, i
cittadini hanno consegnato la maggioranza dei voti al partito di Beppe Grillo
(27,7 per cento, contro il 25,5 del Pdl e il 21,7 del Pd); due mesi dopo, per,
hanno disertato i seggi del referendum (consultivo) sulla chiusura dellacciaieria e della sua area a caldo: in media, poco meno del venti per cento
alle urne (19,5), nel quartiere pi a rischio perch a ridosso dellimpianto
laffluenza si era fermata addirittura al 10 per cento.
Figlio di una terra, Di Vittorio, in cui gli spifferi levantini finiscono
spesso per ammorbidire (se non inquinare) le intenzioni pi combattive,
in cui si pu essere, in massa, oggi tutti (o quasi) socialisti e ieri tutti (o
quasi) democristiani; in cui si passa, senza particolari inibizioni da un sindaco comunista a uno di Avanguardia Nazionale, amico di Ciccio Franco,
interprete certo non raffinato dei boia chi molla. Questo vale per il presente, ma ci sono caratteri ancestrali che circolando nellaria, finiscono per
condizionare un po tutti, ovviamente chi pi chi meno. C poi un difetto
italico che riguarda le celebrazioni post mortem: tutti bravi e buoni. Un
esercizio di ipocrisia che sarebbe facilmente evitabile con quellarte del silenzio che a volte invocava Aldo Moro. Dieci anni dopo la morte di Bruno
Buozzi, Giuseppe di Vittorio pubblic un articolo accorato su lUnit che
corrispondeva poco, nello spirito, con quel che aveva scritto nelle relazioni
con le quali informava i vertici del suo partito sullandamento delle trattative per la ricostituzione del sindacato unitario. E forniva una interpretazione delle vicende, non propriamente prossima alla realt.
Ad esempio a proposito dei rapporti con i cattolici affermava: In
verit Buozzi era un po scettico sulla possibilit di estendere lunit sindacale sino ai cattolici, considerate le loro ben note riserve mentali e la loro
ubbidienza a determinate gerarchie dellAzione Cattolica e del Vaticano.
Egli riteneva, per, che sarebbe stato possibile un accordo di collaborazione
fra la Confederazione generale del lavoro e lorganizzazione sindacale
bianca che i cattolici avrebbero ricostruito. Io non condividevo questo
suo pessimismo. Quando Buozzi apprese i risultati positivi del mio primo
colloquio con lon. Gronchi e col tanto compianto Achille Grandi se ne com487
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patto unitario da parte delle masse riformiste del Nord. A quel tempo la dirigenza del Psi era pi a sinistra di buona parte della sua base operaia. I lavoratori che prima del fascismo avevano aderito alla CGdL riformista e che
durante la dittatura avevano mantenuto una linea di opposizione passiva ma
dignitosa, godevano di grande prestigio nelle fabbriche presso i pi giovani.
Particolarmente in rappresentanza di questa base operaia riformista, una
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base con cui le sinistre avrebbero dovuto comunque fare i conti, la funzione
di Buozzi nei rapporti con i comunisti e i cattolici ebbe un peso fondamentale7.
Era, insomma, un elemento di equilibrio. Lo sottolinea, ad esempio, Piero Boni: I comunisti in particolare erano portati ad apprezzare il
realismo politico di Buozzi in base al quale il sindacalista si trov talvolta
pi vicino alle posizioni duttili del Pci che a quelle rigorosamente intransigenti sostenute dalla maggioranza del suo partito, come avvenne nel caso
della nomina dei commissari e della svolta di Salerno8. E a proposito della
svolta di Salerno c un aneddoto che cita nella sua storia del sindacato Sergio Turone. Togliatti era rientrato dallUnione Sovietica il 27 marzo annunciando ladesione del Pci al governo monarchico. Agli inizi di aprile, in via
Po (la strada che ospita la sede della Cisl) due signori discutevano animatamente, infischiandosene della eventuale presenza di poliziotti fascisti. I
due signori erano Giorgio Amendola e Sandro Pertini. Al centro della discussione, la scelta di Togliatti, difesa da Amendola, criticata da Pertini.
Passava da quelle parti il prudente Buozzi che li invitava a calmare un po
i bollenti spiriti. Poi, sollecitato a esprimere sulla questione unopinione,
rispondeva: Saggia decisione. Pertini si infuriava: Fra un po voi comunisti sarete pi a destra dei riformisti.
Di Vittorio aveva conosciuto Bruno Buozzi agli inizi degli anni
Venti; in quel momento militavano tutti e due nel medesimo partito, cio il
Psi. Buozzi era un leader sindacale affermato, segretario della Fiom e, di
conseguenza, autorevole esponente della CGdL. Di Vittorio, di undici anni
pi giovane, era una figura emergente in Puglia. Era ospite nel carcere
di Lucera quando i socialisti lo candidarono nelle elezioni del 1921. L in
quella cella si invent anche cantautore: con un facchino di Apricena
aveva composto una marcetta, Evviva la Repubblica. Il facchino era il
padre di Matteo Salvatore, uno straordinario folk-singer pugliese che
avrebbe poi inserito quella marcetta in un suo album dal titolo il lamento
dei mendicanti. Quando si incrociarono a La Sant, il carcere parigino,
utilizzato massicciamente dalla polizia per intercettare gli oppositori dei
vari regimi nazi-fascisti europei, i due si confortarono a vicenda, come era
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naturale tra compagni di lotta obbligati a vivere senza certezze e preoccupati per le angosce che stavano regalando ai familiari.
Lo ha raccontato in quellarticolo Di Vittorio: Un giorno verso la
fine di febbraio, la polizia hitleriana trasse dalla monotonia delle celle disolamento un folto gruppo di detenuti per una corve. Bisognava vuotare alcuni
autocarri carichi di eccellente pane, destinato ai nostri carcerieri. Fummo
raggruppati in un cortile, dal quale poi, per gruppi di dieci, in fila indiana,
scortati da guardia armata di mitra, si partiva carichi di sacchi ripieni di
pagnotte, verso i vari magazzini dellimmensa prigione. Fu in quel raggruppamento di detenuti comandati alla corve che rividi Bruno Buozzi. Appena
i nostri occhi si incontrarono con moto quasi istintivo manovrammo entrambi
accortamente per avvicinarci luno allaltro. Riuscimmo appena a toccare
furtivamente le mani giacch la severissima vigilanza dei nostri aguzzini tendeva a rendere impossibile ogni scambio di parole o di segni fra i carcerati.
Vidi gli occhi amichevoli di Buozzi brillare di gioia nel vedermi: ero la prima
persona conosciuta e amica che incontrava in quella triste prigione, nello
stato dangoscia in cui laveva gettato larresto. Per me non mimporta
nulla, mi disse subito: mi preoccupo per il grande dolore di mia moglie e
della mia bambina, poverette!. Lurlo bestiale gettato da uno dei nostri
guardiani che aveva sentito il bisbiglio di quelle parole, tronc sullinizio la
nostra conversazione. Tuttavia riuscimmo a rimanere nello stesso gruppo di
dieci e a marciare luno dopo laltro nella corve. Mentre salivamo uno scalone, curvi sotto il carico del pane, riuscii a dire a Buozzi parole di conforto
per la sua famiglia e cercai di sapere come si trovava l. Buozzi mi disse che
la Gestapo hitleriana, ignara della sua vera personalit, voleva sapere da
lui i motivi del suo arresto, dato chegli era stato messo in carcere su richiesta
del governo fascista italiano, per essere trasferito in Italia, a disposizione di
Mussolini. Aveva appena completato la frase, che uno dei nostri guardiani,
con uno spintone improvviso a Buozzi il quale mi precedeva ci sbatt a
terra entrambi, facendoci ruzzolare sulle scale, col nostro carico di pane,
coprendoci di improperi e di minacce. Fummo subito separati e riportati
ognuno nella propria cella, col rimpianto di non aver potuto continuare il
discorso, e con le nari inondate dalla fragranza del pane fresco, che la fame
ci faceva sognare ogni notte! Da quel momento, per, con la tecnica nota ai
vecchi carcerati politici, riuscii a stabilire collegamenti quasi regolari con
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LUI E DI VITTORIO
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chia, Longo e Li Causi) si affermava con maggiore chiarezza: Noi non riconosciamo pi la gerarchia stabilita da Badoglio fra i commissari. In ogni
caso non accetteremo pi una posizione di subordinazione rispetto a Buozzi.
Sar gi molto concedere a lui una posizione di parit. Il partito socialista
non daccordo col nostro progetto, esso sostiene il principio del sindacato
obbligatorio (ipotesi sostenuta soprattutto da Buozzi, n.d.a.) e il mantenimento delle Confederazioni fasciste almeno per un anno. Dal memoriale
Roveda avete compreso il significato politico di questo atteggiamento.
Buozzi vuole conservare la sua posizione di preminenza per ricreare il vecchio apparato riformista della burocrazia sindacale. Noi siamo decisi a non
accettare tale posizione14.
Proprio linsistenza con cui il Pci si batter sul tasto del mutamento
dei rapporti di forza, spiega come il negoziato sia stato in larga parte eterodiretto. Le stesse rigidit di Di Vittorio erano probabilmente una conseguenza del fatto che lui doveva accreditarsi come uomo di fiducia del
vertice di un partito che non aveva inizialmente puntato su di lui, che al
massimo lo vedeva a capo di una federazione (quella bracciantile) ma non
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LUI E DI VITTORIO
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
veda (e il Pci) obiettava: La ricostruzione delle nostre vecchie organizzazioni sindacali non un gesto politico ma una necessit politica profondamente sentita dalla massa lavoratrice, che ha chiaramente dimostrato di
ritenere indispensabile atti concreti che distruggano limpalcatura sindacale
fascista tanto odiata dai lavoratori... Rinviarne lattuazione si commetterebbe un grave errore politico16. Poi Roveda entrava nel dettaglio delle
tappe che avrebbero dovuto portare alla rinascita della confederazione: i
vecchi commissari badogliani, raggiunta lunit sindacale, avrebbero subito dovuto dichiarare sciolte le vecchie organizzazioni fasciste; accertata
limpossibilit di convocare immediatamente un congresso, si sarebbe dovuto provvedere alla nomina di un comitato centrale provvisorio che
avrebbe dovuto, a sua volta, nominare i comitati direttivi delle Federazioni
e delle Camere del Lavoro.
I comunisti, insomma, vedevano lunit in qualche misura funzionale
allaffermazione della loro egemonia sulla confederazione (confermando le
preoccupazioni espresse da Giannitelli). E questo atteggiamento emerge da
un passaggio del promemoria, dal tono decisamente arrogante: Se laccordo
per lunit sindacale si raggiunge tenendo conto delle condizioni che sono
poste nel nostro opuscolo, penso che potremo ancora permetterci il lusso
dei gran signori creando al centro i comitati provvisori nei quali siano pariteticamente rappresentati i comunisti, i socialisti ed i cattolici17. Infine,
una valutazione che le elezioni del 1946 in realt non confermarono completamente: Latteggiamento dei socialisti , a mio avviso, dovuto alla considerazione dei rapporti di forze, considerazione che ha anche influito sulla
lentezza nella scelta dei loro nomi per le federazioni e per le Unioni provinciali. I socialisti non ignorano che la grande maggioranza dei lavoratori,
specialmente nei centri operai pi importanti, non li seguono e sono invece
orientati verso di noi, Italia meridionale compresa... ed hanno voluto tentare, e lo vorrebbero anche per lavvenire, approfittare della favorevole ed
insperata condizione di essere stati posti dal Governo Badoglio al centro in
posizione di preminenza, per creare un apparato di vecchi funzionari che
permetta loro, e qui gioca il lavorio della parte pi di destra, di conservare
una preponderanza di fatto18. Lanalisi di Roveda contraddiceva quella di
Amendola che abbiamo precedentemente riferito e che sottolineava il seguito che i riformisti avevano tra i giovani operai del nord.
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LUI E DI VITTORIO
chiaro che una consultazione elettorale non un referendum operaio, per le valutazioni aritmetiche di Roveda nelle prime elezioni libere,
cio quelle del 1946 non trovarono conferma visto che il Psiup (la scissione
di Palazzo Barberini non era ancora avvenuta) ottenne il 20,7 per cento dei
consensi, mentre il Pci si ferm al 18,9. Inoltre, anche le previsioni sulle
scelte meridionali, alla verifica delle urne, risultarono piuttosto distanti dalla
realt. Quel promemoria, nel suo significato polemico nei confronti dei socialisti e di Buozzi in particolare (non a caso, nelle sue relazioni, Di Vittorio
chieder spesso di rinviare la soluzione dei problemi al comitato anti-fascista, una sede in cui il segretario della CGdL si sarebbe ritrovato a fare i conti
con Pietro Nenni con il quale non sempre legava), appare lontanissimo dalla
celebrazione che sarebbe stata fatta su lUnit dieci anni dopo leccidio de
La Storta. Scriveva in conclusione Di Vittorio: Seguivo ansiosamente i tentativi fatti da importanti personalit amiche per cercar di ottenere la liberazione di Bruno Buozzi. E quando seppi che tutto era stato inutile, pensai
che lodio ed il particolare accanimento dei fascisti e dei nazisti contro la
nobile e mite figura di Bruno Buozzi doveva derivare dal fatto che la polizia
era riuscita a scoprire lintensa e proficua attivit chegli svolgeva, per la
costruzione della grande CGIL. Quando ci giunse la terribile notizia del
vile massacro della Storta, che gett nel lutto e nellangoscia i nostri cuori,
quel mio dubbio divenne certezza: la polizia nazista e fascista volle annientare, nel nostro Bruno, uno dei principali fautori dellunit sindacale italiana. Oltre che della libert e del socialismo. Bruno Buozzi martire
dellunit sindacale e della fondazione della grande CGIL18.
In realt, lorganizzazione sindacale unitaria prodotta dal lungo negoziato non era esattamente quella a cui pensava Buozzi e lo sapeva benissimo (mentre scriveva quellarticolo) anche Di Vittorio che in una relazione
(che pubblicheremo in altro capitolo) trionfalmente annunciava lo stravolgimento delle linee dazione socialiste non pi sostenute dal vecchio dirigente sindacale, prigioniero a via Tasso, ma dal pi malleabile Emilio
Canevari (Lizzadri era assente, impegnato al Sud). Una immagine idilliaca
di quelle trattative e dei rapporti che intercorsero tra i due esponenti di sinistra, finirebbe per trasformarsi in un torto alla loro memoria. In realt,
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difficilmente il Patto avrebbe visto la luce a giugno del 1944 se Buozzi non
fosse stato arrestato e se, attraverso larresto, non gli fosse stata impedita
la partecipazione alla fase finale e decisiva di quel confronto. Perch tutte
le questioni pi rilevanti erano ancora aperte. A cominciare dalla scelta di
chi avrebbe dovuto guidare lorganizzazione sindacale unitaria. Scriveva
Di Vittorio (firmandosi Nic.) nella prima relazione (inizio febbraio 1944):
Insiste (Buozzi, n.d.a.) nellavere il posto, non solo come esponente della
corrente, ma anche (fa capire soprattutto), per let... della persona designata dalla sua corrente e dalla particolare autorit che - volere o no possiede quella persona sia come vecchio esponente del movimento sindacale libero, sia come conosciuto personalmente e stimato dai dirigenti delle
organizzazioni sindacali inglesi ed americane, ecc. Egli giunse a dire che
la persona da essi designata si sarebbe piuttosto appartata anzich assumere
in sottordine un posto di responsabilit che non sar affatto comodo.
Compresi che su questo punto egli insisterebbe sino alla rottura. Allora,
come daccordo, ripiegai sulla seconda nostra posizione, senza rinunciare
a ritenerci maggioranza assoluta (ritorna il concetto espresso nel pro-memoria Roveda, n.d.a): che il segretario di tre, funzionerebbe come organismo
collettivo, senza designare un segretario della direzione provvisoria, demandando al I congresso il compito di eleggerlo. Ma Br (che poi sarebbe
Buozzi, n.d.a.) respinge recisamente anche questa soluzione, che mi pare
assolutamente equa ed accettabile per tutti, pretendendo il primo posto come
nel regime Badoglio. evidente che al tavolo delle trattative Di Vittorio
segue un copione, tanto vero che parla del ripiegamento come daccordo... sulla seconda nostra posizione(19).
In sostanza, se Buozzi agiva in rappresentanza dei socialisti senza
dover rendere conto a nessuno (era peraltro un dirigente autorevole del partito), il sindacalista pugliese si muoveva sulle sabbie mobili di un mandato
che gli attribuiva una autonomia decisamente limitata. A met febbraio (il
14 per la precisione), nuovo incontro, nuovo scontro sulla segreteria e
nuova relazione (numero 4): Egli dice che non lui, no!...- insiste pel segretario generale (invece del segretario egualitario di tre), ma il suo P. (partito, n.d.a.), per cui egli deve essere il segretario generale anche per
mantenere lequilibrio e lunit coi comun. (comunisti, n.d.a.) da una parte
e i cattolici dallaltra. Il tono del racconto sottintendeva evidentemente
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LUI E DI VITTORIO
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LUI E DI VITTORIO
1
Piero Boni: 1944 Bruno Buozzi e il patto di Roma. Cronaca e storia dellunit sindacale Ediesse Fondazione Brodolini 1984, pag. 45
2
Piero Boni: 1944 Bruno Buozzi e il patto di Roma. Cronaca e storia dellunit sindacale. Ivi
3
Piero Boni: 1944 Bruno Buozzi e il patto di Roma. Cronaca e storia dellunit sindacale. Ibidem pag 46
4
Vincenzo Cuoco: La politica del Regno Italico Universale Einaudi 1944, pag. 7
Giuseppe Di Vittorio: Bruno Buozzi combattente antifascista lUnit 4 giugno 1944
in Giorgio Benvenuto: Il Patto di Roma Quaderni della Fondazione Bruno Buozzi 2012,
pag.64
6
Piero Boni: 1944 Bruno Buozzi e il patto di Roma. Cronaca e storia dellunit sindacale. Ibidem pag. 48
7
Piero Boni: 1944 Bruno Buozzi e il patto di Roma. Cronaca e storia dellunit sindacale. Ivi
8
Piero Boni: 1944 Bruno Buozzi e il patto di Roma. Cronaca e storia dellunit sindacale. Ivi
9
Giuseppe Di Vittorio: Bruno Buozzi combattente antifascista lUnit 4 giugno 1954
in Giorgio Benvenuto: Il patto di Roma. Ibidem pagg. 65-6
10
Giuseppe Di Vittorio: Bruno Buozzi combattente antifascista lUnit 4 giugno 1954
in Giorgio Benvenuto: Il patto di Roma. Ivi
11
Giuseppe Di Vittorio: Bruno Buozzi combattente antifascista lUnit 4 giugno 1954
in Giorgio Benvenuto: Il patto di Roma. Ivi
12
Michele Pistillo: Giuseppe Di Vittorio 1924-1944 Editori Riuniti 1977, pag. 212
13
Michele Pistillo: Giuseppe Di Vittorio 1924-1944. Ibidem pag. 213
14
Piero Boni: 1944. Bruno Buozzi e il patto di Roma. Cronaca e storia dellunit sindacale. Ibidem pag.83
15
Michele Pistillo: Giuseppe Di Vittorio 1924-1944 . Ivi
16
Michele Pistillo: Giuseppe Di Vittorio 1924-1944 . Ibidem pagg. 222-3
17
Michele Pistillo: Giuseppe Di Vittorio 1924-1944 . Ivi
18
Giuseppe Di Vittorio: Bruno Buozzi combattente antifascista lUnit 4 giugno 1954
in Giorgio Benvenuto: Il patto di Roma. Ibidem pag. 67
19
Giorgio Benvenuto: Il patto di Roma. Ibidem pag. 25
20
Giorgio Benvenuto: Il Patto di Roma. Ibidem pag. 38
21
Giorgio Benvenuto: Il Patto di Roma. Ibidem pag. 41
5
501
Lui e Grandi
Bruno Buozzi ormai non c pi: toccher ad Achille Grandi (nella foto
tra Lizzadri e Di Vittorio) provare a trasferire nel Patto di Roma
le intese raggiunte con quello che era stato il segretario della CGdL
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LUI E GRANDI
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molta importanza a Bruno Buozzi per la sua dirittura morale. Erano sotto
questo aspetto anime gemelle. Quella questione di coscienza era rappresentativa del modo in cui Buozzi voleva portare le diverse anime del movimento operaio a una sintesi unitaria, il modo in cui, proprio il caso di dire,
coniugare il diavolo con lacqua santa. Lo ha sottolineato Sergio Turone:
Dei tre gruppi, quello comunista era certamente il pi deciso e il pi compatto nel volere lunit, perch fra i cattolici la destra aveva grossi timori
e fra i socialisti cerano le resistenze dellala socialdemocratica; ma Buozzi,
bench di orientamento riformista, era su posizioni decisamente unitarie.
Lizzadri riferisce di averlo sentito pi volte ripetere: E ricordati, nulla
senza i comunisti, e qualsiasi sacrificio pur di realizzare lunit dei lavoratori. In merito alla fase iniziale dei negoziati, Lizzadri ribadisce di aver
assistito a colloqui in cui Buozzi si adoper per eliminare talune difficolt
sollevate dai democristiani nei confronti dei comunisti1.
Cera, insomma, un feeling in qualche maniera consolidato, confermato da quello che ha raccontato Giuseppe Rapelli che a Bruno Buozzi
aveva offerto ospitalit a Torino dopo che le sedi della sua Fiom erano
state devastate dai fascisti: Grandi mi disse che aveva firmato il Patto
di Roma solo perch si fidava di Buozzi, che la pensava come lui. E ancora: Buozzi e Grandi non erano soltanto sindacalisti affini per esperienza e maturit, ma avevano una comune concezione politica e
democratica: erano convinti che i lavoratori dovevano essere conquistati
al sindacato con la convinzione, stimolando la loro partecipazione; erano
per una strategia graduale nelle conquiste sindacali, respingendo ogni
massimalismo ed ogni atto demagogico che servisse solo a ingraziarsi le
masse. E a sua volta Bellotti, che stato biografo di Grandi, ha sottolineato: La Democrazia Cristiana aveva puntato le sue carte sullaccordo
Buozzi-Grandi. Una base sindacale democratica ed unitaria sarebbe
stata una garanzia per il nostro Paese. Infine, c quel che disse direttamente Grandi davanti al monumento e alla tomba di Buozzi: Noi tutti
vedevamo in lui, senza nessuna distinzione di parte, il capo maggiore dellorganizzazione sindacale italiana.
Che la pensassero totalmente allo stesso modo in realt tutto da
dimostrare ma che su molti punti le posizioni del riformista Buozzi e del
cattolico Grandi convergessero, era un dato di fatto. E non erano punti di
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LUI E GRANDI
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LUI E GRANDI
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Interrogava ancora il sindacalista cattolico: Siete voi favorevoli al riconoscimento giuridico del sindacato da parte dello Stato e quindi ad una
collaborazione con lo Stato stesso? Si trattava di un nervo particolarmente scoperto perch levocazione della collaborazione con lo Stato finiva per richiamare lesperienza dellorganizzazione sindacale fascista,
che seppur aspramente criticata dai cattolici, era, per, considerata, in alcuni suoi aspetti, utilizzabile anche nella nuova Italia, semmai per un periodo di tempo breve, in una fase di transizione e solo per alcuni aspetti.
Risposta: Noi siamo per lindipendenza completa dei sindacati dallo
Stato e anche dai singoli partiti politici, perch i sindacati possano adempiere in piena indipendenza e col massimo vigore gli interessi di tutti i
lavoratori, insomma i rapporti con lo Stato dovevano essere, per Di Vittorio, dindipendenza assoluta. Il che non significa che la classe operaia
organizzata debba essere agnostica o indifferente di fronte ai problemi
dello Stato e del governo, ma, continuava, ventanni di fascismo hanno
persuaso i lavoratori... che per essi non la stessa cosa che vi sia un governo democratico o reazionario. Ma nel colloquio, Grandi aveva sollevato anche la questione della obbligatoriet della iscrizione al sindacato.
Sul tema, Di Vittorio costatava delle assonanze tra la posizione cattolica
e quella socialista e raccontava ai suoi referenti politici: Ho dato la
stessa risposta fatta a Br (Buozzi, n.d.a.), sottolineando maggiormente
lodiosit della coazione, dopo 20 anni di dittatura fascista, il bisogno
della libert, il fatto che il sind. (sindacato, n.d.a.) deve cercare nella sua
iniziativa, nella sua azione di effettiva difesa degli interessi dei lavoratori
la sua forza e la sua autorit reali e nella coazione che copierebbe il fascismo.
Lesame di Grandi, inoltre, si incentrava anche su un altro argomento
che stava particolarmente a cuore ai cattolici, cio la costituzione di organizzazioni professionali collaterali. Tanto Grandi quanto De Gasperi, daltro
canto, pensavano gi alle Acli e alla Coldiretti, strutture che avrebbero consentito di attenuare il dissenso allinterno del variegato mondo dei sindacalisti bianchi e garantito, a fronte di situazioni di pericolo e imbarazzanti
divisioni, una utile via di fuga. E cos il cattolico sollecitava il comunista:
La nuova confederazione unica, permetterebbe la costituzione di associazioni laterali ai sindacati, le quali non avendo funzioni sindacali propria512
LUI E GRANDI
513
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
LUI E GRANDI
dacato, n.d.a.) dallo Stato e dai partiti, i suoi amici preferiranno un riconoscimento giuridico, per dare forza legale ai contratti di lavoro stipulati
ed evitare che minoranze inorganizzate o dissidenti del sindacato unitario,
potessero fare dei contratti-trucchi con dei padroni, i quali potrebbero pretendere dimporli a tutti gli operai e creare confusioni e difficolt. Io feci
valere per la nostra tesi, due argomenti: a) che il nostro sindacato unitario
conter la quasi unanimit degli operai... b) che, in via subordinata si potrebbe promuovere una legge dello Stato.
Nella relazione, Di Vittorio dice anche altre due cose di un certo rilievo. Praticamente che cera lintesa sulla costruzione di una struttura autonoma dei contadini piccoli proprietari: cio la Coldiretti poteva nascere.
In secondo luogo, che si poteva trovare laccordo sul nome della nuova organizzazione sindacale: Proposi il nome di Confederazione Generale del
Lavoro unica o unitaria; ma i nostri amici pare che insistano nel volere sostituire la parola italiana, o nazionale a quella vecchia generale.
Non credo, per, che ci si debba impuntare su questa o quella parola, pur
non sottovalutandone il valore3. La questione, in effetti, era tuttaltro che
secondaria perch, anche in questo caso, era in ballo lidentit della nuova
organizzazione. Si trattava di rompere con il passato ma non nella maniera
in cui impostavano il problema i comunisti, cio un segnale di rottura rispetto alla CGdL a loro parere egemonizzata da quei Mandarini riformisti
contro cui Gramsci aveva puntato il dito. Il problema dei cattolici era diverso e da un lato riguardava il richiamo alle proprie origini, dallaltro la
collocazione del nuovo sindacato sulla scacchiera del mondo che sarebbe
uscito dalla guerra. Grandi e i cattolici volevano in particolare che il nuovo
nome contenesse una vocale: la i di italiana. Non era semplicemente una
fregola nazionalistica. Cera qualcosa di pi. La i richiamava la Cil, cio
la vecchia Confederazione Italiana del Lavoro, lorganizzazione bianca
da cui proveniva Grandi. Con quella vocale si puntava a stemperare leccesso di colore rosso contenuto nella precedente formulazione. Ma poi
cera anche unaltra questione. Sottolineando laspetto nazionale (italiana), si annacquava il riferimento internazionale, anzi, internazionalista.
Alla fine, non ci fu alcuna sostituzione ma solo una aggiunta e la Confederazione Generale del Lavoro si trasform nella Confederazione Generale
Italiana del Lavoro.
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B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
In realt, ancora in quel mese di febbraio del 1944 le posizioni apparivano piuttosto inconciliabili e nulla faceva presagire che in poco pi di
tre mesi tutti i tasselli del puzzle, seppure con una buona dose di mediazione,
avrebbero trovato la giusta collocazione. Avvenne qualcosa che rese tutto
pi rapido, qualcosa legato anche al fatto che il 13 ottobre del 1943 lItalia,
con un ufficiale cambio di alleanze, era scesa in guerra contro i tedeschi che,
per, erano ancora saldamente acquartierati in una parte del paese che cos
si ritrovava con due governi, uno a Salerno e laltro a Sal, il primo pi legittimo, ancorch screditato del secondo, guidato da un duce ormai in
balia di una strana sindrome accertata dal suo medico tedesco in cui si combinava la tendenza a credere a tutto quello che gli veniva detto e lincapacit
a rispondere negativamente a chiunque gli chiedesse qualcosa, praticamente
immerso in un covo di vipere (peraltro da lui allevate) che si facevano vicendevolmente la guerra arrivando (come nel caso del ministro prima citato,
Buffarini Guidi) a intercettare le telefonate del capo.
Un paese prostrato e violato, piegato dalla brutalit delle forze di occupazione naziste comandate da Albert Kesserling che una volta libero per
motivi di salute, avrebbe anche sollecitato la costruzione di un monumento
in suo onore da parte degli italiani. Ebbe solo lepigrafe, realizzata da Piero
Calamandrei: Lo avrai/ camerata Kesserling/ il monumento che pretendi da
noi italiani/ ma con che pietra si costruir/ a deciderlo tocca a noi. Non coi
sassi affumicati/ dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio/ non colla terra
dei cimiteri/ dove i nostri compagni giovinetti/ riposano in serenit/ non colla
neve inviolata delle montagne/ che per due inverni ti sfidarono/ non colla primavera di queste valli/ che ti videro fuggire. Ma soltanto col silenzio dei torturati/ pi duro dogni macigno/ soltanto con la roccia di questo patto/ giurato
fra uomini liberi/ che volontari si adunarono/ per dignit e non per odio/ decisi
a riscattare/ la vergogna e il terrore del mondo/ Su queste strade se vorrai
tornare/ ai nostri posti ci ritroverai/ morti e vivi collo stesso impegno/ popolo
serrato intorno al monumento/ che si chiama/ ora e sempre/ Resistenza.
I cattolici stavano da tempo lavorando alla definizione del loro progetto di unit sindacale. Contemporaneamente allevoluzione della situazione. Dieci giorni prima della dichiarazione di guerra alla Germania, a
Roma si svolgeva una riunione in cui si cercava di riannodare le fila del di516
LUI E GRANDI
scorso unitario, provando a superare lo choc della fine prematura dellesperienza dei commissari. A parlare di sindacato si ritrovarono non solo
Buozzi, Di Vittorio e Grandi ma anche i rappresentanti dei partiti, Amendola per i comunisti, Nenni per i socialisti e Gronchi per i cattolici. Oreste
Lizzadri in unintervista all Avanti! rivelava che Gronchi favorevole
a una organizzazione sindacale unitaria ma non nasconde alcune riserve
e perplessit da parte di esponenti del suo partito4. Il 15 ottobre, poi, venivano anche definite le delegazioni che dovevano seguire (o avrebbero
dovuto seguire perch le vicende belliche scombussolarono i piani) tutto il
negoziato: Buozzi e Lizzadri per i socialisti, Roveda e Di Vittorio per i comunisti, Grandi e Gronchi per i democristiani. Avendo accumulato un po
di ritardo dal punto di vista dellelaborazione, i cattolici organizzavano un
convegno agli inizi del nuovo anno affidando a Gronchi il compito di leggere la relazione dapertura. In quella sede emersero le preoccupazioni che
poi furono al centro dei colloqui tra Grandi e Di Vittorio: il timore, soprattutto, che il sindacato venisse trasformato in uno strumento di organizzazione e propaganda politica. Le resistenze allunit pi che ai vertici del
partito cattolico, si ritrovavano nei cosiddetti quadri intermedi. Grandi e
De Gasperi dovettero sudare pi di sette camicie per convincere i perplessi
(ci riuscirono anche perch la benedizione allaccordo arriv in un incontro con il Papa, Pio XII).
Le perplessit, peraltro, non riguardavano lefficacia dello strumento unitario come arma di difesa degli interessi dei lavoratori che anzi,
proprio in quel convegno clandestino, era stata sottolineata. Cos pure i cattolici non facevano particolare fatica a riconoscere che lesistenza di un
solo sindacato rendeva pi agevole lestensione erga omnes dei contratti.
In quella sala cera anche chi sottolineava che non tutto quello che il fascismo ha fatto in tema sindacale deve essere rigettato per il solo motivo
che fu fatto dal fascismo5. Una posizione decisamente diversa da quella
dei comunisti che ritenevano, al contrario, che il nuovo sindacato non dovesse in alcuna maniera evocare quello del passato pi immediato. Queste
valutazioni i cattolici le facevano perch propendevano per la regolazione
del Sindacato come ente autarchico dello Stato vedendo in questa soluzione la maniera per impedire che il sindacato diventi mezzo diretto per
la conquista del potere o per esercitare pressioni sulla politica generale
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dello Stato6. Gli amici di Grandi non volevano trasformare la confederazione in uno strumento di lotta comunista per lassalto al Palazzo dInverno del potere. In questa posizione fiancheggiati dalla DC e dagli stessi
Alleati che avevano liberato buona parte dellItalia.
E con maggiore chiarezza alcuni degli oratori affermavano: Alcune
correnti politiche tendono a ricostruire la Confederazione Generale del
Lavoro come unica organizzazione dei lavoratori e con scopi di politica
generale oltre che di politica sindacale. Questo appare molto pericoloso e
la tendenza pu essere contrastata con seria probabilit di riuscita da un
programma che prevede dei sindacati di categoria indipendenti, con scopi
nettamente limitati al campo sindacale. Grandi sarebbe stato mandato agli
incontri con Di Vittorio (pi che con Buozzi visto che sullobbligatoriet e
sulla strutturazione verticale il leader socialista e quello democristiano concordavano) in qualche maniera armato. Avrebbe, ad esempio, richiesto
che venisse concessa la libert di costruire organizzazioni professionali con
compiti di controllo, studio e elaborazione, cio le Acli. In sostanza (come
avrebbe perfettamente compreso Di Vittorio) una via duscita nel caso la
situazione non avesse avuto gli sviluppi sperati: Se non fosse possibile organizzare il sindacato obbligatorio con i compiti limitati che si propongono,
resta sempre la possibilit di riprendere la libert di azione e di tornare alla
politica dei sindacati liberi e indipendenti7. I cattolici, dunque, lavoravano
allunit ma pensando in anticipo alle condizioni che avrebbero portato ad
una nuova rottura. Il documento conclusivo di quella riunione apriva uno
spiraglio sulla libert di sciopero purch lazione di protesta fosse finalizzata soltanto alla chiusura delle vertenze contrattuali (quindi niente finalit
politiche) e che rispondesse a due condizioni: la proclamazione doveva essere effettuata dalla Federazione nazionale e non doveva essere utilizzato
nelle controversie interpretative e applicative del contratto. Come facile
notare, le domande che Grandi pose a Di Vittorio erano la diretta conseguenza del convegno che si era svolto solo pochi giorni prima dellincontro
tra i due avvenuto agli inizi di febbraio.
La riflessione intorno al sindacato unitario era cominciata un anno
e mezzo prima di quel convegno, pi o meno in coincidenza con gli incontri
torinesi di Buozzi e Grandi e, soprattutto, di una visita di De Gasperi a Milano nellestate del 1942. In quella occasione era stata anche creata una com518
LUI E GRANDI
missione che aveva predisposto un documento (reso pubblico nella notte fra
il 25 e il 26 luglio del 1943, in coincidenza con il siluramento di Mussolini
e la sua sostituzione con Badoglio) in cui si fissavano alcuni principi essenziali dellimpostazione ideologica democristiana: Sindacato di categoria
autonomo e obbligatorio libera organizzazione del lavoro e della produzione con rappresentanza proporzionale in seno al sindacato di categoria.
Contributo sindacale obbligatorio unico per entrambi i settori. Sciopero vietato nei servizi pubblici. Nelle altre categorie sciopero e serrata su delibera
del sindacato delle rispettive categorie, con votazione segreta degli iscritti,
dopo esaurimento di tutti i mezzi conciliativi. Tendenza allarbitrato obbligatorio8. Una posizione totalmente in contraddizione con quella comunista,
illustrata nei verbali firmati Nic. I cattolici, insomma, ritenevano che con
lobbligatoriet si annacquasse laspetto politico del sindacato, ci si iscriveva
a una organizzazione di servizio, una sorta di grande Caf, che non comportava alcuna adesione ideologica. Inoltre, una organizzazione che valorizzava le Federazioni sottolineava il suo ruolo sindacale, cio la sua attivit
contrattuale, al contrario lesaltazione del momento confederale e delle Camere del Lavoro valorizzava il momento del reclutamento legato a solidariet di altro tipo, non semplicemente lavorativa. Buozzi con il suo realismo
sapeva smussare gli angoli e si trasformava in una sorta di garante per Grandi
che allidea unitaria si era convertito definitivamente solo dopo una straordinaria opera di convincimento operata nei suoi confronti da De Gasperi
(Rapelli: Fu a Roma, dopo l8 settembre 1943, che le resistenze di Achille
Grandi vennero vinte dalla persuasione su di lui esercitata da amici autorevoli tra cui De Gasperi e Gronchi9).
