Sei sulla pagina 1di 777

Antonio Maglie

BRUNO BUOZZI
IL PADRE
DEL SINDACATO
La nostra storia di Giorgio Benvenuto

I Edizione: giugno 2014


copyright 2013
Fondazione Bruno Buozzi
via Sistina, 57 - 00187 Roma
tel. 066798547 fax 066798845
www.fondazionebrunobuozzi.it
e-mail: fbb@fondazionebrunobuozzi.it
per contattare gli autori:
giorgio.benvenuto@yahoo.it
anto.maglie@gmail.com
twitter: @giorgiobenvenut
twitter: @FondBrunoBuozzi
copertina: Marco Zeppieri
editing e impaginazione: Marco Zeppieri
finito di stampare nel giugno 2014
dalla Tipolitografia Empograph
Villa Adriana (Roma)

In copertina una immagine di Tempi moderni di Charlie Chaplin


rielaborazione grafica di Marco Zeppieri

BRUNO BUOZZI
IL PADRE DEL SINDACATO

Le mondine decisive nella sindacalizzazione italiana: "La Lega" era un loro canto

Sebben che siamo donne


paura non abbiamo
per amor dei nostri figli
in Lega ci mettiamo
a oil oil oil
e la lega crescer
e noialtri socialisti
vogliam la libert
(anonimo)

Nel movimento sindacale c una forza materiale


che viene dal numero e una morale che data
dalla preparazione dei suoi dirigenti e dei suoi aderenti

La nostra storia
di Giorgio Benvenuto *

La moglie Rina lo ha raggiunto


a Parigi: per Bruno Buozzi lesilio ha
i caratteri della normalit familiare

Ecco come Miguel de Cervantes presentava il suo capolavoro Don


Chisciotte: Gli storici devono essere esatti, veritieri e spassionati; n linteresse o il timore, il rancore o la simpatia devono farli deviare dal cammino della verit di cui madre la storia, che ben pu essere detta emula
del tempo, archivio dei fatti, testimonianza del passato, esempio e ammonizione del presente, insegnamento dellavvenire.
La biografia di Bruno Buozzi stata scritta da Antonio Maglie in base
a quei principi. un racconto in una formula diversa, nuova, originale.
Lo storico deve avere una qualche idea di come si comportano gli
uomini che non sono storici. E poi, come maliziosamente scriveva Karl
Kraus, lo storico deve essere un giornalista voltato allindietro.
Antonio Maglie ha voluto predisporre unopera completa, organica,
ampia, documentata, puntigliosa, ricca di immagini per narrare la vita del
leader socialista che considerato il padre del sindacato in Italia.
La Fondazione Bruno Buozzi vuole dare con questa biografia un
importante, decisivo contributo alla ricerca storica sulla nascita e lo sviluppo del sindacato in Italia. Il libro non stato pensato per gli studiosi o
per gli esperti. scritto per chi vuole sapere, per chi vuole conoscere una
delle pi straordinarie personalit del movimento sindacale.
La biografia impreziosita da molte immagini, spesso inedite;
completata da una attenta cronologia che va dal 1881, anno di nascita del
leader sindacale, al 1944; ha una documentata bibliografia; ha delle essenziali biografie dei personaggi e degli interpreti della storia del sindacato.
Bruno Buozzi tornato dattualit. Per troppi anni stato ricordato in modo
marginale. stato considerato, per la sua capacit di antevedere il futuro,
quasi come un cane in chiesa in un paese dove hanno predominato per
lungo tempo non gli ideali ma le ideologie pi integraliste.
Ecco, ad esempio, cosa scriveva dieci anni dopo la scomparsa di
7

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Buozzi, il Segretario Generale della Fiom Giovanni Roveda su lUnit


del 7 giugno 1954: Vi sono movimenti scissionisti, come la UIL e la CISL,
che affermano di seguire la dottrina di Buozzi e definiscono questo nostro
grande dirigente come un riformista: se Buozzi fosse vivo, se non ci fosse
stato strappato dagli assassini nazifascisti, Buozzi sarebbe oggi al nostro
fianco: come reag allintransigenza dei padroni al tempo delloccupazione
delle fabbriche, reagirebbe oggi con egual veemenza al fianco dei lavoratori per dirigerli nella loro grande lotta in difesa della libert nelle fabbriche, per i miglioramenti salariali. Buozzi non sarebbe oggi un riformista,
come non lo mai stato.
Come Prampolini, come Argentina Altobelli, come Massarenti,
come Badaloni, come Matteotti, Bruno Buozzi ricordava con efficacia
Giovanni Spadolini nato in quella terra ferrarese ai confini tra Emilia
e Romagna; cresciuto in quella terra segnata dallavvento delle prime
organizzazioni del mondo del lavoro, con il concorso determinante, anche
se conflittuale, di repubblicani e socialisti: questo il destino quasi perenne
nella storia italiana di quei partiti, di essere paralleli, alleati e conflittuali.
Buozzi apprendista in una bottega artigiana a 11 anni, terzo di cinque fratelli in una famiglia come lui stesso diceva di dignitosa povert,
aggiustatore meccanico e tornitore a 13 anni, autodidatta, impegnato in
anni duri e difficili a favore della classe operaia, per assurgere prima di
aver compiuto i trentanni, alla responsabilit di segretario generale della
Fiom (Federazione Italiana Operai Metallurgici).
Buozzi un sindacalista di particolare incisivit e originalit. Dellartigiano aveva la preparazione professionale e lammirevole volont di
studiare. Come Giuseppe Di Vittorio era lautodidatta che alle lunghe ore
di lavoro (10-12 al giorno), ne aggiungeva altre per lo studio, per imparare
intanto a scrivere, a parlare correttamente, a impadronirsi dei temi sul tappeto della lotta di classe, della lotta sindacale e in generale di tutto quello
che la cultura offriva e rendeva accessibile.
Buozzi considera il socialismo in termini moderni, come razionalizzazione delleconomia. Il suo punto di partenza marxista. Sa per che
dopo una prima fase di anarchia, di antagonismo, di crisi, deve subentrare
una fase razionale, autocosciente, una direzione consapevole dei bisogni
degli uomini per i quali leconomia esiste, per i quali si deve lavorare e pro8

LA NOSTRA STORIA

durre. Era impegnato per realizzare conquiste graduali capaci di legittimare


sempre di pi la classe operaia per svolgere un ruolo di partecipazione in
uneconomia razionalizzata.
Alla guida del sindacato operaio giunge dalla fabbrica. Lofficina
meccanica negli anni del decollo industriale fu la sua vera scuola. Scuola
di mestiere, di specializzazione professionale, rivendicata con lorgoglio di
chi sentiva di forgiare unet nuova - quella della scienza e della tecnica al servizio delluomo. E scuola politica.
Aveva ventanni, nel 1901, quando a Berra, vicino al suo borgo natale, si verific un terribile episodio di repressione di una dimostrazione di
contadini, che protestavano per i bassi salari e criticavano i metodi seguiti
per la bonifica del territorio. Lufficiale che comandava il drappello di soldati posti a guardia di un ponte su un canale, estratta la pistola, senza preavviso, fece fuoco ed uccise un dimostrante che, cappello in mano, diceva:
domando la parola. Assurdo. Inaccettabile. Ingiustificabile. Da tempo lo
ripeteva con crescente convinzione il Presidente del Consiglio e Ministro
degli Interni Giovanni Giolitti, che proprio da episodi di quella sorta traeva
argomenti a difesa della libert degli scioperi salariali e dellelevazione, in
tutto il territorio nazionale, delle paghe operaie e bracciantili. Parlamentarizzazione del confronto politico e sindacalizzazione dei conflitti salariali,
superamento dello scontro muro contro muro in una ricerca dialettica dei
punti di incontro, di convergenza verso un nuovo tipo di societ, pi giusta
e pi garante di libert, erano in quegli anni traguardi che simponevano
allevidenza dei fatti.
Buozzi consegna alla storia limmagine del sindacato riformista
proiettandolo oltre quegli schematismi per i quali il riformismo solo metodo o rifugio nel quotidiano e, quindi, rifiuto pi o meno consapevole
di visioni strategiche. Non ha mai confuso il realismo con la rinuncia.
Il 17 gennaio 1912 gli operai contrari allaccordo dei metalmeccanici con gli industriali si riunirono in un teatro e proclamarono lo sciopero
a tempo indeterminato. Le fabbriche si svuotarono. Arrivarono a Torino,
ad agitare la piazza, personaggi pittoreschi di sindacalisti rivoluzionari.
Castagno, il primo biografo di Buozzi, racconta un gustoso episodio
sui massimalisti: Ricordano ancora i vecchi compagni di Torino limprovviso arrivo del sindacalista Fulvio Zocchi ed il suo discorso al Teatro To9

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

rinese: Compagni metallurgici torinesi, io arrivo fresco fresco da Bologna; non so nulla di voi, non conosco i motivi della vostra lotta e dei contrasti con la Federazione Metallurgica in merito al memoriale e alle
trattative con gli industriali. Ma so che voi avete ragione, perch i dirigenti
della Fiom sono tutti venduti e traditori. Lottare contro di loro lottare
contro gli industriali. Respingete dunque il loro lurido contratto e abbandonateli, abbandonando anche le officine.
Buozzi riformista critica lopportunismo e il massimalismo che si
era manifestato nel Biennio Rosso: Sia consentito anche a noi per
quanto in ritardo di esprimere qualche opinione sullo sciopero citato,
con quella franchezza che ci abituale e che soprattutto doverosa in certi
momenti. Purtroppo la cultura generale e leducazione politica del nostro
paese sono cos scarse che ci vuole effettivamente molta audacia a pretendere onest politica, carattere e coraggio. Le nostre masse seguono anche
troppo chi grida pi forte. quindi spiegabile che ci siano uomini, anche
intelligenti, preoccupati di sembrare poco rivoluzionari e di sembrarlo
meno di altri per non correre lalea di qualche fischio plebeo; che ce ne
siano altri disposti a far scempio della verit e delle stesse proprie idealit
pur di dare addosso a quelli delle tendenze avversarie; e che ce ne siano
altri ancora capaci, per mascherare la propria impotenza e quella delle
organizzazioni che rappresentano, di gridare al tradimento verso chi ha
fatto coraggiosamente il proprio dovere.
Buozzi alla testa della Fiom vive i giorni drammatici della occupazione delle fabbriche, ma ad essi, senza piegarsi alle tesi massimaliste, tenta
di dare un duplice sbocco positivo: uno democratico sul piano politico, uno
concreto sul piano delle condizioni generali e retributive dei lavoratori.
Poteva loccupazione delle fabbriche - scrive nel 1929 - avere
uno sbocco politico ed evitare allItalia lavvento della reazione? Noi crediamo di s. Essa, forse, poteva essere la marcia su Roma del socialismo
italiano. Per noi non ci sentiamo di gridare al tradimento contro chi non
ebbe allora le nostre idee e le nostre speranze. Giudicare traditori uomini
che, in un determinato momento, in perfetta buona fede errarono, sarebbe
miserabile.
Il Congresso di Bologna del Partito Socialista nel 1919 aveva dato
una enorme maggioranza ai massimalisti. La Direzione uscita da quel Con10

LA NOSTRA STORIA

gresso poteva contare su 156 deputati; 2.800 Comuni e 29 Province erano


a maggioranza socialista; quasi 2 milioni erano gli iscritti alla CGdL ed
erano funzionanti 8 mila Cooperative nella quasi totalit amministrate dai
socialisti.
Con queste imponenti forze - sottolinea Buozzi - il Partito non seppe
decidersi n per la rivoluzione n per la partecipazione al potere. Esso non
comprese che ci sono dei periodi nei quali la peggior strada quella dellinazione.
Buozzi, praticamente nello scetticismo generale e senza nessun aiuto,
tenne in piedi la Confederazione Generale del Lavoro, di cui era divenuto
nel frattempo Segretario Generale, quando ormai il fascismo stava vibrando
gli ultimi colpi alla democrazia politica e alle libert sindacali e civili.
Allora dimostr che anche un riformista poteva affrontare con coraggio battaglie ideali mai perdenti; che perdenti non furono poi, se vero
come vero, che la speranza riformista rimase ben radicata nel cuore di tanti
lavoratori fino al momento della ricostruzione del sindacato e nella resistenza
al fascismo.
Il riformismo strumento particolarmente adatto per epoche di transizione dove gli interrogativi sommergono le vecchie certezze, dove i nuovi
ideali non hanno ancora il passo della attualit: il riformismo pu avere in
queste fasi della storia di ogni paese la nobilt necessaria per contrapporsi al
trasformismo, alla politica come conservazione dellesistente, alla riduzione
della complessit di una societ che cambia continuamente. In tutti questi
casi il riformismo, quello vero, gioca un ruolo importante a favore della democrazia, perch revisione delle ideologie e dei comportamenti nel fare.
Nelle fasi di transizione importante aprirsi alle novit, mantenere
su dimensioni di massa, con una attenzione tutta particolare ai problemi generali, la capacit di una proposta e di una iniziativa che faccia avanzare le
idee delle forze che rappresentano e vogliono rappresentare il meglio della
societ che cambia.
Buozzi si trova a fare i conti con unepoca di trasformazioni ben diversa da quella che caratterizzer le vicende a fine ventesimo secolo con il
passaggio dalla fase in cui lindustria prendeva coscienza di s alla fase postindustriale.
Si trattava allora di saldare esigenze nuove e organizzazione sinda11

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

cale, rappresentativit del sindacato e consenso di tutti gli strati dei lavoratori. E in verit la Fiom di Buozzi guarda a tutti i lavoratori, considera essenziale il dato della professionalit, diffida delle avanguardie e delle lites,
che, in ogni situazione storica di evoluzione profonda, emergono, ma poi
spesso finiscono con il cristallizzarsi in aristocrazie chiuse o addirittura
esprimere nella societ posizioni da nuova destra.
Buozzi allarga la Fiom anche ai quadri, agli impiegati. La Fiom si
trasforma da Federazione Italiana Operai Metallurgici in Federazione Impiegati Operai Metallurgici.
Leo Valiani ricorda: Lultima volta che sedetti ad un tavolo accanto
a Buozzi fu a Parigi, nel maggio del 1937, alla commemorazione di Gramsci. Fu una commemorazione unitaria di tutto lantifascismo emigrato. Ero
andato in rappresentanza degli ex carcerati politici e fui chiamato alla tribuna. Cera Buozzi, cera Rosselli (che fece lintervento pi infuocato), Gennari per il Partito Comunista, sindacalisti e politici francesi. Mi sono
rimaste impresse le parole di Buozzi. Disse: Noi Gramsci lo sottovalutavamo perch vedevamo in lui lintellettuale e per noi il vanto era che il movimento sindacale fosse diretto da operai autodidatti ..e noi venivamo
direttamente dalla gavetta. Ecco, un errore che non commetterei pi. Gli
intellettuali sono anchessi necessari e non solo i vecchi ma anche i giovani.
Soltanto non devono voler insegnare quello che gli operai sanno meglio di
loro, cio quali sono i loro bisogni e le loro vere rivendicazioni. Devono
mettersi invece, come del resto Gramsci aveva fatto, alla scuola degli operai
e cos discutere sui metodi e sulle scelte migliori per portare avanti il movimento verso la democrazia, la riforma sociale, il socialismo.
Per Buozzi il sindacato deve contare nei luoghi di lavoro, confrontarsi
con levoluzione tecnologica (di qui lattenzione ai tecnici dellepoca), costruire condizioni di giustizia ed avanzamento nella societ che possano poi
riflettersi sulla qualit della vita politica e dellazione dei partiti. Vuole un
sindacato che conti in ogni momento, ad ogni livello, che rifiuti legami pi
o meno mascherati con le tattiche di partito e che cerchi, invece, di portare a
casa risultati che ne evidenzino la capacit politica e contrattuale.
Lansia e la voglia di conoscere che ha caratterizzato tutta lesistenza di Buozzi, collima pienamente con il pensiero di Mazzini evidenziato
nel saggio Del dramma storico per il quale a chiunque vuol farsi rifor12

LA NOSTRA STORIA

matore necessaria la conoscenza piena e profonda di quanti elementi, di


quanti mezzi intellettuali e di quante forze, compongono la civilt del suo
secolo e della sua patria.

Lattualit della sua lezione

Questa strada, percorsa da grandi laici come Saffi, Costa, Belloni,


Prampolini, Salvemini, Ghisleri, Nenni, Carlo e Nello Rosselli, Matteotti
e Turati, stata battuta anche da Buozzi, a conferma di quanto siano radicati
nella cultura laica riformista e socialista tratti importanti dellinsegnamento
di Mazzini, come quello importantissimo di una visione ampia, europea,
dellimpegno politico, economico e sociale.
Buozzi, avversario dei settarismi e degli ideologismi, indica una lezione di vita e impegno politico che va meditata: non basta avversare tutti
gli aspetti di frizione, di divisione prevaricatrice, occorre evitare la caduta
nella burocratizzazione, nella pura gestione, nello spirito scarsamente innovativo, nelleconomicismo, nella polarizzazione delle posizioni. Tanto
vero che pur essendo Buozzi fra gli avversari pi limpidi della scissione di
Livorno, nello sforzo di costruzione di quello che sar poi il Patto di Roma,
punt con decisione, senza remore, allincontro fra le tre grandi forze politiche, la cattolica, la socialista e la comunista, e non volle mai sentir parlare di esclusioni.
Rigoroso in Buozzi il richiamo costante allautonomia del sindacato, che egli vede come valore di relazione, e quindi come elemento decisivo ma dinamico.
Per il sindacato: si tratta di reinventare nuove solidariet, di battere
gli assistenzialismi, gli sprechi, gli scandali pi cospicui quali quelli dellevasione fiscale. Si tratta di affermare una politica di tutti i redditi, di far
compiere un salto di qualit alle relazioni industriali, di non mollare la presa
nella lotta allinflazione.
Si crea confusione fra i lavoratori quando si ammettono i ritardi del
sindacato in materia di ristrutturazione della contrattazione e poi non si manifesta una volont precisa di intervenire con rapidit per dotarsi degli strumenti idonei, in una fase obbligata della ripresa rivendicativa (contratti e
contrattazione aziendale). Ma soprattutto si rischia di generare sfiducia fra
i lavoratori se non si comprende che il sindacato delle grandi fabbriche,
13

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

delloperaio massa, delle grandi concentrazioni urbane, non pi sufficiente per fronteggiare, per spiegare tutta lesperienza sindacale, di fronte
a lavoratori in possesso di professionalit che si spostano da questo o da
quel settore produttivo, a giovani che vogliono un lavoro, ma con tempi ed
esperienze professionali pi varie, non pi scandite dalle otto ore di fabbrica, a operai, impiegati e tecnici, coautori di quel localismo economico
che tanta parte ha avuto nella tenuta economica del Paese, a esperienze di
cooperazione (del tutto nuove) ed imprenditoriali, specie nellagricoltura
e nel terziario, proprie di una economia matura e intraprendente, e quindi
indifferenti al populismo di vecchi schemi contrattuali.
Con Buozzi si afferma anche unidea di democrazia sindacale fortemente radicata su strutture solide, reattive, dotate di autonomia e di protagonismo. Ma soprattutto unitarie e uniche. Anche qui il riformismo unit
nella chiarezza, e quindi porta la sua battaglia di idee e di proposte nei luoghi di lavoro, con grande linearit: non cerca spazi in esclusiva, non vuole
la duplicazione di strutture, non corteggia le minoranze agguerrite e movimentiste, ma punta tutto sulla trasparenza del metodo democratico, delle
decisioni, sulla valorizzazione di spazi di confronto sorretti dalla tolleranza
e dal rispetto reciproco.
Il primo atto del Buozzi della Resistenza non a caso il ripristino
delle Commissioni Interne elette da tutti i lavoratori per cancellare lignominia dei fiduciari fascisti. Per lui le discussioni su quale sindacato, sembrano venire dopo. Ai lavoratori occorre dare subito un punto di riferimento,
uno strumento, fatti organizzativi certi. E per Buozzi, riformista, organizzatore e dirigente sindacale, lunit comincia nei luoghi di lavoro, nellunitariet della rappresentanza sindacale.
Il riformismo di Buozzi non era un riformismo che poteva essere
considerato il parente povero di altre tradizioni. Forse questa anche una
delle ragioni per cui una coltre di silenzio caduta su questa straordinaria
figura politica. Rivalutare Buozzi per il peso reale, per la statura notevolissima, per linfluenza che ha avuto effettivamente nel movimento sindacale
significa rivisitare criticamente tante pretese supremazie, una fra tutte:
quella del massimalismo. E ridare a Buozzi quel che era di Buozzi. Lo fece
gi a suo tempo Achille Grandi quando sostenne che lItalia sofferente e
carcerata, questa Italia ha avuto un grande merito: essere lantesignana
14

LA NOSTRA STORIA

dellunit sindacale in Europa e pochi uomini hanno fatto ci. Tra questi
un grandissimo del quale non posso parlare senza sentire un intimo e vivo
senso di sofferenza: Bruno Buozzi. E non meno significativamente Di Vittorio quando disse che Buozzi era un riformista nellanima.
Per Buozzi il sindacato fa politica restando sindacato; unorganizzazione che poggia sullautonomia reale dai partiti e sulla democrazia
interna senza nulla cedere alle tentazioni spontaneistiche dei ribelli di
unora; individua ed indica il percorso di una possibile terza via tra il
vecchio riformismo e le soluzioni rivoluzionarie dei massimalisti, facendo
dello Stato e della controparte sociale i propri interlocutori per realizzare
forme concrete di democrazia industriale, per incanalare le possibilit di
sviluppo e di crescita economica in direttrici programmatiche che superino
lanarchia del libero mercato.
Potrebbero essere quei concetti una bozza di risoluzione di un Comitato Centrale dei giorni nostri, una dichiarazione dintenti sul ruolo, la
funzione, lidentit del sindacato, allindomani delle fratture ideologiche e
politiche che hanno rimesso in discussione gran parte delle acquisizioni,
allinterno di ogni organizzazione, nei rapporti con il Governo, con la base,
con i partiti politici che, in altre parole, hanno riproposto il significato del
sindacato in una societ in fase di trasformazione, post-industriale.
Potrebbe essere anche una previsione di che cosa avrebbe detto
Buozzi al giorno doggi, se non fosse una sintesi delle sue posizioni,
espresse nellarco di un trentennio, maturate fin dallepoca delle sua militanza nella Fiom, sperimentate durante la difficile fase delloccupazione
delle fabbriche, sostenute dallesilio parigino e confrontate con comunisti
e cattolici, nei mesi precedenti la nascita della Cgil.
Ma si tratta solo di alcune delle intuizioni di Buozzi, troppo spesso
ricordato soltanto come uno degli artefici della ricostruzione del sindacato in Italia dopo il ventennio di Mussolini, come martire dei nazifascisti
o ancora per la sua grande coerenza e onest intellettuale, per la sua attiva
resistenza al fascismo, in Italia e nelle sedi internazionali.
Eppure, una semplice biografia non esaurisce il significato e lattualit, la modernit delle formulazioni di Buozzi homo senza lettere (la definizione di Turati, il suo grande maestro) eppure uomo del suo tempo,
calato nella realt del quotidiano ma capace di coglierne gli elementi dina15

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

mici e di cambiamento. Un riformista, negli atti e nel pensiero, che aveva


colto il senso pieno ed autentico dellessere sindacalista, del fare sindacato,
in un momento in cui forti erano le tensioni massimalistiche, le tentazioni
rivoluzionarie, le critiche da destra e da sinistra al suo operato.
Un uomo dotato di grande coraggio, come dimostra tutta la sua vicenda umana e politica, simbolo di unepoca ma soprattutto di una fase del
sindacalismo italiano che oggi, per certi versi, si ripropone per lincapacit
del movimento sindacale di superare le sue contraddizioni, di portare a maturazione il suo processo di identit nellautonomia, di uscire dallimpasse
del rapporto con i partiti, di ridefinire la sua dialettica con lo Stato e le parti
sociali, di rifondarsi nella societ civile.
Molte delle questioni che dilaniano oggi il sindacato trovano risposta su questa pagine: pagine scritte con lattenzione problematica dello storico, la curiosit indagante del giornalista, linquietudine del ricercatore.
Pagine che parlano di ieri con lattenzione rivolta alloggi e che portano
alla ribalta polemiche vecchie e nuove; intuizioni fondamentali per la vita
democratica del sindacato; proposte di lavoro per una rifondazione delle
organizzazioni, per la sperimentazione di forme nuove di democrazia economica ed industriale, per il controllo, lautonomia, lunit.
Certo Buozzi si trov a operare in unepoca diversa dalla nostra: si
andava affermando la societ industriale; nasceva la grande impresa; si
strutturava il mondo del lavoro, con il taylorismo, il cottimo, la divisione
del lavoro in fabbrica, mentre oggi viviamo in unepoca che largamente
possiamo definire post-industriale. Eppure, allora come adesso, si assisteva a profondi cambiamenti e trasformazioni, tecniche e tecnologiche; a
mutamenti sostanziali nellapparato produttivo. Da ci trae validit la lezione di Buozzi, vale a dire in quello sforzo di rappresentare tutti i lavoratori, di valorizzare le professionalit, di diffidare delle lites e delle
avanguardie, di puntare ad un sindacato che facesse delloccupazione il suo
perno, che fosse in grado di confrontarsi e di comprendere levoluzione
tecnologica, di costruire alleanze nel mondo del lavoro puntando allunit
di operai ed impiegati, nellautonomia dai partiti politici.
Occorreva cio che il sindacato si preoccupasse di una politica generale del lavoro, superando le posizioni meramente difensive, per porsi, al
tempo stesso, come coautore delle scelte di politica industriale e come sog16

LA NOSTRA STORIA

getto di potere, alternativo e protagonista, riconosciuto dagli imprenditori.


Questo spostamento dellinteresse del sindacato dal terreno della
distribuzione del reddito a quello della sua produzione conferma quel salto
di qualit che, secondo Buozzi, avrebbe dovuto compiere, superando lantinomia tra politica ed economia per incidere sulla politica economica, ma
travalicando anche il rapporto di delega ai partiti o di cinghia di trasmissione, nelluno e nellaltro verso, data la peculiarit italiana profondamente diversa dalle esperienze laburiste.
La subordinazione cieca dei sindacati ai partiti come intesa dai
comunisti inconcepibile - afferma Buozzi al quinto Congresso della CGdL
del 1921 - Tale subordinazione possibile solo dove il proletariato alle
sue prime armi; dove i sindacati hanno raggiunto una certa maturit, la
loro opera cos complessa e multiforme da sconsigliare anzi al partito di
intervenire ad assumere responsabilit in problemi tecnici che lo potrebbero compromettere.
Il sindacato non , n deve essere, secondo Buozzi, un organismo
di carattere economicistico, n porsi soggettivamente come partito o dare
vita ad una organizzazione politica, perch ci ne snaturerebbe il proprio
ruolo nel primo caso, o creerebbe un inutile duplicato nel secondo. Infatti,
contestando la tesi di costituire, nel breve periodo, un partito del lavoro
(proposta Rigola) Buozzi respinge insieme la tesi di coloro i quali sostenevano che il Partito Socialista non era pi il vero partito della classe perch
rischiava di diventare un partito di governo. Rischio che, qualora si fosse
corso e realizzato, avrebbe evitato o quantomeno frenato lavvento del fascismo nel nostro paese, aprendo al contrario la strada a una fase di alleanze
sociali e di riforme e ponendo le basi per la costruzione di uno Stato moderno e democratico.
Vorrei ricordare, per inciso, che gi nel programma per il dopoguerra, approvato dal Congresso della Fiom del 1918, Buozzi aveva inserito
la proposta di realizzare la Repubblica e di dar vita a una Costituente.
Buozzi voleva un forte e responsabile movimento sindacale; lo stesso
obiettivo che sul versante della classe politica post-risorgimentale di estrazione liberale, che tendeva a diventare democratica, si prefiggeva Giovanni
Amendola, che di quella generazione fu linterprete pi alto, auspicando nel
manifesto dellUnione Democratica Nazionale del 1924 una politica di pro17

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

gressiva ed intima associazione dei lavoratori alla vita dello Stato.


Come dimenticare le conclusioni cui giungeva Amendola durante
il primo ed unico Congresso dellUnione Democratica dopo il delitto Matteotti e dopo il 3 gennaio 1925: Se volete, e come volete il capitalismo
diceva Amendola dovete rassegnarvi al sindacato, alla lotta di classe, e
perci mentre concepibile che il movimento sindacale possa in determinate circostanze arretrare o retrocedere e perfino possa rassegnarsi temporaneamente alle condizioni meno favorevoli, semplicemente assurdo il
pensare che si possa conservare e rafforzare una organizzazione capitalistica della societ sopprimendo il massimo fenomeno che laccompagna,
e cio lorganizzazione unitaria e la contrattazione economica dellinteresse del lavoro.
Il giudizio di Amendola richiama la conclusione di Gobetti nellultimo fascicolo, quasi testamentario, de La Rivoluzione Liberale, l8 novembre 1925: La realt profonda che la grande industria non si pu
sviluppare senza un contemporaneo sviluppo delle forze del proletariato e
della sua capacit di difesa e di conquista.

La stella polare del riformismo

Abbiamo accennato alla politica delle alleanze, unaltra delle intuizioni fondamentali di Buozzi, assertore convinto dellunit sindacale,
che fin dagli anni venti aveva compreso lesigenza di formare un fronte
unitario contro lavvento del fascismo, sia sul piano sindacale (si realizz
quellAlleanza del Lavoro che doveva avere, purtroppo, una breve vita),
sia su quello politico. Ma i tempi non erano maturi: quel riformismo di
cui era convinto assertore e paladino stava diventando oggetto delle critiche
pi feroci, frutto di un clima politico di radicalizzazione e del deterioramento dei rapporti nel seno stesso della sinistra.
Fu uno degli avversari pi limpidi della scissione di Livorno, cos
come sempre stato avversario dei settarismi, della burocratizzazione,
delleconomicismo, della pura gestione. Ma fu anche avversario della polarizzazione delle posizioni, e lo testimonia proprio la tenacia con cui punt
allincontro fra le tre grandi correnti storiche del movimento sindacale italiano, quella socialista, quella comunista, quella cattolica. Ricordiamo: non
volle sentir parlare di esclusione.
18

LA NOSTRA STORIA

Unit non significa appiattimento, sulluna o sullaltra posizione


precostituita. Buozzi fu il vero artefice dellunit dialettica, sofferta, con il
suo impegno per realizzare una centrale unitaria che raccogliesse pienamente larticolazione presente nel tessuto politico e sociale del nostro paese,
impegno a livello di aggregazione politica che permettesse un allargamento
del potere dei lavoratori e un loro ruolo diverso rispetto allo stato di subordinazione oggettiva in cui vivevano.
E anche qui ritorna, ancora, laspetto profondamente riformista di
Buozzi: un sindacalista ante litteram, fedele alla tradizione di Turati e di
Treves, per il quale il riformismo, lungi dallessere soltanto un metodo
di lavoro o una battaglia quotidiana e trasformista, si traduceva sia nella
costruzione e nella politica sindacale, sia nei suoi rapporti con il mondo
imprenditoriale, con i partiti, con lo Stato e la societ civile, contro ogni
schematismo. Un sindacato come elemento di riunificazione di termini che
andavano divaricandosi: Stato e Societ Civile, rivendicazionismo e primato della politica.
Buozzi sostenne e pratic lautonomia e lunit del sindacato.
Chiara era nella sua visione la differenza dei ruoli tra partito e sindacato.
La CGdL fu riformista.
Le cose cambiarono con la rivoluzione russa del 1917. Il Partito Socialista, incapace di scegliere tra governo o rivoluzione, non resse alla parola dordine fare in Italia come in Russia. Si divise sul problema della
adesione alla III Internazionale. La scissione del 1921 indebol i socialisti;
nel 1922 uscirono dal PSI i riformisti (Turati, Treves, Prampolini, Buozzi,
etc:) che costituirono il PSU eleggendo Giacomo Matteotti alla carica di
Segretario Generale.
Le elezioni del 1921 e del 1924 si svolsero in una atmosfera drammatica nella quale il PCdI si poneva come obiettivo principale quello di distruggere i socialisti e annientare i riformisti.
Respinta la proposta di Filippo Turati di andare al governo con i
Popolari, la sinistra inconsapevolmente cre le condizioni per la conquista
del potere da parte dei fascisti.
Nelle riunioni del Consiglio Direttivo della CGdL, che si susseguono sempre pi frequenti e sempre meno concludenti, il problema della
lotta contro il fascismo e della difesa dei sindacati fu un dibattito costante.
19

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

L11 febbraio 1922 Buozzi cos si esprime: Se si uscir dalla linea


dellintransigenza, non ci si potr fermare alla collaborazione sul puro
piano parlamentare, ma si dovr giungere fino alla partecipazione effettiva
al Governo. Secondo il mio punto di vista, le maggiori garanzie a questo
proposito ci possono essere date dal Partito Popolare. Al che Serrati risponde: Il Partito non pu accettare la collaborazione, in quanto da tempo
ha rigettato la posizione pragmatista: c una crisi in atto nella borghesia,
la quale si difende col fascismo attaccando le migliori resistenze da un lato
ed accarezzando, dallaltro, le possibilit collaborazioniste.
Lenin teorizz e pratic la supremazia del partito-guida e la subordinazione del sindacato (la teoria della cinghia di trasmissione).
Con questa concezione divent difficile la lotta antifascista in troppi
momenti subordinata agli interessi dellUnione Sovietica (un esempio eclatante fu il patto Von Ribbentrop-Molotov per la spartizione della Polonia).
E nel secondo dopoguerra la storia si ripet.
Lunit della CGdL fin nel 1948. Furono costretti ad uscire i democristiani, i repubblicani, i socialdemocratici e una parte crescente dei socialisti.
Questa soggezione al Pci ebbe nella Cgil coraggiose e sofferte contrapposizioni da parte di grandi dirigenti come Di Vittorio, Lama, Trentin.
Non si pu dimenticare ad esempio la violenta opposizione del Pci
alla Federazione Unitaria Cgil-Cisl-Uil nel 1980 sul Fondo di Solidariet
e nelle vicende della vertenza Fiat conclusasi con la marcia dei 40 mila;
nel 1984 e nel 1985 sullaccordo di San Valentino e in occasione del referendum sulla scala mobile.
Il Pci non esit durante il Governo Craxi (1983-1987) ad affermare
attraverso i suoi dirigenti pi qualificati: Craxi ha con i segretari generali
di CGIL, CISL e UIL un contatto permanente. Il risultato di questa tattica
il coinvolgimento progressivo dei massimi dirigenti sindacali anche in questioni che dovrebbero riguardarli poco, ad esempio i problemi ed i guai di
palazzo Chigi. Il TG mostra tutte le sere Lama, Carniti e Benvenuto ammessi
nelle Grandi Stanze, oligarchi, ed un tuttuno indistinto di governanti, di
grandi industriali e finanzieri e di rappresentanti di quello che i vetero insistono a chiamare il proletariato. Decade la democrazia interna del sindacato, saccentua il verticismo delle decisioni (in CISL e UIL pi che in CGIL)
20

LA NOSTRA STORIA

e in corrispondenza si aggrava il distacco delle burocrazie sindacali dalla


base, uno scollamento di cui sono drammatica misura in pari tempo le inquietudini e le turbolenze delle masse che si rivoltano e manifestano nelle
piazze anche contro il mandarinato sindacale ed i lunghi silenzi di quei
lavoratori che, sfiduciati, si estraniano (ritirando la delega senza clamore).
In rappresentanza di chi i segretari generali di CGIL, CISL e UIL di casa a
Palazzo Chigi in realt decidono?.
Si pu dire che Di Vittorio a proposito del giudizio sui fatti dellUngheria nel 1956 e Luciano Lama nel 1984-1985 sulla scala mobile furono sconfitti dal Pci. Trentin nel 1992 invece vinse su Occhetto e sul Pds
respingendone i diktat, facendosi respingere dalla Cgil le sue dimissioni.
Bruno Buozzi mor il giorno della firma del Patto di Roma. Le sue
ipotesi sulla costituzione della nuova Cgil (Confederazione Generale Italiana del Lavoro) erano profondamente diverse da quelle che furono poi le
linee sancite nel protocollo del Patto di Roma.
E qualera la linea di Buozzi?
La si pu evincere da pochi documenti. Possiamo ricavarrla da un
articolo apparso sullAvanti firmato Quidam, a lui attribuito. Riflette
il suo punto di vista. la fonte di maggior importanza per ricostruire il
ruolo di Buozzi nella edificazione dellunit sindacale attraverso il Patto
di Roma. Fu Buozzi a voler introdurre un elemento di discontinuit rispetto
ai sindacati prefascisti. Non si ricostitu la CGdL ma la Cgil ove la lettera
I per Italia voleva significare che i lavoratori con le loro organizzazioni non
si sentivano pi antagonisti dello Stato ma erano divenuti parte delle nuove
istituzioni che nascevano dalle rovine del fascismo. Parte di uno Stato repubblicano costruito da unassemblea costituente ( la vecchia idea di
Buozzi, avanzata subito dopo la fine della prima guerra mondiale).
Lipotesi che segu Buozzi era quella del sindacato obbligatorio di
diritto pubblico per conferire ai contratti collettivi la validit erga omnes.
Era solo cos che si consentiva alla nuova Cgil di penetrare in tutte le piccole localit e villaggi, in tutte le aziende.
A differenza dei cattolici, i comunisti erano contrari. Sostennero
unipotesi di sindacato autonomo dallo Stato, svincolato da qualsiasi controllo con i contratti collettivi di diritto comune. lipotesi che poi ha finito
per prevalere.
21

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

E Di Vittorio annotava in un secondo rapporto, a proposito dei difficili confronti con Bruno Buozzi: Lamico Buozzi riformista nellanima,
difende le federazioni nazionali e la loro naturale competenza tecnica con
un accanimento incredibile; mentre vorrebbe definire le Camere del Lavoro
come semplici organi di propaganda sindacale. Tutti i nostri argomenti e i
precedenti che costituiscono una gloriosa tradizione di lotta delle Camere
del Lavoro non hanno nessuna presa su di lui. Ho compreso che non se ne
cava nulla.
Di Vittorio e Buozzi si stimavano reciprocamente. Quando Buozzi
venne arrestato le trattative proseguirono con Emilio Canevari in rappresentanza dei socialisti. Di Vittorio cos le commenta: Il successivo incontro
con la delegazione sindacale socialista ha avuto luogo. Essa mi ha comunicato che la Direzione del Psi ha approvato, in generale, la posizione assunta nella precedente riunione di far propria la nostra posizione sul
Sindacato libero, demandando alle stesse organizzazioni sindacali la possibilit di prendere una decisione definitiva in merito, nel caso vi fossero
punti di vista differenti. Dunque, il nostro disaccordo con i socialisti su
questa questione, ha cessato di esistere. Ma linconsistenza di questi bravi
amici veramente sconcertante. Alla mia critica il bravo compagno Canevari rispose che non voleva dire affatto quel che io avevo letto, chegli
completamente daccordo con me, che avrebbe accettato tutte le modifiche che avessi formulato. Dissi, con molto garbo, che non si trattava di
modificare qualche brano, ma di rivedere tutto il documento. Proposi,
quindi, di ritirarlo di non darlo soprattutto ai democristiani che vi avrebbero scorto laccoglimento della loro posizione sulla concezione del sindacato di categoria e sulla struttura, che, invece, non sarebbe nelle
intenzioni socialiste. Tanto lui che laltro delegato socialista accettarono
la proposta di ritirare il documento. La delegazione socialista approv la
mia proposta e nei prossimi giorni ci riuniremo a tre, per proporre assieme
ai democratici la soluzione adottata.
La scomparsa di Buozzi ha rappresentato una svolta non solo nella
definizione del Patto di Roma ma ha costituito la fine di un punto di riferimento importante per la continuit della tradizione riformista socialista nel
sindacato italiano. I socialisti non hanno pi avuto quella forza con la quale
agli inizi di questa vicenda li aveva rappresentati Buozzi.
22

LA NOSTRA STORIA

Dopo lassassinio di Buozzi lintero movimento sindacale italiano


ha seguito unaltra strada. Le sue indicazioni non passano nel Patto di
Roma; si ritrovano per in qualche modo nella formulazione ibrida nella
Costituzione (art. 39 e art. 46).
Per Buozzi il problema dellestensione del valore e della forza della
contrattazione si legava a un altro punto sostanziale che era il problema
dellorganizzazione e della democraticit dellorganizzazione. E qui valgono in qualche modo i riferimenti a quella che stata la sua presenza e la
sua testimonianza nellepoca prefascista. Si pu citare al riguardo un passo
della sua relazione, al congresso della Fiom, di cui era segretario generale,
nel 1918: Noi siamo risolutamente contrari alla teoria che lorganizzazione e lorganizzatore debbano sempre seguire la massa anche se disorganizzata; tale teoria rende inutile lorganizzazione, serve a formare dei
ribelli di unora ma non mai delle coscienze rivoluzionarie, ad organizzare
improvvisamente delle migliaia di operai facili da condurre al macello ma
che se ne andranno immediatamente non appena finita lagitazione per la
quale si sono associati. Noi desideriamo una sola padronanza sul proletariato: quella dellorganizzazione. E siccome questa a mezzo delle sue assemblee e dei suoi congressi traccia le sue direttive i dirigenti o il dirigente
dorganizzazione hanno il sacrosanto dovere di ricordare queste direttive
a quanti non lo ricordano o non lo vogliono ricordare. Primato quindi
dellorganizzazione ma che si unisce ad una concezione precisa della democrazia nellorganizzazione e ha il suo riscontro in una nozione anche
altrettanto precisa sul problema della democrazia nella fabbrica, nel problema della partecipazione operaia alla vita del sindacato.
Lunit del 1944, un tentativo che certamente era stato favorito da
particolari condizioni e poi sfavorito da particolari conseguenze storiche.
Oggi si deve puntare su una nuova unit sindacale, caratterizzata da alcune
idee-forza: lidea forza del riformismo, lidea forza di un sindacato che sia
capace di dare sbocco alle proprie battaglie, di non produrre solo conflittualit e antagonismo, ma che sia in grado di gestire sbocchi di carattere sindacale e di creare condizioni politiche anche di cambiamento, lidea forza della
democrazia, lidea forza dellautonomia dai partiti, lidea forza del sindacato
protagonista dello sviluppo economico e sociale del paese.
Il cammino di quel riformismo, del riformismo di Buozzi, non si
23

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

mai interrotto e oggi che pi che mai necessario, ancora nei suoi ideali,
pi nitidi e resistenti allusura del tempo, la stella polare di un sindacato
moderno. Bruno Buozzi appartiene alla storia di tutto il movimento sindacale; si sempre battuto per lunit del mondo del lavoro; non si mai rassegnato n alla divisione politica n a quella sindacale. il protagonista
dellunit sindacale, non ha mai incoraggiato scissioni sindacali. Aveva
lorgoglio delle sue idee e sapeva che solo in un sindacato unitario si potevano realizzare.
Bruno Buozzi tirava fuori il meglio dal mondo del lavoro: coraggio,
senso etico dellimpegno civile, nobili ideali, sacrificio. La sua vita, come
quella di Di Vagno, di Matteotti, dei Rosselli, di Colorni, crudelmente spezzata prima del tempo, resta la migliore testimonianza di quelle virt senza
tempo.
Raccontava Giuliano Vassalli che con lui condivise gli ultimi giorni
di prigionia a via Tasso: Cera un dipinto nella Direzione del Partito Socialista che ne rievoca la figura in mezzo agli sgherri nazisti con il busto
eretto, in maniche di camicia, in quella mattina di giugno: ebbene, per chi
lo ha conosciuto, egli era proprio cos, fiero e dignitoso, tra quegli sgherri
nazisti che nulla capivano di ci che spontaneamente o per comando erano
indotti a fare, e nulla sapevano di quanto stavano facendo perdere al movimento socialista in Italia e a tutti i lavoratori.
certo che con Buozzi noi abbiamo perduto allora la figura pi nobile, completa e significativa del socialismo italiano; con Buozzi la scissione del Partito Socialista nel gennaio 1947 probabilmente non sarebbe
avvenuta, il movimento socialista si troverebbe oggi con diverse dimensioni
e diverso significato, avrebbe vinto su un piano di libert, di progresso e di
intemerata onest.

* Giorgio Benvenuto
(Presidente della Fondazione Bruno Buozzi)

24

Introduzione

Quando Giorgio Benvenuto mi ha chiesto di provare a elaborare una


biografia di Bruno Buozzi, mi son fatto ricrescere i capelli per infilarvi le
mani. Il fatto che limpresa mi appariva abbastanza complessa, quasi
titanica. Per diversi motivi. Il primo: non sono uno storico e per quanto
mi potessi sforzare, non sarei mai stato capace di realizzare una ricerca
con i crismi della scientificit, insomma non sarei stato in grado di
rubare il mestiere a qualcuno e soprattutto non avrei mai voluto macchiarmi del reato di esercizio abusivo della professione. Il secondo:
i materiali su Bruno Buozzi sono quasi tutti noti quindi mi appariva impossibile la realizzazione di un testo che avesse un qualche carattere inedito e bench di mestiere faccia il giornalista non ho mai dato troppo
credito allaffermazione di un autorevole collega che sosteneva linesistenza nella stampa di argomenti inediti. Terzo: per quanto conoscessi
Buozzi, per non lo conoscevo in misura sufficiente per potermi imbarcare in unimpresa di questo tipo, al limite della temerariet (almeno dal
mio personalissimo punto di vista). Quarto: era forte e incombente il
rischio di cadere nel ridicolo o nellinconsistenza intellettuale per
mancanza di argomenti adeguatamente elaborati o rielaborati. A quel
punto mi son concesso un po di conforto ripensando a quel che diceva
Karl Kraus: Spesso lo storico soltanto un giornalista voltato allindietro. Ho cominciato a leggere e a ricercare e mi sono reso conto che
tutte (o quasi) le biografie realizzate focalizzavano lattenzione solo su
una parte della vita di Buozzi: dallesilio al Patto di Roma, lasciando un
po in ombra quella iniziale o trattandola in maniera molto sintetica. Ho
pensato, allora, che forse si sarebbe potuta colmare quella lacuna, guardando questo Padre del sindacalismo nella sua totalit. Anche perch
quella parte iniziale della sua esperienza (circa una ventina danni) non
poi totalmente ininfluente ai fini della comprensione delle sue scelte nel
corso della trattativa per la costituzione del sindacato unitario. Anzi,
27

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

accanto a Turati e Treves, Buozzi matura lidea di una organizzazione


dei lavoratori che non deve esaltarsi solo nel conflitto ma deve andare in
qualche maniera oltre; che non deve essere succube delle dinamiche politiche ma solo degli interessi della classe lavoratrice; che non esiste
azione senza organizzazione (bellissima e significativa una sua frase:
Sono per la lotta di classe non per la zuffa di classe); che i colpi di
mano non consolidano le conquiste e normalmente non portano al
conseguimento degli obiettivi; l, nel clima milanese e riformista,
che si definisce la sua idea gradualista del sindacato.
Individuato lobiettivo, per, bisognava anche trovare lo strumento
per raggiungerlo. Parlare di Buozzi significa parlare di
sessantatr anni di storia italiana e che storia! successo
veramente di tutto: lo stato unitario che provava a consolidarsi e nel
frattempo guerreggiava con il brigantaggio, lalternanza al potere tra
destra e sinistra liberale, il trasformismo, il giolittismo, almeno tre riforme elettorali compresa quella che accompagn il passaggio dal maggioritario con ballottaggio al proporzionale, le avventure coloniali, la
prima guerra mondiale, la polemica tra interventisti
e pacifisti, le prime grandi vertenze operaie, i primi grandi accordi
collettivi, la nascita del partito socialista
e le conseguenti scissioni, il Biennio Rosso, loccupazione delle
fabbriche, un regicidio, i tradimenti della Corona, il fascismo,
il nazismo, il franchismo, lantifascismo, la seconda guerra mondiale
e la guerra di Liberazione. Bruno Buozzi ha attraversato
tutte queste tempeste e, rileggendolo, ci si rende conto
che lo ha fatto con grande coerenza, titolare in questo di una
qualit che negli italiani non sempre abbonda.
La sua vita, insomma, poteva essere ripercorsa come un
filo rosso che lega le tante, troppe vicende che hanno aperto
la strada agli ultimi settantanni di pace che, a pensarci bene, sono
un suo lascito, suo e degli uomini come lui che
restituirono allItalia la libert e un minimo di onore.
Ora che sono trascorsi esattamente settantanni da quando i nazisti
lo ammazzarono senza piet mentre abbandonavano Roma, inseguiti
dagli alleati e dalla riprovazione morale della comunit internazionale,
28

INTRODUZIONE

farlo riemergere dalloblio non solo doveroso (e peraltro obbligatorio


per una Fondazione che porta il suo nome), ma anche utile per provare a
riannodare i fili di una memoria che spesso vengono interrotti dallesigenza di bruciare tutto in fretta, dallincedere veloce di una societ che si
lamenta per il fatto di disperdere continuamente valori ma non fa nulla
per ravvivare quelli che altri prima di noi hanno edificato. Buozzi in
qualche maniera una vittima nella storia del sindacato, pur essendo uno
dei Padri. Giorgio Benvenuto, da segretario della Uil, lo riscopr (come
ha sottolineato in un suo libro il compianto Walter Tobagi). Ci non toglie che sia rimasto per molto tempo una presenza (o un ricordo) se non
scomoda, ingombrante. nato ed morto troppo presto. nato troppo
presto perch i suoi concetti sindacali, alcune sue idee (il controllo della
produzione, lallargamento della rappresentanza ai quadri intermedi, il
confronto con nuovi ceti) anticipavano troppo la modernit in un Paese
che ha vissuto la crescita in maniera tumultuosa e proprio perch tumultuosa accompagnata da una maturazione culturale insufficiente. morto
troppo presto perch quando stava raggiungendo lobiettivo coltivato
negli anni dellesilio, cio il sindacato unitario, i nazisti lo hanno catturato e lo hanno ucciso: la sua vita stata cos una parabola esaltante e
tragica al tempo stesso. Aveva impostato il negoziato, non ha potuto portarlo a termine. Le sue idee (la personalit giuridica del sindacato, lo
stesso controllo della produzione tradotto in compartecipazione) hanno
trovato posto in alcuni articoli della Costituzione che sono rimasti lettera
morta. Ma lalba dellunit non lha vista. Non ha visto nemmeno quella
della disunione che sarebbe arrivata pochi anni dopo il Patto di Roma,
corollario probabilmente inevitabile della rottura dellunit antifascista,
del mondo diviso in blocchi, delluscita dal governo di comunisti e socialisti. In quel mondo diviso in blocchi, lItalia (al pari della Germania e
del Giappone) rappresentava la linea di confine: impossibile non pagare
le conseguenze di quel nuovo equilibrio internazionale. Per giunta in
presenza di una anomalia nel quadro dellOccidente democratico:
la presenza di un forte movimento comunista che ha guardato per
diverso tempo a Est, egemonico nella sinistra per motivi numerici.
Buozzi ha pagato tutto questo. Voleva ricostruire la Cgil unitaria ma
era un riformista, un colore passato di moda nella Confederazione ab29

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

bandonata dalle altre componenti politiche dopo la frantumazione dellunit antifascista. Lui stesso si era ritrovato davanti allirriducibile determinazione di Giuseppe Di Vittorio e del Pci a conquistare la guida del
sindacato in virt di una presenza comunista maggioritaria tra gli operai, argomento sostenuto come un atto di fede ma in quel momento non
ancora certificato da una consultazione democratica. Il riformismo di
Buozzi, per, stato un fiume carsico. La Uil lo ha fatto venire in superficie e per diverso tempo qualche affluente ha percorso anche la sede
della Cisl. Nella Cgil ha lavorato sotto traccia, quasi erodendola rimozione, e non solo perch la minoranza socialista (Santi, Brodolini,
Boni che di Buozzi stato uno studioso molto attento) ha continuato a
coltivarne il ricordo e a rivendicarne lattualit del messaggio, ma anche
perch buona parte dei segretari di quella Confederazione sono stati se
non degli eretici, degli irregolari (esattamente come il leader della
Fiom degli inizi del secolo scorso) gente come Luciano Lama o lo stesso
Bruno Trentin. E dato che il fiume arriva sempre al mare, con Guglielmo
Epifani (che a Buozzi ha dedicato i suoi studi) e Susanna Camusso i socialisti hanno ritrovato il loro posto al vertice, un posto che al leader di
Pontelagoscuro era stato negato dalla ferocia dei nazisti. Nel titolo ho,
per, voluto evitare il riferimento al riformismo non perch il termine
solleciti momenti di vergogna, tuttaltro visto luso massiccio che ne ho
fatto allinterno, ma perch la parola stata accompagnata da una sorta
di maledizione. Prima, dagli anni Venti, dai tempi delle scomuniche di
Lenin, sino alla fine degli anni Settanta, il riformismo veniva associato nella migliore delle ipotesi ai socialtraditori nella peggiore (Stalin che poi firm il patto di non aggressione con la Germania: da quale
pulpito, proprio il caso di dire, veniva la predica) ai socialfascisti.
Personaggi veramente al di sopra di ogni sospetto come Piero Boni, allepoca segretario generale aggiunto della Cgil, e Luciano Lama (in un
libro apparso dopo la sua uscita da Corso dItalia) ne fornivano testimonianza, il primo definendo Buozzi con la qualifica pi politicamente corretta di riformatore, il secondo sottolineando come il titolo di
riformista allinterno del Pci fosse bandito tanto vero che bisognava
fare ricorso ad altri espedienti dialettici (compreso quello di miglioristi) per indicare la medesima cosa. Poi, negli ultimi quindici anni, dal
30

INTRODUZIONE

cattivo uso si passato allabuso. Riformisti erano tutti coloro che propugnavano riforme, di qualsiasi tipo, di qualsiasi foggia, di qualsiasi
squinternato colore. Si sono scoperti riformisti personaggi anche coerenti con le loro scelte politiche ma che con il riformismo non avevano
proprio nulla da spartire, Mario Monti, ad esempio. Insomma, si faticava
a distinguere il rosso dal nero: Lutero era un riformista ma non lo erano
di certo i papi (Paolo III, Giulio III e Pio IV) che vollero il concilio di
Trento e lo portarono a compimento in diciotto anni. Il riformismo, lo sapeva bene Buozzi, era una pratica abbinata, per, a unidea politica
progressiva: lavanzamento della societ (dal punto di vista di chi occupa i vagoni di coda, quelli che un tempo venivano qualificati come
terza fumatori) attraverso riforme capaci di aggredire e sciogliere i
nodi che strangolano gli assetti produttivi, finanziari ed economici della
societ, che tolgono laria ad alcuni e ne concedono troppa ad altri. Non
si mai visto un riformista che sia da una sola parte, cio quella dei
ricchi, potenti e privilegiati, il riformismo il soffio dellequit che pu
diventare tempesta ma pu anche essere dolce come il ponentino. Soprattutto, con il titolo, ho cercato di spiegare cosa sia stata (almeno in una
lettura che sempre un po di parte per quanto non faziosa) la vita di
Buozzi: un viaggio senza tempo che ha consentito il passaggio del sindacato dalle concezioni pionieristiche delle Leghe di resistenza (sebben
che siamo donne...) alla organizzazione di industria, dalla solidariet
dei mestieri a quella dellappartenenza a un pi vasto e complesso apparato produttivo, una fase di passaggio che probabilmente ha trovato la
sua compiutezza quasi mezzo secolo dopo, non a caso tra i metalmeccanici con la creazione della Flm (sempre quella canzone delle mondine riprodotta in apertura, diceva: la libert non viene perch non c
lunione, crumiri col padrone e durante lAutunno Caldo i lavoratori
marciavano dietro uno striscione: Uniti si vince, un impegno che anni
dopo Trentin avrebbe rilanciato: Se uniti non sempre si vince, certo si
perde meno). Ma poi c anche un secondo aspetto: il senso della storia
drammatica di un uomo, il messaggio estrinseco e intrinseco che ben
radicato in un certo modo di essere sindacato e di essere sindacalisti, a
volte anche in maniera totalmente inconsapevole, anche non conoscendo
nemmeno la data di nascita di Buozzi. Ecco perch ho provato a uscire
31

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

dalle nozioni per svelare le emozioni. Mi interessava raccontare una


storia, molto meno scrivere di storia. Buozzi non ci ha lasciato ponderosi (che poi diventano polverosi) saggi ideologici, ci ha lasciato il libro
della sua vita, una vicenda grande e allo stesso tempo tragica: ha fatto
rinascere la Fiom e ha visto morire, con il fascismo, la libert sindacale;
ha lottato per tenere in vita, ancorch in esilio,
il nome della Confederazione Generale del Lavoro ma non ha potuto
restituirle la vita in patria perch a lui hanno tolto la vita. La sua
parabola si incrocia con quella di altri personaggi di quei tempi
e questi incroci ho provato a farli rivivere utilizzando le
testimonianze dellepoca, provando a restituire la voce a chi non
pu pi parlare. Bruno Buozzi ha lasciato una idea di sindacato
fatta di unit, autonomia, libert, organizzazione, capacit di andare
oltre gli steccati della politica. Ha provato a tenere insieme tutto convinto che la faziosit avrebbe solo potuto uccidere il sindacato e
danneggiare il movimento dei lavoratori. Probabilmente questa la sua
pi grande eredit. Questa biografia ha provato a saldare vicenda individuale e vicenda collettiva, a fornire lo scenario al Protagonista.
Questa biografia probabilmente meno ricca di date ma pi
ricca di anima, poco incline allo spirito accademico (che non
mi compete e che altri possono esprimere con maggiore competenza e
profitto) ma pi impastata di tensione divulgativa. Una biografia atipica, insomma, che far inarcare il sopracciglio ai puristi:
rielaborata partendo dal passato ma pensando al presente e al futuro,
una chiave di lettura per orientarci negli affanni delloggi
utilizzando le lezioni di ieri. Ho probabilmente abusato della pazienza
del lettore ma mi auguro che alla fine non me ne venga fatta una colpa.
a. m.

32

Rina mia, c chi nato per vivere intensamente


e gagliardamente e c chi nato per vivere
pacatamente o mollemente. Io sto tra i primi,
e tu lo sai; cos come sai che
tra i secondi non potrei adattarmi

La sua Italia

Il cippo al quattordicesimo chilometro della via Cassia


che ricorda le vittime delleccidio
de La Storta: Demmo la vita per la libert

Luomo negli ultimi settantanni ha cambiato il paesaggio. La via


Cassia una teoria interminabile di automobili e semafori che rallentano la
marcia trasformando il lento scorrere del traffico in una laica ancorch rombante processione. La citt non la stessa di quella lontana notte. Roma ha
progressivamente dilatato i suoi confini man mano che lanagrafe ampliava
i suoi archivi. La Capitale contava appena un milione di abitanti. Finiva
prima, molto prima. Qui era campagna, qui, al chilometro 14,2, cera la Tenuta Grazioli i cui contadini, come raccontava il 7 giugno del 1944 il cronista
dellAvanti!, facevano sapere... che i tedeschi avevano abbandonato 14 cadaveri. I segni del quel che avvenne ora sono sommersi, tra un Relais a cinque stelle e il convento delle Figlie del Calvario, tra condomni di villette a
schiera e quartieri che si inseguono come i grani di un rosario: Giustiniana,
La Storta, Le Rughe. Il cippo si intravede appena e, probabilmente, solo chi
sa o interessato, riesce a scorgerlo perch messo l, allangolo di una strada
a massiccio scorrimento, sembra uno dei tanti altarini prodotti dalla dissennatezza automobilistica e dalla sfrenatezza della velocit, innalzati per ricordare qualche ragazzo prematuramente scomparso per colpa, semmai, di
un coetaneo che troppo in discoteca aveva fraternizzato con lalcool. I fiori
gialli e rossi ricordano i colori della citt. Quattordici nomi che ai contadini
della Tenuta Grazioli apparvero solo come quattordici malcapitati, vittime di
una follia chiamata Guerra, che insanguinava lItalia, che laveva divisa con
la ferocia di un conflitto civile e di una occupazione fatta, appunto, di cadaveri
abbandonati, senza rispetto e senza piet, in un fosso, esposti alle angherie
della pioggia, del vento, del fango. Da Nord uscivano i tedeschi, le Ss, da
Sud entravano il soldati della United States Army North che dopo aver piegato ad Anzio le ultime resistenze, erano arrivati nella Capitale.
Il suo nome il quarto a sinistra, tra quello del maggiore Alfio Bran37

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

dimarte e quello del professore Luigi Castellazzi. Sul cippo, uniscrizione:


Demmo la vita per la libert. Qui si concluse nella notte tra il 3 e il 4 giugno
del 1944, a sessantatr anni, il viaggio terreno di Bruno Buozzi, Padre Nobile
del sindacalismo moderno. Forse gli inquilini di via Giulio Galli, la strada
che parte dalla Cassia e si incunea in quella che un tempo era solo campagna,
non sanno nemmeno chi sia e perch sia finito l, tra alti muri di cinta che delimitano le attuali propriet private. Per molti, Buozzi solo un figlio della
toponomastica cittadina, una strada del quartiere Parioli in cui pure lui, per
un breve periodo, a ridosso dellultimo, tragico arresto, ha abitato. N sanno
perch mai, allinterno, vi sia quella croce di pietra massiccia, sistemata su
un rialzamento del terreno. Per arrivarci bisogna percorrere sedici scalini. L
furono trovati i quattordici cadaveri, orribilmente trasfigurati.
Cos raccont il Messaggero nelledizione dell8 giugno il ritrovamento e il riconoscimento delle vittime dellultimo eccidio nazista a
Roma: Superato il primo senso di orrore i contadini si portavano sulla
via Cassia e fermato il primo autocarro di passaggio informavano coloro
che vi erano a bordo della triste scoperta. I cadaveri venivano pietosamente
deposti sullautocarro e trasportati a Roma allospedale Santo Spirito.
Mentre le salme venivano ricomposte nella camera mortuaria, si dava lannuncio al commissariato di Borgo i cui funzionari si recavano allospedale
per le constatazioni di legge e per il riconoscimento dei cadaveri. Nessuno
ancora aveva intuito, per, la realt. Nessuno immaginava chi fossero
quelle vittime e chi tra esse vi fosse. Si cominci per esclusione. Si fece
cio la ricerca delle ultime deportazioni naziste. In un appunto, Pietro
Nenni ricorda quelle convulse e drammatiche ore: Una giornata terribile.
Arrivando alla direzione del partito alle otto ho appreso che nella notte
erano state trasportate a Roma le salme di 14 vittime dei nazisti. Si tratta
di detenuti di via Tasso partiti venerd scorso verso il Nord. Sono stati freddati con una classica rivoltellata alla nuca al chilometro dieci della via
Cassia, in localit detta La Storta. I compagni delle organizzazioni militari
hanno gi riconosciuto tre di loro, i compagni Baran Frederick (il nostro
Raffaele), Libero De Angelis e Salvatore Tonetti. Non impossibile che sia
tra i morti anche Bruno Buozzi. Ho mandato subito Canevari1, Lupis e Perotti allospedale Santo Spirito dove sono state trasportate le salme. Sono
tornati dopo mezzora che mi sembrato un secolo, con la risposta affer38

L A S U A I TA L I A

mativa: Bruno fra i morti! Mi allora toccato di andare, volendo ancora


sperare che ci potesse essere un errore. Si entra in una specie di lugubre
cripta. Le salme sono allineate su un pancaccio, assolutamente irriconoscibili. I volti sono neri, gonfi, sfigurati come i morti in campo di battaglia,
quando sono rimasti esposti al sole o alle intemperie. Non riesco a trovare
i tratti di Bruno nel cadavere che mi mostrano, ma taluni segni, la statura,
gli abiti, il taglio dei capelli, fanno effettivamente pensare a lui. Sono davanti a questi resti informi come disumanizzato: lorrore vince la piet. In
tasca al cadavere di Bruno giacch purtroppo lui stato trovato un
fazzoletto con liniziale B. Aveva a tracolla un fagottello di biancheria; lo
faccio disfare; il pigiama e la camicia portano la marca di una camiceria
di Parigi. Mi aggrappo ancora alla speranza che le sue cose personali possano essere state regalate o prese da un altro. Gli faccio togliere una scarpa
e tagliare un lembo del corpetto. E corro, con queste macabre reliquie, dai
compagni Cesari presso i quali ricoverata la signora Rina2. Fino allarrivo degli americani ella aveva creduto che Bruno fosse partito con me per
Napoli. Dopo la liberazione le si fatto credere che era stato arrestato a
Frosinone e trasportato dai tedeschi a Verona. Come mi vede, la povera
donna ha lintuizione della sciagura e mi butta le braccia al collo. Allora
tutto ci che avevo preparato per prepararla alla verit sfuma nel mio cervello e le dico: Rina, Bruno morto... Povero, povero Bruno. Noi fondavamo molte speranze in lui. Nel governo in formazione ci avrebbe
rappresentato con autorit e con la sua competenza. per il partito una
perdita irreparabile. Per me uno schianto. Ieri Colorni, oggi Buozzi...3.
l epilogo. Con molti interrogativi, non tutti risolti dalla ricerca
storica. Ma al di l del modo in cui si giunse a quellultima notte, la notte
in cui cominci il viaggio finale, e dei motivi che la determinarono (e di
cui parleremo pi avanti in questo libro), resta il senso di una vita e di una
testimonianza. Quei quattordici (anzi tredici perch uno il tenente Eugenio
Arrighi stato tumulato altrove) cadaveri oggi riposano nel cimitero monumentale della Capitale, il Verano. Quasi allingresso, appena dietro la
Cappella. La tomba di Buozzi facilmente individuabile. La statua di un
operaio sembra fare la guardia a quello che era stato prima il leader dei metallurgici e poi il capo della CGdL e sarebbe stato il leader della Cgil rinata
e riunificata. Da una parte, a sinistra della statua, il quadro di un metallur39

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

gico che con un martello modella un pezzo di metallo battendo sullincudine, dallaltra, alla destra, quello di un contadino impegnato nella raccolta
dal grano armato di falce. Sulla lapide una lunga iscrizione: Nellestate
del 1943 Bruno Buozzi torn dallesilio a difendere nella tempesta della
guerra civile i lavoratori italiani. Catturato dal nemico tedesco e fascista
fu trucidato il 4 giugno 1944 perch con lui si spegnesse la voce del pi
forte compagno. Inizi il suo martirio, la lotta che fece tremare i tiranni.
Rispose al suo sangue altro sangue che in cento officine dItalia fu gloria,
promessa, diritto. Alle fortune del lavoro italiano.
Oggi che si fatica a ricordare, forse vale la pena ricostruire questa
grande storia umana e politica, segnata dalla fedelt a una idea, da una coerenza che ammette gli errori ma non i tradimenti. Il suo viaggio terminato
a Roma, era cominciato oltre quattrocento chilometri pi a nord, a Pontelagoscuro, praticamente una prosecuzione di Ferrara. Era il 31 gennaio del
1881. Era unItalia lontana da quella che stava uscendo dalla guerra, lontanissima da quella dei nostri giorni. Eppure, senza nemmeno grandissimi
sforzi intellettuali, si possono leggere in filigrana, in quel crepuscolo dellOttocento, le cause (almeno alcune) dei problemi che ancora affliggono
il nostro Paese in questalba del Terzo Millennio. E la stessa biografia giovanile di Buozzi in qualche maniera finisce per interpretare e per identificarsi con la biografia dellItalia, con i fermenti che la percorrono, con i
processi sociali che si sviluppano cambiando la fisionomia di una nazione
unita solo da venti anni ma che si porta dietro (anche amplificando) le contraddizioni di un percorso per molti aspetti eroico ma per altri aspetti decisamente deludente. Un anno dopo la nascita di Bruno Buozzi, sarebbe
morto Giuseppe Garibaldi e la sua scomparsa che arrivava dopo quella di
Giuseppe Mazzini (1872), segnava la chiusura di una fase storica, il passaggio del testimone a una nuova classe dirigente che avrebbe tradito una
parte delle attese e delle speranze del processo unitario. Lo stesso Garibaldi,
nellultima fase della sua esistenza, aveva manifestato una certa amarezza
per il modo in cui le cose erano andate. E lui probabilmente pensava alla
spedizione dei Mille, alla liberazione del Sud e alle attese germogliate
nella popolazione, soprattutto nei contadini pi poveri. Invece, nellItalia
in cui Buozzi nasceva, si avvertiva ancora leco di una guerra cruenta, mai
ufficialmente dichiarata ma che, come ha sottolineato lo storico inglese,
40

L A S U A I TA L I A

Denis Mack Smith, ha prodotto nelle file dellesercito sabaudo pi morti


di quelli causati dalle tre guerre di indipendenza. La repressione del brigantaggio, fenomeno in qualche maniera occultato, forse perch venne
stroncato in un decennio con una repressione feroce tanto da indurre alcuni
storici a parlare di un vero e proprio genocidio, per molti aspetti non molto
dissimile da quello avvenuto in America ai danni dei Nativi. I piani della
Spedizione dei Mille vennero portati a Caprera, al Generale, da un meridionale, il tarantino Nicola Mignogna, un rivoluzionario di professione,
si potrebbe dire, sostenitore della spedizione di Carlo Pisacane e poi fidatissimo collaboratore di Garibaldi. Qualche anno dopo, Mignogna scriveva
al suo comandante: Allora avevamo un despota, oggi ne abbiamo tanti
quanti sono al potere. Glimpieghi sono quasi tutti occupati da piemontesi
o da borbonici, i quali non pensano che ad arricchire, n si curano, n si
intendono di governo; ma non vogliate attribuire ci allinsufficienza del
popolo: la consorteria, che parteggia o per Murat, o per il Borbone, e
vuole mantenere il disordine. Il Borbone ci manda briganti armati, briganti
civili il governo: tra gli uni e gli altri il popolo schiacciato nel modo pi
feroce del mondo...4.
Quella guerra si concluse con un bilancio che ancora oggi solo ufficioso: fra le ventimila e le settantaquattromila vittime. Di ufficiale, invece,
abbiamo gli irrisolti problemi del Mezzogiorno, che sono uno dei freni allo
sviluppo del Paese e che in qualche misura Gramsci aveva spiegato in un articolo apparso sullOrdine Nuovo alla fine della prima guerra mondiale: La
psicologia dei contadini era, in tali condizioni, incontrollabile; i sentimenti
reali rimanevano occulti, implicati e confusi in un sistema di difesa contro
gli sfruttamenti, meramente egoistica, senza continuit logica, materiata in
gran parte di sornioneria e di finto servilismo. La lotta di classe si confondeva col brigantaggio, col ricatto, con lincendio dei boschi, con lo sgarrettamento del bestiame, col ratto dei bambini e delle donne; con lassalto al
municipio: era una forma di terrorismo elementare, senza conseguenze stabili
ed efficaci. Obiettivamente quindi la psicologia del contadino si riduceva a
una piccolissima somma di sentimenti primordiali dipendenti dalle condizioni
sociali create dallo Stato democratico-parlamentare; il contadino era lasciato completamente in balia dei proprietari e dei loro sicofanti e dei funzionari pubblici corrotti, e la preoccupazione maggiore della sua vita era
41

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

quella di difendersi corporalmente dalle insidie della natura elementare, dai


soprusi e dalla barbarie crudele dei proprietari e dei funzionari pubblici...
Quattro anni di trincea e di sfruttamento del sangue hanno radicalmente mutata la psicologia dei contadini. Questo mutamento si verificato specialmente in Russia ed una delle condizioni essenziali della rivoluzione... Gli
istinti individuali egoistici si sono smussati, unanima comune unitaria si
modellata, i sentimenti si sono conguagliati, si formato un abito di disciplina sociale: i contadini hanno concepito lo Stato nella sua complessa grandiosit, nella sua smisurata potenza, nella sua complicata costruzione5.
C, ovviamente, lottimismo del rivoluzionario ma quelle parole indicano
una stratificazione del problema. Perch nellItalia di Bruno Buozzi, le classi
dirigenti avevano sostanzialmente deciso che la raccolta del consenso valeva
bene qualche amnesia. Lo ha scritto con chiarezza Rosario Villari: Il consenso dei galantuomini meridionali comportava la rinuncia allintervento
riformatore di cui il Mezzogiorno aveva estremo bisogno. Pochissimi si resero conto in quel momento del significato altamente negativo che la conferma dellimmobilismo e dellarretratezza del Mezzogiorno avrebbe avuto
non solo per le popolazioni meridionali ma anche per le prospettive di progresso economico, civile e politico del Paese6.