In effetti il leader democristiano gioc un ruolo centrale nella vicenda. Tanto per cominciare, convinse i pi perplessi e nel gruppo cera
anche Giulio Pastore al quale invi una lettera (nel febbraio del 1944) per
indurlo a un atteggiamento pi aperto: Dopo aver ottenuto per la prima
volta nella storia italiana una solenne dichiarazione di rispetto e tolleranza
religiosa, il respingere questa mano senza gravi ed evidenti motivi sarebbe
pericoloso. Noi verremmo certo tagliati fuori da ogni influsso sullindustria
e anche nellagricoltura, se scoppiasse la lotta, reggeremmo a fatica. Se
in qualche parte il clero potr fare eccezioni contro lalleanza, in molte
altre ce le farebbe pi aspre contro la nostra intransigenza che avrebbe
519
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
LUI E GRANDI
Sergio Turone: Storia del sindacato Italiano. 1943/1980 Laterza 1981, pag. 35
Giorgio Benvenuto: Il Patto di Roma Quaderni della Fondazione Bruno Buozzi 2012,
pagg. 26-7-8-9-30-1
3
Giorgio Benvenuto, Ibidem pagg. 33-4-5
4
Sergio Turone, Ibidem pag. 39
5
Sergio Turone, Ibidem pag. 41
6
Sergio Turone, Ivi
7
Sergio Turone, Ibidem pagg. 41-2
8
Michele Pistillo: Giuseppe Di Vittorio 1924-1944 Editori Riuniti 1977, pag. 218
9
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista Franco Angeli 1984, pag183
10
Sergio Turone, Ibidem pagg. 45-46
11
Il Partito Comunista Italiano saluta il suo capo tornato finalmente in Italia lUnit
del 2 aprile 1944, edizione meridionale
2
521
Lui e Nenni
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
vibile allangolo di una delle grandi strade consolari che partivano (e partono) dalla Capitale per andare verso nord.
Disse, in un silenzio che avvolgeva come un sudario quella sala:
Una lunga consuetudine di battaglie comuni con Bruno Buozzi mi consente
questa sera, davanti alla popolazione romana, di evocare il suo ricordo in
Anni Venti del Novecento: la famiglia Nenni si rilassa al mare. Con il leader, la
moglie Carmen Emiliani, le figlie Eva, Giuliana, Luciana e la piccola Vittoria (in
braccio al padre) che parteciper alla resistenza francese e morir di tifo a Auschwitz
526
LUI E NENNI
una forma insolita cercando non tanto di parlare di lui, ma di evocare quello
che egli avrebbe detto se a lui fosse toccato lonore che meritava, di stabilire
il primo contatto politico fra il nostro partito e la classe lavoratrice1. Qui,
sulla parola lavoratrice, le cronache raccontano che scatt lapplauso.
Commosso, partecipato. Perch chi era in quella sala lo viveva ancora come
il capo sindacale di tante battaglie, a volte vittorioso, a volte sconfitto, ma
mai prostrato, mai messo in ginocchio, nemmeno quando i fascisti lo avevano costretto ad andare via dallItalia, a cercare allestero i modi per non
far tacere la voce del sindacato, la voce dei lavoratori. Con un cenno della
mano, Nenni faceva tacere la platea e ricominciava, dal punto in cui la sue
parole si erano interrotte nel rumoroso fluire delle emozioni collettive:
Consuetudine di battaglie comuni e una certa affinit di temperamento,
di formazione, una formazione fatta nella strada e non nelle scuole, una
tendenza alla osservazione della vita pi che allo studio astratto della vita,
che ci veniva ad entrambi dal fatto che fino dai giovanissimi anni ci tocc
risolvere da soli e subito il duro problema del pane quotidiano2.
Non era facile nemmeno per uno come lui, abituato a usare in maniera sapiente, a volte cauta a volte arrembante, larma delloratoria, parlare
di quel compagno scomparso da poco che avrebbe potuto dare tanto alla
nuova Italia che stava nascendo da quelle rovine confuse e fumanti. Lo
aveva scritto nel suo diario, il giorno in cui era stato confermato che quel
cadavere, immerso nel fogliame con altri tredici, era delluomo con cui
aveva condiviso la militanza, lesilio, le battaglie, con cui aveva anche
duellato dialetticamente, a volte in maniera decisamente ardente, dura;
lo aveva scritto nel suo diario che su di lui il partito faceva affidamento,
per il sindacato, per il governo; faceva affidamento per quella competenza
che, certo, aveva acquisito osservando la vita, ma aveva affinato, migliorato
studiando nel tempo libero, dopo una giornata di lavoro, semmai, come
aveva scritto un altro comune compagno, Gino Castagno, addormentandosi
sui libri. Faceva affidamento anche per un altro motivo. La struttura del
Partito Socialista era uscita dalla guerra disarticolata, ridotta ai minimi termini, come ha sottolineato Giorgio Galli. Ne aveva preso atto lo stesso
Bruno Buozzi quando Piccardi lo aveva nominato commissario delle disciolte corporazioni dei lavoratori e anche per questo aveva voluto accanto
a s i comunisti con la relativa dote organizzativa di quel partito. I socialisti
527
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
LUI E NENNI
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guinosa. No, politicamente non erano uguali e non lo sarebbero mai stati.
Semmai affini.
Buozzi non aveva pasticciato troppo con idee e convinzioni. A
Milano (anche prima di Milano) aveva trovato non solo il lavoro ma anche
una linea di pensiero: il riformismo. Aveva anche trovato un Maestro, Filippo Turati, che aveva accudito, nella sua casa parigina, a Boulevard Ornano, negli ultimi giorni, nelle ultime ore di vita. In Nenni il tratto un po
anarchico (esordio in piazza a sette anni), quella vena di follia che segno
anche di generosit e di passione forte e indomabile, era sempre rimasto.
Buozzi era nato riformista agli inizi del secolo ed era morto riformista, era
approdato al partito nel momento in cui Turati veniva messo in minoranza,
lo aveva visto riconquistare la maggioranza per poi soccombere di nuovo
a vantaggio dei massimalisti; lo aveva visto anche difendersi nel congresso
di Livorno, quello della scissione comunista, quello in cui il Maestro ci
arriv da imputato politico (uscendone, come gli aveva scritto Anna Kuliscioff, da trionfatore) perch Lenin da Mosca chiedeva che quelli della
sua razza venissero messi alla porta, la purificazione a suon di epurazioni
come condizione essenziale per essere accolti nellInternazionale Comunista (c sempre qualcuno pi puro che ti epura, avrebbe detto proprio
Nenni in altra occasione). Poi, insieme a Turati, a Treves, a Matteotti, a Saragat e a Pertini, lanno dopo era stato messo alla porta del Psi e aveva aderito al Psu. Mentre Nenni cresceva e conquistava, nel 1923 la
maggioranza, favorendo luscita di scena dei terzinternazionalisti di Serrati.
E probabilmente lo strappo dellanno prima sarebbe stato rammendato
se non fosse arrivato il delitto Matteotti e se la definitiva affermazione del
fascismo non avesse imposto altre priorit. Ma chiaro che quelle porte
girevoli che nel Psi facevano uscire ed entrare ora gli uni ora gli altri, finivano per depositare un po di ruggine nei rapporti.
La diversit politica tra i due era chiara. Anche se poi Buozzi era
un riformista molto unitario e non solo nel sindacato (ne sapeva qualcosa
Nenni che dal leader della CGdL era stato difeso quando Modigliani ne
chiedeva lespulsione). Il rapporto con i comunisti, soprattutto nellesilio,
aveva provato a difenderlo o, comunque, a non interromperlo del tutto,
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LUI E NENNI
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
LUI E NENNI
Nenni a Bari nel 1946 inaugura una sezione del Psi intitolata a Buozzi
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tamente, sia. Dico sventuratamente perch per me e forse per altri di voi,
questa caduta di fiducia nella persona di un sovrano della dinastia che fece
propria la causa del risorgimento italiano e ci avevano governato nei primi
sessantanni dellunit nazionale, una sventura purtroppo irreparabile.
Cera ancora un residuo di nostalgia, di amarezza, di sentimenti di affetto
per una casa regnante che da molto, troppo tempo aveva dismesso i panni
a cui faceva riferimento Croce, da molto, troppo tempo aveva deciso di abbracciare una causa che non era pi quella del riscatto nazionale ma della
navigazione spicciola tra grandi errori, colossali mancanze e piccole furbizie. Quasi affranto, il filosofo concludeva: Fin tanto che rimane a capo
dello stato la persona del presente re, noi sentiamo che il fascismo non finito, che esso ci rimane attaccato addosso, che continua a corroderci e a
infiacchirci, che risorger pi o meno camuffato, e insomma che cos non
possiamo respirare. E non ci dato avere un governo serio. Il re non in
grado di formare un ministero, perch gli uomini che hanno esperienza e
reputazione si rifiutano di giurare fedelt... Gli alleati dovrebbero volere in
Italia un governo serio e lealmente e validamente appoggiarlo5.
Si chiedeva, insomma, agli alleati di fare quello che, al contrario, i
socialisti chiedevano agli italiani di fare: liberarsi dal fascismo e da chi gli
aveva consegnato il potere diventando complice di una lunga scia di lutti e
sciagure, creando le condizioni per una ventennale perdita di democrazia e
libert, annegando il paese in un insopportabile servilismo, trasformando
lobbedienza acritica e cieca in un elemento identificativo del codice genetico nazionale. In quella assemblea il messaggio del Cln romano non venne
accolto con entusiasmo e non fu un caso. Lizzadri, poi, venne accompagnato
dai fischi quando cominci a leggere la lettera che Pietro Nenni aveva elaborato insieme a Buozzi. I toni erano decisamente diversi da quelli, a dir il
vero per quanto nobili e autorevoli, comunque un po piagnoni di Croce:
lotta al nazismo per spedire i tedeschi oltre il Brennero; non bisognava
dare tregua al fascismo comunque mascherato; infine, forse il dettaglio
pi indigesto per quella platea, una azione politica che portasse alla Repubblica socialista dei lavoratori, che lobiettivo della rivoluzione popolare
in corso. Un programma che a un uditorio profondamente segnato dalle
elaborazioni crociane (che non a caso nel suo intervento aveva chiesto un
maggiore impegno agli alleati sul fronte del ricambio politico proprio per
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LUI E NENNI
evitare una nuova rivolta anti-zarista, una nuova rivoluzione bolscevica) non
poteva che risultare indigesta. E poi i socialisti non si limitavano agli incitamenti, fissavano una road map verso la nuova Italia che prevedeva la decadenza della Monarchia, il rinvio a giudizio davanti a una Corte Speciale di
Vittorio Emanuele III e di Mussolini per alto tradimento e per abuso di potere
dal 28 ottobre 1922, giorno della marcia su Roma, al 24 luglio del 1943,
giorno della riunione del Gran Consiglio e della discussione sullordine del
giorno presentato da Dino Grandi; la socializzazione dei mezzi di produzione;
un piano quinquennale per traghettare lItalia verso il socialismo. Parole
troppo forti per quelle sensibili orecchie liberali, nonostante il messaggio di
Nenni si chiudesse dichiarando la disponibilit del Psi a partecipare a un governo di salute pubblica, che comprendesse tutti e che, soprattutto, fosse titolare di tutti i poteri della monarchia e del parlamento che andava sciolto.
Questa distanza, questa diversa impostazione, emerse anche nel discorso pronunciato la sera del 4 luglio al cinema Adriano: Il problema per
noi era questo: fare dellantifascismo un problema europeo e non soltanto
un problema nazionale ed italiano. Riprendere sulle orme dei patrioti italiani del 1848 e 1849 la funzione che fu quella di Manin e degli altri eroi
del 1849: perduta la battaglia allinterno, riprendere la medesima battaglia
sul piano europeo, dare allEuropa il sentimento che se la perdita della libert sempre una disgrazia e sovente una colpa, da questa disgrazia e da
questa colpa ci si pu per risollevare se si affronta la lotta con coraggio e
tenacia... Nel 1926, noi avevamo dunque perduto una battaglia politica, ma
avevamo posto le condizioni della rivincita immancabile, e la rivincita stava
nella frattura morale e politica del paese... Ci sono voluti anni di sforzi per
far capire che il problema fascista non era italiano ma internazionale e per
far intendere la seriet del monito lanciato da Filippo Turati al congresso
dellInternazionale Socialista a Bruxelles: Le fascisme cest la guerre,
il fascismo la guerra. Non era casuale il riferimento nel momento in cui
Nenni provava a parlare usando i concetti e le parole di Bruno Buozzi: era
levocazione del padre spirituale, era una orazione nel nome del padre.
Poco meno di un anno prima della sua morte, a Vienna (non a Bruxelles, n.d.a.), il 30 luglio 1931, Turati aveva pronunciato uno dei discorsi
pi chiari e veementi contro il fascismo. Attaccava: Torno a parlarvi del
fascismo, Perocch il fascismo la guerra. In questora della storia, la
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LUI E NENNI
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B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
Era durissima e senza appello, in quella sala, la conclusione che Filippo Turati traeva da tutti questi elementi distintivi del regime: Anche se
il fascismo sotto la pressione di una crisi economica spaventosa, non pensa
in questo momento a scatenare la guerra. La guerra esso la prepara fatalmente e sempre. La guerra lo sbocco finale di tutte le dittature... Ed perci... che non si pu essere veramente per la pace, per la democrazia, per
il socialismo, quando si risparmia il fascismo e gli si indulge, in vista di interessi particolari e transitori di Governi e Stati... Qualcuno, un giorno, pot
dire che il fascismo un affare interno allItalia. Quale accecamento!
Lesperienza tragica dellEuropa centrale ha fatto crollare cos puerile illusione. Ma spetta a noi, socialisti italiani, dispersi, che parliamo allInternazionale a nome di tutto il popolo italiano, di ripetere incessantemente, di
gridare a tutte le orecchie: Il socialismo, la democrazia, la pace, non hanno
nemico peggiore del fascismo. Se lInternazionale vuole la pace, la libert,
il socialismo, se essa vuole vivere ed agire; essa deve proporre a se stessa
di abbattere il fascismo: per lItalia per tutti i popoli per la vita stessa
dellInternazionale7.
LUI E NENNI
perch insieme avevano scritto la lettera che al congresso di Bari era stata
accolta dai fischi: Io penso che avrebbe detto che la partecipazione del
nostro popolo alla guerra condiziona il nostro riscatto nazionale. Noi non
domandiamo agli alleati nessuna elemosina, ci risparmino le loro sigarette,
non ci neghino i fucili che decine di migliaia di giovani reclamano coscienti
come sono che col loro sacrificio che si pu rifare il paese9.
Sempre il 28 gennaio, poi, Lizzadri partecip, anche allassemblea
costitutiva della Confederazione. Era una iniziativa parziale, che riguardava
un pezzo dItalia ormai liberato, il Sud. Infatti vi parteciparono cinquecento
delegati meridionali. Liniziativa era stata presa da comunisti e socialisti
mentre era risultata sgradita a democristiani e azionisti. Poi, per, risult
indigesta anche ai dirigenti del Pci che stavano riorganizzando le fila del
partito a Roma e al Nord. Lelevato tasso di indigeribilit del congresso
venne determinato dal fatto che lassemblea si concluse con un voto e con
lelezione alla segreteria di Bruno Buozzi (vice erano risultati Roveda e
Achille Grandi). E mentre l Avanti! accoglieva con grande calore i risultati baresi (Riprendendo il suo posto alla testa della classe operaia la
Confederazione generale del lavoro ha quattro problemi fondamentali da
risolvere: prima di tutto organizzare la partecipazione dei lavoratori alla
lotta nazionale contro linvasore e i suoi alleati interni, preparando nelle
regioni occupate lo sciopero insurrezionale; in secondo luogo intervenire
energicamente nella lotta per lo smantellamento dello stato fascista e monarchico; assicurare la tutela dei lavoratori contro lingordigia del capitalismo privato; prepararsi, infine, ad indirizzare la ricostruzione nel senso
degli interessi generali degli operai, dei contadini, dei tecnici e delle professioni liberali, che sono poi gli interessi della societ italiana nel suo insieme10); i comunisti pronunciavano anatemi: Amendola e Scoccimarro
inviavano ai compagni del nord una lettera in cui si affermava che la
nomina avvenuta a Bari ha avuto il carattere di una manovra socialista, costoro allultimo momento hanno approfittato di unoccasione che stata loro
offerta a nostra insaputa per mandare a Bari un loro incaricato, amico politico di Buozzi.
Lizzadri di Buozzi era sicuramente compagno di partito. E anche
amico, a livello personale pi che strettamente politico: erano attestati su
posizioni diverse, piuttosto distanti. Nel suo diario, ad esempio, alla data
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LUI E NENNI
voriamo tra rischi e difficolt enormi Punto Tuttavia coraggio non manca
et buone speranze ci sorreggono Alt Appena possibile occorrer incontrarci
in Italia o a Londra se mi sar concesso venirci stop Che nuovo anno porti
pace al mondo. La data quella del 13 gennaio 1944 e spiega come gli
interessi del segretario della CGdL fossero in quel momento proiettati pi
verso la costruzione di un panorama favorevole al nuovo sindacato ancora
in gestazione che a viaggi che gli avrebbero probabilmente consentito di
salvare la pelle ma che gli avrebbero fatto perdere un po di centralit.
Gli appuntamenti di Bari erano importanti ma non decisivi, nonostante lentusiasmo con cui Lizzadri in un articolo per l Avanti! del 14
febbraio (non firmato) annunciasse: Risorge la Confederazione generale
del Lavoro! Il 28 gennaio a Bari si riunito il primo congresso operaio
dallinfausto 1925 in cui i partiti e le organizzazioni sindacali furono
sciolti. Il congresso, al quale hanno partecipato cinquecento delegati venuti
dalle province meridionali e dalla Sicilia, ha deciso la ricostituzione della
gloriosa Confederazione generale del lavoro. Con questa decisione i lavoratori dellItalia meridionale hanno riaffermato il principio dellautonomia
del movimento operaio sia nei confronti dei padroni sia nei confronti dello
Stato borghese. Essi hanno inteso riallacciarsi per le battaglie di domani
alla tradizione del sindacalismo operaio il quale non ha niente in comune
con lo pseudo sindacalismo fascista... Il Congresso di Bari ha deciso che
la sede della Confederazione generale del lavoro sia trasferita a Roma non
appena possibile. Esso ha nominato segretario generale della Confederazione il nostro compagno Bruno Buozzi che resse questo ufficio nel 192126 (le date erano errate, errore forse dettato dalla retorica del momento
n.d.a.) e vice segretari il compagno Giovanni Roveda e il cattolico Achille
Grandi. Un esecutivo provvisorio con sede a Bari stato nominato nelle
persone dei compagni: Raffaele Pastore, segretario, Laricchiuta, Genco,
Populizio e Schirone.
E sempre nel suo diario, Lizzadri annotava il primo messaggio politico lanciato dal Psiup alla rinata Confederazione: La Direzione del Partito Socialista invia alla Confederazione generale del lavoro ricostituita a
Bari in un solenne congresso di liberi delegati operai il suo saluto. Essa invita i compagni socialisti ad essere in prima fila nella riorganizzazione delle
Leghe, delle Camere del Lavoro, dei Consigli, strumenti delle battaglie per
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LUI E NENNI
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parte delle opposizioni, i sindacalisti erano usciti da quelle strutture tecniche. Poi si arrivava al corpo a corpo: Nenni parla di politica di inganni e
bassi intrighi. Ebbene, ci permetta di dirgli che queste parole grosse sono
indegne di lui e indegne di quel periodo e di questo. Noi neghiamo categoricamente... che nel periodo che va dalla marcia su Roma allassassinio di
Matteotti la politica sindacale fascista sia stata dominata dalla ricerca di
un compromesso fra Mussolini e i capi della Confederazione... Insorgiamo
oggi, come insorgeremmo domani contro chiunque, specialmente se amico,
pigli a pretesto un episodio o la debolezza di qualche uomo per colpire in
solido la Confederazione Generale del Lavoro e i suoi capi. In sostanza, se
anche Mussolini cercava laccordo, alla fine aveva trovato orecchie sensibili solo in alcuni (situazione confermata dallo scioglimento decretato dal
gruppo Rigola il 4 gennaio del 1927). Nenni, in effetti, non aveva tutti i
torti: qualche sbandamento cera stato e Matteotti aveva pronunciato quel
discorso che lo aveva portato alla morte anche per bloccare quei sommovimenti che stavano facendo il gioco di Mussolini. Semmai era la generalizzazione che indeboliva la sua analisi. Poi, per, cerano le questioni
politiche che tiravano in ballo anche Turati. Nenni aveva accusato i riformisti e la destra del partito di non avere avuto adeguata sensibilit per le
dinamiche sociali, di aver negato lesistenza di un clima rivoluzionario
quasi a priori. Replicava Buozzi: E il centro Massimalista a cui aderiva
Nenni cosa pensava? Qualcuno dice che predicava la rivoluzione, ma che
poi quando capitava un episodio che poteva offrire loccasione per una
grande azione, diceva: adagio, lora della rivoluzione non ancora scoccata!13 Il riferimento era evidentemente alloccupazione delle fabbriche
quando il vertice socialista, pur in mano ai massimalisti decise di non decidere.
I due contendenti erano cos arcigni che continuarono a beccarsi.
Una ventina di giorni dopo, Nenni mandava una lettera a lOperaio Italiano in cui rincarava la dose: Ahim! Lintrigo aveva radici cos profonde,
che neppure luragano Matteotti baster a sradicarlo e nel 27 nel pieno
delle leggi eccezionali quando a frotte i nostri varcano le frontiere, taluni
uomini, che ti furono cari, dalla premessa della collaborazione tecnica del
23, arriveranno alla collaborazione tecnico-politica14. Una sottolineatura
ingenerosa visto che Buozzi era stato la prima vittima di quel tradimento.
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LUI E NENNI
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LUI E NENNI
1
Pietro Nenni: Cosa avrebbe detto Bruno Buozzi, discorso al Cinema Adriano di Roma,
il 4 luglio 1944, ristampa a cura della Fondazione Bruno Buozzi, pag. 3
2
Pietro Nenni: Cosa avrebbe detto Bruno Buozzi. Ivi
3
Pietro Nenni: Cosa avrebbe detto Bruno Buozzi. Ivi
4
Pietro Nenni: La lotta di classe in Italia Sugarco 1987, pagg. 125-6
5
Discorso di apertura di Benedetto Croce dagli atti del congresso di Bari, prima libera
assemblea dellItalia e dellEuropa liberata, 28-29 gennaio 1944
6
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Il Patto di Roma
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
sulla categoria, azionata da criteri rigidamente gerarchici; il diritto di sciopero subordinato ad autorizzazioni superiori e alla votazione segreta)1. Oggettivamente, il comp.Can. si era piegato un po troppo verso le posizione
di Grandi e dei cattolici. Alla fine della riunione con Di Vittorio, per, abbracci le posizioni opposte. Il Patto di Roma stato accusato di essere
stato il prodotto di un accordo di vertice.
A parere dei pi, questo sarebbe stato il suo tallone dAchille. In realt,
la sua strutturale debolezza va probabilmente cercata altrove. In quel clima
di libert estremamente compresse, in cui era difficile anche scambiarsi un
saluto, riesce piuttosto complicato immaginare una consultazione di base,
un dibattito capillare nei luoghi di lavoro per definire un accordo che sorgesse direttamente dalle officine o dagli uffici o dalle campagne. In quelle
condizioni, laccordo non poteva che essere verticistico. La debolezza, semmai, nasceva dalle ambiguit che segnarono, soprattutto nelle fasi finali, la
trattativa; dalle diffidenze democristiane che avevano perso la sponda di
Bruno Buozzi e avevano pensato di far filtrare le proprie opinioni manovrando un negoziatore non proprio granitico come Canevari, finendo, cos,
per sollecitare le diffidenze uguali e contrarie dei comunisti. Nessuno poteva
poi immaginare che lunit antifascista a livello politico sarebbe durata soltanto sino al 31 maggio del 1947 e che la situazione internazionale avrebbe
preso la strada della Guerra Fredda, del confronto tra Blocchi contrapposti
che faceva conseguentemente nascere la famosa conventio ad excludendum,
cio limpossibilit del Pci (e in quel momento anche del Psi stretto con i
comunisti in un rapporto di ferrea alleanza) di restare nellarea di governo.
Condizioni che trasformarono il Patto di Roma in un documento scritto
sullacqua. Ma se anche non fossero intervenute quelle condizioni esterne,
difficilmente un accordo che aveva lasciato insoluti troppi interrogativi
avrebbe retto alla verifica della quotidianit. Il vero tallone dAchille era,
quindi, lambiguit, forse in quel momento inevitabile.
Ma c dellaltro: limpostazione culturale. Di fatto, comunisti e democristiani, come ha sottolineato Walter Tobagi, erano portatori di una idea
di sindacato piuttosto simile. Subordinata al partito, quella del Pci; collaterale al partito, quella della dc. Ma se limpostazione culturale poteva essere
in qualche maniera analoga, le finalit erano diverse. La subordinazione
comunista aveva lobiettivo di costruire le condizioni per consegnare nelle
552
I L PAT T O D I R O M A
mani del partito gli strumenti per realizzare la mediazione sociale (una storia che trover conferme puntuali nella seconda met degli anni Settanta e
nella prima met degli Ottanta); il collateralismo democristiano quello di
recuperare nuovi consensi in aree sociali sconosciute (quelle operaie) e
per ricostruire i rapporti con i vecchi ceti di riferimento (in particolare quelli
rurali). In questa identificazione-contrapposizione, Buozzi non era solo un
elemento di equilibrio, era anche il portatore del progetto pi schiettamente
sindacale. Lo ha sottolineato Tobagi: evidente limportanza della presenza del socialista riformista Buozzi, non solo come erede di una gloriosa
tradizione sindacale, ma ancor pi come esponente di punta di una concezione squisitamente riformista del sindacalismo2
Veniva narrato, soprattutto dai biografi di Grandi, un aneddoto che
in qualche maniera spiegava la debolezza cronica dellintesa. Il 5 giugno,
cio quattro giorni prima della firma del Patto (la data ufficiale del 3 venne
decisa per due motivi: onorare la memoria di Buozzi che aveva partecipato
sino allultimo alle trattative; far capire che a quel documento si era lavorato
nella Roma occupata dai nazisti, sotto i loro occhi, sostanzialmente sfidandoli), Achille Grandi faceva il suo ingresso nella sede della Cgil unitaria
(confiscata alla Confederazione fascista dellindustria), passando dal salone
della presidenza. L, dietro il tavolo, vedeva tre sedie, due pi basse e una
pi alta. A quel punto chiedeva a un usciere a chi fosse riservata quella pi
alta. La risposta fu: a Di Vittorio. Grandi, con atteggiamento gelido, rintuzz: Qui nessuno pi alto. Fate togliere subito quella sedia e mettetene
una uguale alle altre3. I comunisti , seppur attraverso un simbolo, stavano
lanciando la loro Opa sul vertice confederale ma lo stavano facendo in maniera troppo sfacciata. Forse convinti a questa arrembante offensiva dal
fatto che nessuno potesse ostacolarli, che la tragica uscita di scena di Buozzi
da un lato avesse tolto ai socialisti il punto di riferimento pi forte, dallaltro
avesse liberato il campo di Di Vittorio dalluomo che, per la sua storia e
lantico carisma, poteva con qualche efficacia contrastare i piani del Pci,
rinnovando in una versione originale ma non totalmente inedita il vecchio
scontro tra riformisti e massimalisti.
Condizioni oggettive che rendevano Grandi meno convinto nei suoi
aneliti unitari, sicuramente meno convinto rispetto al giorno in cui si era
commosso nellascoltare Buozzi annunciare che, finita la guerra, ci sarebbe
553
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
I L PAT T O D I R O M A
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I L PAT T O D I R O M A
Il quinto capitolo conteneva quel riconoscimento che aveva convinto De Gasperi ad appoggiare il processo unitario, cio la caduta delle
pregiudiziali religiose: la nuova Cgil doveva essere una organizzazione
plurale dal punto di vista delle idealit, di ogni tipo. Nel sesto capitolo,
il segretario della CGdL, aveva cercato e in buona parte trovato la quadratura del cerchio sulla questione complicata del ruolo della Confederazione
perch da quello dipendeva il tipo di sindacato che sarebbe sorto dal Patto.
I cattolici, infatti, premevano per una organizzazione che avesse il suo fulcro nelle strutture di categoria; i comunisti, al contrario, attribuivano alla
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I L PAT T O D I R O M A
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da questo punto di vista, Buozzi finiva per anticipare lepoca dei consigli
di fabbrica, organismi ampiamente rappresentativi ma al servizio dei lavoratori e non di un partito o di una velleitaria rivoluzione, lontani, cio, dallimpostazione gramsciana e ordinovista. Cerano un altro paio di soluzioni
che davano al progetto una fisionomia compiuta. Si proponeva il distacco
dalla Confederazione degli agricoltori, dei piccoli proprietari e dei coltivatori diretti (una soluzione, anche questa, che trovava orecchie particolarmente attente nella Dc). Analogamente si sollecitava la scissione degli
artigiani dalla Confindustria. Con le nuove organizzazioni che sarebbero
nate, la Cgli avrebbe dovuto creare rapporti di alleanza. Lultimo capitolo,
il diciottesimo era dedicato agli obiettivi che la Confederazione avrebbe
dovuto perseguire subito dopo la liberazione di Roma: costituzione delle
camere del lavoro e delle federazioni nelle zone liberate; coordinamento
con i lavoratori sottoposti ancora alloccupazione nazista; rinnovo dei contratti per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori; sostegno e aiuto
alle forze impegnate nella lotta di liberazione; elaborazione di interventi
per agevolare la ricostruzione del paese.
Le proposte sintetizzate in quella bozza daccordo che teneva presente anche le indicazioni venute dalle altre componenti politiche, il vecchio
leader sindacale le aveva illustrate pubblicamente in due articoli apparsi
alla fine di febbraio e alla met di marzo di quellanno (1944). I due interventi pubblicati sull Avanti! clandestino erano anche loccasione per rispondere alle polemiche suscitate (in particolare dalla propaganda
comunista) dalla sua proposta sul sindacato (e sulle quote) obbligatorio. In
particolare, il secondo articolo che finiva per essere la prosecuzione e la
puntualizzazione del primo. Andiamo con ordine. Il 26 febbraio usciva la
prima presa di posizione. E sin dalle prime battute, Buozzi era chiarissimo:
Il sindacato unico, giuridicamente riconosciuto, risolve un problema fondamentale per la classe lavoratrice, vale a dire quello dellunit proletaria.
I lavoratori sentono istintivamente limportanza capitale di questa unit
che accomuna tutti i mestieri, tutte le professioni, in una parola tutti i rami
dellattivit soggetta allo sfruttamento della classi plutocratiche6.
Il vecchio leader sindacale usciva allo scoperto perch sapeva bene
(ne aveva parlato nei colloqui clandestini con Di Vittorio) che quella sua
proposta prestava il fianco alle critiche. Soprattutto a una critica: di dare alla
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I L PAT T O D I R O M A
nuova organizzazione confederale il carattere di una prosecuzione del vecchio sindacalismo obbligatorio fascista. Insomma, per i comunisti, lipotesi
alimentava lidea di una continuit e non di una rottura con il recente passato.
E poi cera la questione del rapporto del sindacato unitario con i partiti politici. Buozzi sapeva bene che gli equilibri potevano essere molto precari e
che non si poteva correre il rischio di apparire pi schiacciati su un versante
rispetto a un altro. Il problema lo aveva gi vissuto, soprattutto nel biennio
delle scissioni, il 1921-22. Sapeva anche che la situazione era complicata
da un nuovo problema che veniva posto dalla confluenza nella struttura unitaria dei democristiani. Si aggiungeva un altro motivo di divisione: non solo
quello relativo al fiancheggiamento di questa o quella forza politica, ma
anche la questione del classismo e dellinterclassimo. Sullo sfondo, poi,
le diverse sensibilit religiose o il differente rapporto con la religione. Il sentiero diventava pi stretto ma non per questo impercorribile.
Argomentava: chiaro che si deve andare verso un governo operaio, senza altri aggettivi. Per, per raggiungere lo scopo, si dovr marciare
allinfuori e al di sopra di ogni schema dottrinario e politico. A tal proposito
bisogna insistere sulla relativit delle varie dottrine politiche nei confronti
della vita etica e sociale del sindacato, in quanto rigeneratore della societ.
Questo atteggiamento di indipendenza sindacale non significa agnosticismo
politico, ci vuol poco a capirlo. I partiti che hanno un programma aderente
alla politica della classe operaia se ne troveranno avvantaggiati come pre-
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I L PAT T O D I R O M A
La sua insistenza sul sindacato unico, obbligatorio e dotato di personalit giuridica nasceva dalla necessit di dare ai contratti quella validit
generale che altrimenti non avrebbero avuto (a meno che non fosse stata
varata una legge che concedesse questo riconoscimento). Ma si incrociava
con le posizioni democristiane che in questa soluzione vedevano due conseguenze in linea con limpostazione cattolica: un sindacato unico e obbli563
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gatorio avrebbe scolorito i caratteri politici dellorganizzazione che diventava solo uno strumento di difesa dei lavoratori, di tutti i lavoratori; una organizzazione di questo tipo, in qualche maniera istituzionalmente
inquadrata, avrebbe usato gli strumenti a disposizione, in particolare lo sciopero, solo per finalit economiche. I comunisti, figli della teoria della cinghia di trasmissione che sar messa in discussione da Di Vittorio solo a
met degli anni Cinquanta, intravedevano nel sindacato, al contrario, uno
strumento della lotta politica. In sostanza cos come Carl von Clausewitz
considerava la guerra la continuazione della politica con altri mezzi, allo
stesso modo il Pci intravedeva nel sindacato la prosecuzione su un altro
piano del confronto-scontro tra i partiti. Con questa contraddizione i comunisti faranno a lungo i conti, alcune volte risolvendo il problema brillantemente, altre volte rimanendo impigliati nei rigidi schemi che quel
postulato determinava (ad esempio, per fare riferimento a un avvenimento
pi vicino a noi che a Buozzi, in occasione della vicenda della scala mobile
e del decreto di San Valentino).
Quidam con il primo articolo aveva suscitato irrigidimenti nel
campo comunista, soprattutto aveva fornito argomenti alla propaganda che
era stata imbastita contro di lui. E cos intervenne nuovamente una ventina
di giorni dopo, sempre sull Avanti! per provare a precisare meglio i concetti. Scriveva: Sindacato unico non vuol dire sindacato obbligatorio. Il
principio della libert sindacale va considerato come un caso specifico della
libert di associazione. Come tale non si discute. Il sindacato deve essere pertanto costituito, amministrato e diretto con criteri democratici. E questo implica adesione volontaria12. Evidente il tentativo di fare piazza pulita delle
accuse di voler proseguire sulla strada illiberale del sindacalismo fascista.
Continuava: Sindacato unico significa ripudio dei sindacati plurimi, Lorganizzazione sindacale ha una sua ragione di essere in quanto si
sostituisce allindividuo isolato, nellinteresse dei singoli e della comunit...
Come esiste una sola amministrazione comunale, una sola amministrazione
provinciale, un solo Parlamento, cos deve esistere un solo sindacato che
rappresenta legalmente tutti gli appartenenti alla categoria per la quale
costituito13. La scelta del sindacato unico come scelta ispirata anche a criteri di efficienza nel lavoro di tutela e di difesa. E a questo punto, Quidam
affrontava la questione pi scottante: Organizzazione unitaria e ricono564
I L PAT T O D I R O M A
scimento giuridico. Il confine della disciplina positiva del problema sindacale sta nel riconoscimento delle associazioni professionali da parte dello
Stato. In effetti il riconoscimento delle associazioni professionali significa
che queste sono considerate dal legislatore, cio dallo stato, come rappresentanti legali degli interessi della corrispondente professione o mestiere.
I rapporti fra stato e sindacato qui cominciano e qui finiscono14. Tradotto
in soldoni: il rapporto si esauriva nel riconoscimento burocratico del sindacato; nessuna relazione malsana, nessuna subordinazione, nessun coinvolgimento. Solo un timbro, un certificato di nascita e di esistenza in vita.
Buozzi spiegava questa sua insistenza cercando soprattutto di dissipare i dubbi: Alcuni temono che lorganizzazione unitaria della classe
lavoratrice una volta ottenuto il riconoscimento giuridico possa diventare un organo burocratico indifferente ed estraneo alle comuni aspirazioni
dei lavoratori. Dissento in pieno da queste prevenzioni: 1 perch i dirigenti
ripeteranno il mandato non gi dai poteri dello Stato ma dalla volont della
massa... 2 perch linvestitura legale data al sindacato altro non sar che
il riconoscimento e la sanzione di uno stato di fatto... 3 perch tutte le correnti politiche potranno far sentire la loro voce attraverso gli esponenti sindacali affiliati ai rispettivi partiti i quali avranno modo di controllarsi a
vicenda... ed avranno la possibilit di conquistare adeguate rappresentanze
negli organismi dirigenti attraverso regolari elezioni15.
Ma poi cera unaltra questione che esponeva Buozzi alle critiche: le
quote obbligatorie. Anche quelle erano contestate dai comunisti perch ricordavano il passato fascista. Nella sua storia di sindacalista, spesso il segretario della CGdL si era ritrovato a teorizzare la necessit di una forte
autonomia economica del sindacato, il contributo finiva per essere, indirettamente, la conferma di una adesione convinta proprio perch comportava un piccolo sacrificio finanziario. Concludeva Quidam: I contributi
sindacali rappresentano il corrispettivo di determinati servizi che il sindacato presta a favore di tutti indistintamente gli appartenenti alla rispettiva
categoria e quindi anche a favore di coloro che di fatto non partecipano
alla vita dellorganizzazione sindacale. Perci chiaro che il sindacato investito della rappresentanza legale di tutta la categoria ha diritto di imporre
un contributo a tutti indistintamente gli appartenenti alla categoria stessa.
Si tratta di trovare la forma per non urtare la suscettibilit di alcune zone
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pensiero politico e sindacale che si agitavano nel paese finendo per escludere realt nuove e minoritarie. In questa maniera, il Pci riusc a isolare alcuni gruppuscoli alla sua sinistra (come Bandiera Rossa). Ma in questo
processo di emarginazione fin impigliato anche il Partito dAzione. Il sindacato, in sostanza, rinunci al contributo ideale di una sinistra ricca di
voci, alcune in contraddizione tra di loro, ma potatrice di una robusta religione civile.
Il PdA pag anche gli errori compiuti in occasione della nomina dei
commissari, dellaccordo Piccardi - Buozzi. Rifiutandolo fin per isolarsi e
per offrire ai partiti maggiori loccasione per spingerlo sempre pi nellangolo essendo una presenza fastidiosa proprio per il fatto di presentarsi in
maniera molto laica, fuori dai dogmi e dagli schematismi, erede di elaborazioni culturali piuttosto eretiche come quella liberale di Gobetti o quella
socialista di Carlo Rosselli. Quando prov a recuperare il terreno perduto,
Buozzi, cio luomo pi disponibile alla mediazione e che nella sua bozza
di accordo aveva parlato di tutela delle minoranze allinterno dellorganizzazione sindacale, non cera gi pi, i nazisti lo avevano ucciso un paio di
mesi prima. Il PdA, infatti, prov nel congresso che si svolse dal 5 al 7
agosto a Cosenza a darsi una immagine pi operaista (nonostante non
avesse una grande presenza nelle fabbriche ed essendo una forza politica
figlia soprattutto di circoli intellettuali), venendo da un lato meno alle sue
radici culturali (che potevano contenere elementi operaisti ma attraversavano un panorama molto ampio di culture sociali) e finendo per non convincere i colossi che avevano firmato gi il patto e che si preparavano a
definire nei dettagli la struttura organizzativa. Quando Emilio Lussu chiese
un incontro con Togliatti, Di Vittorio, Lizzadri e Grandi , rimedi soltanto
una porta in faccia. E il motivo era semplice: la svolta operaista aveva finito
per accentuare le diffidenze da un lato dei comunisti dallaltro dei democristiani. Perch, se vero e meditato, loperaismo degli azionisti preoccupava Grandi; se tattico e strumentale, stimolava lirritazione di Togliatti e
Di Vittorio.
Sullazione politica (gli azionisti, giocando di sponda con i bordighiani avevano provato a costruirsi uno spazio sindacale al Sud, soprattutto
a Napoli: nel novembre del 1943 era stata ricostruita la Camera del Lavoro
ed era stato eletto un segretario) si innestavano le agitazioni che cominciavano
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Se domani 14 gennaio alle ore 10 non riprenderete il lavoro, i vostri stabilimenti saranno chiusi a tempo indeterminato. Il 14 gennaio lultimatum
venne replicato e poi arrivarono le fucilazioni: sette operai.
Quelle agitazioni avevano spiegato con grande chiarezza a Mussolini (e ai suoi alleati nazisti) che il suo tentativo di recupero fra le masse
popolari del Nord era destinato allinsuccesso. C un elemento di cronaca
che Sergio Turone segnala nella sua storia: alla Innocenti, i fascisti provarono a eleggere le nuove rappresentanze aziendali. Risultato: 297 votanti
su cinquemila operai; 180 schede bianche, 103 con richieste di aumenti salariali o di insulti, in quattordici appena diedero il loro consenso alla commissione repubblichina. Il primo grande sciopero coordinato cominci,
invece, il 1 marzo. E, nonostante la repressione, nelle fabbriche torinesi si
fermarono 70 mila operai, 150 mila in tutto il Piemonte, un milione nellItalia occupata 18. Milano venne bloccata dai tramvieri (i casciavit), un
atto di coraggio pagato con la deportazione di sessanta lavoratori, trentotto
dei quali morirono in Germania nei campi di concentramento. Ma ladesione fu ugualmente massiccia. E la repressione durissima, confermata
dallarresto, il 13 aprile, di Bruno Buozzi e da quello del futuro segretario
della Cisl, Giulio Pastore che fin a Regina Coeli. Proprio per evitare rischi
inutili, l8 marzo il comitato di agitazione invit gli operai delle regioni del
triangolo industriale a tornare nelle fabbriche: I comitati segreti di agitazione che vi hanno chiamato allo sciopero, vi chiamano ora alla preparazione di questa lotta decisiva. Essi vi dicono: Rientrate nelle officine, negli
uffici; riprendete il lavoro, ma rientrate non per capitolare di fronte alla
prepotenza avversaria, ma per prepararci a rispondere alla forza con la
forza19. Una tregua per alzare il livello della lotta, interrotta solo dai braccianti, soprattutto della Bassa bolognese, che a maggio bloccarono le operazioni di trebbiatura al grido: Niente grano per i tedeschi.
Vale la pena, su questa ripresa della combattivit operaia, aprire una
parentesi relativamente al rapporto tra occupazione nazista e lavoro.
daiuto lanalisi di Gian Enrico Rusconi il quale ha parlato di guerra di
sfruttamento umano e socio-economico, sottolineando come dopo l8
settembre i tedeschi si trovano in Italia a dover combattere... la guerra multipla.. Se prioritaria per essi la guerra guerreggiata contro gli alleati
anglo-americani, non meno pressante e impegnativa la lotta per sfruttare
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denominato Confederazione Generale Italiana del Lavoro; duna sola Camera Confederale del Lavoro in ogni provincia, dun solo Sindacato locale
e provinciale per ogni ramo produttivo. I principi su cui si basava lunit
sindacale erano: la pi ampia democrazia interna e di conseguenza tutte
le cariche sociali... in ogni grado dellorganizzazione, debbono essere elette
dal basso; la massima libert di espressione; lindipendenza da tutti i
partiti politici. La struttura di vertice era composta da un Comitato direttivo di 15 membri (cinque per ogni componente, cos come indicato da
Buozzi) e una segreteria generale provvisoria di tre membri, cio i firmatari del Patto, Di Vittorio, Grandi e Canevari. Fin qui le parole e le ambizioni unitarie. Poi, per, cerano le posizioni dei cattolici che rimanevano
lontanissime da quelle dei comunisti e quella dichiarazione acclusa allintesa ufficiale da un lato indeboliva il documento comune, dallaltro apriva
una via di fuga.
I democristiani, ad esempio, parlavano di partecipazione del lavoro agli utili e al controllo delle aziende (qualcosa che rinviava allaccordo concluso da Buozzi dopo loccupazione delle fabbriche). La
diffidenza dei cattolici nei confronti dei comunisti emergeva in questo pas-
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saggio: Noi crediamo che le forze del lavoro debbano darsi subito un libero
inquadramento, il quale assicuri la loro unit al di fuori dei partiti, ma, con
il sistema democratico, garantisca ogni possibilit di lotta e di libera evoluzione; utilizzi per la causa comune dellelevazione sociale le capacit ricostruttive dei tecnici, dia voce e rappresentanza ai ceti impiegatizi e medi
divenuti, nella terribile crisi che attraversiamo, pi proletari degli stessi salariati; leghi alla stessa causa il lavoro intellettuale e la fatica produttiva
del piccolo proprietario contadino e dellartigiano, senza la cui solidariet
nessun profondo e reale svolgimento economico si presenta possibile in Italia. Due cose appaiono evidenti. Il sistema democratico doveva impedire
lo schiacciamento su un partito, il Pci, cio la trasformazione del sindacato
in unarma di lotta politica consegnata nelle mani di Palmiro Togliatti. Questo obiettivo, i cattolici lo perseguivano attraverso un allargamento dellorizzonte dei rappresentati, cercando di coinvolgere nella dinamica sociale
classi allinterno delle quali la presenza comunista era meno forte rispetto
a quella democristiana. Peraltro, abbiamo visto come lo stesso Buozzi non
volesse creare steccati ma prefigurasse un sindacato capace di dialogare
anche con figure professionali e semmai con ceti non totalmente in sintonia
con le dinamiche sindacali.
E poi restavano insoluti i nodi di sempre: personalit giuridica, obbligatoriet delliscrizione e del pagamento delle quote. Scrivevano ancora
i democristiani: Il sindacato promosso liberamente dalla volont ed iniziativa dei lavoratori e, poich deve possedere la capacit giuridica di rappresentare tutta la categoria, chiede allo stato di riconoscerlo come ente di
diritto pubblico. Il riconoscimento non comporta ingerenza dello Stato nella
attivit del sindacato, il quale resta libero entro la sfera di competenza fissata dalla legge sindacale. Lo Stato quindi pu unicamente esercitare, attraverso organi giudiziari competenti, un controllo di legittimit e non di
merito. evidente lassonanza con quello che Buozzi aveva scritto nellarticolo pubblicato sull Avanti! il 16 marzo del 1944: Linvestitura
legale data al sindacato altro non sar che il riconoscimento e la sanzione
di uno stato di fatto. Questo riconoscimento a parere dei democristiani
(ma evidentemente anche di Buozzi) dava al sindacato il diritto di rappresentare la categoria nei rapporti con i datori di lavoro e con gli organi
dello Stato, di stipulare contratti collettivi e sorvegliarne lesecuzione e
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Giuseppe Di Vittorio (Nic): Relazione n. 7 in Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi, commenti, inediti Fondazione Brruno Buozzi 2004, pag.193
2
Walter Tobagi: Il sindacato riformista Sugarco 1979 pagg. 114-115
3
Sergio Turone: Storia del sindacato italiano 1943/1980 Laterza 1981, pag. 83
4
Giuseppe Di Vittorio (Nic): Relazione n. 7, Ibidem pag. 193
5
Giuseppe Di Vittorio (Nic): Relazione n. 7. Ivi
6
Bruno Buozzi: Il fronte unico del lavoro Avanti! clandestino del 26 febbraio 1944, in
Giorgio Benvenuto: Il Patto di Roma Quaderni della Fondazione Bruno Buozzi 2012,
pag. 57
7
Bruno Buozzi: Il fronte unico del lavoro. Ibidem pagg. 57-8
8
Bruno Buozzi: Il fronte unico del lavoro. Ivi
9
Bruno Buozzi: Il fronte unico del lavoro. Ibidem pagg. 58-9
10
Bruno Buozzi: Il fronte unico del lavoro. Ivi
11
Bruno Buozzi: Il fronte unico del lavoro. Ivi.
12
Bruno Buozzi: Precisazioni Avanti! clandestino del 16 marzo 1944 in Giorgio Benvenuto: Il Patto di Roma Quaderni della Fondazione Bruno Buozzi 2012, pag. 60
13
Bruno Buozzi: Precisazioni . Ivi.
14
Bruno Buozzi: Precisazioni . Ivi.
15
Bruno Buozzi: Precisazioni . Ibidem pagg. 60-61
16
Bruno Buozzi: Precisazioni . Ivi
17
Sergio Turone: Storia del sindacato in Italia 1943-1980 Laterza 1981, pag. 63
18
Sergio Turone, Ibidem pag. 52
19
Sergio Turone, Ibidem pag. 67
575
Lultima notte
Nel luogo in cui Bruno Buozzi e altri tredici antifascisti vennero trucidati dalle SS
oggi c una pietra a forma di croce con i nomi dei martiri: la smemoratezza
storica e lincuria umana non rendono lonore dovuto a quei combattenti per la libert
Era buio, quel fienile. Un buio interrotto solo da qualche passeggero bagliore. La luce del sole filtrava appena mentre il silenzio era squarciato dai rumori lontani della strada battuti dalle colonne militari che
risalivano verso il nord, camion pieni di soldati, anime perdute immerse in
un girone infernale prive anche di un Caronte capace di guidarle da qualche
parte, sicuramente in un futuro senza gloria, in un giudizio senza assoluzione, privo di alibi, popolato solo di colpevoli. Dal fienile si levavano i
lamenti. Fantasmi di uomini offesi e umiliati, sommersi e che non sarebbero
stati salvati. Stanchi, feriti, gli abiti ormai diventati cenci luridi e lisi. I volti
sanguinanti per le percosse ricevute quel giorno e nei giorni precedenti.
Nellanima solo lincertezza del dopo, della fine. Di tanto in tanto, un comando urlato in quella lingua che era stata nobile strumento di grandi letterati e che era diventata lignobile lessico della prevaricazione. Duri e allo
stesso tempo inconsapevoli anchessi del loro destino. Ma armati, terribilmente armati, pronti, come le bestie feroci, a usarle in tutte le maniere pur
di salvare la propria pelle, senza alcuna piet, senza nemmeno il pi flebile
soffio di umanit. Accanto a loro, anche voci italiane, complici in quellultimo viaggio verso una libert impossibile e una dannazione sicura. I contadini della Tenuta Grazioli osservavano a distanza, attoniti e impauriti,
incerti su quel che sarebbe accaduto. Sapevano che quelle divise non annunciavano mai nulla di buono, che avevano e avrebbero ucciso, senza motivo, rispondendo solo a un impulso o a un ordine. Sentivano i lamenti e
vivevano la piet del momento.
Sentivano di voler fare qualcosa ma erano paralizzati dal terrore
delle conseguenze. Quegli uomini armati si muovevano con larroganza
degli usurpatori e il nervosismo delle bestie braccate. Agitando le armi sulla
faccia dei contadini, chiesero cibo. Per i prigionieri (gli ostaggi, gli scudi
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L U LT I M A N O T T E
non significava che si pentisse di qualcosa: Il pentimento roba per bambini... Eichmann non recedette mai da questa posizione. Quando si venne a
parlare del baratto proposto da Himmler nel 1944, un milione di ebrei contro
diecimila camion, e della parte che egli aveva avuto in questo piano gli chiesero: Signor testimone, discutendo con i suoi superiori Lei espresse un qualche sentimento di piet per gli ebrei e disse che bisognava cercare di
aiutarli? Ed egli rispose: Io sono sotto giuramento e devo dire la verit.
Non fu per piet che lanciai quella transazione - il che suonava molto bene
ancorch non era stato lui a lanciarla. Ma poi aggiunse e in questo fu del
tutto sincero: Queste ragioni erano le seguenti: Himmler aveva mandato un
uomo di sua fiducia a Budapest perch si occupasse dellemigrazione degli
ebrei... Orbene, la cosa che indignava Eichmann era che della faccenda
dellemigrazione si occupasse un uomo che non apparteneva alle forze di
polizia: Io dovevo collaborare alla deportazione mentre le questioni dellemigrazione, in cui mi consideravo un esperto, erano assegnate a un uomo
che era nuovo nella nostra unit... Ero stufo... Decisi di fare qualcosa per
prendere nelle mie mani i problemi dellemigrazione1.
Si uccideva per noia, per affermare una competenza, per frustrazione professionale, per soddisfare una esigenza immediata. Eccola, la banalit. Era presente in quel fienile, ammorbava laria, molto pi degli umori
cattivi che erano propri di quel luogo di lavoro. Forse nemmeno loro, gli
aguzzini, sapevano cosa li avesse spinti sino l. Sicuramente sapevano cosa
li avrebbe spinti da l.
Restarono ancora per qualche ora, nella tenuta Grazioli, sospesi tra
linutilit e il nulla. Erano arrivati a notte fonda, facendo lo slalom tra le
bombe che gli alleati sganciavano su Roma. Erano stati bloccati prima a
Ponte Milvio e poi sulla Cassia. Il camion sbuffava, arrancava, tossiva come
un uomo con i bronchi appestati dal fumo delle sigarette. La tenuta era
ampia, si stendeva tutta intorno al Castello, il Castello della Spizzichina,
riferimento allo spizzico romano, al pranzo che si trasforma in una somma
di assaggini. Oggi le coppie appena sposate celebrano la loro contingente
felicit. Allora, i tedeschi lavevano trasformata nel quartier generale da
cui guidare le operazioni che avevano ormai un solo scopo: rallentare
lavanzata degli alleati. Il camion, un rudere di fabbricazione italiana, si
ferm poco lontano dal fienile e l i prigionieri vennero ammassati.
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Avvolti in una sola, grande coperta: la paura. Avevano capito, i quattordici disperati, che per loro non ci sarebbe stata unaltra alba o, nel migliore dei casi, non avrebbero visto un altro tramonto perch una cosa era
sicura: solo con le tenebre i tedeschi avrebbero potuto rimettersi in marcia
con la speranza di non diventare, per gli aerei alleati, i bersagli di un tragico
luna park. Dunque, non sarebbero partiti allalba o sotto il sole splendente
ma soltanto il pomeriggio del giorno dopo, 4 giugno, con le prime ombre
della sera. Da lontano arrivava leco di altri mezzi rombanti, quelli degli
americani. Si avvicinavano alla citt, ripulendola in qualche maniera dal
terrore. Ma il terrore era ancora l, in quel fienile, in carne e ossa, sudore e
sangue. Non era finita, ma stava per finire. Il rombo di una moto sempre
pi vicino. Un altro tedesco che frettolosamente comunicava ordini. Forse
la sentenza di morte, senza processo, senza condanna. Un ordine, come
tanti. Da eseguire, come aveva fatto Eichmann in tutta la sua vita, organizzando il trasporto di ebrei, mandandoli nelle camere a gas, distruggendo
un popolo. E come Eichmann anche loro, quelle SS che con le armi in
pugno sorvegliavano i prigionieri avrebbero rispettato gli ordini e non si
sarebbero sentiti colpevoli, non si sarebbero pentiti perch anche loro, come
Eichmann erano uomini, non bambini e solo i bambini si pentono. Loro no,
dovevano portare a termine la loro missione. Quale fosse, poi, nessuno
lo sapeva, nemmeno loro lo sapevano. Un atto di guerra. Atroce. E banale.
Erano da poco passate le 17,30 del 4 giugno 1944. Il motociclista
aveva invertito il senso di marcia ed era volato via, come Mercurio ma senza
i piedi alati. A quel punto la scena cambi. Ordinarono ai prigionieri di rimettersi in piedi. Legarono nuovamente le loro mani dietro la schiena. Ma
non avevano corda sufficiente: il male banale ma spesso disorganizzato. La
cercarono in quel fienile e la trovarono vicino a una trebbiatrice. Potevano
continuare lopera. Potevano affrettare i tempi del compimento dellopera.
Con quellultimo pezzo di corda legarono le mani ancora libere. Poi incolonnarono quei quattordici fantasmi. Urlando ordini in quella loro lingua dura
che sembrava cos poco rispettosa di quella usata da connazionali come Heinrich Heine o Thomas Mann. Tutto si svolgeva sotto gli occhi di testimoni nascosti nelle grotte che circondavano la zona, occultate da cespugli. Uomini,
donne, un ragazzino di sedici anni. Assistevano a quella dolente processione
sapendo che era ormai lultimo atto di un dramma cominciato poco prima
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L U LT I M A N O T T E
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
opera, di aver somministrato sino alla fine quella banale dose di atrocit, pi
o meno come un medico pietoso somministra le giuste dosi di un medicamento. Esattamente come alle Fosse Ardeatine. Lo tenga a mente il lettore.
Poi salirono sul camion. Avevano fretta perch da tre ore gli americani erano a Roma e il generale Mark Clark guardava con occhi ammirati
il colonnato di San Pietro. Quasi nello stesso luogo, a distanza di quattordici
chilometri: larmonia delle forme del Bernini e quellinsopportabile immagine di dolore e morte, quei quattordici corpi quasi riuniti in un ultimo abbraccio a cercare conforto o una salvezza impossibile. Lautista tedesco,
nella fretta, aveva premuto con troppa foga il pedale dellacceleratore per
mettere in moto il camion. E i carburatori, allepoca, si ingolfavano facilmente. I contadini che avevano assistito li aiutarono, con una spinta a rimetterlo in moto: non vedevano lora che quella banda di macellai andasse
via, portandosi dietro quellolezzo di morte che lasciava al passaggio. Quel
vecchio camion non avrebbe percorso troppa strada. I contadini diedero
una sistemata a quei corpi. Erano le 18 e la sera avrebbe cominciato ad avvolgere con il suo lenzuolo nero, nero come il colore del lutto, la fotografia
desolante di quel massacro. Il giorno dopo a La Storta arrivarono gli americani. Troppo tardi. Videro anche loro, quella scena. Li portarono allospedale Santo Spirito per il riconoscimento.
Lumidit della notte, lesposizione alle intemperie, li aveva trasformati. I volti pi gonfi. Bruno Buozzi venne riconosciuto per il suo cappotto
scuro e per un dettaglio: un fagottello di biancheria infilato nella tasca
sinistra del soprabito al momento dellabbandono del carcere di via Tasso
per quel suo ultimo viaggio. In cinquantadue giorni si era consumato il suo
martirio, in quella campagna anonima, dove oggi sorgono villette a schiera.
rimasta una croce di pietra, oscurata dal disinteresse degli uomini,
troppo occupati a inseguire desideri e ambizioni, poco solleciti a preservare
la memoria. Quella frase, demmo la vita per la libert, a tanti deve apparire banale, esattamente come la violenza che tolse la vita a quattordici persone; banale perch quel che ci gira attorno finisce per apparire, nella sua
normalit, qualcosa che ci dato a prescindere dai nostri atti e dai nostri
comportamenti: non dobbiamo conquistarci nulla, non dobbiamo meritarci
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L U LT I M A N O T T E
I corpi delle vittime de La Storta (in primo piano Buozzi) allospedale Santo Spirito
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L U LT I M A N O T T E
Le sue dimensioni possono essere presso a poco di m. 3.30 per 2,30. In permanenza ci illumina una lampadina elettrica la cui luce dopo pochi giorni,
mi d, come del resto anche agli altri, molto disturbo alla vista. A disposizione
si ha una copertina con abbastanza insetti (pidocchi grossi in specie). Ci si
deve sdraiare sul duro pavimento, e quasi spesso a ridosso luno dellaltro.
Alla notte si soffre abbastanza per la poca aerazione della cella, tanto che al
mattino ognuno di noi nota del gonfiore alla gola... Bruno Buozzi Tra i miei
compagni di cella, uno in particolar modo aveva destato in me sin dal primo
giorno una certa attenzione per il suo modo di parlare e il suo atteggiamento
che sembrava nervosissimo ma che, invece, col tempo, notai che si trattava
di carattere abituale. Era questi un esemplare uomo, dallet di circa 62 anni,
alto, dallaspetto vigoroso e dal pensiero profondo in ogni discussione. Un
giorno, ricordo, vengo spinto dalla curiosit di domandargli la sua professione
nella vita civile. A tale domanda ricevo ampia soddisfazione con un riepilogo
della sua vita. Si trattava di un uomo veramente eccezionale, nato da umili
genitori e con un grande ideale per il quale, direi quasi senza che si fosse avveduto, la sua vita venne spezzata dalla rabbia teutonica, alimentata da quella
del nefasto fascismo. Questuomo, chio conoscevo dapprima sotto il nome
di Alberti (era il cognome annotato sui documenti falsi, consegnati anche alle
SS che si erano presentate alla sua porta linfausta mattina del 13 aprile
1944), non era altro che il grande Bruno Buozzi, tre volte deputato nella sua
carriera politica... Era per noi, suoi compagni di cella, come un padre, talch
lo chiamavamo pap. Fu, fino allultimo giorno, a noi di conforto e di incoraggiamento. Sempre allegro, indifferente ai maltrattamenti delle guardie tedesche, il suo pensiero di tanto in tanto alla sua diletta e desolata moglie,
nascosta anche lei sotto falso nome a Roma, quando alle sue due figlie in
Francia, quando a noi, cercando col racconto di interessanti episodi della
sua vita di rompere la monotonia e la tristezza che spesso ci assaliva4.
Via Tasso era un girone infernale, il nefasto regno delloberstumfuehrer, Herbert Kappler, capo della Gestapo e delle SS del Lazio. Un personaggio che nel museo degli orrori della storia europea occupa un posto
privilegiato. Subito dopo il 25 luglio, cattur Galeazzo Ciano, genero di
Mussolini, uno di quelli che vot a favore dellOrdine del Giorno presentato
da Dino Grandi nella seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943 e che
pag questa adesione con la vita (venne condannato a morte e fucilato).
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Quindi, su ordine di Himmler, pianific la liberazione di Mussolini, comunque dopo aver fatto sapere al suo superiore che il fascismo era ormai
un cadavere politico. Ai cadaveri veri, invece, provvide lui, intervallando
a questa attivit di aguzzino, quella da predone. Sped, ad esempio, in Germania tutte le riserve auree italiane, 120 tonnellate. Poi, domenica 26 settembre convoc il rabbino e il presidente delle comunit israelitiche di
Roma (Fo e Almansi) chiedendo la consegna di cinquanta chili doro per
non scatenare una tempesta repressiva sugli ebrei. Ottenne quel che aveva
chiesto ma poi il 16 ottobre ordin il rastrellamento di 1.259 membri della
comunit e 1023 vennero spediti ad Auschwitz. Solo in sedici tornarono
dal campo di sterminio, quindici uomini e una donna.
Quindi, in seguito allattentato di via Rasella, ordin leccidio delle
Fosse Ardeatine (335 morti). Infine, per piegare la resistenza che aveva la
sua roccaforte nelle periferie romane, pianific il rastrellamento del Quadraro: mille uomini furono mandati nei campi di concentramento tedeschi e
polacchi, solo la met di loro fece ritorno nella Capitale. Via Tasso era il suo
Regno del Male. La tortura era la pratica ordinaria per estorcere confessioni
e informazioni. Torture quotidiane e quando il prigioniero non era pi in
grado di sopportarle veniva spedito a Forte Bravetta per ricevere lultima
pallottola (il 3 giugno, come raccontano le cronache, alla vigilia dellarrivo
a Roma degli Alleati, il plotone di esecuzione fece gli straordinari). Quel
fortino nel centro di Roma, vicinissimo a San Giovanni in Laterano dove
Mussolini e il segretario di Stato, Pietro Gasparri, avevano firmato i famosi
Patti che sostituirono la legge delle Guarentigie, ma nemmeno troppo lontano dal Colosseo, doveva essere inviolabile. Soprattutto per chi veniva l
imprigionato. Finestre piccolissime, mura insuperabili. Per i prigionieri, ridotti al minimo tanto laria quanto il rancio (scriveva sempre lignoto calabrese: Ci veniva distribuito ogni 24 ore, verso le 12,30-13 di tutti i giorni,
e consisteva in una minestra, alquanto brodosa, di torsi di verdura con delle
risaglie molto cotte tanto da sembrare della vera colla, talmente era essa appiccicosa al palato. Aveva un odore caratteristico di cloro quella brodaglia.
Anche il pane, due pagnotte militari, quasi sempre raffermo e qualche volta
ammuffito, aveva una puzza di petrolio. Nello spazio di pochi minuti divoravamo come lupi famelici quel poco cibo che ci veniva somministrato... Buozzi,
ben osservando tale nostra insopportabile tortura, si privava della sua ra588
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alla fine, anche liberati (Vassalli ad esempio), dopo la partenza dei nazisti
da via Tasso. Alcuni di quegli uomini sfuggiti al peggio, li incontr Pietro
Nenni che annotava: Sono pallidi, sconvolti, alcuni a brandelli. Ho chiesto
subito di Bruno Buozzi. Un giovane mi assicura che partito ieri, con un
gruppo di settantacinque detenuti, di cui cinquanta avviati in Germania per il
servizio del lavoro e venticinque a Verona a disposizione del tribunale speciale.
Bruno fra questi ultimi. Cos lultima speranza di vederlo libero svanita.
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attorno per cercare dove posarlo; poi lo infil a forza nella tasca sinistra
del soprabito e incroci le braccia a tergo11.
Sar quel fagottello nella tasca sinistra che consentir lidentificazione del suo corpo. Continuava il racconto: Uscirono allaperto nel fondo
della notte. Un camion attendeva: ma uno solo, e troppo piccolo per 37 persone. Come la vita di un uomo a volte legata ad un filo! Il compagno intu
che una parte del gruppo sarebbe rimasta a terra. Un soldato altoatesino
gli conferm che non si avevano sul momento altre macchine. Con gli americani alle porte di Roma, ritardare la partenza poteva significare la salvezza: e si ferm, cominci ad arretrare piano piano, mentre alcuni salivano,
tenendo Buozzi dietro di s. Poi fu spinto avanti, caricato di peso e si accasci subito allangolo sinistro contro lo sportellone. Dopo di lui fu messo
dentro Bruno Buozzi che, invece, avanz nel fondo. Quando il camion fu sovraccarico e non pot trovarvi posto la scorta, sicch due prigionieri dovettero essere rimessi a terra, il compagno (vicino al portellone, n.d.a.) pot
trovare la via di scampo; Buozzi era troppo allinterno e rimase.
Prima di salire sul camion per quellultimo viaggio, alcuni lasciarono dei messaggi sui muri di via Tasso. Ad esempio, Alfio Brandimarte,
ingegnere elettronico, che a via Tasso era finito perch realizzava collegamenti radiotelegrafici per mettere in contatto i combattenti italiani e gli alleati. Scriveva nella cella numero 13: Pregasi avvertire la famiglia
Brandimarte, via Livorno 36, tel. 852214, che Alfio partito per il Nord il
3-VI-44, baci a Bianca, pap e mamma. Al capitano Enrico Sorrentino
erano legati un paio di messaggi sul muro della cella numero 2. Il primo di
denuncia: Mi risulta che alla sede centrale dellO.S.S. c un traditore collegato radio col nemico. E.. Laltro del suo compagno di detenzione, Arrigo Paladini: 3 giugno sera. Enrico partito per il nord salvo, per me vita
o morte. Non fu proprio cos perch la vita di Sorrentino si concluse, tra
cespugli e rovi, a La Storta. Quel camion, uno Spa 38 di fabbricazione italiana, piuttosto male in arnese, part da via Tasso a notte fonda. Risal da
via Labicana, costeggi il Colosseo, tir dritto per i Fori Imperiali (allepoca chiamata via dellImpero), pass per Piazza Venezia e imbocc
Corso Umberto cio via del Corso, attravers piazza del Popolo, piazzale
Flaminio, si avvi verso via Flaminia, tocc ponte Milvio dove si blocc
per i bombardamenti; si rimise in cammino a velocit sempre pi ridotta
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per via del traffico causato dai tedeschi in fuga, imbocc la Cassia verso il
nord e qui venne bloccato di nuovo dalle bombe americane.
La Reuter, nel frattempo, diramava la notizia che Bruno Buozzi era
stato spedito al Nord. Con Buozzi, Brandimarte e Sorrentino cerano anche
il tenente Eugenio Arrighi, lingegnere Frejdrik Borian (i compagni partigiani socialisti lo conoscevano con il nome di battaglia di Raffaele, lo avevano preso dopo lattentato di via Rasella, Giuliano Vassalli lo defin pi
di un fratello), il professore Luigi Castellani, il ragioniere Vincenzo Conversi, il meccanico Libero De Angelis, appena ventiduenne, lingegnere
Edmondo Di Pillo, il generale Piero Dodi, lavvocato Lino Eramo, consulente legale del Messaggero che lo ricord come il nostro amico caro,
il nostro compagno fedele, il nostro collaboratore di tutti i momenti, il tipografo Alberto Pennacchi, linsegnante Saverio Tunetti e l inglese sconosciuto la cui identit stata svelata soltanto sette anni fa. Era lungherese
Gabor Adler, cio il capitano John Armstrong poich prestava servizio nel
Soe, il braccio operativo dei servizi segreti inglesi. Quel camion, arrancando
a passo lentissimo, arriv dalle parti de La Storta quasi allalba del 4 giugno. Abbandon improvvisamente la strada e si inerpic per 7-800 metri
in una stradina di campagna fermandosi davanti al fienile della tenuta Grazioli. Il dramma si sarebbe consumato l, in poco pi di dodici ore. Eppure,
sul caso Bruno Buozzi restano gli interrogativi che riguardano non tanto
quellepilogo, in qualche maniera prevedibile in quel clima da atto finale,
quanto il prima, cio larresto, e il durante, cio la permanenza a via Tasso
e i tentativi falliti per ottenerne la liberazione.
Riguardano anche lidentit di coloro che armarono le mani degli
assassini, ovviamente. Solo un misto di ferocia e casualit? Una precisa
volont? Il riflesso condizionato di chi considerava la morte lunica via di
fuga da lasciare al proprio nemico? Lindifferenza di chi aveva calpestato
in quella guerra spietata tutte le regole di umanit? Un dato storico appare
certo anche perch confermato da Kappler nel processo per leccidio delle
Fosse Ardeatine: Mussolini voleva Buozzi a Sal. Non si trattava di un
gesto di piet o di bont. Solo che ancora una volta voleva provare a coinvolgerlo nei suoi disperati progetti politici. Li aveva illustrati nella Carta
di Verona messa a punto il 14 novembre dellanno prima: In ogni azienda
(industriale, privata, parastatale e statale) le rappresentanze dei tecnici e
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Qualcuno trad?
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QUALCUNO TRAD?
suo cadavere tra quelli di altri compagni che come lui erano stati condotti
da via Tasso verso il Nord dai banditi della croce uncinata. A quindici chilometri da Roma i nostri compagni sono stati fatti scendere dallautocarro
che li trasportava e massacrati con colpi di rivoltella alla nuca. Bruno Buozzi
tra le vittime. Col cuore spezzato diamo questa terribile notizia ai lavoratori
italiani che lo ebbero capo e fratello. per noi questo il prezzo pi terribile
della Liberazione di Roma, Scriviamo con la mente che stenta a connettere
di fronte allatrocit del fatto, allimmensit della perdita2.
Il giornale della Democrazia Cristiana, Per il domani, non si limitava a dare notizia, ma sottolineava anche il fatto che a La Storta la nuova
Confederazione che sarebbe nata con il Patto di Roma aveva perso il suo leader naturale. Scriveva: Credevamo che Buozzi fosse in salvo (sapevamo che
si trovava a Roma) e fosse questione di ore a poter riassumere la direzione
del movimento confederale dei lavoratori dellindustria, quando la notizia
ci colp. Uno strazio: Bruno Buozzi ed altri tredici uomini, furono assassinati
in un boschetto a pochi chilometri da Roma. Un senso di smarrimento, un
abbattimento sconsolato ed inconsolabile; ci parve in quel momento che tutto
congiurasse contro gli Italiani. Man mano che aumentano le rovine, perdiamo i nostri migliori uomini, quelli destinati a ricostruire. Il suo viso,
franco, sorridente, dallocchio brillante, ci apparve contratto e deformato
dalla morte violenta; la sua persona piena di vita e di energia, stroncata inesorabilmente. Che cosa voglia dire per lItalia, questo nostro Paese tanto disgraziato e che tanto amiamo; cosa voglia dire la morte di Bruno Buozzi,
nessuno pu saperlo. Era luomo adatto a ricoprire la carica confederale,
carica che comporta un onere e una responsabilit che supera di gran lunga
ogni Dicastero. E noi avevamo in lui la fiducia che sarebbe stato allaltezza
del compito affidatogli: cio la riforma dellorganismo confederale dei lavoratori e la direzione del movimento operaio italiano nei momenti difficili
e certo dolorosissimi che ci attendono a guerra finita. In Italia, per otto decimi, il movimento operaio determinato dalla situazione dellindustria meccanica e metallurgica. Buozzi era luomo che pi di tutti conosceva, oltre la
tecnica organizzativa, la situazione di questo ambiente. Anche se nei ventanni della sua forzata assenza molte cose erano cambiate e molte andavano
valutate e viste con diversa visuale, la sua intelligenza e il suo buon senso
non avrebbero tardato a fargli prendere il contatto con le cose. Ed era uomo
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QUALCUNO TRAD?
Lizzadri non fu una giornata trionfale e la posizione del Psiup non ebbe
sulluditorio alcuna presa, pertanto la sua difesa si rivel totalmente inutile
perch non cera a quel punto proprio nulla da difendere. possibile, semmai, che la scelta finale sia stata prodotta da due valutazioni: la pericolosit
del viaggio e il fatto che a Roma le trattative per la ricostruzione del sindacato unitario erano entrate decisamente nel vivo. I sospetti sono stati fatti
cadere anche su Nenni. Operazione a dir poco odiosa. Lipotesi che sia stato
il segretario socialista allultimo momento a preferire Lizzadri a Buozzi
che aveva dato il suo assenso al viaggio alla volta di Bari, pi che fondata.