1.1 Quando nasce un bambino operaio

Daltronde, i presidenti del consiglio dal Sud si tenevano alla larga:


Cavour e Depretis non ci andarono mai, Giolitti soltanto una volta, dopo il
terremoto di Messina; i vecchi aristocratici borbonici diventati nuova classe
dirigente, erano liberi di trasformare il patrimonio pubblico in beni individuali confidando anche sullalleanza con mafia e camorra (lasciate libere di
usare sulle popolazioni il proprio violento tallone di ferro) a cui spesso aderivano anche funzionari dello Stato, come prefetti e vice-prefetti; i quattro
quinti dei siciliani ancora nel 1900 erano analfabeti e i nove decimi dei giovani dellIsola risultavano inidonei al servizio militare; difficile, poi, confidare in uno stato che distribuiva le tasse in maniera decisamente iniqua (cosa
che avviene ancora oggi con il federalismo fiscale alla rovescia: paga di pi
chi meno ha) riscuotendo al Nord dove nel 1910 si produceva il 48 per cento
della ricchezza, il 40 per cento delle imposte, e al Sud dove in fatto di ricchezza prodotta ci si fermava al 27 per cento, il 32 per cento; lemigrazione,
42

L A S U A I TA L I A

Lo stato di famiglia di Bruno Buozzi redatto dal comune di Ferrara il 2 dicembre 1939

43

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

per chi rimaneva, era un fatto positivo perch evitava la sovrappopolazione


alleviando, conseguentemente, la miseria, pertanto nel 1914 tra i cinque e i
sei milioni di italiani vivevano allestero a fronte di trentasei milioni di residenti. Il gap accumulato allora non siamo mai pi riusciti a colmarlo e
anche se non sono mancati i tentativi per recuperare il ritardo, ancora oggi
il Mezzogiorno paga le conseguenze di quellimmobilismo di cui parla Villari avendo aggiunto, nel frattempo qualcosa di nuovo: i motivi di una disunione che appaiono come il tradimento degli ideali di quegli uomini come
Buozzi che, come recita liscrizione sul cippo della Cassia, diedero la vita
per la libert. Era, quella del futuro segretario della CGdL, unItalia povera
e malata (nel senso letterale del termine), come testimoni il deputato radicale napoletano, Matteo Renato Imbriani che rivel come tra i zolfatari siciliani chiamati alla leva nel triennio 1881-1884 (in tutto 3.672) soltanto 203
erano stati dichiarati abili e arruolati. E lepidemia di colera che sconvolse
lItalia tra il 1884 e il 1887 provoc qualcosa come cinquantacinquemila
morti, una strage prodotta da condizioni abitative a dir poco malsane che a
Napoli, comunque, portarono allo sventramento del vecchio centro e alla
creazione di una rete fognaria e di irrigazione decente.
Lunit, insomma, era stata alimentata da generose idealit ma non
altrettanto generose erano state, poi, le politiche di governo, schiacciate sulla
perpetuazione (con estensione geografica) del vecchio stato di cose, pi che
animate da un vivificante spirito di innovazione e trasformazione. Lo scrisse
Pietro Nenni, in un saggio storico pubblicato in Francia nel 1930 e stampato
in Italia in tempi pi recenti: Raggiunta lunit per i moderati non si trattava
daltro che di estendere a tutti i paesi la Costituzione piemontese in modo superficiale, patteggiando con i vecchi stati pontifici, con i clericali e, nei vecchi stati
borbonici, con i latifondisti agrari e con gli aristocratici. La soluzione della questione romana, il problema del brigantaggio nel mezzogiorno, lorganizzazione
del bilancio dello Stato, la liquidazione delle armate particolari, linsegnamento,
eccetera, furono considerati dai moderati al potere in uno spirito di compromesso
con le forze del passato7.
Nellanno di nascita di Bruno Buozzi (31 gennaio 1881) sembra
quasi esserci il segno del destino. Un mese e mezzo dopo, il 13 marzo, a
San Pietroburgo, lo zar Alessandro II venne ucciso mentre tornava dalla
scuola di equitazione (una prima bomba lanciata da Nikolaj Rysakov lo co44

L A S U A I TA L I A

strinse a uscire dalla carrozza, una seconda lanciata da Ignatij Grinevickij


lo invest in pieno). Era in qualche maniera lannuncio di un malessere che
covando ancora per unaltra trentina danni avrebbe portato a quella Rivoluzione Proletaria che tanti entusiasmi avrebbe prodotto in quella prima
fase del Novecento per essere, poi, seppellita sotto le macerie del Muro di
Berlino. Erano anni allo stesso tempo turbolenti e stimolanti, di grandi scoperte e di grandi crisi, insomma, una fase di trasformazione in qualche maniera equiparabile (per gli effetti prodotti dal punto di vista economico,
produttivo, sociale) a quella che la nostra societ sta attraversando da un
paio di decenni a questa parte con lesplosione di nuovi mezzi di comunicazione come i telefonini e il Web. Perch intorno a quel ragazzino di Pontelagoscuro si agitava un mondo che stava cambiando: in Italia forse pi
pigramente, ma fuori dai confini in maniera molto pi tumultuosa. Certo, i
problemi della famiglia Buozzi in quel momento erano altri, cio il pane e,
possibilmente, il companatico. Era nato nellultimo freddo giorno di gennaio. Latto di nascita, come da consuetudine di quei tempi redatto in latino
dai sacerdoti, indicava inizialmente una data sbagliata: 27 febbraio, poi corretta. Il bambino, povero di mezzi economici, era ricco, per, di nomi:
Bruno Olindus Umbertus perch a quei tempi bisognava accontentare
tutti gli ascendenti. Terzo di cinque figli, per la precisione quattro maschi
e una sorella. Era nato in un territorio in cui i venti del riformismo soffiavano forte, fortissimi, in una zona in cui Filippo Turati era il santo protettore
della povera gente, il profeta di un futuro possibile. A ventisette chilometri,
a Fratta Polesine, quattro anni dopo, avrebbe visto la luce Giacomo Matteotti (parleremo di lui molto pi ampiamente in un prossimo capitolo). A
quarantuno chilometri, a Molinella citt emblematica nei processi di liberazione e sindacalizzazione di quei tempi (spesso oggetto di repressione da
parte dello stato reazionario e delle violenze fasciste che precedettero e accompagnarono il regime), aveva visto la luce Giuseppe Massarenti, figura
esplicativa della capacit di rinnovamento del riformismo realizzato.
Perch Massarenti ha regnato su Molinella quasi come un sovrano
laico, diventando uno dei motori di quella cultura cooperativistica che ha
reso la sinistra emiliana in qualche maniera sempre atipica rispetto ai clich
pi consolidati, realista e non incongruamente ideologica, disponibile al
confronto di idee ma scarsamente incline al compromesso che comporta la
45

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

messa in vendita dellanima. Massarenti visse da esiliato dieci anni della


sua vita, cinque da confinato e, infine, altri cinque da malato di mente,
internato nellospedale psichiatrico romano di Santa Maria della Piet. Diffidava dei Messia Rossi, come li chiamava lui, cio dei comunisti che
vedevano nel movimento cooperativistico un cedimento alle lusinghe capitalistiche e un paio di anni prima della sua morte (avvenuta nel 1950) e
dopo aver seguito Giuseppe Saragat nella scissione di Palazzo Barberini,
disse: La rivoluzione non ha nulla da dividere con la violenza. LItalia di
fine secolo non era la Russia zarista e chiunque avesse raggiunto il potere
con la violenza ammesso che fosse stato possibile, avrebbe soltanto scatenato una contro-violenza. Sono stato con Turati quando egli diceva che la
vera rivoluzione quella fatta con le riforme. A Molinella ho fatto la rivoluzione cos. E che avesse profondamente mutato con la sua azione il panorama sociale, confermato da un dato. In un Paese che concedeva i
benefici della scuola come fossero privilegi, nella citt su cui regnava Massarenti lanalfabetismo pass dall86 per cento del 1860 al 46 del 1900 per
ridursi ulteriormente al 29 nel 1911. E in quel 1911 a Molinella arrivarono
Filippo Turati e Anna Kuliscioff per inaugurare la casa dei cooperatori e
dei lavoratori. Al primo piano, Massarenti aveva la sua abitazione: una
stanzetta con le pareti coperte dai ritratti di Andrea Costa, Leonida Bissolati,
Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi.
Spiccava anche una immagine sacra a
conferma che anche i mangiapreti a
volte preferivano digiunare.
A Imola, ottantanove chilometri da
Pontelagoscuro, quindici anni prima di
Buozzi era nata Argentina Altobelli. La incontreremo spesso nel corso di questo racconto perch lei sta ai lavoratori della terra
come quello che sarebbe diventato il suo
amico Bruno sta ai metalmeccanici.
Fondatrice, nel 1901 (era tra i delegati
Argentina Altobelli, figlia
di una terra di riformisti

46

L A S U A I TA L I A

delle 704 leghe che si riunirono a Bologna), e poi storica leader (a partire
dal 1906) della Federazione. Anche lei, al pari di Buozzi, avrebbe favorito
lo scatto del sindacato dei lavoratori della terra verso la modernit. Anche
lei avrebbe opposto un rifiuto ai corteggiamenti di Benito Mussolini, perennemente alla ricerca di foglie di fico attraverso le quali dare la parvenza di una legittimit democratica al suo regime. Era, come stato detto
autorevolmente, la nuova donna socialista, figura non dissimile da quella
di Anna Kuliscioff: forte e battagliera, una femminista ante-litteram che,
non a caso, da bambina preferiva i libri alle bambole. In un mondo che non
riconosceva ancora la necessit dello studio (in particolare per le donne)
lei aveva deciso di iscriversi alla facolt di giurisprudenza a Parma. Adolfo
Pepe in un saggio realizzato per presentare una mostra a lei dedicata, ha
spiegato le scelte politiche della Altobelli utilizzando le sue stesse parole:
Ero infatuata degli scritti e dellazione che esplicava Andrea Costa, bench
adorassi Mazzini e Garibaldi, i due eroi sacri a tutti gli italiani... Lopera di
Andrea Costa appariva alla mia mente pi audace e complessa e pi rispondente alla realt che non alla dottrina idealistica di Giuseppe Mazzini. Ventidue anni prima di Buozzi, infine, a centoventi chilometri di distanza, a Reggio
Emilia, era nato Camillo Prampolini, una figura complessa in cui coesistevano
numerose anime: certo, quella del militante, ma anche delleducatore e del costruttore di nuove forme produttive come la cooperazione. Da lui Buozzi verr
affascinato tanto da tratteggiare alla sua morte (nel 1930) un commosso ritratto
su lOperaio Italiano (avremo modo pi avanti di ritornare su questo argomento).
Andrea Costa di Argentina Altobelli non era solo un punto di riferimento ideale, ma anche un concittadino (ancorch pi anziano di quindici
anni): primo parlamentare socialista, cresciuto anarchico ma convertitosi al
socialismo anche grazie alla frequentazione di Anna Kuliscioff, dalla quale
ebbe una figlia, Andreina. Una conversione al legalitarismo che spieg cos:
Noi ci racchiudemmo troppo in noi stessi e ci preoccupammo assai pi della
logica delle nostre idee e della composizione di un programma rivoluzionario
che ci sforzammo di attuare senza indugio, anzich lo studio delle condizioni
economiche e morali del popolo e dei suoi bisogni sentiti e immediati... quando,
spinti da un impulso generoso, noi abbiamo tentato di innalzare la bandiera della
rivolta, il popolo non ci ha capito e ci ha lasciati soli. Che le lezioni dellespe47

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

rienza ci approfittino!. Insomma, quella di Buozzi era terra pi di idealisti


che di ideologi; la tensione verso un mondo migliore non apriva le porte di
un paradiso onirico ma quelle di una azione concreta, quotidiana, dura e anche
pericolosa, continua e progressiva, senza scatti inconsulti n arretramenti vili.
Forse a forgiarli in questa maniera era il bisogno, un bisogno (Prampolini, in realt, proveniva da una agiata famiglia borghese) da cui liberarsi.
Lo aveva anche Buozzi, alla nascita. Perch la povert, ancorch dignitosa,
come la definiva il nostro protagonista, resta sempre povert, mancanza di
mezzi, difficolt a soddisfare in maniera sistematica e continua le necessit
quotidiane. Il padre Orlando non era certo un possidente. La madre, Maria
Maddalena Busti, aveva pochi denari e troppe bocche da sfamare. Era, insomma, un pezzo di quellItalia che un altro socialista amico di Turati, Edmondo De Amicis, avrebbe raccontato nei suoi romanzi. Era lItalia in cui
un ragazzino, pure appassionato allo studio, allet di undici anni, avendo
concluso la terza elementare e solo iniziato la quarta, doveva fare la conoscenza del mondo: trovarsi un lavoro, sporcarsi le mani per alleggerire la
sua presenza al desco familiare. Cosa che Bruno fece: apprendista operaio
a tredici anni alla Fratelli Santini di Bondeno. La citt stava cambiando.
Pontelagoscuro stava diventando in quegli anni un centro industriale: tre
distillerie, due mulini, una fabbrica di concimi chimici, un saponificio,
molte ditte di spedizionieri per via della contemporanea presenza della ferrovia, del porto fluviale e della strada statale. E cerano anche tre zuccherifici. In uno di essi trov lavoro Buozzi appena finito il servizio militare
(si conged nel 1906, come risulta da una nota riservata della Prefettura di
Ferrara del 1937: vestire la divisa era anche una strada per garantirsi vitto
e alloggio). Operaio addetto alla manutenzione. Ci rest poco perch venne
licenziato a causa delle sue idee socialiste. A conferma che si era fatto coinvolgere dai venti che spiravano in quel territorio e che trasportavano da una
stazione allaltra i nomi di Prampolini, Costa, Altobelli e Massarenti. A Milano avrebbe conosciuto Turati e Treves, creato con loro rapporti di amicizia
che sarebbero durati tutta la vita, ma l, nel suo paese, aveva celebrato una
sorta di rito di iniziazione. Quando arriv a Milano, dopo essere stato licenziato dallo zuccherificio, aveva venticinque anni: tanta voglia di cambiare, conoscere la vita e il mondo. Ha narrato Gino Castagno, suo
compagno di battaglie nella Fiom e nel partito: Lesosit padronale e lo
48

L A S U A I TA L I A

sfruttamento a cui sottoposto con i compagni di lavoro, lirritazione verso


i grandi che sentono lo sfruttamento ma non sanno come combatterlo,
sono esperienze che non saranno pi dimenticate8.

1.2 Nelle campagne crescono i capannoni

Erano gli anni in cui in Italia lindustrializzazione cominciava a


svilupparsi. Meno rapidamente rispetto allInghilterra e alla Germania e
con qualche contraddizione in pi, contraddizioni che segneranno il modo
dessere dellimprenditoria italiana, perennemente a mezza strada tra libero
mercato e protezionismo, tra aneliti autonomistici e richieste di aiutini.
Il Paese stava provando a darsi una dimensione moderna ma doveva fare i
conti con eredit pesantissime. Prima fra tutte: lignoranza di massa. Il censimento del 1881 racconta che gli italiani erano ventinove milioni e che gli
analfabeti ammontavano al 59,1 per cento (48,2 uomini, 70 donne). Ma le
cifre ufficiali rappresentano la realt del paese in maniera molto parziale
perch i confini dellanalfabetismo venivano definiti sulla base delle persone che dichiaravano di non poter firmare latto di matrimonio in quanto
a digiuno dei rudimenti della scrittura e della lettura. Molti di quelli che
firmavano sapevano fare solo quello. I dati reali sono altri: nel 1861, nellanno dellUnit, gli analfabeti erano il 78 per cento della popolazione,
dieci anni pi tardi il 73 per cento. Tutto lascia presagire, dunque, che nel
1881 si fosse ben oltre la soglia del sessanta per cento. Anche perch solo
nel 1887 la classe dirigente italiana prese atto che lanalfabetismo era una
piaga da combattere. Venne emanata la legge Coppino che port la scuola
dellobbligo dai sei ai nove anni. Ma il provvedimento fu costruito in modo
da produrre effetti limitatissimi nel Mezzogiorno dove, invece, larea dellanalfabetismo era pi ampia. Quellampiezza aveva conseguenze dirette
sul livello di democrazia del paese perch chi non sapeva leggere e scrivere
non poteva votare. Un anno dopo la nascita di Buozzi, nel 1882, venne varata una legge che estese quel fondamentale diritto di democrazia eppure
gli elettori non superarono i due milioni. Motivo? Erano esclusi gli analfabeti e i nullatenenti. Conseguenza: pochissimi votavano al Sud.
In quellItalia ancora alla ricerca di una dimensione, la Capitale,
Roma, contava appena trecentomila abitanti, contro il mezzo milione di
Napoli e i trecentoventiduemila di Milano. Lagricoltura restava il settore
49

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

produttivo pi forte (66,8 per cento degli occupati tra gli uomini, il 63 fra
le donne) ma lindustria cominciava a crescere (17,1 per cento di occupati
maschi, 25,6 femmine, segno evidente che il settore in quel momento pi
ampio era il tessile). Cera, daltro canto, un fermento generale che percorreva lEuropa e che si legava da un lato allo sviluppo dei trasporti (nel 1882,
ad esempio, venne inaugurato il traforo del San Gottardo, tra lItalia e la
Francia) e delle comunicazioni (la scoperta delle onde elettromagnetiche
compiuta dal fisico tedesco Heinrich R. Hertz nel 1887 consentir a Guglielmo Marconi, dodici anni dopo, di mettere a punto un sistema di radiotrasmissioni) e dalla scoperta di nuove fonti di energia (la turbina idraulica
e la dinamo favorirono la produzione dellelettricit per via idraulica). Nacquero nuovi settori industriali come la chimica (intorno al 1880). La spinta
allo sviluppo dellindustria, in Italia cominci ad avvertirsi verso il 1879 e
in sei anni le importazioni di carbone raddoppiarono. Lo sviluppo industriale venne, ovviamente, accompagnato dalla ricerca di sistemi di organizzazione del lavoro pi efficienti (Frederik W. Taylor mise a punto nel
1893 il metodo pi famoso, quello che va sotto il nome di taylorismo, la
catena di montaggio, che si lega in maniera in qualche misura indissolubile
tanto allo sviluppo dei movimenti sindacali quanto alla diffusione della predicazione socialista). Bruno Buozzi, alla fine, emigr coprendo soltanto
una distanza di duecentocinquanta chilometri ma fu anche lui coinvolto in
un processo che in quegli anni fin per essere quasi un corollario dello sviluppo industriale. Nel solo 1881 andarono via dallItalia quasi 136 mila
persone (circa cinquantunomila si trasferirono in Francia, sedicimila in Argentina, undicimila e cinquecento negli Stati Uniti). Il nuovo stato unitario
aveva per lungo tempo bloccato i flussi migratori, soprattutto per garantire
manodopera a basso costo nelle campagne meridionali. Poi, a partire dal
1880, apr le frontiere: la sovrappopolazione aveva raggiunto al Sud livelli
di guardia. Oggi le migrazioni sono tornate a essere un tema di propaganda
politica ed elettorale con tutto quello che ne consegue a livello di disinformazione e di allentamento dei vincoli solidaristici. Eppure, in quel mondo
decisamente meno sovraffollato di quello attuale, nel giro di trentaquattro
anni, dal 1880 al 1914 diciassette milioni di persone si spostarono dallEuropa (dalle zone pi sottosviluppate, ovviamente) e alla statistica gli italiani
diedero un contributo decisivo (quattro milioni, normalmente contadini po50

L A S U A I TA L I A

veri e altrettanto normalmente analfabeti).


Quando Bruno Buozzi vide la luce a Pontelagoscuro, il Re era Umberto I e lesecutivo era presieduto da Agostino Depretis: la destra storica,
insomma, aveva ceduto lo scettro alla sinistra anche se poi, alla resa dei
conti, fra i due schieramenti non vi erano particolari differenze, se non nella
gestione del governo che vide il trionfo del trasformismo, vecchia malattia italiana che attraverser i decenni e i secoli. Daltro canto, labilit di
Depretis era chiara: far confluire nel proprio campo esponenti del campo
opposto con concessioni sul terreno della clientela e del localismo. LItalia
contemporanea discute molto dellinterventismo presidenziale; quella della
fine dellOttocento aveva il partito di corte che condizionava le scelte
politiche. Linstabilit, lavvicendamento continuo di governi alla guida del
Paese esisteva anche allora: dalla sua nascita, alla partenza per lesilio,
Buozzi vide sorgere ben trentotto governi, compreso quello di Mussolini.
I cavalli di razza (che poi erano spesso di ritorno) erano Depretis (ne
guid sei), Giolitti (ne guid cinque), Crispi (ne guid tre). E la tendenza a

1898: Bava Beccaris a Milano sazia col piombo la fame di pane

51

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

rispondere alle tensioni sociali con le sterzate reazionarie, con i richiami


dordine era gi presente allora. Buozzi aveva diciassette anni quando a
Milano scoppiarono i moti che furono repressi a colpi di cannone dal generale Fiorenzo Bava Beccaris. Rivolta del pane (il cui prezzo era aumentato), tre giorni di scontri cominciati nel momento in cui operai e
sindacalisti intenti a distribuire volantini alla Pirelli (accusavano il governo
di essere la causa delle condizioni di miseria in cui in quel momento versava
il proletariato) vennero arrestati (alcuni poliziotti erano riusciti a infiltrarsi
in fabbrica). Fin con una carneficina, soprattutto la giornata dell8 maggio
1898 quando contro le barricate dei manifestanti, Bava Beccaris, poi soprannominato il macellaio di Milano, ordin luso dellartiglieria. La
pubblicazione dei giornali anti-governativi venne sospesa, Filippo Turati,
Anna Kuliscioff, Andrea Costa, Leonida Bissolati, Carlo Romussi e Paolo
Valera furono arrestati. Il governo non forn mai il bilancio ufficiale delle
vittime: ottantotto, secondo le stime pi ottimistiche, centodiciotto, secondo
quella pi credibile; oltre trecento, secondo altri testimoni. Pi alte secondo
una famosa ballata popolare (Il feroce monarchico Bava): Alle grida strazianti e dolenti/ di una folla che pan domandava/ il feroce monarchico
Bava/ gli affamati col piombo sfam/ Furon mille i caduti innocenti/ sotto
il fuoco degli armati caini/ Al furor dei soldati assassini/ morte ai vili la plebe grid/ Coraggio, compagni! La plebe rejetta/ Chiama, ci attende;
si faccia vendetta. Noi sempre sfidammo miserie ed affanni/ sinnalzi or la
fronte: si scacci i tiranni. Un paio danni dopo, il 29 luglio 1900, lanarchico Gaetano Bresci, a Monza uccise Umberto I. Per ammissione dello
stesso Bresci, il gesto era da considerarsi una vendetta per i fatti di Milano
e la decorazione di Bava Beccaris che il re aveva aveva deciso nemmeno
un mese dopo la carneficina: Ho preso in esame le proposte delle ricompense presentatami dal ministro della guerra a favore delle truppe da lei dipendenti e col darvi mia approvazione fui lieto e orgoglioso di onorare la
virt di disciplina, di abnegazione e valore di cui esse offersero mirabile
esempio. A lei, poi, personalmente volli offrire motu proprio la Croce di
GrandUfficiale dellOrdine Militare di Savoia, per rimeritare il grande servizio che Ella rese alle istituzioni ed alla civilt e perch Le attesti col mio
affetto la riconoscenza mia e della patria. Umberto.
Capo del governo era Antonio di Rudin ma il vero campione
52

L A S U A I TA L I A

delle sterzate in senso autoritario fu Francesco Crispi, grande estimatore di


Otto von Bismarck e dei suoi metodi estremamente duri e sbrigativi. Tra i
due correva una non irrilevante differenza: se Crispi pensava che solo con
la forza si potessero tenere a bada i fermenti nuovi che stavano portando
alla nascita in tutta Europa dei partiti socialisti, Bismarck alternava il bastone dellautoritarismo con la carota della politica sociale (var nel 1883
una legge per lassicurazione sulle malattie e, nel 1889, quella per le pensioni di invalidit e vecchiaia). Il campione dellautoritarismo, insomma,
provava a combattere la diffusione del marxismo facendo leva su quello
che oggi chiameremmo welfare e che non aveva ancora avuto una sistemazione teorica piena e organica. Una situazione che indurr Nenni a dire: Si
deve constatare che furono uomini di destra come Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti, che verso il 1880 attirarono lattenzione delle classi dirigenti sulla necessit di applicare una larga politica sociale preventiva,
sullesempio di Bismarck in Germania e Disraeli in Inghilterra. E per sottolineare le differenze tra le coalizioni che avevano governato il Paese sino
alla prima guerra mondiale aggiungeva: Secondo il filosofo e storico Benedetto Croce, ci che separa la destra dalla sinistra era che la destra rappresentava un ideale puro, mentre la sinistra adattava il suo ideale alla
realt empirica. Era questo che si chiamava trasformismo, oggi si direbbe
realismo. Agostino Depretis ne fu il sommo sacerdote per dodici anni...
Esercit in questo modo nella vita politica del paese una vera dittatura burocratica che si appoggiava sulla costellazione eterogenea delle consorterie locali... Nessuna comprensione spingeva Depretis verso la classe
operaia. Ma se... parve tenere conto nel 1882 e soprattutto nel 1886 del
Partito Operaio, fu perch questo nuovo partito, dal punto di vista sociale,
non era ancora in grado di costituire un vero pericolo9.
Una cosa chiara: quando Buozzi approd a Milano, il Triangolo
Industriale (Lombardia-Piemonte-Liguria) era gi nato, con la benedizione
del governo che aveva in qualche modo accolto linvito della borghesia industriale che chiedeva allo Stato un intervento pi energico, una politica
economica che accompagnasse la crescita del nuovo settore produttivo.
Ha scritto Rosario Villari: Capisaldi della nuova politica del governo furono ladozione del protezionismo doganale e le sovvenzioni dirette ad alcuni complessi industriali di particolare importanza. I dazi di importazione
53

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

dei manufatti industriali cominciarono ad essere elevati nel 1878. Subito


dopo si ebbe un moderato incremento dellindustria (dal 1881 al 1887)
particolarmente sensibile nei settori metallurgico, meccanico e chimico.
Una parte importante in questa fase ebbero le sovvenzioni statali, che furono date alla prima grande acciaieria (la societ Terni) la cui costruzione
fu iniziata nel 1884, allindustria cantieristica, alle societ di navigazione...
La vera e propria svolta protezionistica si ebbe nel 1887 con ladozione di
una tariffa che in pratica elimin la concorrenza straniera10.
Lindustrializzazione nel nostro Paese nata (ai tempi di Buozzi)
ed rinata (dopo la seconda guerra mondiale con il Boom) grazie allintervento dello Stato, diretto o indiretto che fosse, sotto forma di aziende di
stato, di sovvenzioni o di politiche di protezione. E di sostegni bancari.
Sempre Villari racconta: Sorta sulla base della protezione statale e della
compenetrazione con il capitale bancario, lindustria italiana punt pi che
sulla competizione economica e sullaggiornamento tecnologico, sul dominio privilegiato del mercato, sui bassi salari, sulle commesse statali, sulla
concentrazione di imprese11. una diagnosi che svela quanto poco di inedito caratterizzi i nostri giorni. La svalutazione della lira e i bassi salari hanno
consentito al nostro sistema industriale di restare competitivo sino allavvento delleuro. Poi, per, le cose sono cambiate e i nostri limiti dal punto
di vista dellaggiornamento tecnologico, della ricerca sono emersi. A quel
punto la flessibilit spinta stato lillusorio strumento per recuperare il
tempo perduto che, al contrario, volato via lasciando pesantissime tracce
a livello di efficienza, robustezza e competitivit del nostro apparato produttivo. A proposito degli operai italiani della fine dellOttocento, scrive ancora lo storico: Gli operai italiani erano tra i peggio pagati dEuropa,
avevano i pi lunghi orari di lavoro, mancavano di ogni tipo di assistenza
ed erano duramente ostacolati nei loro tentativi di organizzazione12. Un
copione che in parte viene replicato a poco meno di un secolo e mezzo di
distanza: salari tra i pi bassi dEuropa, orari tra i pi lunghi dEuropa. E le
similitudini non finiscono qui. Ad esempio, la bolla immobiliare. Ve ne
fu una anche alla fine di quel secolo. Le citt, anche sotto la pressione dei
flussi migratori, si dilatarono. La situazione favor attivit speculative nel
settore edilizio che le banche provvidero a finanziare. Ma a un certo punto
il mercato si blocc (esattamente come ai giorni nostri) e gli istituti di credito
54

L A S U A I TA L I A

si ritrovarono in una situazione di grave sofferenza che lo Stato prov ad alleviare attraverso aiuti e sovvenzioni che aprirono la strada ad altre operazioni speculative. E poi la finanza pubblica. AllUnit lItalia era arrivata
portandosi dietro un enorme debito pubblico. Nel 1876, Marco Minghetti
riusc a realizzare il pareggio di bilancio. Almeno in apparenza: tenne fuori,
infatti, i quattrini spesi per la costruzione delle ferrovie.
Ma, soprattutto, quando arriv a Milano, Buozzi si ritrov a fare i
conti con idee nuove che parlavano alle classi meno favorite e che, per,
si andavano irrobustendo dal punto di vista numerico con lespansione del
settore industriale. Ha scritto Donald Sassoon: Il marxismo si diffuse rapidamente in tutta la sinistra europea dopo che divenne lideologia ufficiale
del pi importante partito socialista dellepoca, la Sozialdemokratische Partei Deutschlands (Spd)13. E cominci dalla Germania anche perch la percentuale di lavoratori impiegati nellindustria era la pi alta a livello europeo,
dopo lInghilterra: 39,1 per cento nel 1907 contro il 26,8 in Italia nel 1911,
il 29,5 in Francia nel 1906, il 32,8 in Olanda nel 1909, il 44,6 nel Regno
Unito nel 1911. Nel 1890 la Spd in Germania era elettoralmente gi il pi
forte partito del Paese ed il programma di Erfurt messo a punto da Karl Kautsky defin con maggiore chiarezza latteggiamento di un partito marxista
sulle questioni della democrazia. Gli obiettivi erano chiari: voto diretto e segreto per la creazione di tutti gli organismi rappresentativi, diritto di voto
per le donne, proporzionalismo, stipendio per i deputati, autonomia dei lander, dei comuni e delle province, scuola pubblica e passaggio dallimposizione indiretta a quella diretta e progressiva. Alla fine si realizz quasi un
paradosso: fu con il voto, cio uno strumento della democrazia borghese,
che in tutta Europa i socialisti riuscirono ad sviluppare la loro influenza.
Quando nacque il Psi, Buozzi aveva undici anni e non si era ancora trasferito
a Milano che era anche il cuore del nuovo movimento politico. La data di
nascita del partito il 1892, il luogo Genova. Ma la gestazione non fu breve.
Su versanti diversi contribuirono in maniera decisiva Filippo Turati (come
organizzatore) e Antonio Labriola (in qualit di ideologo). Scrive Sassoon:
Esistevano profonde differenze culturali tra lui (Labriola, n.d.a.) e la maggior parte del gruppo socialista raccolto intorno a Filippo Turati. Labriola
era un intellettuale meridionale, i cui mentori teorici erano Hegel e Herbart,
mentre Turati e compagni erano settentrionali pragmatici e convinti positi55

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

visti... che prendevano a modello i socialisti tedeschi. Labriola si rendeva


conto dellimportanza della questione meridionale. Gli altri socialisti,
come i loro avversari borghesi, no14.
Nacque a Genova grazie a quella che col tempo sarebbe divenuta
una costante della sinistra: la scissione dellarea anarchica che consent ai
socialisti di far diventare effettiva la costituzione del Partito dei lavoratori
italiani che era stata decisa dapprima al congresso di Milano (1891)15. Pietro
Nenni racconta cos quellevento: Tutta llite intellettuale simpatizzava
per il socialismo. Edmondo de Amicis vi portava lo splendore della sua gloria letteraria, Giovanni Pascoli, Corrado Corradini, Arturo Graf, la loro
passione di poeti; Cesare Lombroso e il giovane Guglielmo Ferrero il loro
talento; Ada Negri, la poetessa delicata e sensibile dei poveri, la sua anima
assetata di giustizia. La rivista letteraria vita moderna apriva uninchiesta sul socialismo a cui si affrettavano a rispondere professori, medici, avvocati, quasi tutti nello spirito pi amichevole16. Latto di nascita era
contenuto in una carta che indicava idealit e obiettivi. Diceva: Il congresso
dichiara: che nellorganizzazione attuale della societ gli uomini sono divisi
in due classi, da un lato gli operai sfruttati, dallaltro i capitalisti che detengono e monopolizzano le ricchezze sociali; che i salariati dei due sessi,
qualunque sia la loro sorte e condizione, formano il proletariato, costretti,
a causa della loro dipendenza economica, a vivere in uno stato di miseria,
di inferiorit e di oppressione; che tutti gli uomini che partecipano, nella
misura dei loro mezzi, a creare i benefici della vita sociale, acquistano il
diritto alla spartizione di quei benefici e in primo luogo il diritto di esistenza; atteso che gli organismi attuali economici e sociali sono lo strumento
del predominio dei monopolizzatori della ricchezza sociale, sulla classe dei
lavoratori, che i lavoratori non potranno realizzare la loro emancipazione
che attraverso la socializzazione dei mezzi di lavoro (terre, miniere, fabbriche, mezzi di trasporto) e la gestione sociale della produzione; che tale
scopo non pu essere raggiunto che dallattuazione del proletariato organizzato in partiti di classe indipendenti che si esteriorizzano sotto il seguente
duplice aspetto: 1) della lotta professionale per il miglioramento immediato
della vita operaia (durata di lavoro, salari, regolamenti di fabbrica, ecc.),
lotta che dominio delle borse del lavoro e delle associazioni delle arti e
dei mestieri; 2) di una lotta pi ampia diretta alla conquista dei poteri pub56

L A S U A I TA L I A

blici (Stato, municipalit, amministrazioni pubbliche) per trasformarle da


organi di oppressione e di sfruttamento, come sono, in organi di espropriazione economica e politica della classe dominante. Quando la Carta venne
approvata, era il tardo pomeriggio di ferragosto, il sole era alto come anche
le speranze. Il documento conteneva il programma di lavoro di Bruno
Buozzi ma lui, che aveva ancora undici anni (ma gi lavorava), non lo sapeva. Indicava il doppio binario, la Carta: il terreno economico sul quale si
sarebbero mossi i sindacati e il terreno politico, riserva di caccia del partito.
Era limpostazione riformista, turatiana e ad essa, come vedremo in questo
libro, Buozzi si atterr per tutta la vita (in maniera comunque elastica e critica), sino a quel terribile 4 giugno 1944. Sarebbe stata, per lui, una grande
avventura. Una avventura nella quale un esperto di astrologia avrebbe potuto
intravedere delle significative coincidenze: nellanno della morte della
madre, 1909, sarebbe virtualmente diventato il leader della Fiom; nellanno
della scomparsa del padre, 1925 (avvenuta a Pesaro, citt nella quale si era
trasferito nel 1921) sarebbe giunto al vertice della CGdL.
1

Emilio Canevari firm il patto di Roma al posto di Bruno Buozzi ucciso dalle SS alla Storta
Caterina Maria Gaggianesi meglio conosciuta con il diminutivo di Rina: era la moglie
di Bruno Buozzi; ora riposa accanto a lui al cimitero del Verano a Roma
3
Aldo Forbice: la Forza tranquilla. Bruno Buozzi sindacalista riformista, Franco Angeli
pag. 19; appunto contenuto nel diario di Pietro Nenni (Tempo di guerra fredda, diario
1943-1969", Sugarco 1981, pagg. 83-4)
4
Giancarlo De Cataldo: Il Maestro, il Terrorista, il Terrone; Laterza 2011, pag 118
5
Antonio Gramsci: Operai e contadini, LOrdine Nuovo, 2 agosto 1919; in La questione Meridionale, Editori Riuniti 1974, pagg. 64-5
6
Rosario Villari: Mille anni di storia; Laterza 2005, pag 539
7
Pietro Nenni: La lotta di classe in Italia; Sugarco 1987, pag 59
8
Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume Edizioni Avanti! 1955, pag 15
9
Pietro Nenni: La lotta di classe in Italia Surgarco 1987, pagg. 71-2
10
Rosario Villari: Mille anni di storia Laterza 2005, pag 339
11
Ibidem pag 340
12
Ivi
13
Donald Sassoon: Cento anni di socialismo Editori Riuniti 1997, pag. 9
14
Ibidem pag 15
15
Pietro Nenni: La lotta di classe in Italia Sugarco 1987; pag. 87
16
Ivi
2

57

Sperare bisogna! Poich la libert di sperare


la sola che stata lasciata agli italiani

Gli anni milanesi

Primi anni del Novecento: cominciato il processo di industrializzazione


dellItalia. Bruno Buozzi a Milano fa la conoscenza con limpegno sindacale
Ecco i lavoratori della Borletti, fabbrica di macchine per cucire

Il ragazzo era timido e un po impacciato. Non amava parlare in


pubblico ma avvertiva lesigenza di colmare le lacune di una preparazione
frettolosa, interrotta forse sul pi bello perch la vita lo aveva posto davanti
a un bivio. Doveva crescere in fretta, passare quasi senza soluzione di continuit dallinfanzia allet adulta, provvedere a s e anche alla sua famiglia.
Non aveva alternative in quellItalia che cresceva pi lentamente di altri
Paesi europei anche perch pi arretrata, culturalmente e socialmente, lontana dalle grandi rivoluzioni borghesi che avevano cambiato nazioni come
la Gran Bretagna o la Francia aprendo la porta di una modernit non sempre
coerente ma, comunque, affascinante. Lui aveva capito subito quanto, in
quellItalia cos poco generosa con le classi meno privilegiate, amaro fosse
il pane. Lui non voleva solo soddisfare la fame di pane, ma anche quella di
conoscenza, di esperienza. Milano era il posto giusto. L si avvertivano i
fermenti provocati da un vento nuovo che partendo dal Nord del continente,
investiva il Sud. L batteva il cuore del capitalismo italiano, un cuore ancora
non perfettamente formato (molti anni pi tardi, nei Cinquanta del Novecento, gli studiosi accerteranno che subito dopo la seconda guerra mondiale,
pochissime nel nostro Paese erano le aziende industriali di terza generazione, la stragrande maggioranza, invece, quelle di prima generazione: a
conferma di un retroterra produttivo che nel secolo precedente si era delineato ma non del tutto organizzato e irrobustito) che lasciava intravedere i
tratti di un nuovo confronto sociale.
Nel 1894, quando il giovane Bruno cominciava a lavorare in officina nel suo paese, Engels dava alle stampe, postumo visto che lautore era
morto lanno prima, il terzo volume del Capitale, la monumentale opera
del suo compagno e amico Karl Marx. In Germania un primo partito socialdemocratico si era costituito diciannove anni prima di quel terzo volume
61

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

grazie alla confluenza del gruppo lasalliano e di quello marxista di Wilhelm


Liebknecht e August Bebel. In Francia era gi nata la Cgt, la Confederation
Generale du Travail ed era esploso il primo grande scontro sullidea stessa
di democrazia: lAffaire Dreyfus. Un vero e proprio braccio di ferro tra una
destra che scivolava sempre di pi verso tentazioni autoritarie e i socialisti
che chiedevano il rispetto di princpi essenziali di libert e legalit, a cominciare da quello che postula la presunzione di innocenza che, nel caso
specifico non era una semplice presunzione ma una certezza visto che il
capitano ebreo Alfred Dreyfus era innocente non avendo instaurato alcuna
intelligenza con il nemico tedesco. E in Inghilerra le Trade Unions erano
sul punto di costituire il Labour Representation Committee, cio lincubatrice del partito laburista. Nel frattempo, la Lotta di classe di Karl
Kautsky era diventato nel vecchio continente una sorta di sussidiario marxista a uso popolare venendo tradotto in quattordici lingue. Tutto questo
obbligava Buozzi a cercare gli elementi di un sapere che lo potessero formare tanto dal punto di vista professionale quanto da quello umano e culturale. Cera in quella societ che gli girava attorno molto di ingiusto e
tantissimo di emendabile. Ma con la concretezza del bambino operaio
capiva che bisognava conciliare le spinte ideali con la soluzione dei problemi immediati, guardare al futuro senza perdere di vista il presente, creare
i contorni di un domani migliore cominciando a correggere gli aspetti peggiori del presente. Il mondo del lavoro era la sua vita; quel vivere in comunit sviluppando solidariet e ingenue complicit rappresentava il suo
universo umano. E pian piano cominci a costruire le basi di una educazione politica e, soprattutto, sindacale, a consolidare convincimenti che lo
accompagneranno per tutta la vita. Le avrebbe, pi tardi, perfezionate a Milano che non era un semplice luogo geografico: era il crocevia di un nuovo
modo di intendere, di pensare, di lavorare. Un grande contenitore che raccoglieva anche tutto quello che arrivava dalla provincia pi prossima. Milano sovrapponeva idee e figure, anche figure che lavoravano fuori da quei
confini.
Come Argentina Altobelli, ad esempio, che stava dando alle donne
un nuovo ruolo, soprattutto che stava costruendo un originale immagine
di propagandista sindacale, impegnata in una doppia battaglia: quella a favore dei lavoratori della terra e quella per la conquista dei diritti al femmi62

GLI ANNI MILANESI

nile, la medaglia a due facce del durissimo impegno nei campi e del mancato riconoscimento di fondamentali prerogative democratiche come il voto
che arriver in Italia soltanto dopo la fine della seconda guerra mondiale
quando il concetto di suffragio assumer una dimensione realmente universale, senza lesclusione di analfabeti e nullatenenti. E delle donne. Con
la sua azione, lAltobelli ispirer una parte essenziale del movimento sindacale. Colta (non amavo i giochi, ero appassionata alla lettura che preferivo alle bambole e a ogni altro divertimento. Appena mi si regalava
qualche moneta correvo alla bottega di un libraio vicino al negozio di mio
zio a comprarmi il libro che mi era possibile acquistare. Mi formai cos
una biblioteca nella quale si ammucchiavano i libri pi svariati1), sensibile a quel vento nuovo che spirava dal Nord dellEuropa. A cominciare da
quella rivendicazione politica rappresentata dal voto alle donne che Karl
Kautsky aveva inserito nel 1891 nel programma di Erfurt della Spd. Energica, risoluta, determinata. Una donna nuova che partecipa alla creazione
della rivista la difesa delle lavoratrici con Anna Kuliscioff, Angelica Balabanoff, Linda Mainati, Margherita Sarfatti, Maria Bornaghi e Maria Goja;
che conquista la leadership della Federazione nazionale dei lavoratori della
terra appena cinque anni dopo la sua fondazione (1901); e che mette il suo
sapere a disposizione dei braccianti per fornire loro strumenti non solo di
riscatto professionale ma anche culturale e spirituale. Una strada che sar
in qualche maniera nel destino di Buozzi, evidentemente affascinato da percorsi umani che attribuiscono al militante politico anche il ruolo di educatore, soprattutto quando lobiettivo la promozione degli ultimi e dei
penultimi.
E molto di questo suo modo di intendere la missione di un socialista
e di un sindacalista pu essere ritrovato in un articolo che pubblic sullOperaio Italiano, il giornale della CGdL in esilio qualche settimana dopo
la morte di Prampolini. Scriveva: Camillo Prampolini dimostr nei fatti
come si possa essere insieme idealisti e realizzatori. La sua provincia (Reggio
Emilia, n.d.a.) era una delle meno adatte per dare vita a un movimento socialista. Nelle campagne non vi era grande propriet e quindi mancava quel
bracciantato che nelle provincie finitime di Mantova, Modena, Ferrara, ecc.,
facilitava la costituzione di leghe di resistenza e la lotta di masse numerose
per la conquista di migliori condizioni di lavoro. La provincia di Reggio Emi63

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

lia, scrive Zibordi2, ha una forma di conduzione agricola prevalentemente


familiare. Il fondo si aggira sulle 50 biolche (circa 15-20 ettari) e se nella
collina e montagna vi la piccola propriet povera, e se nella bassa pianura
verso il Po vi il latifondo, il nucleo maggiore formato di fondi condotti a
mezzadria o in affitto da una famiglia di agricoltori conduttori coltivatori
diretti del suolo. Prampolini cap che, in siffatto ambiente non sarebbe stato
possibile formare un largo movimento socialista limitandosi a costituire dei
sindacati o delle leghe di resistenza come si diceva allora, composte soltanto
di salariati. Cap che bisognava allargare, non restringere la sfera di dominio della sua idea e della sua azione tenendo conto della situazione reale
della provincia e degli interessi contingenti e comuni, sintende senza mai
nascondere lintera bandiera della sua fede. Cos sostenne che bisognava
organizzare i piccoli proprietari ed i mezzadri, che bisognava tentare di costituire cooperative di consumo, di lavoro e consorzi agricoli per offrire la
possibilit agli agricoltori di facilitare la vendita dei loro prodotti e lacquisto
di quanto ad essi occorreva per lavorare e per vivere. Sorse cos una societ
di contadini che in pochi anni riusc a migliorare straordinariamente le condizioni dei suoi aderenti. Poi i contadini divennero indifferenti e ostili ai
socialisti, si trovarono in conflitto dinteressi coi braccianti proletari; e furono facile preda dei conservatori e dei preti. Forse il miglioramento era
stato troppo rapido e non sufficientemente apprezzato. Per in fondo allanima di essi, qualcosa dellantica propaganda prampoliniana era rimasto.
E quando dopo la guerra, i proprietari delle terre invidiosi di vedere il villano
guadagnare lautamente dalla vendita dei prodotti tentarono di aumentare
abbondantemente gli affitti, il conflitto fra i signori che possedevano la terra
ed i contadini che la lavoravano, si manifest ampiamente e, nellestate del
1920, culmin in uno sciopero memorabile che il movimento socialista proletario promosse e guid3.
E il riferimento al rapporto tra produttore e consumatore in una
chiave pi equa e responsabile, semmai meno consumistica ma pi sana e
avvertita, la testimonianza della modernit di quel messaggio riformista.
Nel 1909, lo Zibordi citato da Bruno Buozzi aveva pubblicato su Critica
Sociale, la rivista fondata da Filippo Turati, un articolo estremamente significativo sullargomento. Diceva il collaboratore di Prampolini: Nella
vagheggiata cooperativa integrale, il consumatore e il lavoratore, in
64

GLI ANNI MILANESI

quanto consumatore, dovrebbe assumere preponderanza sullelemento


lavoro: nel tempo stesso che lassorbimento in un organismo unico delle
riforme economiche di produzione, e non gi solo in quelle di resistenza e
di cooperazione, dovrebbe dare, a questo organismo ed a coloro che ne
fanno parte, la maggiore indipendenza oggi possibile allambiente borghese, dovrebbe farne, fino al limite consentito, uneconomia chiusa ed autonoma, che basta a se stessa, e che si emancipa da quella legge di
ripercussione che frustra in parte, sul campo del consumo, le conquiste
fatte nel campo del lavoro4. Qualcosa di tutto ci filtrato anche ai giorni
nostri, qualche eco si pu ritrovare, ad esempio, anche nelle teorizzazioni
di Serge Latouche. Spiegava ancora Zibordi: Eppure proprio questa volgare s, ma fisiologica legge del mangiare e del vestir panni che potr essere un elemento prezioso e decisivo di equilibramento e di volont nella
graduale formazione duna societ socialista: sar in essa che la forza
della solidariet potr veramente svolgere la sua efficacia, assai pi che
nel campo del lavoro, dove le diverse attitudini, e le mutevoli condizioni di
vita, e quel tanto di alea che viene dalla natura e dalla sorte, dividono, anzich unire, gli uomini, lascian distinti e separati i lavoratori, quando addirittura non le buttino dolorosamente luna contro laltra5.
Era affascinato, Buozzi, dalle capacit oratorie di Prampolini, forse
perch ricordava le sue iniziali difficolt: Chi non ha udito parlare Prampolini non pu avere neppure la pi lontana idea di ci che fosse la sua
oratoria... Non cercava lapplauso. Anzi, si potrebbe dire che lapplauso
lo disturbava. La sua sola preoccupazione era quella di essere semplice e
chiaro, in modo di essere compreso dai pi incolti e chiusi di mente, come
il buon maestro guarda non ai primi, ma agli ultimi della scuola. Bastava
una circostanza anche di scarso rilievo per permettergli talvolta di avvincere e, soprattutto, di persuadere i propri ascoltatori. Cominciava pian
piano, terra terra, dal caso singolo locale e contingente, e poi via via il discorso saliva, si snodava, si svolgeva, si ampliava, su, su, in largo, e in
alto, dal particolare al generale, dallepisodio al sistema, dal fatto alla
legge, dallesempio alla dottrina, con la scorta e il lume di un marxismo
rigorosamente preciso mirabilmente volgarizzato, ascendendo alle vette
pi elevate del pensiero e delletica socialista; e, senza rifugiarsi l in alto
e rimanervi ad aspettare lanno 2000, ridiscendeva praticamente attualisti65

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

camente, a indicare anche la possibile azione immediata, il piccolo provvisorio parziale riparo alla necessit pi urgente. Ma questo riparo era non
solo illuminato di spirito socialista e riferito alle mete finali, ma era sulla
strada del fine; riallacciava il reale contingente alleterno remoto ideale6.
Un oratore decisamente diverso dal giovane Bruno che nella fabbrica, a Milano aveva irrobustito i riferimenti politici (riformisti turatiani) e sindacali
(la Fiom). Appena arrivato nella Grande Citt (nel 1906, subito dopo il servizio militare come puntualmente segnalava la questura del capoluogo lombardo) era riuscito a sistemarsi alla Marelli. Racconta Gino Castagno:
Fortemente dotato nella mente e nel fisico, alterna il lavoro con lo studio
intenso per superare le deficienze della istruzione mancata e trova modo di
dedicarsi allo sport ed essere un appassionato corridore ciclista. Diceva
pi tardi un anziano socialista di Milano: Buon per noi operai che non sia
troppo emerso in questa carriera7. Il ciclismo aveva tutti i tratti di uno
sport eroico: strade fangose, biciclette non certo paragonabili a quelle attuali. Il Giro dItalia stava per nascere (prima edizione nel 1909) e sulle
strade furoreggiavano Carlo Galletti e Luigi Ganna el Luison. Ma cera
soprattutto lo studio nelluniverso del giovane Bruno: Confesser pi tardi
di essersi ritrovato pi volte, al mattino, addormentato sulla sedia al tavolo
di lavoro8, ha raccontato sempre Castagno. La giornata sempre troppo
breve. Dopo le undici o dodici ore di lavoro in officina si applica la sera
finch pu reggere ai morsi del sonno9. Diventer capo-reparto alla Marelli
e poi passer alla Bianchi: chiss, forse un omaggio alla sua passione sportiva. Entra nella Fiom (lega tornitori) nel 1905 (nello stesso anno aderisce
al Psi), viene eletto nel Consiglio di Amministrazione e come amministratore
partecipa alle riunioni del direttivo.

2.1 Timido, studioso e intraprendente

Ma ancora timido, incerto; sicuramente preparato sui temi sindacali specifici, le lacune culturali le ha colmate nelle notti insonni. Ma
parlare davanti a un pubblico cosa complicata. Ricordava Castagno: Fu
qui (nel direttivo, n.d.a) che egli dimostr subito di essersi gi formata una
buona e solida cultura e di possedere ormai una completa preparazione
sui problemi del lavoro e dellorganizzazione. Soltanto non aveva ancora
vinto, pi che la timidezza, la ritrosia a esprimersi in pubblico. Delegato
66

GLI ANNI MILANESI

della Sezione Metallurgici al Comitato Centrale della Camera del Lavoro,


dovendo riferire la prima volta a unassemblea operaia sulle deliberazioni
da quello adottate, appena iniziata la relazione si impaper e, non potendo
proseguire, dovette essere sostituito da un compagno, Luigi Repossi, giovane come lui ma pi ardito10. Dal punto di vista dellardimento, crescer
anche lui e piuttosto bene anche perch nel frattempo continuer a costruirsi
dal punto di vista della conoscenza. A Ferrara aveva gi frequentato lAccademia del disegno Dosso Dossi. A Milano nel febbraio del 1907 si iscrisse
alla scuola pratica di legislazione sociale dellUmanitaria e venne promosso
con ottimi voti. Studente bravo e volenteroso, cos bravo che lUmanitaria
lo reclut per la scuola darte e mestieri. Gli chiesero di andare a insegnare
a Vigevano allofficina Roncalli. A ventisei anni, il bambino operaio di
Pontelagoscuro saliva in cattedra lasciando il vecchio posto alla Bianchi.
Maestro darte, per un paio di anni. Senza mai dimenticare limpegno sindacale, politico e i lavoratori tanto vero che non abbandon mai la Fiom,
anzi entr pure nel direttivo. Gli piaceva, quel lavoro. Come ha raccontato
Gino Castagno si sentiva particolarmente dotato (e quando gli offrirono
la segreteria della Fiom tentenn non poco). Ma a Vigevano lo legavano
anche motivi sentimentali, non solo la cattedra di Maestro dArte: l aveva
conosciuto Rina Gaggianesi, la donna della sua vita.
Quelli erano periodi politicamente molto intensi. LOttocento si era
chiuso con le tentazioni autoritarie di Crispi e il bagno di sangue di Bava
Beccaris. Il Novecento, da un punto di vista politico, appariva segnato da
una tendenza al ravvedimento: le fucilate, le cannonate, le mitragliate
non potevano essere la soluzione dei drammatici problemi sociali che assillavano lItalia. In qualche maniera confermando le profezie di Carlo
Marx, il capitalismo aveva conosciuto drammatiche (e cicliche) crisi: alla
prima del 1857, fecero seguito quelle del 1866, del 1873, del 1882-1884,
del 1901 e del 1907. Lultima esplosione sarebbe arrivata nel 1929, la
Grande Depressione spesso evocata ai giorni nostri: per uscirne ci vollero
dieci anni; dal momento della deflagrazione di questa ultima crisi, 2007,
di anni ne sono passati appena sette ma la luce in fondo al tunnel ancora
non si intravede. Le crisi dellOttocento (soprattutto quella del 1873) provocavano normalmente lo sviluppo di cartelli e laccentuazione delle legislazioni protezionistiche. Ora, con un mondo cos aperto, il protezionismo
67

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

impossibile ma ci non toglie che, come pure da molte parti vien detto,
esiste un super-governo delleconomia (che non ha nulla a che vedere con
quelli democraticamente eletti) che di fatto garantisce le medesime tutele
alle categorie pi agiate, a quelluno per cento che detiene gran parte delle
ricchezze del mondo. E da questultimo punto di vista non che siano stati
compiuti molti passi avanti perch anche in quellepoca di pionierismo industriale, la distribuzione del reddito era estremamente iniqua. Non a caso
un premio Nobel come Paul Krugman sostiene che in America si sia tornati
molto indietro, pi o meno al modello di societ che esisteva prima del Venerd Nero, che apr, comunque, la strada a forme di welfare che, anche
in una crisi come questa hanno impedito la replica di fenomeni drammatici
come quelli che caratterizzarono il 1929.
Liniqua distribuzione delle ricchezze era evidentemente causa di
enormi problemi sociali e gli enormi problemi sociali favorivano la predicazione socialista, la sua capacit di penetrazione fra le categorie pi deboli.
Cosa che non poteva non destare un certo allarme. Ad esempio, nelle gerarchie ecclesiastiche. Ma, soprattutto, fra i cattolici comuni che sentivano franare il terreno dellinterclassismo e avvertivano la necessit di
impedire che il socialismo conquistasse una posizione di monopolio nella
rappresentanza del mondo del lavoro (e dei suoi problemi). Anche in questo
caso, il vento cominci a spirare da nord, da Magonza in particolare dove
il vescovo Wilhelm Emmanuel von Ketteler cominci a definire le prime
linee di una strategia sociale dando alle stampe un libro dal titolo significativo ancorch piuttosto banale: Liberalismo, socialismo e cristianesimo.
Era il 1864 e pian piano quelle idee cominciarono a diffondersi: in Austria
attraverso Karl von Vogelsag, ma un po dovunque, nel resto dellEuropa.
Le gerarchie vaticane, sempre piuttosto inclini al conservatorismo, trovarono una saldatura con queste nuove idee attraverso Leone XIII. Papa Vincenzo Gioacchino Raffaele Luigi Pecci aveva avuto una formazione
diplomatica, non era sicuramente un progressista ma aveva una mente elastica, capiva che il mondo stava cambiando, che gli amici di ieri (lassolutismo politico) non potevano essere gli amici di sempre, al pari dei nemici
di sempre con i quali una forma di accomodamento si sarebbe potuto anche
trovarla. Quando il 15 maggio del 1891 il pontefice rese pubblica lenciclica
Rerum Novarum, tutti capirono che qualcosa stava cambiando allinterno
68

GLI ANNI MILANESI

della Chiesa, seppur sotto lallarme destato dallavanzata del socialismo.