Ma il ripensamento nacque dalla necessit di evitare a un uomo di sessantanni un trasferimento oltre le linee piuttosto complesso e pericoloso. Una
lettura simile la diede, ad esempio, Piero Boni. E non fu un cambio di programma troppo improvviso se vero come vero che luomo incaricato
del trasbordo, lagente dellOffice Strategic Service (il servizio segreto
americano, antesignano della Cia), Mario Zamparo ha confermato che per
quanto lo riguardava non cera stato alcun cambio di programma visto che
a lui sin dallinizio avevano parlato di Lizzadri come luomo da portare
oltre le linee. Il viaggio per Bari era particolarmente tortuoso. Nenni immaginava un trasferimento meno complicato e pi sicuro, passando per
lAquila e la partenza sarebbe dovuta avvenire dopo Pasqua (nel 1944 la
festivit cadde il 9 di aprile; il 13 Buozzi venne arrestato). In questo senso,
anche Giulio Andreotti forn delle conferme. Non solo. Il segretario aveva
trovato un posto a Buozzi in Laterano dove gi si nascondevano Bonomi,
Saragat, Franco Calamandrei e lo stesso Nenni ma il leader sindacale si
sentiva sicuro della casa in cui viveva in quel momento, a via San Valentino,
ai Parioli.
Le risposte agli interrogativi, dunque, vanno cercate non tanto in
ci che venne deciso a proposito delle missioni oltre le linee, in territori
pi tranquilli (una volta raggiunti, per), ma nelle modalit in cui si giunse
allarresto di Buozzi. E su questo terreno i dubbi restano. A cominciare
dalla decisione di abbandonare la casa ai Parioli, in via San Valentino (oggi
via Gramsci) che Buozzi aveva occupato proprio dopo aver abbandonato
quella di De Ritis (in questa abitazione di propriet di Luciano Pertica, fratello della madre di Fiammetta Longo Boni, il leader sindacale era riuscito
persino a rivedere la moglie dopo l8 settembre). Cos come restano i dubbi
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sulla scelta dellabitazione di viale del Re, adesso viale Trastevere, che si
riveler decisamente meno sicura della prima, pi espugnabile da parte
delle polizie naziste e fasciste. E torna inevitabilmente in ballo il ruolo giocato da un personaggio che sempre rimasto sullo sfondo, come unombra:
il ragionier Domenico De Ritis, da Paglietto in provincia di Chieti, alto funzionario della Banca Nazionale del Lavoro e prima di approdare alla Bnl,
al Credito Italiano.
Il suo nome spunt nellelenco degli informatori dellOvra (in codice: Tisde 311), acronimo nella sua essenza mai ben definito perch stato
letto in svariati modi: Organo di Vigilanza dei Reati Antistatali oppure Organizzazione di Vigilanza e Repressione dellantifascismo o ancora Opera
Volontaria per la Repressione dellAntifascismo. La soluzione pi accreditata lultima per via dellaggettivo: volontaria, una attivit, cio basata
sulla delazione. Luomo aveva grande familiarit con gli ambienti socialisti
e una certa facilit di accesso al cuore dei leader. Daltro canto, aveva accreditato limmagine di persona politicamente darea. In un mondo cos
opaco come fu quello dellItalia fascista (non solo dellItalia fascista), in
cui la delazione trovava ufficiale legittimazione in un servizio di polizia
statale (lOvra, appunto) non deve certo stupire il fatto che qualcuno si potesse muovere sfruttando le zone dombra. De Ritis, peraltro, di Buozzi si
era occupato, soprattutto a partire dall8 settembre 1943. Dopo quella data,
infatti, aveva ospitato il leader sindacale per circa quattro mesi in casa sua
(questo emerge da una relazione dell8 marzo del 1945 redatta dal Nucleo
di Polizia Giudiziaria e inviata allAlto Commissario Aggiunto per la punizione dei Delitti del Fascismo: linchiesta era stata avviata sulla base di
una denuncia anonima) in via Principe Amedeo, non molto distante dalla
pensione Oltremare, casa degli orrori della banda Koch; e il 10 aprile,
cio tre giorni prima che i nazisti bussassero alla porta della nuova abitazione in viale del Re, aveva fatto sapere che la casa in cui Buozzi sino a
quel momento aveva abitato in via Pompeo Magno, a Prati, era ormai bruciata (labitazione era di propriet di un partigiano cattolico, Ivo Coccia,
che era stato catturato il 17 marzo). Fu lui a convincere il leader sindacale
che era decisamente meglio cambiare aria.
Erano, daltro canto, giorni particolarissimi e, soprattutto, pericolosissimi. Lattentato di Via Rasella, del 23 marzo 1944 contro il battaglione
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QUALCUNO TRAD?
Bozen, con trentatr morti tra i tedeschi, aveva scatenato la rabbia dei nazisti che si era immediatamente sfogata nella rappresaglia delle Fosse Ardeatine: trecentotrentacinque civili uccisi a sangue freddo (la maggior parte
vennero prelevati a casaccio a Regina Coeli e a via Tasso). Ma il giro di
vite non si era fermato a quellorrenda strage. Nessuna casa era pi sicura
e gli antifascisti erano tutti in pericolo. Bisognava alzare il livello di attenzione e di prudenza. Nel giro di quarantotto ore, De Ritis organizz il trasferimento. Il 12 aprile Buozzi entr nellabitazione di viale del Re.
Lappartamento era di propriet dellavvocato Guido Rossi. Almeno questo
era quello che disse De Ritis ( un mio amico democristiano) a Fiammetta Longo (che poi avrebbe sposato il fratello di Piero Boni, Mario), figlia del colonnello Longo, antifascista, che per un certo periodo di tempo
aveva ospitato il leader sindacale.
Buozzi in quel momento era titolare di una carta didentit rilasciata
dal comune di Benevento che lo qualificava con il nome di Mario Alberti,
ingegnere, sfollato salernitano. Nella nuova abitazione, il sindacalista
dorm soltanto una notte. Alle 7,30 la Gestapo buss alla porta dellappartamento di viale del Re. Si pu dire: a colpo sicuro. Cercavano lavvocato
Rossi (accusato di possedere un apparecchio radio clandestino) che non era
in casa. A quel punto chiesero i documenti alluomo sulla soglia di ingresso.
Buozzi consegn la sua carta di identit ma i poliziotti sapevano benissimo
che a Benevento era stato sottratto un notevole quantitativo di carte di identit e, a quel punto, portarono il sindacalista a via Tasso. Qui sorgono gi i
primi dubbi. Benevento faceva parte dellItalia liberata, come mai gli uomini della Gestapo erano al corrente delle carte di identit rubate in quellufficio comunale? De Ritis non restava con le mani in mano tanto vero
che era lui il primo a venire a conoscenza dellarresto ed era sempre lui che
provvedeva a comunicare la notizia a Fiammetta Longo Boni la quale veniva colta da qualche dubbio. Ha raccontato: Venni avvertita (dellarresto,
n.d.a.) il giorno dopo da De Ritis. Mi sorse subito un dubbio. Come aveva
fatto, questuomo, a sapere cos tempestivamente dellarresto di Buozzi?
E poi mi sono chiesta come mai Bruno, diventato cos prudente in quelle
settimane, fosse andato ad aprire la porta? E ancora come mai il misterioso
avvocato Rossi era sparito allalba, insieme alla donna delle pulizie che
viveva in quella casa? A queste domande nessuno ha potuto dare risposte
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QUALCUNO TRAD?
De Ritis, direttore della Banca Nazionale del Lavoro, era stato iscritto
effettivamente al partito socialista e che era stato uno dei collaboratori di
Giacomo Matteotti, per la precisione, il segretario (un dato da tenere in considerazione e che avr un risvolto non secondario in questa storia). La relazione continuava sostenendo che dopo la morte del parlamentare
socialista, il ragioniere aveva continuato a frequentare la famiglia, diventando il protutore dei figli e amministratore del patrimonio familiare. Scriveva il comandante: Per tali ragioni egli, come del resto la vedova
Matteotti, ha dovuto tenere contatti con il capo della polizia Bocchini il
quale si interessava della famiglia Matteotti cui concesse una sovvenzione
di un milione di lire. La vedova, avendone stretto bisogno, accett tale denaro ma a condizione di restituirlo. A tale uopo la vedova preg il capo della
Polizia di intercedere presso il Credito Italiano perch inviasse in missione
a Parigi il rag. De Ritis allo scopo di prendere contatti con persone di sua
conoscenza, legate da vincoli di amicizia e di fede con il defunto marito,
per tentare di ottenere aiuti finanziari per poter restituire la somma che lei
aveva accettato a titolo di prestito. Difatti la Banca, premurata da Bocchini,
invi a Parigi per ispezioni alle filiali allestero, il rag. De Ritis il quale in
ossequio al volere della vedova Matteotti, chiese aiuti finanziari allon. Modigliani, al Prof. Salvemini e ad altri antifascisti col residenti.
Le cose stavano proprio cos? Quel viaggio era servito solo a sollecitare sostegni per la vedova di Matteotti alla quale il Regime, dopo averle
tolto il marito, cercava comunque di offrire un qualche sostegno anche per
evitare che eventuali difficolt economiche aggiungessero allomicidio del
parlamentare anche il carattere di un martirio familiare, non solo personale?
Due anni dopo, il 19 aprile del 1947, unaltra indagine offriva una versione
dei fatti un po diversa. Erano spuntati gli elenchi dellOvra e il nome di
De Ritis faceva bella mostra di s. La scoperta aveva delle conseguenze e
il ragioniere faceva ricorso per ottenere la restituzione dellonore perduto.
Insomma, non voleva essere considerato un confidente dellorganizzazione:
a quellepoca non faceva certo curriculum. La Commissione per lesame
dei ricorsi dei confidenti dellOvra (presso lufficio sanzioni contro il fascismo insediato alla Presidenza del Consiglio) chiedeva un accertamento
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B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
agli organi inquirenti. Questa volta, per, la risposta era molto pi ampia e
articolata, sette cartelle da cui emergeva che chi aveva indagato non la pensava esattamente come i testimoni presentati da De Ritis a sostegno delle
sue tesi.
Perch il ragioniere si era dato da fare. Si era rivolto a Rina Buozzi
che in data 15 maggio 1945 dichiarava che il Sig. Domenico De Ritis ha
ospitato in casa propria, nellautunno-inverno 1943-1944 (i famosi quattro
mesi circa, n.d.a.), il di lei marito prodigandogli affettuosa e cordiale assistenza... Il De Ritis ha pure raccolto fondi notevoli per tentare di ottenere
la liberazione del defunto Bruno Buozzi. Quindi a Emilio Canevari che in
data 18 settembre 1945 rivelava che durante il periodo clandestino partecipai a due sedute del Comitato Socialista Romano, di cui facevo parte,
in casa De Ritis in via Regina Giovanna di Bulgaria in Roma. Il De Ritis,
per quanto mi risulta, diede per qualche tempo ospitalit anche a Bruno
Buozzi. E ancora a Federico Comandini, uno dei fondatori del Partito
dAzione, che il 17 settembre del 1945 dichiarava: Da molti anni conosco
il dottor Domenico De Ritis, il quale ha sempre professato idee anti-fasciste... Nel 1938, per mandato del tutore, avvocato Casimiro Wronowski, ho
assunto lassistenza legale relativa al patrimonio dei minori figli di Giacomo
Matteotti; ho saputo allora che le mansioni di protutore affidate al De Ritis
erano state attribuite per designazione unanime dei parenti. Infine, testimoniava a favore di De Ritis anche Oreste Lizzadri che il 17 settembre del
1945 sosteneva: Nellottobre del 1943 il sig. Carlo Matteotti (il figlio di
Giacomo, n.d.a.), con il quale ero in relazione per ragione di lavoro di Partito, mi comunic che il sig. De Ritis desiderava vedermi. Ne segu un colloquio nel quale il De Ritis si mise a disposizione del Partito Socialista
perch lo utilizzasse nella lotta che i partiti antifascisti conducevano contro
il regime fascista e i nazisti. Dal periodo dellottobre 1943 al gennaio 1944,
vidi spesso il De Ritis, il quale si occup della vendita dei bollini emessi
dal Partito Socialista, vers delle cifre cospicue per la lotta clandestina e
si occup del giornale Avanti!... Mi risulta, inoltre, che durante la mia
assenza a Roma il De Ritis si procur la somma di L. 300.000 perch fosse
versata per la liberazione di Bruno Buozzi che era in carcere.
Un dossier, insomma, molto corposo che non doveva lasciare adito
a dubbi: De Ritis era un socialista ed era finito negli elenchi dellOvra sol612
QUALCUNO TRAD?
tanto per le funzioni di protutore dei figli di Matteotti. Infatti, in tale veste
doveva per forza di cosa avere rapporti con il capo della polizia. Ma chi
indagava sulla vicenda redigendo la relazione finale in data 19 aprile 1947
(quindi molto dopo le dichiarazioni di Rina Buozzi, Emilio Canevari, Federico Comandini e Oreste Lizzadri) sembrava avere unaltra idea. La premessa era chiarissima: Risulta dagli atti che il ricorrente mantenne rapporti
diretti con la Direzione Generale di Polizia sotto lo pseudonimo di Tisde
dal gennaio 1930 (v.f. del bis) allottobre del 1943 (v.f. 0002 del bis) e che
percep nei primi anni un compenso mensile di L. 1800 e successivamente di
L. 2000 fino al gennaio del 1944 (v.f 0312 del bis e 2 e 14 del ter). La tesi
difensiva del De Ritis era piuttosto semplice. Non contestava il fatto di risultare iscritto negli elenchi dellOvra ma vi era finito semplicemente perch protutore dei figli di Matteotti nei confronti dei quali lorganismo
svolgeva funzioni amministrative e non di polizia politica. Per quanto riguardava i compensi, De Ritis ribadiva le risultanze a livello penale (perch
cera stato anche un giudizio di quel tipo) in base alle quali il magistrato
concluse che le somme corrisposte al De Ritis furono devolute a parziale
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compenso dei danni subiti dalla famiglia Matteotti dopo luccisione del
loro congiunto. Insomma, la qualifica di confidente non centrava nulla
con la presenza del nome del ragioniere negli elenchi dellOvra che era, in
pratica, una conseguenza del suo rapporto con la famiglia Matteotti.
Ma gli accusatori contestavano: Ora facile obiettare che i rapporti
intercorsi tra la Direzione Generale di Polizia e lavvocato Wronowski (il
tutore dei figli di Matteotti) furono puramente di ordine amministrativo, altrimenti nei suoi confronti si sarebbero adottate le stesse cautele di copertura
con ladozione del pseudonimo (come nelloriginale, n.d.a.) e lapertura di
un fascicolo segreto; se invece queste misure di segretezza furono adottate
nei rapporti tra la polizia e il De Ritis perch essi si svolgevano su un piano
diverso e avevano un contenuto confidenziale, della cui vera essenza e finalit
i membri della famiglia Matteotti dovevano rimanere e restarono alloscuro.
Gli accusatori erano convinti che quel rapporto con la famiglia del parlamentare ucciso dai fascisti fosse figlio di un disegno che aveva come obiettivo da un lato quello di tenere sotto controllo i Matteotti (comunque,
sempre pericolosi per il regime, anche con la semplice evocazione del
nome), dallaltro quello di creare relazioni allinterno dellambiente socialista per carpire segreti e informazioni.
Si legge, infatti, nella relazione: La Direzione Generale di Polizia
gi da tempo aveva intrapreso lopera di assistenza alla famiglia del martire per il tramite dellamministratore Trevisan e del tutore, Wronowski, allorquando entra in scena il De Ritis, il quale esordisce con una lettera del
18 febbraio 1930, con la quale d certezza dei risultati della sua prima visita, non sollecitata, e fatta dopo una lunga assenza alla vedova Matteotti,
riferendone il colloquio sui contatti che essa manteneva con Salvemini e
Rosselli a Parigi e sulle difficolt finanziarie della famiglia e conclude con
lavvertenza che non ha ritenuto opportuno insistere in una prima visita
a parlare di cose politiche, delle relazioni che la signora coltiva allestero.
Spiegava ancora lestensore della relazione a proposito dei motivi alla base
di quella generosit del fascismo: Lassistenza prestata dal regime fascista attraverso la polizia alla famiglia non era ispirata a sentimenti di beneficenza o a propositi di riparazione, ma era stata escogitata come
lespediente pi idoneo per attuare il fine politico che il regime si proponeva
di raggiungere nei confronti di detta famiglia senza ricorrere a pressioni o a
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la loro buona fede come emissario della Matteotti e quindi raccogliere tutte
le notizie di evidente importanza politica che potessero interessare la polizia
fascista.
De Ritis, inoltre, si era difeso dicendo che le somme da lui percepite
venivano girate alla famiglia Matteotti. Gli inquirenti obiettavano ancora:
In merito infine alla devoluzione del compenso delle 2.000 lire a favore
della famiglia Matteotti, basta appena rilevare che lassistenza finanziaria
alla famiglia fu compiuta con somme erogate in ben diversa misura e forma
e cess molto tempo prima che avessero termine i rapporti con il De Ritis, il
quale per automatismo burocratico benefici del compenso anche dopo l8
settembre cos come avvenuto anche nei confronti di molti altri informatori
che a quella data cessarono i loro rapporti con la Direzione Generale di P.S.,
il che sta a dimostrare allevidenza che la somma era corrisposta soltanto a
titolo di compenso per le prestazioni di natura fiduciaria rese dal De Ritis.
Chi era, allora, il ragioniere della Banca Nazionale del Lavoro?
Quale ruolo ebbe in questa vicenda? Oltre a quello ufficiale e visibile, ne
4 giugno 1944: Roma libera, un carro armato americano davanti a Castel SantAngelo
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QUALCUNO TRAD?
ebbe uno anche invisibile? Era una sorta di dottor Jekyll e mister Hyde?
Era solo Jekyll o era solo Hyde? La Gazzetta Ufficiale di gennaio 1946
diede notizia del suo ruolo di confidente indicando anche il compenso: 1862
lire non era una paga di poco conto visto che Gilberto Mazzi nel 1939 cantava se potessi avere mille lire al mese (De Ritis, stando alle relazioni
qui illustrate, alla fine della sua esperienza ne guadagnava duemila). Le
ombre che avvolgono la personalit delluomo (che poi alla fine usc indenne, come molti altri) non sono mai state diradate ma certo non sono sufficienti per individuare in lui lanello debole della catena. Il
doppiogiochismo in anni come quelli era possibile e preventivabile. Il
fatto che tanti autorevoli personaggi dellantifascismo si siano mossi in sua
difesa (a cominciare dalla vedova Buozzi) induce a pensare che o ci si trova
davanti al genio della truffa oppure che la sua attivit avesse risvolti ambivalenti ma che, alla resa dei conti, non fu diretta a danneggiare Buozzi
che aveva pure accolto a casa sua.
Lenigma pu essere risolto solo dagli esperti della materia. Ad
esempio lo storico Mauro Canali che nel 2004 realizz un corposo studio
sulla rete di spie che garantivano al regime il controllo del Paese e la repressione delle attivit antifasciste. Lo studioso a De Ritis e ai suoi rapporti
con il mondo socialista e, in particolare, con la famiglia Matteotti dedica
un breve ma significativo passaggio. Per chiarezza lo citiamo per intero:
De Ritis riusc a convincere i magistrati (lo indagarono, come abbiamo gi
visto, perch caduto il fascismo il suo nome era stato ritrovato nellelenco
degli agenti dellOvra, n.d.a.) che, in tutti gli anni che aveva frequentato la
famiglia Matteotti, aveva fatto gli interessi dei figli di Giacomo. Venne sostenuto dagli stessi figli, in particolare da Matteo, che, caduto il fascismo,
ignorando gli inviti alla prudenza di Nenni, si rec pi volte a testimoniare
davanti allAlto commissario (per lepurazione n.d.a.) la buonafede di De
Ritis. In realt il contenuto delle relazioni che Tisde inviava alla Polpol
(la polizia politica n.d.a.), era assai chiaro: egli controllava le eventuali
trame antifasciste che potevano svilupparsi attorno alla vedova e, soprattutto,
vegliava e riferiva su eventuali contatti tra essa e i fuorusciti antifascisti. Sul
ruolo di De Ritis fu assai chiara una dichiarazione di Assirelli, il cassiereeconomo della Polpol, il quale rifer sulla base di testimonianza direttamente
raccolte che il De Ritis non curava gli interessi della famiglia Matteotti; o
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meglio non veniva pagato per tale scopo ma veniva pagato perch intimo
della famiglia Matteotti, informava la Direzione Generale di polizia sulla attivit dei membri di essa e specialmente dei due figli.
La storia ha aspetti decisamente oscuri (considerando i tempi, non
potrebbe essere altrimenti). Con troppi personaggi che si muovevano nellombra. Erich Priebke, ad esempio, nella sua autobiografia ha lasciato intendere che Buozzi sarebbe stato tradito da un uomo a lui vicino, un
sindacalista insospettabile che faceva il doppio-gioco. Poi arrivarono anche
le illazioni americane a intorbidare le acque chiamando in causa i comunisti e lo stesso Di Vittorio (una accusa strumentale e poco credibile anche
perch proveniva da ambienti interessati a gettare discredito su quellarea
politica). Un ruolo poco chiaro gioc anche Ulisse Ducci, antifascista ma
con una certa familiarit con gli ambienti dellOvra tanto da dichiararsi disponibile a consegnare Nenni e Buozzi dietro pagamento di una ricompensa
(che sarebbe stata effettivamente liquidata alla moglie). Infine, c Franz
Muller, staffetta molto attiva a Trastevere che una volta arrestato, redige
la lista dei leader socialisti presenti a Roma.
Fiammetta Longo Boni inform la figlia di Nenni, Giuliana, dellarresto di Buozzi, e tutte e due decisero di non dire nulla alla moglie Rina,
per non allarmarla. Le dicemmo che il marito era partito per il Sud improvvisamente, ha raccontato tempo dopo Fiammetta. Il bluff dur circa
una settimana poi anche Rina scopr. Nenni, invece, venne immediatamente
informato dalla figlia tanto vero che al 15 aprile, nel suo diario annotava:
Uscendo da una lunga riunione con i comunisti e gli azionisti (sulla crisi
di Napoli) ho appreso larresto di Buozzi e di Canini (Giovanni, n.d.a.), il
secondo risale a marted , quello di Buozzi a gioved sera (in realt, era
mattina quando la Gestapo si present a casa dellavvocato Rossi, n.d.a.).
ancora un durissimo colpo per noi, non per il lavoro organizzativo al
quale Bruno partecipava poco per nostra volont, ma perch ci priva di uno
degli uomini pi popolari per funzioni di governo o per la segreteria generale della Confederazione del Lavoro. Stavo proprio organizzando la partenza di Bruno per lAquila da dove avrebbe dovuto raggiungere Bari
attraverso le linee sonnecchianti dellottava armata5.
E strane coincidenze ci furono anche successivamente, durante la
prigionia di Buozzi a via Tasso. Perch i molti tentativi per farlo uscire da
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QUALCUNO TRAD?
quella terribile prigione andarono a vuoto. Uno dei quali, per giunta, in maniera piuttosto paradossale. La strada era quella di una trattativa con tanto
di riscatto. Ma bisognava trovare un canale di collegamento che consentisse
di arrivare al padrone di quella prigione, cio il colonnello Kappler8
(lamante Ursula Burger), diceva sconsolata molto pi tardi Fiammetta che
aveva conosciuto Buozzi meno di sei mesi prima dellarresto. Avrebbe ricordato anni dopo: Verso la fine di novembre 1943 venne a casa nostra
presentato da mio padre un suo vecchio amico, ling. Alberti che per pochi
giorni dopo mi spieg di essere Bruno Buozzi. Dopo poco pi di una settimana, essendo mio padre alla macchia e vivendo nel nostro palazzo una
spia dellOvra (il dottor Rosati, un giornalista del Messaggero) gli fu consigliato di andare via e and ad abitare a Prati, in via Pompeo Magno9
(forse la memoria inganna la testimone perch in quella abitazione il leader
sindacale ci and successivamente n.d.a.). Quel vecchio amico dal carcere di via Tasso sarebbe uscito solo per lultimo viaggio. Ci provarono ancora, ma senza successo. Fu pattuito un nuovo riscatto: duecentomila lire,
ulteriormente aumentato, cinquecentomila lire. La transazione venne
chiusa (i quattrini li procur De Ritis e vennero consegnati alla Burger) ma
dal carcere non usc Buozzi ma il vero Mario Alberti, per giunta da Regina
Coeli e non da via Tasso. Un atroce scherzo del destino o una mefistofelica
intuizione del colonnello Kappler al quale era stato ordinato di portare
Buozzi da Mussolini a Verona? I contatti vennero ripresi ma non portarono
a nulla. Nel frattempo, la famiglia di Buozzi cercava altre strade: una lettera
al Papa, PioXII. Raccontava sempre Fiammetta Longo: Non riuscimmo a
consegnarla personalmente. Avevamo saputo, per, di un frate, Pancrazio
Pfeiffer, che aveva libero accesso a via Tasso: era lo stesso che ogni tanto
ci dava notizie di Bruno. E fu a lui che consegnammo la lettera per Pio XII
ma non ricevemmo mai alcuna risposta.
Il frate era unaltra figura piuttosto ambigua, una sorta di ufficiale
di collegamento tra Kesserling e il Vaticano, uno su cui, insomma, non si
poteva fare grande affidamento. Lultima spiaggia fu lorganizzazione di
un blitz armato. Ecco ancora i ricordi di Fiammetta: I giorni passavano e
vedendo che non si riusciva ad ottenere un ordine di scarcerazione, mio
padre, Peppino Gracceva (che comandava nel Lazio le Brigate Matteotti,
n.d.a.), Carlo Spinelli, Henry Molinari e mi sembra anche Peppino Saragat
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Lui e noi
Nel trentesimo anniversario della sua fondazione, la Uil, nellambito della conferenza
nazionale di organizzazione realizz un convegno per rilanciare la modernit
del messaggio di Buozzi: relatori furono Leo Valiani, Piero Craveri e Sergio Turone
Alla fine di questo lungo racconto, una domanda va inevitabilmente posta: si pu trarre una lezione dalla vita e, soprattutto, dalle opere
di Bruno Buozzi? Si pu trarre un insegnamento che valga per il presente
e che, soprattutto, possa essere utile come strumento per affrontare i dilemmi del futuro? C una modernit nel suo messaggio, nelle sue scelte
che pu essere sfruttata anche oggi, in un mondo che ai pi sembra navigare
senza una bussola ma che, al contrario, segue una rotta molto chiara ma
conosciuta solo a minoranze esigue e privilegiate? Se la storia maestra di
vita, questa vicenda cosa insegna? Gli aspetti umani appaiono abbastanza
chiari. La coerenza un valore, per quanto Buozzi abbia pagato questo valore con un prezzo altissimo, la sua vita. Molti anni fa, nel corso di un convegno, Giuliano Vassalli, luomo che organizz levasione di Sandro Pertini
e Giuseppe Saragat da Regina Coeli durante loccupazione nazista, ha ricordato a proposito delle ultime ore di vita del leader sindacale: C un
dipinto nella Direzione del Partito Socialista che ne rievoca la figura in
mezzo agli sgherri nazisti con il busto eretto, in maniche di camicia, in quella
mattina di giugno: ebbene, per chi lo ha conosciuto, egli era proprio cos,
fiero e dignitoso, tra quegli sgherri nazisti che nulla capivano di ci che spontaneamente o per comando erano indotti a fare, e nulla sapevano di quanto
stavano facendo perdere al movimento socialista in Italia ed a tutti i lavoratori1. Non cedette, Buozzi, davanti ai nazisti come non aveva ceduto nella
sua vita da sindacalista quando lincalzare di idee nuove e rivoluzionarie
quasi lo spingevano ad abiurare la sua linea che era quella riformista, rivalutata nel tempo, rivalutata dalla storia che ha fatto piazza pulita di certe illusioni man mano che la spinta propulsiva della Rivoluzione di Ottobre
veniva meno, cancellando anche quegli anatemi, figli legittimi del dogmatismo, che avevano indotto Lenin e i suoi a chiedere lesclusione dal Partito
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sentiva subalterno rispetto a quella che stava diventando una cultura dominante, non si piegava allidea che ci fosse un modo pi efficace rispetto al
suo di realizzare il socialismo. Non aveva freni dogmatici. Le durezze della
vita che aveva conosciuto da ragazzo, labbandono della scuola con la conseguente ricerca di un mestiere e di un lavoro per contribuire al mantenimento economico suo e della famiglia, lo induceva a coniugare le idee con
il pragmatismo, lobiettivo lontano con le realizzazioni immediate che possono, per, introdurre elementi di equit laddove c straordinaria iniquit.
Non consentiva ad altri di impossessarsi abusivamente del brevetto di
una parola: riformismo. Di Turati diceva: Non era un dottrinario nel senso
rigido della parola: leggete le stesse prime annate di Critica Sociale,
anche quando il pensiero vigorosamente socialista nei suoi scritti si tratta
quasi sempre di problemi concreti e si indica una azione concreta. Ed era
probabilmente questa visione non anti-ideologica ma a-ideologica che lo
induceva a creare ponti non a edificare steccati. La sua visione dellunit
sindacale, il suo tentativo di tenere sempre insieme le diverse anime di una
organizzazione che faceva riferimento a una matrice politica estremamente
litigiosa e votata alla pratica quasi quotidiana dello scissionismo, era il
prodotto di una concretezza che lo portava a vedere i problemi del lavoro
come problemi comuni, che andavano al di l delle questioni ideologiche,
per la discussione delle quali cerano altre sedi.
La fabbrica era il luogo in cui si doveva per forza di cose parlare una
lingua condivisa che era quella del confronto quotidiano con la soluzione
dei problemi. E se Turati, il suo maestro, non era un dottrinario, ancor meno
dottrinario poteva essere lui che sapeva quanto fosse dura la strada verso
laffrancamento dai bisogni, obiettivo che non si poteva proiettare in un orizzonte lontano, ma che bisognava raggiungere ogni giorno, un passo dopo
laltro, con il metodo del gradualismo che fatto di avanzate, consolidamenti, anche arretramenti strategici per riprendere la marcia. Non rifiutava
la lotta di classe ma non accettava, come lui stesso aveva detto, la zuffa di
classe, il ribellismo perenne e proprio perch tale inconcludente, lestetica
del gesto forte, esemplare ma, alla resa dei conti inutile, lantagonismo senza
fine e finalit, elevato a essenza filosofica dellattivit sindacale.
Ha trasmesso al sindacato la coscienza che lorganizzazione non
un orpello inutile, ma un bisogno essenziale, tanto essenziale che precede
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i dialetti finivano per fondersi in un linguaggio comune che aveva una sua
grammatica e una sua sintassi che si modellava sui problemi e sui bisogni
condivisi. Un universo umano ampio, ricco, sicuramente complesso ma che
si poteva organizzare piuttosto agevolmente perch gi riunificato dalle
condizioni materiali del processo produttivo.
Nel nuovo millennio si prodotto un processo inverso: dai grandi
luoghi collettivi si tornati alle individualit. Le grandi fabbriche sono diventate sempre pi piccole e disperse non pi su un territorio che si identificava coi confini nazionali, ma allinterno di un pianeta estremamente
vasto (seppur ormai inadeguato a soddisfare le esigenze dei suoi abitanti
come le statistiche sulla povert confermano quasi quotidianamente), in cui
le regole differiscono da un posto a un altro, i linguaggi hanno alfabeti profondamente diversi e le culture sono figlie di una evoluzione cos variegata
da suscitare paure (agevolmente manovrate da forze politiche che considerano la diversit un rischio e non una ricchezza), il colore della pelle un
segno identitario insormontabile, una sorta di nuovo confine che si aggiunge a quelli geografici del passato che, nel frattempo, si sono allentati
producendo per forza di cose un mondo pi aperto (pi negli affari che nelle
dinamiche sociali). Quella umanit che nel mondo di Buozzi cercava occasioni per diventare collettivit, oggi va alla ricerca di indizi, anche piccoli,
per restringere lorizzonte, esaltandosi nella logica del noi contrapposto
al voi.
Probabilmente conoscere non basta pi perch la conoscenza deve
essere valorizzata attraverso luso di un altro strumento: la comprensione.
Non basta pi sapere di cosa si parla, bisogna anche sapere a chi si parla e
con chi si parla. Oggi Buozzi probabilmente avrebbe molte occasioni per
polemizzare con gli esteti della protesta, con i funamboli dellurlo continuo, con la pochezza di coloro che faticano a pensare con la propria testa
ma, in compenso, si ritengono capaci di pensare con quella di tutti gli altri.
Farebbe fatica a comprendere un Paese, una societ che produce quotidianamente rivendicazioni disperdendole, per, in mille rivoli, cronicamente
impossibilitata a dare alle richieste i caratteri della compiutezza. Eppure,
cos come Buozzi seppe trovare allora le forme nuove per rappresentare
una umanit che veniva aggregata dai nuovi sistemi di produzione, allo
stesso modo la sfida del sindacato oggi consiste proprio nel compiere lope631
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Quanto tutto questo sia complicato lo ha spiegato Guy Standing illustrando lattuale divisione in classi: In linea di massima, tenendo conto
che in alcune parti del mondo permane il sistema di classe tradizionale,
possiamo distinguere sette gruppi. Al vertice vi una lite composta da un
ristretto numero di super-ricchi, di cui possibile leggere i nomi sulle liste
di Forbes, che costituiscono la crme de la crme in grado di influenzare,
grazie ai miliardi che posseggono, le scelte politiche di qualsiasi governo,
per quanto non siano alieni dal fare talvolta gesti munifici e filantropici. Al
secondo posto, abbiamo la classe dei salariati, i detentori cio di lavori stabili a tempo pieno e indeterminato, pochi sperano di ascendere alla superlite, mentre altri, la maggioranza, si accontentano di godere dei vantaggi
della propria condizione, dalla previdenza sociale alle ferie retribuite, ai
benefit aziendali, spesso sovvenzionati dallo Stato. I salariati sono presenti
soprattutto nelle grandi imprese e nella pubblica amministrazione. A loro
vicini, in pi sensi, vi un gruppo minore di proficians o tecnoprofessionisti;
lespressione nasce dallunione dei due termini pi tradizionali, technicians
e professionals, e designa coloro che, dotati di competenze spendibili sul
mercato, ne ricavano, lavorando a termine, alti guadagni in veste di consulenti o lavoratori autonomi. Ricordano un po i cavalieri di ventura del Medioevo: a guidarli sono laspettativa e il desiderio di spostarsi di continuo
senza il minimo interesse per un lavoro a tempo pieno e indeterminato, al
servizio di ununica azienda. Un rapporto di lavoro regolare non fa per
loro. A un livello inferiore di costoro, sul piano del reddito, figura poi un
nocciolo in declino costante di lavoratori manuali, la vecchia guardia della
classe operaia. I sistemi di welfare state erano nati per loro, cos come i
sistemi di regolazione dei rapporti di lavoro. Le masse dei lavoratori dellindustria che formavano i movimenti operai, tuttavia, si sono al giorno
doggi ridotte di molto e hanno perduto il senso di solidariet sociale che
faceva loro da collante. Al di sotto dei quattro gruppi appena menzionati,
abbiamo finalmente il precariato in piena crescita e, al suo fianco, lesercito dei disoccupati, seguiti a distanza da emarginati e disagiati a cui restano gli avanzi4. evidente che alla gran parte di queste classi (ma non
escluso che nel frattempo se ne siano aggiunte altre) il sindacato pu parlare. Ma rispetto allepoca di Buozzi ha due problemi: come raggiungerle
e con quale lingua dialogare. evidente che se il sindacato si accontenta
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passando dalla protesta rivendicativa valida quanto generica ed indiscriminata allazione sindacale concreta e feconda.
In qualche misura la societ italiana si ritrova nella stessa condizione:
la replica continua di una protesta rivendicativa fondata, per le condizioni di
vita reali delle persone, e inconcludente perch incapace di definire un progetto organico di societ nuova, pi libera perch pi equa; una protesta rivendicativa che si sviluppa caoticamente in quel vuoto di rappresentanza
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creato dalla crisi dei corpi intermedi, gli unici che (al di l di certi frettolosi
becchini delle antiche articolazioni democratiche) possono rivestire la nuda
rivendicazione con labito di una visione. Il guaio, semmai, costituito dal
fatto che al crollo delle ideologie non ha fatto seguito il risorgere di idealit
e se ai tempi di Buozzi il marxismo proponeva una speranza, ora nel nulla
galleggiano i sacerdoti del populismo, del nuovo un tanto al chilo, dellindifferenza tra destra e sinistra che in questo paese, vale la pena ricordarlo,
stata predicata in altri tempi producendo risultati infausti. Per un Ventennio.
La modernit di Buozzi consisteva, allora, nella capacit di guardare
con interesse e attenzione ai fenomeni nuovi, anche a quelli che non venivano partoriti nel suo campo politico. Su lOperaio Italiano il 29 luglio
del 1933 pubblicava un commento sulle scelte del New Deal che sono la
conferma di questa sua elasticit di analisi. Scriveva: La repubblica del
dollaro sta tentando un esperimento di ricostruzione economica che i lavoratori hanno il dovere di seguire colla massima attenzione... I due rami del
Parlamento hanno votato una Legge per la ricostruzione nazionale (National Industrial Recovery Act - per abbreviazione Nira) e poi concesso
a Roosevelt i pieni poteri sia per lapplicazione di questa Legge, sia per la
applicazione della Farm Act, vecchia legge per la organizzazione della
produzione agricola... Le aziende di ogni industria sono invitate a stabilire
un codice di concorrenza leale. Questo codice, una volta approvato dallautorit federale cio da Roosevelt e dai suoi dodici consiglieri diventer Legge per tutte le aziende. Qualora le aziende non riescano a mettersi
daccordo, il codice potr essere imposto dallautorit federale. I trasgressori del codice potranno essere puniti con forti ammende e persino col carcere... Il codice non deve soltanto fissare le condizioni della concorrenza
fra le aziende di ogni industria. I contingentamenti della produzione e la
fissazione dei prezzi normali. Esso deve obbligatoriamente determinare i
salari minimi e il massimo delle ore di lavoro. La Nira prevede inoltre
delle larghe garanzie per gli operai. Riconosce la libert di organizzazione
e garantisce alle unioni sindacali il diritto di negoziare collettivamente le
condizioni di lavoro... La sera del 21 luglio, servendosi della radio, ha rivolto (Roosevelt, n.d.a.) un discorso al popolo americano nel quale ha affermato che il patto da lui proposto agli imprenditori, per ridurre le ore di
lavoro ed aumentare i salari, una necessit nazionale e un dovere patriot636
LUI E NOI
tico... Una cosa per il momento certa: che il principio della propriet privata, inteso nel senso classico, sottoposto a un attacco che per limportanza del paese in cui si verifica, e per lampiezza e la vigoria con cui si
svolge, non ha precedenti, anche se determinato da fini di conservazione.
Lesperimento di Roosevelt quindi straordinariamente interessante e merita di essere seguito dai lavoratori colla massima attenzione5. Mentre
Roosevelt cercava di redistribuire la ricchezza per rilanciare la domanda
interna, in quegli stessi anni in Italia accadeva lesatto contrario. Qualche
giorno dopo larticolo di Buozzi, esattamente l8 agosto del 1933, sui Quaderni di Giustizia e Libert, veniva pubblicata una analisi di Vittorio Foa
sulla politica economica del regime (lo scritto stato riproposto dalla Fondazione Giacomo Brodolini in un quaderno di Economia e Lavoro nel
2011). Foa sottolineava come il fascismo avesse spostato il peso dellimposizione da quella diretta a quella indiretta che finisce normalmente per
gravare sui redditi pi bassi: Nel bilancio preventivo 1932/33 il gettito delle
imposte indirette supera il 54% della entrata complessiva, percentuale veramente spaventosa che si avvicina a quella di certi ordinamenti tributari della
met del secolo scorso, che riempivano di orrore e di sdegno tutti gli economisti
e gli uomini politici del mondo civile. Rispetto al 1913 le imposte indirette sono
decuplicate mentre quelle dirette sono solo sestuplicate. Il suo lascito proprio questa disponibilit non semplicemente a guardare avanti, ma anche a
guardarsi attorno, a non farsi condizionare dai paraocchi del dogmatismo,
cercando di capire quel che di nuovo e di buono si agita in altri contesti.
Forse in questo lo aiutava quellanima riformista (un riformista
nellanimo, aveva scritto Di Vittorio, nel contesto di un discorso che, per,
non era elogiativo) molto particolare che lo portava ad avere un dialogo
con tutti, senza rinunciare alle sue posizioni di principio (da questo punto
di vista, la lettera a Villani contenente il no a Mussolini che lo voleva in
qualche maniera cooptare, anzi circuire nella nuova forma sindacale corporativa rappresenta uno straordinario esempio di coerenza), ma anche
senza precludersi la possibilit di arricchire e aggiornate la sua strumentazione di dirigente politico. Aveva il coraggio dei pionieri, non lincoscienza
degli idioti, quel coraggio che induceva proprio Roosevelt in quegli anni
ad affermare, davanti al deserto economico prodotto dalla crisi del 1929,
dal crollo di Wall Street: Non c nulla di cui aver paura se non della paura
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un efficiente collaboratore e che egli possa utilizzare tale capacit. Gli operai
e gli impiegati, che apportano un contributo decisivo alleconomia, sono stati
finora esclusi da una efficace cogestione. La democrazia postula per tale
partecipazione nelle imprese e nelleconomia in generale. La cogestione
dellindustria siderurgica e carboniera linizio di un rinnovamento dellordinamento economico e dovr svilupparsi ulteriormente per sfociare in
unorganizzazione democratica della grande industria. Si dovr garantire la
cogestione dei lavoratori, su un piano di eguaglianza, negli organi di amministrazione autonoma delleconomia. La politica sociale deve stabilire le premesse essenziali perch il singolo possa affermarsi liberamente nella societ
e impostare in autonoma responsabilit la propria vita. Situazioni sociali che
conducono a difficolt individuali e collettive non devono essere considerate
inevitabili e immutabili. Il sistema di sicurezza sociale deve essere commisurato alla dignit delluomo consapevole delle proprie responsabilit7.
Giovanni Spadolini dopo aver definito Buozzi appassionato e coerente
apostolo per la nascita di un movimento sindacale volto alla difesa ed allampliamento della democrazia, sottolineava: Prampoliniano nel cuore,
egli fu turatiano nel progetto politico... convinto che solo attraverso la via
delle riforme la sinistra politica e la sinistra sindacale potessero trasformare
profondamente lo stato liberale, al di fuori di ogni massimalismo, senza
quella fuga nellutopia che egli durante lesperienza delloccupazione delle
fabbriche intravide nel mito dei Consigli di Fabbrica, come organi di completo autogoverno degli operai, anche se non manc di porsi in una via di
equidistanza tra DAragona e Gramsci8. Probabilmente la lettura di un
personaggio solo apparentemente semplice, non si pu esaurire nel suo riformismo che, comunque, fu anche caratterizzato da elementi di atipicit.
Alla lettura bisogna aggiungere quello che sottoline sempre nello
stesso convegno a cui intervennero Spadolini e Vassalli, Luciano Lama:
Io credo che Bruno Buozzi sia stato un sindacalista che aveva lambizione
di fare politica restando sindacalista. Questa una delle caratteristiche
peculiari del movimento sindacale italiano che Buozzi ha contribuito a valorizzare. Un sindacato, cio, che non si appaga di fare contratti, di trattare
dei salari, che cerca di esprimere le esigenze di quella parte fondamentale
della societ civile, che lui stesso chiamava proletariato, e che tuttavia non
si limita ad esprimere singolarmente, specificamente queste rivendicazioni,
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dustriale in un paese in cui il sindacato per anni era stato artigiano o soprattutto agricolo, luomo che conciliava la forte organizzazione... con la
consultazione della base, con la democrazia sindacale. E luomo dellunit,
ma non dellunit indistinta, ma lunit con degli ideali di democrazia e di
progresso sociale, ideali che se fossero infranti lunit stessa non avrebbe
ragion dessere. E Turone, a sua volta, nel sottolineare latipicit di Buozzi
come leader riformista, capace, pur non avendo mai avuto cedimenti nei
confronti dei comunisti, di contrapporsi a Modigliani che chiedeva lespulsione di Nenni dopo il Patto Molotov-Ribbentrop per la sua eccessiva accondiscendenza nei confronti del PCdI, indicava nellanelito unitario il
lascito ereditario del leader: Unit nelle differenze, unit magari nel dissenso, ma unit il pi possibile.
Infine, come direbbero gli inglesi, last but not least, ultimo ma non
per questo meno importante: oggi un uomo schiettamente di sinistra come
Buozzi si dichiarerebbe ancora riformista e marxista allo stesso tempo? E
quali connotati avrebbe il suo marxismo o, di converso, il suo riformismo
in una societ che ha visto i gulag, lImpero Sovietico, Budapest, Praga,
Nagy, Dubceck, il tradimento delle speranze prodotte dalla Rivoluzione di
Ottobre? Forse la risposta in alcuni scritti di Norberto Bobbio. Si chiedeva
il filosofo: Marx morto? Rispondeva: Vivo, certo, per il fatto che nessuno oggi pu prescindere da Marx. Ma, aggiungeva, vivo non pu dire
valido(14). Anni prima, parlando di Carlo Rosselli, Bobbio aveva spiegato
la differenza tra la sinistra non marxista e quella marxista: Luna e laltra,
sia quella democratica, sia quella totalitaria, derivano sostanzialmente da
Marx... Dal punto di vista ideologico... entrambe le correnti... pongono
come fine dellazione politica, sia democratica sia totalitaria, lattuazione
di una societ socialista... la meta finale di una societ senza classi... e siccome non ci saranno pi classi non ci sar neppure pi bisogno di quello
strumento fondamentale di un dominio di una classe sullaltra, che lo
Stato. Ma, continuava Bobbio, le classi non potranno mai essere abolite
e quindi non potr essere abolito neppure lo Stato. Conclusione: Noi
dunque diciamo socialismo, ma il socialismo in funzione di una maggiore
libert. Dunque, socialismo non come meta finale, ma socialismo come
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LUI E NOI
strumento, come un possibile strumento di maggiore libert umana... Questo il nostro socialismo: il socialismo dei lavoratori che lottano per la libert... Il nostro socialismo un socialismo che va al di l del socialismo
marxista: comprende i presupposti del socialismo marxista, ma li integra
con quella esigenza fondamentale di cui luomo non pu non tener conto
ed lesigenza della libert(15). Questa elaborazione teorica avrebbe potuto
combinarsi perfettamente con lidea di trasformazione sociale che coltivava
il leader della CGdL.
E di tutto ci, la conferma, per vie traverse, arriva dallautorevole
voce di un contemporaneo di Buozzi, Carlo Rosselli (a cui si ispirava Bobbio), il quale parlando delle varie fasi del marxismo e delle timidezze del
riformismo, sottolineava: Nel sistema marxista la sfera di azione utile assegnata al sindacato ristrettissima. In tutta Europa, esclusa lInghilterra
dove il partito sorse come espressione politica delle Trade-Unions, si verific sin dagli inizi un contrasto tra i partiti e i sindacati, a spese apparentemente del moto sindacale che si volle subordinare al partito, ma in realt
a tutto danno dei partiti che si videro costretti a conciliare linconciliabile:
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644
LUI E NOI
1
Guy Standing: Precari. La nuova classe esplosiva Il Mulino 2012, pag. 22-3
Bruno Buozzi: Audace tentativo di ricostruzione economica negli Stati Uniti dAmerica
lOperaio Italiano, 29 luglio 1933 in Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi, commenti, inediti a cura di Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pagg.
105-6-7-8
6
Franklin Delano Roosevelt, discorso di insediamento del 4 marzo 1933 in Giorgio Benvenuto e Antonio Maglie: Il lavoratore ritrovato. La Crisi, il Sindacato, la Classe in cerca
di identit Fondazione Bruno Buozzi terza edizione 2013, pagg. 329-333
7
Programma di Bad Godesberg del 1959 in Giorgio Benvenuto e Antonio Maglie: Il lavoratore ritrovato. La Crisi, il Sindacato, la Classe in cerca di identit Fondazione Bruno
Buozzi, Prima edizione 2013 pagg. 244-5-254
8
Giovanni Spadolini: Bruno Buozzi, indimenticabile leader del sindacalismo riformista
in Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista, Ibidem pag. 203
9
Luciano Lama: Bruno Buozzi, il sindacalista che aveva lambizione di fare politica restando sindacalista in Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista, Ibidem pag. 207
10
Luciano Lama, Ibidem pag. 207-8
11
Luciano Lama, Ibidem pag. 209
12
Luciano Lama, Ivi
13
Vittorio Foa: Questo Novecento Einaudi 1996, pag. 164
14
Norberto Bobbio: Marx vivo in Scritti su Marx Donzelli 2014, pag. 119
15
Norberto Bobbio: Marxismo e liberalsocialismo. Ibidem pagg. 11-2-3
16
Carlo Rosselli: Socialismo liberale Einaudi 1979
5
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Immagini di un leader
uesto libro stato costruito con parole e immagini che, alla fine,
rappresentano la testimonianza pi diretta e credibile di chi non c pi,
perch, poi, i giudizi se sono dei contemporanei finiscono per essere condizionati dalla qualit dei rapporti di familiarit, di amicizia o anche di inimicizia; le analisi storiche, per quanto scientifiche, risentono sempre delle
passioni personali di chi le sviluppa, dei punti di vista anche politici che finiscono inevitabilmente per condizionare lobiettivit, senza con questo
mettere in dubbio la buona fede. Il fatto che solo i bambini sono delle lavagne vuote sui cui lesperienza, la vita, scriver nel tempo delle frasi, dei
concetti; chi ha vissuto, al contrario, titolare di una lavagna gi piuttosto
affollata di pensieri e parole (per usare il titolo di una canzone di Lucio
Battisti), non asettico ed anche giusto che tale sia. Lobiettivo era quello
di costruire una storia che riuscisse a lasciare immediatamente delle tracce
in chi sfoglia questo libro e le tracce sono i concetti che ognuno di noi produce nel corso del tempo: nella maggior parte dei casi (quando si anonimi)
restano allinterno della cerchia familiare, alimentando, semmai allinterno
di quella cerchia antichi e mai superati risentimenti personali; in altri casi,
quando si diventa non semplicemente personaggi pubblici, ma protagonisti
della storia collettiva, si trasformano in messaggi che vengono consegnati
ai posteri che mazonianamente saranno chiamati a esprimere lardua sentenza, lasciando a tutti gli altri il pi semplice compito di chinar la fronte
al Massimo Fattor che volle in lui del creator suo spirito pi vasta orma
stampar. Valeva per Napoleone Bonaparte, ma pu valere anche per Bruno
Buozzi.
Ecco perch insieme a Marco Zeppieri abbiamo voluto realizzare
questo libro in una maniera un po diversa rispetto alle altre opere pubblicate dalla Fondazione Bruno Buozzi. Volevamo provare a consegnare im649
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IMMAGINI DI UN LEADER
zarono quattordici antifascisti a La Storta), ma di piccole frasi del protagonista (solo in questo ultimo capitolo abbiamo preferito un testo scritto da
altri su di lui, una targa alla sua memoria), che unite al titolo, potessero
dare il senso immediato di quel che avremmo provato a raccontare: abbiamo utilizzato, insomma, le parole di Buozzi per sintetizzare quello che
poi abbiamo sviluppato pi ampiamente. Ma abbiamo voluto aggiungere
anche le immagini confidando nella pazienza di Mariangela Panno, vera
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sacerdotessa dellarchivio della Fondazione che ci ha aiutato nella raccolta e nella selezione. E dopo esserci lasciati alle spalle tante molliche di
pane sotto forma di pagine, ora siamo arrivati al traguardo finale.
Lantifascismo e la Resistenza sono state fasi storiche che hanno restituito lonore a un Paese che non sempre si comportato onorevolmente:
siamo figli di troppe storie ma non di una narrazione collettiva; abbiamo
avuto prima di molti altri una lingua e una cultura condivisa e dopo tanti
altri uno stato unitario. Lantifascismo e la Resistenza restano (con il Risorgimento) il momento pi alto di una pratica civile (figlia di una religione civile) che ci regala ancora oggi lorgoglio di essere italiani (insieme
a Dante, Petrarca, Michelangelo, Manzoni, Pasolini, Claudio Abbado e chi
pi ne ha pi ne metta). Bruno Buozzi stato, allo stesso tempo, Padre della
Patria e Padre del Sindacato, ha incarnato, con il sacrificio due ruoli decisamente scomodi, faticosi e anche pericolosi. Pagando con la vita. Lo ha
fatto nella piena consapevolezza delle sue scelte e dei rischi che ne conseguivano, lo ha fatto semplicemente perch ritenne opportuno farlo. Avrebbe
potuto piegarsi come altri (tanti altri in quellItalia in gran parte fascista,
riscopertasi improvvisamente, alla fine, in massima parte antifascista),
avrebbe potuto ispirarsi allitalianit di certi personaggi furbi e cialtroni di
Alberto Sordi (in realt allepoca Albertone era molto giovane, non era un
divo e sbarcava il lunario facendo la comparsa in film storici come Scipione lAfricano e dando la voce a Oliver Hardy), ma rifiut le proposte
di Mussolini, rimase in esilio, and al confino, si dette alla clandestinit
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IMMAGINI DI UN LEADER
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IMMAGINI DI UN LEADER
quel periodo Iole viveva in Italia: suo marito, Gilles Martinet, era lambasciatore francese a Roma. Si era ritrovata tra le mani quella tessera con la
foto del padre e cos ringraziava Giorgio Benvenuto: Gentile Segretario
Generale sono stata veramente commossa nellapprendere liniziativa della
Uil di aver riportato limmagine di mio padre sulla tessera del 1984, il quarantesimo anniversario del suo assassinio. La prego di trasmettere a tutti i
compagni di questa organizzazione la mia pi sincera gratitudine. Seguiva
la firma: Iole Buozzi Martinet. Il tutto su carta intestata del palazzo di
Piazza Farnese, quello che ospita lambasciata francese.
Agli inizi degli anni Cinquanta, il ricordo di Buozzi venne coltivato
soprattutto nella Cisl, forse, come dice Emilio Gabaglio, con finalit polemiche nel momento in cui il panorama sindacale italiano tornava a essere
occupato da una pluralit di sigle e quella cattolica puntava a sottolineare
la sua diversit rispetto a quella socialcomunista (o, considerata lepoca,
Frontista). Una cosa, in ogni caso certa: nel 1950 in occasione della nascita della Confederazione al cinema Adriano di Roma (lo stesso in cui
Nenni sei anni prima aveva ricordato il leader sindacale ucciso a La Storta),
dietro il tavolo della presidenza campeggiavano due immagini: quella di
Bruno Buozzi e quella di Achille Grandi. Va anche detto che in quel momento, allinterno della Cisl aveva trovato sistemazione anche unarea socialdemocratica (tre anni prima cera stata la scissione di Palazzo Barberini
guidata da Giuseppe Saragat, allievo e amico del segretario della CGdL)
La busta del 1 maggio col francobollo e lannullo dedicati a Buozzi, Grandi e Di Vittorio
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IMMAGINI DI UN LEADER
Riunione alla Uilm di Taranto nel 1966: la foto di Buozzi alla spalle di Sergio Cesare,
Ruggero Ravenna, Italo Viglianesi, Giorgio Benvenuto e Pasquale Paddeu
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un primo momento, lassessore ai servizi funerari, Borromeo, replic negativamente alla richiesta (Non pu essere suscettibile di accoglimento in
quanto, come risulta dallunita copia di deliberazione, larea di mq. 2,50...
fu concessa esclusivamente per la tumulazione della salma di Bruno
Buozzi). Ma poi il sindaco cap che la questione non si poteva risolvere
con le carte da bollo e fece sapere, il 12 novembre del 1959, che sarebbe
stata estesa la concessione per la sepoltura della salma di Bruno Buozzi
nel senso che sia consentita sin dora la tumulazione nella stessa tomba
della consorte dello scomparso. Un impegno che lamministrazione comunale di Roma mantenne quando il 21 ottobre del 1969 Rina Gaggianesi
mor. Anche se ci vollero due deliberazioni, una della giunta e una del consiglio comunale. Per diverso tempo, la signora rimasta l anonima, accanto
a suo marito. Poi qualche anno fa la Fondazione Bruno Buozzi e la Uil Fpl
del Lazio ottennero dal sindaco Alemanno che quella donna, coraggiosa e
sfortunata, venisse onorata con la segnalazione del nome, con una lapide.
Davanti a quel palazzo di via Lucullo che ebbe una parte rilevante
nella storia delloccupazione tedesca, nei giorni convulsi del Patto di Roma,
della rinascita del Partito Socialista e della prigionia di Bruno Buozzi, la
Uil il 5 marzo del 1987 realizz una sorta di oasi della memoria: un mo-
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IMMAGINI DI UN LEADER
numento di Ugo Attardi per ricordare le vittime del fascismo e del nazismo
che in quello stabile aveva sistemato il tribunale militare che con le sue feroci condanne avrebbe voluto piegare la resistenza romana. Cinquanta
giorni dopo linaugurazione, significativamente il 25 aprile, il pi amato
Presidente della Repubblica, Sandro Pertini (luomo che aveva fatto fuggire
Filippo Turati), inviava al segretario della Uil, Giorgio Benvenuto, un messaggio che aveva il sapore di una dedica: Quando la libert perduta,
tutto perduto, perch essa un bene essenziale come laria.
Il pubblico si incrocia con il privato, come inevitabile quando si
parla di persone che hanno partecipato alla costruzione del nostro collettivo
passato. Dal punto di vista del ricordo, della memoria significativa una lettera di Giuseppe Saragat allallora segretario della Uil, Giorgio Benvenuto.
La Confederazione aveva deciso di celebrare il trentesimo anniversario della
fondazione con un convegno su Bruno Buozzi. Un appuntamento che il vecchio amico degli anni torinesi e dellesilio fu costretto a saltare perch ammalato. Scriveva, scusandosi per la forzata assenza, in quellappunto datato
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19 febbraio 1980: Bruno fin dal 1924 stato per me come un fratello e la
sua morte alla Storta fucilato dalle SS ha amareggiato la liberazione di
Roma, almeno per me. Alla fine di questa storia, limmagine che resta impressa quella drammatica scattata nellospedale Santo Spirito a Roma. I
corpi dei quattordici trucidati a La Storta ammassati in uno stanzone disordinatamente, in attesa del riconoscimento ufficiale. In primo piano, su una
brandina, Bruno Buozzi. lultimo atto, quello che canceller le immagini
di vita familiare, con la moglie Rina e i compagni dellesilio come Filippo
Turati, nella casa parigina di Boulevard Ornano, o in quella del confino di
Montefalco. Su quello sguardo franco le intemperie avevano completato
lopera feroce dei nazisti, sfigurandolo. Ma anche consegnandolo alla storia
dei Grandi Italiani.
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Personaggi e interpreti
Buozzi ha attraversato gli anni pi caldi della nostra storia, ha visto tramontare
un secolo e sorgerne un altro: al titolo si accompagnano un disegno a lui dedicato
e la foto di alcuni protagonisti (Parri, Nenni, Saragat, Malagodi e La Malfa)
I SINDACALISTI
Argentina Altobelli
Nata a Imola il 2 luglio 1866, una delle figure storiche del sindacalismo italiano
e del riformismo socialista. Partecip alla Fondazione della Federazione nazionale dei lavoratori della terra nel 1901 conquistandone la leadership nel 1906.
Abbandon la segreteria quando Mussolini decret lo scioglimento delle organizzazioni sindacali. Mor a Roma il 26 settembre del 1942.
Nullo Baldini
Ebbe un ruolo decisivo nel finanziamento delle attivit dei fuorusciti, comprese
quelle organizzate, a livello sindacale, da Bruno Buozzi. Grande organizzatore
(aveva creato lassociazione dei braccianti agricoli di Ravenna, la citt in cui era
nato nel 1862), era diventato poi una delle anime del movimento delle cooperative. Politicamente riformista, aveva seguito Turati al momento della formazione
del Psu. Mor a Ravenna il 6 marzo del 1945.
Giovanni Bensi
Estremamente legato a Bruno Buozzi, partecip alla rinascita della CGdL allestero. Nato a Milano il 26 maggio del 1892, guid la Camera del Lavoro del
capoluogo lombardo in anni turbolenti e quando nel 1925 i fascisti lanciarono
lultimo decisivo attacco alla sede sindacale, lui si rifiut di consegnare lelenco
degli iscritti e fu picchiato selvaggiamente. Fu costretto a riparare a Parigi con
la moglie e il figlio di tre anni e per mantenere la famiglia si dedic allattivit di
cappellaio. La selvaggia aggressione fascista lo aveva minato nel fisico e il 26
aprile del 1928 mor a Parigi. Venne sepolto nel cimitero Pre Lachaise. Nel novembre 1949 la sua salma stata portata a Milano e tumulata al Cimitero Monumentale.
Giorgio Benvenuto
Ha scritto Walter Tobagi, poco prima di essere ucciso dai terroristi: Fu il castello di una nuova ideologia che indusse Benvenuto a riscoprire vecchi padri
putativi come Bruno Buozzi. Prima segretario dei metalmeccanici (dal 1969 al
1976), poi leader della Uil (dal 1976 al 1992): Benvenuto ha rianimato il mito di
Buozzi sia dal punto di vista del recupero di alcuni concetti sindacali (la compartecipazione alla tedesca interpretata come levoluzione di quellaccordo sul
controllo della produzione che concluse il Biennio Rosso ma che non ebbe realizzazioni pratiche), sia da quello delle immagini (molte tessere dellorganizzazione
riproponevano il volto del vecchio leader come una forma di memento culturale). Il tutto in una logica di continuit politica: dal riformismo turatiano a
quello riscoperto a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta quando il Psi prov a
rinnovare il suo armamentario ideologico riscoprendo non solo Proudhon ma
anche Carlo Rosselli e il suo socialismo liberale, Gaetano Salvemini e la sua pre-
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dicazione meridionalista non piagnona e, ovviamente, il Padre Milanese finito nel dimenticatoio a causa di improbabili furori rivoluzionari.
Piero Boni
Socialista, stato uno dei pi appassionati studiosi di Bruno Buozzi (il fratello,
tra laltro, spos Fiammetta, partigiana, figlia del colonnello Longo nella cui
casa lallora segretario della CGdL, si nascose per qualche tempo dopo l8 settembre). Lunga carriera sindacale alle spalle, prima segretario generale aggiunto dei chimici della Cgil nel 1952, poi nella Fiom accanto a Lama e, poi, a
Bruno Trentin, dal 60 al 69 quando venne eletto segretario generale aggiunto
della Confederazione. Poi, dal 1977, presidente della Fondazione Brodolini.
nato a Reggio Emilia il 19 ottobre 1920 ed morto a Roma il 28 giugno del 2009.
Emilio Canevari
La morte di Bruno Buozzi e la missione al Sud di Oreste Lizzadri, gli diedero lopportunit di concludere le trattative per il Patto di Roma che firm insieme a Di
Vittorio e Grandi. Dopo la guerra ader al Psli (Partito socialista dei lavoratori
italiani) e fu tre volte sottosegretario. Era nato a Pieve di Porto Marone il 21
gennaio del 1880, mor al Roma il 20 aprile del 1964.
Gino Castagno
Politico e sindacalista, legatissimo a Bruno Buozzi con il quale condivise il processo di rinnovamento della Fiom. Nato a Torino l11 luglio del 1893, ha scritto
la prima biografia sul leader sindacale attingendo a ricordi ed esperienze personali. Nel 1912, infatti, Castagno era nel Comitato Centrale della Fiom. Giovane
operaio anche lui (a tredici anni apprendista meccanico), pur lavorando aveva
proseguito gli studi in disegno tecnico cosa che gli consent di trovare impiego
come quadro dopo un incidente sul lavoro che lo aveva privato delle dita di
una mano. Costretto a emigrare in Francia per motivi economici (fece il progettista alla Citroen), ladesione alle idee socialiste lo obblig successivamente allesilio (a Liegi) durante il fascismo. Allontanatosi temporaneamente dalla
politica, rientr in Italia e guid il servizio progettazioni dellAlfa Romeo dal
1939 al 1943. Senatore socialista nel 48 e deputato nel 58, ha fatto parte dei comitati centrali del Psi e della Fiom rispettivamente dal 50 al 54 e dal 49 al 55.
La sua esperienza lavorativa lo spinse a creare agli inizi del secolo scorso, allinterno del sindacato, una struttura riservata ai tecnici sensibilizzando e condizionando su questo tema in maniera decisiva Bruno Buozzi. Nel 1965 la scelta
del Psi a favore del centro-sinistra lo indusse ad aderire al Psiup. morto a Torino nel 1971.
Emilio Colombino
Gli scritti, soprattutto le lettere di Bruno Buozzi indicano in lui una delle anime
di quel tradimento che port prima alla delibera di scioglimento della CGdL e
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PERSONAGGI E INTERPRETI
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PERSONAGGI E INTERPRETI
Livorno e lespulsione dei riformisti dal Psi nel 1922, ader al Partito Socialista
Unitario. Antifascista non particolarmente agguerrito, condizione che gli consent di rimanere in Italia. morto a Torino nel 1974.
Luciano Lama
Ha in qualche maniera rappresentato in epoca moderna il filo rosso riformista
che lega la Cgil a Bruno Buozzi. Nato a Gambettola, una frazione di Cesena (provincia di Forl) il 14 ottobre del 1921, stato segretario generale della Confederazione dal 1970 (succedendo ad Agostino Novella) al 1986 (lasci il posto ad
Antonio Pizzinato). Scomparso il 30 maggio del 1996, aderiva nel Pci alla corrente dei miglioristi (in pratica i riformisti) di Giorgio Amendola e Giorgio Napolitano.
Oreste Lizzadri
In clandestinit era conosciuto come Oreste Longobardi. Cooptato da Bruno
Buozzi come vice-commissario delle vecchie corporazioni fasciste dopo il 25 luglio del 1943, faceva parte della delegazione che per conto dei socialisti partecip
alle trattative per il Patto di Roma. Quando, per, si giunse alla conclusione dei
negoziati, lui era lontano da Roma e la firma sullaccordo la mise Emilio Canevari. Di tendenze fusioniste, fin per schiacciare tanto la componente socialista
della Cgil su quella comunista che alla fine venne sostituito da Fernando Santi,
nel 1947. Nato a Gragnano il 17 maggio del 1896, rientr in Confederazione solo
nel 1952. morto a Roma il 30 luglio del 1976.
Giulio Pastore
Lidea di un sindacato unitario non lo affascin in maniera particolare tanto
vero che De Gasperi fu costretto a convincerlo con una lettera nella quale spiegava le ragioni della scelta. Nato a Genova il 17 agosto del 1902, presidente per
sette anni, a partire dal 1935, dei gruppi giovanili dellazione cattolica, si leg
alla Dc e fu arrestato dalla polizia fascista venendo liberato solo dopo l8 settembre. Ha fondato la Cisl e lha guidata sino al 1958. morto a Roma il 14 ottobre
del 1969.
Leopoldo Piccardi
Personaggio-chiave nelle vicende che illustriamo in questo libro, soprattutto in
quelle che fecero seguito alla caduta di Mussolini. Nominato da Badoglio Ministro
delle Corporazioni, fu lui che ebbe lidea di attribuire a Buozzi il ruolo di commissario delle vecchie organizzazioni sindacali fasciste. Nato a Ventimiglia il 12 giugno del 1899, fu un esponente di spicco del Partito Radicale ma incorse in una
disavventura a causa di Renzo De Felice: lo storico aveva scoperto che Piccardi
aveva partecipato a un convegno in cui erano state gettate le basi della legislazione razziale fascista. Conseguenza: nel 1961 Mario Pannunzio ne chiese le dimissioni. Piccardi prov a far confluire i radicali nel Psi ma le polemiche furono
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talmente accese che fu costretto a farsi da parte. Mor a Roma il 18 aprile del 1974.
Felice Quaglino
Uno dei pi fidati collaboratori di Bruno Buozzi. Fu tra quelli che lo accompagnarono nella rifondazione a Parigi della Confederazione Generale del Lavoro.
Quaglino era nato a Biella, il 21 agosto del 1870. Aveva dovuto abbandonare la
scuola a dieci anni per trasferirsi a Torino e trovare occupazione come apprendista muratore. Nel 1895 cre e assunse la guida della Lega degli operai delledilizia; quindi partecip alla fondazione della CGdL. morto nel 1935.
Giuseppe Rapelli
Con lui, Bruno Buozzi intrattenne ottimi rapporti, tanto vero che nel momento
in cui le squadracce fasciste devastarono la sede torinese della Fiom, lui offr al
sindacalista socialista ospitalit nella sede della Cil, la confederazione cattolica.
Subentr a Grandi nella carica di segretario della Cgil unitaria nel 1946. Entr
in conflitto con De Gasperi sullimpostazione ideologica della Dc che a suo parere
doveva essere un partito a forti connotazioni sociali e neutrale rispetto al patto
Altantico. Era nato a Castelnuovo Don Bosco, in provincia di Asti, il 21 ottobre
del 1905. Mor a Roma il 17 giugno del 1977.
Paolo Ravazzoli
La riunione che in una fabbrica milanese port alla nascita della CGdL clandestina sotto legida comunista, era presieduta da lui che poi divenne il segretario
dellorganizzazione e riavvi le pubblicazioni del giornale storico Battaglie Sindacali. Verso la fine del 1929 assunse una posizione critica nei confronti della
svolta staliniana del PCdI e delle tesi sui socialfascisti. Su questa posizione raccolse la solidariet di Pietro Tresso, Francesco Leonetti e Teresa Recchia che nel
giugno del 1930 vennero espulsi dal partito. Nato a Stradella nel 1894, termin
la sua parabola politica aderendo a Giustizia e Libert. Mor piuttosto giovane
a Parigi, il 27 febbraio del 1940 a causa di una infezione contratta in seguito a
un incidente sul lavoro (era operaio alla Renault).
Rinaldo Rigola
Una storia in chiaroscuro, la sua. Bruno Buozzi, sia in pubblico che in privato,
gli attribu un ruolo se non secondario, comunque minore nella vicenda dello
smantellamento della CGdL e della nascita dellAssociazione di Studio Problemi
del Lavoro che convogli verso il sindacalismo corporativo fascista, alcuni dirigenti della vecchia organizzazione. Pensava, Buozzi, che Rigola fosse stato in
qualche maniera usato. Certo che non fu una scelta felice per quello che era
stato il primo segretario della CGdL. Nato a Biella il 2 febbraio 1868, operaio
tessile a sedici anni, diventato cieco per un incidente sul lavoro, quella scelta
compiuta il 4 gennaio del 1927 la pag, a guerra finita con lemarginazione. Mor
a Milano il 10 gennaio del 1954.
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PERSONAGGI E INTERPRETI
Edmondo Rossoni
Nei confronti del tentativo di Mussolini di riportare Bruno Buozzi in Italia, Edmondo Rossoni oppose una certa resistenza. Il capo della Confederazione nazionale delle Corporazioni sindacali fasciste, daltro canto, conosceva bene il
segretario della CGdL per essersi scontrato con lui in alcune vertenze. Rossoni
era stato un esponente di quel sindacalismo rivoluzionario con cui Buozzi era
stato costretto a fare i conti appena arrivato a Torino. Il leader allepoca della
Fiom non apprezzava (e non apprezz mai) quello spontaneismo dai connotati
interamente politici che ispiravano proteste poco organizzate, poco preparate.
Il momento di massimo fulgore, Rossoni lo raggiunse con il patto di Palazzo Vidoni (il monopolio della rappresentanza) e con la Carta del Lavoro. Poi cominciarono le sue difficolt. Nato a Tresigallo il 6 maggio del 1884, mor a Roma l8
giugno del 1965.
Giovanni Roveda
Bruno Buozzi lo impose a Piccardi, a Badoglio e a Vittorio Emanuele III come
vice-commissario alle confederazioni fasciste, prefigurando cos la riorganizzazione del sindacato unitario. A Roveda il Pci attribu il compito di gestire le trattative per la definizione del Patto di Roma. Ma poi fu arrestato e al suo posto
segu il negoziato Giuseppe Di Vittorio. Nato a Mortara il 4 giugno del 1894,partecip alle cinque giornate di Torino che portarono alla liberazione del capoluogo
piemontese. Fu il primo sindaco dopo la liberazione. morto il 17 novembre 1962
per una flebite prodotta dalle ferite rimediate in occasione di una fuga dal carcere veronese degli Scalzi.
Pallante Rugginenti
Con Bensi e Quaglino, sostenne Bruno Buozzi nellattivit di riorganizzazione
della CGdL a Parigi. Rugginenti aveva retto la Camera del Lavoro di Busto Arsizio dal 1915 al 1923, anno in cui era stata chiusa dai fascisti. Fu costretto allesilio a Parigi dopo il varo delle leggi liberticide da parte di Mussolini.
Fernando Santi
Socialista, partigiano (nel 1944 raggiunse la Val dOssola dove era nata la Repubblica, ma dopo la rioccupazione della zona da parte dei tedeschi, si trasfer
a Milano dove continu lattivit clandestina). Divenne, nel 1947, segretario della
Cgil accanto al comunista Di Vittorio e al cattolico Giulio Pastore. Dopo la rottura politica e sindacale, rimase nella Cgil come segretario generale aggiunto
sino al 1965 quando, al congresso di Bologna, si dimise per motivi di salute.
Tenne vivo il ricordo di Buozzi in un periodo in cui nella Cgil limmagine del vecchio leader ucciso a La Storta era stata dimenticata. Scrisse lui la prefazione alla
biografia di Gino Castagno e ispir la sua azione sindacale a principi unitari.
Nacque a Parma il 13 novembre del 1902 e si spense sempre nella citt natale allet di sessantasette anni, il 15 settembre del 1969.
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Giuseppe Sardelli
Era sostanzialmente coetaneo di Bruno Buozzi essendo nato a Brindisi nel 1880
e al fianco del segretario generale della CGdL in esilio ha svolto un ruolo fondamentale. Socialista, ha svolto attivit sindacale soprattutto nellambito dei trasporti e negli anni francesi ebbe da Buozzi lincarico di ricostruire in esilio la
federazione dei lavoratori del settore. morto a Roma nel 1970.
Ernesto Verzi
stato il primo segretario della Federazione Italiana Operai Metallurgici. Era
un incisore di metalli ed era nato a Firenze nel 1872 ma per motivi di lavoro si
era trasferito a Roma. E, infatti, nel congresso di costituzione della Fiom che si
svolse il 16 giugno del 1901 venne deciso di scegliere Roma come sede dellorganizzazione. Ha ricoperto lincarico di segretario nazionale (condiviso per qualche
tempo con Cleobulo Rossi) sino alla fine del 1907 quando venne sostituito da Silla
Coccia.