Ha scritto Denis Mack Smith: Durante i torbidi del 1898 vennero costituiti
gruppi democratico-cristiani i quali con grave preoccupazione del Vaticano non respinsero lalleanza con lestrema. Altri cattolici si dedicavano
con impegno a fondare organizzazioni contadine, caseifici cooperativi e
banche rurali. Padre Curci, fondatore della rivista dei gesuiti Civilt Cattolica, predicava che la Chiesa doveva venire a patti con la democrazia,
anche se i suoi scritti furono colpiti dalla censura ecclesiastica e lui stesso
fin per essere espulso dallordine. I monaci di Montecassino sotto la guida
dellabate Tosti, avevano gi dimostrato nel 1870 di anteporre lunit nazionale al potere temporale dei papi. Eredi di uomini come questi furono
Toniolo e Meda, che sul finire del secolo decimonono diedero incremento
allorganizzazione propagandistica della Democrazia cristiana. Quando
questultima venne sospesa da Pio X, Romolo Murri, pur essendo un sacerdote, fond la Lega democratica nazionale e fu eletto al parlamento,
ma fu anche sospeso a divinis e scomunicato11.
Con la Rerum Novarum la Chiesa cominci a dotarsi di una sua
Dottrina sociale che poi gli economisti (soprattutto quelli tedeschi della

Alla fine dellOttocento i minori non erano particolarmente protetti

69

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

scuola dellOrdoliberismo) avrebbero declinato in maniera pi precisa e


compiuta. Leone XIII in quella prima enciclica si limit a indicare alcuni
principi, ad alzare qualche trincea ideologica per rallentare lavanzata del
socialismo, ma non che elabor una dottrina organica; tanto vero che
dopo di lui pi o meno tutti i pontefici hanno provveduto ad aggiungere o
a togliere qualcosa sulla base anche del condizionamento dei tempi e delle
vicende contingenti, significativa da questo punto di vista la Quadragesimo anno di Pio XI (pontefice decisamente meno aperto di Leone XIII)
pubblicata nel pieno del fascismo o quella di Giovanni Paolo II (Centesimus
annus) messa a punto dopo la caduta del Muro di Berlino e che risentiva
delle preoccupazioni papali relativamente a quella sorta di religione del
consumismo che sembrava aver contagiato quei popoli che dopo tanti anni
di dittatura avevano ritrovato la libert.
Ci non toglie che nella Rerum Novarum ci fossero (soprattutto in
relazione al momento in cui venne resa pubblica) notevoli novit. Certo,
lo sciopero non veniva riconosciuto come arma di lotta. Lo scontro di classe
era aborrito almeno quanto il diavolo. Ma il Papa sin dallintroduzione mostrava di avere le idee chiare soprattutto per quanto riguarda il nemico
da sconfiggere, cio il socialismo. Scriveva: Lardente brama di novit
che da gran tempo ha cominciato ad agitare i popoli, doveva naturalmente
dallordine politico passare nellordine delleconomia sociale. E difatti i
portentosi progressi delle arti e i nuovi metodi dellindustria; le mutate relazioni tra padroni e operai; lessersi accumulata la ricchezza in poche
mani e largamente estesa la povert; il sentimento delle proprie forze divenuto nelle classi lavoratrici pi vivo, e lunione tra di loro pi intima;
questo insieme di cose, con laggiunta dei peggiorati costumi, hanno fatto
esplodere il conflitto. Ovviamente, di sciopero neanche a parlarne. Scriveva Leone XIII: Il troppo lungo e gravoso lavoro e la mercede giudicata
scarsa porgono non di rado agli operai motivo di sciopero. A questo disordine grave e frequente occorre che ripari lo Stato, perch tali scioperi non
recano danno solamente ai padroni e agli operai medesimi, ma al commercio e ai comuni interessi. Veniva declinata in maniera diversa (e con un
obiettivo pi diretto) il concetto di interclassimo, il tentativo, insomma, di
combinare interessi oggettivamente diversi evitando la contrapposizione,
semmai facendo ricorso (pi che altro auspicando) a una ricomposizione
70

GLI ANNI MILANESI

preventiva, a uno smussamento anticipato degli angoli, a una riunificazione


armoniosa dei bisogni sotto lalta volta del cielo. Un esercizio complicato
a cui Leone XIII dava anche delle risposte. Sul fronte delle condizioni di
lavoro: Molte cose parimenti lo Stato deve proteggere nelloperaio, e
prima di tutto i beni dellanima. Di qui segue la necessit del riposo festivo. Ma non solo ovviamente: Quanto alla tutela dei beni temporali ed
esteriori prima di tutto dovere sottrarre il povero operaio allinumanit
di avidi speculatori. Non deve dunque il lavoro prolungarsi pi di quanto
lo comportino le forze... Si deve avere ancor riguardo alle stagioni, perch
non di rado, un lavoro facilmente sopportabile in una stagione , in unaltra del tutto insopportabile... Un lavoro proporzionato alluomo alto e robusto, non ragionevole che si imponga a una donna o a un fanciullo.
Infine, il salario che deve essere adeguato: Conservarsi in vita dovere a
cui nessuno pu mancare senza colpa. Di qui nasce, come necessaria conseguenza, il diritto di procurarsi i mezzi di sostentamento, che nella povera
gente si riducono al salario del proprio lavoro. Loperaio e il padrone allora formino pure di comune consenso e nominatamente la quantit della
mercede; vi entra per sempre un elemento di giustizia naturale. Insomma, una composizione degli interessi possibile anche a prescindere
dal socialismo perch i socialisti attizzando nei poveri lodio ai ricchi,
pretendono si debba abolire la propriet, e far di tutti i particolari patrimoni un patrimonio comune, da amministrarsi per mezzo del municipio e
dello Stato e questo, per Leone XIII, era piuttosto disdicevole essendo il
diritto di propriet un diritto naturale.
Le novit che emergevano a livello dottrinario avevano anche delle
conseguenze a livello politico. Leone XIII scongelava i cattolici, li metteva nelle condizioni di poter partecipare al governo, cosa che in effetti avvenne. Buozzi, in quel momento ancora molto giovane, partecipava da
spettatore al dibattito. Ma vi partecipava anche con latteggiamento di
chi da quel dibattito voleva ricavare preziosi insegnamenti. Anche perch,
poi, tra i socialisti il confronto era molto vivace, conseguenza in qualche
misura delle scelte che venivano compiute nel campo avverso, quello dei
liberali che archiviata la svolta autoritaria, cercavano altri uomini e altre
vie. Da un lato lintenso corteggiamento di Giovanni Giolitti per associare
i socialisti al governo, dallaltro i contrasti allinterno del Psi tra lala che
71

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

proponeva il programma minimo (riconoscimento del diritto di sciopero e


di organizzazione sindacale, suffragio universale, indennit ai deputati, assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, imposta progressiva
sul reddito, riduzione degli interessi sul debito pubblico, decentramento
amministrativo e neutralit del governo nelle controversie di lavoro) e
quella che proponeva un programma massimo (cio la rivoluzione). Nel
congresso di Roma del 1900 Turati riusc a mettere tutti daccordo sostenendo che il programma minimo serviva ad aprire la strada al secondo. E
sullargomento usc in quei mesi un significativo articolo su Critica Sociale a firma di Anna Kuliscioff e Filippo Turati. Laccusa che veniva rivolta ai riformisti si sintetizzava in un aggettivo: opportunisti. E allora
Turati e la Kuliscioff rispondevano: Al futuro governo democratico, da
noi vagheggiato, noi non domandiamo alcuna cosa, n per le persone n
per il partito medesimo in cui militiamo: sappiamo che lavremo nemico.
Ad esso domandiamo questo solo: che si adoperi a creare le condizioni favorevoli allo sviluppo civile del nostro paese. Insomma, nessun (come si
direbbe oggi ma non allora) inciucio. Spiegavano: Noi desideriamo al
potere la democrazia; dove non esiste diciamo quello che Voltaire diceva
dellonnipotente: converrebbe crearla... se si potesse. La desideriamo al potere
perch ella compia il debito suo... organizzare le masse proletarie, ridestare
in esse la chiara coscienza dei loro interessi di classe, renderle vigili e gelose
dei loro interessi collettivi... Noi vogliamo al potere la democrazia perch al
fine sia concesso a noi di essere socialisti, di agire come socialisti; di smetterla
una buona volta, di dover vivere e agire come democratici. Il programma che
la democrazia deve attuare pu bene essere quello che va sotto il nome di programma minimo nostro. In questo nulla di cos eccessivamente rivoluzionario che gi non sia stato attuato da democrazie essenzialmente borghesi12.
Ma poi cera anche il confronto con quellala dei sindacalisti-rivoluzionari con i quali, pi tardi, nelle fabbriche, sar costretto a fare i conti
Bruno Buozzi ma che nel frattempo si stava rafforzando nel partito. Un
vento, pure in questo caso, proveniente dal nord, dalla Francia. A spingerlo
provvedeva il filosofo George Eugene Sorel che diventer di gran moda in
Italia a partire dal 1903: le sue riflessioni sulla violenza divennero un
vero e proprio best seller, per lepoca. Probabilmente oggi si concilierebbe
molto bene con le teorizzazioni e la pratica politica di certe forze anti-si72

GLI ANNI MILANESI

stema, che predicano la tabula rasa senza saper bene cosa possa arrivare
dopo o, sapendolo bene, ne perseguono comunque lobiettivo. Esaltazione
della violenza e polemica anti-democratica: in Italia provvide Benedetto
Croce a far conoscere il filosofo francese che per trov orecchie attentissime nel socialista Arturo Labriola che vedeva nello sciopero uno strumento
politico per far esplodere la rivoluzione e nei sindacati larma principale
puntata alla tempia dello stato borghese.

2.2 Le scomuniche di Turati e Treves

Nel complesso, lidea di una azione sindacale abbastanza suicida,


come poi Buozzi, a Torino, avr modo di verificare sul campo. In quellarticolo, Turati e la Kuliscioff quasi (ma non troppo) a futura memoria scrivevano: Opportunismo, dunque, sia pure. Ma il nostro, si dovr convenirne,
un opportunismo di nuovissimo conio. Soprattutto pare opportunismo perch rifugge da quello che volentieri chiameremmo rivoluzionarismo verbale... Nelle rivoluzioni politiche crediamo suppergi come nelle rivoluzioni
naturali: nei terremoti, nelle eruzioni, nelle inondazioni. Vengono quando
lora: di rado se ne cava profitto; e, in complesso, di poco modificano la
composizione geografica e tellurica del globo. Avere la rivoluzione nel programma politico, come un pezzo di
musica nel programma di un caffconcerto, non ci pare n possibile,
n pratico. Del resto, se rivoluzione
ha da essere, converrebbe prepararsi ad essa e concertarla e questo
ci pare non lo facciano neppure i
rivoluzionari professionisti. Per noi
la rivoluzione viene dalle cose.
Lattendiamo e la viviamo in
mezzo. Ogni scuola che si apre,
ogni mente che si snebbia, ogni
Anna Kuliscioff: a Milano
la chiamavano
la dottora dei poveri

73

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

spina dorsale che si drizza, ogni abuso incancrenito che si sradica, ogni
elevamento del tenore di vita dei miseri, ogni legge protettiva del lavoro,
se tutto ci coordinato a un fine ben chiaro e cosciente di trasformazione
sociale, un atomo di rivoluzione che si aggiunge alla massa... Questa via
rivoluzionaria noi seguiamo ogni giorno... Noi vi staremo e vi proseguiremo
fino al giorno che i nostri avversari a viva forza, non ce ne cacciano fuori.
Allora, quando la via fosse murata davanti; quando fosse reso impossibile
compiere in essa ogni proficuo lavoro; allora, come ben disse il Prampolini
alla Camera, allora le violenze dallalto renderebbero fatali anche le esplosioni dal basso: n saremmo noi che sciuperemmo gli occhi e le labbra a
lacrimare sullinevitabile e a lacrimare il destino. Allora quegli opportunisti che noi siamo, troverebbero opportuno adottare una tattica nuova13.
Il corteggiamento di Giolitti non ebbe successo: portare al governo
il Psi avrebbe avuto come conseguenza la divisione del partito. Era il 1903.
Il politico piemontese se ne fece una ragione e in questo paese di ossimori
(lui si definiva conservatore e radicale; ma il tempo ci ha spiegato che si
pu fare di peggio, ad esempio: di governo e di opposizione), costru il suo
governo andando a pescare in tutti i settori della Camera, allineandosi perfettamente ai collaudati princpi del trasformismo. Gli anni milanesi furono
la scuola di Buozzi. Perch l, in quegli anni, che la sua idea di sindacato
(che era una chiara conseguenza della sua scelta politica) acquist i caratteri
che poi verranno alla luce nelle difficili vertenze che precedettero la prima
guerra mondiale e in quelle che seguirono il conflitto e che culminarono
nelloccupazione delle fabbriche, nel Biennio Rosso. In particolare fu la
frequentazione degli ambienti riformistici (Turati, la Kuliscioff, ma soprattutto Claudio Treves) che gli trasmisero lidea di un sindacato aperto, capace di coinvolgere se non tutti almeno la fetta pi ampia possibile di
lavoratori, realmente unitario cio al di sopra degli steccati ideologici e di
partito. E c una polemica che il giovane Buozzi che si stava accostando
alla Fiom la cui tessera avrebbe preso di l a poco, segu probabilmente con
grande interesse trovando conferma alla sua idea inclusiva. Esplose subito
dopo la celebrazione del congresso bolognese (24 e 25 novembre del 1901)
in cui nacque ufficialmente la Federazione nazionale dei lavoratori della
terra. In quella sala cera Argentina Altobelli e cerano 704 leghe in rappresentanza di 152.022 iscritti. Una organizzazione destinata ad assumere
74

GLI ANNI MILANESI

dimensioni sempre pi ampie visto che nel giro di un anno le leghe raddoppieranno (1.293) e le iscrizioni avranno un notevole balzo in avanti
(240.000). In conclusione dei lavori venne votato un ordine del giorno in
cui si auspicava che le Camere del Lavoro acquisissero col tempo una coloritura, esclusivamente socialista (Argentina Altobelli aveva compiuto le
prime prove politiche tra i repubblicani). Quel voto non sfugg n a Claudio Treves, vicedirettore di Critica Sociale, n a Filippo Turati, direttore
e fondatore. E nel numero immediatamente successivo al congresso in questione, Treves pubblic un articolo non lunghissimo ma decisamente duro.
Gi dallavvio, un paio di interrogativi: Laugurio espresso dal Congresso
dei contadini di Bologna che le Camere del Lavoro abbiano ben presto a
diventare socialiste, stato esso maturato come richiedeva la gravissima
questione? Non stato esso forse pi il volo lirico di un impellente idealismo che non la ponderata sintesi di unesperienza lungamente durata e vagliata?14. Domande che spiegavano ampiamente da che parte si collocasse
Treves e come i riformisti intendessero lattivit sindacale. Insomma, lidea
di Camere del Lavoro monoculturali non stava n in cielo n in terra:
Finora il partito socialista aveva distinto nettamente lorganizzazione economica dalla politica... Coerentemente con questi principi i socialisti hanno
dato tutta lopera loro con fervore, con entusiasmo, per organizzare economicamente il proletariato dei campi e delle officine, mettendovi una specie
di scrupolo per dare allorganizzazione un carattere assolutamente neutrale.
Due ragioni di ordine, luna teorica e laltra pratica persuadevano i socialisti a tenersi fermi a questo metodo. Primo. La convinzione incrollabile che
senza necessit di particolari sobillazioni... si sarebbe sviluppata gradatamente e successivamente la piena coscienza di quellantagonismo di classe
circa le forme politiche della propriet, la cui soluzione non pu logicamente
ravvisarsi altrove che nella socializzazione della propriet stessa... Secondo.
La posizione precisa che di fronte alle truccature clericali, repubblicane e
anarchiche intese a dividere il proletariato... era consigliata a noi per schivare ogni gara che potesse gettare sullorganizzazione operaia il sospetto
di un interesse temporale, di partito di uno sfruttamento a fini elettorali del
bisogno di organizzazione delle masse, affinch lo stesso disinteresse del
movimento promosso dai socialisti attirasse i lavoratori, sciogliendone
prima la diffidenza , suscitandone di poi la simpatia verso il nostro par75

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

tito15. Ragioni pratiche e ragioni ideali. E, anche, motivazioni aritmetiche:


Che avverrebbe il giorno in cui le Camere del Lavoro spiegassero la bandiera politica socialista? Evidentemente lesodo dalle Camere dei non socialisti. Non pochi, in realt. A Milano, la Camera del Lavoro conta oggi
ben 41 mila iscritti; il partito socialista nelle elezioni pu contare su dodicimila voti... Cos la Camera del Lavoro di Milano, ridotta ai socialisti non
formerebbe che un duplicato non utile del partito... Laugurio espresso dal
congresso dei contadini poteva essere risparmiato. Come augurio non fa n
caldo n freddo, ma pu gettare dei germi di disorientamento nella mente
dei pi timorati propagandisti dellorganizzazione16.
A dar man forte a Treves scendeva in campo Turati (molto attento
alle questioni sindacali tanto vero che lanno dopo questa polemica, nel
1902, diventer presidente della Federazione Postale e Telegrafica), articolando in maniera pi politica i concetti: Noi saremmo infedeli al nostro
credo se non pensassimo altres che la politica proletaria quando sia sviluppata, verr naturalmente a trovarsi nella stessa direttiva del socialismo... Ma... dal fatto che una politica proletaria e tendenzialmente
socialista deve erompere fatalmente dallo sviluppo cosciente dellazione
degli operai organizzati nelle Camere del Lavoro e nelle Leghe similari,
non deriva di necessit che dunque le Camere del Lavoro e le Leghe di resistenza debbano affiggere sul fronte la professione di fede socialista, quasi
un monito e uno spauracchio che ne allontani gli operai la cui coscienza
apolitica o sta nella zona intermedia in cui la coscienza politica non ancora coscienza socialista. Anzi di necessit deriva il contrario. Se cotesta
formazione di coscienza politica deve essere il frutto dei fatti e delle esperienze, zampillate dalle viscere della lotta combattuta, se devessere un
punto darrivo appunto perci non pu essere il punto di partenza. Il socialismo non deve trovarsi affisso sul frontone, bens maturarsi nei penetrali della Camera del Lavoro... Tra politica proletaria e socialismo sia
pur quella come noi pensiamo (e altri potr diversamente opinare) dal socialismo tendenziale vi almeno la differenza che passa tra ci che diviene e ci che gi divenuto, tra levoluzione che si fa e levoluzione
compiuta... Se le Camere del Lavoro violeranno questa norma di prudenza
e quasi di onest professionale, antivenendo lo svolgersi dei fatti e assumendo il socialismo a pregiudiziale, ci non potr essere senza dolorosa
76

GLI ANNI MILANESI

sanzione. Perch la professione di fede socialista in tutti gli iscritti non


necessaria al progresso del movimento, e diventa per converso una causa
di debolezza17. Concetti semplici, chiari, ai quali Buozzi si atterr nella
sua lunga esperienza di sindacalista: unire, mai dividere.
1

M. Casalini (a cura di): Argentina Altobelli. Episodi di vita di una donna battagliera,
pag. 5
2
Giovanni Zibordi, direttore del giornale La Giustizia. Prampolini era diventato redattore
de Lo scamiciato; due successive trasformazioni portarono prima alla nascita di Reggio
Nuova e poi de La Giustizia. Zibordi stato, infine, anche biografo di Prampolini
3
Bruno Buozzi: Camillo Prampolini. Il proletariato ha perso il suo apostolo pi puro e
il suo miglior maestro in LOperaio Italiano del 16 agosto 1930, in scritti dallesilio
Opere Nuove 1959, pagg. 67-8
4
Giuliano Pischel: Antologia della Critica Sociale 1891-1926" Lacaita 1992, pag. 289
5
Ivi
6
Bruno Buozzi, op. cit., pagg. 65-6
7
Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume Edizioni Avanti! 1955, pag 15
8
Ivi
9
Ivi
10
Ivi
11
Denis Mack Smith: Storia dItalia dal 1861 al 1997" Laterza 1997, pag. 268
12
Anna Kuliscioff - Filippo Turati: Rivoluzionari od opportunisti? in Giuliano Pischel:
Antologia della Critica Sociale 1891-1926" Lacaita 1992, pag. 93
13
Ivi
14
Claudio Treves: Debbono le camere del lavoro diventare socialiste? Critica Sociale
anno XI (1901), n. 23
15
Ivi
16
Ivi
17
Filippo Turati: Variazioni sul tema dellarticolo precedente Critica Sociale, anno XI
(1901), n. 23

77

La coscienza delle masse si sviluppa e si dimostra


con lopera paziente, illuminata, disciplinata

Alla guida dei metallurgici

La tomba al Verano la sintesi della vita di Bruno Buozzi


sotto il suo busto, la statua di uno di quei lavoratori
metallurgici che lui cominci a difendere nei primi anni del Novecento

Avrebbe voluto resistere. Perch non si sentiva pronto. Perch sapeva che limpresa era ricca di insidie, scomodissima. Se non lo fosse stata
difficilmente si sarebbero rivolti a lui. Della delegazione che lo convinse
ad abbandonare il ruolo di Maestro darte per abbracciare quello di leader
sindacale, faceva parte Gino Castagno, anche lui giovane dirigente. Quel
passaggio della vita della Fiom (ancora i primordi, era il 1909 e la federazione era nata appena otto anni prima) lha raccontato cos: Sorse allora
un nuovo problema. A chi affidare la Segreteria in un momento cos delicato per lorganizzazione? A Torino non si trov alcun elemento idoneo,
anche perch chi poteva essere ritenuto capace, da un punto di vista tecnico-sindacale, pareva troppo compromesso dalle posizioni assunte di tendenza ultra-riformista. Fu allora che i socialisti milanesi avanzarono il
nome di Buozzi, quasi sconosciuto a Torino. Partirono i torinesi allincontro. Fu lieta ventura di chi redige queste poche note di fare parte della delegazione la quale ricav dallincontro tale ottima impressione da mettere
senzaltro tutto il proprio impegno nel vincere le riluttanze di Buozzi ad
accettare lincarico offerto. Egli intendeva, infatti, continuare nellinsegnamento professionale1. Il viaggio era stato preceduto da una violenta
polemica con i milanesi contrari al trasferimento della sede da Milano a
Torino, da un convegno straordinario ad Alessandria nel corso del quale il
trasferimento venne confermato dopo veri e propri corpo a corpo che
portarono allestromissione dalla sala (con metodi piuttosto sbrigativi) del
capo dei dissidenti (Bacchi) e di un paio di suoi sostenitori. Lo scontro, che
aveva avuto un epilogo fisico, in realt era nato sul terreno politico perch
gli oppositori aderivano alla corrente dei sindacalisti rivoluzionari con i
quali Bruno Buozzi sar costretto (come vedremo pi avanti) a fare spesso
i conti (e insieme a lui anche i lavoratori, iscritti e non iscritti al sindacato).
81

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Bisogna rilevare che i ricordi di Castagno sono un po confusi. Daltro canto


lascesa al vertice della Fiom di Buozzi fu piuttosto tortuosa, inevitabilmente tortuosa in una fase caotica della vita federale. La scelta matur a
Milano nel covegno che si svolse il 25 luglio 1909; lultimo atto venne
scritto due anni e mezzo dopo nel congresso straordinario di Alessandria
quando fu nominato segretario generale con lattribuzione della carica di
segretario amministrativo a Mario Guarnieri. Quei giorni, quelle ore, quelle
titubanze, il segretario le evidenzi nel 1910 durante il quarto congresso
nazionale: Le cause che hanno portato noi giovani e sconosciuti o quasi
a dirigere la Federazione sono di quelle che difficilmente si dimenticano
e che, nella vita di una associazione giovane come la nostra, possono essere
fatali. E la ricevemmo questa nostra Federazione disfatta, senza quattrini,
piena di debiti e questo il pi grave guardata dai pochi soci che le
erano rimasti con la pi diffidente... fiducia. Non ci sgomentammo per ci.
Sorretti dalla nostra fede per il pi puro degli ideali, forti delle nostre convinzioni sulla necessit e sulla potenza delle organizzazioni quali fattori di
progresso e di elevazione del proletariato2.
E con un moto dorgoglio, si autocitava: Scrivemmo nel Metallurgico... del 20 agosto 1909 (il primo da noi pubblicato): No, la Federazione Italiana dei Metallurgici non morta e non muore. Piagata e
sanguinante ancora per le ultime gravi ferite, tradita da alcuni dei suoi pi
eminenti condottieri, abbandonata anche dai deboli e dagli incoscienti,
dagli egoisti e dai neghittosi, dai diffidenti e dai timidi, questa organizzazione nazionale dei lavoratori del ferro dispiega al vento la sua bandiera
e attorno ad essa chiama ancora a combattere i lavoratori3. Sempre in
quellarticolo, per, Buozzi prendeva atto che un solco aveva diviso la Fiom
dai lavoratori: La vita di questo organismo non deve essere decorativa...
Noi speriamo che da ogni citt dItalia, dovunque un nucleo anche modesto dei nostri organizzati, parta una parola di conforto affettuoso, di fraterno aiuto che ci dica: Coraggio e avanti! Noi raccogliamo questa
bandiera che in altre mani stava per cadere e la sventoliamo ancora, segnacolo di giustizia al di sopra delle schiere dei lavoratori. Gli uomini
dincorrotta fede ci seguano nella faticosa ascesa4.
La Fiom, daltro canto, in quel 1909 sembrava destinata a un precoce tramonto, nonostante lindustria metallurgica, fosse in piena crescita.
82

A L L A G U I D A D E I M E TA L L U R G I C I

Il bisogno di costruire strutture sindacali di rappresentanza era forte ma segnato da molte contraddizioni. I meccanici a Milano una prima Lega lavevano creata gi nel 1891, altre erano state sciolte da Crispi nel 1894 e,
soprattutto, dalla repressione di Pelloux. Poi, a Roma, allalba del nuovo
secolo (1900) era nata la Lega Operai Metallurgici che aveva creato un Comitato Centrale di Propaganda e ristabilito rapporti con le ventuno sezioni
esistenti in Italia a cui aderivano 4.655 soci. Lanno dopo, al congresso di
Livorno, nacque la Fiom: sede a Roma, segretario Ernesto Verzi. Da quel
momento, il bilancio degli iscritti segu un andamento altalenante: raggiunse il picco massimo nel 1903 (ventinovemila), quando Buozzi si present davanti alla platea di Firenze erano diecimila ma i soci paganti appena
settemilacinquecento. Le cose andavano malissimo soprattutto a Torino, il
centro industriale pi importante, dove i soci paganti non erano pi di un
migliaio. Insomma, la Fiom rischiava la sorte evocata da Buozzi: un ruolo
puramente decorativo, anzi la bancarotta, politica e amministrativa. Nella
capitale industriale italiana (e dellauto che stava cominciando a conoscere
i primi successi) i metallurgici erano pi di trentamila: 16.800 lavoravano
in aziende metalmeccaniche, settemila in quelle automobilistiche. Troppo
agevole prendere atto dellirrilevanza della Fiom, dal punto di vista della
rappresentativit.
Con gli altri settori produttivi, le cose non andavano meglio: a Torino, la citt pi vivace da un punto di vista economico del Paese gli iscritti
alla Camera del Lavoro non arrivavano a diecimila a fronte di un esercito
di novantamila lavoratori, 65 mila impiegati in aziende con pi di 25 dipendenti. Ha spiegato Paolo Spriano: La crisi sindacale anche una crisi
di rapporti umani: loperaio disorganizzato ora facilmente penetrabile
alle accuse di corruzione rivolte ai dirigenti che egli non conosce perch
espresso al di fuori del processo produttivo, sulla base di competenze giuridiche, o, peggio, demagogiche; la sua psicologia profondamente diversa
da quella delloperaio di fabbrica5. La scelta di Buozzi (di qui, probabilmente anche limpressione straordinaria che sollecit in Castagno e negli
altri componenti della delegazione che lo convinsero ad accettare una impresa che sembrava molto simile alla resurrezione di Lazzaro) colm proprio questa lacuna. Buozzi era uno di quegli operai che la Fiom intendeva
rappresentare, lo era sin dalla pi tenera et: aggiustatore e tornitore e poi
83

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

maestro professionale. La spiegazione del suo successo come leader si pu


ritrovare nelle parole di Fernando Santi: Della schiera degli organizzatori
sindacali di prima del fascismo, tutti usciti dalla feconda scuola della fabbrica, Buozzi indubbiamente quello che pi di ogni altro rappresenta il
tipo delloperaio italiano dei primi del secolo: loperaio metallurgico. Intelligente, umano, orgoglioso della sua dignit professionale, che sta a testa
alta davanti al padrone, rispettato e rispettoso, che legge lOrigine della
specie e frequenta lUniversit Popolare e i loggioni della stagione lirica,
che ammira la tecnica tedesca e odia il kaiser; che ama i nichilisti russi e
vota per Turati. Loperaio socialista cosciente di essere il protagonista di
una nuova storia che incomincia, e che incomincia da lui, operaio metallurgico...La sua grandezza non sta nel martirio che illumin la sua vita di
luce non destinata a spegnersi nel tempo. La grandezza di Buozzi, che fu
tra le migliori e pi generose figure del movimento operaio e socialista del
nostro Paese, sta proprio nella naturale semplicit della sua vita, dove invano cerchereste imperiosi segni del destino, folgorazioni improvvise. Perci milioni di uomini semplici come lui si sono riconosciuti in lui: uno
dei nostri. E lo hanno amato e seguito6.
Certo su quel gruppo di giovani venne scaricato un fardello pesantissimo: da un lato le difficolt del sindacato, la sua crisi di rappresentanza, la concorrenza dei sindacalisti rivoluzionari che si sarebbero
organizzati nellUsi, Unione Sindacale Italiana; dallaltro un Partito Socialista attraversato da tensioni e divisioni; dallaltro ancora una situazione
politica dominata da quello che Gaetano Salvemini avrebbe definito il ministro della malavita, Giovanni Giolitti. Il quale Giolitti, nelle sue pulsioni
trasformistiche, oscillando a destra e a manca (nel vero senso della parola),
aveva comunque provato, con talune aperture sul fronte sociale, ad attenuare londa durto dellopposizione socialista, riuscendo peraltro a catturare la benevolenza di Ivanoe Bonomi e di Leonida Bissolati che pagarono
questa disponibilit con lespulsione dal partito socialista nel 1912. Al
contrario di Crispi, lui riteneva, manovrando dal centro (sempiterno punto
di equilibrio della politica italiana), di poter stemperare le tensioni nel Paese
senza ricorrere alle fucilate. Al termine del primo decennio del Novecento,
affermava che nessuna Nazione aveva compiuto un progresso cos significativo come quello realizzato dallItalia. I numeri in qualche misura gli da84

A L L A G U I D A D E I M E TA L L U R G I C I

vano anche ragione perch fra il 1899 e il 1910 la produzione industriale


raddoppi. Grosse aziende erano nate. LIlva, ad esempio (nel 1905); alla
fine della prima guerra mondiale, poi, la Fiat sarebbe diventata la pi grande
industria italiana. Proprio per smussare gli spigoli a sinistra, Giolitti aveva
fatto approvare una legge sul lavoro delle donne e dei ragazzi e pi tardi
pass anche il provvedimento che proibiva il lavoro notturno sempre per
donne e ragazzi. E poi provvedimenti sul riposo festivo (come aveva, peraltro, chiesto a gran voce Leone XIII nella Rerum Novarum, cosa che accompagn lingresso dei cattolici nella vita politica italiana attraverso il
patto Gentiloni), sulla distribuzione gratuita del chinino (la malaria era estremamente diffusa) e sugli infortuni sul lavoro. Interventi, in realt, dagli effetti piuttosto limitati tanto vero che non furono sufficienti per convincere
i socialisti a entrare nel governo. Al congresso di Modena del 1911, Bonomi
e Bissolati si ritrovarono isolati (anche nel campo riformista) e un anno dopo
vennero estromessi. Quasi contemporaneamente Giolitti realizz il suo pi
grande colpo a sorpresa politico: il suffragio universale (la legge 666
venne promulgata il 30 giugno 1912; quella sullindennit ai parlamentari,
cavallo di battaglia dei riformisti, un anno prima).
Certo, sempre annacquato, ma per i tempi abbastanza generoso
anche in rapporto ai costumi degli altri paesi europei. In sostanza veniva
dato il diritto di voto a tutti gli uomini di et superiore ai trentanni. Le
donne erano escluse ma cadeva la pregiudiziale contro i nullatenenti e gli
analfabeti: tutti potevano andare al seggio a patto che avessero compiuto
trentanni o adempiuto agli obblighi di leva. La cosa obblig a cambiare
anche le schede elettorali perch chi non sapeva leggere doveva in qualche
maniera orientarsi e cos fu introdotto il simbolo che doveva rendere possibile la scelta anche a chi non aveva dimestichezza con lalfabeto. Il corpo
elettorale venne notevolmente ampliato, da tre a otto milioni di votanti (per
la precisione nelle elezioni dellanno successivo gli aventi diritto furono
8.672.000 ma in realt depositarono la scheda nellurna soltanto 5.100.615
italiani). Il meccanismo era maggioritario e a doppio turno: la vita perennemente grama di quei governi dimostra, anche ai contemporanei, che la
stabilit non la conseguenza automatica di una perfetta costruzione di ingegneria elettorale. Per quanto positiva, la riforma si guard bene dallaffrontare i nodi pi intricati, dallallargamento delle circoscrizioni allo
85

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

scrutinio di lista, dalla rappresentanza proporzionale al voto alle donne.


Contro il provvedimento si schier il Psi: Filippo Turati, a nome
del partito, pur riconoscendo lo sforzo democratico, considerava la concessione del voto agli analfabeti trentenni un favore ai conservatori e quello
agli ex soldati una strizzatina docchio al militarismo che in quegli anni si
stava diffondendo a macchia dolio. Per giunta, niente e nessuno potevano
garantire un voto realmente libero, depurato da brogli, frodi e violenze.
Nessun ministro dellInterno, mi diceva anche test uno dei nostri pi illustri parlamentari, permetter mai che gli elettori possano, davvero e sempre, votare come vogliono, tuonava Turati durante il dibattito
parlamentare.

3.1 La Fiom prima di lui in caduta libera

Dal podio fiorentino, Bruno Buozzi nel novembre del 1910, snocciolava dati che se da un lato dicevano che la caduta era stata in qualche
maniera arrestata, dallaltro sottolineavano che la strada per la guarigione
era ancora lunga, contorta e complessa. Dichiarava il segretario: Mentre
lultima gestione dei nostri predecessori d unentrata mensile, per sole
quote, di L. 672,29; la nostra gestione 1910 per la stessa voce ci d un incasso di L. 1.228, 56 quasi il doppio cifra, poi, questa, in continuo aumento che certamente a dicembre arriver a L. 1.500. I debiti che alla fine
di luglio 1909 salivano a L. 10.748,25, oggi sono ridotti a L. 5.321,50. Oltre
questo abbiamo prelevato dalla somma per il funzionamento della federazione oltre L. 1.000 che abbiamo versato extra sottoscrizioni, agli scioperi
che si sono succeduti. Al 30 settembre il debito federale appena di L.
380,257.
Le falle erano state turate ma si trattava di riprendere il cammino.
Di quelle falle erano rimasti gli strascichi velenosi, le accuse contro Cleobulo Rossi, il segreteraio (aveva retto la Fiom insieme a Silla Coccia) che
con la sua opaca e criticata gestione amministrativa aveva affossato i conti,
minato la credibilit e consentito alla propaganda dei sindacalisti rivoluzionari un generoso raccolto di consensi. Cera chi avrebbe voluto una immediata rimozione di Rossi ma poi con una proposta di mediazione, Buozzi
diede al vecchio segretario la possibilt di una uscita meno traumatica:
quindici giorni di tempo per risistemare lequilibrio di bilancio. Allinizio
86

A L L A G U I D A D E I M E TA L L U R G I C I

del 1911, poi, la sede venne trasferita a Torino (dopo essere transitata a Milano, ed aver in un primo momento stazionato a Roma). In queste condizioni la Fiom di Buozzi poteva ripartire.
Peraltro, in una situazione in cui lo sviluppo industriale faceva segnare, pur tra cicliche crisi, significativi passi in avanti. Insomma, il reclutamento era possibile, la materia prima cera. Bisognava trovare solo la
chiave giusta per conquistarla e organizzarla. E qui entrava in ballo la specificit del processo di sindacalizzazione italiano avviato sul confine del
passaggio dalle officine tradizionali allindustria, come dire, dal lavoro ancora molto manuale alla macchina. La Fiom (tanto quella di Bruno
Buozzi quanto quella precedente alla sua elezione a segretario) si era posta
un obiettivo: dare allItalia un sindacato dindustria. Finendo, per, per
scontrarsi con quelle che erano le origini del processo di organizzazione.
In principio cerano i mestieri ed era quella la solidariet che reggeva,
lidentit pi forte. Il modello industriale faceva leva soprattutto sulloperaio specializzato ma in quel momento, con lespansione della siderurgia e
dellindustria legata ai trasporti, entravano in fabbrica schiere di ex contadini alla ricerca di pane sicuro. Un processo che lItalia rivivr pi tardi,
negli anni Cinquanta e Sessanta, con i massicci flussi migratori e lindustrializzazione del Mezzogiorno, quando migliaia di lavoratori un tempo
impegnati nei campi cambiarono abiti indossando la tuta blu e trasformandosi, spesso, in quello strano ircocervo che assunse il nome di metalmezzadro.
La Fiom riusciva a parlare agli operai specializzati, quelli che, dotati
di un mestiere, avevano adeguato le loro capacit e le loro competenze
alla macchina, ma faticava a dialogare con gli altri. Volendo si potrebbe
dire che gli sfuggiva ancora quelloperaio-massa (anche lui, normalmente,
figlio del Sud dal punto di vista geografico e figlio di un contadino da un
punto di vista strettamente biologico) che fu, poi, lanima dellAutunno
Caldo e che agevol quellesperimento di sindacato unitario che va sotto il
nome di Federazione dei Lavoratori Metalmeccanici. Allepoca, per, su
quelloperaio poco specializzato e in qualche misura un po anarcoide faceva presa la propaganda dei sindacalisti rivoluzionari che, come ha sottolineato Maurizio Antonioli, aveva come punto di riferimento organizzativo
il modello industrialista inglese che si basava sullorganizzazione fabbrica
87

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

per fabbrica e la costante attenzione nei confronti degli strati dequalificati8. Il tutto accompagnato da quelle accuse di corruzione che, come ha
detto Spriano, venivano lanciate contro i vertici della CGdL e della Fiom.
Quello automobilistico era il settore industriale tecnologicamente
pi avanzato e in via di grande espansione. E buona parte di quei primi anni
della segreteria di Bruno Buozzi e della vita sindacale verr condizionato
proprio dallaffermazione di questo mezzo di trasporto che, non a caso, segner la rinascita dellItalia anche dopo la seconda guerra mondiale trainando il boom economico degli anni Sessanta, condizionando in maniera
decisiva da un lato le politiche economiche, industriali e sociali e dallaltro
gli stili di vita. La stessa cosa accadde anche allora e produsse effetti tanto
sul fronte operaio quanto su quello padronale. Torino, che gi era il centro
produttivo pi importante del Paese, con lautomobile accentu questo carattere, diventando meta di un massiccio processo di inurbamento tanto
vero che nel 1911, anno dellEsposizione Universale, la citt aveva una popolazione di 428 mila abitanti e la Fiat spediva allestero gi tremila sue
autovetture. Ma il settore non ruotava solo intorno a quella che dopo la
prima guerra mondiale sarebbe diventata la pi grande fabbrica italiana.
Cerano altre realt, anche abbastanza significative. Tanto significative da
indurre gli imprenditori del settore, gi riuniti nella Lega Industriale, a organizzarsi nel Consorzio Fabbriche dautomobili. Novit non di poco conto
nel panorama delle relazioni industriali perch il nuovo organismo sindacale si basava su criteri di disciplina piuttosto ferrei sintetizzati nellassoluta
fedelt alle decisioni prese a maggioranza e per garantirla veniva richiesto
il deposito di cambiali che sarebbero state riscosse in caso di violazione
della linea adottata.
Come ha raccontato Spriano fu in quel settore che nacquero le prime
grane per Buozzi. Situazioni che si trascinavano da almeno tre anni prima
del suo arrivo alla segreteria e che avevano inciso in misura non irrilevante
sulla rarefazione dei rapporti tra gli operai e la Fiom. Da l, dalle fabbriche
di automobili, partirono intorno al 1911 le prime avvisaglie di un movimento scoordinato, lesatto contrario, cio, del modello di sindacato che
Buozzi aveva in mente (un modello che mise pure per iscritto: Dove lorganizzazione non esiste o debole, il proletariato non riesce neppure a discutere direttamente con gli industriali, e non quindi portato a contatti o
88

A L L A G U I D A D E I M E TA L L U R G I C I

a transazioni perch deve subire fatalmente tutto ci che gli viene imposto.
Tanto pi, invece, lorganizzazione forte, quanto pi affronta questioni
importanti, e discute e stipula concordati o transazioni, e entra quotidianamente nelle fabbriche e ha rapporti pi continui colle organizzazioni padronali o col governo per discutere di ogni cosa che interessi i suoi
associati). Per giunta su questa via in qualche misura anche incentivato
dalla nuova controparte padronale (il Consorzio) disposta a fare concessioni

LItalia politica degl inizi del Novecento in una tavolozza realizzata con
le cartoline di Scalarini: si riconoscono il radicale, il repubblicano, il moderato,
il socialista, il clericale e la donna senza partito perch... mi ha lasciato

89

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

a condizione di una ferrea pace sociale (niente scioperi improvvisi, tolleranza zero sui ritardi nellentrata in fabbrica, avventiziato di sei mesi e
preavviso di soli tre giorni per i licenziamenti). A pelle di Leopardo alcune
concessioni erano state ottenute nelle varie fabbriche: prima lAquila dove
era stato conquistato lorario unico il sabato, con uscita alle 14 e anche una
tolleranza di una decina di minuti sullingresso. Quindi lItala dove lorario
di lavoro venne ridotto da 60 a 57 ore a parit di salario.
Il Consorzio la tolleranza sugli orari lapprezzava poco (anzi, la voleva stroncare) in compenso, per, era disposto a qualche cedimento sul
fronte del sabato inglese e su quello degli aumenti salariali. Proprio per
mettere un po dordine in questo caos rivendicativo, la Fiom nel dicembre
del 1911 stipul un contratto (allepoca si chiamavano concordati) con cui,
tra laltro la Federazione otteneva il riconoscimento e limpegno dei datori
di lavoro a trattenere direttamente sulle buste-paga la quota. Per la Federazione questultima era una grande conquista perch si inseriva immediatamente nel Modello di sindacato a cui lorganizzazione faceva riferimento,
cio, come ha sottolineato Maurizio Antonioli, il modello tedesco. Per i
dirigenti della Fiom il sindacato dindustria era... strumento di controllo
e nello stesso tempo di elaborazione degli interessi generali... il suo obiettivo non era tanto quello di rappresentare tutti gli operai (anche quelli
estranei ai valori del modello sindacale) quanto quello di trattare per tutti,
di essere lunico veicolo contrattuale e come tale di diventare un elemento
stabile del nuovo sistema di relazioni industriali. Il sindacato di industria
quindi come passaggio decisivo alla contrattazione collettiva9.

3.2 La prima sconfitta a Torino

Lidea che Buozzi aveva del sindacato, daltro canto, era facilmente comprensibile. Tanto per cominciare, una organizzazione forte, che
non si facesse prendere la mano. Diceva: Noi siamo risolutamente contrari alla teoria che lorganizzatore e lorganizzazione debbano sempre seguire la massa, anche se disorganizzata (evidente il riferimento al
sindacalismo che non gradiva: quello dei rivoluzionari, n.d.a.). Tale teoria
rende inutile lorganizzazione. Serve a formare dei ribelli di unora ma non
mai delle coscienze rivoluzionarie. Ad organizzare improvvisamente delle
migliaia di operai, facili da condurre al macello, ma che se ne andranno
90

A L L A G U I D A D E I M E TA L L U R G I C I

immediatamente non appena finita lagitazione per la quale si sono associati. La coscienza delle masse si sviluppa e si dimostra con lopera paziente, illuminata e disciplinata, la quale, sola attraverso anche qualche
rinuncia che spesso un segno di forza sa conquistare e conservare
per prepararsi a nuove conquiste10.
La fondatezza di quella valutazione lui stesso la verificher proprio
in quel che accadr dopo quel concordato del 1911 firmato con i produttori
di automobili. La sua idea era quella di un militante sindacale consapevole
e quindi disponibile a pagare quote anche piuttosto salate in cambio di servizi che non riguardavano solo la contrattazione ma che uscivano dai confini
della fabbrica debordando nelluniverso sociale, nel controllo del mercato
del lavoro attraverso il collocamento. Le quote come cartina di tornasole
dellimpegno, della convinta adesione. Un tema che si riproporr nel corso
delle trattative per il Patto di Roma. Lidea che un lavoratore potesse ottenere
gratuitamente benefici che un altro suo compagno aveva costruito sobbarcandosi dei sacrifici, disturbava Buozzi. Lorganizzazione era forte se
aveva delle basi economiche solide e se con quelle basi riusciva a sostenere
lotte che in quegli anni duravano decisamente a lungo. Spiegava ancora Antonioli: Il modello di sindacato di industria a cui la Fiom tendeva muoveva
da altre premesse (rispetto a quelle dei rivoluzionari basato sulla singola
fabbrica). La sua cellula non era la fabbrica ma la sezione territoriale, la
cui tenuta si fondava su nuclei di militanti esperti, coscienti, preparati e
i cui collegamenti con la fabbrica erano assicurati da collettori. La ricomposizione della categoria quindi doveva avvenire attraverso il filtro
dellorganizzazione esterna al luogo di lavoro e procedeva dallalto lungo
le fasce della manodopera qualificata, di quegli operai attorno a cui ruotava
il processo di produzione e che erano in definitiva i cardini dei reparti... Il
sindacato di industria significava soprattutto centralizzazione, superamento
delle barriere professionali ed estensione al maggior numero di categorie
per un controllo pi efficace del mercato del lavoro11.
Quel che intendeva per sindacato, Buozzi lo illustr abbastanza chiaramente in un articolo elaborato solo pochi mesi dopo la sua elezione alla
segreteria della Fiom, davanti a quei dati relativi agli iscritti che parlavano
la lingua di un fallimento in corso (nel 1920 le 27 sezioni del 1909 si moltiplicheranno quasi per dieci diventando 221 e gli organizzati dai settemila
91

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

di partenza saranno diventati 157.402).


Al centro della sua analisi la situazione milanese dove, ancor pi
che a Torino, resisteva la solidariet di mestiere e faceva fatica a nascere
quella di categoria con la conseguenza che seguiva ritmi troppo rallentati
levoluzione dellorganizzazione in un sindacato dindustria (metamorfosi
che si completer solo dopo la prima guerra mondiale). Cominciava larticolo con una presa datto che conciliava lo sconforto: Quarantamila operai nella nostra citt nei diversi rami dellindustria metallurgica e poche
migliaia organizzati12. E Buozzi individuava una delle cause di questa situazione proprio in quellantica solidariet di mestiere che produceva la
frammentazione delle Leghe e non la loro ricomposizione: C una questione di origine locale, ed il sistema anti-unitario dellorganizzazione
milanese. Ma cerano ragioni pi profonde, in particolare la tendenza a
essere soddisfatti per le conquiste immediate senza pensare troppo al futuro
che pu anche essere contrassegnato da momenti negativi, insomma una
sorta di carpe diem in versione sindacale che impediva di valutare con oggettivit i vantaggi dellorganizzazione, dellessere organizzati, perch oggi
si vince ma domani si pu anche perdere e insieme si possono limitare i
danni. Diceva: Il sorgere dellindustria automobilistica una cuccagna
che non dur pi di un giorno forse perch non compresa dagli operai
non ha certamente contribuito allo sviluppo della organizzazione. Ha fatto
aumentare sensibilmente i salari degli operai, senza sforzo da parte di questi che, inebriati dai piccoli ed effimeri successi, proclamarono la inutilit
dellorganizzazione, senza capire che, mai come quando le prime conquiste
siano state conseguite, lorganizzazione stessa necessaria e che alle volte
pi difficile la difesa delloffesa, poich, se facile agire quando c tutto
da guadagnare, ci vuole maggiore senno e forza a conservare il fuoco conquistato per avanzare poi di nuovo. Ora la cuccagna finita: le fabbriche
dautomobili che non hanno fallito hanno decimato il personale13.
In realt la cuccagna non era affatto finita e Buozzi sottovalutava
leffetto che la prima guerra mondiale (ma in quel momento si avvertivano
i rumori di tanti piccoli conflitti ma non il suono minaccioso della deflagrazione globale), linsegnamento, per, continua ad avere una sua innegabile attualit, soprattutto in una fase di crisi come quella dei nostri tempi
con un sindacato stretto nella morsa di una serie di indicatori economici
92

A L L A G U I D A D E I M E TA L L U R G I C I

che lasciano pochi spazi allottimismo, almeno a quello pi sfrenato. Il segretario della Fiom sottolineava: Oggi i nostri soci non sono convenientemente tutelati, il lavoro di propaganda fiacco e inadeguato e quello di
amministrazione farraginoso e costoso. Lunione eliminerebbe gran parte
degli inconvenienti odierni e i soci, avendo pi diretta la visione dei frutti
dei loro sacrifici, non abbandonerebbero, come fanno cos spesso ora, la organizzazione dopo pochi mesi di iscrizione. Continuava: Il proletariato
metallurgico milanese ha una educazione anarchico-borghese che ha bisogno
di essere combattuta e rifatta. ribelle ma non rivoluzionario; protesta sempre e sempre si sottomette; individualista, di quellindividualismo scettico
tanto caro al Corriere della Sera ed , pi che nemico, ignaro di ci che
sia o debba essere il sentimento vero della forza collettiva e dellorganizzazione; vorrebbe essere e fare e non sa come muoversi... Lurlo, linvettiva, la
protesta, per quanto sacrosante, cadono nel vuoto se non sono materiate e
sostenute da una vigile coscienza di classe che sappia prevenire i fatti ed opporre una forza disciplinata e coraggiosa14. Un giudizio severo sul proletariato milanese, su una coscienza ancora troppo timida e mutevole.
Daltro canto, se oggi il problema sono i populisti, allepoca la medesima funzione veniva svolta dai sindacalisti-rivoluzionari, molti dei quali,
poi, conclusero il loro percorso politico tra le braccia di Mussolini, a cominciare da quellEdmondo Rossoni che sar il capo, almeno inizialmente,
del sindacato fascista. Filtrate attraverso intellettuali italiani come Arturo
Labriola (che poi far il ministro del lavoro con Giolitti durante loccupazione delle fabbriche), facevano breccia le riflessioni sulla violenza di
Georges Sorel: Il socialismo tende sempre pi a configurarsi come una
teoria del sindacalismo rivoluzionario o meglio come una filosofia della
storia moderna nella misura in cui questultima subisca il fascino del sindacalismo. Risulta da questi dati incontestabili che, per ragionare seriamente del socialismo, bisogna prima di tutto preoccuparsi di definire
lazione che compete alla violenza nei rapporti sociali di oggi. Lo sciopero generale come uno stato danimo epico che tende tutte le forze dellAnima verso condizioni che permettano di realizzare unofficina che
funzioni liberamente e che sia prodigiosamente progressiva. Diventava
pallida cosa la proposta di una azione giorno per giorno, continua e progressiva a fronte della promessa della Palingenesi. In pi, su questo crinale
93

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

critico si inserivano anche le rese dei conti interne al Psi, i cambi di maggioranza al vertice, laggressivit dialettica di Mussolini allepoca attestato
su posizioni massimaliste.
Alla fine la prima grande sconfitta a Buozzi la regaleranno non
gli anarco-individualisti milanesi, ma il proletariato torinese, addirittura
quello fortemente specializzato delle fabbriche automobilistiche. Il fatto
che Buozzi non era riuscito a consolidare il lavoro di riorganizzazione. Dal
momento dellinsediamento aveva sostenuto cinquantuno agitazioni e viaggiato in lungo e in largo (duecentodue giornate a contatto diretto con i lavoratori, ha raccontato Castagno). Uno sforzo propagandistico arricchito
dal lavoro dei membri del Comitato Centrale che nelle diverse sezioni per
riorganizzarle avevano trascorso trecentoventidue giorni in trasferta. Un
impegno massacrante che, per, non imped al segretario della Fiom di sposare, il 15 febbraio del 1912, la sua Rina (due anni dopo sarebbe nata la
prima figlia, Ornella, nel 1918 la seconda, Iole) e di metter su casa a Torino,
in Corso Regina Margherita. Il matrimonio coincise con i giorni pi turbolenti della sua nuova esperienza di leader. Lo scontro con i datori di lavoro
fu durissimo, ma ancora pi feroce fu quello con i sindacalisti rivoluzionari.
E la Fiom si ritrov al centro di un fuoco concentrico tra chi voleva mettere
le cose a posto (i padroni) e chi voleva lucrare vantaggi lavorando ai fianchi la Federazione. Persero tutti, alla fine. Tranne gli industriali dellautomobile che con la sinistra si ripresero quel che avevano elargito (e non certo
senza contropartite) con la destra.
Perch il concordato a cui prima abbiamo accennato, firmato nel
dicembre del 1911, venne messo di fatto in fuorigioco dai lavoratori, vittima
del clima di sfiducia che circondava in quel momento la Fiom. Inutilmente
tra la fine di dicembre del 1911 e gli inizi di gennaio del 1912, mentre preparava le carte per sposare Rina, Bruno Buozzi and in piazza per provare
a convincere i lavoratori. Pi forte delle sue argomentazioni, risult essere
la propaganda dei sindacalisti rivoluzionari che trovava terreno fertile proprio su quei sentimenti di delusione che accompagnavano loperato della
Fiom e che furono espressi in uno striscione che accompagn una delle manifestazioni (la pi massiccia) di quella vertenza lunga sessantacinque
giorni. Diceva: Cittadini, siamo stati traditi dalla Federazione Metallurgica. Difficile, per, parlare di tradimento a fronte di una riduzione del94

A L L A G U I D A D E I M E TA L L U R G I C I

lorario di lavoro (da 60 a 57 ore), alladozione del sabato inglese (seppur


con un pagamento ridotto delle ore di straordinario) e allaumento del tre
per cento della paga-oraria.
La propaganda rivoluzionaria si incentr su un punto. Lo ha spiegato Castagno: Laumento della paga oraria non compensa completamente la riduzione dellorario. Vi una perdita nominale di guadagno del
due per cento15. Ma al di l delle motivazioni apparenti, la vicenda si presta a un uso strumentale da parte di numerosi protagonisti e comprimari. I
rivoluzionari, ad esempio: potevano mettere in pratica le loro teorie sullo
sciopero come strumento della rivoluzione (come peraltro teorizzato da
Sorel). Poi cerano gli industriali riuniti nella Lega (i non automobilisti)
preoccupati dal fatto di ritrovarsi tra i piedi una rivendicazione indigesta:
il sabato inglese. I cattolici che dopo essere rientrati da protagonisti nella
politica italiana grazie a Giolitti e al Patto Gentiloni, volevano conquistare
anche spazi sindacali con la loro Lega del Lavoro, entit dalle dimensioni
non irrilevanti visto che organizzava nel 1911 sessantasettemila operai e
trentasettemila contadini. Non a caso, la sconfitta della Fiom fu poi commentata dal giornale cattolico Il Momento con un duro attacco ai vertici
federali: Gioiscano i Colombino (il segretario torinese, n.d.a.) e i Buozzi
della rientrata della massa alle officine, gioiscano pure i 6000 operai che
dopo due mesi di sciopero si trovano costretti a cedere di fronte al capitalismo alleato al socialismo ufficiale. Ma cera anche dellaltro. Lo ha spiegato Spriano: Lopposizione loro non , del resto, solo sindacale, bens
politica, poich si fa strada gi in molti sindacalisti-rivoluzionari lesaltazione nazionalista. La crisi libica del sindacalismo un po come la crisi
libica della borghesia e pi si manifesta negli intellettuali sindacalisti, in
quel gruppo (Labriola16, Orano, Panunzio, Momigliano) che maggiormente
aveva teorizzato un revisionismo aggressivo del marxismo... I sindacalisti
rivoluzionari sostengono ancora che nellinteresse del proletariato di
avere una borghesia espansionistica, conquistatrice di mercati, aspirante
a una sempre maggiore perfezione tecnica e organizzatrice, libera, insomma, nel suo pieno sviluppo economico. Llite proletaria suppone llite
borghese17.
Il 17 gennaio 1912 gli operai contrari allaccordo si riunirono in un
teatro e proclamarono lo sciopero a tempo indeterminato. Le fabbriche si
95

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

svuotarono. Arrivarono a Torino, ad agitare la piazza, personaggi pittoreschi


di sindacalisti-rivoluzionari. Uno lo ha descritto Castagno: Ricordano ancora, i vecchi compagni di Torino, limprovviso arrivo del sindacalista Fulvio Zocchi ed il suo discorso al Teatro Torinese: Compagni metallurgici
torinesi, io arrivo fresco fresco da Bologna; non so nulla di voi, non conosco
i motivi della vostra lotta e dei contrasti con la Federazione Metallurgica
in merito al memoriale e alle trattative con gli industriali. Ma so che voi
avete ragione, perch i dirigenti della Fiom sono tutti venduti e traditori.
Lottare contro di loro lottare contro gli industriali. Respingete dunque il
loro lurido contratto e abbandonateli, abbandonando anche le officine. A
fine vertenza e a disastro acquisito, Zocchi scompar dalla scena, inseguito
dalleco dellanatema pronunciato da Buozzi nel corso di un comizio svoltosi alla Camera del Lavoro l8 febbraio del 1912: Il sindacalismo cosa
ben migliore di quello di occasione che si fa oggi a Torino, che esalta i disorganizzati e chiama pecore quegli operai che da anni lavorano nelle proprie leghe. Nel mezzo sessantacinque giorni in cui un compromesso forse
non esaltante venne trasformato in carta straccia e buttato nel cestino dagli
imprenditori del Consorzio che a fine gennaio proclamarono la serrata, dichiararono nulli gli accordi e annunciarono che i lavoratori che non si fossero
presentati al lavoro sarebbero stati considerati dimissionari.
Da quel momento in poi, fu una valanga. Nonostante alcuni approcci per rimettere insieme, tra Fiom e sindacalisti rivoluzionari, qualche
coccio (tentativi falliti per lintransigenza di Zocchi). Gli imprenditori prolungarono la serrata sino a tutto marzo facendo balenare anche lidea di
una tregua come quando, l11 di quel mese, comunicarono ai lavoratori che
chi voleva, poteva tornare. Furono sufficienti dieci giorni per ripopolare i
capannoni e per dichiarare ufficialmente chiusa la vertenza. Forse, a questa
storia si potrebbe applicare una valutazione compiuta settantanni dopo da
un altro segretario metalmeccanico, Enzo Mattina, fresco reduce dalla sconfitta nella vertenza durata appena trentacinque giorni, quella della visita
di Berlinguer ai cancelli della Fiat, dellipotesi (rimasta a mezzaria) di una
occupazione della fabbrica sul modello di quella che guid Bruno Buozzi.
Scriveva Mattina a proposito del mancato mutamento di strategia che
avrebbe potuto favorire un altro epilogo della vertenza: Il rifiuto a rivedere
le modalit della lotta non nacque dal caso e tanto meno da una costante
96

A L L A G U I D A D E I M E TA L L U R G I C I

di quella tensione di massa cos avvertibile nei primi giorni dello scontro.
Accadde piuttosto che sul radicalismo sociale cos intrinseco alla connotazione culturale dei lavoratori Fiat si innestasse il particolare radicalismo
che ritroviamo cos frequentemente nella storia del movimento operaio torinese18. Cambiando nomi ed epoche storiche, il risultato non cambia. Il
conto pagato dai lavoratori fu altissimo: due milioni di salari perduti. Mesi
dopo, Zocchi e compagni provarono a riaprire i giochi in fabbrica presentando il 15 settembre del 1912 agli imprenditori un memoriale (cio una
piattaforma rivendicativa) con il quale intendevano recuperare i diritti perduti e il cuore dei lavoratori. La risposta fu negativa anche perch gli imprenditori torinesi consideravano quel sindacato poco rappresentativo (un
migliaio di iscritti) e perch non accettava il principio dei contratti a scadenza fissa, accettazione che aveva come corollario la rinunzia allo sciopero
nel periodo di vigenza dellaccordo. Ci non toglie che in poco tempo
venne organizzata la rivincita.

3.3 Dalla riorganizzazione alla rivincita

Laria era cambiata avendo Bruno Buozzi consolidato la riorganizzazione della Fiom. La cocente delusione dei sessantacinque giorni,
aveva dato modo al segretario di riproporre con un certo successo la logica
riformista delle conquiste graduali, del passo dopo passo, delle vertenze
organizzate e, soprattutto, basate su dati di fatto, su studi e analisi approfonditi e non su un tumulto emotivo, confuso e passeggero. I metodi utilizzati per governare la nuova vertenza che fu preparata con pazienza e
attenzione certosina, ebbero profili decisamente moderni. Tanto per cominciare, le richieste furono definite grazie a una consultazione massiccia della
base (si svolse pi o meno da ottobre agli inizi di febbraio) e vennero soppesate con studi che furono utilizzati per sgretolare il muro dei datori di
lavoro, per dimostrare che gli aumenti di costi erano perfettamente compatibili con gli aumenti di produttivit passati e futuri. Quindi, venne costruita una vera e propria commissione contratto: una decina di aziende
(Itala, Spa, Frejus, Fiat-Brevetti, Fiat-Ansaldi, Lancia, Scat, Rapid) nominarono tre rappresentanti a testa, in tutto un parlamentino di quasi una
trentina di persone, una scelta che fece compiere un enorme balzo in avanti
alla democrazia sindacale. A tutto questo Buozzi arriv dopo aver rimesso
97

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

a posto i cocci della precedente (e sciagurata) vertenza, dopo aver restituito


nel dialogo con i lavoratori credibilit alla Fiom che, in effetti raddoppi a
Torino i soci (da mille a duemila); la partecipazione venne tenuta alta con
le assemblee; linformazione fu garantita dalla nascita di un quindicinale,
La Squilla. La vertenza part con un lungo elenco di richieste (anche perch bisognava recuperare ci che era stato perduto nei sessantacinque
giorni). Il memoriale (non si chiamavano ancora piattaforme rivendicative ma il senso era lo stesso) prevedeva la riduzione dellorario (da 60 a
54 ore) accompagnato dallaumento del salario e dalla risistemazione dei
cottimi; il sabato inglese (perduto nella vertenza precedente), il riconoscimento delle commissioni interne e della Fiom come organizzazione di rappresentanza operaia, una nuova definizione degli straordinari, regolamenti
di fabbrica meno vessatori con la previsione di una piccola tolleranza allingresso sul posto di lavoro. Spriano ha cos spiegato il successo di questa
nuova vertenza (durata, comunque, novantatr giorni), appena un anno
dopo il traumatico epilogo di quella precedente: Nei fatti, cosa si verifica
tra luna e laltra data...? Una tendenza centripeta di tutto il movimento
operaio, una spinta unitaria. Lanno politicamente contrassegnato dal
successo congressuale della sinistra e sindacalmente da due fattori convergenti: una ripresa della Fiom, sotto la direzione di Bruno Buozzi, che si
rivela presto un esperto dirigente, e una volont di riscossa delle maestranze, che non si rassegnano a lavorare alle condizioni imposte dal diktat
del consorzio del marzo 191219. E che la Fiom fosse in ripresa, lo dimostravano i numeri relativi agli iscritti che nel 1913 erano 10.636 contro i
9.307 dellanno precedente e gli ottomila del 1911.
Nel frattempo, il segretario della Fiom annunciavava nei comizi la
riscossa: Se i dissidenti vorranno ritornare alle officine, come ventanni
or sono saremo ancora noi federati a salvare la situazione e le conquiste
del passato, sancite da quei contratti collettivi che sono aspirazione degli
operai di tutto il mondo20. Lannuncio della nuova battaglia lo diede La
Squilla il 15 marzo 1913; il 18 circol in fabbrica un volantino in cui si
invitavano i lavoratori a disertare in massa domattina le fabbriche.
Lazione riguardava quelle automobilistiche, in tutto poco meno di settemila
operai: tutti restarono fuori e trasformarono il Parco Michelotti nella loro
Agor. Ecco il racconto di Castagno: Era un luogo ideale per le lunghe
98

A L L A G U I D A D E I M E TA L L U R G I C I

soste degli scioperanti che vi consumavano la scarsa refezione e vi si trattenevano. Nei primi giorni un tavolo preso a prestito da una vicina osteria
fu la tribuna degli oratori; poi alcuni compagni intraprendenti trovarono
delle tavole e costruirono un piccolo palco stabile a ridosso di un gruppo
di grandi platani... Tutti noi, compagni giovani e anziani del Sindacato,
passammo pi o meno felicemente su quella tribuna; ma il pi atteso e gradito era ogni giorno il discorso di Buozzi. In quei pochi anni di direzione
sindacale, di esperienza di lotte, di studio dei problemi generali e specifici,
egli era diventato un maestro e approfittava di quegli incontri quotidiani
per formare la coscienza dei compagni, ampliando il campo delle loro conoscenze21. Quelle giornate al Parco Michelotti le ricord pure in una conferenza alluniversit nel 1949, il segretario del Pci, Palmiro Togliatti, quasi
con tenerezza: Nel 1912, nel 1913, a certe ore del mattino, quando abbandonavamo laula e dal cortile uscivamo nei portici avviandoci verso il
Po, incontravamo frotte di uomini diversi da noi, che pure seguivano quella
strada. Tutta una folla si dirigeva verso il fiume e i parchi sulle rive, dove
in quei tempi venivano confinati i comizi dei lavoratori in sciopero.
Gli imprenditori dellautomobile minacciarono il licenziamento in
massa di tutti gli scioperanti ma al contrario della vertenza precedente, questa volta i metalmeccanici riuscirono a raccogliere la solidariet del Psi (che
era stato, invece, titubante nei sessantacinque giorni) e persino contiguit
abbastanza impreviste. Perch, alla fine, nella conclusione positiva della
vertenza pes anche latteggiamento de La Stampa, imprevedibilmente
favorevole agli operai, una imprevedibilit solo apparente visto che il direttore, Alfredo Frassati, era politicamente vicino a Giovanni Giolitti che,
a sua volta, nella fase conclusiva della vicenda apr la strada allaccordo
con un durissimo attacco a Louis Maurice Bonnefon Craponne, presidente
della Lega Industriale che aveva proclamato la serrata di tutte le industrie
torinesi (che nella vertenza non erano coinvolte) con lobiettivo di tagliare
i viveri agli scioperanti che colmavano la mancanza di salario con le sottoscrizioni dei colleghi che al lavoro continuavano ad andare. Lannuncio
delliniziativa era stato dato il 20 maggio (la serrata doveva cominciare il
26); lo stesso giorno Buozzi commentava: Latto degli industriali fa troppo
bene il nostro gioco, ci favorisce troppo davanti allopinione pubblica, perch
noi non vogliamo guastarlo con un movimento inconsulto? Accettiamo la
99

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

serrata come una nuova provocazione che insieme prova di debolezza22.


Questa volta erano gli imprenditori che facevano la parte degli estremisti, che finivano per interpretare il copione che nei sessantacinque
giorni era stato dei sindacalisti-rivoluzionari e, in particolare, del loro portavoce, Zocchi, arrivato da Bologna. Nervi saldi, insomma, tanto vero
che pochi giorni dopo quella dichiarazione, al Parco Michelotti Buozzi ribad: Lo sciopero generale lo faremo quando vorremo noi. Lattacco di
Giolitti (che aveva invitato il francese naturalizzato italiano a tornare nel
suo paese), lannuncio del prefetto che le fabbriche chiuse in virt dalla
serrata non avrebbero potuto contare sulla protezione della forza pubblica,
le critiche acide di Frassati, indussero Craponne alle dimissioni. Le fabbriche rimasero aperte, la lotta continu ma alla fine laccordo fu chiuso: sabato inglese, riconoscimento della Fiom e delle rappresentanze operaie in
fabbrica, riduzione dellorario di lavoro a parit di salario (unora nel 1913,
due nel 1914 e tre nel 1915), due centesimi in pi sulla paga oraria. Gli
operai tornarono al lavoro il 23 giugno, un luned.

Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume Edizione Avanti! 1955, pag. 20
Relazione di Bruno Buozzi al congresso della Fiom, 13-16 novembre 1910, in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943)
Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 29
3
Ivi
4
Ivi
5
Paolo Spriano: Storia di Torino operaia e socialista. Da De Amicis a Gramsci Einaudi
1972, pag. 209
6
Fernando Santi: prefazione al libro di Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume edizione Avanti! 1955, pag 7-8
7
Relazione di Bruno Buozzi al congresso di Firenze 13-16 novembre 1910; in Aldo Forbice
(a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943) Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 14
8
Maurizio Antonioli: La Fiom tra sindacato di mestiere e sindacato di industria in
Bruno Buozzi e lorganizzazione sindacale in Italia a cura del Centro Ricerche e Studi
sindacali-Fiom Milano e della Fondazione Giacomo Brodolini Milano, Editrice Sindacale
Italiana 1982, pag. 27
2

100

A L L A G U I D A D E I M E TA L L U R G I C I
9

Ibidem pagg. 28-9


Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, il sindacalista riformista, Franco
Angeli 1984, pag. 22
11
Maurizio Antonioli, Ivi
12
Bruno Buozzi: Lorganizzazione dei metallurgici a Milano in Il metallurgico 20
febbraio 1910. In Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti
e discorsi (1910-1943) Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 21
10

13

Ibidem pag 22
Ibidem pag. 23
15
Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume Edizione Avanti! 1955, pag. 28
16
Arturo
17
Paolo Spriano: Storia di Torino operaia e socialista. Da De Amicis a Gramsci Einaudi
1972, pagg. 214-5
18
Giorgio Benvenuto Antonio Maglie: Il divorzio di San Valentino. Cos la scala mobile
divise lItalia Fondazione Bruno Buozzi 2013, pag 120
19
Paolo Spriano, op. cit, pag 224
20
Aldo Forbice: La forza tranquilla, op. cit., Comizio di Bruno Buozzi alla Camera del
Lavoro da un resoconto de La Stampa del 9 febbraio 1913, pag.28
21
Gino Castagno, op. cit., pag 32
22
Aldo Forbice: La forza tranquilla, op. cit., pag. 29
14

101

Ma quando tuona il cannone e lora di avvenimenti


rivoluzionari pu essere vicina, noi
abbiamo il dovere di dimostrarci rivoluzionari

Verso la guerra

1914: il rumore della guerra gi assordante


La CGdL riunisce a Milano il suo consiglio nazionale
Bruno Buozzi riconoscibile al centro della foto

Anche in questa guerra, come in tutte quelle del passato, il proletariato versa il proprio sangue prezioso unicamente forse nellinteresse
della borghesia: e quindi quello italiano ha il dovere di lottare con ogni
mezzo perch lItalia non partecipi alla grande carneficina. La mattina del
19 settembre del 1914, i lettori de Il Metallurgico ritrovarono queste
chiare e inequivocabili parole in un articolo che non lasciava adito a dubbi.
La firma era quella del loro leader, il segretario della Fiom, Bruno Buozzi.
Erano giorni veramente bui e tempestosi. Il diciannovenne nazionalista
serbo, Gavrilo Princip, quasi esattamente tre mesi prima, il 28 giugno, a
Sarajevo aveva abbattuto larciduca Francesco Ferdinando e lAustria, per
tutta risposta, un mese dopo, il 28 luglio, aveva dichiarato guerra alla Serbia. Ma era stata solo la scintilla perch il fuoco che ne deriv era stato,
nelle settimane, nei mesi e negli anni precedenti, adeguatamente alimentato
da altre e pi profonde motivazioni, per quanto un assassinio potesse essere
per qualcuno una ragione non completamente campata in aria (per, sicuramente debole per la carneficina che produsse). In realt lAustria non vedeva lora di lanciarsi in una avventura bellica per provare a puntellare un
impero destinato a un irreversibile declino. E in questo intendimento era
sostenuta dallalleato tedesco animato da uno straordinario spirito di potenza che a partire dal 1870 sino alla seconda guerra mondiale ha periodicamente precipitato lEuropa nella tragedia, sino alla terribile e non
rimarginabile ferita dellOlocausto.
Lo sottolineava in quellarticolo Bruno Buozzi, descrivendo lo sviluppo produttivo, in larga parte drogato, di un paese che aveva deciso di
contendere allInghilterra il primato industriale e che dal primato industriale
voleva passare a quello politico, su tutta lEuropa. Una lunga citazione di
quellarticolo serve a comprendere il clima e le ragioni dellepoca. Scriveva
105

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Buozzi: La Germania non un mistero per nessuno studioso per quanto


modesto non si trovava neppure in buone condizioni, in causa della politica pazzesca pazzesca sotto tutti gli aspetti fatta in questultimo quarantennio. La vittoria riportata sulla Francia nella guerra 1870-71, fece,
come suol dire, andar di volta il cervello ai tedeschi. Lo smodato orgoglio
della razza prussiana crebbe pi che mai dopo e divenne come limpero germanico appena costituitosi. La grande Germania, dimostratasi effettivamente formidabile sui campi di battaglia, credette di poter diventare la
dominatrice su tutti i campi e si diede ad una politica ripetiamo pazzesca,
allo scopo si sopraffare le altre nazioni particolarmente nel campo industriale. In virt di un protezionismo sbalorditivo, accoppiato da lauti premi
di esportazione, riusc a dare effettivamente un impulso meraviglioso al proprio industrialismo, tanto da renderlo capace di una produzione di molto
superiore al consumo interno. Con una sapiente organizzazione bancaria,
validamente aiutata dai 5 miliardi di indennit avuti dalla Francia, riusc a
lanciare nel mondo i suoi prodotti, a conquistare mercati ed a rendersi la
pi terribile concorrente della Inghilterra. (Lesportazione della Germania
raggiunse nel 1912 la somma di L. 10 miliardi e 825 milioni, contro i 12
miliardi e 184 milioni dellInghilterra). Ma mentre il grande commercio inglese dovuto alla forza intrinseca delle proprie industrie ( noto che in
Inghilterra non ci sono n dazi protettivi, n premi di esportazione) quello
della Germania, invece per le ragioni sopra dette, era artificioso, in quanto
dovuto allenorme protezionismo. Gli industriali tedeschi applicano su larga
scala la teoria del dumping, e cio di vendere allestero a prezzi inferiori
che allinterno. (La teoria del dumping pi facilmente applicabile alle
industrie che producono merci a costi decrescenti, cio a quelle come la
siderurgia dove pi la produzione aumenta meno costa. noto difatti che
gli industriali siderurgici tedeschi, fortemente sindacati, oltrech protetti,
fino allanno scorso vendettero le travi di ferro ed i ferri profilati in Italia a
L. 93 la tonnellata e in Svizzera, in Inghilterra ed Olanda a L. 130; mentre
la stessa merce veniva venduta in Germania a L. 164 la tonnellata).
Viene spontanea, a questo punto, una parentesi. La costruzione europea, pur parziale e difettosa, pur edificata partendo dal tetto (la moneta)
e non dalle fondamenta (la struttura politica), ha comunque garantito al pi
litigioso dei continenti, un settantennio di pace. La crisi esplosa nel 2007,
106

VERSO LA GUERRA

deflagrata in maniera rumorosa nel 2008 con il fallimento della Lehman


Brothers, prodotta dai mutui subprime ma poi trasferitasi sul versante dei
debiti sovrani, ha finito per riaprire un dibattito (spesso, molto spesso alimentato in maniera populistica e scarsamente informata) su un rinnovato
spirito di potenza della Germania riunificata dopo il Muro di Berlino. Insomma, presso settori della pubblica opinione, anche italiana, passata
lidea di un conflitto combattuto con altri mezzi: Angela Merkel come Guglielmo II (era limperatore che entr in guerra accanto allAustria) o, peggio ancora, come Hitler. La realt , ovviamente, piuttosto diversa. Il
dumping a cui faceva riferimento Buozzi oggi di tipo nuovo, non riguarda
il prezzo delle merci ma delle prestazioni di lavoro, riguarda le regole che
sovrintendono alloccupazione, le garanzie (anche sindacali). Perch se
vero come ha scritto leconomista keynesiano Hyman P. Minsky che allo
scopo di comprendere la nostra economia necessario rivolgere uno
sguardo critico, al di fuori di ogni insulsaggine, al sistema bancario. una
forza dirompente che tende a indurre e amplificare linstabilit, sebbene
sia un fattore essenziale ove si voglia che linvestimento e la crescita siano
finanziati, anche vero che una tonnellata di tondino costa allo stesso
modo pi o meno in tutta Europa. La differenza nella manodopera: costruire palloni da calcio in Pakistan costa molto meno che in Italia visto
che da quelle parti i diritti dei lavoratori non trovano particolari riconoscimenti e tutele; recenti disastri hanno dimostrato lo stato di sostanziale schiavit in cui molti operai vivono e operano (anche in Italia, semmai alle
dipendenze di imprenditori cinesi). Se oggi viene (o si presume che
venga) replicata una politica di potenza da parte tedesca, essa va inevitabilmente a innestarsi su altre fondamenta, certo non su quelle analizzate
con lucidit agli inizi del secolo scorso da Buozzi.
La questione non di poco conto perch, per fortuna non in una
condizione drammatica come quella del 1914, gli europei sono di nuovo di
fronte a scelte che incideranno in maniera decisiva sul loro futuro, forse
addirittura sulla loro sopravvivenza come grande entit culturale, prima ancora che economica, finanziaria, politica. Lo ha detto il filosofo Andr
Gluksmann : Le nostre antiche nazioni del Vecchio continente devono decidere se sopravvivere insieme o scomparire separatamente. Da questo
punto di vista risulta piuttosto ridicolo richiamare Guglielmo II o Hitler per
107

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

provare a spiegare le scelte della Merkel. Altre tempi, altre situazioni.


Quella attuale figlia pi delle nostre paure che delle pulsioni prussiane.
Paure nate, come ha sottolineato il germanista Angelo Bolaffi, con la caduta
del Muro di Berlino, con lunificazione del Paese che ha rinverdito lattualit del dilemma proposto da Thomas Mann: Una Germania europea o una
Europa tedesca? Lo ha sottolineato Bolaffi citando lo storico Heinrich August Winkler: La Germania da parte sua accett di rinunziare allamatissima deutsche Mark (il termine in tedesco femminile) perch non aveva
alternative: tale rinuncia stato il prezzo che il governo federale ha dovuto pagare per lapprovazione di Parigi allUnione tedesca1. In sostanza,
per garantirsi dalla rinascente politica di potenza tedesca, la Francia aveva
chiesto (e ottenuto) la rinuncia da parte della Germania a una parte della
sua sovranit monetaria. Conclusione: come si suol dire, chi causa dei
suoi mal pianga se stesso, la Germania ha fatto il suo gioco, ha accettato le
conseguenze e se ha giocato meglio degli altri (Italia compresa) ora non
possiamo consolarci invocando fantasmi antichi e decisamente lontani dalla
realt o imprecare contro il destino cinico e baro.
Quando Buozzi scriveva per ribadire la posizione dei socialisti e
della Fiom a sostegno della neutralit, lItalia dantescamente era tra color
che son sospesi: non in guerra ma strattonata di qui e di l, indecisa sul da
farsi anche perch lopinione pubblica era contraria a quella che poi divenne
una grande mattanza, nove milioni di vittime, e nel sanguinoso segnale di
una sorta di mutazione genetica dei conflitti armati (sar perfezionata,
poi, nella seconda guerra mondiale) che non coinvolgevano pi solo gli uomini in divisa ma anche (anzi soprattutto) i civili, la vita quotidiana trasformata in un campo di battaglia ben oltre i confini dolenti e fangosi delle
trincee. Contro la guerra era anche il parlamento italiano. Non molti giorni
prima del dibattito parlamentare che ratific quello che il Re, Vittorio Emanuele III, e il capo di un governo dimissionario, Antonio Salandra, avevano
gi deciso coprendosi a vicenda, Leonida Bissolati (che al conflitto non era
contrario) calcol che la stragrande maggioranza era contro la guerra e che
i favorevoli arrivavano a stento a una sessantina. Ma dato che lo scilipotismo una malattia infantile della politica italiana un po come lestremismo nella vulgata di Lenin, quando si tratt di decidere, i voti a favore
della guerra furono 407 e quelli contro 74.
108

VERSO LA GUERRA

La realt che i pi accorti politici avrebbero preferito restare ai


margini di questa dolorosa avventura. E della schiera faceva sicuramente
parte Giovanni Giolitti che, per quanto definito da Gaetano Salvemini il
ministro della malavita (definizione che, peraltro, il leader piemontese
si preoccup di confermare nel corso delle elezioni che si svolsero il 26
ottobre, primo turno, e il 1 novembre 1913, con frodi, imbrogli e violenze), sapeva bene che il Paese non era nelle condizioni di poter sostenere
lo sforzo bellico. Giolitti disistimava profondamente i generali, li considerava sostanzialmente degli inetti e sapeva che dal punto di vista dellarmamento il nostro esercito era decisamente lontano dalle necessit di un
conflitto di quelle proporzioni. Pensava che il Paese avrebbe tratto vantaggio maggiore dalla neutralit perch lavrebbe potuta giocare al tavolo
dei vincitori, indipendentemente da chi a quel tavolo in quella veste si
fosse seduto. Il fatto che il giolittismo, nonostante laffermazione elettorale figlia dellaccordo con il presidente dellUnione Elettorale Cattolica
Italiana, Vincenzo Ottorino Gentiloni (come ha scritto Gramsci spiegando
il cambio di alleanze del leader: Giolitti muta spalla al suo fucile; allalleanza tra borghesi e operai sostituisce lalleanza tra borghesi e cattolici,
che rappresentano le masse contadine dellItalia settentrionale e centrale2), era ormai in crisi. Perso per strada un pezzo della sua maggioranza
(i radicali), in difficolt con gli stessi cattolici che pure aveva riportato al
centro della vita politica italiana in una delle sue consuete capriole trasformistiche, era stato obbligato alle dimissioni. Aveva programmato un temporaneo allontanamento dal governo per organizzare (come altre volte
aveva fatto) un rientro. Le cose, per, non andarono come aveva previsto:
Salandra si rivel osso pi duro, conquistando il cuore di Vittorio Emanule III. Ma che non volesse trascinare lItalia sul campo di battaglia era
risultato chiaro quando, ancora al potere, aveva rifiutato nuovi finanziamenti alle forze armate e s che i venti di guerra (di provenienza soprattutto
austriaca) spiravano dal luglio del 1913 e lui ne era perfettamente a conoscenza. Quel clima, percepito dalla gente, provocava inquietudini, tensioni.
E in queste tensioni finivano per confluire le motivazioni pi diverse. A
giugno esplose in Emilia e Romagna uninsurrezione contadina non organizzata. A promuoverla provvidero i braccianti che chiedevano migliori
condizioni economiche ai mezzadri e ai proprietari i quali risposero orga109

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

nizzando squadre di crumiri. Il 7 giugno, poi, ad Ancona una manifestazione contro la coscrizione obbligatoria a cui aveva partecipato Enrico
Malatesta fin nel sangue (tre morti e una quindicina di feriti). Per protesta
l8 giugno i metallurgici proclamarono lo sciopero generale in tutta Italia
ma a Torino gli operai fermarono il lavoro prima ancora di conoscere le
decisioni dei vertici sindacali e uscirono dalle fabbriche bloccando lattivit produttiva di tutta la citt. Il 9 giugno un corteo di cinquantamila persone attravers la citt concentrandosi davanti alla Camera del Lavoro
dove parl Buozzi. Ma rabbia e tensione (alimentata anche dalla riemersione di sindacalisti rivoluzionari e anarchici) erano cos alte che la la
folla invece di disperdersi rest in strada. Cominciarono gli scontri che
nel pomeriggio diventarono violentissimi: a Piazza Castello la polizia
spar e sulla strada restarono due corpi senza vita. La vicenda passata
alla storia come la settimana rossa. Pietro Nenni che ebbe una parte non
trascurabile lha raccontata cos: In questo memorabile 1914, il 7 giugno,
ad Ancona, alla conclusione di una manifestazione antimilitarista, la polizia per disperdere un corteo operaio spar sulla folla. Due manifestanti
furono uccisi. Lindignazione popolare prese allora la forma di una vera
insurrezione. Lo sciopero generale fu proclamato da un estremo allaltro
dellItalia. I ferrovieri si aggregarono allo sciopero che dur sette giorni
e prese il nome di settimana rossa... Ma per la mancanza di direzione
centrale e di collegamento, il movimento fall e la sera del quinto giorno
di sciopero la Confederazione generale diede lordine di riprendere il lavoro3. Buozzi, dopo le pistolettate di Torino, si era molto adoperato in
quella direzione anche perch avvertiva che la situazione aveva preso una
china ingestibile e, quindi, pericolosa.

4.1 Lanatema contro lo spontaneismo

Nenni, evidentemente la pensava in maniera diversa e il suo racconto, peraltro, elaborato diverso tempo dopo i fatti, , nellumore che lascia trasparire, molto diverso dal commento che, invece, a caldo Claudio
Treves elabor per la Critica Sociale. Larticolo, come molti altri, era firmato Il vice ed era una presa di posizione durissima contro lo spontaneismo avventuristico. Una durezza visibile gi nel titolo: La teppa e la
rivoluzione socialista. Si domandava Treves: Quel che bisogna vedere
110

VERSO LA GUERRA

se la nostra rivoluzione presente ha da essere governata dal proletariato o


dalla folla; da Rigola o da Valera, da Lazzari o da non si sa chi; se ogni
azione di protesta del Partito Socialista o della Confederazione del Lavoro,
a piacimento della folla raccogliticcia, secondo il suo istinto sovrano, il
suo intuito divino, ha da lasciarsi trasformare in movimento rivoluzionario;
se il diritto divino della piazza, in qualunque luogo e in qualunque modo
raccolta, sovrano, travolgente ogni altro, e i partiti e le organizzazioni
proletarie, create a fatica, mantenute con enormi sacrifici, lottanti per usare
limiti, per polire principi, per adeguare mezzi congrui a fini consapevoli e
consaputi, hanno sempre da abdicare davanti a quel diritto sovrano e irresponsabile4. Per come le cose si erano sviluppate e per le polemiche che
ne erano seguite, Buozzi concordava su alcune delle argomentazioni del
suo compagno e amico Treves che continuava il suo atto daccusa in maniera come al solito estremamente diretta (per i tempi, il suo stile giornalistico era moderno: asciutto, poco incline alla retorica o al periodare
barocco): In questi nostri liberi fogli non la prima volta che mettiamo a
fronte il diritto degli organizzati e il diritto dei disorganizzati e ci domandiamo quale debba prevalere davanti al socialismo. Ci fu risposto... dando
a noi degli aristocratici autoritari, perch propendevamo per i diritti degli
organizzati, i quali erano, senzaltro, battezzati come oligarchie o lites
proletarie in antitesi con il proletariato....
La polemica andava al di l del fatto specifico, investendo la contrapposizione culturale tra i riformisti da un lato e i rivoluzionari dallaltro
che di l a poco, con lapprossimarsi della guerra, cambieranno strada (almeno una parte di loro), a cominciare da Benito Mussolini (da direttore
massimalista dellAvanti! si adoper anche per spodestare Buozzi e mettere al suo posto un sindacalista vicino alla sua area), che nel giro di un
paio di mesi, in quel 1914 (ottobre e novembre) passer dalla neutralit
pura e semplice, a una imprecisa neutralit condizionata per finire con
un chiarissimo interventismo. Incalzava Treves: di tutta evidenza che
quando per il buon capriccio della folla, o magari della teppa, lorganizzazione non solo vede turbata tutta la complessa opera sua di reclutamento
proletario, di legislazione sociale, di cooperazione parlamentare, ecc., modificate le condizioni politiche intorno a s, eventualmente perfino vede
violentati i suoi uffici, arrestati i suoi uomini, lorganizzazione si ripiega
111

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

affranta, avvilita, annichilita. Ossia si ripiega affranto, avvilito, annichilito


il socialismo da un gesto5. La conclusione chiara: O il socialismo avviene per colpo di mano, per preparazioni successive sempre pi vaste e
fortunate, di movimenti rivoluzionari, e allora chiudiamo il registro dellorganizzazione... oppure il socialismo non diventa per colpi di mano, se anche
la violenza non si possa assolutamente scomputarsi dalle estreme resistenze
del trapasso della societ capitalistica, ed allora bisogna mettersi in regola
con lorganizzazione ed a questa conferire lautorit e la responsabilit per
dirigere gli sforzi politici ed economici della classe proletaria, destituendo
di questa autorit e di questa responsabilit la folla e ancor pi la teppa...
La rivoluzione veramente socialista, la rivoluzione dellavvenire non ha bisogno di fare un conto specifico della teppa, come ne ha bisogno la rivoluzione repubblicana o sindacalista o anarchica, le quali sono tutte rivoluzioni
insanabilmente individualistiche, aristocratiche, sognate cio da minoranze
audaci e brillanti, da cospiratori esimi nella volont di dominio e nella volutt di sacrificio, i quali al modo antico sono portati a considerare la teppa
come la materia prima di un combattimento6.
Intorno ai fatti di Ancona si svilupparono aspre polemiche al centro
delle quali fin il sindacato apertamente accusato di mancanza di coraggio,
di scarso spirito insurrezionalistico. Perci oltre un mese dopo lo sciopero
generale Bruno Buozzi interveniva su Il Metallurgico. E diceva: Purtroppo la cultura generale e leducazione politica del nostro paese sono
cos scarse che ci vuole effettivamente molta audacia a pretendere onest
politica, carattere e coraggio. Le nostre masse seguono ancora troppo chi
grida pi forte7. Nel mirino, la decisione del sindacato di sospendere lo
sciopero dopo i morti in piazza. Buozzi controbatteva: stato detto che
non si doveva far cessare lo sciopero dopo quarantotto ore: ma non si
detto e non si saputo dire quanto e perch doveva durare ancora... lo
sciopero generale nazionale appunto perch tale, non pu e non deve avere
la sua durata subordinata alle pretese di qualche categoria o localit, n
deve essere proclamato chiuso tenendo conto delle condizioni generali
della nazione8. Infine, ribadiva la sua contrariet nei confronti delle scelte
avventuristiche: Tra laccettare serenamente la situazione quale si presenta e inseguire chimeriche speranze di giornate storiche, corre una
enorme differenza. Noi contrariamente ai sostenitori della tesi insurrezio112

VERSO LA GUERRA

nale diciamo che non vogliamo e non prepariamo linsurrezione; vogliamo


e prepariamo lorganizzazione del proletariato9.
Mentre nel paese cresceva la tensione e la preoccupazione, Salandra
si giocava le sue carte su due diversi tavoli: quello della vecchia alleanza
con Austria e Germania e quella della possibile nuova alleanza, con Gran
Bretagna, Francia e Russia. Arrivando persino al paradosso di essere per
una settimana alleato di tutti e due i contendenti. LItalia precipit verso il
conflitto in maniera contraddittoria e istituzionalmente poco gloriosa. Perch la dichiarazione di guerra (sul campo di battaglia dovevamo scendere
insieme ai nuovi alleati, Francia, Gran Bretagna e Russia, esattamente un
mese dopo gli accordi di Londra, cio il 26 maggio 1915) era stata firmata
dal re prima del dibattito parlamentare (20 maggio), con un governo dimissionario che con una forzatura Vittorio Emanuele III aveva rimesso al suo
posto e con il Parlamento praticamente chiuso (proprio per sistemare le
cose venne rinviata di qualche giorno la sua riapertura e, quindi, il dibattito).
Molti storici hanno parlato di un colpo di stato simile a quello che il re
realizz sette anni dopo consegnando il potere a Mussolini che, nel frattempo, messo alla porta dal Psi, aveva aperto un suo giornale, Il Popolo
dItalia con soldi francesi. Il via libera parlamentare arriv un po perch
Giolitti, avendo intuito che non si poteva cambiare una decisione gi presa
se non mettendo nei guai il re, torn in Piemonte (scelta che venne interpretata dai suoi fedelissimi come una dichiarazione di resa), un po perch
ci furono pressioni, come dire, mediatiche (per infiammare le piazze, DAnnunzio venne richiamato in fretta e furia dalla Francia dove aveva trovato
riparo per una questione di debiti non onorati) e un po per pressioni pi
prosaicamente fisiche (evidentemente, era gi cominciata la civilt del
manganello).
I socialisti sostennero la tesi della neutralit (che poi, dopo lentrata
in guerra, si trasform nella parola dordine n aderire, n sabotare) ma
con interpretazioni che in qualche maniera mutarono nel corso della guerra
e in particolare dopo Caporetto (alcuni misero pi laccento sul non aderire,
altri sul non sabotare). Buozzi da un punto di vista politico non fece passi
indietro, ma a livello sindacale cerc con pragmatismo di difendere i lavoratori in un momento di grande debolezza, alleviando i disagi pratici che
derivavano da una guerra dura e lunga. La linea della neutralit, la sostenne
113

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

in numerose occasioni. Lo disse in un comizio alla Camera del Lavoro qualche giorno prima dellarticolo su Il Metallurgico: Vincano gli uni o gli
altri, le condizioni del proletariato non miglioreranno, peggioreranno10.
Ripropose per iscritto gli stessi concetti: A noi pare che il proletariato
abbia il dovere assoluto di lottare con ogni mezzo perch lItalia rimanga
neutrale. Noi non abbiamo alcuna difficolt a dichiarare che le nostre simpatie, per ragioni sentimentali pi che altro sono per la triplice intesa
(Francia, Gran Bretagna, Russia, n.d.a.) invece che per gli imperi centrali,
ma non ci sentiamo di andare pi in l. Perch noi non abbiamo consigli
da dare alla monarchia, perch non sappiamo quindi quali intrighi abbiano
tramato e tramino, le diplomazie che fanno la guerra e la pace senza mai
interpellare i popoli; e perch, semmai, compito nostro intervenire per la
pace e non mai per la guerra, della quale non vogliamo assumere alcuna
responsabilit. Larticolo su Il Metallurgico si chiudeva in maniera
netta: In questa guerra il proletariato centra pi per farsi ammazzare che
per altro. Non siamo pi alla guerra feudale, alla guerra tipicamente dinastica o alla guerra ideale di nazionalit; ma alla guerra essenzialmente
borghese ed economica11. Il conflitto divise i socialisti europei facendo
saltare in aria la II Internazionale visto che scomparso Jean Jaurs (ucciso
in un caff parigino dal nazionalista Raoul Villain) che aveva nobilmente
illustrato e sostenuto le ragioni della pace, tutti corsero in soccorso dei superiori interessi nazionali, a cominciare dai tedeschi della Spd che al Reichstag appoggiarono il Kaiser votando i crediti di guerra e venendo
immediatamente imitati dai francesi della Sfio, dagli austriaci, dagli ungheresi e dai cechi.
La battaglia parlamentare che precedette linutile approvazione di
una dichiarazione di guerra firmata con un certo anticipo dal re, e i mesi
che accompagnarono questo scontro politico, esacerbarono cos tanto i rapporti (caratterizzati da aperti tradimenti e voltafaccia) da sfociare in alcune
occasioni in veri e propri duelli con tanto di padrini. Fu il caso di Claudio
Treves che diffamato da Mussolini che in pochi mesi aveva mutato bandiera, lo sfid a singolar tenzone. Eppure proprio uno dei collaboratori
pi assidui della Critica Sociale di cui Treves era il vice-direttore, cio
Giovanni Zibordi, direttore a sua volta del giornale di Prampolini, La Giustizia, in occasione dellundicesimo congresso del Psi (quello che si svolse
114

VERSO LA GUERRA

a Milano dal 21 al 25 ottobre del 1910) aveva letto una accalorata relazione
contro una pratica che mieteva vittime anche tra le file socialiste, argomentando come e perch quella consuetudine fosse in contrasto con lessenza
del socialismo: Ora il duello veramente questione di principio. Esso repugna a noi, in quanto siamo anticlericali ed areligiosi, per la sua fisionomia di giudizio di Dio... Contrasta poi fieramente ai nostri principi
egualitari. Fu un privilegio della casta guerriera e della aristocrazia, indi
pass nei ceti borghesi quasi per una affermazione di conquista democratica12. In ogni caso, Treves il pomeriggio del 29 marzo del 1915 incroci
la sciabola con Mussolini alla Bicocca di Niguarda. Nel frattempo, per,
perorava sulla Critica Sociale la causa della neutralit con queste parole:
La neutralit socialista non passivit, indifferenza, apatia. e deve essere unaltra, attiva, agile missione di neutri mediatori che si impegnano
per la pace, ma non per ricostituzione assurda dello status quo ante, per
la pace con tutto il ricomponimento europeo reclamato dallo spirito di giustizia del socialismo; rinnovamento sulla base dei pi certi postulati dei
diritti delle genti, come lapplicazione normale del principio plebiscitario,
la libert degli aggruppamenti, lintesa pi stretta delle nazioni reintegrate,
per la limitazione reciproca degli armamenti, ladozione obbligatoria degli
arbitrati13. E concludeva Treves che si firmava Il Vice: Lintervento guerresco senza sufficiente dignit di motivi, con sacrificio immane di uomini
e di cose, con equivoco vantaggio dei fini nazionali, con certissima immolazione dei diritti della classe proletaria, mettendoci ultimi tra i belligeranti, facendoci perdere ogni prestigio tra i neutrali, sarebbe ai nostri
occhi, di italiani, di socialisti, lestrema iattura. Treves fu facile profeta
perch la contrattazione un po da suk che il governo italiano intavol, giocando su pi tavoli, tirando sul prezzo come si fa al gran bazar di Istanbul,
in effetti fin per farci perdere autorevolezza, non tanto con i neutrali14,
quanto con i nuovi alleati di Gran Bretagna e Francia che cominciarono a
guardarci con sospetto, circospezione e supponenza. Forse ricordando quel
che allora era avvenuto, anni dopo Winston Churchill ci gratific con un
aforisma decisamente poco simpatico: Gli italiani perdono le partite di
calcio come fossero guerre e le guerre come fossero partite di calcio.
Ma se Treves guardava alla concretezza dei diritti da conquistare e
delle relazioni internazionali da organizzare su basi nuove, Antonio Gram115

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

sci della neutralit aveva una idea diversa, pi dinamica, pi rivoluzionaria.


Finendo anche per incappare in qualche errore di prospettiva. Scriveva su
Il Grido del Popolo il 31 ottobre del 1914: I rivoluzionari che concepiscono la storia come creazione del proprio spirito, fatta di una serie ininterrotta di strappi sulle altre forze attive e passive della societ e preparano
il massimo di condizioni favorevoli per lo strappo definitivo (la rivoluzione)
non devono accontentarsi della formula provvisoria neutralit assoluta,
ma devono trasformarla nellaltra neutralit attiva e operante. Il che
vuol dire ridare alla vita della nazione il suo genuino e schietto carattere
di lotta di classe, in quanto classe lavoratrice, obbligando la classe detentrice del potere ad assumere le sue responsabilit, obbligandola a portare
fino allassoluto le premesse da cui trae la sua ragione di esistere, a subire
lesame della preparazione con cui ha cercato di arrivare al fine che diceva
di esserle proprio, la obbliga (nel caso nostro, in Italia) a riconoscere che
essa ha completamente fatto il suo scopo, poich ha condotto la nazione,
di cui si proclamava unica rappresentante, in un vicolo cieco, da cui essa
nazione non potr uscire se non abbandonando al proprio destino tutti quegli istituti che del presente suo tristissimo stato sono direttamente responsabili15. Concludeva Gramsci pensando di dover aggiungere qualit nuove
al concetto di neutralit: In tutti i casi la comoda posizione della neutralit
assoluta non ci faccia dimenticare la gravit del momento, e non faccia
che noi ci abbandoniamo neppure per un istante ad una troppo ingenua
contemplazione e rinunzia buddistica dei nostri diritti16.

4.2 In piazza per fermare il conflitto

In realt, larticolo apparso su Il Grido del Popolo si inseriva in


una polemica che ruotava intorno allormai avviato voltafaccia di Mussolini passato dalla neutralit assoluta a quella condizionata, pronto
ormai allultimo balzo, linterventismo. Era una risposta a un intervento di
Angelo Tasca nel quale il mutato atteggiamento del futuro duce era stato
nettamente criticato. Gramsci, un po ingenuamente, attribuiva a Mussolini
intenzioni che Mussolini non aveva tanto vero che a un certo punto affermava: N la posizione mussoliniana esclude (che anzi lo presuppone) che
il proletariato rinunzi al suo atteggiamento antagonistico, e possa, dopo
un fallimento o una dimostrata impotenza della classe dirigente, sbaraz116

VERSO LA GUERRA

zarsi di questa e impadronirsi delle cose pubbliche, se, almeno, io ho interpretato bene le sue un po disorganiche dichiarazioni, e le ho sviluppate
secondo quella stessa linea che egli avrebbe fatto17. In realt, Mussolini
pensava ad altro: sicuramente a sbarazzarsi della classe dirigente per sostituirsi ad essa e impadronirsi delle cose pubbliche ma non nel senso e
nella coloritura che ancora Gramsci tendeva ad attribuirgli. Ma poi provvide
lo stesso ex direttore dellAvanti! a sciogliere i dubbi residui.
Il precipitare della situazione cambi gli elementi del dibattito. Da
un lato il proletariato che sapeva bene che sarebbe diventato carne da cannone, dallaltro gli imprenditori che gi cominciavano a vedere nella
guerra un ottimo affare. Buozzi, che era uomo concreto, cap come le cose
sarebbero evolute: da un lato pressioni sempre pi forti, dallaltro condizioni di lavoro sempre pi difficili e spazi di libert sempre meno ampi. La
Fiat, ad esempio, spinse (insieme alle altre aziende metallurgiche, anzi pi
di altre) per un piccolo aggiornamento del concordato del 1913, quello
che aveva ricucito il rapporto tra la Fiom e i lavoratori, in pratica il capo-

La Grande Guerra: la vita di trincea cre una nuova societ

117

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

lavoro di Buozzi. Laccordo, infatti, prevedeva una riduzione dellorario


di lavoro scaglionata in un triennio (lultima scadenza proprio nel 1915)
ma a quel punto agli imprenditori interessava produrre di pi. E cos la
Fiom accett un allentamento sugli straordinari (cinque ore in pi a settimana) pagati, ovviamente, con una notevole maggiorazione (75 per cento).
Ma Buozzi era preoccupato soprattutto delle condizioni sociali che la guerra
avrebbe potuto solo aggravare. Prima che lItalia scendesse sul terreno di
battaglia, pubblicava su Il Metallurgico un articolo per molti aspetti profetico, soprattutto alla luce di quel che sarebbe accaduto due anni dopo,
proprio a Torino.
Scriveva il segretario della Fiom: Per quanto riguarda la disoccupazione e il caro-vivere, il Governo salandrino stato ad essere benevoli di una inettitudine tale che non sar mai abbastanza deplorata... La
Confederazione Generale del lavoro e il Partito Socialista prima, uomini
politici e studiosi poi, chiesero a gran voce provvedimenti radicali ed energici, atti ad impedire la speculazione sui generi di prima necessit e a procurare lavoro ai molti disoccupati che ci sono perennemente in Italia ed
alle centinaia di migliaia di lavoratori ricacciati in patria dallorrenda
guerra. Mentre in Francia, in Inghilterra, in Germania, Svizzera, Svezia,
Danimarca, ecc. si monopolizzato il servizio del grano (la rivolta del
1917 sarebbe scattata proprio per la mancanza di pane e gli scarsi approvvigionamenti di farina, oltre che per lodio nei confronti di una guerra che
era andata dal punto di vista della durata ben oltre le previsioni, n.d.a.),
sono stati intensificati realmente i lavori pubblici e pressoch abolite le relative pratiche burocratiche, si sono emanate disposizioni per ridurre gli
orari di lavoro per non licenziare operai (un tema, questo degli orari ricorrente nelle soluzioni proposte in tempi diversi per fronteggiare la crescita della disoccupazione, n.d.a.), si sono presi provvedimenti contro
lusura e contro la riduzione dei salari, sono cessate le commissioni alle
case di pena per darle allindustria privata, si impedita lesportazione
dei cereali e regolata e favorita limportazione del carbone; mentre in tutte
le nazioni, a mezzo delle amministrazioni pubbliche, lo Stato provvede in
tutto o in parte a sussidiare i disoccupati fino ad una somma di L. 15 settimanali, servendosi anche delle organizzazioni, a pagare gli affitti delle
famiglie povere per una somma che arriva a 20 lire settimanali, ed a man118

VERSO LA GUERRA

tenere i bambini che vanno alle scuole elementari: in Italia non si fatto
nulla. stata anzi sospesa lapplicazione di alcune leggi sociali, si reso
pi caotico il gi difficile commercio con lestero facendo diventar matti
gli industriali che producono merci non necessarie al paese e favorendo
gli esportatori dei generi di prima necessit18.
Buozzi aveva capito che il fronte interno si sarebbe dovuto misurare con i problemi drammatici della fame ma anche con i risentimenti
di una classe lavoratrice che si sentiva, e certo non a torto, usata, sfruttata
e spedita in guerra, come persino Giolitti sapeva bene, con un equipaggiamento e una organizzazione inadeguata. Capiva, da sindacalista, che bisognava lavorare per fare in modo che non tutti i diritti conquistati venissero
perduti allinterno di una societ militarizzata, sottoposta al controllo della
censura e che delegava alle forze dellordine il mantenimento di una pace
sociale attraverso la repressione. Da quel momento, le ribellioni improvvise e cruente scandirono la quotidianit di chi non andava in trincea. E da
questo punto di vista, Torino, la citt in cui Buozzi operava prevalentemente, era pi sensibile di altre allo spontaneismo ribellistico. Le avvisaglie, il segretario della Fiom le avvert subito. Prima della dichiarazione di
guerra e del dibattito parlamentare, trecento deputati e cento senatori manifestarono la loro adesione alla posizione neutralista di Giolitti passando
dal suo albergo e consegnando il proprio biglietto da visita (i numeri, poi,
cambiarono perch il leader piemontese, irritato e offeso dal comportamento del re, consapevole che non sarebbe riuscito a cambiare il corso degli
eventi, prefer ritirarsi nella sua tenuta, disertando anche il dibattito parlamentare). Era il 12 maggio. Gli operai uscirono dalle fabbriche e autonomamente organizzarono cortei nella citt. La polizia caric con ferocia e
Bruno Buozzi venne ferito negli scontri. Solo un antipasto di quello che
sarebbe avvenuto sullasse Torino-Milano qualche giorno dopo. Il 15 nel
capoluogo lombardo, la polizia caric uccidendo un manifestante. Contemporaneamente a Torino si fronteggiavano due manifestazioni, una di interventisti (erano normalmente protette e favorite perch si potevano svolgere
al mattino) e una di neutralisti. Gli operai erano irritati per quei continui
happening a favore della guerra. Questa irritazione lievitava domenica 16
ed esplodeva luned 17 quando i negozi non alzarono le serrande, i tram
non uscirono dai depositi e le officine restarono deserte. Centomila persone
119

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

parteciparono a una imponente manifestazione a cui intervenne, per la Fiom,


Mario Guarneri. Un giovane venne ammazzato nel corso di una carica e a
quel punto un gruppo di manifestanti saccheggi unarmeria. Alla Casa del
Popolo i dirigenti sindacali e politici si ritrovarono per mettere a punto un
documento per sospendere uno sciopero che rischiava di trasformarsi in una
carneficina ma mentre erano riuniti irruppe, da una porta secondaria, la polizia e arrest le persone in quel momento presenti. Lappello a sospendere
lo sciopero il 18 cadde nel vuoto, il 19, invece, venne raccolto dai lavoratori.
Rimasero, per, i risentimenti; sarebbero esplosi ancora pi fragorosamente
due anni pi tardi. Per lItalia stavano cominciando tre anni di lutti, miserie
e sacrifici. Buozzi cerc di affrontarli con pragmatismo. Perch alle due negazioni politiche, n aderire, n sabotare, bisognava far seguire una affermazione, in quei tempi cos drammatici: sopravvivere.

Il tradimento dei reduci in una vignetta depoca di Scalarini

120

VERSO LA GUERRA
1

Angelo Bolaffi: Cuore tedesco. Il modello Germania, lItalia e la crisi europea Donzelli
2013, pag. 63
2
Antonio Gramsci: La questione meridionale, citazione da Paolo Spriano: Storia di
Torino operaia e socialista. Da De Amicis a Gramsci Einaudi 1972, pag. 200
3
Pietro Nenni: La lotta di classe in Italia Sugarco 1987, pagg. 125-6
4
Il Vice: La teppa e la rivoluzione socialista in Giuliano Pischel: Antologia della Critica Sociale 1891-1926" Lacaita 1992, pag. 362
5

Ivi
Ivi
7
Bruno Buozzi: Il significato e la tattica dello sciopero in Italia, il Metallurgico 30 luglio
1914 in Bruno Buozzi scritti e discorsi, Editrice Sindacale Italiana 1975, pag. 70
8
Ibidem pag 71
9
Ibidem pag 73
10
Bruno Buozzi: Per la neutralit italiana, Il Metallurgico 19 settembre 1914, in Bruno
Buozzi scritti e discorsi Editrice Sindacale Italiana 1975, pag. 77
11
Ivi
12
Giovanni Zibordi: I socialisti e il duello, relazione allundicesimo congresso del Partito Socialista Italiano, Milano 21-25 ottobre 1910
13
Il Vice: Pro e contro lintervento in Giuliano Pischel: Antologia della Critica Sociale
1891-1926", Lacaita 1992, pag. 364
14
Ibidem pag. 364
15
Antonio Gramsci: Neutralit attiva e operante, da Nel mondo grande e terribile.
Antologia degli scritti 1913-1935" a cura di Giuseppe Vacca, Einaudi 2007, pagg. 4-6
16
Ibidem pag. 7
17
Ivi
18
Bruno Buozzi: Mentre cresce la fame, Il Metallurgico gennaio - febbraio 1915; in
Bruno Buozzi scritti e discorsi, Editrice Sindacale Italiana, pagg. 79-81-2
6

121

Le organizzazioni italiane aderenti alla


Confederazione del Lavoro vanno
effettivamente tutte sempre pi a sinistra

Tra rivolte e pace

Foto di gruppo per dirigenti sindacali: Bruno Buozzi il primo da destra seduto
Una immagine di serenit ma la parte finale della Grande Guerra fu contrassegnata
dalla disfatta di Caporetto e dalle sommosse per il pane

Eravamo stati incapaci di impedire la guerra e sarebbe stato puerile, ridicolo pensare di impedirne le conseguenze. E quando sentimmo la
mobilitazione alle spalle, ci demmo dattorno perch essa riuscisse il meno
peggiore possibile e perch la nostra Federazione venisse considerata come
si meritava1. Il Psi aveva perso la sua battaglia, i socialisti europei si erano
divisi facendosi trasportare dove il cuore (nazionale) li chiamava, probabilmente perdendo lunica, forse timida possibilit di bloccare la Grande
Carneficina. Bruno Buozzi in quella frase scritta anni dopo la fine della
prima guerra mondiale, esprimeva un senso di disagio: da un lato una avventura bellica che la sinistra non voleva e che lItalia sino allultimo non
aveva accettato (lunico Paese europeo volontariamente entrato in guerra
nonostante una opinione pubblica e una classe politica ampiamente contraria: una situazione che peser, ad esempio, su Giacinto Menotti Serrati
nel momento in cui rifiuter il diktat di Lenin di espellere i riformisti, anche
loro lealmente schierati contro il conflitto, come condizione per aprire al
partito le porte dellInternazionale); dallaltro una tempesta che, comunque,
infuriava. Che fare? Rimanere alla finestra accettando il peggio? Il n aderire comportava anche il rifiuto di qualsiasi scelta che consentisse di limitare i danni? Sarebbe stato intelligente o, come scrisse Buozzi, solo puerile
e ridicolo? Problemi che in Italia si ponevano in maniera pi drammatica
che in altri Paesi.
E il motivo era semplicissimo: la nostra dichiarazione di guerra era
figlia di un impasto di patriottismo, pressappochismo e cialtroneria. Antonio
Salandra era convinto che il conflitto sarebbe durato non pi di tre mesi
(errore di valutazione che commetter in qualche misura anche Mussolini
un quarto di secolo dopo): in pochissimo tempo, insomma, avremmo messo
allincasso la cambiale concordata a Londra con Gran Bretagna e Francia.
125

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Ne era cos convinto che agli alleati chiese aiuto finanziario solo per un
paio di mesi e si guard bene dal sollecitare rifornimenti di combustibili e
materie prime, un errore che, come vedremo, sulle condizioni del Paese
produrr effetti dirompenti sotto forma di sanguinose sommosse. Al comando delle operazioni fu sistemato Luigi Cadorna, uno di quei generali
poco stimati da Giovanni Giolitti, discreto organizzatore, pessimo stratega.
Il governo non gli diede certo una mano visto che lesercito fu messo al
corrente del cambio di alleanze (che comportavano, conseguentemente,
anche laggiornamento dei piani di guerra) soltanto venti giorni prima dellinizio delle ostilit; per un anno, i nostri nemici furono solo gli austriaci,
poi, ad agosto del 1916, dato che i nostri alleati si stavano dividendo le spoglie della Turchia, dichiarammo guerra anche alla Germania. Il vero conto
di tutto questo pressappochismo lo pag il Paese, lo pagarono le persone
in carne e ossa. In tre anni di guerra cinque milioni di italiani vennero richiamati alle armi, seicentomila non fecero ritorno a casa; dopo la Caporetto bellica, subimmo una Caporetto finanziaria: le importazioni attestate
a tre miliardi di lire sino al 1914 salirono a 18 coperte per meno di un terzo
dalle esportazioni; complessivamente allo Stato la guerra cost 148 miliardi, il doppio della spesa pubblica sostenuta dal 1861 al 1913.
Certo, ci si poteva anche sistemare alla finestra e attendere. Si poteva dare sostegno alla soluzione prospettata dal Papa, Benedetto XV che
dopo aver parlato di inutile strage, aveva proposto la pace bianca senza
annessioni, allargamento di confini, mutamento della geografia del continente. Ma dopo i tre mesi previsti da Salandra (che poi confid, da vero gigante della politica, che se loffensiva austro-tedesca contro i russi fosse
cominciata qualche giorno prima, avrebbe evitato di cambiare cavallo in
corsa e sarebbe rimasto neutrale) la guerra continuava e prometteva di continuare molto a lungo. Tra rovesci (Caporetto, settecentomila uomini costretti ad arretrare di centocinquanta chilometri e ad attestarsi faticosamente
sul Monte Grappa e sul Piave, la defenestrazione di Cadorna, il suicidio di
Leopoldo Franchetti al quale Giustino Fortunato avrebbe poi dedicato commosse parole: Il fatal giorno in cui labisso ci si apr dinnanzi... quel
cuore, che tutto e sempre aveva vissuto di fede, non poteva pi battere e si
spezz) e una opinione pubblica demoralizzata, debole, impoverita e piegata. Buozzi con la forza della ragione e della concretezza non accettava
126

T R A R I V O LT E E PA C E

lidea dellineluttabile, non poteva aderire ai principi filosofici di un popolare detto siciliano: calati juncu ca passa la china (piegati giunco che passa
la piena). Perch la piena avrebbe travolto tutti, gli uomini al Fronte e quelli
nelle officine. Si poteva coniugare la coerenza della posizione politica con
il pragmatismo di una azione quotidiana volta a difendere gli interessi dei
lavoratori e delle categorie pi deboli? Si poteva e Buozzi lo spieg nella
relazione morale che lesse al Convegno nazionale straordinario del 25 giugno 1916 che si svolse a Torino. La guerra infuriava gi da un anno ed era
gi alta la polemica contro i pescicani, gli imprenditori che in barba a
tutto e a tutti, si stavano arricchendo con la guerra. Il segretario rivendic
la sua coerenza e critic laltrui incoerenza. Spieg che la Fiom aveva partecipato col suo giornale e con i suoi uomini alla campagna perch lItalia
non partecipasse alla conflagrazione europea. Indipendentemente dai nostri
princpi, i quali non potevano e non possono permetterci, neanche ora, di
confonderci colla classe dominante2. Aggiunse, ci non vuol dire che il
proletariato debba disinteressarsi della guerra. Chi sostiene che la neutralit del partito socialista e delle organizzazioni operaie porta a questo
stolto o in malafede... Abbiamo... aspramente criticato i socialisti e le organizzazioni operaie degli imperi centrali per non aver tentato di impedire la
guerra, o quanto meno bollato come meritavano i loro governanti, perch,
da chi aveva sempre predicato la pi rigida intransigenza e deriso il cosiddetto riformismo degli altri paesi e da chi era depositario ed aveva la responsabilit della quasi totalit dei segretariati internazionali, noi avevamo
il diritto di pretendere di pi3.
Cera poi unaltra questione che gi dopo un anno di guerra Buozzi
analizz con chiarezza: il conto del conflitto, chi lo avrebbe pagato? I numeri li abbiamo visti: in tre anni una spesa pubblica doppia rispetto a quella
complessivamente sostenuta in cinquantadue. Contro gli speculatori, il segretario della Fiom puntava il dito: Gli industriali, che pure dalla guerra
hanno tratto benefici incalcolabili (i bilanci pubblicati in questi ultimi mesi
hanno segnato utili sbalorditivi) non hanno concesse migliorie che per imposizione delle nostre organizzazioni o dei comitati di mobilitazione. Per
contro gli operai metallurgici, che in questo momento passano per dei privilegiati, hanno forse peggiorato le loro condizioni. La non sospetta Lega
Industriale di Torino, nella sua relazione annuale test pubblicata, avverte
127

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

che i guadagni degli operai delle industrie torinesi sono aumentati di circa
il 32 per cento, percentuale gi di per se stessa inferiore a quella dellaumento del costo della vita. E se si tiene conto che tale maggior guadagno
stato raggiunto aumentando considerevolmente gli orari di lavoro, si vede
che i salari degli operai, in relazione al costo della vita sono diminuiti4.
Da un punto di vista salariale, la guerra aveva garantito qualche beneficio agli operai pagati, per, a carissimo prezzo, con un allungamento
degli orari di lavoro, con un aumento vertiginoso degli straordinari, con
una perdita di diritti e di libert in fabbriche sempre pi militarizzate. Ne
parleremo pi avanti. Ma la situazione, allinterno dei luoghi di lavoro, era
diventata insopportabile perch a fronte di un proletariato chiamato a fare
grandi sacrifici (solo parzialmente corrisposti in termini monetari), cera
una classe imprenditoriale che accumulava utili. Non solo: cera un futuro
che non prometteva nulla di buono perch il costo della vita non sarebbe
ritornato ai livelli precedenti la guerra (comunque fossero andate le cose)
e la disoccupazione, con gli uomini che sarebbero tornati dal fronte, sarebbe
aumentata creando problemi gravissimi da un punto di vista sociale in un
Paese che mancava su questo versante di adeguate strumentazioni protettive. Insomma, sarebbe stato assolutamente necessario sostenere, a conflitto
concluso, i pi deboli, sarebbe stato necessario evitare che gli ultimi venissero abbandonati al loro triste destino.
E, allora, Buozzi proponeva una imposta che oggi non faticheremmo a chiamare patrimoniale. Spiegava: In Italia, per non dire altro,
non esiste una legislazione sociale degna di tal nome. Come potr lo Stato
provvedervi? evidente che se dovr pagare tutti gli interessi dei debiti di
guerra, le risorse della nazione saranno pressoch assorbite. Perch ci
non avvenga la Confederazione Generale del Lavoro reputa opportuna la
falcidia dei patrimoni privati per il pagamento dei debiti di guerra, ed
anche noi non vediamo altra via duscita5. Insomma, che la guerra borghese se la paghino i borghesi. La scelta di Buozzi, quel non aderire declinato in una versione pi pragmatica, se garantiva benefici allinterno
della fabbrica, non era totalmente apprezzata nel partito dove doveva fare
i conti con lala pi intransigente. Daltro canto, Buozzi aveva assunto un
ruolo non secondario nel Psi torinese dopo lirruzione poliziesca del 17
maggio del 1915 nella Casa del Popolo e larresto dei dirigenti. Per reggere
128

T R A R I V O LT E E PA C E

le sorti del partito era stata nominata una nuova commissione esecutiva di
cui faceva parte anche il segretario della Fiom.
Le diversit di opinione lo portarono a scontrarsi spesso con dirigenti irremovibili come Francesco Barberis o Elvira Zocca. Alla base del
dissidio il rapporto con la guerra che il Psi non era riuscito a evitare ma
che, una volta cominciata, incideva sulla vita delle persone e, pertanto, non
si poteva fare finta che non esistesse. Buozzi, al contrario degli irremovibili,
voleva stare dentro le istituzioni che nacquero proprio per sostenere lo
sforzo bellico: la Commissione di Mobilitazione e i vari Comitati (ad esempio quello di assistenza alle vittime della guerra). Non si nascondeva dietro
un dito. E quasi concludendo quella relazione morale diceva senza particolari giri di parole: Riteniamo che gli operai abbiano il diritto di essere
rappresentati anche nel Comitato Centrale di Mobilitazione.
Ma la sua era sempre la partecipazione di un sindacalista, cio animata dallo spirito del controllore. Lobiettivo non era quello di partecipare a ingiusti utili, di speculare, ma di garantire allinterno della fabbrica
condizioni di vivibilit in una fase in cui tutto sembrava andare in fumo e
non esistevano pi certezze. Insomma, una partecipazione che si trasformava in un sostegno, in una stampella per chi trascorreva sempre pi ore
in fabbrica e si ritrovava a dover fare i conti con una disciplina che con la
cultura industriale non aveva nulla a che spartire. Che doveva anche fare i
conti con la voracit e la spregiudicatezza di imprenditori che usavano le
logiche di una condizione di guerra per imporre le proprie scelte. Insomma,
quella disciplina marziale che in tempo di pace non era realizzabile, diventava un obiettivo troppo ghiotto in tempo di guerra e bisognava coglierlo
al volo. Ed era contro queste spinte strumentali che Buozzi e la Fiom provavano a costruire degli argini, facendo sopravvivere dentro la fabbrica logiche sindacali che ancora ricordavano quelle di unepoca pregressa,
quando il fuoco del conflitto non aveva messo in attesa taluni princpi di
civilt.
Significativo era latto daccusa contenuto nella relazione morale
del 1916: Dobbiamo premettere subito che la Mobilitazione Industriale
si risolta nella sola mobilitazione degli operai. Gli operai sono stati messi
nella assoluta impossibilit di speculare sulla guerra, tantoch, malgrado
lenorme richiesta di manodopera, non sono riusciti ad aumentare le loro
129

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

paghe... che in modo insignificante. Gli operai non si sono lamentati e non
si lamentano di ci, e si pu essere certi che avrebbero avuto ripugnanza
a speculare sulla guerra, anche se fossero lasciati liberi, ma devono constatare ancora una volta che alla classe industriale la quale ha assai
meno scrupoli di quella operaia non stato fatto lo stesso trattamento.
Non lasciamo colpa di ci agli uomini. Comprendiamo perfettamente che
se pu riuscire facile regolarizzare la manodopera pressoch impossibile
moralizzare la classe industriale, la quale, certo, che se non avesse avuta
la libert di guadagnare, come ha guadagnato, in modo favoloso sulla
guerra, non avrebbe avuto scrupoli a rinunciare a produrre per lo Stato,
cos come corre voce stiano tentando alcuni gruppi industriali6.

5.1 Le officine diventano caserme

Una riaffermazione orgogliosa della moralit operaia, una moralit


che Buozzi sentiva non semplicemente come sindacalista ma come un
uomo che in quella classe era nato. Ma il segretario della Fiom non si limitava a puntare il dito contro gli imprenditori interessati solo a soddisfare le
personalissime esigenze, totalmente privi di quella cultura del bene comune
e dellinteresse collettivo che sono alla base di una nazione, andava oltre e
metteva sotto accusa la maniera in cui la Mobilitazione Industriale veniva
realizzata attraverso regolamenti che pi che al servizio dello sforzo bellico
sembravano al servizio degli industriali. Diceva: Il regolamento sulla Mobilitazione industriale, almeno per la parte che riguarda i rapporti fra gli
operai presi collettivamente e gli industriali un documento abbastanza
felice. Purtroppo, per, dobbiamo rilevare nella sua applicazione, specialmente per quanto riguarda gli operai presi singolarmente, i buoni concetti
esposti... sono tenuti in assai scarsa considerazione. In molte officine si
provata limpressione che la mobilitazione sia stata fatta a danno degli
operai. Molte officine sono diventate vere caserme, dove i militari preposti
alla disciplina (ufficiali, sottufficiali, caporali) sono sempre alle costole
degli operai, come se questi non fossero abbastanza sorvegliati dai numerosi direttori, capi-reparto e capi-squadra... Lofficina non pu essere paragonabile alla caserma. I rapporti che passano fra ufficiale e soldato sono
assai diversi da quelli che passano fra industriale e operaio. La massima
obbedire e poi reclamare pu essere buona dove chi comanda non lucra
130

T R A R I V O LT E E PA C E

sui suoi dipendenti ma non nellofficina, dove loperaio pu trovarsi quotidianamente in conflitto coi superiori per ragioni di paga, di cottimo o di
regolamento7.
E a sostegno della strumentalit con la quale i datori di lavoro utilizzavano questa presenza dellesercito, Buozzi indicava, come era suo costume, casi concreti: In molti stabilimenti gli industriali sorprendono la
buona fede degli ufficiali, ai quali fanno applicare multe esagerate ed altre
punizioni per mancanze per le quali basterebbe richiamarsi al Regolamento
interno o per fatti per il passato mai puniti, perch conseguenza di risentimenti legittimi dovuti a questioni dinteresse. E in molti posti, mentre gli
operai si preparavano a chiedere miglioramenti, gli ufficiali non si sono
limitati ad assumere informazioni, ma hanno fatto delle vere e proprie pressioni che avevano tutta lapparenza di essere consigliate dagli industriali8.
Insomma, limprenditore usava lesercito come il suo braccio armato (nel
vero senso della parola e non metaforico) per annullare totalmente diritti
che anche in tempo di guerra potevano tranquillamente sopravvivere. Una
libert che riducendosi al lumicino finiva per provocare situazioni vessatorie: Un fatto che ha richiamato lattenzione dellopinione pubblica e
dolorosamente sorpreso la classe lavoratrice stato quello di vedere paragonato dai Tribunali Militari, labbandono dello stabilimento, da parte
di un operaio, allabbandono di un posto di una sentinella. In proposito
sono state date pene di parecchi anni di carcere9.
Le scelte di Buozzi furono aspramente criticate dagli intransigenti.
Eppure, dei benefici ai lavoratori le portarono. Difficile, peraltro, immaginare che se gli operai avessero deciso di rinunciare totalmente ai propri poteri contrattuali, le fabbriche si sarebbero fermate. Sarebbero, al contrario,
andate avanti e in una societ fortemente militarizzata, con una ferrea censura di guerra alla fine solo gli imprenditori avrebbero guadagnato. Un dato
emerso chiaramente: la guerra diede lo slancio definitivo allattivit industriale. Ne benefici in particolare Torino che era il centro produttivo pi
importante del paese e il luogo in cui si sviluppava un settore d avanguardia: quello automobilistico. La citt, nonostante la guerra, si popol, diventando meta anche di massicci flussi migratori: nel 1914 gli abitanti erano
poco pi di 456 mila, alla fine della guerra erano diventati oltre 525 mila;
gli operai nel 1918 erano oltre 143 mila con una fortissima presenza di
131

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

donne che nei capannoni industriali avevano sostituito gli uomini spediti
al fronte (quasi cinquantacinquemila). Sarebbe stato giusto in questo contesto fermare la contrattazione? Buozzi e gli uomini della Fiom ritennero
opportuno continuare a difendere operaie e operai tanto vero che il 14
gennaio del 1916 firmarono un nuovo accordo nel settore automobilistico
che non cancellava quello del 1913 ma lo modificava in alcuni aspetti che
riguardavano la durata del lavoro. Ha spiegato Paolo Spriano: Salvano il
principio del sabato inglese (lorario di lavoro normale sar di 55 ore effettive, ripartite in 10 ore da luned a venerd e 5 al sabato, articolo 4) e
tutelano loperaio sulla questione dello straordinario (Le ore di straordinario non possono superare le 10 settimanali, vengono pagate con il 50
per cento daumento il sabato, per le prime due giornaliere, con il 75 per
cento oltre le due)10. Ma oltre allattivit contrattuale, Buozzi cercava di
svolgere anche una azione di tutela tanto vero che un paio di mesi dopo
laccordo sugli automobilisti, precisamente il 30 marzo, il segretario partecipava a una assemblea della Fiom in cui veniva approvato un ordine del
giorno in cui si affermava che gli operai della Fiat protestano contro le
continue vessazioni assolutamente ingiustificate, contro lesagerata applicazione delle multe, contro le frequenti discriminazioni dei cottimi, fatte
anche unicamente per rappresaglia; deliberano di insistere perch sia tolto
lobbligo del lavoro festivo, ritenendo sufficienti le ore straordinarie, che
si fanno fare in grande numero e delegano una commissione perch si rechi
dal Comitato regionale di mobilitazione a reclamare il ritiro delle multe
applicate agli assenti dal lavoro della scorsa domenica11.
Tematiche, insomma che Buozzi svilupper proprio nella relazione
morale del giugno 1916. Nonostante gli scontri con lala intransigente del
partito, il leader della Fiom prosegu sulla sua strada, con indubbia coerenza: da un lato la scelta politica, dallaltro le necessit sindacali ed economiche, insomma, le idee ma anche il pane. E sar la scelta politica che
lo porter ad aderire alla conferenza dei partiti socialisti che si svolse a
Zimmerwald, in Svizzera, dal 5 all 8 settembre del 1915. In quella sede
venne rilanciato limpegno pacifista con lapprovazione di un documento
dal tono e dal contenuto inequivocabile: La guerra continua da pi di un
anno. Milioni di cadaveri coprono i campi di battaglia; milioni di uomini
sono rimasti mutilati per tutto il resto della loro esistenza. LEuropa di132

T R A R I V O LT E E PA C E

ventata un gigantesco macello di uomini. Tutta la civilt, che era il prodotto


del lavoro di parecchie generazioni, distrutta. La barbarie pi selvaggia
trionfa oggi su tutto quanto costituiva lorgoglio dellumanit. Qualunque
sia la verit sulle responsabilit immediate della guerra, questa il prodotto dellimperialismo, ossia il risultato degli sforzi delle classi capitalistiche di ciascuna nazione per soddisfare le loro avidit di guadagni, con
laccaparramento del lavoro umano e delle ricchezze naturali del mondo
intero. In tal modo, nazioni economicamente arretrate o politicamente deboli cadono sotto il giogo delle grandi potenze... I capitalisti che dal sangue versato dal proletariato traggono i pi grossi profitti, affermano, in
ogni paese, che la guerra serve alla difesa della patria, della democrazia,
alla liberazione dei popoli oppressi. Essi mentono. La conferenza ebbe

Operai-bambini in una fabbrica di mobili: Cant 1910

133

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

una coda, lanno dopo (dal 24 al 30 aprile) sempre in Svizzera, a Kienthal


(pi o meno analogo il documento finale: N vincitori, n vinti! O piuttosto
tutti vinti, cio tutti dissanguati, tutti rovinati, tutti esausti tale il bilancio
di questa pazzia guerriera).
Non fu facile per Buozzi muoversi con il solito pragmatismo in una
situazione che si complicava con il passare dei giorni. La guerra si prolungava; lesercito italiano confermava le preoccupazioni di Giolitti a proposito della sua capacit (o incapacit) di far fronte a una guerra cos dura; a
Torino il segretario della Fiom era messo sotto accusa dagli intransigenti
(ad esempio, da Maria Giudice, direttore de Il Grido del Popolo che in
una riunione alla Camera del lavoro aveva urlato in faccia al leader dei metallurgici: Se vogliamo tornare il partito rispettato e temuto di un tempo,
dobbiamo ritornare pi che mai il partito dei matti, dei perseguitati dalla
polizia, con le porte del carcere sempre aperte12). E poi lalto costo della
vita, la difficolt dei salari a rimanere in equilibrio con la crescita dei prezzi,
anche in una citt come Torino dove le paghe erano cresciute seppur in misura largamente insoddisfacente (laumento dei prezzi in quattro anni, dal
1914 al 1917, era stato quasi del 60 per cento). Dal fronte, nel frattempo
arrivavano pessime notizie e il 1 maggio del 1917 divenne un momento
di mobilitazione generale con tutti i leader socialisti e sindacali impegnati
nei comizi torinesi, compresi Buozzi a Serrati. La prefettura avvertiva il
fermento e chiese a Roma di dichiarare Torino zona di guerra con tutto quel
che ne derivava a livello di compressione dei diritti collettivi. Il governo
non ader a una richiesta che, in compenso, esacerb gli animi. Che vennero, poi, ulteriormente galvanizzati dallarrivo in Italia della delegazione
del soviet russo (Goldemberg, Smirnov, Ronskanov ed Erlich): prima tappa,
il 5 agosto, proprio Torino, con replica il 13 agosto dopo passaggi intermedi
a Roma, Firenze e Bologna. Quando i russi, accompagnati anche da Buozzi
si affacciarono al balcone della Casa del Popolo dalla folla (circa quarantamila persone) si alz il grido viva la rivoluzione russa. E anche un fragoroso Viva Lenin che il potere ancora non lo aveva conquistato (erano
in missione per conto del governo presieduto da Kerenskij che sarebbe stato
poi spodestato dai bolscevichi). Negli stessi giorni (precisamente a partire
dall8 agosto) il pane cominci a scarseggiare, in alcune panetterie scomparve nei giorni successivi per ricomparire a ferragosto grazie alla farina
134

T R A R I V O LT E E PA C E

che venne requisita per ordine del prefetto. Ma a partire dal 21 agosto gli
scaffali furono di nuovo vuoti e il 22 cominci la rivolta con gli operai che
dopo la pausa per il pranzo si rifiutarono, in numerose fabbriche, di tornare
al lavoro; nel tardo pomeriggio non cera pi un officina in attivit.
I dirigenti sindacali provarono a evitare il peggio. Il segretario della
Camera del lavoro, Saverio DAlberto, chiese alla polizia di parlare alla
folla, che aveva ormai invaso le vie della citt, per calmarla: rimedi larresto seduta stante. Un po meglio and a Bruno Buozzi che rivolse al prefetto la medesima richiesta: non lo arrestarono ma non lo fecero parlare. Si
pentirono dopo, per quella scelta. Perch da quel momento in poi fu una
escalation fatta di saccheggi, di barricate e di scontri feroci. Solleciteranno
nuovamente Buozzi a parlare nella tarda serata del 22 ma ormai era troppo
tardi: la rabbia era padrona di Torino. Dur altri tre giorni: il 24 agosto fu
il pi cruento, il 25 i fuochi cominciarono a spegnersi. Con un bilancio
estremamente tragico: 41 morti. La scintilla fu il pane, ma il vero carburante
della protesta fu politico: la stanchezza nei confronti di una guerra che solo
una minoranza del paese aveva voluto. La vicenda torinese ebbe inevitabili
code polemiche tra i socialisti. E cominciarono in quel momento a misurarsi
le distanze che diventeranno incolmabili quattro anni dopo, con la scissione
di Livorno. Le contrapposizioni riguardavano in particolare i riformisti e
quelli che avrebbero dato vita al PCdI.
Claudio Treves, con un articolo, sulla Critica Sociale, sosteneva che
non era certo con un moto locale che si poteva pensare di fermare la guerra.
Insomma, come gi per i fatti di Ancona, Treves non riusciva a individuare
in questa caotica esplosione di rabbia, per quanto dotata di una connotazione politica, lespressione di un momento rivoluzionario capace di fermare il mondo, anzi la guerra. Perch, sottolineava Treves, in un momento
come quello che lEuropa stava attraversando, nessun moto improvviso
avrebbe potuto produrre risultati positivi. Tornava la logica del gradualismo
contro il colpo di mano improvviso, dellazione organizzata contro la rabbia
estemporanea, seppur generosa, dei disorganizzati. Antonio Gramsci, per,
non la pensava nella medesima maniera e manifest il suo dissenso in maniera piuttosto acida: La realt che la sottile analogia dellon. Treves
per essere tanto sottile finisce collessere assenza assoluta di intelligenza13; o ancora: La sottile analogia strategica tra la guerra e la lotta
135

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

di classe lha indotto (Treves, n.d.a.) a dare corpo a quei fantasmi metaforici che sono lesercito proletario coi suoi battaglioni, con le sue fortezze14. Ma al di l delle invettive (e pensare che in quel momento
militavano nello stesso partito, ma evidentemente gi da separati in casa),
la sostanza politica per Gramsci era semplice: Lesistenza, la dimostrazione dellesistenza il problema massimo del proletariato italiano in questo momento. E questo proletariato non lo stesso di tre anni fa. pi
esteso, ha attraversato pi intense esperienze spirituali... Noi ci sentiamo
solidali con questo nuovo immenso pullulare di forze giovani e non ne rinneghiamo quelli che i filistei chiamano errori, e gioiamo del senso della
vita gagliarda che ne promana. E pertanto compatiamo la vecchia mentalit astratta che tutta in ghingheri sciorina le vecchie prediche15 e si pavoneggia sui trampoli delle sottili analogie e delle metafore viete. Il
proletariato non vuole predicatori di esteriorit, freddi alchimisti di parolette, vuole comprensione intelligente e simpatia piena damore16.