Italo Viglianesi
Fu uno tra i grandi protagonisti della nascita della Uil il 5 marzo del 1950 nella
sala dellAviatore. Con lui, quel giorno, cerano 253 delegati che erano lespressione di culture politiche socialiste e laiche, da Enzo Dalla Chiesa e Renato Bulleri
che venivano dal Psu a Raffaele Vanni e Amedeo Sommovigo che venivano dal
Pri. Politicamente prossimo a Nenni (e al suo autonomismo), fu un viaggio a
Mosca che lo convinse a costruire un sindacato che fosse libero dai forti condizionamenti del Pcus. Bruno Buozzi divenne, inevitabilmente, per la Uil che Viglianesi guid in qualit di segretario generale sino al 1969, un punto di
riferimento essenziale, con il suo forte messaggio sullautonomia. Nato a Caltagirone il 1 gennaio del 1916, morto a Roma il 19 gennaio del 1995.
I POLITICI
Giorgio Amendola
Era il figlio di Giovanni Amendola, liberale anti-fascista. nato a Roma il 21 novembre 1907 ed morto sempre nella Capitale il 5 giugno del 1980. Comunista,
partecip alla Resistenza con le Brigate Garibaldi e sostenne la nomina di Bruno
Buozzi come commissario dei vecchi sindacati fascisti dopo il 25 luglio 43 e la caduta di Mussolini. Allinterno del Pci stato il leader della corrente migliorista.
Giovanni Amendola
Fu uno dei leader della cosiddetta secessione dellAventino esplosa dopo lomicidio Matteotti, cio il rifiuto a partecipare ai lavori parlamentari sino al ripristino
della legalit. Nato a Napoli il 15 aprile del 1882, morto a Cannes il 7 aprile del
1926: il suo fisico era stato minato dalla violenta aggressione subita lanno prima
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PERSONAGGI E INTERPRETI
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B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
Lon Blum
Luomo che pi degli altri ha segnato la politica francese tra le due guerre e che
con la sua presenza al potere garant agli esuli italiani una ambiente favorevole.
Nato il 9 aprile del 1872 a Parigi, stato presidente del consiglio dal 4 giugno
del 1920 al 22 giugno 1936 e dal 13 marzo al 10 aprile del 1938. Da leader della
Sfio (Sezione Francese dellInternazionale Operaia) decise di non aderire allInternazionale Comunista e critic latteggiamento del Pcf (Partito Comunista
Francese) nei confronti del patto Molotov-Ribbentrop che determin lemarginazione di molti militanti che aderirono alla Sfio. Guid il Fronte Popolare alla
vittoria elettorale nellaprile del 1936. Fu anche il premier provvisorio dal 16 dicembre 1946 al 22 gennaio 1947. Mor a Jouy-en-Josas il 30 marzo 1950.
Ivanoe Bonomi
Figura-chiave nella fase finale della guerra di Liberazione e nella transizione
verso la democrazia. Infatti, il 9 giugno del 1944, dopo la caduta del secondo governo Badoglio, ottenne lincarico di formare il nuovo esecutivo che effettivamente nacque il 18 giugno. Ma il 26 novembre si dimise per i forti dissidi che
contrapponevano i vari partiti ma, anche per i veti posti dagli alleati, venne obbligato a costituire un altro governo che rest in carica sino al 19 giugno del 1945
quando si dimise, dopo la liberazione del Nord, per favorire la nascita di un governo democratico. Nato a Mantova il 18 ottobre del 1873, ader al Partito Socialista venendo espulso nel 1912 a causa del suo appoggio alla guerra libica. A
quel punto con Leonida Bissolati fond il Partito Socialista Riformista Italiano.
Dopo la seconda guerra mondiale divenne presidente del Psdi. morto a Roma
il 20 aprile del 1951
Giuseppe Bottai
Vot a favore dellordine del giorno presentato da Dino Grandi e che port alla
caduta di Benito Mussolini. Per quel voto, venne condannato a morte in contumacia al processo di Verona. Nato a Roma il 3 settembre del 1895, morto sempre nella Capitale il 9 gennaio del 1959 essendo riuscito a evitare il plotone di
esecuzione. Ministro delle Corporazioni, per espiare le sue colpe, nel 1944 si arruol nella Legione Straniera. Partecip il 28 ottobre del 1922 alla Marcia su
Roma ma lanno precedente era stato uno tra i pi convinti sostenitori del patto
di pacificazione con il Psi.
Nikolaj Ivanovic Bucharin
La sua firma compare nella lettera del Comintern (di cui fu poi il presidente a
partire dal 1926) con la quale si chiedeva lespulsione dei riformisti dal Psi. Favorevole a continuare la prima guerra mondiale per esportare la rivoluzione,
fin poi, dopo la morte di Lenin (che lo defin il figlio prediletto del partito) per
allerarsi con il centro rappresentato da Stalin. Come Zinoviev, fin impigliato
anche lui in una purga staliniana e mandato a morte a Mosca (citt nella quale
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PERSONAGGI E INTERPRETI
era nato il 9 ottobre 1888) il 13 marzo del 1938 alla fine di un processo in cui
venne accusato di aver cospirato contro lo stato sovietico. Gorbaciov negli anni
della Glasnost riabilit tanto lui quanto Zinoviev.
Eugenio Colorni
Era presente alla riunione che port alla nascita, in clandestinit, del Psiup.
uno dei padri delleuropeismo italiano avendo partecipato con Altiero Spinelli
ed Ernesto Rossi alla redazione del Manifesto di Ventotene che provvide a pubblicare subito dopo la fuga dal confino dove era stato spedito in quanto di origini
ebree. Nato a Milano il 22 aprile del 1909, mor a Roma il 30 maggio del 1944,
due giorni dopo la violenta aggressione della famigerata banda Koch (venne ferito con tre colpi di pistola e spir allOspedale San Giovanni).
Andrea Costa
Fu questa cenere/ viva fiamma che soppressa e battuta/ divamp sempre pi
bella al vento/ noi la chiamammo/ Andrea Costa. Sulla sua lapide, nel cimitero
monumentale di Imola spicca una lunga epigrafe composta dal poeta Giovanni
Pascoli, uno degli intellettuali folgorati nellOttocento dal socialismo. Anarchico
inizialmente, alleato (ma spesso su posizioni critiche) di Turati, compagno di attivit politica e di vita (per un certo periodo) di Anna Kuliscioff, partecip alla
fondazione del Psi e fu il primo socialista a trovar posto su uno scranno parlamentare. Tra i capi della protesta milanese che Bava Beccaris pieg nel sangue
nel 1898. nato (nel 1851) e morto (nel 1910) ad Imola dopo aver ricoperto anche
lincarico di vice-presidente della Camera dei deputati.
Benedetto Croce
Lintellettuale che forse ha segnato pi profondamente la cultura, soprattutto la
filosofia, italiana nella prima met del secolo scorso. Nato a Pescasseroli il 25
febbraio del 1866, perse i genitori e la sorella a soli diciassette anni, nel terremoto
di Casamicciola del 1883 (era con la famiglia in vacanza ad Ischia). Ministro
della pubblica istruzione con Giolitti, in una prima fase sostenne il fascismo.
Lomicidio di Matteotti lo convinse ad abbandonare quelle posizioni. Presidente
del partito liberale, nel congresso dei Comitati di Liberazione che si svolse a Bari
il 28 e 29 gennaio del 1944 chiese a gran voce labdicazione di Vittorio Emanuele
III. morto a Napoli il 20 novembre del 1952.
Alcide De Gasperi
Coetaneo di Bruno Buozzi (era nato a Pieve Tesino il 3 aprile del 1881, morto a
Roma il 19 agosto del 1954), era il leader della Democrazia Cristiana che port
alla grande affermazione elettorale del 18 aprile del 1948. Segu con grande attenzione le trattative che si conclusero con il Patto di Roma appoggiando le tesi
unitarie. Fu lultimo presidente del consiglio nominato dal Re (dopo Ivanoe Bonomi) e il primo della neonata Repubblica Italiana.
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Giuseppe De Michelis
Era luomo del regime in seno al Bureau International du Travail e fu lui che organizz loffensiva italiana per ottenere il riconoscimento dei sindacati corporativi. Di formazione liberale, sarebbe stato folgorato dal fascismo (per sua
stessa ammissione) nel 1924, dopo lomicidio Matteotti. Nato a Pistoia il 6 aprile
del 1872, stato anche nominato senatore del Regno nel 1928. morto a Roma
il 12 ottobre 1951.
Egidio Gennari
Segretario del Partito Socialista fra il 1918 e il 1919, partecip alla famosa riunione
nella quale bisognava decidere se dare alloccupazione delle fabbriche il senso di
una vera e propria rivoluzione. Alla fine fu proprio lui a escludere che vi fossero le
condizioni per assumere la guida politica della vertenza lasciandola, cos, nelle
mani dei sindacati. Nel congresso di Livorno segu la corrente comunista che diede
vita al PCdI. Vicino alle posizioni gramsciane, dopo lo scioglimento dei partiti decretato da Mussolini, prese la via dellesilio. Nato ad Albano Laziale il 20 aprile
del 1876, mor a Gorkji in Unione Sovietica il 12 aprile del 1942 dopo essere stato
colpito nel 1940 da una grave malattia che lo aveva portato alla paralisi.
Giovanni Giolitti
La sua tendenza a condizionare con metodi decisamente poco democratici gli
esiti elettorali, gli valsero il soprannome di ministro della malavita (glielo affibbi Gaetano Salvemini). Guidava il governo in occasione delloccupazione
delle fabbriche e fu lui che mise daccordo i sindacati e gli industriali con un decreto che prevedeva lapertura a forme di controllo operaio sulla produzione. Il
provvedimento, per, rimase lettera morta. Nato a Mondov il 27 ottobre del
1842, mor a Cavour il 17 luglio del 1928. Dopo la marcia su Roma, vot a favore
del primo governo di Mussolini, poi non fece mancare il suo sostegno nemmeno
alla legge Acerbo. Critic lAventino ma si allontan dal fascismo nel momento
in cui il consiglio provinciale di Cuneo gli chiese di aderire al Pnf.
Antonio Gramsci
Nato ad Ales il 22 gennaio del 1891, Gramsci fu uno degli intellettuali pi attenti
alla realt delle fabbriche e del mondo del lavoro. Entr in polemica con Bruno
Buozzi (lo accus di essere uno dei Mandarini riformisti che guidavano il sindacato in maniera burocratica) sulla proposta dei Consigli di Fabbrica: il segretario della Fiom alla fine la fece propria senza grande convinzione e uno sciopero
terminato in maniera catastrofica fin per mandarla in archivio. Condannato
(nello stesso processo erano imputati anche Giovanni Roveda e Umberto Terracini) a oltre ventanni di carcere (in quello di Turi cominci a scrivere i Quaderni), il regime non gli diede per tempo la libert nemmeno di fronte alle gravi
condizioni di salute in cui versava. Finalmente libero il 21 aprile del 1937, sei
giorni dopo, allalba mor a Roma per una emorragia cerebrale.
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PERSONAGGI E INTERPRETI
Dino Grandi
Il suo nome indissolubilmente legato al famoso Ordine del Giorno approvato dal
Gran Consiglio il 25 luglio del 1944, il documento che diede a Vittorio Emanuele
III la motivazione politica per allontanare Benito Mussolini dal governo (e per
farlo arrestare). Ma Grandi, nato a Mordano il 4 giugno del 1895, sempre stato
il grande antagonista (pi che oppositore) del duce che avrebbe voluto sostituire
con Gabriele DAnnunzio alla guida del movimento fascista prima della Marcia
su Roma. Condannato a morte nel processo di Verona, riusc a sfuggire al plotone
di esecuzione e si spense a Bologna, il 21 maggio del 1988, a novantatr anni.
Giovanni Gronchi
Insieme ad Achille Grandi, segu i negoziati che portarono al Patto di Roma e
alla nascita della Cgil unitaria. Sottosegretario allindustria nel governo Mussolini, si dimise dopo luscita del Ppi dalla maggioranza. Insieme a Giuseppe Spataro e Giulio Rodin, resse il partito nel 1924 dopo le dimissioni di Luigi Sturzo.
Nato a Pontedera il 10 settembre del 1887, partecip alla fondazione della Dc.
Su posizioni di sinistra allinterno del partito, fu tra i primi sostenitori del superamento del centrismo degasperiano attraverso una alleanza con i socialisti. Divenne presidente della Repubblica il 29 aprile del 1955 al quarto scrutinio, dopo
che al terzo i voti dellopposizione di sinistra erano confluiti sul suo nome bruciando definitivamente la candidatura (sostenuta da Amintore Fanfani) di Cesare Merzagora. Si spento il 17 ottobre del 1978.
Aleksandr Federovic Kerensky
Il suo nome ricorre in una delle polemiche che contrapposero Bruno Buozzi ad
Antonio Gramsci. Kerensky fu capo del governo della Russia subito dopo la caduta dello zar e prima della rivoluzione bolscevica guidata da Lenin, dal 21 luglio
1917 al 7 novembre dello stesso anno. Prov, fuggendo a Paskov, a resistere alloffensiva bolscevica ma le sue truppe furono costrette alla resa. Si sistem
prima a Parigi ma dopo la caduta della Francia nelle mani dei nazisti, attravers
lAtlantico ed emigr a New York dove mor il 2 maggio 1970 (era nato a Simbirsk il 22 aprile del 1881).
Anna Kuliscioff
Nata in una ricca famiglia ebrea a Sinferopoli, in Crimea il 9 gennaio 1855, ha
avuto una vita estremamente avventurosa. Lultimo suo legame sentimentale,
quello con Turati, addolc le sue posizioni politiche, inizialmente piuttosto prossime alle predicazioni anarchiche. Il suo vero nome era Anna Moiseevna Rozenstejn. Lo cambi (Kuliscioff significa in russo manovale) per evitare di essere
rintracciata dallo zar quando ripar in Svizzera dopo le repressioni ordinate in
patria per stroncare lattivit degli anarchici (il primo marito, Petr Makarevic
aderiva alle idee di Michail Bakunin). In Svizzera, la Kuliscioff conobbe Andrea
Costa dal quale ebbe una figlia, Andreina. La relazione termin nel 1881 convin-
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cendola a tornare in Svizzera dove si laure in medicina; successivamente si specializz in ginecologia (a Torino e a Padova). A Milano, dove conobbe Turati, si
stabil proprio per esercitare lattivit di medico nei quartieri pi disagiati (le
milanesi la chiamavano la dottora dei poveri). Arrestata pi volte, nel suo
primo soggiorno in prigione contrasse la tubercolosi. Fu tra i fondatori del Partito Socialista. Mor a Milano il 29 dicembre 1925.
Lon Jouhaux
Nella vicenda di Bruno Buozzi riveste un ruolo fondamentale perch consent al
collega italiano non solo di lavorare per la Cgt nella difesa dei diritti dei lavoratori immigrati, ma lo aiut a mantenere in vita la CGdL in esilio sostenendo le
battaglie al Bit contro il riconoscimento delle organizzazioni fasciste. Nato a Pantin il 1 luglio del 1879, Jouhaux era un libertario. stato segretario della Cgt
(Confdration gnrale du Travail) dal 1909 al 1947. Dal 1947 fino alla morte
(avvenuta a Parigi il 28 aprile del 1954) stato il leader dellorganizzazione che
aveva fondato uscendo dalla Cgt (Force Ouvrire, nata dal distacco dellarea non
comunista della confederazione). Fu internato a Buchenwald durante loccupazione nazista e sotto il regime di Vichy.
Ugo La Malfa
Anche lui politicamente cresciuto nel Partito dAzione ma di cultura schiettamente liberale, influenzato in giovent dagli insegnamenti di Giustino Fortunato,
Gaetano Salvemini e Benedetto Croce, aveva aderito allUnione Nazionale Democratica fondata da Giovanni Amendola. Ministro dei trasporti nel governo
Parri, stato il leader storico del Pri nella prima Repubblica. Nato a Palermo il
16 maggio del 1903, morto a Roma il 26 marzo 1979. Poco prima di morire,
Sandro Pertini gli aveva assegnato lincarico di formare il nuovo governo ed era
la prima volta che questo impegno toccava a un laico dalla caduta, nel dicembre
del 45, del governo Parri.
Vladimir Ilic Uljanov Lenin
Era concittadino e coetaneo di Kerensky essendo nato a Simbirsk il 22 aprile
1870 e con la Rivoluzione di Ottobre lo sostitu alla guida del paese. Capo dei bolscevichi, ebbe un ruolo non secondario nelle vicende della sinistra italiana. Pose
al Psi guidato da Giacinto Menotti Serrati come condizione per entrare nella
Terza Internazionale il cambio del nome del partito con la sostituzione di un aggettivo (comunista invece di socialista), ma soprattutto la cacciata dei socialtraditori, cio i riformisti guidati da Turati. Mor a cinquantatr anni (il 21
gennaio del 1924) a Gorki Leninskie.
Girolamo Li Causi
Anche lui coinvolto, seppur in maniera indiretta, nelle trattative per il Patto di
Roma, fu uno tra i sostenitori della tesi che la segreteria della nuova Cgil doveva
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Giacomo Matteotti
La sua uccisione (a Roma, in un agguato, il 10 giugno 1924) svel lanima profonda del fascismo, quella pi violenta e autoritaria. Le elezioni del 1924, daltro
canto, erano state caratterizzate da agguati e assassinii e la denuncia che lui fece
nel suo discorso alla Camera chiedendo di non convalidare risultati cos chiaramente segnati da intimidazioni e agguati mise in crisi Mussolini e scaten gli
istinti pi animaleschi del movimento, quelli che facevano capo a Roberto Farinacci (che difese gli autori dellomicidio). Matteotti era legato a Turati, lo aveva
seguito al momento della fondazione del Partito Socialista Unitario di cui fu
anche il primo segretario e dopo il successo di Nenni sui terzinternazionalisti di
Serrati avrebbe voluto ricomporre quella frattura. Era nato a Fratta Polesine il
22 maggio del 1885.
Giuseppe Mazzini
Omonimo delleroe risorgimentale, anche lui stato una figura chiave nella rinascita dei sindacati liberi dopo il ventennio fascista. Sarebbe stato lui a porre come
condizione a Piccardi lattribuzione a Buozzi del ruolo di commissario delle vecchie
organizzazioni sindacali. A lui il ministro aveva chiesto di guidare le strutture
imprenditoriali. Daltro canto era stato presidente della Lega Industriale e pur
non assumendo un atteggiamento di netta opposizione, aveva comunque tenuto
una posizione piuttosto tiepida verso il fascismo. Era legato a Buozzi da sincera
stima. Come ha riportato Grabriele Mammarella nella biografia sul leader sindacale, dellavversario lindustriale diceva: la sua lealt era tale e cos alta la
sua comprensione che egli ha fatto sempre del bene a tutti, a quelli che rappresentava e a quelli che combatteva perch, soprattutto ha fatto del bene allItalia.
Nato a Livorno il 7 aprile 1887, morto a Torino il 7 maggio del 1961.
Emanuele Modigliani
Politico e avvocato. In questa seconda veste professionale partecip al processo
contro gli assassini di Giacomo Matteotti in rappresentanza delle parti civili. Riformista, ebbe con Turati un rapporto complicato mentre intrattenne relazioni
pi intense e affettuose con Gaetano Salvemini. Rampollo della buona borghesia
ebraica romana, fratello del famoso pittore e scultore, Amedeo, era nato a Livorno il 28 ottobre 1872. Nella diatriba tra riformisti e massimalisti lavor per
evitare la rottura. Poi, per, in occasione del Patto Molotov-Ribbentrop, assunse
una posizione intransigente chiedendo lespulsione di Nenni accusato di aver un
atteggiamento troppo morbido nei confronti dei comunisti. Al rientro in Italia,
dopo la caduta del fascismo, partecip alla scissione di Palazzo Barberini, seguendo Saragat. Eletto alla Costituente ma minato dallesilio e dalla lunga lotta
al fascismo, mor a Roma il 5 ottobre del 1947.
Vjaceslav Michajlovic Molotov
Il suo nome legato non solo alla famosa bomba usata nelle operazioni di guer-
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riglia (in realt, lui con laggeggio non centra nulla essendo stato perfezionato
dai militari franchisti), ma soprattutto al patto di non aggressione firmato con
il suo omologo nazista, Joachim von Ribbentrop. Nato a Kukarka il 9 marzo
1890, stato lunico dei rivoluzionari bolscevichi che hanno avuto una vita lunga
e non sono finiti davanti a un plotone di esecuzione nel corso delle purghe degli
anni Trenta, morto infatti a novantasei anni, l8 novembre del 1986, a Mosca.
Quando firm il Patto era anche capo del governo (Presidente del Consiglio dei
commissari del popolo) ma a guerra con la Germania cominciata, lasci la carica, restando ministro degli esteri (6 maggio 1941) e Stalin lo sostitu.
Pietro Nenni
Era nato a Faenza il 9 febbraio del 1891 e di quella terra, la Romagna, aveva
tutti gli aspetti sanguigni, compreso quello che, giovanissimo, lo port a scrivere
sul muro dellorfanotrofio che lo ospitava, una frase inneggiante nei confronti
dellanarchico Bresci, luomo che aveva ucciso Umberto I. Repubblicano, insieme
a Mario Bergamo aveva fondato nel 1919 a Bologna il primo Fascio di Combattimento. Lesperienza dur poco. Nel 1921 abbandon i repubblicani ed entr nel
Psi vincendo, nel 1923, il congresso e mettendo in minoranza Serrati che sognava
la confluenza con il PCdI. Con Bruno Buozzi il rapporto non stato sempre idilliaco anche se poi quando in esilio i socialisti si riunificarono, erano tutti e due
al medesimo tavolo. Ma il riformismo di Turati non scorreva nelle vene di Nenni.
morto a Roma il 1 gennaio 1980.
Francesco Saverio Nitti
Fu sotto il suo governo che venne approvata la legge elettorale che introdusse il
sistema proporzionale e che consent al Psi una grande affermazione nelle elezioni del novembre 1919. Nato a Melfi il 19 luglio 1868, fu il primo presidente del
consiglio proveniente dal Partito Radicale. Meridionalista, fu un aperto oppositore del regime fascista e fu costretto allesilio. Il figlio, Vincenzo, scrisse anche
un libro con Bruno Buozzi, Sindacalismo e fascismo. Al ritorno in Italia fu
membro della Costituente. Mor a Roma il 20 febbraio del 1953.
Gino Olivetti
Nulla a che vedere con Adriano Olivetti. Nato a Urbino il 5 settembre del 1880,
industriale, stato prima segretario della Lega Industriale (a partire dal 1906)
e poi della Confindustria (sino al 1934). Dirigente sportivo ( stato presidente
della Juventus, lultimo prima dellacquisto del club da parte di Edoardo Agnelli),
ader al fascismo (pur essendo un liberale conservatore) in maniera cos entusiastica che il regime lo coopt nel Gran Consiglio. Deputato per quattro legislature. Di origini ebraiche, venne progressivamente isolato dal regime tanto da
convincerlo ad abbandonare lItalia. morto, infatti, in Argentina nel 1942.
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Ferruccio Parri
Indro Montanelli sosteneva che se in Italia cera un politico che si meritava la
qualifica di galantuomo, questo politico era Ferruccio Parri. stato il primo presidente del Consiglio laico del dopoguerra (dal 21 giugno del 1945 all8 dicembre
dello stesso anno): bisogner attendere trentasei anni per avere il secondo (Giovanni Spadolini). Nato a Pinerolo il 19 gennaio 1890 fu uno dei leader di quel
Partito dAzione che si oppose al fascismo senza contraddizioni o cedimenti. Fu
lui che organizz con i fratelli Rosselli, Sandro Pertini e Italo Oxilia la fuga di
Filippo Turati in Francia. Noto nella resistenza come il comandante Maurizio,
morto a Roma l8 dicembre del 1981.
Sandro Pertini
stato il presidente della Repubblica pi amato, per il suo modo schietto e decisamente combattivo di affrontare i problemi (famoso il suo jaccuse contro il
governo e, in particolare, contro il ministro dellinterno, in occasione del terremoto dellIrpinia quando la macchina dei soccorsi si dimostr palesemente inefficiente). Nato a San Giovanni Stella il 25 settembre del 1896, era uno tra i pi
giovani del gruppo che si aggregava intorno a Turati (lo aiut a fuggire in Francia, a bordo di un motoscafo), che segu anche nel Psu. Antifascista adamantino,
partecip alla battaglia di Porta San Paolo, a Roma, dopo l8 settembre. Venne
catturato dai nazisti e condannato a morte: la condanna non venne mai eseguita
perch le Brigate Matteotti guidate da Giuliano Vassali (ideatore del piano), di
cui facevano parte Giuseppe Gracceva, Massimo Severo Giannini, Filippo Lupis,
Ugo Gala e con laiuto del medico del carcere, Alfredo Monaco, lo fecero fuggire,
insieme a Giuseppe Saragat da Regina Coeli.
Camillo Prampolini
Bruno Buozzi aveva come punto di riferimento politico Turati ma era, probabilmente, pi affine a Prampolini che interpretava meglio quel carattere didattico
che la militanza socialista assumeva in un periodo in cui lItalia era un paese con
una percentuale altissima di analfabeti. Prampolini era nato a Reggio Emilia il
27 aprile del del 1859. Era figlio di un ambiente medio-alto borghese che, chiaramente, non accettava felicemente la sua conversione al socialismo. Era gi
parlamentare quando il 14 agosto del 1892 si present a Genova al congresso
del Partito Operaio dei Lavoratori e il suo discorso fu decisivo ai fini della separazione dagli anarchici e della fondazione del Psi (venne anche colto da malore).
Il suo giornale, la Giustizia fu un punto di riferimento per i socialisti dellepoca.
Mor a Milano il 30 luglio del 1930, qualche anno prima gli era stato diagnosticato un cancro.
Gioacchino Quarello
Nella tripartizione politica del vertice delle vecchie organizzazioni sindacali fasciste, lui rappresentava la corrente cattolica (Roveda quella comunista). Alle
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guerra dellItalia nel 1915 in forme non propriamente corrette dal punto di vista
costituzionale, aiutato in questo anche dal re, Vittorio Emanuele III. Nacque a
Troia il 13 agosto del 1853, mor a Roma il 9 dicembre 1931.
Gaetano Salvemini
Figura di spicco di quello che venne definito socialismo meridionale. Nato a Molfetta l8 settembre del 1873, entr in polemica spesso con Filippo Turati (argomento principale delle dispute, il rapporto con Giovanni Giolitti da lui definito il
ministro della malavita) e, in alcuni casi, anche con Buozzi essendo la sua linea
politica diversa da quella dei riformisti. Usc dal partito socialista nel momento
in cui non venne organizzata una manifestazione contro la guerra italo-turca.
Antifascista della prima ora, si schier anche contro lAventino. Nonostante i dissidi con Turati, fu un assiduo collaboratore della Critica Sociale e fond insieme
ai fratelli Rosselli il giornale clandestino antifascista Non Mollare. Mor a Sorrento il 6 settembre del 1957.
Giuseppe Saragat
stato probabilmente il pi grande amico di Bruno Buozzi. Molto pi giovane
del leader sindacale, aveva collaborato alle sue campagne elettorali creando un
legame solido che avrebbe coinvolto anche le mogli e le famiglie. Significativo
da questo punto di vista lepistolario che intrattennero quando Saragat era in
Austria e Buozzi gi in Francia. Nato a Torino nel 1898, Saragat ader al socialismo e, in particolare, alla corrente riformista e segu Turati, Treves e Buozzi
nelle vicissitudini di unarea politica votata alle scissioni. E a una scissione legato anche il suo nome: quella di Palazzo Barberini, nel 1947. Anche lui condannato a morte, riusc a evadere insieme a Pertini da Regina Coeli grazie a un
piano elaborato da Giuliano Vassalli. Eletto presidente della Repubblica il 28 dicembre 1964, provvide a nominare senatore a vita Pietro Nenni nel 1970. scomparso a Roma l11 giugno del 1988.
Mauro Scoccimarro
Il suo nome ricorre nelle cronache che hanno riguardato le trattative del Patto
di Roma per la costituzione del sindacato unitario. Nato a Udine il 30 ottobre
del 1895, dopo essersi iscritto nel 1917 al Psi, segu nel 21 i comunisti, al momento
della formazione del PCdI. Nel governo Parri, a guerra finita, ricopr lincarico
di ministro delle Finanze. morto a Rona il 2 gennaio del 1972.
Pietro Secchia
Nelle vicende sindacali del primo dopoguerra e in quelle che hanno preceduto la
nascita della Cgil unitaria, Secchia ha avuto un ruolo. Operaio in una industria
laniera, durante il Biennio Rosso a Torino svolgeva una importante attivit sindacale e partecip agli scioperi che si svolsero in quel periodo. Nato a Occhieppo
Superiore il 19 dicembre del 1903, rappresentava lala dura, rivoluzionaria del
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Pci, non indifferente rispetto allidea della lotta armata come strumento di lotta
politica. Mor a Roma il 7 luglio del 1973.
Giacinto Menotti Serrati
Ha un ruolo non secondario nei travagli politici che accompagnarono le vicende
relative alloccupazione delle fabbriche. Massimalista, non insensibile al fascino
di Lenin e della Terza Internazionale, respinse, comunque, nel congresso del 1921,
quello che port alla scissione comunista, il diktat proveniente da Mosca che chiedeva lespulsione dal partito dei riformisti. Un passo, comunque, che venne compiuto lanno successivo e che port Turati, Treves e Matteotti a fondare il Partito
Socialista Unitario. Nel 1923, poi, tocc a lui: battuto da Nenni, venne messo alla
porta e nel 1924 ader al PCdI. Arrestato durante i moti torinesi per il pane, sub
nel centro di Milano una pesante aggressione fascista dopo un articolo contro
Mussolini pubblicato sull Avanti!. Nato a Spotorno il 25 novembre del 1876,
morto il 10 maggio del 1926 ad Asso.
Palmiro Togliatti
In clandestinit era conosciuto come il compagno Ercoli e con questo nome lo
accolse, al rientro in Italia, il quotidiano del partito, lUnit. Appena sbarcato
in Italia realizz quella che alla storia passer come la svolta di Salerno (ci sar
anche una seconda svolta di Salerno, a produrla provvide Enrico Berlinguer,
annunciando laccantonamento del compromesso storico e lassunzione dellalternativa democratica come linea politica del partito), in pratica il Pci metteva
momentaneamente da parte la questione dellallontanamento della monarchia
dal vertice dello Stato, per concentrare tutte le forze sulla guerra di liberazione.
E questa scelta lo port, dopo la liberazione di Roma, a ricoprire lincarico di
sottosegretario senza portafoglio nel governo Bonomi. Poi fu ministro della giustizia con Parri e De Gasperi e con il leader democristiano a capo dellesecutivo,
firm la famosa amnistia nei confronti di coloro che si erano macchiati di reati
politici dopo l8 settembre. Era nato a Genova il 26 marzo del 1893. Al Partito
Socialista si iscrisse nel 1914, poi, a Torino, con Gramsci, Tasca e Terracini fond
il giornale LOrdine Nuovo (il primo numero usc il 1 maggio 1919). Partecip
alla nascita a Livorno, nel 1921, del PCdI. Era segretario del Pci quando mor a
Jalta il 21 agosto del 1964.
Claudio Treves
A volte la morte definisce una scenografia perfetta: Claudio Treves spir a Parigi, nella sua casa a Rue de la Tour dAuvergne, un anno dopo la scomparsa di
Turati, l11 giugno del 1933; mor nella notte, nel sonno, dopo aver commemorato, al mattino, Giacomo Matteotti, altro grande esponente della corrente riformista. Treves stato direttore dell Avanti! ed stato soprattutto il braccio
di Turati nella Critica Sociale (spesso si firmava il Vice). Il suo giornalismo
era decisamente moderno: chiaro e diretto, poco o nulla a che vedere con la ri-
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B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
dondanza retorica di quei tempi. Il trionfo del fascismo, lo obblig nel 1926 a
prendere la via dellesilio. Fu uno dei grandi animatori della Concentrazione Antifascista e soprattutto la mente dellorgano di stampa, il settimanale La Libert. Non un caso che la Concentrazione sia andata in crisi proprio dopo la
sua morte. Negli ultimi anni della sua vita sostenne la necessit di riunificare gli
spezzoni del socialismo. Di origini ebraiche, era nato a Torino il 24 marzo del
1869.
Filippo Turati
il padre del partito socialista, riformista, ispirato profondamente nelle sue
idee da Bernstein e dalle teorie revisionistiche del marxismo. Nato a Canzo, il 26
novembre del 1857, si leg sentimentalmente per tutta la vita a Anna Kulisciof,
che si era separata dal precedente compagno, Andrea Costa. Scrisse Ornella
Buozzi, figlia primogenita di Bruno, sullAlmanacco socialista del 1932 che fu interamente dedicato alla morte di Turati: Ed il risveglio di tutti, lo trovava gi
al lavoro, nel disordine dello studio invaso dalle carte e di plichi, in compagnia
del grande ritratto di Anna che dal vano di una porta gli sorrideva. La scomparsa della compagna, avvenuta nel 1925, lo prov in maniera particolare. Critica Sociale, il giornale che aveva fondato a Milano nel 1891, prima ancora della
nascita del Psi, fu un centro estremamente vivace di elaborazione culturale. Lultima parte della sua vita la trascorse in esilio a Parigi, nella casa di Bruno Buozzi
e l, in Boulevard Ornano 8, si spense alle 22,43 del 29 marzo 1932. Su quellAlmanacco, Ornella Buozzi raccont cos quel momento finale: Una bimba che
vede per la prima volta la morte piange sulla spalla della sua sorellina. Ed impressionante vedere gli uomini che furono i suoi figlioli spirituali col viso bagnato di lacrime e voce interrotta a preparare i comunicati ai giornali:
morto Filippo Turati. Tra i figlioli spirituali, ovviamente, cera Bruno Buozzi.
Umberto I
Era nato a Torino il 14 marzo 1844 e il suo nome completo era Umberto Rainerio
Carlo Emanuele Maria Ferdinando Eugenio di Savoia. Sal al trono il 9 gennaio
del 1878, dopo la morte del padre Vittorio Emanuele II, il re dellunit. Ma la sua
vicenda storica e umana terminata tragicamente con le pistolettate dellanarchico Gaetano Bresci, caratterizzata da luci e ombre. Si guadagn la definizione
di Re Buono a Napoli, nel 1884 per il modo in cui si impegn durante lepidemia
di colera. Ma quella definizione provvide a smentirla con scelte estremamente
repressive e reazionarie come lonorificenza a Bava Beccaris che se la guadagn
sparando a Milano sulla folla affamata. Mor a Monza, il luogo dellattentato, il
29 luglio 1900.
Josif Vissarionovic Dzugasvili Stalin
Per conoscere i connotati decisamente sanguinari della sua dittatura, fu necessario attendere la sua morte avvenuta a Mosca il 5 marzo del 1953. Stalin, origini
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PERSONAGGI E INTERPRETI
georgiane (era nato a Gori il 18 dicembre 1878) molto umili alle spalle, nella storia che abbiamo raccontato in questo libro ha un ruolo decisivo, soprattutto per
quanto riguarda i rapporti alterni tra comunisti e socialisti, segnati dal Patto
Ribbentrop-Molotov e da quella politica fortemente polemica (ma si tratta di un
eufemismo) che si sintetizzava in una semplice definizione: socialfascisti.
Giuliano Vassalli
suo il piano che port alla liberazione di Saragat e Pertini da Regina Coeli.
Poi, nelle maglie della repressione nazista rimase impigliato anche lui: venne
arrestato e rinchiuso a via Tasso dove venne torturato. Fu risparmiato dai tedeschi per intercessione di Pio XII e rilasciato il 4 giugno mentre gli americani
arrivavano a Roma. Nato a Perugia il 25 aprile del 1915, socialista, era legato a
Bruno Buozzi. Docente di diritto e procedura penale, stato presidente della
Corte Costituzionale e ministro della Giustizia. morto a Roma il 21 ottobre
2009.
Vittorio Emanuele III
Quando il padre, Umberto I, venne assassinato da Bresci, lui era in crociera nel
Mediterraneo con la moglie Elena. Torn precipitosamente e il 2 agosto 1900
sbarc a Reggio Calabria. Con lui (quella di Umberto II fu una brevissima parentesi, una rapida transizione) la storia della monarchia sabauda si concluse,
venendo alla fine condannata anche da lealisti come Benedetto Croce che lo accus di aver gettato la dinastia nel discredito e ne chiese lallontanamento. Di
carattere piuttosto chiuso, si concesse speso delle licenze interpretative nellattuazione delle regole costituzionali. La dichiarazione di guerra in occasione del
primo conflitto mondiale, tenendo praticamente alloscuro i partiti e con la Camera chiusa fu, in buona sostanza, il preludio allaltra forzatura, ancor pi funesta: lattribuzione a Mussolini dellincarico di formare il governo. La fuga al
Sud dopo l8 settembre e la mancata difesa della Capitale dai tedeschi furono il
momento finale di una parabola ingloriosa. Era nato a Napoli l11 novembre
1869 e mor in esilio ad Alessandria dEgitto, il 28 dicembre del 1947.