5.2 Torino come Pietrogrado?

Daltro canto, la sommossa di Torino agli occhi di Gramsci appariva come un evento rivoluzionario, la citt piemontese gli ricordava Pietrogrado. E lo scrisse pure, tre anni dopo: Quando nel luglio del 1917
arriv a Torino la missione inviata nellEuropa occidentale dal Soviet di
Pietrogrado, i delegati Smirnov e Goldemberg, che si presentarono dinanzi
a una folla di cinquantamila operai, vennero accolti da grida assordanti
di Evviva Lenin! Evviva i bolscevichi. Goldemberg non era troppo soddisfatto di questa accoglienza; egli non riusciva a capire in che maniera il
compagno Lenin si fosse acquistata tanta popolarit fra gli operai torinesi... Non pass un mese che i lavoratori torinesi insorsero con le armi in
pugno contro limperialismo e il militarismo italiano. Linsurrezione scoppi il 23 agosto 1917. Per cinque giorni gli operai combatterono nelle vie
della citt... Ma i due anni di guerra e di reazione avevano indebolito la
gi forte organizzazione del proletariato e gli operai inferiori di armamento
furono vinti. Invano sperarono in un appoggio da parte dei soldati, questi
si lasciarono ingannare dallinsinuazione che la rivolta era stata inscenata
dai tedeschi... Caddero pi di 500 operai, pi di 2000 vennero gravemente
feriti17. Al di l del racconto dai toni epici (e dai numeri non verificabili e
136

T R A R I V O LT E E PA C E

non verificati) la distanza tra riformisti e comunisti era gi ampiamente


chiara, la direzione di marcia, ostinata e contraria pure.
Questa distanza divenne sempre pi incolmabile. Un segnale si ebbe
lanno dopo, nel 1918, in occasione del congresso della Fiom che si tenne
a Roma e si chiuse il 4 novembre, cio il giorno dopo lingresso della flotta
italiana a Trieste con la virtuale conclusione della prima guerra mondiale
(quella formale arriv una settimana dopo, con larmistizio firmato anche
dai tedeschi). Le parti, nella polemica, ebbero una inversione perch mentre
prima il bersaglio era stato Treves (un riformista), a Roma divenne Gramsci.
Qualche mese prima, a luglio, Gramsci aveva scritto un articolo in cui esaltava i massimalisti russi. Diceva: I massimalisti russi sono la stessa rivoluzione russa. Kerenskij, Zeretelli, Cernof sono loggi della rivoluzione,
sono i realizzatori di un primo equilibrio sociale, la risultante di forze in
cui i moderati hanno ancora molta importanza. I massimalisti sono la continuit della rivoluzione, sono il ritmo della rivoluzione: perci sono la rivoluzione stessa. Insomma i primi durano lo spazio di un mattino, gli altri
non solo vedranno sorgere il sol dellavvenire ma lo scruteranno anche dopo
essendone laspetto immanente. E aggiungeva: Essi (i massimalisti russi,
n.d.a.) incarnano lidea-limite del socialismo: vogliono tutto il socialismo.
E hanno questo compito: impedire che si addivenga a un compromesso definitivo tra il passato millenario e lidea, essere il vivente simbolo della
meta ultima cui si deve tendere; impedire che il problema immediato delloggi da risolvere si dilati fino a occupare tutta la coscienza e diventi unica
preoccupazione, diventi frenesia spasmodica che erige cancelli insormontabili a ulteriori possibilit di realizzazione18. Insomma, la purezza della
missione che non si conclude mai contro la mediazione seppur giustificata
dalla possibilit di ottenere nellimmediato qualche beneficio per le classi
lavoratrici. Per Bruno Buozzi una teoria veramente indigesta. E lo spieg
dopo aver citato parola per parola larticolo (un giovane, intelligente scrittore socialista, scriveva alcun tempo fa...19). Affermava: Si potrebbe
obiettare che come Danton per quanto ghigliottinato dai rivoluzionari
(al russo and un po meglio perch dopo aver provato a rovesciare Lenin,
prese la via dellesilio, prima la Francia, poi gli Stati Uniti dove mor,
n.d.a.) - stato uno dei pi altamente benemeriti della rivoluzione francese,
Kerenskij pu esserlo stato per la rivoluzione russa (ormai da un anno
137

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Lenin era al potere, n.d.a.). Comunque, noi non abbiamo abbastanza elementi che ci permettono di giudicare con tranquillit delle cose di Russia
e non sentiamo neppure la necessit di dichiararci massimalisti. Una cosa
per possiamo affermare con tranquilla sicurezza: che il nostro movimento, che il movimento che fa capo alla Confederazione del Lavoro non
ha occupata tutta la coscienza del problema immediato delloggi ma
vuole tutto il socialismo.
Insomma, mentre la guerra infuriava ancora, le anime socialiste si
preparavano a quella divisione che segner in maniera decisiva la storia
della sinistra italiana, condizionandone evoluzione e sviluppo. Questo separazione delle anime emerse con grande chiarezza dopo Caporetto. Perch la grande rotta del 24 ottobre 1917 spinse lala riformista (Turati, Treves
e lo stesso Buozzi) ad assumere una posizione in cui sul n aderire n sabotare prevaleva la preoccupazione di evitare, comunque, linvasione del
paese. Turati, peraltro, era da tempo convinto che una sconfitta non avrebbe
certo fatto gli interessi del proletariato. Ma di fronte a quella fiumana di
soldati in rotta verso il Piave, insieme al suo vecchio sodale, Claudio Treves, prese carta e penna e intervenne sulle colonne della Critica Sociale.
Larticolo aveva il sapore di un vero e proprio appello. I due sottolineavano
che quando questa cosa prevedibile e non mai pensata, avviene, che la
nostra patria invasa dal nemico, allora si sente come ci sensibilmente
differente da tutto quello che si pensato, sentito e sofferto per tutte le altre
patrie offese, invase. Il nostro amore centrifugo, va da noi allumanit,
non dallumanit a noi. Il socialismo dottrina realistica anche nel sentimento, anche nellamore20.
Turati e Treves, presagendo le obiezioni di altri settori del Psi, sottolineavano che questa sortita non corrispondeva a una smentita della posizione assunta dal partito prima della guerra e una volta che la guerra era
cominciata: Con ci il socialismo non abiura nulla di s, rafferma anzi
tutto se stesso: tutta la sua passione per la pace fra gli uomini, per lunione
nazionale e internazionale dei lavoratori contro i detentori del privilegio
politico ed economico. Esso non oblia, non si confonde, non mente in unioni
artificiali: resta se stesso e tutto se stesso protende al proletariato, gridando:
aiuta, aiuta! lora suprema del dovere e del sacrifizio21. Lappello diventava ancora pi chiaro: Stringere la compagine necessaria alla suprema
138

T R A R I V O LT E E PA C E

resistenza, aiutandola con ogni disciplina, con ogni sacrifizio. Non altra
la posizione del Gruppo Socialista in Parlamento allorch professa solidariet umana col Paese percosso... Gli estremisti della pace pensano che
quando la libera patria invasa e cadono sotto i colpi del nemico tutti i suoi
istituti, precipita la stessa tribuna parlamentare da cui il socialismo parlava
al nostro Governo... Linvasione, se si compie, soffoca anche quella voce
sotto lunico strepito trionfante delle armi, soggiogatrici feroci. Conclusione: Nel dolore cocente della patria invasa il proletariato soffre per ragioni proprie. Ed ecco perch in tutte le grandi ore della storia esso si
solleva e tende le nerborute braccia al grande cimento. Esso squassa la piccola rete delle coerenze formali per attingere la grande coerenza sostanziale
della vita e dellamore: non rinnega se stesso e salva la patria.
Caporetto fu lultimo disastro ma, probabilmente, diede anche una
spinta al Paese che nei momenti difficili sempre riuscito a trovare i motivi
di una diffusa solidariet. La guerra cominci a concludersi dopo quella
drammatica ritirata, anche se dur ancora un anno. Un anno nel corso del
quale Bruno Buozzi cominci a meditare sui problemi del dopoguerra. Nel
congresso di Roma, quello che si concluse il giorno dopo la virtuale vittoria,
volle rispondere ai critici che gli avevano contestato la partecipazione alla
Mobilitazione. Snocciol davanti alla platea i risultati ottenuti: contenimento a dieci ore dellorario giornaliero, straordinari pagati con una maggiorazione del 25 e 50 per cento, turni notturni con paga maggiorata del 25
per cento, il pagamento di un extra a favore di quegli operai che, per ragioni
indipendenti dalla loro volont, non potevano fare il cottimo, stesse tariffe
del cottimo (rese immodificabili per tutta la durata della guerra) anche per
le donne. Concludeva il bilancio con una punta di amarezza: Purtroppo
non tutti i suddetti diritti sono stati riconosciuti ovunque, specialmente nei
riguardi delle donne, soprattutto per la disorganizzazione delle masse22.
In quella sede rilanciava la sua idea pragmatica di sindacalismo e, anche,
di socialismo perch nel frattempo larrivo di Lenin al potere aveva, come
abbiamo visto, prodotto i primi effetti anche in Italia. E cos parlando di rivoluzioni possibili o impossibili, affermava: Non diciamo di no, ma lorganizzazione ha il dovere se non vuole tradire la sua visione di non
cullarsi solo nella speranza della rivoluzione e di prepararsi a ogni eventualit. Essa non deve dimenticare i fini ultimi, ma deve tendere i suoi sforzi
139

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

ad elevare ogni giorno di pi il tenore di vita delluomo per dargli la possibilit di crearsi una migliore coscienza23. Una visione tuttaltro che messianica della via verso il socialismo. E anche la difesa di una idea di
sindacato che non fa solo antagonismo, che non programma e organizza
solo lotte fini a se stesse, ma utilizza la mobilitazione per raggiungere degli
obiettivi, cio degli accordi: Pi le nostre forze aumenteranno, pi aumentano fatalmente i contatti e le transazioni con la borghesia. In ci non
c nulla di paradossale. Dove lorganizzazione non esiste o debole il
proletariato non riesce neppure a discutere direttamente con gli industriali
e non quindi portato a contatti o a transazioni perch deve subire fatalmente tutto ci che gli viene imposto.
Bruno Buozzi avvertiva che da un punto di vista sociale il clima,
finita la guerra, sarebbe diventato decisamente complicato. E allora indicava le priorit. I salari perch, un po come oggi, in Italia nelle industrie
metallurgiche in genere... sono pi bassi e gli orari pi lunghi. Non esagerato affermare che in Francia, Germania, Inghilterra e Stati Uniti la manodopera retribuita dal 50 al 100% ed oltre pi che nel nostro paese24.
La riconquista delle libert sindacali: Siamo recisamente contrari al permanere della Mobilitazione industriale. Creata per la guerra deve finire
con essa: accettata o subita durante e per la guerra, non sar n accettata
n subita dopo la pace, e non riusciamo neppure a comprendere come si
potrebbe tenere mobilitati gli operai dopo smobilitati lesercito e larmata.
Inoltre ci pare assurdo il solo pensare che gli industriali possano sottostare,
in tempo di pace, alle limitazioni che oggi sono loro imposte dallo stato di
guerra25. E poi: niente divieti allemigrazione. Infine, il lavoro. Buozzi
prevedeva che un temporaneo aumento della disoccupazione sarebbe stato
la conseguenza della mancanza di commesse statali, soprattutto quelle pi
direttamente legate alla guerra. Di qui La proposta di un sussidio di disoccupazione e della gestione del ricollocamento dei lavoratori attraverso strutture apposite. Scriveva: A noi pare perci che lunico provvedimento
sarebbe lassicurazione contro la disoccupazione fiancheggiata dalla istituzione degli uffici di collocamento sulla quale osiamo pensare che operai
e industriali potrebbero trovarsi daccordo26. il seme del sindacato
nuovo a cui Buozzi pensava e lavorava. Per il futuro.

140

T R A R I V O LT E E PA C E
1

Bruno Buozzi: Lopera della Federazione Metallurgica in Le condizioni della classe


lavoratrice in Italia 1922-1943. Bruno Buozzi e il movimento sindacale in Italia Feltrinelli 1973, pag. 33
2
Relazione morale al convegno straordinario (Torino, 25 giugno 1916) in Bruno Buozzi
scritti e discorsi, Editrice Sindacale Italiana 1975, pag. 125
3
Ivi
4

Ibidem pag 127


Ivi
6
Ibidem pagg. 122-3
7
Ivi
8
Ibidem pagg. 123-4
9
Ivi
10
Paolo Spriano: Storia di Torino operaia e socialista. Da De Amicis a Gramsci Einaudi
1972, pag. 348
11
Ibidem pag 353
12
Ibidem pag 358
13
Antonio Gramsci: Analogie e metafore in Il Grido del Popolo 15 settembre 1917
14
Ivi
15
Vecchie prediche era il titolo dellarticolo di Treves a cui replicava Gramsci
16
Ivi
17
Antonio Gramsci: Il movimento torinese dei Consigli di Fabbrica LOrdine Nuovo,
14 marzo 1921
18
Antonio Gramsci: I massimalisti russi Il Grido del Popolo, 28 luglio 1918
19
Bruno Buozzi: relazione morale al quinto congresso della Fiom, Roma 31 ottobre- 4 novembre 1918, in Bruno Buozzi scritti e discorsi Editrice Sindacale Italiana 1975, pag. 154
20
Filippo Turati Claudio Treves: Proletariato e resistenza, in Critica Sociale, 1 novembre 1917; in Giuliano Pischel: Antologia della Critica Sociale 1891-1926", Lacaita 1992,
pagg. 388-9-90
21
Ivi
22
Bruno Buozzi: relazione morale al quinto congresso della Fiom: op. cit. pag 142
23
Ivi
24
Bruno Buozzi: Il proletariato metallurgico e i problemi del dopoguerra Il Metallurgico 30
marzo 1917, in Bruno Buozzi scritti e discorsi, Editrice Sindacale Italiana 1975, pag. 85
25
Ivi
26
Ibidem pag. 88
5

141

Lagitazione si chiuse con una vittoria che


dallo stretto punto di vista sindacale, non ha luguale
in tutta la storia del movimento operaio

Loccupazione delle fabbriche

Un gruppo di lavoratori presidia un complesso industriale


nel bolognese. Loccupazione delle fabbriche fu la vertenza caratterizzante
del Biennio Rosso e della storia sindacale di Bruno Buozzi

Nulla poteva essere pi come prima. Lo dicevano in tanti, lo capivano praticamente tutti e chi pensava di non capirlo, sotterraneamente lo
immaginava perch spesso i pensieri non prendono forma ma restano l,
negli anfratti della nostra mente, come certi sottili rumori di sottofondo che
si nascondono nel contesto caotico. Non li avverti, ma ci sono. La guerra
non aveva cambiato soltanto i confini, spazzato via un impero protervo e
molto spesso ottuso, modificato i confini e i rapporti di forza internazionali
con lirruzione sulla scena in versione di potenza mondiale degli Stati Uniti.
Aveva cambiato gli uomini, soprattutto le loro coscienze perch anche chi
era tornato con le proprie gambe a casa, semmai appoggiandosi temporaneamente su due stampelle, aveva riportato nel sicuro recinto delle mura
domestiche unanima dissestata, percorsa da aneliti e paure nuove. La
guerra era stata un grande, feroce, spietato frullatore, aveva cambiato le
priorit, modificato le percezioni, trasformato i rapporti, in alcuni casi arricchendoli, in altri casi inaridendoli. La guerra era stata la continua paura
negli occhi, lanimalesco spirito di sopravvivenza trasformato in elementare
ed essenziale filosofia. Era una felicit strana quella che aveva percorso le
strade dItalia, in quel 3 di novembre, quando la flotta aveva attraccato a
Trieste: pi che altro, un grido liberatorio, un ce labbiamo fatta collettivo, il sospiro di sollievo trasformato in un coro lungo e largo quanto la
penisola. LItalia ne era uscita, salva, anche mettendo qualche toppa allonore perduto a Caporetto e prima di Caporetto nelle trattative da mercato
rionale condotte da una classe politica in larga misura impresentabile (valga
la cosa come memento: in fondo, da questo punto di vista, non ci sono state
nel Paese troppe Et dellOro mentre il bronzo si sprecato, soprattutto nel
modellamento delle facce). Tornavano i reduci che avevano smesso di essere combattenti e attendevano di riscuotere la cambiale che il Paese aveva
145

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

contratto con loro. Nelle trincee si erano formate nuove solidariet, si erano
avvicinati i dialetti, lItalia unita sulla carta, che la classe dirigente savoiarda
conosceva al massimo sino a Roma, aveva trovato in qualche maniera un
luogo, seppur pericoloso e dolente, in cui battezzarsi come soggetto collettivo, in cui scambiarsi esperienze, racconti, emozioni, sensazioni. E
paure. C un drammatico film del 1978, Tornando a casa, che illustra le
frustrazioni e le delusioni di chi torna da un massacro, un massacro ordinato
dallo Stato, unico detentore legittimo del potere della forza, un potere
grande e terribile come diceva Montesquieu a proposito della magistratura.
Parlava del Vietnam, quel film. Ma le guerre sono uguali e anche i racconti
si somigliano. In quelle trincee erano nate forti solidariet, la carne da cannone aveva voce, testa e cuore. Venivano dai campi, venivano dalle officine. Avevano vissuto nel fango, dormito alladdiaccio, condiviso il rancio
non sempre abbondante e ancor meno ottimo. Avevano, per, capito che
con loro lItalia aveva contratto un debito.
Anche perch, nel frattempo, alcuni di quelli che erano rimasti a
casa avevano trasformato la tragedia in un grande affare. La definizione
storicizzata nota: pescicani. Industriali che avevano sfruttato i tempi (e
le circostanze) per accumulare profitti, per diventare sempre pi ricchi: non
a caso la Fiat era uscita dal conflitto con le stimmate della pi grande
azienda del Paese, grazie alle commesse statali (non solo italiane). Si saldavano le recriminazioni, i risentimenti e le attese di chi tornava e di chi
era rimasto in unofficina a produrre per una vittoria il cui costo era ricaduto
su molti ma non su tutti. Bruno Buozzi lo aveva detto chiaro e tondo proprio
in quel congresso che termin mentre le piazze e le strade dItalia venivano
invase da tricolori festanti: bisognava cambiare registro. La Guerra era finita e con essa doveva finire anche quella Mobilitazione che aveva portato
alla militarizzazione delle fabbriche. Qualche beneficio gli operai lo avevano ottenuto: i salari, soprattutto tra i metallurgici, erano aumentati seppur
in maniera decisamente meno visibile dei prezzi. Il carovita erodeva i bilanci familiari del proletariato, rendeva difficile una vita gi stentata per
via della guerra e dei suoi postumi. Lo disse anche in Parlamento, lonorevole Buozzi (vi entr il 9 giugno 1920 quando Francesco Misiano eletto a
Torino e Napoli opt per il capoluogo piemontese lasciando libero il seggio
campano): Dovete convenire che il costo della mano dopera sui prodotti
146

L O C C U PA Z I O N E D E L L E FA B B R I C H E

aumentato in linea generale nella misura da uno a tre, da uno a tre e


mezzo. Il costo della vita aumentato da uno a cinque e forse pi: ne consegue quindi, che gli operai oggi stanno forse peggio di prima della guerra,
e che gli unici che hanno guadagnato, che hanno migliorato, sono i datori
di lavoro, e soprattutto gli speculatori e gli intermediari1. Il 12 maggio
del 1920, diciotto mesi dopo la fine della guerra a Napoli si erano create le
condizioni per la sua promozione a parlamentare. Tredici mesi dopo la
Grande Carneficina, Giovanni Giolitti era tornato, invece, alla guida del
governo. Ma le proposte dellesecutivo non lo convincevano e il 9 luglio
del 1920 Buozzi pronunci alla Camera un discorso di notevole durezza.
Gi nellincipit: Uomo dazione, di passione e di battaglia, ho limpressione che qui dentro si parli troppo e soprattutto che ci si ripeta troppo2.
Ironizzava con Benedetto Croce, ministro in quel governo: E non
vale, o signori, che il ministro Benedetto Croce, ex marxista si dice - ed
oggi neo-spiritualista e quindi pi in armonia col suo nome... non vale che
ci accomuni a voi cattolici. Fra noi e voi c una certa differenza3. E si
prendeva una rivincita anche nei confronti di Arturo Labriola, teorico di
quel sindacalismo rivoluzionario con cui aveva dovuto duellare nelle fabbriche italiane, passato armi e bagagli su posizioni meno barricadere e, per
questo, diventato anche lui ministro: E veniamo signori alla legislazione
sociale. Lonorevole Labriola, laltro giorno, ci ha fatto un discorso che pu
essere cos riassunto: il Ministero del Lavoro non esiste, nuovo, in formazione; io stesso sono nuovo di tutti i problemi che devono essere risoluti
o quanto meno trattati da esso; abbiate pazienza, vi assicuro per che sono
animato dalle migliori intenzioni, e soprattutto che ho un ardente desiderio:
quello di lavorare daccordo con le organizzazioni e gli organizzatori dItalia. Per poco non interruppi cos: se non vi sentivate preparato per certi
problemi non dovevate accettare il posto che vi stato affidato. Ma mi trattenni perch in un ambiente come questo, nel quale come mi diceva il compagno Morgari, tutti si atteggiano a competenti, soprattutto gli incompetenti,
gi un bel caso che ci sia almeno uno che confessa lealmente di non conoscere i problemi che deve trattare4. E quasi annunciando la tempesta che
stava arrivando (le condizioni si erano gi abbondantemente manifestate),
affermava: Il Parlamento nato con la borghesia, nato dalla borghesia,
nato in un momento nel quale vinceva la borghesia, la quale aveva davanti
147

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

di s un grande avvenire. Oggi, inutile che lo si nasconda, la borghesia


ha gi incominciato a scavarsi la propria fossa5.
Un intervento appassionato, figlio anche della retorica tipica di certi
appuntamenti parlamentari. Ma era anche il termometro di una situazione.
Buozzi sapeva che quelli sarebbero stati tempi complicati perch molte
cose andavano risistemate. I salari, certo. Ma andava ripristinata in fabbrica
prima di tutto una certa normalit e poi introdotta una maggiore democrazia, consentendo ai lavoratori di essere, da un lato informati su quel che
avveniva a livello di strategie industriali, e dallaltro a intervenire anche su
processi gestionali e decisionali che riguardavano direttamente lavvenire
delle persone, anche al di l dello stretto confine del posto di lavoro. Per
giunta la classe imprenditoriale era caratterizzata da alcuni difetti che ne
condizioneranno pesantemente, nei decenni a seguire, levoluzione. Tanto
per cominciare, una carente cultura di impresa, prodotto di una rivoluzione
borghese mai sviluppatasi (non lo era stato il Risorgimento, animato da
grandi spinte ideali ma decisamente minoritario), di un processo di industrializzazione pi lento rispetto a quello di paesi decisamente pi evoluti,
non solo lavanzatissima Gran Bretagna, ma anche la Francia e la Germania, uscita malconcia dalla guerra, carica di spirito di rivincita alimentato
anche da una certa cecit delle diplomazie internazionali.
Un Parlamento, come dimostra quella seduta, in cui si vedeva la pagliuzza negli occhi degli operai (i salari cresciuti ma in maniera inferiore
allinflazione) ma non la trave in quella degli imprenditori che cominciavano a piangere miseria per laffacciarsi sul proscenio europeo e nazionale
di una crisi che contraeva ricavi e utili. Uno stato, infine, primitivo dal
punto di vista sociale, in cui le protezioni scarseggiavano, in cui tutto dipendeva dal luogo e dalla famiglia in cui nascevi. Buozzi che viveva nella
societ, sapeva bene che la guerra aveva modificato profondamente le dinamiche sociali, sapeva bene che la gente chiedeva un segno di cambiamento. La storia fatta di confini invisibili. Nella vicenda delloccupazione
delle fabbriche, probabilmente questo confine si colloca tra il 10 e l11 di
settembre quando Ludovico DAragona, segretario della CGdL, rivolgendosi ai capi del Psi, pronunciava queste parole: Voi credete che questo sia
il momento per far nascere un atto rivoluzionario ebbene assumetevi la responsabilit. Noi che non ci sentiamo di assumere questa responsabilit di
148

L O C C U PA Z I O N E D E L L E FA B B R I C H E

gettare il proletariato al suicidio, vi diciamo che ci ritiriamo e diamo le


nostre dimissioni. Sentiamo che in questo momento doveroso il sacrificio
delle nostre persone: prendete voi la direzione di tutto il movimento6.
Cerano tutti, in quella sala fumosa, in cui laria attraversava a fatica la
folla di dirigenti sindacali (tra i quali Bruno Buozzi) e dirigenti di partito
(Egidio Gennari). DAragaona e Buozzi restarono al loro posto perch
come ha scritto Mario Isnenghi anche la sinistra politica a questo punto
si tira indietro. Il punto pi alto dellautocoscienza declina rapidamente,
entrando nel novero delle reciproche recriminazioni e delle occasioni perdute, mentre si impenna la volont di rivalsa sociale e politica di chi di
quel fare come in Russia - fosse solo per un momento, ha avuto paura7. A
quel confine gli uomini dellepoca giunsero per via di una vertenza che andava avanti da alcuni mesi; su quel confine, gli uomini che sono venuti
dopo discutono da oltre novantanni, provando a capire o lanciandosi semplicemente insulti, attribuendosi vicendevolmente colpe e responsabilit.
Il nodo la storiografia non lo ha sciolto. E forse non lo scioglier mai perch, come tutti i fatti a forte connotazione (e tensione) politica, le valutazioni dipendono dalle personali posizioni e quando dalloggettivo si scende
al soggettivo, le certezze della scienza (seppur di una scienza non esatta
come la storia) tendono a opacizzarsi.
Flashback: la scena arretra di un anno e mezzo. Quando, cio, al
culmine del primo inverno di pace, Buono Buozzi e la Fiom firmarono, il
20 febbraio del 1919 con lAssociazione Industriali Metalmeccanici, un accordo in cui lorario di lavoro viene fissato a otto ore a parit di salario: un
fatto inedito, una conquista senza precedenti. Lintesa riguardava cinquecentomila lavoratori e dalla primavera successiva sarebbe stata estesa anche
agli altri settori produttivi. Lazione del sindacato in quel momento aveva
due semplici obiettivi: lorario e il salario minimo. La prima area produttiva
che venne incontro alle richieste che erano state messe a punto dal comitato
centrale della Federazione Metallurgica fu Torino che accett di definire
delle tabelle salariali. Abbastanza agevolmente, venne estesa in Toscana
mentre Lombardia, Liguria ed Emilia la tirarono un po per le lunghe, provando a logorare il sindacato che, per tutta risposta, dichiar lo sciopero.
Gli impianti si fermarono per due mesi. Il braccio di ferro convinse gli industriali a mollare ma quelli lombardi provarono a non applicare laccordo
149

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

scatenando una nuova ondata di scioperi. Nel frattempo, le agitazioni si


estesero ad altre categorie, i braccianti, ad esempio: anche loro chiedevano
minimi salariali; al Sud cominciarono a occupare le terre, pratica che spesso
si accompagnava a scontri violentissimi con i carabinieri (nellestate del
1920, a Lecce, le forze dellordine aprirono il fuoco sugli scioperanti uccidendo tre contadini e una donna). Inoltre, sempre a partire dal 1919, si svilupparono manifestazioni spontanee contro il carovita: a Forl, il 30 giugno,
le donne rivoltarono al mercato i banchi della frutta e della verdura; a Brescia furono assaltati i negozi di alimentari (i carabinieri spararono uccidendo una bambina di 12 anni); a Catania pi di trecento magazzini furono
svuotati; a Taranto le forze dellordine caricando la folla stanca di una vita
di stenti, ammazzarono quattro persone.

6.1 Sindacato al culmine del suo potere

Sulla scena torinese, poi, irruppero anche i tecnici, quelli che


con terminologia pi moderna potremmo definire i quadri che poi, nel
1980, uno sciopero, quello dei trentacinque giorni alla Fiat, lo fecero terminare. Una agitazione che, come avverr in tempi pi recenti, ma a parti
invertite, provocher non pochi contrasti tra le diverse categorie di lavoratori. Gli imprenditori provarono, infatti, a sostituire i tecnici con gli operai
pi anziani, esperti e preparati ricevendo un netto rifiuto. A quel punto, sospesero la produzione. Il Parco Michelotti, che era stata lAgor operaia
nella vertenza di sei anni prima, divenne lAgor di tutti. Si ritrovavano i
tecnici che organizzavano assemblee mentre a poca distanza si riunivano
gli operai. Linattivit degli uni (voluta) e degli altri (non voluta) cominci
a produrre degli attriti. Anche perch le due categorie non erano inquadrate
nello stesso sindacato. Era un problema che Buozzi si era posto sin dal momento in cui aveva preso le redini della Fiom trovando, per, orecchie attente solo nel giovane dirigente Gino Castagno che aveva lanciato lidea
di inglobare anche i quadri nellorganizzazione. E fu probabilmente
quella strana e diffidente coabitazione nel Parco che convinse poi il segretario della Fiom a cambiare il contenuto non solo dellacronimo (da Federazione Italiana Operai Metallurgici a Federazione Impiegati e Operai
Metallurgici) ma anche del sindacato. Tanto vero che fu proprio in quei
giorni che Buozzi cominci a intervenire nelle assemblee dei tecnici te150

L O C C U PA Z I O N E D E L L E FA B B R I C H E

nendo insieme una umanit che altrimenti si sarebbe prima divisa e poi sarebbe entrata decisamente in rotta di collisione.
Cera un grande fermento sui posti di lavoro. E le organizzazioni
operaie e sindacali erano fortissime. I numeri, crescenti, ne erano la conferma: Il Partito Socialista nel paese era radicatissimo avendo aperto la bellezza di duemila sezioni frequentate da duecentomila iscritti; alle elezioni
(con metodo proporzionale) in cui venne eletto deputato anche Bruno
Buozzi, il Psi ottenne una straordinaria affermazione conquistando ben 156
seggi (al Senato non ne aveva nessuno per il semplice motivo che quella
Camera non era elettiva ma composta soltanto di cooptati); le cooperative
si contavano a migliaia. E poi cera il sindacato. Alla Confederazione Generale del Lavoro risultavano iscritti due milioni di italiani. Ma la CGdL
non era lunica organizzazione sulla scena. LUsi, la vecchia sigla nata grazie ai sindacalisti rivoluzionari e con sangue anarchico, poteva contare su
trecentomila aderenti; notevolmente forte era il sindacato bianco, la Cil
(Confederazione Italiana del Lavoro) che aveva in qualche maniera incassato anche il dividendo del Patto Gentiloni (un milione e ottocentomila
iscritti) e si difendeva la UIdL (Unione Italiana del Lavoro) di ispirazione
repubblicana (duecentomila tessere). Complessivamente poco meno di
quattro milioni e mezzo di lavoratori organizzati. Era in qualche maniera
la conseguenza della guerra, del bisogno di riscuotere quel che le trincee
avevano promesso. Quanto poi tutto questo fosse sorretto da una vera consapevolezza, da una robusta coscienza operaia, tutto da vedere; quanto
tutto questo fosse incentivato dalla prospettiva di un successo e di un guadagno immediato pi che da un moto sorretto anche di idealit, non si potr
mai stabilirlo n con certezza n con approssimazione.
Nelle fabbriche, per, di discuteva, si dibatteva e si parlava dei modi
in cui aggiungere alla rappresentanza caratteristiche ancora pi democratiche. , daltro canto, storia antica: c sempre una certa diffidenza tra i vertici di una organizzazione e la base, una distanza da colmare nel lavoro
quotidiano ma che difficilmente riesce a essere colmata completamente.
il limite della democrazia rappresentativa che obbliga sempre qualcuno a
decidere per tutti. E se un filosofo diceva che la democrazia il migliore
dei sistemi imperfetti, anche lidea di una rappresentanza che alla fine stabilisce ci che si pu ottenere e ci che non possibile ottenere, , per
151

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

quanto inadeguata, lunica soluzione che sino ad ora ha funzionato, visto


che le spinte assembleariste non hanno portato da nessuna parte e che si fatica a pensare che possa essere un clic su una tastiera o una semplice pressione sul mouse a fare piazza pulita di diffidenze e resistenze che sono
estremamente radicate nellanimo umano. In ogni caso, in quei primi mesi
del dopo-guerra fioriva nelle fabbriche lidea dei Consigli. A spingerla, soprattutto, il giovane scrittore socialista di cui aveva parlato Bruno Buozzi
in un congresso della Fiom, Antonio Gramsci. In pratica tutti gli operai,
iscritti e non al sindacato, avrebbero dovuto democraticamente eleggere i
rappresentanti di reparto che avrebbero costituito il Consiglio di Fabbrica;
la Commissione Interna doveva diventare cos una emanazione dei Consigli. In realt, la proposta caldeggiata da Gramsci ebbe notevole successo a
Torino ma solo in maniera parziale riusc a varcare i confini della citt. La
soluzione, nella versione pi estrema, avrebbe dovuto consegnare lelezione
del Consiglio Direttivo ai Consigli sottraendola cos ai soli associati. Bruno
Buozzi nei confronti della proposta inizialmente fu molto diffidente ma alla
fine lassecond (in un convegno della Fiom che si svolse a Firenze il 9 e
10 novembre del 1919) anche se la sua interpretazione era decisamente diversa da quella di Gramsci: per lui lazione di questi nuovi organismi doveva essere propedeutica a quella delle Commissioni Interne, doveva
integrarsi (in quanto per si consideri la loro funzione come la continuazione dellopera delle commissioni interne coordinata con quella dellorganizzazione, ai cui principi deve essere ispirata8), non superarla o,
addirittura, sostituirla. In realt la scintilla della passione non scatt mai
tra il leader metallurgico e i Consigli tanto vero che anni dopo scrisse che
a Torino quegli organismi divennero strumento di opposizione alle direttive fino ad allora seguite dalla Fiom ed i commissari di reparto si sopravvalutarono e si sovrapposero a tal punto alla organizzazione, che questa,
in molti casi risult alla merc dei disorganizzati. Esattamente quello che
era avvenuto prima della guerra con i sindacalisti rivoluzionari: un ricorso
storico che sicuramente condizion latteggiamento di Buozzi nei confronti
dei Consigli e lo port in rotta di collisione con i comunisti dellOrdine
Nuovo.
Il giovane scrittore socialista, invece, aveva una visione decisamente pi estrema. Scriveva: Le Commissioni Interne sono organi di de152

L O C C U PA Z I O N E D E L L E FA B B R I C H E

mocrazia operaia che occorre liberare dalle limitazioni imposte dagli imprenditori ed alle quali occorre infondere vita nuova. Gi oggi le Commissioni Interne limitano il potere del capitalista nella fabbrica. Sviluppate ed
arricchite, dovranno essere domani gli organi del potere proletario che sostituisce il capitalista in tutte le sue funzioni utili di direzione e di amministrazione. Gi fin doggi gli operai dovrebbero procedere alle elezioni
in vaste assemblee di delegati, scelti fra i migliori e pi consapevoli compagni sulla parola dordine: Tutto il potere dellofficina ai comitati dofficina. Coordinata allaltra: Tutto il potere dello stato ai Consigli operai e
contadini9. Le parole dordine riecheggiano il tutto il potere ai Soviet
di leniniana provenienza. La battaglia sui Consigli che Gramsci e gli ordinovisti in questa prima fase conducono con una certa prudenza, diventer
col tempo pi aggressiva, verr utilizzata per mettere sotto accusa la dirigenza riformista del sindacato e anche per preparare le condizioni per la
scissione di Livorno. Ne parleremo nel prossimo capitolo. Ma chiaro che
in questa storia complessa la polemica sui Consigli gioc un ruolo tuttaltro
che secondario. Sotto alcuni aspetti, loccupazione delle fabbriche, cio la
lunga vertenza che sfoci in quella clamorosa agitazione, ricorda quello
che era avvenuto nel biennio 1911-1913. L ci fu un accordo rifiutato che
poi port la Fiom a recuperare le posizioni puntando non solo sulla democrazia interna ma, soprattutto, sulle conquiste. Anche nel 1920 si parte con
un passo falso: il cosiddetto sciopero delle lancette. Cos come nel 1911 il
sindacato di Buozzi sub laggressivit dei sindacalisti rivoluzionari, di Alceste De Ambris, Filippo Corridoni, Edmondo Rossoni, Arturo Labriola e
Paolo Orano, allo stesso modo nellaprile di nove anni dopo, la Fiom fin
per essere scavalcata dallattivismo proletario.
La Fiat aveva deciso di continuare a far ricorso allora legale come
in tempo di guerra. Ma proprio il ricordo del conflitto scaten lopposizione
operaia. Un lavoratore ebbe lidea di riportare indietro le lancette, cio di
tornare al conteggio solare. Scoperto da un guardiano, venne licenziato in
tronco. Il Consiglio di Fabbrica lo difese e senza interpellare la Commissione Interna proclam lo sciopero. Lazienda rispose a suo modo: con la
serrata. Ma non fin l. Perch dallo sciopero tout court si pass a quello
bianco che dur altri due giorni e venne interrotto da una nuova serrata che
dur venti giorni e convinse la Camera del Lavoro a proclamare lo sciopero
153

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

generale. Dopo undici giorni in cui lattivit produttiva era bloccata, la


CGdL neg lappoggio agli scioperanti. Ma la situazione si era cos incarognita che solo un intervento di governo e sindacato poteva riportare un
minimo di normalit (nel frattempo della cosa si era disinteressata anche
la direzione del Psi). A quel punto accadde lincidente. Ludovico DAragona, investito della grana, rispose con una battuta a dir poco infelice: Andiamo a Torino a seppellire il morticino. Ma non si pensi che andr sempre
cos10. Gli operai non la presero bene. Ma dalla vicenda alla fine uscirono
malconci anche i Consigli che videro diminuire i loro poteri.
Lapparente marginalit del motivo del contendere non deve trarre
in inganno perch sullo sciopero delle lancette non solo si misur il livello
dello scontro tra Buozzi, la dirigenza riformista del sindacato e lormai nascente partito comunista, ma anche la diversit di vedute allinterno dello
stesso PCdI in gestazione dove le idee di Gramsci sui Consigli di Fabbrica
(un dato che pi tardi verr sottolineato anche dal leader della Fiom) non
che coincidessero proprio con quelle di Amadeo Bordiga. Non basta, attraverso quella vicenda si riescono anche a interpretare i tentennamenti, gli
errori e le omissioni del dopo-occupazione delle fabbriche e i mutamenti
di umori (e di risposte) degli industriali. Probabilmente proprio a questo
complesso di valutazioni che faceva riferimento Buozzi nelle analisi che
successivamente mise a punto su quel periodo storico. Per interpretare al
meglio il confronto (e lo scontro) sui Consigli di Fabbrica (perch da qui
che bisogna partire) un utile contributo lo ha offerto Massimo L. Salvadori.
Spiegava preliminarmente lo storico: Gli ordinovisti erano convinti della
piena attualit della rivoluzione socialista. In questo contesto politicoculturale, i Consigli finivano per diventare un elemento centrale. Ma qui,
come si suol dire, casca lasino. Spiegava Salvadori: Il movimento dei
consigli torinese divenne oggetto delle opposte critiche e avversioni dei
sindacati, dei socialisti massimalisti, dellaltra componente comunista del
Partito socialista, guidata dal napoletano Amadeo Bordiga, degli industriali. I sindacati, dominati dai riformisti, consideravano i consigli sia una
forzatura radicale avulsa dalla realt italiana sia una minaccia alla loro
funzione; i massimalisti vedevano in essi una sottovalutazione della funzione dirigente del partito; secondo i bordighiani i consigli di fabbrica non
avevano nulla da spartire con i soviet russi...; gli industriali dal canto loro
154

L O C C U PA Z I O N E D E L L E FA B B R I C H E

lo giudicarono un intollerabile attentato al potere padronale e alle gerarchie in esso stabilite. Le conseguenze furono che nel convegno del partito
socialista che si svolse a Milano il 20 e 21 aprile del 1920 venne respinta
la proposta degli ordinovisti di trasformare lo sciopero torinese in una astensione dal lavoro nazionale con la conseguenza che il 23 aprile lagitazione
termin anche nel capoluogo piemontese. Alla base di tutto questo uno
scontro ideologico che riguardava direttamente Bruno Buozzi. Perch se
per Turati in Italia non esisteva la possibilit stessa di fare come in Russia, poich lo stato e la classe dirigente erano uscite rafforzate dalla
guerra... per Gramsci siffatta possibilit si presentava come oggettiva e poteva essere vanificata unicamente dallinsipienza soggettiva delle forze rivoluzionarie. Conclusione: Per il leader riformista occorreva seguire la
via della riforma democratica e gradualista per scongiurare un rivoluzionarismo che portava alla reazione; per il leader rivoluzionario bisognava
abbandonare ogni riformismo e sottrarre la rivoluzione alla direzione di un
massimalismo inetto, sottoponendola alla guida di un nuovo e diverso massimalismo. Alla luce di queste analisi, quel che avverr dopo, comprese le
recriminazioni di Bruno Buozzi (la sua collocazione in una posizione sostanzialmente mediana), appariranno agevolmente comprensibili.

6.2 La resa dei conti politica

Ma torniamo alla nostra storia. Lo sciopero delle lancette era finito


mentre lo scontro nella sinistra e nel paese infuriava. Il clima era, evidentemente, saturo di tensione. Sarebbe stata sufficiente una scintilla per accendere un enorme fal. Arriv. Ha raccontato Pietro Nenni: La lotta
proletaria del dopoguerra ebbe il suo punto culminante in Italia durante
loccupazione delle fabbriche. Questo fu il pi grande movimento sindacale, non soltanto in Italia, ma in Europa11. Tra Nenni e Buozzi, al di l
delle parole di circostanza o dei commenti emotivi, non ci fu mai una particolare sintonia: avevano storie politiche diverse alle spalle, il riformismo
che ispirava il segretario della Fiom, non era parte del dna del leader socialista, soprattutto non lo era stato negli anni giovanili. Ma su questa valutazione postuma tutti e due concordavano. Scriveva Buozzi: Fra le
memorabili agitazioni combattute dal proletariato italiano nellimmediato
dopoguerra, loccupazione delle fabbriche, campeggia sopra tutte. Gi nel
155

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

1919 le principali federazioni italiane avevano conquistato le otto ore, i


minimi di salario, la revisione periodica dei salari in relazione al costo
della vita, le commissioni interne, il Regolamento unico e altre migliorie.
La lotta per la conquista dei minimi di salario era stata la pi dura. Essa
richiese numerosi scioperi, fra i quali rimase memorabile quello dei metallurgici in Lombardia, Emilia e Liguria (circa 100.000 operai), durato
oltre due mesi e sostenuto colla pi generosa solidariet da tutte le organizzazioni. Ma, ripetiamo, loccupazione delle fabbriche campeggia su tutte
le altre agitazioni: sia per il numero di operai in essa interessati circa
500.000 sia per i metodi di lotta usati12.
E pensare che la vertenza sembrava destinata a risolversi in pochissimo tempo tanto vero che in alcune aziende erano stati persino pagati
degli anticipi sui salari in attesa di regolarizzare la situazione nel momento
in cui laccordo fosse intervenuto. Sembrava semplice perch, poi, la piattaforma programmatica era stata in larga parte gi acquisita in termini di
conquiste. La vertenza doveva servire a raccogliere le membra sparse, cio
le tante intese raggiunte a livello regionale per fonderle in un unico grande
accordo nazionale. Ovviamente era previsto qualche ritocco salariale, alle
tariffe dei cottimi, ma le due vere novit erano le ferie pagate e lindennit
di licenziamento. Seguendo i principi di azione gi utilizzati nella vittoriosa
vertenza del 1913 (veniva richiesta la conferma di quelle conquiste), Buozzi
e i suoi avevano preparato con attenzione il memoriale da presentare ai datori di lavoro. I dirigenti della Fiom si erano ritrovati a Genova per un congresso straordinario che era durato dal 20 al 25 maggio, in quella sede
avevano definito la struttura della piattaforma rivendicativa che venne presentata il 18 giugno. La trattativa cominci il 15 luglio e si aren subito su
una questione procedurale (pi che altro strumentale). Infatti, con una
azione probabilmente di disturbo, sia lUsi che la Cil avevano presentato
dei memoriali propri. Gli imprenditori presero la palla al balzo sostenendo
che andavano discussi tutti contemporaneamente, cosa che alla Fiom non
faceva certo piacere, perch allungava i tempi. Per aggirare lostacolo,
Buozzi disse che la sua organizzazione non voleva discutere il contratto
per tutte le aziende ma solo per quelle in cui la Fiom aveva la maggioranza.
Gli imprenditori facevano, per, resistenza passiva, sostenendo che
le richieste erano incompatibili con le condizioni del settore produttivo e
156

L O C C U PA Z I O N E D E L L E FA B B R I C H E

chiedevano al sindacato di dimostrare il contrario. A quel punto, Buozzi


spediva una lettera: Vi avvertiamo che a noi spetta solo di dimostrare che
esse (le richieste, n.d.a.) sono giustificate: a) dal rincaro del costo della
vita verificatosi dallepoca della stipulazione dei concordati che hanno
portato alla fissazione dei minimi di salario, sia pure tenuto conto dei miglioramenti ulteriormente concessi; b) dal confronto con i salari di industrie assai meno specializzate delle nostre. Tale giustificazione ci sembra
persino superflua perch i Bollettini dei mercati ed i concordati delle altre
industrie sono a disposizione di tutti: in ogni modo al momento opportuno
ci riuscir assai facile. bene pertanto rilevare che a noi non spetta, come
non ha mai spettato agli operai, dimostrare che le richieste di miglioramento sono sopportabili dallindustria. Gli industriali avranno il diritto di
pretendere tale dimostrazione dagli operai o dalle loro organizzazioni
quando avranno concesso loro il diritto e la possibilit di controllare seriamente landamento delle aziende industriali, la qual cosa per riportate

Lenin durante la Rivoluzione dOttobre: fu durissimo con Turati e i riformisti

157

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

dichiarazione fatteci da vostri rappresentanti, ci sembra tuttaltro che desiderata dalla vostra organizzazione13. Seppur ancor fuori dalla piattaforma rivendicativa, comincia cos a far capolino la questione del controllo
della fabbrica e di quelli che poi verranno chiamati diritti di informazione.
Chiaramente viene sollevata con intento da un lato ostruzionistico e dallaltro provocatorio. La lettera di Buozzi era la risposta a una missiva spedita dagli industriali qualche giorno prima, precisamente il 22 luglio, nella
quale le aziende dicevano di non essere nelle condizioni economiche per
soddisfare le richieste, una affermazione che induceva Buozzi a sottolineare
che la pregiudiziale di discutere in comune con le altre organizzazioni sia
stata da voi presentata nella speranza di poter evitare una seria discussione
sui memoriali presentati14.
Davanti allintransigenza padronale e per convincere la controparte
a sedersi al tavolo delle trattative, il 26 luglio la Fiom decise il blocco degli
straordinari, scelta che convinse gli imprenditori ad accettare lincontro che
si svolse il 29 luglio. Ma anche questa volta la risposta, ancorch articolata
in cinque punti, era sintetizzabile in poche parole: no su tutti i fronti perch
laccoglimento, anche se possibile, delle domande operaie, porterebbe a
un nuovo aumento del costo dei prodotti con corrispondente sacrificio da
richiedersi ad altri cittadini e, in definitiva, agli stessi operai. Insomma,
gli incrementi salariali venivano rifiutati per il bene della collettivit. In
ogni caso, i contatti continuavano. Nuova riunione il 10 agosto ma il 13 la
delegazione imprenditoriale si presentava con una mozione approvata dai
soci nella quale si diceva che la Commissione interregionale nominata
dalla Federazione nazionale sindacale dellindustria meccanica, metallurgica e navale, deve con vivo rammarico constatare che i dati e le notizie
esposte per dimostrare le attuali condizioni dellindustria frutto di un
lungo e coscienzioso lavoro non sono stati tenuti nella dovuta considerazione da nessuna delle organizzazioni operaie15. Si tratta di un piccolo
capolavoro narrativo: gli industriali si rammaricavano non per il fatto di
non poter aggiornare i salari, ma per il fatto che i lavoratori non se ne erano
fatti una ragione.
Insomma, le trattative, dopo un mese, erano sempre allo stesso
punto, cio alla rottura. Anche perch, contemporaneamente, lelegante diniego contenuto nella mozione era stato illustrato con una metafora hard
158

L O C C U PA Z I O N E D E L L E FA B B R I C H E

core da uno dei membri della delegazione, il relatore Edoardo Rotigliano


che poi divenne deputato fascista: Ogni discussione inutile. Non c
niente per nessuno. Da quando finita la guerra gli industriali hanno sempre calato i pantaloni. Ma ora basta: e incominciamo da voi. E cos venne
organizzata dalla Fiom una nuova riunione (il 16 e 17 agosto) nel corso
della quale venne decisa ladozione dellostruzionismo, quello che oggi
chiameremmo sciopero bianco, con il rigido rispetto delle norme sulla sicurezza (cominci il 21 agosto). Gli imprenditori prima si fregarono le mani
(erano convinti che questo tipo di agitazione li avrebbe danneggiati in misura molto limitata), poi cominciarono a parlare di sciopero subdolo. La
scelta di quella forma di protesta la illustr tempo dopo Buozzi: alla Fiom
erano convinti che il braccio di ferro sarebbe andato avanti a lungo, le casse
del sindacato non erano in grado di sostenerlo. Meglio, dunque, una forma
di agitazione che limitava al minimo il prelievo sulle buste-paga aumentando al massimo le perdite dellazienda. E le perdite furono cos consistenti
che a sostegno delle ragioni degli industriali intervennero i grandi mezzi
di comunicazione dellepoca come il Corriere della sera che schier il
fior fiore dei suoi opinion leader, a cominciare da Luigi Einaudi, che sarebbe diventato, dopo la seconda guerra mondiale, presidente della Repubblica. Leconomista sostenne che lo sciopero bianco ha carattere pi
coperto e pi dannoso dello sciopero16. Rispondeva Buozzi: un metodo
subdolo quello dellostruzionismo? Pu anche darsi. Ma quanti non sono
i metodi subdoli che adottano gli industriali nella loro lotta contro gli operai, senza che sia mai intervenuto un giornale borghese a deplorarli... Il
senatore Einaudi preferisce lo sciopero... Gli industriali avrebbero anchessi preferito lo sciopero. Due o tre mesi avrebbero resistito tranquillamente. Malgrado le loro geremiadi hanno pure ammesso di avere ancora
delle riserve. Ebbene avrebbero consumato le riserve in attesa che gli operai si fossero rassegnati a tornare al lavoro sconfitti17.
Ben sapendo che sarebbe stata una lotta di nervi e che gli imprenditori avrebbero provato ad approfittare di tutti i passi falsi degli operai organizzando apposite campagne mediatiche (cosa che fecero puntualmente),
la Fiom invit i lavoratori ad evitare qualsiasi atto di sabotaggio. Dopo nove
giorni, per, lAlfa Romeo, contro il parere del prefetto, forz la mano disponendo la serrata, venendo seguita nellesempio dalla Isotta Fraschini;
159

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

per risposta la Fiom ordin la presa degli impianti cio loccupazione


delle fabbriche e per sicurezza la estese a tutti gli stabilimenti di Milano,
cio trecento officine (la controffensiva operaia port pure al temporaneo
sequestro di Cesare Isotta e Vincenzo Fraschini, proprietari della omonima
fabbrica di automobili). Cominciava cos la pi dura e complessa vertenza
del primo dopoguerra e, probabilmente, della storia di tutto il sindacalismo
italiano. La Fiom organizz le cose per fare in modo che la produzione continuasse, spostando, dove si presentava la necessit, i lavoratori da una
azienda a unaltra; i turni vennero rispettati rigidamente; lalcool non fu
ammesso nei capannoni; per sostenere finanziariamente i lavoratori, Buozzi
stipul un mutuo con listituto di credito per le cooperative garantito dalle
cooperative metallurgiche; furono organizzate squadre di sorveglianza per
impedire eventuali irruzioni della polizia. Ma Giolitti prefer non intervenire
suscitando le ire degli industriali. Poi si giustific: Come potevo impedire
loccupazione delle fabbriche? Si tratta di 600 manifatture dellindustria
metallurgica. Per impedire loccupazione delle fabbriche avrei dovuto mettere una guarnigione in ciascuno di questi opifici, nei piccoli un centinaio
di uomini, nei grandi alcune migliaia: avrei impiegato per occupare le fabbriche tutta la forza di cui potevo disporre! E chi sorvegliava i 500.000
operai che restavano fuori dalle fabbriche? Chi avrebbe tutelato la pubblica sicurezza nel Paese? Forse dovevo, avvenuta loccupazione delle fabbriche, far sgombrare le fabbriche con la forza? Era la guerra civile18.
Il 1 settembre gli industriali di Roma e Torino provavano a fare la
serrata ma venivano preceduti perch la Fiom, intuendo i piani della controparte, aveva invitato gli operai a giocare danticipo. Nel corso delle occupazioni gli operai svelavano la pratica padronale delle liste nere e dello
spionaggio nei confronti degli operai pi pericolosi da un punto di vista
sindacale e, a quel punto, al primo posto della piattaforma veniva inserito
il controllo delle fabbriche. Una scelta che allapparenza sembrava mettere tutti daccordo. Sulledizione torinese dellAvanti! Antonio Gramsci
scriveva: Oggi con loccupazione operaia, il potere dispotico della fabbrica spezzato; il diritto di suffragio per la scelta dei funzionari industriali
passato alla classe operaia. Ogni fabbrica uno stato illegale, una repubblica proletaria, che vive giorno per giorno, attendendo lo svolgersi
degli eventi. Ma se una grande incertezza regna ancora sullavvenire di
160

L O C C U PA Z I O N E D E L L E FA B B R I C H E

queste repubbliche proletarie, dato che le forze non si rivelano e non lasciano comprendere le loro reali intenzioni, la constatazione che queste repubbliche vivono ha una portata e un valore storico smisurato19.
Gramsci avvertiva il soffio della rivoluzione e le sue parole erano conseguenti. Ma da un versante decisamente diverso, Filippo Turati diceva: La
rivendicazione del controllo operaio, mantenuto nei limiti in cui oggi possibile fruttuosamente esercitarlo, essa stessa una rivoluzione, la pi
grande, dal punto di vista socialista, dopo il conquistato diritto di coalizione e il suffragio universale20. Per Turati, insomma, era gi quella una
evoluzione, dal punto di vista dei diritti dei lavoratori, rivoluzionaria, cosa
che nel suo gradualismo si traduceva in un traguardo raggiunto che consentiva di guardare ad altri traguardi. Senza colpi di mano.
In sostanza era cominciata unaltra partita, tutta politica e allinterno
del Psi. Le prime avvisaglie si erano avute il 4 e 5 settembre quando a Milano la CGdL si era riunita con la direzione del Psi sulla base del patto di
azione che era stato rinnovato appena due anni prima, il 19 settembre del
1918. In quella sede, Buozzi venne messo sotto accusa: Ti sei fatto prendere la mano, gli dissero. E lui rispose rivendicando pienamente la responsabilit delle scelte e dellazione. In realt il leader sindacale aveva una
strategia: spingere il Psi al potere attraverso una azione eclatante, non in
funzione rivoluzionaria, per, ma democratica, favorendo cio la costituzione di un governo di programma che avesse al centro unidea di Costituente capace di mutare il volto dello stato in senso progressista. Ma lo
scontro decisivo si gioc il 10 e 11 settembre quando partito e sindacato
tornarono a riunirsi per decidere se lazione di lotta aveva ormai travalicato
i confini economici per spaziare su un terreno politico. In questo secondo
caso, CGdL e Fiom si sarebbero dovute fare da parte per mettere tutto nelle
mani del Psi. Insomma, dallazione rivendicativa alla rivoluzione, alla lotta
armata.

6.3 La rivoluzione messa ai voti

Il Partito reclam, ma non con particolare veemenza, il controllo


della vertenza, la Confederazione sostenne che si era ancora sul terreno
economico (la dichiarazione di DAragona che abbiamo prima riportato
conferma quella posizione addossando al Psi la responsabilit di decidere),
161

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

la Fiom prov a mediare proponendo lallargamento del movimento, daccordo con Confederazione e Partito, per instaurare la repubblica socialista
e mandare al potere un governo socialista, col programma di attuare tutte
le riforme politiche ed economiche pi insistentemente invocate dal proletariato21. Alla fine vinse la linea della CGdL. Lordine del giorno DAragona ottenne 591.245 voti contro i 409.569 di Bucco. Gli astenuti furono
93.623 cio la Fiom. Soprattutto su questa scelta adottata da Buozzi e i suoi
uomini successivamente si aperto un dibattito. Piero Boni, segretario generale della Fiom in coabitazione con Bruno Trentin e poi segretario generale aggiunto della Cgil, uno dei riscopritori delleredit ideale di Buozzi,
consider quella scelta caratterizzata da un certo livello di renitenza: che
fosse stato contro o a favore del trasferimento della gestione della vertenza
al partito, avrebbe dovuto comunque esprimersi.
Ancor di pi il clima di quei giorni, il livello dello scontro non solo
esterno (con gli industriali) ma anche interno (tra comunisti e massimalisti
da un lato e riformisti come Buozzi dallaltro) lo ha illustrato Pietro Secchia
in un libro del 1971: Le armi del fascismo 1921-1971. A volte i ricordi
del gi piuttosto anziano dirigente politico (aveva sessantotto anni quando
scrisse quel saggio) che il Pci aveva largamente rimosso dalla sua storia
(forse a causa di imbarazzanti riferimenti a vecchi album di famiglia) sono
un po confusi. Ad esempio, quando affermava che verso la fine di settembre furono convocati a Milano gli organismi direttivi del Partito Socialista
e della Confederazione del Lavoro che a lungo discussero se il movimento
aveva carattere economico o politico. Il vertice, invece, si tenne fra il 10 e
l11 settembre. Ma ci che conta latteggiamento che alcuni settori del
proletariato torinese (in particolare quelli che facevano maggiormente riferimento ai Consigli di Fabbrica e allOrdine Nuovo) avevano nei confronti
dellagitazione. Per loro, infatti, quello era linizio della rivoluzione.
Secchia raccontava quei giorni anche attraverso la testimonianza di
Vincenzo Bianco, metallurgico, ordinovista. Bianco nel 1930 su Lo Stato
Operaio spiegava cosa avrebbero dovuto fare le avanguardie rivoluzionarie preliminarmente: Eliminare dalla direzione i traditori riformisti
per lanciare la parola dordine della presa del potere. Ma un piano simile esigeva, per la riuscita, che i dirigenti riformisti fossero allontanati
con la forza. Preventiva epurazione, dunque. Bianco raccontava anche
162

L O C C U PA Z I O N E D E L L E FA B B R I C H E

lorganizzazione militare che era stata avviata: In alcune fabbriche si trovarono mitragliatrici in numero abbastanza grande. Poi, per, accadde
che nei capannoni si svilupp sin dallinizio negli operai uno spirito di
fabbrica e quando si riusc a superare... si era gi arrivati al momento
in cui DAragona e Buozzi trattavano con Giolitti il tradimento.
Fra i giocatori della stessa squadra le visioni erano inconciliabili.
Il racconto di Bianco induceva Secchia a concludere: I massimi dirigenti
della classe operaia, la direzione del Partito socialista e in particolare
della Confederazione del lavoro, sono orientati non alla presa del potere
ma a strappare un ottimo contratto. Anche i migliori lavorano come se la
rivoluzione dovesse cadere dal cielo, realizzata e messa ai voti col consenso
dei riformisti. Il fatto che in quel momento gi si pensava a quel che sarebbe dovuto accadere a Livorno, a gennaio dellanno successivo. Scriveva
Secchia: Gli aderenti alla frazione comunista astensionista che lavoravano alla Fiat, riunitasi nella notte del 20 settembre, decisero di inviare
un compagno a Milano, portatore di un ordine del giorno col quale chiedevano la costituzione del partito comunista. Ci volle tutta lautorit di
Gramsci, di Togliatti e di Terracini per persuadere quei compagni che era
necessario per almeno due o tre mesi, sino al congresso di Livorno, continuare a lottare in seno al Partito socialista per poter poi portare al Partito
comunista il maggior numero di militanti.
Il leader metallurgico in quelle fasi tempestose ha spiegato (ne parleremo pi avanti) che quella scelta (lastensione nella riunione del 10 - 11
settembre) matur perch non voleva condizionare i veri protagonisti di
quella partita, cio il Psi e la CGdL. Voleva, soprattutto, stanare il partito,
indurlo a una risolutezza che, al contrario, non ci fu, nonostante in quella
riunione ci fosse il vertice al gran completo. Egidio Gennari, che sino allanno prima era stato segretario del partito, a votazione conclusa rilasci
una dichiarazione a nome della direzione del Psi da cui non traspariva n
delusione n particolare animosit: Io ricordo che fra la CGdL e il Ps esiste un patto di alleanza che, ritengo, nessuno di noi ha interesse di infrangere specialmente in questo momento nel quale indispensabile unire le
forze del proletariato per una lotta che pu iniziarsi in un certo senso, ma
che probabilmente dovr essere condotta sino allestremo. Il patto di alleanza stabilisce che per tutte le questioni di carattere politico la Direzione
163

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

del partito pu assumere la responsabilit di avocare a s la direzione del


movimento, e la Confederazione si impegna di non ostacolare il movimento
stesso. In questo momento la direzione del partito non intende valersi di
tale facolt. Potrebbe darsi che in seguito per mutate circostanze, la direzione ritenga opportuno fare appello al patto stabilito fra noi e voi, e sono
certo che ognuno far onore al patto22. La irrisolutezza socialista denunciata da Buozzi emerse da un articolo per lAvanti! di Giacinto Menotti
Serrati a parere del quale le condizioni per una presa del potere con le armi

Dieci anni dopo, Buozzi analizza la vertenza culminata con loccupazione delle fabbriche

164

L O C C U PA Z I O N E D E L L E FA B B R I C H E

non si erano create visto che Giolitti non aveva replicato con la repressione
e la violenza; a Lenin, che aveva criticato i dirigenti italiani, rispondeva:
Non il caso di parlare di dimostrazione della capacit insurrezionale
alcuna ma solo un largo e profondo movimento sindacale, salvo qualche
incidente sporadico, totalmente pacifico.
La prospettiva rivoluzionaria, alla fine di quella riunione, non veniva accantonata ma rimaneva sullo sfondo, come un orizzonte inafferrabile. Gennari in occasione della scissione di Livorno ader al PCdI,
presumibilmente faceva riferimento allala che in quel momento avrebbe
dovuto con maggior vigore puntare alla rivoluzione. Ma non lo fece. Ludovico DAragona si tenne tra le mani il testimone: Io devo ringraziarvi
a nome del Consiglio Direttivo. Gli applausi (a Gennari) dimostrano che
noi dobbiamo ringraziare la Direzione del partito per le dichiarazioni fatte.
Noi possiamo assicurare la Direzione del partito che quando essa creder
opportuno di assumere la responsabilit completa della direzione del movimento, noi, cos come abbiamo offerto le forze confederali, lo faremo
anche quel giorno23. Lordine del giorno approvato, seppur piuttosto
lungo, era facilmente sintetizzabile: Il Consiglio Nazionale della Confederazione generale del lavoro, udita la relazione del segretario generale della
Fiom e del Consiglio Direttivo della Confederazione... decide che obiettivo
della lotta sia il riconoscimento da parte del padronato del principio del
controllo sindacale delle aziende intendendo con questo aprire il varco a
quelle maggiori conquiste che devono immancabilmente portare alla gestione collettiva e alla socializzazione24. Bisogna anche aggiungere che alla
ricerca di uno spazio politico e rivoluzionario era anche Mussolini che il 10
settembre incontr Buozzi in albergo insieme a Manlio Morgagni del Popolo dItalia (sarebbe arrivato al vertice dellagenzia Stefani e si sarebbe
suicidato dopo il 25 luglio del 1943); allincontro era presente anche Mario
Guarnieri. Il futuro duce peraltro tra il 1918 e il 1921 ebbe sul Popolo
dItalia un atteggiamento benevolo nei confronti della Fiom (scrisse Michele Bianchi, uno dei quadrumviri della marcia su Roma, sul giornale del
duce del 2 settembre 1920: Il nostro atteggiamento stato sin dal primo
momento improntato a simpatia per le masse. Oggi diciamo che la presa di
possesso un errore formidabile, salvo che gli organizzatori non intendano
di servirsene come pedina per un disegno smisuratamente pi vasto. Deve
165

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

servire per un movimento sociale? In tal caso sarebbe prova di squisito


acume politico... Avrebbe una logica... Ma Buozzi, Colombino, Guarnieri
hanno una mentalit troppo realista) e questo forse spiega alcune sue iniziative successive.
Quella riunione cos decisiva si rivel una specie di commedia degli
inganni (pi che degli equivoci). Sergio Turone in un convegno su Bruno
Buozzi organizzato nel 1980 a Roma dalla Uil, ricord che lordine del
giorno proposto dal partito recitava: Il consiglio nazionale CGdL demanda
alla direzione del partito lincarico di dirigere il movimento indirizzandolo
alle soluzioni massime del programma socialista e cio la socializzazione
dei mezzi di produzione e di scambio. Turone, con lironia e lacutezza di
analisi che lo contraddistingueva, ricordando una precedente valutazione
di Paolo Spriano, sottolineava che in sostanza si era deciso di mettere ai
voti la rivoluzione. Una cosa, a dir il vero, un po ridicola. Quellastensione
di Buozzi, allora, non aveva significati renitenti (che pure gli furono contestati), ma il carattere di un monito, sicuramente contro il rivoluzionarismo avanguardistico e teorico delle correnti massimaliste, ma altrettanto
sicuramente nei confronti di quello schieramento riformista incline a confondere il realismo talvolta con la rinuncia.
Il voto trasfer la guida dellagitazione dalla Fiom alla CGdL che
nomin un comitato di cui faceva parte Bruno Buozzi. La vertenza, in quel
momento, era bloccata, con gli industriali che reclamavano a gran voce
lintervento del governo. Latteggiamento degli imprenditori aveva proprio
quellobiettivo: la prova di forza. La guerra li aveva evidentemente allenati, attraverso le fabbriche militarizzate, a una disciplina che non ammetteva eccezioni o improvvise alzate dingegno: la pace sociale poteva ben
spuntare dalla bocca di un fucile. Insomma, il ritorno alla vita civile, per
loro che non avevano una straordinaria cultura democratica (e lo dimostreranno col fascismo, assecondando o con linerzia o, il pi delle volte, con
atteggiamenti complici, i disegni di Mussolini), si era trasformato in un
traumatico risveglio. Il governo, che sino a quel momento aveva guardato
con un certo distacco alla vicenda, prov a riaprire i giochi attraverso il
prefetto di Milano che chiese ai sindacati di precisare la richiesta di controllo. Poi la prefettura di Milano e quella di Torino organizzarono il 15
settembre un vertice nel capoluogo piemontese. Da un lato DAragona e
166

L O C C U PA Z I O N E D E L L E FA B B R I C H E

Buozzi, dallaltro la delegazione industriale guidata dal presidente, Ettore


Conti che bocci pregiudizialmente la richiesta sindacale. Non solo, Conti
chiese che le fabbriche venissero sgombrate e i lavoratori responsabili di
violenze puniti. Giolitti, per, li spiazz con una dichiarazione che apr la
strada alla conclusione della trattativa: Occorre dare anche ai lavoratori
il diritto di conoscere, di imparare, di elevarsi, di essere insomma posti in
condizioni di concorrere a stabilire landamento dellazienda e assumere
una parte di responsabilit.
Giolitti non era stato folgorato sulla via di Damasco del sindacato:
la sua era una capriola trasformistica per provare ad aprirsi dei varchi nel
fronte socialista. Una strumentalit a cui corrispondeva unaltra strumentalit: la posizione assunta da Benito Mussolini che aveva avuto in quei
giorni convulsi il colloquio con Buozzi, sorprendente nel contenuto, svelato, poi, dallo stesso segretario della Fiom: Mussolini difese gli operai...
dichiar che a lui importava poco che le fabbriche fossero degli operai piuttosto che degli industriali, e che se loccupazione delle fabbriche fosse sboccata in un movimento rivoluzionario costruttivo, egli sarebbe stato a fianco
dei rivoluzionari, finita lagitazione: Mussolini scrisse che con la vittoria
dei metallurgici incominciava una nuova storia. Luomo credeva, evidentemente, nella conquista rivoluzionaria del potere da parte dei socialisti, e
non voleva o temeva, di essere eliminato dalla circolazione politica. Quando
per si accorse dopo la scissione del partito che la conquista del potere
era divenuta impossibile, allora soltanto abbandon ogni scrupolo e cap
che la borghesia, ancora in preda allo spavento, non avrebbe frapposto ostacoli alle sue ambizioni e lo avrebbe anzi aiutato, come infatti lo aiut25.
Questo racconto apre un altro capitolo: quello del rapporto tra
Biennio Rosso, occupazione delle fabbriche e affermazione del fascismo.
Si tratta di un dibattito che si apr subito dopo la marcia su Roma ma
che non ha mai stabilito in che maniera quei fermenti abbiano agevolato
lazione di Mussolini, se la sua corsa verso il potere sia stata accelerata
dalla paura prodotta nelle classi dominanti da una vertenza che aveva
assunto caratteri massimalisti o se, al contrario, le timidezze della gestione riformista abbiano convinto il duce a superare le prudenze e a
dare lassalto al potere non avendo alcun movimento popolare che lo potesse contrastare. Una cosa certa: Giolitti sblocc la situazione annun167

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

ciando che avrebbe comunque presentato un disegno di legge sul controllo.


Gli imprenditori, a quel punto, si risistemarono al tavolo della trattativa per
evitare il peggio (cio un intervento di autorit). Nuovo incontro a Milano
e nuova rottura, il 18 settembre, con gli industriali che si rifiutavano di pagare le produzioni realizzate dagli operai durante loccupazione delle fabbriche, pretendevano provvedimenti disciplinari e, soprattutto, la non
riassunzione di quelli che a loro parere avevano compiuto atti illegali.
A quel punto Giolitti chiam tutti a Roma e il 19 settembre laccordo venne raggiunto: pagamento delle giornate di ostruzionismo e di occupazione delle fabbriche, aumento delle retribuzioni a partire dal 15 luglio,
riconoscimento del valore (economico) dei beni prodotti durante loccupazione delle fabbriche, settimana di ferie pagata, indennit di licenziamento
definita in base allanzianit e minimi salariali con i lavoratori divisi in
quattro categorie. Riconoscimento del controllo sulle fabbriche con la
costituzione di una commissione paritetica per definire i contenuti di due
disegni di legge. Nel decreto firmato da Giovanni Giolitti si leggeva: Il
Presidente del Consiglio... decreta: viene costituita una Commissione paritetica formata da sei membri nominati dalla Confederazione Generale
dellIndustria e sei della Confederazione Generale del Lavoro tra cui due
tecnici od impiegati per parte, la quale formuli delle proposte che possano
servire al Governo per la presentazione di un progetto di legge allo scopo
di organizzare le industrie sulla base dellintervento degli operai al controllo tecnico e finanziario allamministrazione delle aziende. La stessa
commissione entro otto giorni proporr le norme per risolvere le questioni
che possono insorgere circa losservanza dei regolamenti e lassunzione
ed il licenziamento della manodopera26. Dato che valeva anche allora il
principio che se non si vuol risolvere nulla si crea una bella commissione,
alla fine lostruzionismo degli industriali vanific tutti gli sforzi mentre la
situazione politica si deteriorava e nessun disegno di legge (uno sul controllo e laltro per la creazione di una commissione superiore di controllo
per lindustria nazionale, in pratica uno strumento che avrebbe dovuto portare alladozione di una politica di piano, alla programmazione con quarantanni di anticipo sul centro-sinistra) venne ispirato da quellorganismo:
quaranta giorni dopo la costituzione, il 29 ottobre, i sindacati presero atto
dellimpossibilit di trovare un accordo e ruppero le trattative.
168

L O C C U PA Z I O N E D E L L E FA B B R I C H E

Il governo, in realt, poi un progetto lo present ma salt tutto anche


perch il 7 aprile del 1921 la Camera fu sciolta e si and a nuove elezioni.
E tutti i disegni di legge furono condannati alla decadenza. Con un congresso che si svolse a Milano il 21 e 22 settembre 1920, i metalmeccanici
approvarono laccordo. A favore votarono 117 sezioni per un totale di
48.740 voti; contro 18 sezioni per un totale di 42.140 voti. Torino era fra le
18 che rifiutarono lintesa. Il dissenso non riguardava il contenuto dellaccordo (ritenuto, da un punto di vista strettamente sindacale positivo), ma il
fatto che non fosse stato dato uno sbocco rivoluzionario alla vertenza e questo aspetto veniva sottolineato nellordine del giorno di minoranza (... premesso che il movimento degli operai metallurgici aveva assunto laspetto
di un vero movimento espropriatore, lusingando le speranze rivoluzionarie
degli operai che intravedevano nellallargamento della occupazione delle
fabbriche a tutte le industrie compresi i servizi pubblici, la realizzazione immediata delle aspirazioni comuniste...27).
Le fabbriche vennero sgomberate tra il 25 e il 30 settembre. Resisteva una scia di sangue, per. Durante loccupazione delle fabbriche, un
industriale torinese aveva imbracciato il fucile e ammazzato due operai,
Raffaele Vandich e Tommaso Gatti; un altro lavoratore proprio nel giorno
in cui veniva raggiunto laccordo era stato ucciso in uno scontro tra Guardie
Rosse e forze dellordine. Un episodio inquietante aveva riguardato limpiegato Mario Sonzini, membro della Commissione Interna delle Officine
Metallurgiche, rapito e ucciso a pistolettate dalle Guardie Rosse che il PCdI
in una circolare definiva proletari armati e larma che adopera deve incutere spavento non ai lavoratori ma ai borghesi. Le indagini sulla morte di
Sonzini (e di una guardia carceraria, Costantino Scimula, avvenuta in circostanze analoghe) portarono alla scoperta di altri sequestri. Il concordato
definitivo venne firmato da sindacati e industriali il 1 ottobre 1920; quattro
giorni prima sulledizione torinese dell Avanti! era apparso un editoriale
durissimo nei confronti dei dirigenti riformisti di CGdL e Fiom accusati di
aver condotto i lavoratori alla sconfitta.
C, poi, un aspetto curioso di questa vicenda che fu svelato da Gaetano
Salvemini in uno scritto elaborato nel periodo in cui insegnava ad Harvard.
Loccupazione delle fabbriche e le rivendicazioni relative al controllo della
produzione avevano sollevato allarmi al di l dellAtlantico venendo, evi169

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

dentemente interpretate, come un momento di passaggio verso la rivoluzione bolscevica. Salvemini in quel periodo elabor alcuni brevi saggi in
forma di lezioni per i suoi studenti americani. In realt, quegli scritti, redatti
in inglese, divennero solo molto tempo dopo un libro. Salvemini aveva un
obiettivo: spiegare che alla base degli allarmi statunitensi cera solo un malinteso, anzi un errore di traduzione. Scriveva: Una delle idee sbagliate diffuse nei paesi di lingua inglese in rapporto a questi fatti dovuto soltanto a un
errore di traduzione della parola italiana controllo. La parola controllo
in italiano non lequivalente del termine inglese control che significa possesso e direzione. Gli operai... chiedevano che i bilanci delle aziende fossero
verificati e resi pubblici; domandavano anche che in ogni fabbrica gli operai
eleggessero una commissione che li rappresentasse nelle vertenze e nella stipulazione di accordi di lavoro. Ma gli agenti fascisti... hanno tradotto la parola italiana controllo con la parola inglese control e cos stata creata
la leggenda che gli operai volevano la propriet o almeno la direzione delle
fabbriche. Anche a quel tempo il sistema della comunicazione, giocando
sul rimbalzo linguistico, sul malinteso, finiva per alimentare campagne di
parte. Tutto, insomma, fa brodo. Ma il senso era chiaro: finita loccupazione
delle fabbriche, cominciavano le polemiche e le accuse.
Contemporaneamente alla vertenza industriale si svilupp anche il
movimento delloccupazione delle terre ed significativo il modo in cui
Bruno Buozzi, molti anni dopo, valut quel fenomeno nel libro che scrisse
in esilio insieme a Vincenzo Nitti. Il segretario della Fiom ridimensionava
lincidenza di quel fenomeno in chiave di trasfomazione dello status quo
(in realt qualcosa col tempo riusc a produrre proprio in senso riformistico), in particolare in rapporto alle potenzialit di innovazione legate alla
vertenza che aveva guidato lui. Scriveva: Loccupazione delle terre un
grave segnale di crisi, ma non presenta in pratica alcun serio pericolo. Un
concetto in qualche maniera sottolineato da una successiva notazione:
Molto pi rapida, pi estesa, pi organica e pi impressionante fu loccupazione delle fabbriche. In veste quasi giornalistica spiegava quello che
era accaduto nelle campagne italiane nel corso del Biennio Rosso: Loccupazione delle terre fu un fenomeno caratteristico dellItalia meridionale e
della Sicilia: avvenne in forma quasi pacifica e dur parecchi mesi (19191920)... Con la sovrabbondanza di grandi propriet fondiarie, gli immensi
170

L O C C U PA Z I O N E D E L L E FA B B R I C H E

spazi a coltura estensiva (latifundi), le tristi condizioni di vita dei contadini


indusse le associazioni dei reduci ad occupare parte di queste terre e ad affermare, in modo semplicistico e illegale, un diritto di propriet che la propaganda durante la guerra aveva loro promesso28. Poche parole che
spiegano meglio di mille trattati il rapporto di causa ed effetto tra la Grande
Guerra e i movimenti sociali che si svilupparono a pace conclusa.

Su lOperaio Italiano analogie e differenze tra le vertenze italiana e francese

171

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
1

Bruno Buozzi, discorso alla Camera del 9 luglio 1920; in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943), Fondazione Modigliani
Franco Angeli 1994, pag. 166
2
Ibidem pag. 161
3
Ibidem pag. 162
4
Ibidem pag. 167
5

Ibidem pag. 161-2


Mario Isnenghi: Storia dItalia. I fatti e le percezioni dal Risorgimento alla societ dello
spettacolo Laterza 2011, pag. 403
7
Ivi
8
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi sindacalista riformista Franco Angeli
1984, pag. 38
9
Antonio Gramsci: Democrazia operaia, LOrdine Nuovo 21 giugno 1919. Citazione
da Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume Edizione Avanti! 1955, pag. 50
10
Ibidem pag 52
11
Pietro Nenni: La lotta di classe in Italia Sugarco 1987, pag. 169
12
Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Riccordi, commenti, inediti a cura di
Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi, 2004, pag. 63
13
Bruno Buozzi: Loccupazione delle fabbriche, Almanacco Socialista, 1921; in Aldo
Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (19101941), Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag 139
14
Ivi
15
Ibidem pag. 140
16
Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume Edizione Avanti! 1955, pag. 57
17
Ibidem pag. 58
18
Mario Isnenghi: Storia dItalia. I fatti e le percezioni dal Risorgimento alla societ
dello spettacolo Laterza 2011, pag. 402
19
Antonio Gramsci: La domenica rossa, Avanti! 5 settembre 1920, articolo non firmato.
In Mario Isnenghi op. cit. pag 382
20
Filippo Turati: Il controllo operaio sulla fabbrica in Giuliano Pischel: Antologia
della Critica Sociale 1891-1926", Lacaita 1992, pag. 449
21
Bruno Buozzi: Loccupazione delle fabbriche dallAlmanacco Socialista 1920; in Aldo
Forbice (a cura di). Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (19101943)", Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 145
22
Bruno Buozzi: Loccupazione delle fabbriche quindici anni dopo, Almanacco Socia6

172

L O C C U PA Z I O N E D E L L E FA B B R I C H E

lista 1935 in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e
discorsi (1910-1943) Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 153
23
Ivi
24
Bruno Buozzi: Loccupazione delle fabbriche op. cit., pagg. 145-6
25
Bruno Buozzi: Loccupazione delle fabbriche quindici anni dopo, op. cit. pag 153
26
Bruno Buozzi relazione al sesto congresso della Fiom, Milano 24-26 aprile 1924; in
Bruno Buozzi scritti e discorsi Editrice Sindacale Italiana 1975, pag. 171
27

Bruno Buozzi: Loccupazione delle fabbriche op. cit., pag. 148


Bruno Buozzi Vincenzo Nitti: Fascismo e sindacalismo pagg. 78-79 Quaderni della
Fondazione G. Brodolini - Marsilio 1988

28

173

Finch esiste uneconomia capitalista, dovete


fare i conti con i bilanci capitalisti

Rivoluzioni e polemiche

Lavoratrici e lavoratori con i propri figli in festa in Francia davanti


a una Casa degli emigranti. Dopo il Biennio Rosso e lavvento del fascismo
Buozzi a Parigi si occup in particolare dei connazionali allestero

Le fabbriche riaprirono, i lavoratori tornarono nelle officine ma


non ci volle molto tempo per capire che loccupazione delle fabbriche aveva
lasciato ferite profonde che furono rese ancor pi sanguinanti dalle polemiche, dalle contrapposizioni, dalle scissioni: una costante della sinistra
italiana, di ieri, di oggi, probabilmente anche di domani. Quasi inavvertitamente lItalia scivol nella sua notte pi lunga e buia. Loccupazione delle
fabbriche, fu una grande battaglia sindacale, che ebbe, per, conseguenze
molto pi ampie che riguardarono la sinistra e, in generale, gli equilibri politici italiani. Nata sul terreno economico, quella vertenza si trasform nella
chiave di volta (o, almeno, in una delle chiavi di volta) di tutto quello che
avvenne successivamente. La Fiom e la CGdL finirono al centro di polemiche, trascinate nel gorgo di interpretazioni contrapposte. Ad esempio a
Bruno Buozzi, anni dopo, venne contestato lerrore di essere caduto nel tranello teso da Giolitti: il controllo sulle produzione che non vide mai la luce
perch la legge non fu mai approvata; il vecchio uomo politico piemontese,
secondo queste interpretazioni aveva utilizzato strumentalmente questa soluzione (rimasta una promessa) per consentire il rientro nelle fabbriche dei
lavoratori, sostanzialmente gabbando tanto gli operai quanto gli ingenui
sindacalisti. Sorsero, poi, anche le discussioni relativamente al rapporto di
causa ed effetto tra loccupazione delle fabbriche e la conquista del potere
da parte di Mussolini. Questione dagli aspetti mutevoli, a seconda che la
critica partisse da destra o da sinistra. Da una parte, infatti, si metteva in
luce il clima di allarme generato dal pericolo di una rivoluzione bolscevica, allarme che sarebbe diventato una sorta di collante di tutti quei poteri
forti (industriali del nord e agrari del sud) che avrebbero scortato Mussolini
sin sotto il balcone di Palazzo Venezia. Dallaltra parte, invece, si sottolineava come il fatto di non aver portato loccupazione delle fabbriche alle
177

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

estreme conseguenze, la rivoluzione, la lotta armata per la conquista del


potere, aveva di fatto spianato la strada al golpe (Lev Trotsky, ad esempio,
scriveva in un articolo del 1922 per La Correspondance Internationale:
Mussolini e i suoi fascisti, dopo aver esteso la loro influenza in tutto il paese,
grazie allinsuccesso della rivoluzione del 20 alla quale non era mancato
che un partito rivoluzionario, si sono ritrovati a dover prendere il potere e la
borghesia ha ceduto loro questo potere). In mezzo restava Giolitti che questo esito rivoluzionario lo aveva associato, in tempi non sospetti, alla partecipazione dellItalia alla guerra. Si trattava solo di stabilire quale
coloritura avrebbe assunto, cosa, peraltro, che non gli imped di comportarsi
come un pendolo, cercando voti a sinistra e pasticciando, nel finale, con
Mussolini. Al pari di altri, comunque. La sintesi pi brillante lha offerta
Mario Isnenghi: La rivoluzione le sinistre la dicono e la cantano come nel
lamentoso ululato E noi fareeeemo / come la Russia... , tutto un programma
di recriminazione, pi che di affermazione -, ma chi poi prova veramente a
innescarla e a suo modo vi riesce, giostrando fra la parola e la cosa, sono le
destre: col benestare delle destre tradizionali e non solo il loro, questa nuova
destra intessuta di agitatori sociali e uomini di sinistra pi o meno redenti e
arresi, allinsegna della reversibilit sovversiva1.
E poi ci sono le conseguenze nel campo stesso della sinistra. Loccupazione delle fabbriche che viene trasformata in Occasione. Di polemiche, di accuse, di scissioni (due nel giro di ventuno mesi) ed espulsioni. E
di scomuniche a livello internazionale, con la i minuscola e anche maiuscola quando al sostantivo si aggiunge un dato numerico declinato romanamente (III). Una cosa certa: loccupazione delle fabbriche fu un
riferimento tanto per Lenin per definire i quarti di aristocrazia comunista,
quanto per Gramsci che vide, insieme ai suoi compagni dellOrdine Nuovo,
nella vicenda tutti i segnali di un tradimento ordito alle spalle del proletariato. E per essere traditi, ci vogliono i traditori: Bruno Buozzi che troppo
immerso nella sua logica gradualista fin per smarrire la coscienza del
tempo e dei fatti; impegnato a considerare la rivoluzione un percorso realizzabile utilizzando le strade borghesi (il voto, le riforme economico-sociali, il riconoscimento sempre pi ampio di diritti e garanzie), non si
accorse che, al contrario, Torino aveva assunto i contorni di Pietrogrado.
Lo storico inglese, Donald Sassoon, in maniera forse un po liquidatoria
178

RIVOLUZIONI E POLEMICHE

fornisce questa interpretazione dei fatti: La generale occupazione delle


fabbriche del 1919-20 (il biennio rosso) sfoci in una sconfitta. Il Psi e i
sindacati mostrarono di non essere capaci di usare il movimento per gli
scopi rivoluzionari come avevano fatto i bolscevichi , n per quelli riformisti, come avevano fatto i socialdemocratici tedeschi. O i socialdemocratici austriaci2. Ingenerosa ma in parte fondata. Perch molto prima di lui,
quellanalisi laveva sviluppata proprio Bruno Buozzi, in un articolo apparso su lOperaio Italiano. Affermava impietosamente: Laria che respiriamo tutta viziata scriveva il Corriere della Sera. Allabdicazione
e allimpotenza del governo fanno riscontro lindifferenza dei cittadini e
la complicit dei loro rappresentanti in Parlamento... Chi ha vissuto quelle
giornate di passione, chi ha respirato laria di quei giorni, sa perfettamente
che nelle grida della stampa borghese e nelle risposte della Confederazione
del Lavoro, vi era una assoluta aderenza alla situazione del Paese. Solo a
non capire, era il Partito Socialista, allora diretto dai comunisti, che al
congresso di Bologna, avevano raccolto nientemeno che il 76 per cento dei
voti. Egidio Gennari, oggi a Mosca, era il segretario; Nicola Bombacci il
vice-segretario; Giacinto Menotti Serrati dirigeva l Avanti!. Questi uomini erano addirittura ossessionati dallopposizione, colta e implacabile,
dei giovanissimi che componevano il gruppo dell Ordine Nuovo di Torino. Questi e quelli, preoccupati soprattutto di difendere la loro egemonia
sul Partito, e di avere la simpatia di Mosca, perdevano di vista la situazione
italiana. Serrati grande propagandista e incertissimo uomo dazione
diceva che non era ancora scoccata lora. Gennari reclamava la rivoluzione , ma voleva che a dirigerla ci stesse DAragona. Terracini, Gramsci
e Togliatti incitavano Gennari e Serrati allazione, ma aggiungevano che
il loro Piemonte sul quale si riponevano tante speranze era appena in
condizione di difendersi3.
Ma non si fermava qui, Buozzi, cio a una ricostruzione che poteva
apparire soggettiva. Citava un esempio a conferma di questa confusione
che aveva finito per paralizzare il Psi (una paralisi che, a livello politico,
in quegli anni, lo porter a compiere delle scelte a dir poco incomprensibili
e che finiranno per agevolare Mussolini). Raccontava: Intanto l Avanti!,
organo del Partito, usciva in due edizioni che si contraddicevano quotidianamente malgrado che Serrati fosse il direttore di entrambe. Ricordo i com179

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

menti di chiusura dellagitazione delloccupazione delle fabbriche. Ledizione


di Milano considerava il controllo come una mistificazione o una corruzione.
Il controllo scriveva di per se stesso collaborazione. Se fatto veramente
sul serio, conduce inevitabilmente a trasformare gli operai in aiuti interessati
della gestione borghese. I borghesi avranno larrosto, i proletari il fumo...
Ledizione torinese, invece, commentava in questi termini: Oggi rileviamo
solo che il concordato steso, sia pure nella forma insolita di un accordo ministeriale, segna una clamorosa, indistruttibile vittoria. Esso stabilisce il controllo su tutte le aziende, e non il controllo di Stato, ma quello sindacale...
Nessunaltra soluzione poteva trovarsi migliore, nel campo teorico. Rimane
evidentemente alla classe lavoratrice il compito di effettuare lattuazione nelle
forme e con lo spirito pi corrispondente ai suoi interessi ed alle sue aspirazioni. Dopo pochi giorni lo stesso Avanti! usciva in questa affermazione:
le conquiste sono rivoluzionarie quando sono allo stato di richiesta e diventano conservatrici quando sono un fatto compiuto. Sarebbe come dire che il
diritto di sciopero, una volta conquistato diventa conservatore; che la rivoluzione russa, poich stata fatta, diventata conservatrice4.
La confusione continuer anche dopo. A rileggere le ricostruzioni,
i documenti, le analisi depoca si ha limpressione di un circuito che a un
certo punto era saltato. Da un lato, i proclami rivoluzionari anche ricchi di
idealit ma declinati in maniera velleitaria (come aveva detto Buozzi in una
relazione congressuale: Non voglio che la lotta di classe si trasformi in
zuffa di classe), dallaltro un realismo che non riusciva a trovare modi e
tempi di realizzazione coerenti. Da questo punto di vista, una prova si ricava
dalle valutazioni che anni dopo loccupazione delle fabbriche, fece Pietro
Nenni, uno che allepoca, nellet giovanile non disdegnava le zuffe di
classe, anche per via del sanguigno dna romagnolo: Se da un punto di
vista puramente sindacale il proletariato poteva essere orgoglioso per la
conquista del controllo operaio (conquista del tutto platonica perch non
fu mai posto in essere il controllo e il progetto di legge si perse tra i cartoni
polverosi degli archivi ministeriali), dal punto di vista politico il vincitore
era il governo. evidente scriveva l Avanti! - che non solo una vittoria degli operai ma pure di Giovanni Giolitti... Dal punto di vista rivoluzionario, una sconfitta operaia in un combattimento sanguinoso avrebbe
avuto pi valore di una mezza vittoria, che lorganizzazione operaia doveva
180

RIVOLUZIONI E POLEMICHE

allintervento del governo. Effettivamente il proletariato usciva dalla battaglia indebolito e scoraggiato, mentre la borghesia che aveva provato il
brivido dellesproprio, fece decisamente sue idee di repressione e violenza5. Levocazione epica della piazza, dello scontro, indipendentemente
dal suo esito, sembra fare capolino in questa antica interpretazione nenniana. Unepica un po fine a se stessa perch, poi il combattimento sanguinoso avrebbe portato probabilmente alla sconfitta. Per un lungo elenco
di motivi: la forza politica ed economica della borghesia industriale, il controllo delle strutture preposte alla gestione dellordine pubblico, cio della
piazza, la mancanza di una adeguata preparazione militare e di un adeguato equipaggiamento per imbarcarsi in un processo rivoluzionario che,
nelle condizioni date, non poteva che assumere connotati violenti. Polizia
ed esercito, a Torino, in occasione della rivolta del pane nel 1917, sorprendendo Gramsci, non avevano deposto le armi davanti ai proletari affamati. I proletari in divisa, come li avrebbe tanti decenni pi tardi definiti
Pier Paolo Pasolini, non si intenerirono e fecero 41 morti. Un dettaglio che
non sfuggiva a Bruno Buozzi: La presa di possesso delle fabbriche un
movimento rivoluzionario che ha per obiettivi dei miglioramenti. Se il movimento dovesse diventare prettamente comunista sarebbe infranto. O si ha
una forza materiale di guerra e noi non labbiamo, nel mentre abbiamo una
grande forza spirituale ma senza la forza materiale non si vince6.
Pietro Nenni, in quel suo racconto, evocava anche latteggiamento
di Mussolini: ambiguo, soprattutto se valutato in rapporto a quel che sarebbe accaduto dopo. Scriveva Nenni a proposito dellarroganza della
stampa borghese intervenuta a sostegno delle posizioni degli industriali:
Una sola eccezione a questa tracotanza. Mussolini nel suo Popolo dItalia difendeva la neutralit del governo: Chi pu affermare aggiungeva
che intervenendo in maniera forte non avrebbe acceso un incendio infinitamente pi difficile da domare. E sulla base stessa del problema egli
prendeva posizione a favore del controllo operaio che esaltava come una
vera rivoluzione, stabilendo nelle fabbriche gli uguali diritti del capitale e
del lavoro. Il fascismo era ancora un movimento insignificante, senza direttive e senza inquadramento. Ma, due mesi pi tardi, dopo il successo dei
socialisti nelle elezioni comunali, che valsero al proletariato la conquista
di 2.162 comuni e di 26 amministrazioni provinciali, il fascismo, fino ad
181

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

allora inesistente, fece la sua comparsa. Allora risuon nella valle del Po
il grido A noi!. Nel frattempo il proletariato per facilitare il compito dei
suoi nemici si divideva7. Gli interventi giornalistici a cui faceva riferimento Nenni, confermavano la posizione tenuta da Mussolini nel colloquio
con Buozzi (che abbiamo riportato nel precedente capitolo). Il leader socialista ha ragione quando afferma che in quel momento il fascismo un
movimento ancora in fasce ma diventer adulto piuttosto rapidamente
anche per le sottovalutazioni e le disattenzioni di chi avrebbe dovuto contrastarlo. In quel 1920 era ancora solida lidea anche in uomini politici navigati come Giolitti e Turati che alla fine Mussolini si sarebbe liberato dei
gaglioffi, avrebbe costituzionalizzato il suo partito. I calcoli dicono che
nei due anni che precedettero la marcia su Roma, negli scontri politici
rimasero uccisi trecento fascisti e ben tremila loro avversari, socialisti in
particolare. E fu un crescendo rossiniano tanto vero che alla fine del 1921
si contavano in media una dozzina di aggressioni al giorno. Nelluso dello
strumento dellambiguit, Mussolini era un vero maestro. In quei mesi in
cui le fabbriche erano occupate e si discuteva di Controllo, lui nei comizi
in piazza urlava: Noi siamo storicamente sul piano rivoluzionario dal 1915.
Noi dobbiamo marciare davanti ai lavoratori. Si devono dunque accettare
i postulati della classe operaia. Domander le otto ore. I minatori e gli ope-

Stalin, Lenin e Trotsky vedevano nel Biennio Rosso le condizioni rivoluzionarie

182

RIVOLUZIONI E POLEMICHE

rai notturni reclameranno domani le sei ore. E le assicurazioni sociali per


la vecchiaia e per linvalidit e il controllo sulle industrie? Noi appoggeremo tutte le sue domande soprattutto perch vogliamo a poco a poco rendere le classi operaie capaci di evitare gli sfruttamenti... Democrazia
economica! Ecco la nostra bandiera!... Il Senato deve essere soppresso (non
per risparmiare quattrini ma perch premiava con la nomina regia solo il
censo, n.d.a.)... Vogliamo che sia cancellato questo organismo feudale della
nostra organizzazione costituzionale. Noi vogliamo una Assemblea Nazionale che dovr decidere se lItalia deve essere una monarchia o una Repubblica (ma poi sar il Re a mandarlo al potere, n.d.a.). Noi rispondiamo sin
dora Repubblica! Noi siamo decisamente contro ogni sorta di dittatura8.

7.1 Le giravolte di Benito Mussolini

Resisteva ancora nel suo messaggio (venato anche di populismo)


la vecchia anima sociale. Veniva tenuta in vita per motivi strumentali. In
quel momento, probabilmente, i suoi programmi non erano ancora chiari,
definiti. Tanto vero, che nonostante gli assalti alle Camere del Lavoro, le
bastonature dei politici e dei militanti di sinistra, nellagosto del 1921 firm
un patto di pacificazione con i socialisti: ridicolo parlare come se la
classe operaia si stesse avviando al bolscevismo... Difender questo patto
con tutte le mie forze9. Evidentemente doveva essere debilitato perch nel
novembre dello stesso anno, al congresso fascista di Roma se lo rimangi
facendo intendere che era stato indotto a quel passo dalla necessit di bloccare alcuni tentativi scissionisti. Altri individuarono in quella mossa lespediente per affrancarsi da industriali e agrari: esercizio complicato visto che
lo pagavano. E che avevano gi cominciato a rimettere le cose a posto:
le indennit per adeguare i salari al caro vita stabilite nel 1920 furono denunciate; lAmma, lAssociazione Metallurgici Meccanici e Affini, a sua
volta nel luglio 1921 provvide a contestare lapplicazione dei concordati.
Il tutto mentre la sinistra si sfaldava con la scissione comunista che produceva una guerra senza quartiere allinterno della Fiom (con Buozzi nel mirino) al convegno del 2-4 ottobre.
La vicenda sindacale in quei mesi incrociava in maniera chiara
quella parlamentare. Bruno Buozzi avrebbe voluto un altro atteggiamento
verso la questione del governo da parte dei socialisti che, paralizzati dai
183

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

loro litigi e dagli ondeggiamenti tra lala massimalista e quella riformista,


finirono per accelerare la discesa del Paese verso gli inferi della dittatura.
E mentre Turati tuonava alla Camera contro le violenze fasciste (Il governo (come dimostrato dai fatti accennati), e sopra tutto le sue autorit,
assistono impassibili e complici allo scempio della legge. La giustizia privata funziona regolarmente, sostituendosi alla giustizia pubblica ed giustizia sommaria... dunque una burla pensano i lavoratori lo Stato
democratico che dovrebbe assidersi sulla definizione della legge uguale
per tutti), Giuseppe Emanuele Modigliani nel congresso socialista che si
svolse a ottobre a Milano prov a farsi portavoce della proposta di un governo di coalizione socialdemocratico. A un esecutivo di coalizione guardava anche Bruno Buozzi, con i cattolici popolari. Pensava che questa fosse
lunica via per sbarrare la strada a Mussolini. Lo aveva anche proposto
chiaramente, in un direttivo del partito dell11 febbraio del 1922: Se si
uscir dalla linea dellintransigenza, non ci si potr fermare alla collaborazione sul puro piano parlamentare, ma si dovr giungere fino alla partecipazione effettiva al governo. Secondo il mio punto di vista, le maggiori
garanzie, a questo proposito, ci possono essere date dal Partito Popolare10.
Forse questa attenzione, sviluppata in anticipo rispetto ad altri, gli
forn, nei giorni della trattativa per il Patto di Roma e la ricostituzione della
Cgil, una chiave per entrare in sintonia con Achille Grandi e Alcide De Gasperi. Ricordando la figura del sindacalista, Leo Valiani ha detto: Fu il
solo ad avere un programma tuttinsieme coraggioso e realizzabile: lingresso del partito socialista in un governo democratico presieduto da un
riformista. Rimase isolato a destra e a sinistra. La sconfitta gli diede ragione. La sconfitta arriv con la risposta pronunciata da Giacinto Menotti
Serrati: Il Partito non pu accettare la collaborazione in quanto da tempo
ha rigettato la posizione pragmatista: c una crisi in atto nella borghesia,
la quale si difende col fascismo attaccando le migliori resistenze, da un
lato ed accarezzando, dallaltro, le possibilit collaborazioniste11. Rilette
oggi, queste parole danno il senso della cecit dogmatica che allora imped
al Psi di prendere atto del ruolo politico che derivava dalla sua forza numerica, dellinfluenza che avrebbe potuto esercitare sulla storia dItalia:
quel consenso aveva bisogno di uno sbocco positivo, per il partito e per il
Paese, ma, come spesso accaduto alla sinistra in Italia, il Psi rimase in
184

RIVOLUZIONI E POLEMICHE

mezzo al guado, tra inazione e velleit rivoluzionarie, tra pragmatismo e


improbabili aneliti pietrogradesi. Un dogmatismo, comunque, che trovava
alimento indiretto anche nelle contraddizioni delle altre forze politiche, ad
esempio i Popolari (a cui guardava Buozzi), divisi tra unala chiaramente
conservatrice ispirata dalle gerarchie ecclesiastiche e unala solidaristica
che interpretava il ruolo del partito in chiave progressista.
Buozzi forse pi di Nenni riusciva a percepire, passando da una fabbrica a unaltra, da una citt ad unaltra che il movimento fascista, poteva
anche avere le sembianze di un neonato ma era pericoloso perch si basava sul revanscismo di categorie che, dopo la militarizzazione delle fabbriche, non tolleravano pi il gioco democratico, il confronto con le
controparti, la ricerca di un punto di mediazione. Quelle categorie avevano
sperimentato il principio dellobbedienza assoluta favorita dal controllo armato e adesso non volevano perdere quei privilegi. La stessa crisi a cui gli
industriali si erano aggrappati allinizio dellagitazione che avrebbe portato
alloccupazione delle fabbriche, in realt si era attenuata: la bilancia commerciale stava migliorando, il settore turistico era in espansione e dopo
loccupazione delle fabbriche la conflittualit era diminuita (in particolare
nel 1922, lanno della marcia su Roma). Il clima surriscaldato, insomma,
non era dovuto ai lavoratori ma alle squadracce fasciste che dal loro punto
di vista facevano un lavoro egregio. Come emerse in occasione dello sciopero proclamato in risposta alle violenze. Le squadracce ne approfittarono
per mettere a ferro e fuoco, il 2 agosto del 1922, ad Ancona tutte le sedi socialiste replicando lazione a Livorno e a Genova. Quindi, il 3 e 4 agosto si
dedicarono a Milano, roccaforte del Psi. Entrarono nella sede dell
Avanti!, distrussero la tipografia, quindi marciarono alla volta del Municipio dove Roberto Farinacci cacci lamministrazione comunale consentendo a Gabriele DAnnunzio di parlare dal balcone del palazzo.
Il dopo-occupazione delle fabbriche fu, per Buozzi e la Fiom, un
momento terribile. Le sedi della Federazione venivano spesso devastate. A
un certo punto fu costretto a chiedere ospitalit alla Cil, lorganizzazione
cattolica e Giuseppe Rapelli, che intratteneva col collega socialista rapporti
amichevoli, gliela offr. Per organizzare un minimo di resistenza fu creata,
nel febbraio del 1922, lAlleanza del Lavoro con un comitato nazionale
in cui confluirono CGdL, Usi, UIdL, ferrovieri e lavoratori del mare. Nel
185

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

frattempo, venivano perseguiti in maniera strumentale dalla magistratura


quei lavoratori che erano stati particolarmente attivi nelle vertenze del 1919
e del 1920. Bruno Buozzi avrebbe voluto una scelta da parte del Psi in occasione delloccupazione delle fabbriche. Ancora di pi lavrebbe voluta nel
momento in cui i segnali dellavanzata del fascismo erano chiari e decisamente preoccupanti. Il messaggio contenuto in uno scritto del 1935, non riguarda pi tanto il versante sindacale ma quello dei suoi compagni di partito
che tra il gennaio del 1921 e lottobre del 1922 avevano dato vita a due scissioni (prima quella comunista, poi quella determinata dallespulsione dellarea riformista guidata da Turati, Matteotti e Treves che diede vita al Psu)
indebolendo cos i lavoratori.
Scriveva: Porre oggi la domanda se loccupazione delle fabbriche
avesse potuto avere uno sbocco politico capace di evitare lavvento del fascismo e di avviare anzi lItalia verso il socialismo, forse superfluo. Una
cosa per va detta anche perch obbiettivamente dimostrabile, se si vuole
che lesperienza del passato serva di ammaestramento per lavvenire; e cio
che il movimento socialista manc essenzialmente di decisione. Il congresso
di Bologna del 1919 aveva dato una enorme maggioranza ai comunisti. La
direzione uscita da questo congresso, a un certo momento ebbe a sua disposizione 156 deputati, 2.800 comuni e 29 province in maggioranza socialiste, quasi due milioni di iscritti alla Confederazione del Lavoro e 8.000
cooperative nella quasi totalit dirette dai socialisti. Con queste imponenti
forze che rappresentavano il pi importante movimento politico ed economico in Italia il partito non seppe decidersi n per la rivoluzione, n
per la partecipazione al potere. Esso non comprese che ci sono dei periodi
in cui la peggiore strada quella dellinazione12 E in unaltra occasione
ancora pi schiettamente afferm: Noi possiamo dire che mai nessun movimento sindacale, di nessun paese del mondo, ha offerto al movimento politico unoccasione cos propizia per compiere un movimento rivoluzionario.
Durante lagitazione delloccupazione delle fabbriche noi ci siamo sforzati
di contenere lagitazione nei limiti di carattere sindacale. C stato per un
certo momento che poteva avere uno sbocco di carattere politico. Il partito
era in mano a voi (ai comunisti, n.d.a): cera Gennari, e bastava che la direzione del partito avesse detto: noi prendiamo le redini del movimento e
lagitazione la dirigiamo noi, perch lagitazione fosse diretta dal partito13.
186

RIVOLUZIONI E POLEMICHE

In quello scritto del 1935, Buozzi svelava un altro aspetto, cio lo


scontro interno alla frazione comunista tra i capi del partito e il gruppo dellOrdine Nuovo. Diceva: A trattenere il partito dallazione contribuirono
senza dubbio i dissensi che separavano proprio la maggioranza comunista.
Fra la direzione del partito, capeggiata da Serrati e Gennari, e il gruppo
dell Ordine Nuovo di Torino capeggiato da Gramsci, Terracini e Togliatti,
il dissidio era durante loccupazione delle fabbriche infinitamente pi
aspro che fra comunisti e socialisti... La causa principale della sconfitta del
movimento socialista italiano va addebitata alla mancanza di decisione degli
organi dirigenti del partito. Ma cera unaltra questione che stava a cuore a
Buozzi: contestare la tesi che loccupazione delle fabbriche avesse spianato
la strada alla reazione e alla violenza fascista. Anzi in un articolo del 1929 illustrava una opinione totalmente opposta: Loffensiva padronale fascista
gi in potenza nel 1920 sub un ritardo di qualche anno per merito delloccupazione delle fabbriche. Ed essa si sferr in pieno quando, padronato e
fascismo, constatarono che la scissione provocata da Mosca aveva reso impossibile ogni concreta azione al socialismo italiano14. Ribadir il concetto
sotto altre forme: Credo di poter affermare che in Italia il fascismo trov
terreno fertile per la sua propaganda non tanto nei grandi movimenti proclamati dalle organizzazioni pi forti e disciplinate, quanto nel malcontento
provocato da innumerevoli piccoli scioperi che turbavano lopinione pubblica perch basati su futili questioni che lintervento tempestivo dellorganizzazione sindacale avrebbe potuto facilmente risolvere15.

7.2 Lo scontro con Gramsci e lOrdine Nuovo

Nelle sue analisi Buozzi da un lato contestava il rapporto di causa


ed effetto tra loccupazione delle fabbriche e lavanzata del fascismo; dallaltro attribuiva allOrdine Nuovo e a Gramsci la colpa di aver frantumato
e indebolito il fronte proletario; dallaltro ancora, puntava il dito contro
Mosca colpevole di aver favorito la scissione di Livorno (in quel caso, la
CGdL e Bruno Buozzi confermarono il patto di alleanza con il Psi; dopo
luscita dei riformisti, nel 1922 il sindacato si riprese lautonomia, tra laltro
il segretario della Fiom segu i suoi maestri, Turati, Treves e Matteotti nel
Psu). Loccupazione delle fabbriche svolse un ruolo decisivo nella scissione
livornese. Daltro canto, il dibattito era stato in quegli anni, tutto incentrato
187

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

sul versante sindacale: forme di rappresentanza, democrazia interna, partecipazione. Con loccupazione delle fabbriche entr in ballo il ruolo stesso
dellorganizzazione dei lavoratori, la sua funzione rispetto agli obiettivi
del partito ed era inevitabile che i comunisti entrassero in rotta di collisione
con Buozzi. Da un lato, la tesi che il sindacato fosse unarma del processo
rivoluzionario, pi o meno al servizio del partito (la cinghia di trasmissione
che resister almeno sino alla met degli anni Cinquanta quando timidamente Giuseppe Di Vittorio comincer a metterla in discussione, per finire
in crisi allinterno dello scontro tra Enrico Berlinguer e Luciano Lama
nella prima met degli anni Ottanta); dallaltro, unidea delle organizzazioni dei lavoratori che, impegnate sul versante economico, devono operare per far avanzare diritti e garanzie sui luoghi di lavoro e nella societ,
non strumenti finalizzati alla spallata ma pragmatici costruttori di un futuro migliore in cui il socialismo lobiettivo finale raggiungibile anche
con metodi democratici.
I toni di Gramsci divennero sempre pi duri, le accuse sempre pi
dirette. Il primo terreno di scontro era stato quello dei Consigli che Gramsci
descriveva in questo modo: Lesistenza del Consiglio d agli operai la diretta responsabilit della produzione, li conduce a migliorare il lavoro, instaura una disciplina cosciente e volontaria, crea la psicologia del
produttore, del creatore di storia. Gli operai portano nel sindacato questa
nuova coscienza e dalla semplice attivit di lotta di classe, il sindacato si dedica al lavoro fondamentale di imprimere alla vita economica e alla tecnica
del lavoro una nuova configurazione, si dedica a elaborare la forma di vita
economica e di tecnica professionale che propria della civilt comunista.
In questo senso i sindacati, che sono costituiti con gli operai migliori e pi
consapevoli, attuano il momento supremo della lotta di classe e della dittatura del proletariato: essi creano le condizioni obiettive in cui le classi non
possono pi rinascere16. Nulla di pi lontano dal concetto di rappresentanze
dedite alla soluzione dei problemi dei lavoratori che coltivava Buozzi che,
infatti, non aveva grande fiducia nei Consigli e guardava con sospetto anche
quel coagulo di organizzati e disorganizzati, una confusione che lo faceva ritornare ai tempi dello scontro con i sindacalisti rivoluzionari. Per semplificare: il sindacato era per Buozzi strumento di tutela sui luoghi di lavoro; per
Gramsci invece mezzo di didattica rivoluzionaria, perci inevitabilmente
188

RIVOLUZIONI E POLEMICHE

subordinato al partito; il sindacato di Buozzi difendeva, quello di Gramsci


educava alla rivoluzione favorendola. Un anno pi tardi, lintelletuale comunista precisava meglio il concetto: Il Consiglio tende per la sua spontaneit
rivoluzionaria a scatenare in ogni momento la guerra delle classi... I rapporti
tra sindacato e Consiglio devono creare le condizioni in cui luscita dalla legalit, loffensiva della classe operaia avvenga quando la classe operaia ha
quel minimo di preparazione che si ritiene indispensabile per vincere durevolmente17. Poi, dopo la scissione, Gramsci cominci a dedicarsi ai vertici
della CGdL che avevano confermato il patto di alleanza con il Psi. E nelle
critiche scaricava, evidentemente, i risentimenti accumulati con la conclusione delloccupazione delle fabbriche in un modo che non era piaciuto agli
operai torinesi. E anche lirritazione nei confronti di Serrati che a Livorno
aveva deciso di non accettare le condizioni poste da Lenin per ottenere lattestato di purezza rivoluzionaria.
Scriveva: Il Partito socialista completamente caduto nelle mani
della burocrazia sindacale che, del resto, col suo personale e coi mezzi
dellorganizzazione, aveva procurato la maggioranza alla tendenza unitaria; il Partito socialista ridotto a far da giannizzero ai mandarini e ai
condottieri che sono alla testa delle Federazioni e della Confederazione...
La lotta per la formazione e per lo sviluppo dei Consigli di Fabbrica e di
azienda crediamo sia la lotta specifica del Partito Comunista18. Lattacco
pi violento, Gramsci lo sferrava il 23 giugno del 1921. Il titolo dellarticolo: Mandarini. E spiegava: Il mandarinato una istituzione burocratico-militare cinese, che, su per gi, corrisponde alle prefetture italiane. I
mandarini appartengono tutti a una casta particolare, sono indipendenti
da ogni controllo popolare. Esattamente come i Mandarini, erano i funzionari sindacali riformisti che disprezzano le masse, sono convinti che
gli operai sono tante bestie, senza intelligenza, senza carattere, senza principi morali19. Agli occhi di Gramsci, i dirigenti sindacali erano una casta
di Penelopi: Di giorno rivoluzionari, nei comizi, nella propaganda, tessono la tela rivoluzionaria, parlano di comunismo, di soviet, di internazionalismo; di notte i riformisti, tranquillamente padroni del meccanismo
confederale, distruggono questa tela, rovinano i movimenti rivoluzionari,
legano mani e piedi alla classe operaia e labbandonano alla vendetta dei
capitalisti. Cosa stato il congresso di Livorno? La prova che il Partito
189

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

socialista era prigioniero di mandarini sindacali: infatti i cosiddetti unitari


preferirono uscire dallInternazionale comunista, pugnalare alla schiena
la Russia dei Soviet, separarsi da 58.000 operai comunisti piuttosto che
separarsi da 14.000 riformisti, tra i quali troneggiavano i supermandarini
DAragona, Buozzi, Bertero e compagnia gialla20. Lattacco nazionale, si
legava a quello Internazionale. Lenin per accogliere il Psi nel Cominten
aveva posto ventuno condizioni, tra le quali il cambio del nome e lespulsione dei riformisti. Nasceva cos, diretta filiazione delloccupazione delle
fabbriche la categoria, poi spesso evocata del socialtraditore.
Da Mosca premevano per dare un indirizzo rivoluzionario alloccupazione delle fabbriche e Lenin coglieva loccasione per scatenare un
durissimo attacco a Turati e compagni, quindi anche a Buozzi: Il compagno Serrati ha, evidentemente torto, quando accusa il deputato Turati di
incoerenza mentre incoerente proprio il Partito Socialista Italiano che
tollera dei deputati opportunisti come Turati e compagni21. E citando un
servizio del Manchester Guardian aggiungeva: Il Signor Turati secondo questo corrispondente sostiene che il pericolo rivoluzionario non
tale da provocare in Italia timori che sarebbero infondati. I massimalisti
giocano col fuoco delle teorie sovietiche soltanto per mantenere le masse
in uno stato di tensione... La verit che le idee e il lavoro politico dei signori Turati, Treves, Modigliani, Dugoni e consorti sono effettivamente e
precisamente quali li rappresenta il corrispondente inglese. Questo vero
e proprio socialtradimento... Il compagno Bordiga e i suoi amici del giornale il soviet hanno ragione di esigere che il Partito socialista italiano,
se vuole essere realmente per la III Internazionale, scacci con ignominia
dalle sue fila i signori Turati e consorti e diventi un partito comunista non
soltanto di nome ma anche per le sue azioni22.
Lattacco di Lenin non era isolato anche se non ancorato in maniera
specifica alla questione delloccupazione delle fabbriche. Mosca, per,
aveva fatto sapere come la pensava (e cosa pensava anche dei riformisti)
con una lettera della commissione esecutiva della III Internazionale, firmata
dal presidente, Zinoviev, e dai membri Bukharin e Lenin, spedita prima che
la rottura delle trattative e le minacce di serrata inducessero i lavoratori a
prendere possesso degli impianti. I tre scrivevano: LItalia presenta oggi
tutte le condizioni garantenti la vittoria di una grande rivoluzione proleta190

RIVOLUZIONI E POLEMICHE

ria... Crediamo che da questo punto di vista il Partito socialista italiano


abbia agito e agisca ancora con troppa esitanza... Se noi esaminiamo la
causa di tale stato di cose, scorgiamo che la principale consiste nel fatto
che il Partito contaminato da elementi riformisti o liberali borghesi, i
quali nel momento della guerra civile si trasformano in agenti della controrivoluzione, nemici della classe proletaria... Turati, Modigliani, Prampolini e tutti gli altri possono essere personalmente onestissimi, ma,
obiettivamente, essi sono i nemici della rivoluzione e come tali non debbono
punto trovar posto nel partito del proletariato comunista. Ogni discorso
parlamentare, ogni articolo, ogni opuscolo riformista per sua essenza
unarma intellettuale per la borghesia contro il proletariato... La frazione
parlamentare trascina seco lingombrante zavorra del riformismo e questo
impedisce a essa una linea dazione veramente rivoluzionaria23. Dal partito
al sindacato: si ritrovano alcune delle accuse presenti negli interventi di
Gramsci. Scrivevano Zinoviev, Bukharin e Lenin: Pi grave ancora la
situazione nei sindacati... Taluni dei posti pi importanti sono tenuti da elementi riformisti, da una cricca burocratica (i Mandarini gramsciani, n.d.a.)
che detiene lapparato direttivo sindacale e compie ogni sforzo per frenare
lo sviluppo della rivoluzione... Gli operai italiani sono per la rivoluzione e
i sindacati operai sono contro la rivoluzione... I dirigenti dei vostri sindacati
come DAragona e altri riformisti, collaborano colla borghesia... Il partito
deve escludere dal proprio seno i capi riformisti e mettere al posto di quelli
che fanno il gioco della borghesia i veri capi della rivoluzione proletaria24.
Loccupazione delle fabbriche come momento di scontro durissimo
per legemonia del partito e della rappresentanza proletaria. Che poi si attenu negli anni dellantifascismo quando, ad esempio, nel carcere di Turi,
Sandro Pertini, riformista (segu Turati nel Psu il 1 ottobre del 1922), incontr Antonio Gramsci, lideologo che maggiormente si era accanito contro la sua parte. Gli si avvicin in maniera prudente: Scusi, lei
lonorevole Gramsci? E Gramsci rispose: Che fai mi dai del lei? Non sei
antifascista anche tu? E Pertini: S, ma sono socialista... Perch dici
ma? chiese ancora Gramsci. Quello che sarebbe diventato il presidente
della Repubblica, replic: Perch quelli come me per voi comunisti sono
socialtraditori. E a quel punto laccusa venne meno: Lascia perdere, quellinsulto una aberrazione, io non lo approvo. Filippo Turati, invece, non
191

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

attese tanto a prendersi la rivincita su quellaccusa e al congresso di Livorno, quello della scissione, tra gli applausi disse: Quando avrete fatto il
Partito Comunista, quando avrete e non mi pare che ancora vi ci si avvii
molto rapidamente - impiantato i Soviety in Italia, se vorrete fare qualcosa
che sia rivoluzionaria davvero, che rimanga come elemento di civilt
nuova, voi sarete forzati, a vostro dispetto, ma dopo ci verrete, perch siete
onesti, con convinzione, a percorrere completamente la nostra via, a percorrere la via dei socialtraditori25.
Buozzi in realt non fren la rivoluzione, probabilmente non la favor, ma avrebbe accettato le decisioni del Partito se i suoi dirigenti avessero
mostrato maggiore risolutezza. Poi, ovviamente, resta da vedere se la situazione era realmente rivoluzionaria come dicevano Lenin, Zinoviev e Bucharin. E forse da questo punto di vista utile far ricorso a una analisi di
Nicolao Merker: Citando nel 1895 la ristampa dello scritto di Marx le
lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, Engels denunciava, infatti,
nellintroduzione labbaglio, dal 1848 alla Comune di Parigi di voler affidare labbattimento del capitalismo a colpi di sorpresa o anche a una
sola grande battaglia con combattimenti di strada e barricate: la storia
ha dato torto anche a noi; ha rivelato che la nostra concezione dallora
era illusione... Lironia della storia capovolge ogni cosa. Noi i rivoluzionari, i sovversivi, prosperiamo molto meglio con i mezzi legali che con i
mezzi illegali e con la sommossa26. Ma a quei tempi, al revisionismo
di Engels venivano preferite le certezze di Lenin.
Buozzi, alla fine, si era ritrovato fra due fuochi: quello fascista che
distruggeva le sedi del sindacato e quello comunista che avrebbe voluto distruggere i riformisti. Ma mentre Mussolini consolidava il suo potere, volle
rispondere, in maniera indiretta a Gramsci: Ai partiti che si dicono proletari incomberebbe anche lobbligo morale di non farsi incitatori di aspre
polemiche e di indisciplina nel movimento sindacale27. Il bilancio finale
delloccupazione delle fabbriche se da un punto di vista politico non fu
esaltante, comunque a livello pi strettamente sindacale qualcosa garant
anche se poi la conquista pi importante, il Controllo, non si trasform in
un atto concreto. Ma lui lo rivendic sempre come un suo successo, anche
quando molti anni pi tardi gli rinfacciarono di essere caduto nella trappola
del presidente del Consiglio: La Confederazione non accett mai alcuna
192

RIVOLUZIONI E POLEMICHE

turlupinatura di controllo offerta da Giolitti. Essa impose il principio


ahim non lattuazione del controllo dopo una lunga ed organica campagna di propaganda e con una battaglia che... fu la prima e la pi celebre
che sia mai stata combattuta28. Era una prima idea di cogestione che
Buozzi, peraltro, coltivava da tempo. Laveva gi illustrata un paio di anni
prima delloccupazione delle fabbriche: Saremmo degli incoscienti se non
ci accorgessimo come le necessit industriali del dopoguerra vanno creando delle condizioni nuove anche per il proletariato. tempo che lorganizzazione operaia dica la sua parola anche sui maggiori problemi
industriali29. E ne aveva accennato anche al congresso del 1918: La pretesa che le organizzazioni accampano con sempre maggiore vigore, in relazione allaumento delle loro forze, di discutere, direttamente o a mezzo
delle commissioni interne, di ogni cosa che nellofficina riguardi non solo
i salari ma la stessa distribuzione del lavoro, tende di per s a condividere
fra le maestranze e gli industriali la direzione delle officine30. Con loccupazione delle fabbriche si chiuse unepoca, anche se forse allora non se
ne ebbe completa percezione. Ma quella che si stava per aprire non prometteva assolutamente nulla di buono.