Joachim von Ribbentrop
La cialtroneria pu avere anche origini tedesche. Ribbentrop, infatti, avrebbe
aggiunto quel von al nome per attribuirsi ascendenze aristocratiche che non
aveva (esibiva il titolo di barone). Era sicuramente nato in una famiglia molto
agiata. Le conoscenze internazionali lo portarono alla guida della diplomazia e
il 1939 fu per lui un anno denso di successi, come ministro degli esteri: firm con
Mussolini il Patto dAcciaio e con Molotov il 23 agosto laccordo di non aggressione che apr a Hitler la strada dellinvasione della Polonia (cominciata il 1 settembre, data ufficiale di avvio della seconda guerra mondiale). Caduto Hitler,
prov a fuggire in Sud America, come molti altri suoi camerati ma fu bloccato
il 14 giugno 1945 dalle parti di Amburgo, processato e condannato a morte a No-
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B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
rimberga (la condanna venne eseguita il 16 ottobre del 1946). Era nato a Wesel
il 30 aprile del 1893.
Grigory Evseevic Zinoviev
La sua firma compare in calce alla lettera con la quale il Comintern chiese lespulsione dei riformisti dal Psi nei giorni in cui cominciava loccupazione delle fabbriche. Nato a Kirovohrad, il 23 settembre del 1883, fu uno tra i dirigenti
bolscevichi pi potenti tra il 1918 e il 1925 quando fu chiamato a ricoprire lincarico di capo del Soviet di Pietrogrado e di presidente della Terza Internazionale.
Nella polemica tra Stalin e Trotsky diede man forte al primo. Alla morte di Lenin,
partecip al cosiddetto triumvirato con Stalin e Kamenev. Ma poi il primo lo
sped davanti al plotone di esecuzione: mor a Mosca il 25 agosto 1936.
PARTIGIANI E GENERALI
Pietro Badoglio
Luci e ombre caratterizzano la sua storia militare e politica. Quando Mussolini
fece scattare la Marcia su Roma, interpellato dal re sulla reale minaccia costituita da quella iniziativa sul piano dellordine pubblico, rispose senza mezzi termini che al primo colpo di cannone tutta quella gente (male armata e anche con
scarsi approvvigionamenti alimentari) sarebbe stata messa in fuga. Chiese i pieni
poteri ma Vittorio Emanuele III non glieli diede. A lui, per, ricorse nel momento
in cui il Gran Consiglio sfiduci Mussolini. Nei famosi 45 giorni qualcosa di buono
sul piano politico riusc a combinare (ad esempio, la nomina di Piccardi e quella
di Buozzi a commissario delle vecchie corporazioni fasciste) ma la gestione delle
vicende che portarono allarmistizio fu contraddittoria e la mancata difesa di
Roma non contribu a migliorare limmagine del suo governo. Nato a Grazzano
Monferrato il 28 settembre del 1871, mor sempre a Grazzano il 1 novembre del
1956.
Luigi Cadorna
Il suo nome rimarr indissolubilmente legato alla disfatta di Caporetto. Figlio
darte (suo padre era il generale Raffaele Cadorna), si ritrov Capo di Stato Maggiore quasi per caso nel momento pi turbolento. Il 28 giugno 1914 Gavrilo Princip aveva assassinato Francesco Ferdinando, il 1 luglio il generale Alberto Pollio
era morto per infarto; a fine mese, il 27 luglio, era gi Capo di Stato Maggiore su
indicazione del re, Vittorio Emanuele III. La disfatta di Caporetto interruppe questa sua folgorante carriera militare: il nuovo capo del governo, Vittorio Emanuele
Orlando come primo atto ne chiese la rimozione ma poi furono soprattutto gli alleati a reclamare e ottenere la sua testa. Tre volte senatore, pur non aderendo al
fascismo, venne nominato da Mussolini Maresciallo dItalia. Nato a Pallanza il 4
settembre 1850, morto a Bordighera il 21 dicembre 1928.
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PERSONAGGI E INTERPRETI
Armando Diaz
La sfortuna di Cadorna, stata la sua fortuna visto che a prima guerra mondiale terminata venne nominato Duca della vittoria. Cos come il nome del suo
predecessore legato a Caporetto, il suo legato a Vittorio Veneto, cio alloffensiva finale che si concluse con larrivo il 3 novembre del 1918 delle truppe italiane
a Trento e delle nostre navi a Trieste. Il giorno successivo, lAustria chiese larmistizio. Nato a Napoli il 5 dicembre 1861, morto a Roma il 29 febbraio 1928.
Mark Clark
Fu lui che al comando delle truppe americane entr a Roma il 4 giugno 1944 affrancandola dalloccupazione nazista. Nato a Madison Barraks, base della marina degli Stati Uniti, a Sackets Harbor nello stato di New York, il 1 maggio 1896,
durante la seconda guerra mondiale fu il principale collaboratore di Dwight Eisenhower. Fu lui a guidare gli sbarchi a Salerno e ad Anzio, a dirigere la battaglia di Montecassino e, infine, ad entrare nella capitale. morto a Charleston il
17 aprile 1984.
Giuseppe Gracceva
Figura centrale della guerra partigiana. La sua azione pi clamorosa fu quella
che port alla liberazione di Sandro Pertini e Giuseppe Saragat da Regina Coeli.
Mise in cantiere anche una operazione per favorire levasione di Buozzi da via
Tasso ma fu costretto a rinunciarvi per mancanza di uomini. Era noto come il
Maresciallo Rosso. Deluso dal patto Molotov-Ribbentrop e dalla politica staliniana, abbandon il Pci per aderire al Psiup. Nato a Roma il 13 febbraio del 1906,
mor nella citt natale nel 1978.
Herbert Kappler
Al suo nome sono legati diversi eccidi e anche le dimissioni di un ministro della
difesa: Vito Lattanzio. Nato a Stoccarda (la citt della Mercedes che sarebbe diventata nel secondo dopoguerra una delle mete preferite dellemigrazione italiana) il 23 settembre del 1907, Kappler era il re di via Tasso. Da quel
fortino-prigione organizzava la sua feroce repressione: la strage delle fosse Ardeatine, leccidio de La Storta, il rastrellamento del Quadraro, la persecuzione
di monsignor Hugh OFlaherty, il sacerdote irlandese che operando dal Vaticano
aveva salvato almeno quattromila persone. Condannato e imprigionato in Italia
per i suoi reati, riusc a fuggire dallospedale del Celio in maniera rocambolesca,
in qualche misura anche ridicola che Lattanzio pag presentando le dimissioni
da ministro della difesa (ma venne immediatamente reintegrato al dicastero
della Marina Mercantile). Malato, per la sua liberazione si era mosso anche Helmut Schmidt, allepoca cancelliere tedesco. Un altro ministro della difesa, Forlani, per farlo ricoverare in una struttura ospedaliera, il Celio, appunto, mut il
suo status da detenuto a prigioniero di guerra, cosa piuttosto incomprensibile
visto che in quel momento non vi era alcuna guerra tra Italia e Germania.
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PERSONAGGI E INTERPRETI
Fosse Ardeatine ha sino alla fine agitato i sonni dei familiari delle sue vittime.
Ha vissuto cento anni, essendo nato a Hennigsdorf il 29 luglio 1913 ed essendo
morto a Rona l11 ottobre del 2013. Per i crimini commessi non ha mai chiesto
perdono, n manifestato un reale pentimento. Al contrario, si difeso come Heichmann a Gerusalemme: aveva solo obbedito agli ordini. Due delle 335 vittime
delle Fosse Ardeatine le fredd personalmente. Protagonista di polemiche e di
grandi fughe. Come quella che gli consent di aggirare il controllo dei suoi guardiani inglesi e polacchi nel campo di concentramento di Rimini il 31 dicembre
del 1946. Nel 1949 riusc a raggiungere San Carlos de Bariloche in Argentina e,
sotto falso nome, si dedic anche al turismo tornando in Germania e in Italia
(Roma, Sorrento, Rapallo). Poi alla sua porta buss un giornalista americano
dellemittente Abc. Il nostro governo chiese lestradizione e alla fine ritorn sulla
nostra penisola da imputato e con la sua vera identit. Condannato dopo una
lunga vicenda processuale allergastolo, morto, comunque, agli arresti domiciliari. Ha vissuto sicuramente di pi dei due innocenti che alle Fosse Ardeatine
uccise con la sua pistola e degli altri 333 per i quali non ebbe alcuna piet (n
mostr mai piet).
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Le date, i fatti
1881-1890
LItalia a caccia di colonie
31 gennaio 1881 Nasce a Pontelagoscuro, vicino Ferrara, Bruno Buozzi.
9 Febbraio 1881 Muore a San Pietroburgo, Fyodor Dostoyevsky, uno dei
padri nobili della letteratura russa, autore di Delitto e Castigo, Lidiota, I
demoni, i Fratelli Karamazov.
4 Marzo 1881 Primo terremoto di Casamicciola. La localit ischitana viene colpita da un sisma del IX grado della scala Mercalli. La scossa provoca 126 morti.
13 Marzo 1881 Lo zar Alessandro II Romanov viene ucciso a San Pietroburgo
nello stesso giorno in cui si dichiara disposto ad accettare una serie di riforme
sociali tra le quali la progressiva abolizione della servit della gleba. Lagguato,
guidato da Sofia Perovskaja, scatta nel momento in cui lo zar abbandona la
scuola di equitazione per tornare al Palazzo di Inverno. Nikolaj Rysakov lancia
una prima bomba che costringe Alessandro II a fermarsi. Sceso per controllare
i danni, viene investito da una seconda esplosione provocata da Ignatij Grinevickij.
30 aprile 1881 Andrea Costa fonda il settimanale Avanti!
27-28 giugno 1881 I contadini scendono in sciopero per ottenere miglioramenti salariali e negli orari di lavoro. Lagitazione riesce nel mantovano e nel
milanese.
7 luglio 1881 Dalla creativit di Carlo Lorenzini, meglio noto come Collodi, nascono le prime storie di Pinocchio. I racconti sono indissolubilmente legati allenorme diffusione dellanalfabetismo nellItalia da poco unita, con una media
di analfabeti che oscilla intorno al 78 per cento con punte che in Sardegna arrivavano al 91 per cento.
13 luglio 1881 Intorno alla salma di Pio IX trasportata dal Vaticano alla tomba
di San Lorenzo fuori le mura, si scatena una battaglia tra clericali e anti-clericali.
Leone XIII accusa lo Stato italiano di essere intervenuto in ritardo; repubblicani
e liberali chiedono, invece, labolizione della legge delle guarentigie.
25-26 settembre 1881 Nasce a Milano la Confederazione operaia lombarda,
vi aderiscono 86 associazioni operaie
1881 Leditore milanese Treves pubblica I Malavoglia, il romanzo dello scrittore siciliano Giovanni Verga. Ispirer due film, La terra trema di Luchino Vi-
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L E D AT E , I FAT T I
nistra liberale (nelle elezioni di ottobre viene eletto anche il primo deputato socialista: Andrea Costa).
20 dicembre 1882 A Trieste viene impiccato Guglielmo Oberdan: diventa il
simbolo dellIrredentismo italiano.
8 marzo 1883 A via Santa Redegonda, a Milano, comincia a operare la prima
centrale termoelettrica italiana e dellEuropa Continentale. Sistemata a poca distanza dal Duomo, viene ospitata nellarea in cui sorgeva un teatro in disuso da
qualche anno.
14 Marzo 1883 Si spegne a Londra Karl Heinrich Marx, filosofo, economista,
storico e sociologo. Un anno e mezzo prima, il 2 dicembre del 1881, aveva perduto
la moglie Jenny. Da questo dolore il filosofo non si era ripreso. Indebolito da una
bronchite cronica e dalla morte della primogenita (Jenny), aveva subito un ulteriore peggioramento delle condizioni di salute a causa di una ulcera polmonare. Verr sepolto nel cimitero londinese di Highgate ed Engels (lamico di una
vita, col quale aveva redatto il Manifesto del Partito Comunista) legger lorazione funebre. In quello stesso anno in Russia ad opera di Plechanov nasceva la
prima organizzazione politica di tendenza schiettamente marxista.
24 maggio 1883 Viene aperto al traffico il ponte di Brooklyn. Primo ad essere
costruito interamente in acciaio, collega Manhattan a Brooklyn. Per lungo tempo
sar il pi grande ponte sospeso al mondo ma per la sua realizzazione perderanno la vita ben ventisette operai.
28 luglio 1883 La terra trema alle 21,30 di nuovo a Casamicciola. La citt viene
praticamente rasa al suolo, come se fosse stata sottoposta a un lungo bombardamento. La potenza viene fissata al decimo grado della scala Mercalli (5,8 di
magnitudo). Levento drammatico provoca 2.313 vittime, la maggior parte
estratte dalle macerie di Casamicciola (1784). Benedetto Croce perde i genitori
e la sorella; il filosofo, a Ischia in vacanza, viene estratto vivo dalle macerie. Riesce ad uscire indenne dal disastro anche il meridionalista Giustino Fortunato.
4 ottobre 1883 Primo viaggio dellOrient Express, un treno che nel tempo ha
acquisito caratteri leggendari, ispirando anche opere letterarie. Lo crea la Compagnie Internationale des Wagon-Lits: parte da Parigi, precisamente da la Gare
de lEst e arriva a Costantinopoli, cio a Istanbul.
6 gennaio 1884 Con tre milioni di lire di capitale nasce la Edison. Nel settore
dellenergia elettrica diventer in breve la pi grande azienda italiana.
1 marzo 1884 Viene creata la Societ altiforni fonderie e acciaierie di Terni. La
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1891-1900
Nascono le Camere del Lavoro e il Psi
15 gennaio 1891 Appare il primo numero del giornale Critica Sociale per iniziativa di Filippo Turati e Anna Kuliscioff.
20 aprile 1891 Critica Sociale pubblica il programma della Lega Socialista
Milanese elaborato da Turati e dalla Kuliscioff.
1 maggio 1891 I divieti non fermano i lavoratori che festeggiano comunque il
Primo Maggio. A Roma, per, lepilogo sar sanguinoso: alla fine del comizio in
via Santa Croce in Gerusalemme, gli anarchici risponderanno alle provocazioni
della polizia. Seguir la proclamazione di uno sciopero generale.
15 maggio 1891 Leone XIII promulga lenciclica Rerum Novarum. il punto
davvio della dottrina sociale della Chiesa.
2-3 agosto 1891 Congresso operaio a Milano. la prima pietra del Partito Socialista che nascer lanno successivo. Turati fa approvare una mozione con la
quale si chiede una nuova legislazione sociale sul lavoro.
16-22 agosto 1891 A Bruxelles si svolge il secondo congresso della Seconda Internazionale: viene deciso di rendere permanente la Festa del Lavoro nella data
del Primo Maggio.
1 maggio 1892 Il congresso operaio di Palermo avvia la costituzione dei fasci
dei lavoratori a indirizzo socialista. Metter insieme artigiani, piccoli commerciati, contadini e braccianti.
18 luglio 1892 Muore lanarchico Carlo Cafiero.
30 luglio 1892 Compare Lotta di Classe giornale dei lavoratori italiani. A
fondarlo provvedono Filippo Turati e Anna Kuliscioff che affidano la direzione
a Camillo Prampolini.
14 agosto 1892 Nasce a Genova, nella sala Sivori, il Partito dei Lavoratori Italiani, in pratica il nuovo partito socialista, prodotto dalla separazione dellanima
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L E D AT E , I FAT T I
socialista da quella anarchica (che abbandoner i lavori e creer un proprio partito che avr vita breve; andranno a vuoto i tentativi di mediazione di Andrea
Costa). Tra i fondatori Turati, Claudio Treves, Camillo Prampolini, Leonida Bissolati.
6 Novembre 1892 Alle elezioni (vi partecipa solo il 56 per cento del corpo elettorale, poco pi di 1,6 milioni di elettori su quasi 3 milioni) vince Giovanni Giolitti
che viene accusato di brogli e intimidazioni.
20 dicembre 1892 Crolla la Banca Romana. Nello scandalo vengono coinvolti
Crispi e Giolitti.
19 gennaio 1893 Esplode lo scandalo della Banca Romana. Arrestati governatore e tesoriere. Accertato un ammanco di cassa di venti milioni e la duplicazione di banconote per 40 milioni.
20 gennaio 1893 A Calvavaturo vicino Palermo finisce con una strage loccupazione di un terreno incolto: la polizia e lesercito sparano sui contadini. Tredici
vittime
6 marzo 1893 Di nuovo pallottole sui contadini siciliani a Serradifalco vicino
Caltanissetta. Due morti.
20 marzo 1893 Giovanni Giolitti presenta alla Camera una proposta per la
creazione della Banca dItalia.
29 giugno 1893 Al congresso di Parma viene costituita la Federazione delle
Camere del lavoro.
22 luglio 1893 Passa la legge che consente la nascita della Banca dItalia
17 agosto 1893 In Francia, ad Aigue-Mortes, si scatena una guerra tra poveri.
I lavoratori francesi si scagliano contro quelli italiani che accettano paghe pi
basse e ne uccidono trenta. La vicenda alimenta dimostrazioni anti-francesi in
Italia.
24 novembre 1893 Lo scandalo della Banca Romana travolge Giovanni Giolitti obbligandolo alle dimissioni.
2 dicembre 1893 In Sicilia cominciano le agitazioni popolari. lalba dei fasci
siciliani.
9-25 dicembre 1893 A Palermo le manifestazioni contro il dazio di consumo e
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B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
le tasse comunali vengono represse con straordinaria violenza e provocano decine di morti.
23 dicembre 1893 Crispi che ha sostituito Giolitti alla guida del governo chiede
e ottiene lautorizzazione a usare la forza in Sicilia in caso di necessit.
3 gennaio 1894 Crispi d il via a una violenta repressione. Dichiara contro i
moti popolari lo stato dassedio (cesser il 19 agosto) in Sicilia e scioglie i Fasci.
6 gennaio 1894 Scorre in piazza, a Carrara, il sangue. Gli anarchici organizzano una manifestazione di solidariet a favore dei siciliani. La polizia spara e
uccide nove lavoratori. Scatta anche in Lunigiana lo stato dassedio. Ma le manifestazioni continuano: a Massa altri due morti, il 17 gennaio a Carrara vengono uccise altre 15 persone, una vittima a Saravezza in provincia di Lucca.
Nonostante lo sdegno, Crispi tira dritto e con una legge scioglie le organizzazioni
anarchiche. Lo stato dassedio cesser in Lunigiana il 21 giugno.
1 febbraio 1894 Engels risponde ad Anna Kuliscioff: i socialisti possono creare
una coalizione con repubblicani e radicali per costruire uno stato democratico.
7 aprile 1894 Processo ai capi dei fasci siciliani a Palermo. De Felice-Giuffrida
viene condannato a 18 anni di cercare.
26 aprile 1894 Nasce la Lega dei ferrovieri.
16 giugno 1894 Paolo Lega attenta a Roma alla vita di Crispi che esce illeso.
15 ottobre 1894 Viene arrestato in Francia, Alfred Dreyfuss, ufficiale di artiglieria ebreo accusato ingiustamente di spionaggio a favore dellImpero Tedesco.
A suo favore si mobiliter anche Emile Zola con quellatto pubblico di accusa
(Jaccuse) che rester nella storia politica.
22 ottobre 1894 Crispi scioglie il Partito socialista dei lavoratori italiani.
13 gennaio 1895 Si svolge a Parma in clandestinit (avendo Crispi deciso lo
scioglimento) il congresso del Partito socialista dei lavoratori italiani che assume
definitivamente il nome di Partito Socialista Italiano (Psi). Ladesione al partito
diventa individuale e non pi attraverso le societ operaie.
24 marzo 1895 Il Psi vara il programma minimo. Tra gli obiettivi: suffragio
universale, uguaglianza dei due sessi, prolungamento della scuola dellobbligo,
tassa progressiva sui redditi e le successioni, statalizzazione di miniere, ferrovie
e mezzi di navigazione, giornata di otto ore lavorative, distribuzione delle terre
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L E D AT E , I FAT T I
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21 marzo 1897 LItalia va ancora anticipatamente alle urne e vota la met degli
aventi diritto (un milione e 241 mila). La destra non riesce a sfondare mentre
lestrema sinistra porter alla Camera ottanta deputati, tra i quali sedici socialisti.
18-20 settembre 1897 Al V congresso del Partito Socialista, il giornale
Avanti! viene proclamato organo ufficiale del partito. Una mozione presentata
da Anna Kuliscioff ed Ettore Reina impegna il partito a partecipare alle battaglie
sindacali per il miglioramento della legislazione sul lavoro.
1 gennaio 1898 Nasce Cultura Sociale. Il giornale, fondato dal sacerdote Romolo Murri, diventer lorgano della Democrazia Cristiana.
23 gennaio 1898 Diminuisce il dazio sulle farine ma nel frattempo vengono
richiamati alle armi 40 mila uomini per far fronte a eventuali tumulti legati al
prezzo del pane.
23 febbraio 1898 A Modica per disperdere un corteo la polizia uccide due dimostranti.
6 marzo 1898 Ferruccio Macola deputato di destra uccide in duello Felice Cavallotti. Carducci lo commemora a Bologna e la polemica tra destra e sinistra si
fa pi cruenta.
17 marzo 1898 Lassicurazione contro gli infortuni sul lavoro diventa obbligatoria.
26 aprile 1898 Cominciano i tumulti contro il caro-pane. Prima esplodono in
Romagna, poi in Puglia, Marche, Campania, Toscana, Piemonte, Lombardia.
Parma viene messa in stato dassedio il 30 aprile. A Faenza le proteste diventano
tumulti e tra i manifestanti in piazza c un ragazzo di sette anni: Pietro Nenni.
A Bagnocavallo (Ravenna) il 3 maggio vengono uccisi tre dimostranti. Un morto
a Piacenza e Figline Valdarno, due a Soresina. A Pavia viene ucciso il 5 maggio
Muzio Romussi, figlio del direttore del Secolo, il quotidiano di Cavallotti . Il governo decide che, se necessario, si pu proclamare lo stato dassedio. Salvemini
scrive a Turati chiedendogli di prendere, come leader del Psi, la guida del movimento. Ma Turati risponde negativamente perch le condizioni tra Nord e Sud
sono diseguali.
6-9 Maggio 1898 La strage di Bava Beccaris a Milano. Tutto comincia con la
repressione di una manifestazione proclamata dagli operai della Pirelli e della
Stigler per larresto di un loro compagno scoperto ad affiggere manifesti socialisti. Ma pian piano la protesta si allarga al prezzo del pane e si trasforma anche
nella risposta alluccisione di Romussi. Bava Beccaris proclama lo stato dassedio
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L E D AT E , I FAT T I
e ordina di sparare sulla folla. Sar una carneficina. Che si estender a tutta
lItalia: sette morti a Monza, due a Genzano vicino Roma, sette a Firenze, tre a
Sesto Fiorentino, due a Napoli. Bava Beccaris ricever una decorazione dal re,
Umberto I che non avvertir la vergogna di quella strage.
14 giugno 1898 I muratori di Trento scioperano per 18 giorni. Ottengono la
riduzione a dieci ore dellorario di lavoro.
10 settembre 1898 Lanarchico Luigi Lucheni uccide limperatrice Elisabetta
dAustria a Genova.
1 gennaio 1899 Filippo Turati e Luigi De Andreis vengono dichiarati decaduti
dalla carica di parlamentare essendo stati condannati per i tumulti del maggio
1898.
1 giugno 1899 Rinasce a Milano la Federazione operai edili. E con il Riscatto
ferroviario vengono poste le premesse del sindacato unitario.
3 giugno 1899 Grazie allindulto, Filippo Turati pu lasciare il carcere.
11 giugno 1899 La coalizione composta da socialisti, repubblicani e radicali
batte nelle elezioni amministrative la lista clerico-moderata. Aperture di Turati
e Treves nei confronti di Giolitti.
22 giugno 1899 Per decreto la libert di stampa viene pesantemente condizionata. La scelta del provvedimento durgenza viene compiuta per aggirare lostruzionismo parlamentare.
11 luglio 1899 Nasce la Fiat, Fabbrica Italiana Automobili Torino.
20 febbraio 1900 La Cassazione dichiara nullo il decreto sullordine pubblico
che limita la libert di stampa.
3-10 giugno 1900 Nuove elezioni. Aumenta laffluenza (58,3 per cento), avanza
la sinistra che ottiene 96 deputati.
7 luglio 1900 La Camera autorizza la partecipazione italiana al corpo di spedizione internazionale che in Cina avrebbe sedato la ribellione dei Boxer (Pugili
della Giustizia e della Concordia) che si opponevano a un colonialismo soprattutto economico che per le popolazioni indigene si trasformava in alti tassi di disoccupazione. Alla coalizione partecipano, oltre allItalia, gli Stati Uniti, il
Giappone, la Russia, il Regno Unito, la Germania e lAustria-Ungheria. La rivolta sarebbe finita il 7 settembre del 1901.
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1901-1910
Ecco la Confederazione e le Federazioni
27 gennaio 1901 Muore a Milano Giuseppe Verdi
22 maggio 1901 Viene ucciso in carcere dalle guardie carcerarie Gaetano Bresci, lanarchico che aveva assassinato Umberto I. Inizialmente la morte era stata
fatta passare per un suicidio.
16-18 giugno 1901 Nasce a Livorno la Federazione Italiana Operai Metallurgici (Fiom). Viene nominato segretario loperaio Ernesto Verzi. La sede viene fissata a Roma.
27 giugno 1901 A Berra Ferrarese in provincia di Ferrara la polizia spara sui
braccianti in sciopero: tre morti e ventitr feriti.
30 ottobre 1901 Nasce la Federazione Nazionale dei Lavoratori Chimici.
24-25 novembre 1901 Nasce a Bologna la Federazione Nazionale dei Lavoratori della Terra (Federterra). Tra i fondatori, Argentina Altobelli che qualche
anno pi tardi (1906) ne assumer la guida.
2 agosto 1902 Una decina di giorni di sciopero allIlva di Savona contro i licenziamenti minacciati dalla direzione aziendale. Le minacce rientrano.
5 agosto 1902 La polizia spara contro i contadini che reclamano meno tasse e
pi salario: un morto e 4 feriti.
6-9 settembre 1902 Al congresso del Psi duro scontro tra Turati e Arturo Labriola che sollecita una linea pi rivoluzionaria, di attacco allo stato. Prevale la
tesi riformista con il conseguente appoggio al governo.
8 settembre 1902 A Candela, in provincia di Foggia, viene repressa una manifestazione in cui si chiedono aumenti salariali: cinque morti e dieci feriti.
13 ottobre 1902 A Giarratana (Ragusa) una manifestazione di braccianti termina nel sangue: due morti (tra cui un bambino di quattro anni).
23 febbraio 1903 La repressione colpisce a Petaccio in provincia di Campo-
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di Milano. Lo stesso giorno a Castelluzzo (Trapani) altri due morti tra i contadini
in sciopero.
15 settembre 1904 Scatta lo sciopero generale. il primo in Italia. Si estender
in tutto il Paese. A Milano sar ucciso lanarchico Galli. Ai funerali parteciper
il pittore Carr che a quellevento nel 1911 si ispirer per un suo famoso dipinto
futurista. Complessivamente lo sciopero durer tre giorni e per lastensione dal
lavoro dei gasisti, Bologna rester al buio.
18 settembre 1904 Il Parlamento viene sciolto e vengono indette elezioni per
il 6 novembre.
6 novembre 1904 Alle elezioni vincono soprattutto i socialisti riformisti: lala
rivoluzionaria riesce a mandare in Parlamento solo un rappresentante, Enrico
Dugoni.
1 febbraio 1905 Nasce lIlva, colosso della siderurgia, che mette insieme le societ Savona, Ligure e Terni a cui poi si aggrega anche lElba.
10 marzo 1905 A San Marco in Lamis, in provincia di Foggia, la polizia carica
un corteo pacifico di braccianti provocando morti e feriti. La scena si ripeter il
16 aprile a Torre Santa Susanna (un morto) e a Cerignola, il 16 maggio, sempre
nel foggiano (tre vittime).
18 agosto 1905 Strage a Grammichele, in provincia di Catania: i contadini minacciano lassalto al Municipio e la forza pubblica la ferma a fucilate, lasciando
per terra quattordici corpi senza vita.
3-6 settembre 1905 Sciopero dei minatori di Buggerru (Cagliari) contro le
condizioni disumane di lavoro. La polizia interviene e ne ammazza tre.
8 settembre 1905 Un violento terremoto, con epicentro a Nicastro (attuale Lametia Terme) provoca 557 morti in Calabria, nella zona tirrenica, tra Cosenza e
Nicotera.
16 settembre 1905 Manifestazione di contadini a Castelluzzo vicino Trapani:
due morti. Il 18 dicembre unaltra vittima a Francavilla Fontana, vicino Brindisi.
24 dicembre 1905 Don Luigi Sturzo pur ritenendo utile la creazione di un partito cattolico aconfessionale e autonomo rispetto alle gerarchie ecclesiastiche,
proietta nel futuro il raggiungimento di questo obiettivo cos differenziandosi da
Romolo Murri.
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1911-1920
Tra guerra, Biennio Rosso e fascismo
14 gennaio 1911 La CGdL apre la vertenza contro il caro-vita e per il suffragio
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universale.
20 marzo 1911 Si dimette il presidente del Consiglio Luzzatti. Lincarico viene
attribuito a Giolitti che prova ad aprire ai socialisti offrendo a Leonida Bissolati
il ministero dellagricoltura, industria e commercio. Bissolati rifiuta ma partecipa, il 23 marzo, alle consultazioni del re (primo socialista ad entrare al Quirinale). lavvio di una china che porter allespulsione dal Psi, nel 1912, della
componente di destra dellarea riformista.
6 aprile 1911 Giolitti illustra alla Camera il suo programma: riforma elettorale
con ampliamento del suffragio e indennit per i parlamentari in maniera tale
che possano far politica anche i meno agiati. Ottiene la fiducia due giorni dopo
con 340 voti a favore e 88 contrari.
24-28 maggio 1911 Terzo congresso della CGdL a Modena. Vince la mozione
che chiede alla Confederazione di essere autonoma da tutti i partiti.
21 agosto 1911 Vincenzo Perugia, decoratore in attivit al Louvre, ruba la Gioconda di Leonardo da Vinci. Il furto verr scoperto solo il giorno dopo. Perugia
proporr lacquisto del quadro allantiquario fiorentino Alfredo Geri nellautunno del 1913. L11 dicembre lantiquario incontra Perugia in un albergo fiorentino. Constatata lautenticit lo consegna ai carabinieri e il giorno dopo Perugia
viene arrestato.
29 settembre 1911 I venti di guerra diventano tempesta. Scoppia il conflitto
fra il Regno dItalia e lImpero Ottomano per la conquista della Tripolitania e
della Cirenaica. Sarebbe durato un anno e avrebbe visto lesordio di nuovi mezzi
militari: gli aerei, le automobili (Fiat tipo 2) e le motociclette (Siamit). Lavvio
delle operazioni belliche era stato deciso due settimane prima, il 15 settembre,
da Giolitti che temeva un tentativo di mediazione da parte di Austria e Germania,
in quel momento ancora potenze alleate. Lo sciopero contro la guerra proclamato per il 25 settembre dalla CGdL ottiene un grande successo soprattutto in
Emilia. In Romagna le agitazioni vengono capeggiate da Benito Mussolini e da
Pietro Nenni assumendo anche forme violente.
15-18 ottobre 1911 La guerra divide il Psi. Al XII congresso che si svolge a Modena lala riformista di sinistra guidata da Turati e Modigliani si schiera contro
la guerra ed entra in polemica con quella di destra capeggiata da Bissolati e Bonomi.
23 ottobre 1911 A Sciara Sciat loffensiva turca provoca quattrocento morti tra
i bersaglieri italiani. La rappresaglia italiana sar feroce e coinvolger anche
le popolazioni civili delloasi libica scatenando le proteste internazionali.
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molto movimentato. Una mozione presentata da Benito Mussolini chiede lespulsione di Bonomi, Bissolati e Cabrini per lomaggio al re. La corrente rivoluzionaria conquista la guida del partito con Costantino Lazzari che va alla segreteria
e Giovanni Bacci alla direzione dell Avanti! fino al 1 dicembre quando lo sostituir Mussolini. Lespulsione di Bissolati, Bonomi e Cabrini verr proclamata
lultimo giorno del congresso. I tre, insieme ad altri nove parlamentari, fonderanno il Partito Socialista Riformista Italiano (Psri). Turati lo definir il partito
dei candidati.
18 ottobre 1912 Finisce la guerra con la Turchia per la Tripolitania e la Cirenaica. I turchi vengono obbligati dal trattato di Losanna a ritirare le truppe. Ma
quella spedizione dal punto di vista della perdita di vite umane presenter al
Regno un conto altissimo: 3.431 morti di cui 1.483 in combattimento e 1.948 per
malattie.
5 dicembre 1912 La Triplice Intesa viene rinnovata per altri due anni, sino
all8 luglio del 1914. AllItalia viene riconosciuto il possesso dei territori libici.
8-9 dicembre 1912 La Fiom riunisce ad Alessandria il congresso straordinario.
Il bilancio che Bruno Buozzi presenta contiene luci ed ombre, ad esempio la vicenda torinese. Da un lato le situazioni esterne difficili (la depressione economica
conseguente alle guerre), dallaltro le polemiche alimentate allinterno dai sindacalisti rivoluzionari. Infine, questioni spinose come quella della sezione Aggiustatori e Tornitori di Milano che non pagavano le quote e contemporaneamente
criticavano ferocemente i vertici federali venendo aizzati dai sindacalisti rivoluzionari. Alla fine, la sezione viene espulsa ma solo per le quote non pagate. Bruno
Buozzi viene proclamato Segretario Generale.
13 febbraio 1913 La Fiom di Bruno Buozzi rilancia loffensiva sindacale. Gli
operai danno mandato alla Fiom di preparare un memoriale (cio una piattaforma rivendicativa) che prevede la riduzione di sei ore settimanali dellorario
di lavoro, un aumento salariale del 12 per cento, minimi di paga, riconoscimento
delle commissioni interne, lattribuzione allaccordo finale del valore di contratto
collettivo. La conferma del mandato alla Fiom viene ribadita con un referendum
nelle fabbriche torinesi che si svolge tra il 22 e il 28 febbraio. I datori di lavoro
provano ad evitare il confronto con la Fiom che il 15 marzo proclama uno sciopero che durer 93 giorni finendo, per, molto meglio di quello dellanno precedente.
19 marzo 1913 Entrano in sciopero i lavoratori delle fabbriche di auto di Milano
(Isotta Fraschini, Eduardo Bianchi e Alfa): chiedono aumenti salariali e riduzioni
orarie. Guida lo sciopero Filippo Corridoni, leader dellUsi, lorganizzazione sindacale che fa capo ai sindacalisti rivoluzionari. La CGdL non appogger lagi-
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tazione ritenendola imprudente in un periodo di congiuntura negativa per il settore siderurgico. Atteggiamento che non sar condiviso dal direttore dell
Avanti!, Benito Mussolini che attaccher violentemente il segretario generale
della Confederazione, Rinaldo Rigola.
27-28 maggio 1913 Aderiscono allagitazione dei metallurgici anche i tramvieri milanesi. La vertenza finir soltanto in estate con una sconfitta.
19 giugno 1913 Rinaldo Rigola si dimette da segretario della CGdL dopo gli attacchi di Mussolini.
23 giugno 1913 Gli operai torinesi tornano al lavoro dopo novantatr giorni
di sciopero. La Fiom strappa un accordo che prevede una riduzione di tre ore
dellorario di lavoro, un massimo di otto ore settimanali di straordinario, medie
di paga garantite.
22 settembre 1913 Il consiglio nazionale della CGdL approva la condotta di
Rinaldo Rigola che resta al suo posto.
26 ottobre 2 novembre 1913 Alle elezioni con la nuova legge elettorale, le
diverse liste socialiste raddoppiano i seggi: 52 se li aggiudica il Psi, 19 il Psri e 8
i sindacalisti rivoluzionari (tra gli eletti Alceste De Ambris e Arturo Labriola). I
cattolici eleggono venti deputati ma soprattutto attraverso il Patto sottoscritto
dallUnione Elettorale Cattolica Italiana presieduta da Vincenzo Ottorino Gentiloni, condizioneranno la composizione del pattuglione (304 eletti) liberale che
approder alla Camera.
16 dicembre 1913 Il governo di Giovanni Giolitti ottiene la fiducia con 362 voti
a favore.
10 marzo 1914 Cade il governo Giolitti per luscita dei radicali dalla maggioranza.
5 aprile 1914 Il governo guidato da Antonio Salandra ottiene la fiducia (303
voti)
5-9 maggio 1914 Al quarto congresso della CGdL che si svolge a Mantova,
vince la componente riformista guidata da Rinaldo Rigola.
7 giugno 1914 Scatta la settimana rossa. Ad Ancona, a un comizio anti-militarista, vengono uccisi tre manifestanti. Da l comincer una settimana di agitazioni. Scioperi spontanei vengono proclamati in varie zone del paese. Alla fine,
il 10 giugno, danno ladesione alle manifestazioni anche il Psi e la CGdL. Ma la
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24 ottobre 1917 Limpreparazione italiana e la mediocrit di Cadorna emergono drammaticamente a Caporetto. Lesercito italiano verr obbligato ad arretrare di centocinquanta chilometri.
30 ottobre 1917 I francesi si impegnano a mandare rinforzi agli italiani. Nel
frattempo a Roma nasce il governo Orlando.
2-3 novembre 1917 Gli austriaci avanzano ancora e Cadorna ordina la ritirata
sulla linea del Piave. La battaglia di Caporetto finita. Il bilancio appare disastroso.