Mario Isnenghi: Storia dItalia. I fatti e le percezioni dal Risorgimento alla societ

dello spettacolo, Laterza 2011, pag.398


2

Donald Sassoon: Cento anni di socialismo. Le sinistre nellEuropa occidentale del XX

secolo Editori Riuniti 1997, pag. 85


3

Bruno Buozzi: La lotta per il controllo in Italia in lOperaio Italiano, 6 febbraio 1932;

ripreso da Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi, il riformista. Ricordi, commenti, inediti


a cura di Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pag. 91
4

Ivi

Pietro Nenni: La lotta di classe in Italia Surgarco 1987, pagg. 173-4

193

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
6

Aldo Forbice: La Forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista, Franco An-

geli 1984, pag. 47


7

Pietro Nenni, Ibidem pag. 175

Pietro Nenni, Ivi

Denis Mack Smith: Storia dItalia dal 1861 al 1997" Laterza 1997, pagg. 410-1

10

Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume Edizione Avanti! 1955, pag. 74

11

Gino Castagno, Ivi

12

Bruno Buozzi: Loccupazione delle fabbriche quindici anni dopo in Aldo Forbice (a

cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943), Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 154
13

Bruno Buozzi: Le condizioni della classe lavoratrice in Italia Feltrinelli 1973, pag. 36

14

Bruno Buozzi: Lanniversario delloccupazione delle fabbriche in lOperaio Italiano

12 ottobre 1929; ripreso da Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi,


commenti inediti a cura di Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pag. 65
15

Bruno Buozzi: Loccupazione delle fabbriche in Italia e Francia in lOperaio Italiano

15 luglio 1936 ripreso da Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi, commenti, inediti a cura di Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pag.121
16

Antonio Gramsci: Sindacato e Consigli, LOrdine Nuovo, 11 ottobre 1919

17

Antonio Gramsci: Sindacato e Consigli LOrdine Nuovo, 12 giugno 1920

18

Antonio Gramsci: La Confederazione Generale del Lavoro LOrdine Nuovo, 25 feb-

braio 1921
19

Antonio Gramsci: Mandarini LOrdine Nuovo, 23 giugno 1921

20

Ivi

21

Testimonianza in Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi commenti

inediti a cura di Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pag. 16


22

Ivi

23

Lettera dellInternazionale Comunista pubblicata su LOrdine Nuovo del 30 ottobre

1920
24

Ivi

25

Filippo Turati: discorso al congresso di Livorno, 15-21 gennaio 1921; in Giorgio Ben-

venuto Antonio Maglie: Il lavoratore ritrovato. La Crisi, il Sindacato, la Classe in cerca

194

RIVOLUZIONI E POLEMICHE

di identit, Fondazione Bruno Buozzi 2013, pagg. 288-9


26

Nicolao Merker: Marx. Vita e opere Laterza 2010, pagg. 184-5

27

Bruno Buozzi: relazione al sesto congresso della Fiom. Milano 24-26 aprile 1924; in

Bruno Buozzi scritti e discorsi Editrice Sindacale Italiana 1975, pag.176


28

Bruno Buozzi: La lotta per il controllo in Italia in LOperaio Italiano, 6 febbraio

1932; ripreso da Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi, commenti, inediti a cura di Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pag. 89
29

Aldo Forbice: La Forza tranquilla. Bruno Buozzi sindacalista riformista Franco An-

geli 1984, pag. 48


30

Bruno Buozzi: relazione al quinto congresso della Fiom, Roma 31 ottobre 4 novembre

1918; in Bruno Buozzi scritti e discorsi Editrice Sindacale Italiana 1975, pag. 161

195

Il fascismo... dovette ricorrere a tutta una serie di


provvedimenti legislativo-polizieschi e imporre un suo
movimento che, di sindacale, usurpa volgarmente la qualifica

Al vertice confederale

Dalla Fiom alla CGdL mentre in Italia Mussolini cancellava le libert


Nella foto una riunione di socialisti si riconoscono Modigliani (in primo piano)
Turati, Buozzi in fondo alla sala e in una foto limmagine di Matteotti

Aveva preso la Fiom disfatta e piena di debiti; laveva rivitalizzata, ricostruendo con i lavoratori un rapporto di fiducia che si era sfilacciato anche a causa della concorrenza del sindacalismo rivoluzionario;
laveva tenuta in vita nel marasma della guerra, attutendo le conseguenze
delle regole imposte dalla Mobilitazione sia da un punto di vista salariale
che da quello dei diritti; laveva messa alla testa del movimento sfociato
nelloccupazione delle fabbriche. Risultati che aveva ottenuto con il lavoro,
con limpegno quotidiano, con lo studio dei problemi e dei bilanci per poter
controbattere alle offensive dei datori di lavoro. Ma quando il 17 dicembre
del 1925 si ritrov alla guida della CGdL, Bruno Buozzi cap perfettamente
che la strada verso la rinascita sarebbe stata lunga, tortuosa e dolorosa
(come ha raccontato nel suo libro Gabriele Mammarella, al momento dellinsediamento afferm: Non ho promesse da fare... Le amarezze presenti
devono trovare il loro antidoto nella gioia di servire un ideale... con una
dichiarazione di fede nel passato e nel programma della Confederazione).
Perch, per quanto complesse le situazioni che aveva dovuto affrontare nei
primi mesi al vertice della federazione dei metallurgici, non erano drammatiche come quelle che si ritrovava a fronteggiare nel pieno del tramonto
della democrazia liberale e dellalba di quello che Palmiro Togliatti poi definir un regime autoritario di massa. I problemi dei metallurgici erano risolvibili rivedendo i meccanismi della rappresentanza, tessendo una tela
pi fitta di rapporti con la base operaia, gestendo meglio le risorse finanziarie, articolando i memoriali in maniera credibile e inattaccabile nella
logica politica e nei contenuti economici. I problemi, insomma, erano tutti
interni alla dinamica delle relazioni sindacali, della vita stessa di una organizzazione. Il bandolo della matassa poteva essere ritrovato, con una ricerca
attenta e allo stesso tempo prudente. Ma quelli che Bruno Buozzi si ritrov
199

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

davanti in quei primi giorni dopo le dimissioni di Ludovico DAragona


(presentate il 28 settembre del 1925, accettate con otto voti a favore e due
contrari il 2 ottobre dopo la notizia del Patto di Palazzo Vidoni, sostituito
il 6 ottobre da un comitato di fiducia composto da Reina, Buozzi, Bensi,
Azimonti e Maglione e quindi da una nuova leadership rappresentata dal
segretario generale, Buozzi, che accett definitivamente lincarico il 17 dicembre, e dai vice Azimonti, che poi sar sostituito da Bensi, e Maglione)
nemmeno un leader ispirato direttamente dalla Divina Provvidenza avrebbe
potuto risolverli a meno che la medesima Divina Provvidenza non avesse
indotto preventivamente da un lato i comunisti ad abbassare i toni dello
scontro interno (reclamarono a gran voce un congresso straordinario) e
dallaltro Mussolini a rivedere i suoi piani.
Ma i piani del duce erano ormai emersi con chiarezza, diventati
esecutivi dopo la crisi del delitto Matteotti. Il vecchio stato liberale
prodotto dal processo unitario doveva scomparire per far posto a un nuovo
sistema autoritario, nazionalista, centralista, statalista, corporativista. Aveva
cominciato con la legge 2263 della vigilia di Natale del 1925. Quella ricorrenza che ormai associata ai doni, a lui port in regalo un mutamento
di status non di poco conto: non pi semplice presidente del consiglio,
cio primus inter pares, ma primus e basta. Tanto vero che la legge cambiava anche la qualifica ufficiale che al duce veniva attribuita: Capo del
Governo Primo Ministro Segretario di Stato. Lui, insomma, rispondeva
solo al Re. Qualche giorno dopo arriv anche la legge numero 100 (31 gennaio 1926) che ampliava il potere legislativo del governo. In mezzo, un
altro provvedimento, il numero 2307 del 31 dicembre 1925: i giornali potevano essere stampati solo se al vertice cera un direttore responsabile riconosciuto dal prefetto, quindi dal governo. Infine, la legge 563 del 3 aprile
del 1926 (di cui parleremo ampiamente) che diede il colpo di grazia ai sindacati (non fascisti) e allo strumento pi forte, caratterizzante delle libert
sindacali: il diritto di sciopero.
Una deriva praticamente impossibile da bloccare e, infatti, non
venne bloccata. E non solo perch Mussolini era determinato e aveva le
squadracce alle sue dipendenze. Alla sua violenta determinazione fece da
contraltare lincapacit dei partiti a comprendere la novit del fenomeno.
Lo ha spiegato con grande acutezza Simona Colarizi in un saggio di alcuni
200

AL VERTICE CONFEDERALE

anni fa: liberali (Giovanni Amendola compreso) e comunisti percepirono


il duce come la continuazione del giolittismo, un errore di valutazione
che coinvolse anche Salvemini. Gli unici che capirono che si era in presenza di una rottura, purtroppo estremamente negativa, rispetto al passato,
furono proprio i riformisti, i compagni di Buozzi. Scriveva la Colarizi a
proposito della valutazione del fenomeno: Spunti dissonanti si colgono
invece nellanalisi dei socialisti riformisti che rifiutano linterpretazione
deterministica e liquidatoria dei comunisti. Non che sia meno tranciante
il giudizio su Giolitti, uomo senza scrupoli, corruttore e grigio esecutore
di una politica senza ideali; tuttavia non tutta la borghesia fascista e
non tutto il fascismo borghese... Il movimento mussoliniano appare dunque agli occhi di Turati un fenomeno complesso.
Gli atteggiamenti successivi di Matteotti, i no al duce che Buozzi ripeter continuamente e in tempi diversi, sono probabilmente proprio la conseguenza di questa presa di coscienza anticipata (rispetto agli altri partiti)
della atipicit (e quindi della pericolosit) del fascismo. Loro, Buozzi, Turati, Matteotti, conoscevano la personalit del duce, un prototipo di italiano che a volte piace agli italiani. Come ha scritto Franco Cordero:
Esistono italiani intolleranti della seriet: preferiscono Crispi a Cavour;
detestano Giolitti; liquidano De Gasperi; amano i buffoni, specie quando
emergono aspetti sinistri. Mussolini li incanta con le smorfie al balcone e
sotto la divisa del primo maresciallo dellImpero: vola, nuota, balla, scia,
miete, batte il passo romano, farnetica glorie militari; dopo ventanni resterebbe a vita nella sala del mappamondo se non muovesse guerra a tre
imperi. Il lungo sonno della ragione (Berthold Brecht) in Italia era cominciato e nessuno era in grado di interromperlo anche perch i poteri forti
erano tutti dalla parte di Mussolini (Vittorio Emanuele III, campione di infedelt costituzionale e poi anche di fellonia nazionale, e gli industriali che
coglievano lattimo per tornare a una gestione delle relazioni industriali incardinate nei medesimi princpi dordine, illiberali che avevano caratterizzato la Mobilitazione, cio una fase di emergenza). Una Missione
Impossibile, come quelle che Tom Cruise affronta in una serie di film di
successo. Ma quella celluloide, Buozzi doveva vedersela con la vita vera,
fatta di leggi, violenza, tradimenti. Lui, da segretario generale della Confederazione Generale del Lavoro speriment tutto: le leggi, la violenza e i
201

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

tradimenti. E, infine, lesilio. Nulla gli sarebbe stato risparmiato. Ma nulla


sarebbe stato risparmiato allItalia, ai lavoratori, a uno Stato unitario che
troppe contraddizioni aveva inserito allinterno del suo giovane corpo. Mussolini le aveva fatte esplodere e su quellesplosione (agevolata anche dalla
guerra e dalle debolezze della classe politica, non solo liberale, anche socialista e cattolica) aveva costruito il suo potere, manovrando le paure collettive e la violenza privata.
Pi tardi, Bruno Buozzi, con orgoglio, avrebbe scritto di quella sua
fase di passaggio: La Confederazione Generale del Lavoro non vede
menomato il suo prestigio neppure dalle distruzioni fasciste e dallavvento
del fascismo al potere. I suoi soci sotto le raffiche della violenza diminuiscono, ma la sua autorit sulle masse e nel paese rimane intatta1. Rivendicava con orgoglio, il segretario della CGdL, ormai in esilio, il ruolo svolto
dalla Confederazione: catalizzatore di quella opposizione operaia che, comunque, non era riuscita a fermare la resistibilissima avanzata del duce.
Scriveva: Le sue organizzazioni sono decimate, ma ogni elezione di dirigenti di organismi operai (commissioni interne, probiviri, consigli di societ, mutue, ecc.) continua a dare la stragrande maggioranza dei voti ai
candidati delle liste confederali. Ovunque, i candidati fascisti sono clamorosamente sconfitti. I dissensi in passato esistenti con altre organizzazioni
si placano. La Confederazione diventa il vero centro dellUnit proletaria.
LUnione Italiana del Lavoro, composta da sindacalisti soreliani e repubblicani, si fonde con essa; numerosi gruppi di libertari e cattolici di sinistra
fanno altrettanto. In parecchie occasioni, allo scopo di fronteggiare la reazione padronale e fascista, la Confederazione Bianca dei Lavoratori (cattolica) e lUnione Sindacale Italiana (libertaria) fiancheggiano
fraternamente la Confederazione, la quale, fino a tutto il 1925 continua a
essere larbitra di tutti i movimenti operai2.
Ma evidentemente non basta: Dopo aver usato le persecuzioni e
le violenze pi inaudite, il fascismo, se volle impedire al proletariato di manifestare il suo incrollabile attaccamento alla Confederazione, dovette ricorrere a una serie di provvedimenti legislativo-polizieschi ed imporre un
suo movimento che, di sindacale, usurpa volgarmente la qualifica. Insomma, dalle mani di Ludovico DAragona (non irreprensibile in quanto a
coerenza), Buozzi ricevette una Confederazione non disfatta ma ormai
202

AL VERTICE CONFEDERALE

inesorabilmente allangolo, ridotta come quei pugili che dopo aver incassato una gragnola di colpi, si preparano a prendere lultimo, quello del definitivo ko. Ma va anche detto che i comportamenti contraddittori, anche
vili di alcuni dirigenti sindacali contribuirono a rendere pi amaro questo
ineluttabile (per le condizioni storiche) destino. E Buozzi, da questo punto
di vista, con le sue scelte riusc, in una maniera diversa, a compiere limpresa che aveva gi realizzato nella Fiom: restituire dignit a una organizzazione da altri offesa e vilipesa.
Il filo della storia va ripreso dalla conclusione del movimento che
aveva prodotto loccupazione delle fabbriche. Perch da l che cominci
tutto. Lo ha scritto sempre Buozzi in un saggio che mise a punto negli anni
del confino di Montefalco: Nel 1921-1925 gran parte delle 108 Camere
del Lavoro esistenti in Italia furono distrutte e abolite... Nel 1920 di fronte
a oltre 2.500.000 iscritti alla Confederazione Generale del Lavoro socialista, il sindacalismo fascista non poteva opporre che poche centinaia di
migliaia di organizzati. Nel 1922 questi erano 857.611. Solo dopo che la
Confederazione Generale del Lavoro cess completamente di esistere e
dopo che tutte le sue sezioni furono soppresse, il numero di iscritti al sindacato fascista aument3. Di quella violenza che era stato uno dei motori
dellascesa mussoliniana, fu vittima, pi volte lo stesso Bruno Buozzi. Ad
esempio in occasione della celebrazione del 1 maggio del 1920. La polizia,
che sentiva il vento nuovo, per tener fede ad antiche abitudini, decise di
disperdere i manifestanti facendo uso delle armi. Il bilancio di quella che doveva essere una festa, fu drammatico: tre morti, due lavoratori e un poliziotto.
Due giorni dopo, a piazza Carlina, in occasione dei funerali delle vittime del
Primo Maggio, nuovamente le forze dellordine caricarono con violenza.
Buozzi che era alla testa del corteo prima protest con i capi della Guardia
Regia per indurli a far cessare tanta violenza, poi organizz la raccolta dei
feriti. Ancor di pi pag questa violenza sulla propria pelle il 27 febbraio
1924 quando una squadraccia fascista agli ordini del tenente Mariotti fece irruzione nei locali confederali torinesi. Il segretario metalmeccanico venne
picchiato. Ferito e sanguinante, si rec nella farmacia pi vicina dove si rifiutarono di soccorrerlo. Solo allospedale San Giovanni gli prestarono le necessarie cure. Laggressione era stata premeditata e direttamente ordinata dal
vertice fascista tanto vero che Mariotti se la cav con una condanna mite
203

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

(un anno e quindici giorni) successivamente anche amnistiata.


Raccontava Gino Castagno: certo che il punto pi alto raggiunto
dal movimento operaio in Italia, come vivacit e come potenza, fu quello
delle lotte nei diversi settori, industriali e agricoli della primavera del
1920. Poi liniziativa pass alla reazione. Lunit dei lavoratori era spezzata, il Partito (socialista, n.d.a.) profondamente diviso, lotte di tendenze
e di frazioni (si potrebbe dire di fazioni), polemiche asperrime, scissioni.
Fra ottobre e novembre si radunano separatamente le varie frazioni del
partito: la riformista a Reggio Emilia, lunitaria a Firenze, la comunista a
Imola. Nel gennaio 1921, a Livorno, il Congresso Nazionale del Partito si
concludeva con la scissione definitiva: si distaccano i comunisti che fondano il Partito Comunista dItalia; massimalisti e riformisti rimangono nel
Psi, ma questo si scinder di nuovo, con lespulsione dei riformisti, nellottobre del 19224, e poi con il distacco dei terzinternazionalisti nellaprile
del 19235. Anche la Confederazione Generale del Lavoro, pur mantenendo
lunit, scossa dallurto delle tendenze. Al Congresso del febbraio 1921,
tre mozioni si contendono il campo: la comunista, la massimalista, la riformista. Ha la maggioranza questultima e DAragona viene riconfermato
segretario6. E mentre la violenza lievitava, i comunisti tra il 1923 e il 1924
lanciavano una offensiva durissima allinterno del sindacato.
Il fascismo diventava sempre pi arrembante, quasi prendendo in
contropiede tutti quelli che avrebbero dovuto contrastarlo. Da un lato, aumentava la violenza, soprattutto contro le strutture sindacali. La sede della
Fiom di Torino venne devastata il 18 dicembre 1922, il segretario della Sezione, Pietro Fornero, prima seviziato e poi ucciso, i rappresentanti sindacali in fabbrica cacciati con la forza. Buozzi e i metalmeccanici furono
costretti a cambiare continuamente casa e lultima gliela offr il leader
del sindacato cattolico, Giuseppe Rapelli che pag a caro prezzo la cortesia visto che anche quella sede venne distrutta dalle squadracce. La difficile situazione venne illustrata da Buozzi nel corso del sesto congresso
della Fiom che si svolse a Milano dal 24 al 26 aprile del 1924: La pressione e le violenze fasciste contro le organizzazioni aderenti alla Confederazione Generale del Lavoro e la sopravvenuta crisi, incoraggiarono la
ripresa delloffensiva industriale e a primavera avanzata del 1922 parecchi
dei nostri concordati vennero denunciati. Lorgasmo provocato nelle masse
204

AL VERTICE CONFEDERALE

dalle violenze fasciste, abilmente sfruttato dalle correnti estremiste, imped


che le richieste industriali venissero discusse con criteri puramente sindacali. Ogni nostra assemblea era diventata palestra per discussioni politiche7. In quella sede Buozzi fece anche una analisi autocritica. Cedendo
alle pressioni, verso la met di quellanno era stato proclamato lo sciopero
nazionale dei metallurgici che dal punto di vista dei risultati si rivel un disastro con la perdita di alcune delle prerogative, soprattutto salariali, precedentemente conquistate. Ma poi, a causa di una imprevista coincidenza,
a parere del segretario della Fiom, quello sciopero aveva avuto anche un
altro effetto collaterale: spianare definitivamente la strada al fascismo.
Spiegava: A poca distanza dallo sciopero generale dei metallurgici, e nelle stesse condizioni di esasperazione e di spirito, avvenne quello
generale di tutte le categorie proclamato dallAlleanza del Lavoro. LItalia
era ormai senza Governo e in balia dello squadrismo, e tale sciopero facendo precipitare una situazione divenuta insostenibile, anticip linevitabile avvento del fascismo al potere8. Concludeva lasciando aperta una
porta a un esito non negativo (pi che altro a una semplice speranza): Se
ci sia stato un bene ancora prematuro per dirlo9. Il caso Matteotti provvide, un paio di mesi dopo a spazzar via le tracce residue di ottimismo. Fu
quello il congresso in cui il segretario della Fiom spieg perch il sindacato,
a livello politico, aveva deciso di liberarsi le mani: Le scissioni verificatesi
nel movimento politico di avanguardia del nostro paese, hanno consigliato
alla Confederazione Generale del Lavoro di dichiarare la sua indipendenza
da ogni partito politico. Ma tenne aperta una porta sul futuro, anticipando
in qualche maniera il senso della sua azione durante le trattative per il Patto
di Roma: Se si dovesse verificare lipotesi di una pacificazione generale
delle diverse correnti davanguardia del nostro paese e la loro fusione in
un unico Partito, non vediamo le ragioni per le quali la Confederazione
non dovrebbe avere rapporti con tale Partito10.

8.1 Il corteggiamento fascista

Se da un lato, Mussolini si accaniva su militanti e sedi sindacali,


dallaltro alimentava i corteggiamenti, ai quali diversi colleghi di Buozzi
non erano insensibili. DAragona incontrava Gabriele DAnnunzio (lo comunicava al Consiglio Direttivo della CGdL il 2 giugno del 1922); al fa205

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

scino del poeta non era insensibile nemmeno Gino Baldesi che poi collaborer alacremente alla Carta del Lavoro, la summa dellideologia corporativa. Da un punto di vista sindacale, il fascismo non aveva ancora un
corpo dottrinario strutturalmente definito; la contaminazione del sindacalismo rivoluzionario e di quello nazionalista era evidente, ma in realt
convergevano anche altri elementi. Come ha scritto Adolfo Pepe in nessun
altro settore istituzionale la soluzione fascista appare pi permeata di uno
spirito di compromesso nel quale il patrimonio specifico fascista sembra,
insieme e contraddittoriamente, potenziato al massimo e diluito nel prima
e nel dopo di una vicenda dotata di un suo proprio tempo interno di trasformazione11. E Mussolini alimentava lidea di un Grande Compromesso,
sembrava cercarlo. DAragona non si sottraeva. Accettava un primo incontro, nei giorni della salita al potere, della chiamata del re. Il segretario,
evidentemente pi che convinto della validit delle sue scelte, ne parlava
al congresso della CGdL nellagosto del 1923: Durante la marcia su Roma
andammo infatti da Mussolini, nulla dovevamo temere. Siamo uomini di
idee e senso di responsabilit. Mussolini ci invit ad assumere la responsabilit del Ministero della Economia Nazionale e a fonderci con le corporazioni fasciste. Rispondemmo che non potevamo accettare nessuna di
queste offerte: si rivolgesse dapprima ai partiti. Dichiarammo, per, che
come avevamo dato la nostra collaborazione tecnica a tutti i precedenti
Governi, lavremmo data anche a quello fascista12. Furono giorni convulsi
quelli che precedettero il varo del primo governo Mussolini. Circolava la
voce che nella lista di ministri preparata dal futuro duce ci fosse il nome
di Buozzi (e accanto al suo, tra parentesi, quello di Baldesi). Ma Buozzi
non aveva alcuna intenzione di sostenere Mussolini tanto vero che ai liberali (Giovanni Amendola in particolare), convinti ancora di avere a che
fare con un fenomeno passeggero, spiegava che Mussolini ha un temperamento autoritario. Contemporaneamente, criticava Baldesi che mostrava interesse eccessivo nei confronti di quelle aperture.
I contatti, per, andarono avanti. Il 24 luglio del 1923 da Mussolini
si recarono insieme a DAragona, anche Carlo Azimonti, Angiolo Cabrini,
Emilio Colombino, Attilio Terruzzi e Bruno Buozzi. Era presente pure il
sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giacomo Acerbo che diventer
famoso con la legge elettorale che spianer definitivamente la strada al fa206

AL VERTICE CONFEDERALE

scismo (nove giorni prima, il capo del governo proprio intervenendo alla
camera a sostegno di quel provvedimento, aveva lanciato un nuovo segnale ai sindacalisti ribadendo la disponibilit a quella apertura che lanno
prima era stata impedita dal rifiuto di Buozzi da un lato e dalla opposizione
dei nazionalisti dallaltro). DAragona era disponibile a collaborare pure
alla stesura di un patto del lavoro. Buozzi, che era gi il leader pi autorevole del sindacato essendo il capo della federazione pi forte e combattiva, continu a sostenere la linea di DAragona ma bocci senza appello
lidea di partecipare alla definizione di quel documento. Nonostante il crollo
degli iscritti (dei 2,2 milioni del 1920, nel 1924 ne erano rimasti meno di
un decimo, duecentomila), lautorevolezza della Confederazione era molto
forte, una realt che avrebbe indotto Mussolini a sostenere che il sindacato
(il suo sindacato, ovviamente) era fascista ma i lavoratori ancora no. A
marzo del 1925 i metallurgici scesero in sciopero.
Non doveva essere una agitazione nazionale ma, pian piano, lo divenne. E molti aspetti finirono per sovrapporsi. In Lombardia, ad esempio.
A Brescia i sindacati fascisti provarono a mettere allincasso un primo successo per convincere i lavoratori ad abbandonare le vecchie organizzazioni.
Al centro della protesta, il salario, il suo adeguamento al costo della vita.
Ci fu anche un accordo tra la Confederazione delle corporazioni e gli industriali, il 15 marzo 1925 ma gli aumenti furono inconsistenti (persino
Augusto Turati manifest la sua insoddisfazione, per una intesa che era
stata voluta dal duce preoccupato dal prolungamento e dallestensione
della manifestazione, e favorita da Roberto Farinacci). La Fiom si inser su
quella vertenza dimostrando che la sua capacit di mobilitazione era ancora
intatta, tanto vero che in pochi giorni le agitazioni coinvolsero tutto il
nord industriale, diventando massicce a Torino. E quando a Milano, il 18
marzo Buozzi invit gli operai a tornare al lavoro, le officine si ripopolarono nonostante non fosse stato ottenuto alcun successo. A Torino, dove
aveva un seguito maggiore la predicazione comunista, linvito cadde, invece, nel vuoto ma i fascisti con i soliti metodi si preoccuparono di farla
terminare. La mancanza di risultati determin uno sfilacciamento evidente
nei rapporti tra la base operaia e le vecchie organizzazioni sindacali (senza
determinare, di converso, un irrobustimento delle relazioni con quelle fasciste): la conseguenza fu un calo verticale e drammatico degli iscritti alla
207

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

federazione metallurgica. Peraltro, i comunisti, attraverso lUnit, avevano approfittato delle difficolt della Fiom per lanciare una offensiva contro gli odiati riformisti capeggiati da Bruno Buozzi. Da un lato, il regime
indeboliva le vecchie organizzazioni sul fronte della rappresentanza, dallaltro il fuoco (quasi) amico del PCdI provvedeva a screditare la figura
del leader.
La deriva, per, era chiara e il sindacato era lultimo terreno dello
scontro, quello definitivo. Lo aveva capito perfettamente Claudio Treves,
che prima dellomicidio Matteotti, sulla Critica Sociale aveva scritto un
articolo (firmato Il Vice) contro quellidea di sindacato corporativo che prevedeva labolizione del conflitto sociale. Diceva: Il contenuto morale del
movimento sindacale operaio e socialista sta per noi precisamente nel fatto
che le conquiste della classe lavoratrice si identificano, se non nei singoli
momenti, almeno nel loro risultato complessivo, con gli interessi della societ. Per tale motivo la lotta di classe da considerarsi oltre che una necessit, una benefica necessit, perch, pur con tutti i dolori che suscita,
sprone allincremento della ricchezza, al progresso dellintelligenza, allelevazione di tutta la vita sociale. Ogni sforzo di sopprimerla perci,
oltre che vano, dannoso, non riesce, naturalmente, a far tacere lo stimolo
degli opposti interessi (e il fascismo ne fa quotidiana esperienza) ma li trae
a ricercare la soddisfazione in patti che si convertono in danno della
grande maggioranza dei cittadini. Il padronato concede qualche miglioramento, ma le organizzazioni sindacali operaie si impegnano alla solidariet con i padroni per una elevazione dei prezzi dei prodotti, per la difesa
o la creazione di una condizione di monopolio contro la concorrenza interna ed estera, per il conseguimento di misure protettive e di altri favori
statali: tutte concessioni a profitto di interessi particolari, con danno degli
interessi generali dei cittadini, in quanto consumatori o in quanto contribuenti, o nelluna e nellaltra di tali loro qualit; con danno anche, del
progresso economico e civile del paese, per un insieme di conseguenze immediate e mediate che non neppure necessario indicare13.
Il fatto che lidea di sindacato che aveva in testa Mussolini era
piuttosto diversa da quella che la Fiom di Buozzi aveva portato avanti. Lultima grande vertenza, quella delloccupazione delle fabbriche, era nata perch la federazione voleva dare una cornice unitaria nazionale a una serie
208

AL VERTICE CONFEDERALE

di accordi realizzati a livello aziendale. Ma il conflitto nasceva allinterno


dellazienda e si sviluppava fuori e oltre quei confini. Il sindacato fascista,
puntava a marginalizzare il ruolo confederale, a garantire la composizione
dei problemi con procedure di conciliazione, assicurando una pace sociale assoluta nelle officine e venendo cos incontro a una spinta padronale
che, sotto alcuni aspetti, appare, per via di vicende pi recenti, un tratto
cronico dellimprenditoria industriale italiana. Ha spiegato Adolfo Pepe:
costante nella storia italiana il rifiuto della contrattazione collettiva e
del conflitto entro lazienda. Questo lelemento cardine della cultura industriale fino alla concezione romitiana e confindustriale degli anni Ottanta (ma qualche elemento si intravede anche in Marchionne, n.d.a.). Essa
non soltanto antisindacale ma anti-collettiva, perch ritiene che allinterno del meccanismo aziendale, nel processo produttivo della fabbrica intesa come comunit di lavoro, ci siano tutte le condizioni relazionali per
metter in atto lintegrazione necessaria alla logica del profitto utilizzando
i valori morali della lealt e dellappartenenza insieme con i rigidi criteri
economici indotti dalla tecnologia e dallorganizzazione del lavoro, senza
alcun ruolo per la rappresentanza distinta della forza lavoro. questa radicata cultura la vera ispiratrice e incubatrice delle periodiche ondate di
liberismo selvaggio14. Non un caso che contro questa idea di comunit
abbia lottato in tempi pi recenti, un giuslavorista di cultura realmente liberale come Federico Mancini per il quale il rapporto di lavoro doveva trovare regolamentazione solo nel contratto senza riferimenti a vincoli di
fedelt o di amore per una bandiera che nelle aziende normalmente viene
invocata quando le cose vanno male ma molto meno quando vanno bene.
Il corporativismo era lesatto contario di questo principio.
Anche davanti agli ultimi sussulti sindacali, alle ultime proteste in
fabbrica, la CGdL di DAragona rest in disparte, avendo di fatto alzato
bandiera bianca. La resa laveva illustrata in una intervista, prefigurando i
tempi e le modalit per un incontro tra regime e proletariato: Abbiamo
oggi una situazione tale che manca lambiente necessario alla possibilit
di un riavvicinamento delle masse proletarie al regime fascista. Per
quando si credesse attraverso una lunga e paziente opera di preparazione
e una serie di fatti che persuadano il proletariato alla possibilit di un riavvicinamento, allora sarebbe dato lambiente necessario e propizio ad esso.
209

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Noi attendiamo con animo sereno e scevro di pregiudizi lattuazione di riforme favorevoli alla massa proletaria15. Le risposte DAragona le ebbe
di l a breve e per lui non furono confortanti. Le pubbliche strizzatine docchio verso il fascismo avevano alimentato notevoli diffidenze nei suoi confronti. In pi il clima generale segnalava che si stava rapidamente
scivolando verso laccordo di Palazzo Vidoni. La CGdL si interrog sulla
possibilit di rispondere con lo sciopero generale a un accordo, nel momento in cui fosse stato concluso, che consegnava al sindacato fascista la
rappresentanza esclusiva dei lavoratori. DAragona manifest la sua contrariet a questa azione di lotta nella riunione del 28 settembre 1925; Buozzi
al contario si dichiar favorevole. Il segretario generale della confederazione a quel punto present le dimissioni che il 2 ottobre vennero accolte
anche perch nel frattempo il fantasma di Palazzo Vidoni si era materializzato. Era un documento breve ma esplicito: La Confederazione generale
dellindustria riconosce nella Confederazione delle corporazioni fasciste
e nelle organizzazioni sue dipendenti la rappresentanza esclusiva delle
maestranze lavoratrici. La Confederazione delle corporazioni fasciste riconosce nella Confederazione generale dellindustria e nelle organizzazioni sue dipendenti la rappresentanza esclusiva degli industriali. Tutti i
rapporti contrattuali tra industriali e maestranze dovranno intercorrere
tra le Organizzazioni dipendenti dalla Confederazione dellindustria e
quelle dipendenti dalla Confederazione delle corporazioni. In conseguenza
le commissioni interne di fabbrica sono abolite e le loro funzioni sono demandate al sindacato locale che le eserciter solo nei confronti della corrispondente Organizzazione industriale. Entro dieci giorni saranno iniziate
le discussioni delle norme generali da inserirsi nei regolamenti. il Patto
di Palazzo Vidoni. Il sindacalismo libero non esisteva pi: il padronato trattava solo con le organizzazioni fasciste, lo strumento pi forte, a contatto
con la base, cio le Commissioni Interne, venivano azzerate, il conflitto, a
questo punto, poteva considerarsi fuori dai cancelli: ci sarebbe rientrato
soltanto molti anni dopo.
Mussolini, per, non si ferm a quel patto. Lo blind con lo strumento
coercitivo di una legge elaborata da Alfredo Rocco, la numero 563 del 3
aprile del 1926 che venne pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 14 aprile.
Ventitr articoli in tutto suddivisi in tre parti. La prima dal titolo decisa210

AL VERTICE CONFEDERALE

mente esplicativo: Del riconoscimento giuridico dei sindacati e dei contratti collettivi. Allarticolo uno venivano indicate le condizioni per il riconoscimento (iscrizione di almeno un decimo dei lavoratori del settore,
dirigenti che diano garanzia di capacit, di moralit e soprattutto di sicura
fede nazionale); il riconoscimento veniva disposto per decreto reale (articolo 4), la nomina o lelezione dei presidenti avveniva con decreto del ministro competente di concerto col collega dellInterno (articolo 7) con la
possibilit della revoca dellincarico in ogni momento; larticolo 8 indicava
gli organismi pubblici che avrebbero vigilato sulle organizzazioni e a queste
istituzioni di controllo era attribuito anche il potere di disporre lamministrazione straordinaria o il commissariamento; i contratti collettivi valevano
per tutti i lavoratori e dovevano essere pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.
Ma la parte maggiormente esplicativa della cultura del regime era la terza:
Della serrata e dello sciopero. Luna e laltro aboliti (articolo 18); chi organizzava una astensione dal lavoro poteva essere punito con la carcerazione
da uno a due anni. Nel pubblico impiego, il tasso di severit aumentava. Chi
interrompeva un servizio pubblico veniva punito con la reclusione da uno a
sei mesi e linterdizione per sei mesi dai pubblici uffici; per i promotori la
pena detentiva saliva da sei mesi a due anni con interdizione sino a tre anni;
se poi linterruzione provocava pericolo alla collettivit la reclusione non
poteva essere inferiore a un anno; se, invece, era scappato anche il morto, le
porte del carcere si aprivano per almeno tre anni (articolo 19).

8.2 Il trasferimento della CGdL in Francia

Quando arriv al vertice della Confederazione, Buozzi prov a salvare il salvabile, in particolare da un punto di vista organizzativo. Le Camere del Lavoro erano riserva di caccia delle squadracce fasciste che si
esercitavano quotidianamente nelle loro pratiche violente. Buozzi le chiuse
anche perch le sedi venivano puntualmente devastate; i segretari vennero
sostituiti con fiduciari che erano nominati direttamente dalla Confederazione. Intorno alla CGdL il fascismo aveva fatto terra bruciata. E in quel
contesto ognuno reagiva a suo modo, mettendo a nudo piccole e grandi
vilt. Giovan Battista Maglione di fatto in un Consiglio Direttivo della Confederazione annunciava la nascita dellAssociazione di Studio Problemi del
Lavoro (la legge lasciava questo teorico spazio di libert). Lavrebbe co211

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

stituita insieme al primo segretario della CGdL, Rinaldo Rigola, e a Emilio


Colombino, il dirigente che da segretario provinciale della Fiom di Torino,
aveva partecipato a tutte le grandi mobilitazioni che avevano coinvolto i
metallurgici del capoluogo piemontese. Al vertice della federazione Colombino era arrivato insieme a Buozzi esprimendo anche attraverso un cambio generazionale, la rottura con lo screditato gruppo dirigente
rappresentato da Cleobulo Rossi e Silla Coccia. Maglione avrebbe voluto
favorire una capitolazione collettiva, lauto-cancellazione della Confederazione, la sostanziale confluenza nel sindacato fascista. Motivava la sua
posizione sostenendo che mancavano le pi elementari condizioni per continuare lattivit. Buozzi si oppose e la linea non pass. Prima della proposta
(un annuncio di defezione) di Maglione, era arrivato il tradimento del segretario dei tipografi, Tomaso Bruno, che aveva portato in dote al fascismo
e alle corporazioni la sua federazione. Buozzi reagiva con una violenta dichiarazione: Pi ancora delle blandizie e delle minacce degli avversari,
va detto che sui tipografi ha potuto la condotta miseranda di alcuni dirigenti.
In queste ultime settimane il Segretario della Federazione del libro aveva
girato lItalia tentando di far credere e non pochi gli credevano di essere
stato ingannato e che, in ogni modo non ancora detto che egli passi al nemico (cio alle corporazioni fasciste, n.d.a.) perch ci che ha fatto mira
unicamente a salvare la Federazione. La tortuosa mozione votata rivela in
tutto lanima del convegno. In essa non vi una sola frase sincera16.
A complicare la situazione intervenne lattentato contro Benito
Mussolini dellanarchico bolognese, Anteo Zamboni. Il duce il 31 ottobre
del 1926 era andato nella citt emiliana per inaugurare lo Stadio del Littorio, oggi conosciuto come DallAra, limpianto che ospita la domenica
le partite di calcio del Bologna. Stava andando alla stazione su unauto
scoperta guidata dal gerarca Leandro Arpinati, quando, alle 17,40, allincrocio tra via Rizzoli e via dellIndipendenza Zamboni, approfittando di
un rallentamento del mezzo, fece fuoco. Non era certo un tiratore scelto
visto che il proiettile scalf il cordone dellordine dei Santi Maurizio e Lazzaro che ornava il collo di Mussolini, gli trafisse spietatamente il bavero
della giacca, for senza ritegno il cappello a cilindro del sindaco di Bologna, Umberto Puppini, e fin la sua corsa contro la tappezzeria della portiera dellauto. Il pericolo scampato indusse il duce a un nuovo giro di
212

AL VERTICE CONFEDERALE

vite contro gli oppositori. Buozzi (che nel frattempo, il 20 ottobre, aveva
chiuso lorgano confederale, Battaglie Sindacali) cap subito che per lui
laria si era fatta pesante. Lo cap soprattutto quando una squadraccia, a
tarda sera, fece irruzione nel suo palazzo, a Corso Regina Margherita. Il
segretario della CGdL non era in casa e i bravi si limitarono a consegnare
solo dei messaggi di tipo epistolare, vergati sulle pareti: A morte
Buozzi; Buozzi morirai. Il 27 ottobre il segretario lasci lItalia dovendo partecipare agli inizi di novembre a un convegno internazionale a
Zurigo. Le nuove leggi eccezionali varate dopo lattentato di Zamboni (insieme agli inviti epistolari che il fratello Antonio gli inviava da Torino),
lo convinsero a rimanere allestero.
Lo cercarono invano e troppo tardi. Alla richiesta di notizie sul
sovversivo Bruno Buozzi, il capitano della compagnia di Ferrara dei carabinieri reali, Raffaele Bianco, rispondeva: Si partecipa che da indagini
esperite risultato che lex Deputato (per deferenza, la d rimaneva maiuscola, n.d.a.) socialista, Buozzi Bruno fu Orlando e fu Berto Maddalena
(Busti n.d.a.) nato il 31 gennaio 1881 a Pontelagoscuro, ex segretario della
Federazione Nazionale Metallurgici (lufficiale si era fermato alla precedente qualifica in quanto la CGdL non era un sindacato riconosciuto,
n.d.a.), non ha fatto rientro al suo paese nativo. A Pontelagoscuro ha una
zia materna, Buozzi Udgarda, abitante in via Piacere, unica superstite della
famiglia, con la quale da oltre un anno, non mantiene alcuna corrispondenza. Anche dalle indagini esperite presso lufficio postale, lelemento fascista ed altre fonti, risultato non essere egli in corrispondenza con altre
persone. Risulta che un anno fa la moglie ed i figli del Buozzi abitavano a
Torino viale Margherita, ove si ritiene abitino ancora e dove si ritiene altres
siasi rifugiato il Buozzi stesso. La richiesta di informazioni era del 28 gennaio 1927, la risposta del 4 febbraio. Non propriamente un esempio di sagacia
investigativa.
Buozzi, in realt, si era tenuto alla larga dallItalia. Si era fatto vivo
solo con un comunicato il giorno di Natale in cui annunciava che la confederazione avrebbe operato sempre di pi allestero (una dichiarazione che
suscit la reazione risentita di Giovanni Bensi come vedremo pi avanti).
Inoltre, poco prima, a fine novembre, in seguito al saccheggio della sede
confederale avvenuto allinizio del mese, aveva fatto sapere a Maglione di
213

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

essere intenzionato a trasferire a Parigi la sede della CGdL. Approfittando


della sua uscita di scena, il 4 gennaio del 1927 quel che era rimasto del
Consiglio Direttivo della Confederazione Generale del Lavoro, riunito a
Milano, approvava questo comunicato: Sentita la relazione informativa
(non si sa bene di chi non essendoci il segretario, n.d.a.) delle condizioni
delle organizzazioni professionali, sulle sedi e rappresentanze locali e sui
pareri espressi dai dirigenti e fiduciari, costatando che fallito lesperimento
di associazione sindacale di fatto previsto dallarticolo 12 della legge 3 aprile
1926 (le associazioni non riconosciute avrebbero potuto sopravvivere, a determinate condizioni, come associazioni di fatto, n.d.a.) e regolato da altre
leggi di polizia e di controllo, e che non pertanto possibile provvedere al
tesseramento del 1927; dichiara esaurita la sua funzione e demanda al Comitato Esecutivo di procedere alla liquidazione e sistemazione dei residui interessi della Confederazione Generale del Lavoro. In pratica veniva data
lestrema unzione allorganizzazione. Un passo anticipato da un incontro
di Baldesi con Rossoni nel corso del quale era stato concordato il travaso
dei confederali nelle Corporazioni. Buozzi resusciter la CGdL in esilio, a
Parigi. La scelta di Colombino & soci venne duramente commentata
dallAvanti! (gli autori del colpo di mano vennero definiti raffinati professionisti del tradimento). Pochi giorni dopo, gli stessi che avevano dato
lestrema unzione alla CGdL, precisamente il 16 gennaio del 1927, provvedevano a vergare un nuovo comunicato in cui accettavano la legislazione
liberticida fascista, il sindacato di stato (Siamo tenuti a contribuire con la
nostra azione e con la nostra critica alla buona riuscita di tale esperimento) e facevano nascere quella strana creatura che Giovan Battista Maglione aveva fatto aleggiare in quel Consiglio Direttivo di cui abbiamo
parlato prima. Il nome lungo, la funzione inutile: Associazione Nazionale
per lo Studio dei Problemi del Lavoro, con una emanazione editoriale: la
rivista Problemi del Lavoro. Colombino, che si era da tempo avviato sulla
strada delle attivit imprenditoriali cooperativistiche, sotto il parafulmine
fascista continu a gestire le sue cose. Gino Baldesi che si era preso una
sbandata per DAnnunzio e per il duce, il 9 novembre del 1926, per un
eccesso di spirito critico, fu dichiarato decaduto dalla carica di parlamentare, insieme ai deputati aventiniani. Angiolo Cabrini che gi nel 1922
aveva fondato un bollettino parlamentare, Informazioni Sociali, nel 1927
214

AL VERTICE CONFEDERALE

lo trasform nella Rivista Internazionale del Lavoro.


Qualche tempo prima di quella decisione, proprio Rinaldo Rigola
aveva scritto un articolo per la Critica Sociale allo stesso tempo amaro e
orgoglioso. Soprattutto rassegnato e incline a un compromesso con il
nuovo nascente. Era lautunno del 1926 e celebrando il ventesimo anniversario della CGdL, diceva: Se qualcuno ci avesse detto ventanni fa:
voi vivrete abbastanza per assistere allapologia del organizzazione di
classe e allesaltazione del contratto collettivo di lavoro ad opera degli
stessi padroni... saremmo stati subito convinti di avere a che fare con uno
che gli avesse dato di volta il cervello17. Rigola, insomma, sapeva bene
che si trattava di un inganno, che non esisteva una via corporativa al superamento della lotta di classe ma solo un rapporto di subalternit dei lavoratori nei confronti dei datori di lavoro, una difesa prevalente degli
interessi dei secondi sui primi, una gestione autoritaria delle relazioni industriali filtrata, ipocritamente e strumentalmente, attraverso una visione
sociale. Non a caso Rigola continuava: O questa classe industriale non
capiva niente ventanni fa, o il sindacalismo e il contratto collettivo hanno
perduto per istrada quegli attributi che li rendevano odiosi ai padroni. Noi
propendiamo a dire luna e laltra cosa (si sbagliava perch tanto il sindacalismo quanto i contratti collettivi risultavano, almeno nelle forme contrattate attraverso le vertenze, sempre odiosi alla controparte ed era
proprio su quel versante che il fascismo intendeva intervenire, n.d.a.). Ci
sarebbe da dire, daltronde, che non del nostro sindacalismo fanno lapologia. Ma si preparava, anche, il Rigola, la via duscita salutando quella
che era stata la sua Creatura (aveva partecipato alla fondazione, laveva
guidata sin dallinizio): La Confederazione morta ammazzata e strano
a dirsi le Confederazioni sono nate a dozzine; lItalia tutta federata,
confederata, superconfederata. I morti, si sa, non possono parlare, nemmeno per rivendicare i loro meriti. Ma via, un poco di rispetto per questa
grande Morta, operatrice di tanti miracoli, non sarebbe fuori luogo. Tanto
pi che rinascer dalle sue ceneri18. Alla produzione di quelle ceneri, lui
stesso contribu, certo non alla rinascita a cui si dedic Bruno Buozzi, a Parigi, non riconoscendo latto di scioglimento del 4 gennaio 1927 (provvide
anche a creare un nuovo organo di stampa, lOperaio Italiano). A Rigola
rest ladesione allAssociazione di Studio Problemi del Lavoro, laccet215

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

tazione della Carta del Lavoro, quel fiancheggiamento del fascismo che, a
liberazione avvenuta, decret la sua emarginazione dalla vita sindacale e
politica dellItalia democratica.
Perch tra tanti difetti, al sindacato va riconosciuto un merito. Lo ha
evidenziato Adolfo Pepe: In questo settore (il sindacato, n.d.a.) la continuit e la rottura non potr essere simile a quella degli altri centri del regime, lesercito, la magistratura, la diplomazia, la classe economica, la
burocrazia medio-alta, luniversit, la cultura, leditoria, il mondo politico
stesso. Mentre in tutti questi ambienti la pacificazione e la continuit finirono ben presto per prevalere, sia in termini di uomini che di impostazioni
istituzionali e di prospettiva, protraendosi fino agli anni Cinquanta e alla
rivoluzione sociale ed economica che allora scuote il paese e fa compiere
al compromesso nazionale un deciso salto, il sindacato fascista... verr annullato come legittimit etico-ideale, prima ancora che politica19. Insomma, i segni del continuismo su questo fronte non ci sono stati. Il nuovo
sindacato, quella dellItalia repubblicana e democratica, non ha nulla a che
vedere n con quelli che costruirono le organizzazioni fasciste n con quelli
che, fedeli al vecchio motto, tengo famiglia, preferirono la renitenza o,
peggio ancora, il tradimento.
Buozzi, da questo punto di vista ha trasmesso il suo pensiero. Per
lui il sindacato fascista era un organismo fittizio, costruito in laboratorio,
figlio della prepotenza e della violenza, che non aveva dato nulla ai lavoratori, nemmeno quello che dichiarava di voler dare perch era solo uno
strumento nelle mani di un regime autoritario. Un organismo fittizio che
era stato, per, dotato di una costituzione reale. In pratica lultimo colpo
al passato: lapprovazione della Carta del Lavoro da parte del Gran Consiglio nella riunione del 21 e 22 aprile 1927. Trenta punti per sintetizzare teoria e pratica del corporativismo. Dichiarazioni di principio
(Lorganizzazione sindacale o professionale libera) smentite nella pratica (Ma solo il sindacato, legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo
dello Stato, ha il diritto di rappresentare tutta la categoria di datori di lavoro
o di lavoratori); logiche che poco hanno a che vedere con la dinamica reale
dei rapporti tra le parti (Nel contratto collettivo di lavoro trova la sua
espressione concreta la solidariet tra i vari fattori della produzione); larticolazione di un sistema che dovrebbe azzerare il conflitto tra le classi (Le
216

AL VERTICE CONFEDERALE

Corporazioni costituiscono lorganizzazione unitaria delle forze della produzione e ne rappresentano integralmente gli interessi... Le Corporazioni
sono dalla legge riconosciute come organi di Stato); la sostituzione dello
sciopero con strumenti conciliativi e legali (Nelle controversie collettive
del lavoro lazione giudiziaria non pu essere intentata se lorgano corporativo non ha prima esperito il tentativo di conciliazione); una strana idea
di congruit del salario e dei modi in cui definirlo (Lazione del sindacato,
lopera conciliativa degli organi corporativi e la sentenza della magistratura
del lavoro garantiscono la corrispondenza del salario alle esigenze normali
della vita, alle possibilit della produzione e al rendimento del lavoro);
una logica paritaria nella distribuzione degli oneri senza tenere presente
che in ogni rapporto vi un soggetto debole e che in quelli di lavoro, da
quella parte si colloca il lavoratore (Le conseguenze delle crisi di produzione e dei fenomeni monetari devono equamente ripartirsi fra tutti i fattori
della produzione); il recupero di alcune conquiste della CGdL e della Fiom
utilizzate anche come strumento per la conquista del consenso (Il prestatore di lavoro ha diritto al riposo settimanale in coincidenza con le domeniche; Dopo un anno di ininterrotto servizio il prestatore dopera, nelle
imprese a lavoro continuo, ha il diritto ad un periodo annuo di riposo feriale
retribuito; Nelle imprese a lavoro continuo il lavoratore ha diritto, in caso
di cessazione dei rapporti di lavoro per licenziamento senza sua colpa, a
una indennit proporzionata agli anni di servizio); una serie di obiettivi
che il regime si proponeva di raggiungere per sottolineare il suo carattere
sociale (Lo Stato fascista si propone: 1. il perfezionamento dellassicurazione infortuni; 2. il miglioramento e lestensione dellassicurazione maternit; 3. lassicurazione delle malattie professionali e della tubercolosi
come avviamento generale allassicurazione generale contro tutte le malattie; 4. il perfezionamento dellassicurazione contro la disoccupazione involontaria; 5. ladozione di forme speciali assicurative dotalizie per giovani
lavoratori).
Funzion il sistema? Buozzi analizzandolo nel confino di Montefalco
scriveva: Il corporativismo avrebbe dato al paese unimpronta particolare
e avrebbe risolto i problemi dei rapporti fra le classi, abolendo la lotta tra
capitale e lavoro e giungendo a una forma di pacificazione sociale e di collaborazione unica nella storia20. Insomma, sottolineava Buozzi, il corpo217

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

rativismo, nelle intenzioni di Mussolini, avrebbe superato il capitalismo


e il socialismo prendendo soltanto quello che vi era di buono in questi due
sistemi. Ma, concludeva il segretario della CGdL, i risultati, rispetto ai
proclami, furono modesti: Sopra questo edificio sindacale vennero poste
le corporazioni, organi dipendenti del ministero omonimo, le quali avevano
il compito di stabilire norme e leggi sulle condizioni di lavoro, nelle imprese, sui salari, sui prezzi, sulla disciplina della produzione... Ma limponente scheletro non fu mai riempito di un contenuto sociale nuovo o di
qualche valore. I progetti di difesa dei lavoratori e di subordinazione degli
interessi della classe padronale agli interessi della nazione e della collettivit si dissolsero contro la realt. I sindacati fascisti dei lavoratori nella
loro funzione reale divennero organi di imposizione degli interessi di una
classe sullaltra (quella padronale, n.d.a.)... Il contratto collettivo rimane...
sempre una decisione unilaterale21.

Questo scritto Bruno Buozzi lo realizz per lAlmanacco Socialista del 1931. Si trattava
di un numero particolarmente significativo perch segnava la ripresa delle pubblicazioni
dopo una breve interruzione legata allascesa al potere del fascismo e alla fuoriuscita
dallItalia di molti leader politici. Larticolo (Cenni storici sulla Confederazione Generale del Lavoro) venne riprodotto anche su lOperaio Italiano del 20 dicembre 1930. In
Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi, commenti inediti a cura di Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pag. 78
2
Ivi
3
Bruno Buozzi: Le condizioni della classe lavoratrice 1922-1943" Feltrinelli 1973, pag 96
4
Da quella espulsione, nascer il Psu di Turati, Treves, Saragat, Pertini e Matteotti che
verr eletto segretario. Aderir anche Buozzi. Due anni dopo al gruppo si unir Carlo
Rosselli
5
Castagno fa riferimento allespulsione della frazione terzinternazionalista di Serrati,
Maffei e Riboldi avvenuta in seguito alla vittoria di Nenni al congresso socialista
6
Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume Edizione Avanti! 1955, pagg. 73-4
7
Bruno Buozzi, relazione al sesto congresso della Fiom, 24-26 aprile 1924 a Milano; in
Bruno Buozzi scritti e discorsi Editrice Sindacale Italiana 1975, pag. 173
8
Ibidem pagg.174-5

218

AL VERTICE CONFEDERALE
9

Ibidem 175
Ibidem 175-6
11
Adolfo Pepe: Il sindacato fascista in A. Del Boca M. Legnani M.G. Rossi: Il regime
fascista Laterza 1995, pag. 221
12
Dal Bollettino CGdL, 1923, n. 9 sul Congresso Confederale; in Gino Castagno: Bruno
Buozzi ristampa del volume Edizione Avanti!, pag 76
10

13

Claudio Treves: La bancarotta del sindacalismo in Giuliano Pischel: Antologia


della Critica Sociale 1891-1926", Lacaita 1992, pagg. 542-3
14
Adolfo Pepe: Il sindacato fascista in A. Del Boca M. Legnani M.G. Rossi: Il regime
fascista Laterza 1995 pag. 233
15
Epoca, 20 agosto 1925 in Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista
riformista, Franco Angeli 1985, pag. 60
16
Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume Edizione Avanti! 1955, pag. 81
17
Rinaldo Rigola: Il ventennio della Confederazione del Lavoro in Giuliano Pischel:
Antologia della Critica Sociale 1891-1926" Lacaita 1992, pagg. 598-9
18
Rinaldo Rigola, Ivi
19
Adolfo Pepe: Il sindacato fascista in A. Del Boca M. Legnani M.G. Rossi: Il regime
fascista Laterza 2005, pagg. 241-2
20
Bruno Buozzi: Le condizioni della classe lavoratrice in Italia 1922-1943" Feltrinelli
1973, pagg. 97-8
21
Ivi

219

I riformisti avvertono la necessit di avere dei


guidatori esperti, di fare degli scioperi disciplinati
di conseguire il maggior risultato col minimo sforzo

Sindacato e partito

Nella foto Bruno Buozzi (quinto da destra) al termine di un comizio


a Costanza nel 1930: il leader della CGdL fu tre volte parlamentare
ma si sent per tutta la sua vita soprattutto un sindacalista

Chiss se entrando alla Camera avvert lo stesso spaesamento


che successivamente avrebbe colto autorevoli leader sindacali nel passaggio
dallattivit di rappresentanza e tutela dei lavoratori, alla politica. Certo
che Bruno Buozzi non acquis mai particolare dimestichezza con quel
mondo che gli sembrava tanto lontano dal suo, molto pi concreto, cos
abituato a confrontarsi con i problemi reali, con gli affanni delle persone,
con le ristrettezze dei bilanci familiari. Lo disse pure: Ho limpressione
che qui si parli troppo e ci si ripeta troppo1, quasi in avvio del suo mandato desordio. Si definiva uomo dazione ed evidentemente quel largo
girare intorno alle cose finiva per apparirgli lontano dalle urgenze di quei
lavoratori che lui sentiva di rappresentare anche l, in quel luogo cos diverso dalle sale in cui si discutevano, anche in maniera molto vivace, gli
accordi con le controparti. Ma dalle urne aperte nel 1919, seppur in maniera
un po indiretta era uscito il suo nome. E non erano state elezioni qualsiasi:
le prime con il sistema proporzionale e a suffragio universale (maschile).
Quel giorno al voto vennero chiamati oltre dieci milioni di italiani (per la
precisione 10.235.507) ma all appello rispose poco pi della met:
5.793.507. Il Paese era, evidentemente, ancora privo di una solida coscienza
politica.
Lanalfabetismo aggiungendosi a una certa indifferenza nei confronti di logiche e dibattiti che apparivano cos astrusi a gente che al mattino
era chiamata a spaccarsi la schiena per una paga il pi delle volte da fame,
incentivava lastensionismo. La novit della prima volta, poi, pi che avvicinare, allontanava. In lista, lo aveva voluto il suo maestro, Filippo Turati, che di quella nuova legge elettorale era anche il padre. In parte, per.
Perch il sistema uscito dai dibattiti parlamentari non era quello che lui
aveva immaginato e Francesco Saverio Nitti sulla materia, si era rivelato
223

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

mediatore pi abile di quanto il leader socialista avesse inizialmente immaginato. Abile nel difendere la vecchia classe dirigente liberale, il vecchio stato basato sul censo che in ogni caso da quelle urne usc
sostanzialmente a pezzi. Turati in quellItalia era il conoscitore pi profondo
di sistemi elettorali; allo studio della materia si era dedicato con passione
proprio con lobiettivo di sostituire il meccanismo proporzionale al maggioritario a doppio turno che aveva preservato, insieme a un suffragio molto
limitato, le vecchie classi dirigenti, prolungando la loro permanenza al vertice dello Stato ben oltre i loro effettivi meriti. Turati voleva, per via democratica, scardinare un sistema in cui prevalevano i potentati, i cacicchi,
i boss locali che distribuendo favori, si garantivano grandi privilegi. Giovanni Giolitti, da questo punto di vista, era un esempio luminoso. Ma non
solo lui anche perch se il leader piemontese aggiungeva a questo suo vecchio metodo di gestione del potere almeno un certo talento, molti altri erano
solo lespressione di una condizione che privilegiava il censo, la nascita in
un certo ambiente piuttosto che in un altro. Per raggiungere lobiettivo di
una nuova legge elettorale che riformasse realmente il sistema e non si limitasse solo ad ampliare il numero degli elettori come aveva fatto qualche
anno prima proprio Giolitti, Turati mise in piedi, insieme al cattolico Filippo
Meda, fin dal 1911, cio molto prima della conflitto Mondiale, lAssociazione Proporzionalista Milanese. E su quella riforma elettorale, il Psi era
schierato (quasi strano a dirsi) in maniera compatta. Perch tra i Popolari,
nonostante la posizione chiara di Sturzo, qualche distinguo cera.
La cosa a noi oggi pu far sorridere, considerata la maniera un po
leggera con la quale viene affrontata la materia, ma quella fu una grande
battaglia di democrazia perch il maggioritario a doppio turno era considerato un sistema che impediva una reale rappresentanza delle correnti di
opinione che si agitavano nel Paese: bastava un voto in pi nel proprio collegio per essere eletti e favoriva la subordinazione degli interessi nazionali
alle clientele locali (da questo punto di vista, evidentemente, una legge elettorale non basta per correggere la situazione). Turati vedeva nel nuovo sistema elettorale la chiave per aprire le porte dellItalia al vento della
democrazia, quella vera. E una democrazia vera si basa sui partiti: il sistema
proporzionale consentiva, scavalcando la concezione individualistica del
confronto politico alimentato dal maggioritario (ieri come oggi), di raffor224

S I N D A C AT O E PA R T I T O

zare le organizzazioni di massa. Le cose andarono effettivamente cos perch in quelle elezioni per la prima volta vinsero i partiti organizzati, il Psi
che conquist il 32,3 per cento dei voti e ben 156 seggi ed il Ppi che convogli sulle sue liste un 20,5 per cento che gli garant una rappresentanza
di cento parlamentari. Turati avrebbe voluto un proporzionalismo pi
spinto, ma la mediazione di Nitti consent alle vecchie classi dirigenti di
limitare la portata rivoluzionaria della scelta: meccanismi come il panachage (cio la possibilit per lelettore di dare la preferenza al candidato
di unaltra lista rispetto a quella votata) e il metodo di ripartizione dei seggi
(quello messo a punto dal costituzionalista belga Victor Hodt che escludendo lutilizzo dei resti finiva per favorire il partito di maggioranza relativa) furono per Turati altrettanti motivi di delusione. In pi, il suo partito
gli impose che la maggioranza dei candidati doveva essere espressa dalla
corrente massimalista che in quel momento deteneva la leadership del Psi.
Il mutamento della geografia parlamentare fu, comunque, notevole.
Fra i nuovi eletti cera anche lui, Bruno Buozzi. Il partito lo aveva
candidato in due circoscrizioni, a Torino e a Napoli, lui si ritrov quasi per
caso a rappresentare la citt meridionale anche se poi possibile che la cosa
gli abbia fatto piacere perch, come ha scritto Gino Castagno voleva essere
pi vicino agli operai meno difesi2. Il primo intervento in aula lo fece dopo
aver ascoltato le dichiarazioni programmatiche illustrate da Giovanni Giolitti chiamato a guidare il suo quinto governo. Era il 9 luglio del 1920
quando prese la parola, spiazzando in qualche maniera laula, perch lui,
inveterato riformista, utilizz toni e termini che sembravano usciti dal vocabolario di Serrati. Disse: Noi in fondo siamo gli eletti di tutti e di nessuno. Noi stessi che rappresentiamo qui dentro il partito pi forte e meglio
organizzato, sentiamo spesse volte che, al di sopra del nostro partito, chi
ci manda qui la massa anonima e irresponsabile. Su questa constatazione,
credo che non molti di voi possano dissentire. Ma una conseguenza logica
di questa constatazione non pu essere che questa, e cio che il Parlamento, o il suo sostituto, potr funzionare bene solo il giorno in cui sar
composto di uomini, di rappresentanti nominati esclusivamente dalle organizzazioni dei produttori. In altre parole noi pensiamo che i paesi potranno essere amministrati meglio, quando saranno gestiti dai Soviet,
anzich dal Parlamento. A quel punto laula cominci a rumoreggiare,
225

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

forse anche per la sorpresa. Buozzi and avanti: Qualcuno di voi potr
fare qualche smorfia su quello che vado dicendo; ma la verit , o signori,
che mentre voi quotidianamente rinunciate a qualche cosa del vostro programma, che mentre voi quotidianamente rinunciate a qualcheduno dei vostri privilegi, che mentre voi in altre parole vi sforzate di cedere senza dare
lapparenza di cedere, che mentre voi insomma cercate di minimalizzare il
pi possibile il vostro programma, noi proprio in questo periodo, di fronte
a voi sventoliamo sempre pi alto il nostro programma massimo, intorno
al quale chiamiamo a raccolta tutte le nostre forze, e per il quale ci apprestiamo a combattere con sempre rinnovata fede e moltiplicata energia3.
Cera, evidentemente, in quel gruppo socialista per la prima volta
nella storia del Paese numericamente robusto, la voglia di sottolineare le
radici, i riferimenti, il desiderio, insomma, di spiegare la novit di quella
presenza in una politica che aveva perduto i suoi vecchi contorni: la nuova
legge elettorale, che aveva battezzato i grandi partiti di massa, pur prodotto di un compromesso decisamente lontano da quelli che erano gli obiettivi iniziali di Turati e dei socialisti, aveva comunque aperto la strada a
forme nuove di democrazia, la democrazia di forze realmente rappresentative degli umori del Paese, sul riferimento individuale prevaleva lidentit
collettiva, lidentit di gruppo. Cera lorgoglio ma non ancora la lucidit;
cera la consapevolezza del passato ma anche troppe diversit che impedivano ai socialisti di organizzare una proposta politica coerente, capace
anche di bloccare un fascismo che avrebbe ridotto quello spirito di democrazia a una parentesi breve.
Nessuno, insomma, nascondeva che il Paese fosse giunto a una svolta.
La guerra era uno spartiacque. Incalzava orgogliosamente Buozzi (forse
anche un po ingenuamente), puntando il dito verso la vecchia classe dirigente che si preparava a sostenere il governo di un anziano e ormai spento
Giolitti: La distanza in metri qui dentro poca, ma ci che ci separa
enorme. Voi siete il passato, anche quando non volete esserlo; noi siamo
lavvenire. Voi, attraverso tutta lopera che andate compiendo, vi dimostrate sempre pi i migliori ed i pi forti puntelli del vecchio regime borghese e della conservazione sociale. Fra noi e voi, qui dentro si svolge
leterna polemica tra il passato, il presente e lavvenire. Lasciatemi dire
(lo ripeto perch sento che a voi d fastidio), lasciatemi dire: voi siete il
226

S I N D A C AT O E PA R T I T O

passato e il presente; noi il presente e lavvenire. Il presente perch in tutta


la vostra azione non c che una preoccupazione: quella di svalutare la nostra opera; siamo lavvenire, perch questa vostra stessa azione dimostra
che voi sapete, che voi sentite che lavvenire nostro. Non vi camuffereste
tanto facilmente da socialisti se non fosse cos. Noi sappiamo, voi sapete
che le stesse vostre masse operaie sono tendenzialmente con noi. Per conservare le vostre organizzazioni dovete quotidianamente camuffarvi, e camuffarvi da socialisti. Smettetela di gareggiare a parole con noi come fate
in alcune localit e vedrete che la massa vi mander a spasso. Quindi
laffondo a Giolitti: Il proletariato, onorevole Giolitti, non pu credere
nel vostro programma. I maligni dicono che non ci credete neppure voi.
Altri dicono che un programma di preparazione per le probabili prossime
elezioni, altri hanno detto qui dentro che un programma puramente amministrativo, contabile. Certo vi sono in esso degli accenni alla ricostruzione economica del Paese, ma a noi sembrano eccessivamente
indeterminati. Solo uno qui dentro ha esposto un programma vero e proprio
di ricostruzione economica: il nostro compagno e maestro Filippo Turati4.
Al centro dellattacco di Buozzi, il continuo trasformismo di Giolitti, che pur teorizzando la tesi di un coinvolgimento delle masse popolari
nel governo del Paese, di un allargamento della democrazia anche attraverso timidi interventi di tipo sociale, finiva per produrre quasi sempre risultati inferiori alle attese suscitate. E poi con quel suo pendolarismo
politico, tra destra e sinistra, che gli aveva consentito di rimanere in equilibrio al centro della vita politica italiana come un abile acrobata (pur con
qualche momento, a volte lungo, di emarginazione o auto-emarginazione),
finiva, alla resa dei conti, per non essere convincente per nessuno. Del suo
governo facevano parte i socialisti riformisti di Ivanoe Bonomi e Leonida
Bissolati (dai tempi del sostegno alla guerra libica messi alla porta dal Psi),
una alleanza che alimentava laccusa di camuffamento. Due mesi dopo
proprio Giolitti provvide a firmare il famoso decreto che chiudeva la vertenza sfociata nelloccupazione delle fabbriche. La legge che doveva dare
sostanza allintesa sul controllo operaio non vide mai la luce. E un anno
dopo, quando il Parlamento venne effettivamente sciolto aprendo la strada
a nuove elezioni, Buozzi si ritrov di fronte uno dei protagonisti di quella
vertenza. Protagonista dallaltro lato della barricata, cio Giuseppe Mazzini.
227

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Cera stata la scissione di Livorno e un pezzo consistente del partito era


andato via. Nel Paese circolava una brutta aria fatta di violenze, richiami
dordine, spinte decisamente reazionarie.