5-6 novembre 1917 Il convegno interalleato che si tiene vicino Genova, a Rapallo, chiede allItalia di sollevare Cadorna. La richiesta sar esaudita tre
giorni dopo con la nomina di Armando Diaz.
6-7 novembre 1917 I bolscevichi assaltano a Pietroburgo il Palazzo dInverno.
la rivoluzione di ottobre (24-25 ottobre secondo il calendario ortodosso).
15 dicembre 1917 Il nuovo governo, bolscevico, russo chiude larmistizio con
Austria e Germania a Brest-Litvosk in Bielorussia.
22 dicembre 1917 Il governo Orlando ottiene la fiducia
12 gennaio 1918 Viene istituita una commissione di inchiesta parlamentare
sulla disfatta di Caporetto.
8 giugno 1918 Le mondine a Novara stipulano un contratto che fissa la giornata lavorativa a otto ore.
21 giugno 1918 Gli italiani sul Piave respingono definitivamente gli austriaci.
Il bilancio pesantissimo: ottomila morti tra gli italiani e 11.600 tra gli austriaci.
1-5 settembre 1918 Al XV congresso del Psi vince lala intransigente che propugna il programma massimo, cio labbattimento del capitalismo.
11 settembre 1918 Ludovico DAragona, riformista, subentra nella carica di
segretario della CGdL a Rinaldo Rigola che si era dimesso in polemica con l
Avanti!. Nel frattempo nasce la Cil, lorganizzazione sindacale cattolica.
Ottobre 1918 LItalia viene flagellata dalla spagnola, linfluenza che provocher seicentomila morti.
24 ottobre 1918 Armando Diaz sferra sul Grappa loffensiva finale.
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1921-1930
La lunga notte della libert
14 gennaio 1921 Mussolini si riconcilia con il capitalismo con un articolo sul
Popolo dItalia
15-21 gennaio 1921 Al congresso socialista di Livorno il partito si spacca e il
21 gennaio i comunisti fondano il PCdI aderendo alla Terza Internazionale ed
eleggono segretario il napoletano Amadeo Bordiga.
24 gennaio 1921 A Bologna i fascisti assaltano la Camera del lavoro, distruggono la tipografia e gli uffici delle leghe. Il giorno successivo i lavoratori scioperano e i fascisti tentano di imporre la ripresa del lavoro assistiti dalla polizia.
26 gennaio 1921 Assaltate a Bologna la Societ operaia e la sede della Federterra.
9 febbraio 1921 A Trieste incendiata la sede del quotidiano Il Lavoratore.
16 febbraio 1921 Bastonato il sindaco di Castelmaggiore (Bologna) davanti ai
poliziotti indifferenti.
26 febbraio 1921 Al congresso della CGdL prevale la linea riformista e viene
sollecitato al governo un programma di lavori pubblici.
27 febbraio 1921 La provincia di Firenze assediata dalle squadracce fasciste:
20 morti, 150 feriti, 1.500 arrestati.
28 febbraio 1921 A Trieste e nellIstria devastate le Camere del Lavoro. Anche
a Milano e a Carpi.
16 marzo 1921 La Fiat licenzia 1500 operai. Poi, in risposta agli scioperi, procede alla serrata. Le proteste termineranno solo il 6 maggio.
21 marzo 1921 A Milano attentato al teatro Diana. Ventuno morti, riconosciuti
come responsabili gli anarchici Giuseppe Mariani e Giuseppe Boldrini. Ma sulla
ricostruzione restano zone dombra e non si mai capito in quale misura alla
progettazione dellattentato abbiano contribuito gruppi di fascisti.
31 marzo 1921 Le squadracce seminano il terrore in provincia di Ferrara.
1 aprile 1921 Arrestato il sindaco socialista di Castel San Pietro in provincia di
Bologna. Alla base dellarresto il ruolo avuto da segretario della Camera del la-
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15 maggio 1921 I socialisti ottengono alle elezioni 123 deputati (Bruno Buozzi
viene confermato), i comunisti quindici, 108 i Popolari. Ai fascisti vanno trentacinque seggi.
24 maggio 1921 A Castelguelfo (Bologna) picchiato a morte Enrico Bonoli.
1 luglio 1921 Cade il governo Giolitti e al suo posto si insedia quello presieduto
da Ivanoe Bonomi.
21 luglio 1921 A Sarzana i fascisti attaccano la stazione, vengono fermati dalla
popolazione e dai carabinieri. Ventuno morti. Mussolini, intanto, tratta con i socialisti un patto di pace.
3 agosto 1921 Il patto di pacificazione viene firmato ma al congresso regionale
di Bologna gli emiliani lo respingono. Mussolini per protesta annuncia le dimissioni dalla Commissione esecutiva. Le dimissioni vengono respinte dal Consiglio
Nazionale che si svolge a Firenze il 26 dello stesso mese.
29 agosto 1921 Socialisti aggrediti a Castiglion dei Pepoli (Bologna): muore
negli scontri la madre di un fascista.
10-15 ottobre 1921 Al congresso socialista che si svolge a Milano prevalgono i
massimalisti.
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L E D AT E , I FAT T I
11 dicembre 1926 Filippo Turati lascia lItalia a bordo del motoscafo guidato
da Italo Oxilia.
4 gennaio 1927 Rigola, DAragona, Calda, Colombino, Maglione, Reina e Azimonti sciolgono la CGdL e preparano la nascita della Rivista Problemi del Lavoro.
30 gennaio 1927 Bruno Buozzi a Parigi dichiara che la CGdL stata trasferita
allestero (ufficialmente sotto le insegne dellInternazionale di Amsterdam).
20 febbraio 1927 In una fabbrica di specchi a Milano, lala comunista fa rinascere in clandestinit la CGdL e decide la riapertura del giornale Battaglie sindacali.
15 marzo 1927 Esce il primo numero clandestino di Battaglie sindacali.
19 marzo 1927 Arrestato Alcide De Gasperi per tentato espatrio: si far sedici
mesi di carcere.
9 aprile 1927 A Boston viene confermata la condanna a morte degli anarchici
italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.
21 aprile 1927 Tito Zaniboni e Luigi Capello sono condannati a trentanni di
carcere per lattentato a Mussolini.
22 aprile 1927 Il Gran Consiglio del Fascismo emana la Carta del Lavoro.
1 giugno 1927 Arrestato Carlo Rosselli.
2 giugno 1927 Nonostante limpegno di Bruno Buozzi e della Cgt, il Bureau International du Travail con il voto compatto dei rappresentanti dei governi e dei
datori di lavoro riconosce i sindacati fascisti al posto della CGdL.
12 aprile 1928 Attentato al re. Muoiono venti persone.
17 maggio 1928 Promulgata una nuova riforma elettorale. Prevede il voto su
ununica lista. il plebiscito.
18 ottobre 1928 Fucilato Michele Della Maggiora condannato per aver ucciso
due fascisti. la prima esecuzione dopo la reintroduzione della pena di morte.
21 ottobre 1928 Aggredito ferocemente dai fascisti Pasquale Bulzamini a Viareggio: in un bar aveva criticato lesecuzione di Della Maggiora. Muore in ospe-
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cialista Italiano.
25 luglio 1930 La terra trema in Irpinia: 2.500 morti.
14 settembre 1930 In Germania il partito nazista ottiene un notevole successo
elettorale conquistando 107 deputati.
28 novembre 1930 In seguito alla crisi economica, industriali e sindacati fascisti si accordano per una riduzione dei salari dell8 per cento. Quelli degli statali
vengono ridotti del 12 ma nella realt il taglio sar tra il 15 e il 25 per cento.
1931-1940
LEuropa diventa un mattatoio
14 febbraio 1931 Congresso clandestino in Germania del PCdI. Viene proposta
la trasformazione dellItalia in uno stato federale.
3 aprile 1931 Arrestato Pietro Secchia.
12 aprile 1931 Netta vittoria dei repubblicani in Spagna. Alfonso XIII fugge allestero (morir allHotel Excelsior di Roma)
14 maggio 1931 Arturo Toscanini si rifiuta di eseguire a Bologna la marcia
reale e Giovinezza. Schiaffeggiato da alcuni fascisti, andr in esilio negli Usa
e torner in Italia solo nel 1946.
15 maggio 1931 Secondo atto della Dottrina sociale della Chiesa: Pio XI pubblica lenciclica Quadragesimo Anno, nel quarantesimo anniversario della
Rerum Novarum di Leone XIII.
28 maggio 1931 Il tribunale speciale condanna a morte lanarchico sardo Michele Schirru tornato dagli Usa in Italia per uccidere Mussolini. Lesecuzione avverr il giorno dopo.
15-17 giugno 1931 A Medicina, nei pressi di Bologna, le mondine entrano in
sciopero dopo che i sindacati fascisti avevano accettato una nuova riduzione del
salario.
1 luglio 1931 Ecco il nuovo codice penale di Alfredo Rocco. Per i reati politici
prevista la pena di morte.
3 ottobre 1931 Lauro De Bosis sorvola Roma e lancia volantini antifascisti. Si
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29 giugno 1934 la notte dei lunghi coltelli. Hitler fa fuori tutte le opposizioni
allinterno del suo partito.
25 luglio 1934 I nazisti in Austria tentano il colpo di stato. Dolfuss viene assassinato e Mussolini, alleato dellAustria schiera le truppe al confine convincendo Hitler a rinunciare momentaneamente allannessione.
17 agosto 1934 Dopo contrasti e polemiche violente, PCdI e Psi firmano il Patto
dUnit dazione in funzione antifascista.
9 ottobre 1934 Gli ustascia croati uccidono Alessandro I, re di Jugoslavia.
16 ottobre 1934 Mao guida in Cina la Lunga Marcia.
5 novembre 1934 Contro la disoccupazione, il fascismo riduce a 40 ore la settimana lavorativa.
13 gennaio 1935 Accordandosi con la Francia, lItalia ottiene la possibilit di
andare alla ricerca del posto al sole in Etiopia.
9 marzo 1935 Hitler comincia a prepararsi alla guerra e Goering, in contrasto
con il trattato di pace di Versailles, annuncia la creazione dellaeronautica tedesca.
16 marzo 1935 Hitler denuncia il trattato di Versailles e avvia una politica di
riarmo.
16 giugno 1935 Nasce il sabato fascista: la mezza giornata libera, per, bisogna dedicarla alladdestramento militare, politico, sportivo.
11 settembre 1935 Comincia a Parigi il primo congresso di Giustizia e Libert.
15 settembre 1935 La Germania emana le leggi razziali.
2 ottobre 1935 Comincia lavventura italiana in Etiopia.
6 ottobre 1935 Le truppe italiane occupano Adua e Adigrat.
2 novembre 1935 La Societ delle Nazioni, dopo aver censurato il comportamento italiano in Etiopia, decide di colpirla con le sanzioni. Mussolini prima le
definir inique e poi adotter la politica dellautarchia.
8 novembre 1935 Le truppe italiane conquistano Axum e Macall.
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L E D AT E , I FAT T I
18 novembre 1935 Oro alla Patria: il regime ha bisogno di soldi per finanziare la campagna etiope e si appella alla generosit degli italiani. Trovando
ascolto anche in intellettuali illustri come Benedetto Croce che dona la sua medaglia da senatore e Luigi Pirandello che si priva di quella del Nobel.
20 gennaio 1936 Il generale Graziani conquista Neghelli.
15 febbraio 1936 Badoglio conquista lAmba Aradam.
16 febbraio 1936 In Spagna le sinistre vincono le elezioni.
7 marzo 1936 Hitler comincia a muoversi. Dopo aver riconquistato la Saar con
un referendum, si impossessa della zona smilitarizzata della Renania.
30 marzo 1936 Accordo tra le polizie fascista e nazista per reprimere le opposizioni ai regimi.
1 maggio 1936 Si chiude la polemica tra la CGdL in esilio e quella clandestina.
Bruno Buozzi, dopo brevi trattative, sana la frattura e il sindacato ritrova lunit
dazione. La chiusura della diatriba favorita anche dal nuovo clima che caratterizza i rapporti tra comunisti e socialisti.
5 maggio 1936 Le truppe italiane entrano ad Adis Abbeba.
9 maggio 1936 LItalia fascista si stordisce con il sogno imperiale: lEtiopia
viene unita alla Somalia e allEritrea.
30 giugno 1936 Il Negus Haill Selassi alla Societ delle Nazioni chiede di non
riconoscere la conquista italiana ma lassemblea non gli d ascolto e cancella le
inique sanzioni.
18 luglio 1936 Comincia la guerra civile spagnola. Una cospirazione militare
sostenuta dai monarchici e dalla Falange tenta il colpo di Stato. Le truppe di
stanza in Marocco agli ordini di Francisco Franco invadono la Spagna meridionale. Hitler e Mussolini corrono in soccorso dei golpisti.
24 luglio 1936 Hitler e Mussolini decidono lintervento diretto nella guerra spagnola.
17 agosto 1936 Parte la Colonna Italiana organizzata dagli antifascisti, a sostegno del legittimo governo spagnolo.
19 agosto 1936 I franchisti fucilano il poeta Federico Garcia Lorca.
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nifesto sulla razza (che era stato pubblicato dal Giornale dItalia). Si dichiarano
razzisti personaggi come Badoglio, lo scrittore Ardengo Soffici, gli illustratori
Boccasile e Molino, e un giovanotto che far strada, Giorgio Almirante.
5 agosto 1938 Esce il primo numero de La difesa della Razza. Tra i redattori
c Giorgio Almirante.
1 settembre 1938 Primi provvedimenti razziali: espulsione degli ebrei stranieri, revoca della cittadinanza agli ebrei che lhanno ottenuta dopo il 1918, esclusione dallinsegnamento, divieto di iscrizione alle scuole secondarie e
raggruppamento in sezioni speciali in quelle primarie.
25 ottobre 1938 Anche la Libia entra a far parte del territorio italiano.
9 novembre 1938 Scatta la notte dei cristalli in Germania: la caccia alluomo contro gli ebrei. Saranno distrutte duecento sinagoghe, 7.500 negozi, ventiseimila persone saranno arrestate, una ventina uccise.
10 novembre 1938 Mussolini si allinea a Hitler ed emana nuove norme razziste: vietati i matrimoni tra italiani e persone di altre razze, ebrei esclusi dal servizio militare, dalle cariche pubbliche e nellesercizio delle attivit economiche
devono sottomettersi ad alcune limitazioni.
30 novembre 1938 Con una manifestazione alla Camera, lItalia avanza pretese su Tunisi, Corsica, Nizza e Savoia.
14 dicembre 1938 Muore il Parlamento anche da un punto di vista ufficiale
(in realt, da quello politico era deceduto gi da tempo). Con linizio del nuovo
anno entrer in funzione la Camera dei fasci.
10 febbraio 1939 Muore Pio XI
2 marzo 1939 Viene eletto Papa Eugenio Pacelli. Si chiamer Pio XII.
28 marzo 1939 Le truppe franchiste entrano a Madrid. La guerra civile finita.
7 aprile 1939 LItalia invade lAlbania.
16 aprile 1939 Papa Pio XII benedice il successo franchista in una Spagna
definita baluardo inespugnabile della chiesa cattolica.
15 maggio 1939 La Fiat inaugura lo stabilimento di Mirafiori.
22 maggio 1939 Ciano e von Ribbentrop firmano a Berlino il Patto dAcciaio.
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L E D AT E , I FAT T I
partito.
28 ottobre 1940 Mussolini comincia lavventura greca: sar un disastro.
5 novembre 1940 Roosevelt eletto per la terza volta presidente degli Stati
Uniti.
12 novembre 1940 Gli inglesi lanciano nella notte tra l11 e il 12 novembre un
pesantissimo attacco contro le navi della marina italiana ancorate nella rada di
Taranto. Gli aerei si alzano in volo alle 20,30 dell11 novembre; in due ondate
successive riescono a danneggiare seriamente la Conte di Cavour, lincrociatore
Trento e altre unit navali, approfittando della scarsa protezione antiaerea e
antisiluro. Per lapparato militare italiano i danni si riveleranno irrimediabili.
20 novembre 1940 Dura reprimenda di Hitler nei confronti di Mussolini per
la decisione di invadere la Grecia.
4 dicembre 1940 Badoglio la prima vittima del disastro greco: si dimette e
lascia il posto a Ugo Cavallero.
8 dicembre 1940 La controffensiva inglese in Africa obbliga gli italiani a una
rovinosa ritirata.
1941-1944
Lultimo eccidio, poi Roma libera
19 gennaio 1941 Mussolini incontra Hitler e lo convince a dargli aiuto in Africa
e nei Balcani
14 febbraio 1941 Rommel arriva a Tripoli.
1 marzo 1941 Bruno Buozzi viene arrestato a Parigi dalla Gestapo in Rue de la
Tour dAuvergne.
24 marzo 1941 Comincia loffensiva italo-tedesca sotto il comando di Rommel.
6 aprile 1941 Dopo la firma del patto di amicizia tra Jugoslavia e Russia, la
Germania invade la Jugoslavia e in dodici giorni la costringe alla capitolazione.
17 aprile 1941 Il duca dAosta si arrende agli inglesi sullAmba Alagi. Il regime
fascista ha perso tutta lAfrica orientale passata in mano agli inglesi.
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20 aprile 1941 La Grecia capitola e Atene viene sottoposta a una amministrazione italo-tedesca.
3 maggio 1941 La Slovenia annessa allItalia.
5 maggio 1941 Il Negus Hail Sellasi torna ad Adis Abbeba accolto trionfalmente.
22 giugno 1941 La Germania lancia lassalto allUrss senza dichiarare guerra.
lOperazione Barbarossa
26 giugno 1941 Mussolini decide di mandare un corpo di spedizione (62 mila
soldati) in Unione Sovietica. Sar un altro disastro.
1 luglio 1941 Le truppe tedesche spazzano via la linea Stalin.
7 luglio 1941 Nel Montenegro comincia linsurrezione jugoslava agli ordini di
Tito.
7 luglio 1941 Dopo essere stato spedito in Germania, Bruno Buozzi viene consegnato a Vipiteno alla polizia italiana.
13 luglio 1941 Bruno Buozzi viene trasferito nelle carceri di Ferrara dove sar
sottoposto a interrogatorio.
9 agosto 1941 Il ministero dellinterno, su richiesta del prefetto di Ferrara, Villa
Santa, dispone il confino per Bruno Buozzi.
17 agosto 1941 Con foglio di via obbligatorio, Bruno Buozzi viene spedito a
Montefalco, vicino Perugia, luogo del suo confino.
2 ottobre 8 dicembre 1941 la battaglia di Mosca. I tedeschi vengono inchiodati dalla resistenza militare e partigiana e dai rigori dellinverno.
16 ottobre 1941 A Parma per protestare contro il razionamento del pane (duecento grammi giornalieri) un gruppo di donne assalta un furgone della Barilla.
7 dicembre 1941 I giapponesi attaccano la flotta americana a Pearl Harbor.
8 dicembre 1941 Gli Stati Uniti entrano in guerra.
11 dicembre 1941 Germania e Italia dichiarano guerra agli Stati Uniti.
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L E D AT E , I FAT T I
pitoler mai.
9 settembre 1943 Il re e Badoglio, alle prime luci dellalba abbandonano Roma
in direzione del Sud.
12 settembre 1943 Un gruppo di SS libera Mussolini. il primo passo verso la
costituzione della Repubblica sociale. Nel frattempo, a Brindisi il re fa nascere il
Regno del Sud.
16 settembre 1943 Sulle panchine di piazza Mazzini si incontrano Buozzi e Roveda per decidere come muoversi nella clandestinit e avviare le trattative per
il Patto di Roma.
23 settembre 1943 Nasce la Repubblica Sociale Italiana.
29 settembre 1943 Nella casa della sorella di Oreste Lizzadri, Buozzi, Roveda,
Amendola e Nenni concordano la nascita di un sindacato unitario
30 settembre 1943 Bruno Buozzi comunica a Grandi lintenzione di realizzare
un sindacato unitario.
15 ottobre 1943 Vengono definite le delegazioni che lavoreranno al Patto di
Roma.
22 gennaio 1944 Le truppe americane sbarcano ad Anzio.
28 gennaio 1944 A Bari si svolge il congresso dei Comitati di liberazione nazionale.
28 gennaio 1944 Un convegno di delegati sindacali del Sud decide a Bari la
ricostituzione della CGdL, nomina Bruno Buozzi segretario generale e vice-segretari Roveda e Grandi.
31 gennaio 1944 Nasce a Milano il Comitato di Liberazione dellAlta Italia.
5 febbraio 1944 Muore nel carcere di Regina Coeli per le torture subite Leone
Gizburg.
15 febbraio 1944 Labbazia di Montecassino viene rasa completamente al suolo
nonostante non avesse alcun rilievo militare.
23 marzo 1944 Attacco partigiano a via Rasella contro una colonna di militari
tedeschi. Muoiono in trentatr. Herbert Kappler, capo delle SS a Roma ordina
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la rappresaglia delle Fosse Ardeatine: 335 civili verranno uccisi a sangue freddo.
Del lavoro si occuper Erich Priebke che ne uccider personalmente due.
13 aprile 1944 In una casa a viale del Re (lattuale viale Trastevere) viene arrestato Bruno Buozzi. Tradotto nella prigione di via Tasso, ne uscir solo per
lultimo viaggio che si concluder a La Storta.
28 maggio 1944 La famigerata banda Koch organizza un agguato ai danni di
Eugenio Colorni, uno degli autori del Manifesto di Ventotene. Sar gravemente
ferito e morir due giorni dopo nellospedale romano di San Giovanni.
3 giugno 1944 la data ufficiale del Patto di Roma: gi definito nella sostanza
in realt verr effettivamente firmato sei giorni dopo.
4 giugno 1944 Mentre le truppe americane entrano a Roma, da via Tasso partono quattro camion pieni di prigionieri antifascisti. Sullultimo trova posto
Bruno Buozzi insieme ad altri tredici sfortunati compagni di viaggio. Il mezzo si
fermer a quattordici chilometri dal centro di Roma, nella tenuta Grazioli. I prigionieri saranno fatti scendere, tenuti in un fienile e poi ammazzati a sangue
freddo. leccidio de La Storta.
9 giugno 1944 Giuseppe Di Vittorio, Achille Grandi ed Emilio Canevari firmano
il Patto di Roma, latto con il quale rinasce la Confederazione unitaria. In calce
al documento verr inserita la data ufficiale del 3 giugno per onorare la memoria di Bruno Buozzi che era stato il motore delliniziativa e per sottolineare
che laccordo era stato negoziato sotto loccupazione nazista di Roma, nella clandestinit.
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Glossario
Alleanza del Lavoro Nacque per iniziativa del Sindacato dei Ferrovieri e
realizz lunione delle diverse sigle sindacali (CGdL, Usi, UIdL, Federazione
Italiana del Mare) per creare un argine al dilagare della violenza fascista.
Amma Associazione Metallurgici Meccanici Affini.
Associazione nazionalista italiana Anche Partito Nazionalista. Conflu
nel Pnf. Tra gli aderenti DAnnunzio e Verga.
Bit Bureau International du Travail Struttura dellOrganizzazione Internazionale del Lavoro, agenzia dellOnu fondata, per, nel 1919 e gi inserita
nella vecchia Societ delle Nazioni.
Blocchi Nazionali Cartello elettorale che nel 1921 aggreg Fasci di Combattimento, Associazione Nazionalista Italiana e spezzoni del giolittismo.
Bolscevichi Corrente del Partito Operaio Socialdemocratico Russo. Rappresentava lala (maggioritaria comunista) che vedeva nella rivoluzione lo strumento per giungere alla societ senza classi.
Brigate Garibaldi Erano le organizzazioni partigiane prevalentemente legate ai comunisti che combatterono durante la Resistenza.
Brigate Giustizia e Libert Pur avendo nel PdA la forza politica di riferimento, erano aperte alla partecipazione di combattenti che si ispiravano ad
altri filoni politici antifascisti.
Brigate Matteotti Erano le organizzazioni armate legate al Psiup che combatterono durante la Resistenza.
Censo Il censo a cui si fa riferimento in questo libro quello che dava diritto
al voto prima dellintroduzione del suffragio universale, cio il limite minimo
di tributi pagati per partecipare alle consultazioni elettorali.
CGdL Confederazione Generale del Lavoro.
Cgil Confederazione Generale Italiana del Lavoro, lorganizzazione nata con il
Patto di Roma.
Cgt Confderation gnrale du Travail, lorganizzazione sindacale francese a
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GLOSSARIO
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GLOSSARIO
Listone O anche Lista Nazionale. Aggregazione elettorale che alle elezioni del
1924 ruotava intorno al Pnf. Oltre ai nazionalisti (incorporati nel Pnf lanno
prima), vi aderirono liberali come Salandra e Vittorio Emanuele Orlando.
Massimalisti La corrente venne fondata da Giacinto Menotti Serrati e puntava al conseguimento dei traguardi massimi, in contrapposizione alle indicazioni del Programma Minimo sostenuto dai riformisti.
Memoriale Era il documento con il quale i sindacati presentavano ai datori
di lavoro le richieste contrattuali.
Menscevichi Corrente del Partito Operaio Socialdemocratico Russo che immaginava la trasformazione della societ attraverso riforme graduali.
Ministeriali Erano i candidati di governo nelle elezioni del 1882, del 1886,
del 1890 e del 1892.
Mobilitazione industriale Si realizza quando lapparato produttivo, con
una serie di provvedimenti, viene messo al servizio dellimpegno bellico.
Opposizione I candidati di opposizione nelle elezioni del 1882, del 1886, del
1890 e del 1892.
Oss Office of Strategic Services. Era il servizio segreto statunitense operante
durante la seconda guerra mondiale, cio lantesignano della Cia.
Ovra Polizia segreta del regime fascista e della Repubblica di Sal, passata
alla storia soprattutto per la sua attivit di repressione nei confronti degli antifascisti. Lacronimo metterebbe insieme sette parole: Opera volontaria per la
Repressione dellAntifascismo.
Partito Operaio Lantenato del Psi. Nacque nel 1882 a Milano per iniziativa
del giornale la Plebe.
Partito Radicale Fa la sua comparsa alle elezioni del 1895. il partito della
sinistra liberale.
Patto di Palazzo Vidoni Laccordo tra la Confederazione delle corporazioni
fasciste e la Confindustria con il quale la prima veniva riconosciuta come
lunica rappresentante dei lavoratori.
Patto di Roma Latto costitutivo del sindacato unitario.
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B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
Patto Gentiloni Laccordo che segn lingresso in politica dei cattolici, a rimorchio di Giolitti, nelle elezioni del 1913. Sino a quel momento era prevalsa la
linea dettata da Pio IX sintetizzata nella formula non expedit, cio la non
convenienza dei fedeli a una partecipazione diretta alla contesa politica.
PCdI Partito Comunista dItalia (Sezione dellInternazionale Comunista). Questo il primo nome del partito comunista nato dalla scissione di Livorno del
1921.
Pci Partito Comunista Italiano il nome che il partito comunista assume nel
1943 dopo lo scioglimento dellInternazionale Comunista.
PdA Partito dazione. Nacque a Roma nel giugno del 1942. Metteva insieme
vari filoni di pensiero (socialista, radicale, repubblicano, liberale, socialdemocratico).
Pdc Partito democratico costituzionale. Nasce da una costola del gruppone
giolittiano nel 1913.
Plebiscito In pratica le elezioni del 1929 e del 1934 nelle quali gli elettori venivano chiamati a esprimersi con un s o con un no su una lista di candidati
preparata dal Gran Consiglio del Fascismo.
Pli Partito Liberale Italiano. Nasce poco prima della marcia su Roma, l8 ottobre 1922. Benedetto Croce il segretario nel 1944.
Pnf Partito nazionale fascista. Fondato da Benito Mussolini nel 1921, filiazione
dei Fasci di Combattimento.
Ppi Partito Popolare Italiano. Fu fondato da Luigi Sturzo nel 1919.
Pri Partito Repubblicano Italiano. Nasce ufficialmente il 21 aprile del 1895. Si
presenta per la prima volta alle elezioni nel 1897.
Programma Minimo Venne elaborato dal Psi nel 1895, in vista delle elezioni. Tra gli obiettivi: suffragio universale, uguaglianza di genere, statalizzazione di miniere e ferrovie, tassazione progressiva su redditi e successioni,
distribuzione delle terre incolte, giornata lavorativa di otto ore e allungamento
della scuola dellobbligo.
Psi Partito Socialista Italiano. Si presenta per la prima volta alle elezioni del
1892.
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GLOSSARIO
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620, 637, 640, 652, 655, 666, 668, 671, 707,
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Dolci, Gioacchino 732
Dollman, Eugene 743
Don Brizio, Casciola 461, 462
Don Minzoni, Giovanni 727
Don Sturzo, Luigi 326, 423, 575
Dozza, Giuseppe 743
Dreyfus, Alfred 62, 702
Duca dAosta 271
Dugoni, Enrico 190, 300, 708
Dugoni, Eugenio 724
Dumini, Amerigo 279, 280, 281
Eichmann, Otto Adolf 581, 581, 582, 590, 599,
755
Engels, Friedrich 61, 192, 244, 697, 702
Epifani, Guglielmo 30
Facta, Luigi 271, 725, 726
Fanfani, Amintore 677
Farinacci, Roberto 185, 207, 269, 280, 284,
286, 469, 680
Federzoni, Luigi 466
Ferraris (IV), Attilio 531
Ferri, Enrico 707
Filzi, Fabio 717
Foa, Vittorio 637, 641, 645
Fortunato, Giustino 126, 278, 678, 697
Francesco Ferdinando 105, 688, 715
Francesco Giuseppe 717
Franchetti, Leopoldo 53, 126
Franco, Ciccio 487
Franco, Francisco 369, 381,737, 738,
Frassati, Alfredo 99, 100
Frazioni, Angelo 728
Gaggianesi, Carmela 439
Gaggianesi, Rina 57, 67,94, 349, 427, 428,
429, 433, 434, 435, 436, 438, 439, 440, 442,
443, 444, 445, 447, 448, 449, 460, 612, 613,
618, 656, 657, 658, 660, 661, 673
Gaiani, Angelo 728
Galletti, Carlo 66
Galli, Angelo 708
Galli, Giorgio 527, 528
Ganna, Luigi 66
Gatti, Tommaso 169
Garcia Lorca, Federico 737
764
765
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
400, 463, 531, 642, 674, 680, 687, 689, 740
Montesquieu 146
Morgagni, Manlio 165, 470
Morgari, Oddino 147, 428
Morini, Rosalino 728
Muller, Franz 618
Murri, Romolo 69, 704, 708, 710
Mussolini, Benito 15, 47, 51, 93, 94, 111, 113,
114, 115, 116, 117, 125, 165, 166, 167, 177,
178, 179, 181, 182, 183, 184, 192, 198, 200,
201, 202, 205, 206, 207, 208, 210, 212, 218,
228, 230, 231, 232, 234, 236, 243, 253, 267,
268, 269, 270, 271, 272, 273, 274, 276, 278,
279, 280, 281, 282, 283, 284, 285, 286, 293,
295, 296, 297, 298, 303, 304, 305, 306, 307,
308, 315, 324, 335, 350, 357, 359, 363, 364,
368, 369, 375, 376, 381, 385, 386, 388, 389,
391, 392, 397, 402, 403, 418, 424, 425, 440,
462, 465, 466, 467, 468, 469, 470, 483, 484,
485, 491, 519, 532, 535, 536, 543, 544, 545,
546, 569, 587, 588, 596, 619, 637, 652, 653,
665, 667, 669, 670, 671, 672, 673, 674, 676,
677, 680, 683, 685, 687, 688, 711, 713, 714,
715, 716, 719, 720, 723, 724, 726, 727, 727,
728, 729, 730, 731, 732, 733, 735, 736, 737,
738, 739, 740, 741, 742, 743, 744, 745, 750
Mussolini, Edda 732
Naldi, Filippo 715
Negri, Ada 56
Nenni Giuliana 524, 526, 618
Nenni, Luciana 434, 526
Nenni, Pietro 13, 38, 44, 53, 56, 57, 110, 121,
155, 172, 180, 181, 182, 185, 193, 194, 218,
229, 238, 249, 252, 255, 283, 303, 314, 349,
351, 364, 366, 368, 369, 370, 375, 379, 381,
386, 387, 392, 400, 412, 459, 471, 473, 475,
488, 497, 505, 513, 517, 523, 524, 525, 526,
527, 528, 529, 530, 531, 532, 533, 534, 535,
537, 538, 540, 542, 543, 544, 545, 546, 547,
591, 592, 593, 599, 606, 607, 617, 618, 620,
642, 655, 664, 672, 673, 680, 681, 684, 685,
704, 711, 730, 732, 745
Nicola II 717
Niccolai, Adelmo 722
Nissi, Leonardo 410
Nitti, Francesco Saverio 223, 225, 278, 681,
690, 719, 720, 721, 732
Nitti, Vincenzo 170, 173, 345
766
767
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
Tobagi, Walter 29, 552, 553, 665
Tomkins, Peter 532
Toniolo, Giuseppe 69
Toscanini, Arturo 733
Toselli, Pietro 703
Trentin, Bruno 20, 21, 30, 31, 162, 337, 381,
666
Trentin, Silvio 287, 428
Tresso, Pietro 410, 670
Treves, Claudio 19, 28, 48, 73, 74, 75, 76, 110,
111, 114, 115, 135, 136, 137, 138, 186, 187,
190, 208, 237, 238, 243, 244, 245, 246, 247,
253, 257, 258, 259, 260, 303, 316, 318, 320,
321, 343, 349, 355, 363, 364, 365, 366, 420,
459, 509, 530, 562, 683, 684, 685, 695, 698,
701, 705, 726, 730, 732, 735, 753
Trotsky, Lev 178, 182, 673, 688
Tupini, Umberto 657
Turati, Augusto 207
Turati, Filippo 13, 15, 19, 28, 45, 46, 48, 52,
55, 64, 72, 73, 74, 75, 76, 84, 86, 138, 155,
157, 161, 182, 184, 186, 187, 190, 191, 198,
201, 223, 224, 225, 226, 227, 228, 230, 231,
234, 237, 238, 242, 243, 244, 245, 248, 249,
258, 259, 260, 274, 278, 282, 303, 308, 316,
318, 320, 321,322, 335, 349, 351, 355, 364,
367, 368, 376, 408, 409, 410, 459, 507, 509,
529, 530, 535, 536, 538, 544, 562, 626, 627,
638, 659, 660, 662, 665, 675, 677, 678, 680,
681, 682, 683, 684, 685, 686, 690, 698, 699,
700, 701, 704, 705, 706, 710, 711, 712, 713,
717, 725, 726, 731, 732, 734, 753
Umberto I 51, 52, 529, 681, 686, 687, 705, 706
Umberto II 355, 687
Valera, Paolo 52, 111
Valiani, Leo 12, 184, 624, 641
Vandich, Raffaele 169
Vannini, Attilio 728
Vecchi, Eros 732
Verdi, Giuseppe 706
Verga, Giovanni 695, 696, 748
Verzi, Ernesto 83, 672, 706, 709
Viglianesi, Italo 554, 566, 629, 657, 667, 672
Villain, Raoul 42, 44, 53, 54
Villani, Ezio 301, 305, 306, 307, 417, 425,
426, 427, 462, 463, 637, 653, 732
Villari, Rosario 42, 44, 53, 54
Viola, Giuseppe 281
768
CAPITOLO
769
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
Indice
4>
27 >
Introduzione
34 >
La sua Italia
1.1 Quando nasce un bambino operaio p. 42
1.2 Nelle campagne crescono i capannoni p. 49
58 >
78 >
102 >
Verso la guerra
4.1 Lanatema contro lo spontaneismo p. 110
4.2 In piazza per fermare il conflitto p. 116
122 >
142 >
174 >
Rivoluzione e polemiche
196 >
Al vertice confederale
220 >
Sindacato e partito
9.1 Arriva la legge Acerbo p. 228
9.2 Mazzini e le polemiche parlamentari p. 232
770
INDICE
< 240
Lantifascista
< 264
Il no al duce
< 290
Lautonomia sindacale
< 312
Lunit sindacale
< 328
In esilio
< 346
Lattivit internazionale
< 372
Laltra CGdL
< 394
Braccato e spiato
< 414
< 432
Larresto, il ritorno
< 450
771
B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
480 >
Lui e Di Vittorio
502 >
Lui e Grandi
522 >
Lui e Nenni
23.1 Tra i due un rapporto dialettico p. 530
23.2 LItalia riscattata dal lavoro p. 538
548 >
Il Patto di Roma
24.1 Un sindacato aperto e plurale p. 557
24.2 Il nodo dei contratti erga omnes p. 563
24.3 La lotta accelera il negoziato p. 568
576 >
Lultima notte
25.1 Il mio compagno, Bruno Buozzi p. 584
25.2 La battaglia di Ornella, Iole e Gilles p. 591
600 >
Qualcuno trad?
622 >
Lui e noi
27.1 Nella societ della frammentazione p. 630
27.2 Da Roosevelt ai giorni nostri p. 634
27.3 Riformismo, marxismo e socialismo p. 642
646 >
Immagini di un leader
662 >
Personaggi e interpreti
I sindacalisti p. 665
I politici p. 672
Partigiani e generali p. 688
772
692 >
Le date, i fatti
748 >
Glossario
755 >
Bibliografia
762 >