9.1 Arriva la legge Acerbo

Nonostante tutto, nonostante leccesso di litigiosit che caratterizzava la vita del Partito, i socialisti si erano confermati come la forza politica
di maggioranza relativa. Avevano ottenuto, nella consultazione del 15 maggio 1921, un milione e 631 mila voti, cio il 24,7 per cento, e avevano conquistato 123 seggi. I popolari erano cresciuti (108 seggi), i comunisti
avevano guadagnato il 4,6 per cento dei consensi e quindici parlamentari.
Mussolini si present nella lista dei Blocchi Nazionali che fu il termometro dello scivolamento del paese verso la reazione visto che conquist
105 parlamentari (il 19,7 per cento), trentacinque dei quali di diretta espressione del partito del futuro duce (che per numero di preferenze ottenute
risult il terzo pi votato dItalia). I numeri, comunque, erano ancora favorevoli a una coalizione capace di impedire lascesa al potere del fascismo.
La strada era quella indicata da Buozzi (lalleanza con i Popolari che, tra
laltro, aveva portato alla riforma proporzionalista) ma il Psi, dilaniato dalle
lotte intestine (un anno dopo sarebbero andati via i riformisti di Turati), rinunci a compiere quel passo che avrebbe probabilmente evitato al paese
la buia notte della dittatura.
Quando Mussolini chiese i pieni poteri, il segretario della Fiom
intervenne di nuovo con un appassionato discorso (ne parleremo pi avanti).
Ma era ormai troppo tardi per fermare la valanga. Da parlamentare e da dirigente sindacale, Buozzi avvertiva che gli spazi di libert si stavano restringendo sempre di pi, che lagibilit democratica era a rischio. Quel sistema
proporzionale che avrebbe dovuto portare, nelle intenzioni di Turati, a un
ampliamento della democrazia, per una di quelle situazioni paradossali che
spesso la storia descrive, stava inesorabilmente facendo precipitare lItalia
verso il regime, cio verso la sostanziale cancellazione del sistema parlamentare. Alla sua seconda legislatura, Buozzi assisteva contemporaneamente
alla dissoluzione degli spiriti democratici e allannichilimento della dinamica
sindacale basata sulla mediazione tra le parti, sul conflitto che trovava il suo
sbocco positivo con la contrattazione. Assisteva, insomma, al trionfo della
228

S I N D A C AT O E PA R T I T O

prepotenza (anche padronale). Da parlamentare assisteva pure a unaltra vicenda paradossale: una minoranza che si trasformava in maggioranza utilizzando le vilt, gli errori politici, le sottovalutazioni della maggioranza e
le complicit di un re che anche davanti a vicende violentemente scandalose,
come lomicidio Matteotti, volle confermare tutta la sua indifferenza nei
confronti dei principi costituzionali chiudendo gli occhi e accettando che le

Nenni e Pertini nel 1947: figure centrali nella storia politica di Bruno Buozzi

229

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

regole venissero calpestate, e di buona parte della vecchia classe liberale


che accecata dallanti-socialismo si gett nelle braccia delluomo della provvidenza. Perch cos come non ci sarebbe voluto molto per impedire a Mussolini di avere lincarico di formare il governo (con laccompagnamento di
quella triste carnevalata della marcia su Roma), allo stesso modo non sarebbe stato difficile impedire il varo di quella legge elettorale che avrebbe
trasformato il principio proporzionalista (sostenuto da Turati proprio per le
sue potenzialit democratiche) nel piedistallo di un regime autoritario. Perch quando la legge messa a punto da Giacomo Acerbo approd in Parlamento, le truppe di Benito Mussolini erano ben poca cosa, non pi di
trentacinque parlamentari di stretta osservanza o, se non di stretta, almeno
di contigua. Ma poi entr in ballo la vecchia classe dirigente liberale dei
Giolitti e dei Salandra che decise di uscire di scena con lultimo misfatto
garantendo il proprio sostegno alla riforma. Non stette con le mani in mano
nemmeno il Vaticano che spacc il gruppo popolare (contrario alla legge ma
non granitico tanto vero che alcuni parlamentari si dimisero per poter votare il provvedimento). Alla fine la legge venne approvata, prima alla Camera, il 21 luglio del 1923, dove ottenne 223 voti a favore e 123 contrari (i
cinquantatr assenti avrebbero potuto orientare in maniera diversa la
conta) e poi, il 14 novembre, al Senato (165 s e 41 no).
Le ricostruzioni parlano di capannelli di bravi fascisti nei corridoi
parlamentari che giocherellavano con le pistole mentre altri si pulivano
ostentatamente le unghie con i coltelli. Il meccanismo elettorale prevedeva
lassegnazione dei due terzi dei seggi al partito che avesse ottenuto la maggioranza relativa, comunque un consenso non inferiore al 25 per cento. Ma
di quel premio, Mussolini non ebbe bisogno visto che il 6 aprile del 1924
raccolse oltre 4,3 milioni di voti (le modalit di quel raccolto, furono,
poi, illustrate da Giacomo Matteotti che pag quelle denunce con la vita).
Due milioni di voti andarono alle forze di opposizione che si presentarono
in ordine sparso (sei liste, fu fatta cadere la proposta comunista di un fronte
unico). Il Partito Socialista Unitario guidato da Matteotti conquist quasi
il sei per cento dei consensi (il Psi che lanno prima aveva espulso i terzinternazionalisti di Serrati, si ferm al cinque, mentre il PCdI prese il 3,7).
In quel Parlamento ormai completamente in mano a Mussolini, Bruno
Buozzi ci torn per la terza volta, in questo caso eletto nel collegio del Pie230

S I N D A C AT O E PA R T I T O

monte. Si era presentato nelle liste del Psu, il partito a cui aveva aderito il
3 ottobre del 1922, cio quarantotto ore dopo la fondazione ufficiale, seguendo il suo maestro, Filippo Turati (daltro canto, sino a quando il leader riformista era rimasto nel Psi, il segretario della Fiom aveva aderito alla
sua corrente, Concentrazione socialista).
Nei confini stretti di una dittatura che usava ancora il sistema parlamentare come una trasparente foglia di fico, Buozzi spar le ultime cartucce polemiche. Sapeva bene che poco o nulla si poteva contro una maggioranza di
quattrocento parlamentari e con un paese intimidito dalle violenze continue,
incapsulato nella camicia di forza di leggi liberticide e, comunque, come da
inveterate abitudini, pronto a correre, a maggioranza, in soccorso del vincitore. L, in quei banchi, ritrov, in veste di colleghi parlamentari, vecchi avversari sindacali, rappresentanti di quel ceto industriale che con maggiore o
minore ardore avevano assecondato lascesa al potere di Mussolini. Tra i
primi (cio quelli che avevano assecondato con maggior ardore) Jacob Angelo Gino Olivetti, liberale conservatore, dirigente di primo piano delle organizzazioni industriali (segretario della Lega di Torino nel 1906 e poi della
Confindustria dal 1919 al 1933), convinto sostenitore del corporativismo economico declinato in chiave di supremazia tecnico-manageriale e di controllo
ferreo sulla disciplina in fabbrica. Agli occhi del duce aveva un solo difetto: era ebreo e dopo il varo delle leggi razziali la sua stella allinterno
del Partito Nazionale Fascista tramont, anzi emigr: prima in Svizzera, poi
a Parigi, infine, per la definitiva sistemazione, in Argentina, dove mor.
Buozzi lo conosceva bene. Molto meglio conosceva Giuseppe Mazzini che non condivideva lardore filo-mussoliniano del collega. Mazzini
era un liberale e aveva conosciuto Buozzi in occasione dello sciopero delle
lancette quando i colleghi gli avevano attribuito il compito di guidare la
delegazione industriale nelle trattative. Si ritrovarono poco dopo, nel clima
infuocato delloccupazione delle fabbriche. Uno di fronte allaltro. E fu in
quella vicenda che si guadagn i galloni di presidente della Confindustria
(lelezione avvenne poco dopo la conclusione della vertenza, il 29 ottobre
del 1920). La mediazione di Giovanni Giolitti era sostenuta da Giovanni
Agnelli e lui si schier con determinazione dalla parte del fondatore della
Fiat. Agnelli, evidentemente, non aveva nessuna intenzione di cedere spazi
di controllo della sua fabbrica agli operai ma vedeva nelliniziativa del pre231

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

sidente del consiglio loccasione per prendere tempo, per far scivolare la
cosa nella nebbia pi che dellimpossibile, dellirrealizzabile, insomma,
come avrebbe detto il nipote Gianni, per gettare la palla in angolo. Cosa
che effettivamente avvenne perch il decreto prevedeva ladozione di una
legge che doveva essere elaborata da una una commissione a cui partecipava anche Mazzini e che non giunse ad alcuna conclusione (perch sostanzialmente sabotata dagli industriali). Questa assenza di conclusioni era
una vittoria per gli industriali. E una nota di merito per Mazzini che aveva
assecondato quella strategia. Il rapporto con Buozzi, per, si fondava sulla
reciproca stima anche favorita dal fatto che Mazzini non si schiacci mai
sulle posizioni di Mussolini non condividendone le pratiche di costruzione
del consenso. Tanto vero che quando il duce venne defenestrato, Pietro Badoglio pens a lui per il posto di commissario della Confindustria. E
Mazzini, a sua volta, per il ruolo di commissario delle organizzazioni sindacali dei lavoratori, indic al Maresciallo quel vecchio avversario con cui
aveva avuto tanti scontri.

9.2 Mazzini e le polemiche parlamentari

Lultimo, proprio in Parlamento, il 22 maggio del 1925 quando


Buozzi aveva puntato il dito contro le violazioni contrattuali, contro lemigrazione di tanti operai antifascisti che andavano ad arricchire con la loro
qualit professionale apparati industriali concorrenti. Da politico, da esponente del Psu, il segretario della Fiom si sforzava di intervenire su argomenti di sua competenza. E quel giorno alla camera si parlava di dazi.
Polemizzava con il parlamentare fascista Orano il quale terrificato dal
susseguirsi a breve scadenza, di diverse catastrofi minerarie che avevano
sepolto migliaia di lavoratori, pubblic uno scritto indubbiamente suggestivo, dal titolo ad metalla, il quale concludeva col grido: aboliamo la
miniera, sopprimiamo la miniera! La soluzione sarebbe indubbiamente
eroica. Ma... il mondo si avvia a mangiare pi ferro che pane, e perci mi
pare almeno dubbio che egli voglia rinunciare alle ferrovie e allelettricit
per liberarsi dellindustria pesante e di quanto di disonesto e di scandaloso
la circonda5. In sostanza, il parlamentare fascista si lamentava per il fatto
che intorno allindustria metallurgica, che in quel periodo rappresentava
lavanguardia tecnologica del settore produttivo, nascessero scandali e fe232

S I N D A C AT O E PA R T I T O

nomeni speculativi. Buozzi gli spiegava: Nessun blocco di industrie ha


importanza politica, si presta a tentativi speculativi ed provocatore di conflitti quanto quello delle industrie metallurgiche, meccaniche e navali6. Da
sindacalista, da uomo abituato a fare affidamento sui numeri, sui dati, sulle
cose concrete aggiungeva: In tesi generale, economia e politica si confondono. Per, mentre dallesame delle situazioni economiche si pu assurgere
a considerazioni politiche, non ancora dimostrato che, per considerazioni
politiche, sia conveniente sabotare entit economiche... dovere dei partiti
che si rispettano guardare in faccia alla realt, qualunque essa sia. Le industrie bisogna cercare di conoscerle. Solo conoscendole possibile relativamente sintende tenere a bada gli speculatori e le canaglie che le
infestano. Il governo operaio non deve essere il governo degli imbecilli.
Certa propaganda fa dei ribelli ma non degli uomini, e induce i lavoratori
a odiare e svalutare chiunque abbia mansioni direttive o tecniche... Sono
socialista, sono costretto a preoccuparmi del costo della vita nellinteresse
degli operai che rappresento e devo fare i conti quotidianamente colla realt
per rendere meno aleatoria possibile loccupazione dei miei rappresentati7.
Fatta questa premessa, passava ad attaccare proprio Mazzini che
aveva parlato, nel corso del dibattito, di un decadimento della manodopera. La realt che nelle fabbriche erano calati i diktat del regime che
coincidevano con i desideri di molti imprenditori: liberare i capannoni dalle
presenze pi scomode, pi sindacalizzate. In unaula a lui contraria, rivolgendosi al presidente degli industriali, Buozzi prendendo ad esempio la situazione di Torino, affermava: A Torino il 90 per cento degli operai
veramente abili sono sovversivi, sono nostri. Della crisi di questi ultimi
anni gli industriali hanno approfittato per liberarsi di tutti i soci pi attivi
della nostra organizzazione8. Conclusione: del decadimento non hanno
colpa gli operai ma gli industriali9. Mazzini provava a interloquire:
un po esagerato. Buozzi incalzava: Lemigrazione metallurgica di primissimo ordine, di qualit. Il 90 per cento degli emigranti metallurgici
sono dei boicottati e dei profughi del fascismo, i quali allestero sono preferiti alle maestranze indigene e pagati profumatamente. Io ho avuto occasione di trovarmi a Parigi nel periodo nel quale pi infieriva la crisi
dellindustria automobilistica. Ebbene mentre i licenziamenti si susseguivano a ondate, degli operai italiani nessuno o quasi veniva licenziato. Ri233

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

peto: si trattava di operai boicottati dagli industriali italiani e di perseguitati politici. Un atto di accusa contro il regime recitato nel momento in
cui Mussolini si preparava a lanciare lultima offensiva contro l organizzazione sindacale libera attraverso il patto di Palazzo Vidoni e la legge
Rocco che aboliva il diritto di sciopero.
Il fascismo, per, ancora non aveva piegato Buozzi e se concludere
contratti era diventato complicato, allora non restava altro da fare che difendere i lavoratori dallo scranno parlamentare. Spiegava, sempre puntando
il dito contro Mazzini: La maggioranza degli industriali italiani non ha
ancora acquistata la coscienza del contratto di lavoro. Il contratto di lavoro
si subisce come una calamit salvo che da una parte dei grandi e medi industriali... La situazione grave questa: quando lindustriale viola il contratto e si verifica lintervento dellorganizzazione industriale, il massimo
che gli possa capitare di essere invitato a rispettare il contratto di lavoro,
senza alcuna sanzione. Quando invece sono gli operai a violare i concordati, allora sono multe, sospensioni, licenziamenti, i quali, talvolta, nei
paesi in cui c una sola officina significano lesilio, la condanna ad andare
in giro per il mondo10. Il tutto tra le interruzioni di Olivetti.
Fu quello lultimo intervento parlamentare di Buozzi: ormai non
era pi tempo di politica in Italia e anche lui, al pari di tanti operai, doveva
prepararsi allesilio. La carriera politica stava per finire. Ma quella fine probabilmente lo angustiava poco. Lo angustiava molto di pi la fine (almeno
in patria) dellattivit sindacale. La politica lui laveva vissuta sempre come
un impegno secondario, sicuramente non come laspetto centrale della sua
attivit. I suoi interventi in Parlamento non erano stati numerosi anche perch le vertenze, le trattative assorbivano gran parte del suo tempo. Era cresciuto in unofficina, conosceva la durezza del lavoro, i sacrifici, limpegno
quotidiano. Ma il lavoro aveva completato la sua personalit. Avvertiva,
negli umori pesanti dellofficina, qualcosa di eroico, di epico. Si sentiva
circondato da personaggi come quelli che descriveva Edmondo De Amicis
che negli anni giovanili di Buozzi era stato una sorta di nume tutelare del
socialismo, quanto meno da un punto di vista intellettuale. Amico di Filippo
Turati che aveva avuto un ruolo non secondario nella sua adesione a quegli
ideali, collaboratore della Critica Sociale, la figura di maggior spicco di
quel socialismo dei professori che a Torino aveva affascinato tante gio234

S I N D A C AT O E PA R T I T O

vani menti pronte a esaltarsi per un ideale di giustizia. significativo da


questo punto di vista quel che scrisse per il primo numero de il Metallurgico edito dal segretariato per le province italiane della Federazione fra
operai metallurgici in Austria. In pratica, il giornale usciva a Trieste, in
quel momento non ancora italiana (era il 1 maggio del 1910): Vagabondo
che sono fra lintervallo di un treno in arrivo e uno in partenza, stillo queste
brevi note ispiratemi ora, in ferrovia, da un caro e buon libro che ho voluto
rileggere e che, dopo parecchi anni passati in mezzo a battaglie non sempre
serene, mi ha ricondotto e abbeverato alle pi pure fonti dellidealit nostra.
Intendo dire di Edmondo De Amicis e delle sue Lotte Civili. Chi non ricorda
il discorso di Primo Maggio una soave collana di apologhi diretti allo
studente e al borghese, allo scienziato e al filantropo, al ricco e al lavoratore? Rivolto al lavoratore De Amicis dice: Il primo impulso della redenzione del lavoro deve venire da te. Se vuoi che il mondo ti saluti, devi portare
alta la fronte; ma per portare alta la fronte bisogna levare lanimo in alto11.
Ha qualcosa di spirituale la sua idea di sindacato, pertanto meno
contaminata dalle furbizie e dalle sottigliezze della politica. il riscatto
della gente umile, che alzano la fronte per farsi salutare dal mondo ed esiste
un solo modo per alzare la fronte e lui che ha lasciato la scuola con la quarta
elementare ancora in corso, lo sa bene. E allora continuava, in tono quasi
autobiografico: Loperaio che a costo di tanti sacrifici inauditi trascura
anche il proprio per linteresse comune, che sottrae qualcuna delle poche
ore che gli sono concesse al sonno per dedicarsi allo studio ed alla propria
organizzazione, mirando allutile pi dei suoi compagni che suo, che affronta continuamente lira sorda degli industriali, la disoccupazione e
spesso anche la galera, nel giornaletto professionale o di propaganda si
pone da s tanto in alto da potere con sicura coscienza disprezzare anche
tutti gli omenoni asserviti al gazzettume che la borghesia adopera per far
indietreggiare, a colpi di centinaia di migliaia di copie, il cammino dellidea emancipatrice... Le organizzazioni operaie sono quanto di meglio
abbia suggerito la storia per lo sviluppo della civilt e per il raggiungimento del pi sublime degli ideali, la redenzione del lavoro12. Lattivit
sindacale, dal suo punto di vista, assume caratteri quasi missionari al servizio dellideale ultimo e pi sublime. Al confronto, la funzione del partito gli doveva apparire in qualche misura meno nobile, soprattutto pi
235

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

lontana dalla concretezza delle cose da fare, degli obiettivi da raggiungere,


verificabili giorno per giorno.
Il sindacato, insomma quasi un mondo a parte, un entit che ha
una vita propria e che in quella vita propria si esalta e si rinnova. Ci non
significa che Buozzi non partecipasse al dibattito politico, ma lo faceva
quasi sempre controvoglia. Ad esempio, venne tirato dentro la questione
del partito del lavoro per i capelli. Una suggestione, questa di una forza
politica espressa direttamente dal sindacato, che di tanto in tanto riaffiora
in Italia, alimentata anche dal fascino che, a corrente alternata, esercita sulla
sinistra nostrana il Labour Party britannico. Lidea riemersa anche in
tempi recenti. Ma Londra appare tanto lontana dallItalia. E tanto lontana
appariva anche a Buozzi. La questione semplice: pu un sindacato partorire un partito? In Gran Bretagna il parto riuscito ma in situazioni decisamente diverse. Da quelle parti il fascino del marxismo nelle versioni pi
dogmatiche ha avuto vita pi grama. Pur essendo nate intorno agli anni Ottanta dellOttocento le prime associazioni socialiste (la Federazione Socialdemocratica e la societ fabiana), in realt le prime reali organizzazioni di
massa furono le Trade Unions che svolgevano attivit di difesa sindacale
e ideologicamente erano legate soprattutto alle aree pi avanzate del partito
liberale. La loro espansione verso la fine dellOttocento, soprattutto attraverso lorganizzazione degli operai meno qualificati, le sottrasse allegemonia culturale liberale progressista, facendole spostare verso il socialismo
(che, comunque, in Gran Bretagna era stato sempre riletto nella sua versione
gradualistica). A quel punto, nacque lesigenza di una rappresentanza politica che non poteva essere garantita dalle Trade Unions. E cos da una costola del sindacato venne fuori prima lIndipendent Labour Party, poi con
lalba del nuovo secolo il Labour Representation Committee e infine, nello
stesso anno in cui in Italia nasceva la CGdL, cio il 1906, il Labour Party.
A lanciare il partito del lavoro provvide Rinaldo Rigola, nel 1910, preoccupato dei contrasti che, soprattutto in Romagna, finivano per contrapporre le rappresentanze politiche dei lavoratori. Lipotesi, che riaffior negli
anni caldi dellascesa al potere del Mussolini, rilanciata da Ludovico
DAragona finendo per apparire una sorta di ponte nei confronti del regime (il vecchio segretario della CGdL si era messo in attesa e probabilmente pensava che rompendo con le tradizionali alleanze politiche,
236

S I N D A C AT O E PA R T I T O

sarebbero state garantite condizioni di agibilit sindacale), in realt qualche


sostenitore la proposta fra i socialisti laveva anche trovato. Non dispiaceva,
ad esempio, a Ivanoe Bonomi (per il quale il sol dellavvenire lo avrebbe
fatto sorgere la classe lavoratrice con la sua opera concreta e non il partito)
e a Leonida Bissolati (per il quale il partito era destinato a diventare un orpello inutile e tutti i poteri sarebbero passati inevitabilmente al sindacato).
Buozzi, per, la pensava diversamente e lo spiegava con chiarezza ai sostenitori di quella tesi: Non siamo riusciti a convincerci della necessit invocata13. E aggiungeva: Anche noi in passato abbiamo cercato di
convincerci della opportunit di liberare le organizzazioni di ogni ingerenza
politica; ma non ci siamo riusciti e per due ragioni: 1) perch chi ha formato, chi ha compreso e chi guida tuttora le migliori nostre organizzazioni
sono appunto quegli uomini che pi hanno sacrificato per delle alte idealit
politiche, le quali hanno infuso in loro volont, tenacia, spirito di sacrificio
e sete di sapere, qualit tutte indispensabili per lorganizzazione; 2) perch
il settarismo e lo spirito politico di cui alle volte sono pervasi gli iscritti ai
Partiti, anche se portato in esse, noi non crediamo, come credono taluni,
che sia tanto deleterio per lorganizzazione14. La storia del partito del lavoro allinterno del Psi non che fosse stata accolta troppo bene. La Critica
Sociale attraverso Turati e Treves laveva bocciata sostenendo che quella
idea finiva per allontanare e non per avvicinare la prospettiva del socialismo.
La stessa definizione di questo nuovo soggetto era poco chiara. Un partito
che si sostituiva a quello tradizionale del movimento operaio? Rigola pi
che a una sostituzione, pensava a una sovrapposizione o, meglio, a una aggiunta: un partito che sul fronte delle questioni economiche tenesse unito il
proletariato, lasciando al Psi il compito delle rivendicazioni democratiche.
Una distribuzione di compiti che evidentemente non reggeva. Si
domandava Buozzi: possibile la costituzione di un Partito del Lavoro
in Italia, sia pure fra qualche anno? E da chi potr essere composto? Gli
operai che seriamente professano delle idee politiche e le sentono, difficilmente si adatterebbero a rinunciare alle stesse per entrare in un partitone
tipo economico; gli altri, che idee politiche non hanno, sar tanto se
riusciremo a farli entrare in un discreto numero di organizzazioni. Ma ammesso pure che la cosa sia possibile, come si pu pensare ad escludere la
politica dal nuovo partito?15. Conclusione: Per questo, senza dare so237

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

verchio peso alla mancanza di uomini e di mezzi questioni subordinate


e senza confrontare lItalia con lInghilterra dalla quale, ahim, siamo
troppo... distanti, noi non crediamo alla necessit, alla opportunit ed alla
possibilit di costituzione di un Partito del lavoro in Italia. A DAragona
e Gino Baldesi (nel frattempo eletto alla Camera nella consultazione del
1921, transitato poi nello stesso partito del segretario metallurgico, cio il
Psu) che nel congresso nazionale della CGdL del dicembre 1924 riproposero il tema, la risposta di Buozzi fu la stessa. E su quel diniego la Confederazione ritrov lunit perch alla posizione dei riformisti rappresentata
dal leader metallurgico si associarono i massimalisti (Schiavello, Sacconi
e Viotto) e i comunisti (Ferrari, Reposti e Vota). Tanto vero che nessuna
traccia si ritrova nella mozione finale. Quale fu, allora, il rapporto di Buozzi
con il partito? Quel che sembra emergere soprattutto un vincolo personale
(oltre ladesione ideologica). Buozzi non un massimalista (lo dice chiaramente polemizzando con Gramsci). Ma soprattutto legato alle figure
del riformismo milanese, agli uomini che ha conosciuto in giovent appena
approdato nella grande citt, gli uomini che hanno condizionato le sue idee
e il suo carattere: emerge, in qualche maniera, il segno della fedelt che
non acquiescenza acritica.
Fedele a Turati, in primo luogo, nei confronti del quale mostrava
una devozione filiale; di Treves a cui lo accomunava anche una certa identit caratteriale; a Prampolini che lo affascinava con il suo insegnamento
di vita; a Matteotti che con il sacrificio gli indicher la strada della coerenza.
Buozzi non un ideologo, non costruisce complicate e forbite elaborazioni intellettuali; una persona pratica, in grado di capire al volo i bisogni
di quelli che per anni sono stati i suoi compagni di lavoro. Il suo socialismo
non esercizio da intellettuali, ma strumento pratico per favorire laffrancamento delle classi meno protette. Segu Turati non solo per convinzione
(non si sarebbe certo ritrovato nel PCdI e non avrebbe accettato un Psi snaturato dallegemonia dei massimalisti n sarebbe riuscito a entrare in sintonia perfetta con Pietro Nenni che veniva da esperienze politiche lontane
dalle sue), ma anche per affetto, per la solidit del rapporto che li legava,
per la fiducia che ispirava il vecchio maestro che poi divent uno straordinario frequentatore della sua casa parigina e che in quella casa si spense.
Ma guardava anche con sofferenza alla frantumazione della rappresentanza
238

S I N D A C AT O E PA R T I T O

politica dei lavoratori e nel momento in cui le condizioni consentirono almeno la ricomposizione dei socialisti, lui si ritrov in quel partito rimanendo sulle posizioni che aveva sempre sostenuto.

Bruno Buozzi, intervento alla Camera del 9 luglio 1920. In Aldo Forbice (a cura di):
Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943) Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 161
2
Gino Castagno: Bruno Buozzi, ristampa del volume Edizione Avanti! 1955, pag. 77
3
Bruno Buozzi, intervento alla Camera del 9 luglio 1920. Ibidem pagg.161-2
4
Bruno Buozzi, intervento alla Camera del 9 luglio 1920. Ivi
5
Bruno Buozzi, intervento alla Camera del 22 maggio 1925. Ibidem pag. 184
6
Bruno Buozzi, intervento alla Camera del 22 maggio 1925. Ivi
7
Bruno Buozzi, intervento alla Camera del 22 maggio 1925. Ibidem pag. 185
8
Bruno Buozzi, intervento alla Camera del 22 maggio 1925, Ibidem pag. 192
9
Bruno Buozzi, intervento alla Camera del 22 maggio 1925, Ivi
10
Bruno Buozzi, intervento alla Camera del 22 maggio 1925. Ibidem pag. 193
11
Bruno Buozzi: Ai metallurgici triestini, in il Metallurgico, Milano 1 maggio 1910.
Da Bruno Buozzi scritti e discorsi Editrice Sindacale Italiana 1975, pagg. 55-6
12
Bruno Buozzi: Ai metallurgici Triestini. Ivi
13
Bruno Buozzi: Di un partito del Lavoro in il Metallurgico Milano 10 agosto 1910;
da Il riformismo socialista italiano. Matteotti-Buozzi Marsilio 1981, pag. 199
14
Bruno Buozzi: Di un partito del Lavoro. Ibidem pag. 200
15
Bruno Buozzi: Di un partito del Lavoro. Ibidem pag. 201

239

Ci sono uomini di larga notoriet


che conosciuti da vicino rimpiccioliscono
Filippo Turati non era di questi

Turati, Treves, Matteotti e Saragat

Filippo Turati al balcone di casa Buozzi con la moglie del leader sindacale
(alla sua destra) e le figlie Ornella e Iole accanto al padre. In quella
abitazione parigina il fondatore del Psi sarebbe morto il 29 marzo 1932

Riuniti in vita e, in qualche maniera, riuniti nella fine. Attraversarono insieme le vicende del socialismo italiano; insieme, quasi passandosi
il testimone sono usciti di scena: drammaticamente, in alcuni casi, pi
serenamente, in altri. Tutti, tranne Giuseppe Saragat, con un rimpianto: non
aver visto lalba di una nuova Italia, quella democratica, guarita dallinfezione del fascismo. Giacomo Matteotti e Bruno Buozzi vittime della ferocia
della dittatura e della guerra, il secondo assassinato dai nazifascisti in fuga,
esattamente ventanni dopo la scomparsa del primo, ucciso dai sicari di
Mussolini. Claudio Treves scomparso esattamente un anno dopo Filippo
Turati, di ritorno da una commemorazione di Matteotti. Uniti nella vita e
negli ideali. Che li avevano portati in rotta di collisione allinterno del Psi
prima con i massimalisti e poi con i comunisti. Espulsi, infine, da Serrati
per ordine di Mosca. Qualche giorno dopo quel congresso autunnale, Claudio Treves scriveva: Quanto a noi socialisti che riprendiamo dopo le fluttuazioni socialcomuniste la via maestra per continuare la politica di
progressiva ascensione del proletariato attraverso la propaganda, leducazione politica, sindacale, cooperativa, intellettuale della classe lavoratrice; i metodi gerarchici e assolutistici del militarismo, rivoluzionario
quanto si vuole, ci sono affatto estranei, perch diametralmente opposti al
fine che noi ci proponiamo. Noi abbiamo bisogno di libert di movimento:
tattico e di autonomia di direzione conforme alle circostanze nostre e ai
bisogni del proletariato in confronto dei nostri partiti borghesi. Noi non
possiamo delegare la nostra coscienza, che fatta del senso di responsabilit, ad altri, per quanto illustri e benemeriti della rivoluzione, ma da noi
distanti e con interessi particolari importantissimi che essi debbono mandare avanti ad ogni considerazione degli interessi dei singoli raggruppamenti nazionali del proletariato. Messa la scissione su tale terreno, non
243

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

esitiamo a riconoscere che essa fosse, pi che benefica necessaria1. Quel


gruppo di reprobi, un paio di settimane prima di quellarticolo, il 1 ottobre
del 1922, si era ritrovato sotto le nuove insegne del Partito Socialista Unitario. La coesistenza con Serrati che spingeva verso la Terza Internazionale
nonostante un anno e mezzo prima avesse deciso di non consegnare lo
scalpo dei riformisti a Lenin, era diventata impossibile. Loro, Turati, Treves,
Matteotti, Buozzi, Saragat, Pertini, pensavano (come diceva Treves) che la
solidariet internazionale non dovesse prevalere su tutto, anche sulle specificit nazionali. Si sentivano marxisti (e lo erano) ma non accettavano
lidea di essere eterodiretti, di delegare la propria coscienza, anche se
quegli altri erano dei benemeriti della rivoluzione. Insomma, a ognuno
la sua strada verso il socialismo e quel gruppo che si identificava in un leader storico, Turati, aveva deciso di mettersi autonomamente in cammino,
seppur forzato dagli eventi. Il filo che legava questi uomini era costituito
dai modi in cui raggiungere la meta. Ma questi modi, che erano cos chiari
in Lenin, non lo erano altrettanto per Marx a cui anche loro facevano riferimento. Ha scritto Nicolao Merker: Quando Nieuwenhuis gli aveva chiesto cosa dovesse fare un governo operaio arrivato al potere, Marx rispose
nel febbraio del 1881 di non essere un futurologo. Sottoline che un governo socialista non arriva al potere se non esistono condizioni altamente
sviluppate che la Comune di Parigi non era affatto socialista e si trattava solo dellinsurrezione di una citt in una situazione eccezionale; e
che non si potevano prevedere le misure operative immediate richieste
da una rivoluzione. A correzione degli entusiasmi comunardi del 1871, e
oltre allindisponibilit di Marx a fare il profeta, si profilava una pluralit
di significati del concetto di rivoluzione: cio la possibilit di chiamare rivoluzione anche qualcosa di assai diverso dal previsto. Il tema torn alla
ribalta in riflessioni dellultimo Engels sulla politica operaia del futuro2.
Turati e i suoi amici, da marxisti, continuavano a pensare alla rivoluzione ma le attribuivano un significato diverso rispetto a quello che le attribuivano i comunisti e i massimalisti di Serrati. Perch rivoluzione era
anche una legge elettorale che allargando gli spazi di democrazia rompeva
equilibri sociali consolidati e contrari agli interessi dei lavoratori; o una
legge che riconosceva diritti al proletariato fino a quel momento negati (le
ferie pagate, la difesa della salute in fabbrica, un sistema di protezione pre244

T U R AT I , T R E V E S , M AT T E O T T I E S A R A G AT

videnziale e sociale); o un contratto che riduceva a otto le ore di lavoro o


prevedeva il controllo delle fabbriche. Era questa logica che, ad esempio,
aveva indotto Treves, nel 1919, a sostenere la proposta della CGdl, per la
creazione di una assemblea costituente che modificasse profondamente lo
stato italiano. Al Psi quellidea non piacque eppure, vista retrospettivamente, forse avrebbe impedito quel buco nero di ventanni che ha impedito al Paese di avviarsi prima sulla strada di una vera democrazia. utile
rileggere quel che dicevano gli uni degli altri, capire gli equilibri sottili su

Un anno dopo la scomparsa, Buozzi ricorda il suo Maestro, Filippo Turati

245

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

cui si reggeva una trama fittissima di rapporti umani, di opinioni condivise


e anche di complicit. Quellidea alternativa di rivoluzione coltivata da Treves, ad esempio, Bruno Buozzi, ricordando lamico dopo la morte, la illustrava in questa maniera: Ai bigotti del suffragio universale, che si
scandalizzavano al sentir parlare di rappresentanze professionali, rispondeva
sullorgano confederale, Battaglie Sindacali, che quel che conta il moto.
Se una soluzione assoluta non esiste, la pratica trover i suoi compromessi. Non certo coi principi 3. Le idee non si sviluppano quasi mai secondo una linea diritta: a volte descrivono piccole curve, per ritrovare la
strada iniziale. La forza politica di quel gruppo consisteva nella capacit di
non perseguire soluzioni totalizzanti, di rimanere fedeli a un grumo di idealit
anche nei momenti pi complessi e drammatici. Scrisse Carlo Rosselli: La
caratteristica essenziale della personalit di Treves fu lalleanza di una ragione potente e sottile con la passione di un profeta del Vecchio Testamento.
La sua logica sconnetteva le tesi avversarie, ne dimostrava le interne contraddizioni traendone conseguenze cos impensate da ridurle allassurdo; ma
quando si trattava della sua fede, del socialismo, della libert rinunciava ai
sillogismi e la sua umanit traboccava. Il socialismo di Treves, cresciuto in
epoca positivista, fu una contraddizione continua tra la forma scientifica in
cui egli tentava di racchiuderlo e la sua natura lirica e appassionata4.
Li teneva uniti lidea riformista, la convinzione che si potesse giungere al cambiamento senza far ricorso a quel militarismo seppur di stampo
rivoluzionario a cui faceva riferimento Treves. Certo, non sempre in quegli
anni la strategia ha assecondato lelaborazione intellettuale e i limiti furono
anche il prodotto di quel coro di voci in casa socialista che non riusciva a
trovare una tonalit unitaria. Forse la Costituente avrebbe fermato la valanga che si stava formando e che avrebbe portato il paese al fascismo. Ma
in quello stesso periodo era forte la spinta di chi diceva che bisognava fare
come a Mosca e considerava la costituente un espediente borghese. Bruno
Buozzi, invece, spiegava perch Treves (e lui stesso) a quella prospettiva
non erano propriamente contrari: Era per la Costituente perch le riforme
politiche conseguibili attraverso la sola Camera dei deputati, comunque
eletta a suffragio larghissimo, non sono sufficienti n rapide e valide abbastanza per neutralizzare i contrappesi e le resistenze del vecchio regime...
Una investitura totale del popolo nei suoi diritti linnovazione che si sente
246

T U R AT I , T R E V E S , M AT T E O T T I E S A R A G AT

necessaria e deve essere solenne e aperta, in guisa da colpire anche per la


maest della forma inusitata, che suggella nelle menti il fatto storico. Ecco
il pactum unum necessarium. Di tante promesse lanciate in aria col ventilabro durante la guerra, questuna bisogna effettuare: che il popolo sia
messo in grado di realizzare da s tutte le altre, quando le voglia. Ecco il
problema chiave. Bisogna andare incontro arditamente a tutta la sua soluzione senza arrestarsi davanti agli ostacoli, senza abboccare a blandi infingimenti di riforme minori e parziali. Listinto felice proletario della
Confederazione Generale del Lavoro lha sentito e perci essa si mossa
anche uscendo dal quadro angusto delle strette preoccupazioni di mestiere,
per attingere la piena coscienza politica di classe come impone lora storica. E il Partito, e noi tutti dobbiamo essere fervorosamente con essa5.
Questa ricerca di strade attraverso le quali raggiungere lobiettivo
evitando le scorciatoie illusorie di rivoluzioni impossibili, li accomunava.
Guardavano alla Germania, guardavano a Bernstein, avevano letto i presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia. Non a caso
Treves parlava del moto, riecheggiando proprio il motto del pensatore tedesco: Il movimento tutto, il fine nulla. Un confine, quello tra movimento e fine, che ha prolungato sino ai giorni nostri lincomunicabilit tra
comunisti e socialisti. Anche in tempi, cio, in cui era abbastanza evidente
che il capitalismo non sarebbe stato travolto dalla sua crisi. Al contrario,
pur attraversando numerosi periodi di crisi, il capitalismo riuscito a sopravvivere, scaricando spesso i costi dei suoi ciclici problemi su quelle categorie che il gradualismo riformista avrebbe voluto tutelare. In questa
contraddizione tra vogliamo tutto e vogliamo quel che possibile nella
situazione data la sinistra italiana ha finito per dissolvere se stessa, senza
raggiungere una meta, senza elaborare una teoria di governo autonoma e
credibile. La qualifica di riformista rimasta la lettera scarlatta sul bavero
dei socialtraditori e nel frattempo di quella parola si appropriavano forze
che con la sinistra non avevano nulla a che fare, utilizzandola per interventi
che di riformistico non avevano niente e che, al contrario, si caratterizzavano soprattutto per il loro carattere controriformistico.
In questa maniera nel tempo, il messaggio di quel gruppo di uomini,
legati da forti vincoli di solidariet, forse perch accerchiati nel loro stesso
territorio ideologico, andato disperso. Per anni stato pi politicamente
247

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

corretto parlare di riformatori e nemmeno il crollo del comunismo ha


consigliato la riabilitazione di quei signori che poi qualcosa di concreto nel
patrimonio della sinistra hanno lasciato sedimentare, in termini di tangibili
attuazioni e di idee che non sono state realizzate proprio per la tendenza ad
alzare steccati allinterno della sinistra. Il trionfo del dogma ha inevitabilmente portato alla scomunica degli infedeli. Eppure gli infedeli non avevano religioni da imporre. Lo sottoline Buozzi ricordando Turati: Non
era un dottrinario nel senso rigido della parola... E fu forse con questa sua
virt che taluno oggi giudica come una debolezza che nel ventennio che
va dal 1890 al 1910 riusc a scuotere lItalia e a far convergere, intorno al
socialismo, tanti spiriti eletti. Difatti, nella sua Storia dItalia, Benedetto
Croce vi dir che il socialismo marxistico veniva a riempire il vuoto che vaneggiava nel pensiero e negli ideali italiani, che il fermento a cui di luogo
ridiede contenuto alla cultura italiana allora floscia e cascante, che al
superficiale discutere intorno ai partiti di destra e di sinistra, fu contrapposto
il concetto delle classi sociali fra loro concorrenti e lottanti, e che, infine,
da quel fervore socialistico, non minore giovamento venne alla vita morale.
Provatevi a cancellare Filippo Turati dalla storia dItalia di questultimo cinquantennio e ditemi se queste constatazioni del Croce sarebbero possibili6.
Ovviamente, Buozzi guardava a quegli ultimi cinquantanni di storia
italiana dal suo punto di vista. Da altri, punti di vista, le cose non stavano
cos. E le stesse amnesie che hanno accompagnato lungamente Bruno
Buozzi (fatta eccezione per qualche episodica riscoperta) sono la conferma
che, comunque, quel patrimonio non per tutti tale, soprattutto non per
tutti commendevole. Ricordando dopo molti anni il segretario della Fiom e
della CGdL, Giuseppe Saragat diceva in una intervista: Buozzi poco conosciuto per il semplice motivo che era un socialista democratico. Come
me. Se fosse stato comunista gli avrebbero riservato ben altro trattamento7.
Nel rapporto tra Buozzi e Saragat si erano invertite le parti rispetto al rapporto tra Turati e Buozzi. Era il segretario della Fiom, il fratello maggiore.
Raccontava lex presidente della Repubblica: Ho conosciuto Buozzi quando
avevo poco pi di ventidue anni, nel 1921 a Torino. Buozzi era il segretario
della Fiom... aveva diciassette anni pi di me. Era un capo sindacale molto
stimato, socialista... Partecipai alla campagna elettorale del 1924 proprio
per la sua candidatura che infatti venne rieletto in Parlamento... La sua
248

T U R AT I , T R E V E S , M AT T E O T T I E S A R A G AT

campagna elettorale era nel nome dellunit dei lavoratori; una preoccupazione che lo accompagn per tutta la vita: non dividere gli operai. Per
questa ragione era cos critico con i comunisti e i massimalisti. Eppure, proprio in nome di questa preoccupazione... quando in Francia negli anni bui
dellesilio una gran parte dei socialisti, Modigliani fra i primi, propose
lespulsione di Nenni perch insisteva nello stretto collegamento con i comunisti allora stalinisti e morbidi con Hitler dopo il patto russo-tedesco di
spartizione della Polonia, ricordo che Bruno Buozzi si batt perch venisse
ritirata la mozione contro Nenni. Se lo espelliamo rompiamo lunit operaia e diamo Pietro in mano ai fascisti disse Buozzi.

Bruno Buozzi a Parigi con Faravelli, Turati e Saragat

249

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Raccontava di quella lontana campagna elettorale, del clima di tensione e intimidazione che lavvolgeva, delle qualit umane del vecchio
amico: Ricordo che durante la campagna elettorale del 1924 Buozzi tenne
una riunione nel chiuso di un locale, cero anchio con lui. Irruppero i fascisti e ci dispersero. Il magistrato dichiar che la nostra attivit elettorale
era una provocazione8. Tra il leader anziano e il giovane allievo i contatti furono intensi e tocc a lui scrivere sull Avanti! Il fondo che accompagnava la notizia delleccidio de La Storta. I toni erano appassionati.
Scriveva Saragat: Noi che da un quarto di secolo abbiamo lottato al suo
fianco, lo abbiamo seguito nelle vie dellesilio, abbiamo seguito la sua
opera instancabile a favore delle classi lavoratrici italiane e della libert
della patria, abbiamo perduto il pi caro dei fratelli, il migliore dei compagni. La classe operaia italiana ha perso la sua guida pi illuminata;
lItalia uno uno dei suoi figli pi grandi, gli uomini liberi di tutto il mondo
uno dei pi forti combattenti per la sacra causa della giustizia sociale9.
Non fu un articolo facile. A Roma erano entrati gli americani e i tedeschi,
uscendo, avevano lanciato quel macabro messaggio: Assassinando Bruno
Buozzi il nazi-fascismo ha cercato di colpire la classe lavoratrice. Ma il
calcolo stato sbagliato. Vacilliamo sotto il colpo che ha troncato la vita
al migliore dei nostri ma centuplichiamo il nostro odio e la nostra volont
di una giustizia riparatrice. I rapporti tra Saragat e Buozzi erano strettissimi, consolidati nel periodo dellesilio e della lotta al fascismo. Il fitto epistolario svela sentimenti e retroscena politici. In una lettera del 13 febbraio
del 1927, il leader sindacale faceva coraggio a se stesso e al suo pi giovane
compagno: Io sono quindi qui per tentare di ricostruire come hai giustamente detto nella tua la Confederazione e per tenere alto il buon nome
del movimento sindacale italiano. Il compito gi estremamente difficile
stato reso pi difficile dallabiura dei sette. Ma non mi perdo danimo.
Anzi, io stesso alle volte sono sorpreso per la fermezza, direi quasi per lo
stoicismo con cui riesco a superare e a vincere le amarezze di questo tremendo periodo. Lavoro, e sento che non lavoro invano. Non so quando il
mio lavoro render, ma ho la certezza che render. E poich dalle tue lettere agli amici traspare una certa malinconia, che talvolta assume lapparenza della sfiducia, vorrei che ti sforzassi di guardare lavvenire con un
poco di ottimismo. Bada che io non mi nascondo le enormi difficolt che
250

T U R AT I , T R E V E S , M AT T E O T T I E S A R A G AT

dovremo superare. Ma tu minsegni che lottimismo una delle pi formidabili leve di azione10.

10.1 Lettere, confessioni, tradimenti

Litaliano in esilio conforta italiano rimasto in patria. Non nascondendogli le amarezze che sono legate alle vicende della CGdL. Perch i sette
a cui Buozzi fa riferimento nella lettera sono Carlo Azimonti, Lodovico
Calda, Emilio Colombino, Ludovico DAragona, Ettore Reina, Giovan Battista Maglione e Rinaldo Rigola. Sono i giorni in cui sullasse Milano-Parigi
abbondano i colpi bassi. Il 4 gennaio 1927 il consiglio direttivo della CGdL,
come abbiamo scritto in precedenza, chiuse la Confederazione e la mise in
liquidazione. A fine mese, il 30 gennaio, Bruno Buozzi a Parigi deliberava
il trasferimento in Francia del comitato esecutivo: Per continuare la propria attivit conformemente al mandato affidatogli dagli operai. Buozzi
aveva in mente, da tempo, il trasferimento della Confederazione (tanto
vero che lOperaio Italiano aveva avviato le sue pubblicazioni gi nel
1926), non la sua liquidazione. Dopo la dichiarazione di scioglimento, era
rimasto in attesa per capire levoluzione della situazione italiana perch tra
le ipotesi in discussione cera ancora quella della consegna della sigla confederale al Sindacato Internazionale. Avendo intuito che i sostenitori di
quella soluzione erano stati messi in minoranza da coloro che viaggiavano
verso un rapporto collaborativo col regime, decise di rompere gli indugi.
Con lui lavoravano alacremente Giovanni Bensi, Pallante Rugginenti e Felice Quaglino. Lo scioglimento aveva, comunque, profondamente
irritato il segretario ancora in carica che a quel punto si attendeva il peggio.
Che arriv puntualmente il 2 febbraio sotto forma di un dispaccio dellagenzia Stefani, lagenzia ufficiale di stampa, che dava conto di un un documento con le firme dei sette. Per Buozzi era labiura (fu anche il titolo di
un durissimo commento de lOperaio Italiano). I sette, infatti, contraddicendo la loro storia, dichiaravano: Il regime fascista una realt e la
realt va tenuta in considerazione. Questa realt scaturita anche da principi nostri, i quali si sono imposti. La politica sindacale del fascismo, per
esempio, si identifica sotto certi aspetti con la nostra... Il regime fascista
ha fatto una legge altamente ardita sulla disciplina dei rapporti collettivi
di lavoro. In quella legge vediamo accolti dei principi che sono pure nostri.
251

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Finch durava lo stato liberale da una parte, e finch dallaltra gli operai
rimanevano fermi nel loro misconoscimento dello Stato, una legge di tal
fatta era improponibile. La Rivoluzione fascista ha tagliato il nodo gordiano e noi ne dobbiamo prendere atto. Rigola aveva provato con una
lettera a Quaglino a ridimensionare preventivamente la portata della decisione del 4 gennaio (Lo scioglimento era inevitabile e secondo me anche
augurabile per evitare ogni pericolo di patteggiamenti e di compromessi...
Si tratta di svolgere una azione indipendente da quella delle corporazioni
fasciste). Era forte, insomma, tra i dirigenti della CGdL rimasti in Italia
la voglia di chiudere bottega (ai primi di novembre del 1926 la sede di via
Manfredo Fanti era stata prima sequestrata e poi riconsegnata e in quella
occasione, secondo una nota del ministero dellInterno, DAragona
avrebbe preferito che non ci fosse stato il dissequestro per dimostrare
nel modo pi evidente lassoluta impossibilit di svolgere attivit sindacale in Italia).
L Avanti! fu durissimo con i traditori. Ma nella sua lettera a
Saragat, Buozzi non solo accentuava le critiche ma distribuiva meglio le
responsabilit, non nascondendo la rabbia per quello che lui definiva il
colpo pi duro che ci potesse toccare11. Rivelava a Saragat: Nenni col
quale specialmente, e con Rugginenti, ci facciamo ottima compagnia mi
dice che gli hai scritto che la cosa era fatale, che Gobetti laveva prevista
da quattro anni e che da quattro anni si trattava per arrivarci. In ci c
del vero e dellesagerazione12. Sottolineava che mai avrebbe pensato a un
tradimento di Rigola e Maglione. Spiegava a Saragat che Rigola pochi
giorni prima che partissi dallItalia... mi disse che dovevamo irrigidirci
sulle nostre posizioni, mentre Maglione parlava del fascismo come un
blocco impossibile da permeare e da trasformare. Cadr forse di schianto,
ma impossibile fare previsioni. Noi possiamo attenuare l opposizione di
principio facendo opposizione di merito, ma dobbiamo rimanere noi stessi.
Conclusione su Rigola: La cecit (aveva perso la vista in un incidente sul
lavoro, n.d.a.) rende facilmente impressionabile; lhanno circuito; lhanno
rovinato. Ma Buozzi svelava pure che Rigola e Maglione impedirono il
travasamento della Confederazione nelle corporazioni che pure era stato
proposto (da Baldesi n.d.a.). Poi spiegava che i tre meno rispettabili sono
Calda, Azimonti e Colombino e che DAragona sia pure meno apparen252

T U R AT I , T R E V E S , M AT T E O T T I E S A R A G AT

temente ha aiutato. Poi Buozzi passava al racconto del modo in cui si era
giunti alla scelta pi vergognosa, cio la dichiarazione con la quale i dirigenti
raccolti intorno a Rigola abbracciavano il credo corporativo: Il 16 gennaio i sette avrebbero buttato gi lo schema della dichiarazione. Calda sarebbe stato incaricato di sottoporla allesame del duce. Il duce lavrebbe
tenuta nelle sue mani alcuni giorni. E quando ritenne giunto il momento di
fare il colpo... consegn il documento ai giornali ed ispir i commenti,
dando come firmatari i partecipanti alla riunione. Mussolini, insomma,
avendo capito che Buozzi stava sottraendo la sigla confederale alle angherie
del regime, aveva provato ad annullare gli effetti delle decisioni parigine
sdoganando la lettera. Qualcuno, quindi, vi ritrov la propria la firma
senza averla mai apposta? Scriveva ancora Buozzi: DAragona ha giurato
qui, a Modigliani, a voce e per iscritto, di non aver mai firmato. Egli ha
per confessato che il documento risponde alle idee espresse nelle riunioni
tenute dai sette, ed ha fatto delle riserve su alcune espressioni. Conclusione: I sette vanno condannati senza riserve, e sulla bestialit del documento da essi redatto anche se non firmato vedrai su lOperaio
Italiano, un magnifico articolo di Treves: Abiura.
Larticolo, che Saragat ricevette a Vienna dove nel frattempo aveva
trovato rifugio, suscit lentusiasmo del pi giovane compagno e amico e
quando nacque lidea di mettere insieme in un opuscolo le prime elaborazioni dellopposizione in esilio a Mussolini, il futuro presidente della Repubblica scrisse a Buozzi: Non dimenticare di inserirvi anche larticolo
di Treves Abiura, che una delle cose pi forti che siano mai uscite dalla
sua penna13. Una Abiura che tornava continuamente nelle impressioni
(e nelle notizie) che i due si scambiavano. Buozzi, ad esempio, si lamentava
di dover combattere a livello internazionale con i contraccolpi subiti dalla
dichiarazione di scioglimento e dalla successiva adesione dei sette al corporativismo fascista: Per quanto mi riguarda in questi ultimi due mesi
sono stato pi che occupato per neutralizzare le conseguenze del colpo dei
sette ex confederali. Quando credevo di avere sistemato o quasi la Confederazione, mi sono ritrovato in alto mare. DAragona stato per molti anni
nostro rappresentante internazionale, e ti assicuro che non sono ancora
riuscito a persuadere tutti i miei colleghi dellInternazionale sindacale ad
abbandonarlo al suo destino. Ma sto riuscendoci14. Saragat, dal canto suo,
253

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

ribadiva la condanna morale: I tuoi antichi soci della Confederazione,


dopo il tradimento , come si comportano? Eh, lappetito vien mangiando...
Ad ogni modo, fame o no, quando si hanno responsabilit politiche bisogna
agire correttamente. Meno male che ceri tu a salvare la baracca.
Il rapporto di Saragat con Buozzi non era semplicemente ispirato a
principi di rispetto nei confronti di un leader affermato e autorevole, era
animato da ammirazione e vivificato da legami di amicizia che coinvolgevano le famiglie (il vestito che Iole utilizz in occasione del matrimonio

La lotta di classe nella versione satirica di Scalarini

254

T U R AT I , T R E V E S , M AT T E O T T I E S A R A G AT

con Gilles Martinet che molti anni pi tardi sarebbe diventato ambasciatore
francese in Italia, lo cuc la moglie di quello che sarebbe stato eletto presidente della Repubblica). Oltre mezzo secolo dopo quelle lettere, nellintervista gi citata, diceva mescolando commozione e rammarico: Se penso
poi... io e Pertini (compagni nel Psu del leader sindacale, segno che in quel
gruppo stava nascendo un pezzo robusto della classe dirigente repubblicana, n.d.a.) saremmo andati al Quirinale. Buozzi ed altri finiti con una
raffica, moltissimi di noi morti in esilio. E ora questa nostra patria nella
bufera... Bruno Buozzi stato un uomo del quale si pu dire che aveva
grande nobilt danimo. Che poi ci che pi conta al tirar delle somme,
anche quando si fa politica15. Non erano parole di circostanza, non era
uno di quei santini verbali stampati post mortem tendenti a esaltare figure che sino al giorno prima si erano profondamente disistimate. Era la
realt di un rapporto fatto di grande ammirazione. In una lettera di oltre
mezzo secolo prima, Saragat diceva: Otto Bauer reduce da Parigi ha riportato limpressione che gli emigrati italiani tra cui vi sono persone di
altissimo valore morale e intellettuale manchino in realt di un capo. Non
credo che Otto B. ti abbia avvicinato (avvicin Nenni e ne riport buona
impressione, tanto da considerarlo come lunico passabile) perch se ti
avesse conosciuto avrebbe per lo meno incluso anche te nel giudizio favorevolissimo che diede su Nenni... Io credo che il Bauer abbia perfettamente
ragione affermando che la primissima esigenza in queste circostanze trovare un capo senza di che non c nessuna possibilit di azione concreta. Ti
dico queste cose per indurti ad assumere una nuova responsabilit16.
Le lettere personali illustrano frammenti di vita quotidiana, raccontano entusiasmi e delusioni. I giudizi politici, in pubblico filtrati dalle logiche di appartenenza, diventano pi semplici e sinceri. Come anche la
manifestazione degli stati danimo. Si sfogava Saragat: Nellultima mia
ti avevo scritto prospettandoti un certo stato danimo che serpeggia tra i
nostri giovani profughi in Francia. Se si ha da credere ed io credo alla
lettera che Santi17 mi manda da Milano, e che ti accludo, si deve convenire
che anche in Italia il malumore verso i dirigenti grandissimo. Che succede
a Parigi? Santi nella lettera che ti accludo mi parla di litigi18. E il suo
amico leader lo rassicurava, lo confortava, aggiungendo alcune valutazioni
politiche che davano il senso dei rapporti sfilacciati a sinistra nelle prime
255

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

fasi della battaglia antifascista: Qui collettivamente non si lavora troppo,


ma non si litiga neppure. I soli a cercar di attaccar briga il loro ruolo
sono i comunisti... Dei massimalisti mi parli gi nella tua. Come al solito
non brillano di intelligenza e come al solito sono assillati dalla preoccupazione di non sembrare abbastanza rivoluzionari. Hanno un sacro terrore
dei comunisti, i comunisti lo sanno e quindi botte19.
Ma poi faceva capolino anche lo scoramento, la percezione che la
lotta sarebbe stata lunga e dura. Scriveva Buozzi al giovane amico: Se dovessi dire che sono soddisfatto, ti direi una bugia. Ma forse, fin che sar in
esilio, soddisfatto non lo sar mai. E non solo per lesilio in s. Buozzi si
sentiva come un uccello le cui ali erano state riempite di piombo, vittima
dellinoperosit, di un impegno che si esauriva, alla fine, sul terreno intellettuale e lui, che era uomo dazione, sembrava farne una malattia: Per
un uomo come me, che per ventanni ha lavorato e come sul concreto,
cio muovendo ed agitando problemi, sia pure prevalentemente sindacali,
il lavorare in astratto, per un avvenire che non si vede, non di grande
soddisfazione... Comunque non mi perdo danimo e lavoro. Faccio un po
di propaganda, perfeziono nel mio cervello la mia concezione sindacale
della Confederazione generale del lavoro di domani.

10.2 Quei teneri rapporti familiari

I momenti privati riguardavano le famiglie lontane, latteso ricongiungimento (dovremmo di tanto in tanto riflettere su questo davanti ai problemi che adesso pone al nostro paese limmigrazione, soprattutto quella
legata a motivi politici, le guerre, le dittature violente, le repressioni). Saragat che era arrivato da poco a Vienna manifestava le sue speranze: La
mia Giuseppina mi scrive che tua moglie e le tue bambine sarebbero state
a trovarle a Ciri dove essa abita... Se riuscir a mettermi a posto a Vienna,
ove sono in trattative abbastanza promettenti con una grande banca tedesca, cercher di risolvere anche il problema familiare perch ti confesso
che il distacco dalla mia Giuseppina e dal mio bambino mi pesa molto20.
E qualche mese dopo: Carissimo Buozzi, mia moglie mi scrive che si trova
sovente con la tua e che naturalmente parlano dei rispettivi mariti. Non ti
so dire quanto sia contento di questa amicizia tra le nostre madame che,
poverine, scontano pi di noi la scabrosit dei tempi21. Infine la gioia ma256

T U R AT I , T R E V E S , M AT T E O T T I E S A R A G AT

nifestata al pi anziano compagno: Carissimo Buozzi, mia moglie e il bimbetto sono qui da un paio di settimane e mi pare di rinascere. Sei gi riuscito a ricomporre la tua famiglia? La mia Giuseppina prima di partire
vide tua moglie a Milano e seppe da lei che attendeva con impazienza il
momento dellespatrio(22).
Lo stato danimo di quegli uomini che si accingevano a una lunga
battaglia (politica e reale) era gramscianamente diviso tra il pessimismo

Treves fu uno dei grandi alleati politici di Buozzi nelle battaglie sindacali

257

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

dellintelligenza e lottimismo della volont (Giorno e notte sono tormentato dal problema dellazione che possibile esercitare contro il fascismo. per me e credo per tutti noi una necessit fisica oltre che morale.
Treves mi ha scritto comunicandomi laugurio che vi siete fatti lun laltro
per lanno nuovo: Il 1927 a Roma. Purtroppo non ho questa speranza
perch ormai la faccenda troppo radicale e solo radicalmente, vale a dire
rivoluzionariamente, potr essere risolta e le rivoluzioni non maturano in
un solo anno, Giuseppe Saragat a Buozzi il 13 gennaio del 1927); stati
danimo compromessi, controversi, angosciati (Treves grande giornalista;
senza giornale un uomo morto. Turati affetto da un esaurimento nervoso
al punto da avere la vista temporaneamente inservibile persino per leggere, Buozzi a Saragat il 26 marzo 1927). Ma lintreccio di queste vite
che forma un universo umano straordinario, fatto di un reciproco apprezzamento, sincero, non ipocrita. La parola non lontana dal sentire. Il giorno
dellassassinio di Giacomo Matteotti, Claudio Treves scrisse: Tra breve,
tutto ci che veramente, sanamente amore e culto della patria, condanner il regime che lo umilia, piegher il ginocchio pronunciando il tuo
nome, o Matteotti nostro, martire dell antinazione... e abiurer per sempre la pi iniqua ed ipocrita delle distinzioni su cui il regime poggia le sue
usurpazioni: i reprobi e gli eletti riconoscendo in essa un immanente tradimento. Tutti i figli della patria sono uguali ed ugualmente degni, finch
ne osservano le leggi e ne propugnano, secondo loro coscienza insindacabile, lonore, la prosperit e la grandezza. La fazione che oltre il potere
che detiene, si arroga, con il terrore di segrete associazioni, ordinate per
il delitto e la strage, di imporre a tutti il suo volere e tutti i diritti altrui ridurre al proprio talento, vera nemica della patria, perch la patria non
ha per nemici che i suoi oppressori, siano di sangue straniero o siano di
sangue nostro. Ma luomo che muore per la sua fede, che sigilla col sangue
la missione, quegli la pi alta manifestazione che onori e faccia onorare
la patria(23). E Filippo Turati aggiunse: Egli era il pi forte, il pi armato,
il pi irreduttibile; doveva essere la vittima. I briganti hanno scelto bene,
hanno colpito giusto; nel suo e nel nostro cuore con la pugnalata medesima. E doveva essere la vittima anche per questo: che nessun sacrificio
poteva riescire insieme pi nefasto e pi utile, forse (mi trema la penna
nello scrivere) pi necessario. Il precipizio delliniquit doveva cominciare
258

T U R AT I , T R E V E S , M AT T E O T T I E S A R A G AT

di qui; e pi nulla potr arrestarlo. Egli lo sent, egli lo disse, nel rantolo
delle ultime parole, strozzate, sgozzate(24).
Sentivano che quel saluto allItalia per alcuni di loro sarebbe stato
definitivo. Scrisse Buozzi di Turati, commemorandolo: stato detto, forse
a ragione, che Filippo Turati, pi che un capo politico, deve essere considerato un altissimo maestro di vita e di morale. Grande cuore, non sapeva
odiare. Contro lo stesso fascismo, pi che odio nutriva ripugnanza e disprezzo. E quando qualcuno gli diceva che alla caduta del fascismo la sua
Milano sarebbe accorsa ad accoglierlo trionfalmente, scuoteva la testa e
soggiungeva: non ritorner, ma penso ugualmente con disgusto alle molte
mani che mi verrebbero offerte da uomini che, dopo aver lustrato le scarpe
al fascismo, giurerebbero di avere sempre palpitato con noi(25). Facile profeta in un paese in cui una tra le ideologie pi diffuse quella del pagnottismo. Un paese che non avrebbe atteso troppo per confermare quella sua
amara profezia visto leffimero successo dellUomo Qualunque di Guglielmo Giannini (che ha, comunque, trovato nel tempo dei valenti e volenterosi continuatori nonch appassionati eredi), sostenitori di una idea di
nazione cos lontana da quella immersa in una sana religione civile, una
ideologia che, come ha scritto Giovanni De Luna si identificava in una semplice dichiarazione di principio: Noi vogliamo vivere tranquilli, non vogliamo agitarci permanentemente come non abbiamo voluto vivere
pericolosamente; vogliamo andare a teatro, uscire la sera, recarci in villeggiatura, trovare le sigarette, ordinarci un abito nuovo26).
Insomma, la sempiterna Italietta, cos lontana dagli ardori ideali di
Vittorio Alfieri o Carlo Pisacane, immersa nella contemplazione di una quotidianit senza imprevisti e ancor meno problemi, sacerdotessa dellovvio
e dellincolore, sempre in bilico tra populismo e nullafacentismo. LItalietta che, come diceva Flaiano, odia gli arbitri perch sono gli unici obbligati a decidere. Lui, Turati, con i suoi allievi, aveva, invece deciso di
rischiare. E la stessa scelta aveva fatto Claudio Treves, che consegn a
Buozzi (pi ancora di Turati) quellidea di sindacato su cui, come aveva
scritto a Saragat, continuava a meditare, per lavvenire. Unidea che lo
stesso Buozzi aveva cos illustrato: Lalta considerazione che Egli (Treves,
n.d.a.) aveva del movimento operaio si rivelava anche dal modo con cui
concepiva i rapporti tra Partito e sindacati. La sua massima era questa:
259

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

libero Partito affratellato a libera Organizzazione. Il Partito egli


scriveva in una sua relazione difende il proletariato dalle sue tribune
come massa produttrice e come massa consumatrice, ma lOrganizzazione in quanto con la libert tende allunit sindacale, basata sul pi
ampio reclutamento, deve affermare la propria esistenza autonoma. Il
partito difender sempre lintegrale diritto di coalizione ma le forme di
resistenza e di lotta contro il padronato sta ad essa allOrganizzazione
il fissarle(27).
E ricordava, Buozzi, un insegnamento del suo amico, che valeva
per ieri ma forse ancora di pi per oggi, in un momento in cui si organizzano
partiti leggeri, invisibili, eterodiretti attraverso un blog la cui cifra politica, da un punto di vista qualitativo, data dalla scurrilit dellinsulto (e
allinsulto scurrile normalmente corrisponde intelletto scurrile): Claudio
Treves non era di quelli che, raggiunta la notoriet e il Parlamento, consideravano come di secondo ordine le piccole vicende materialistiche
del movimento operaio. Per tali uomini Egli nutriva una specie di disprezzo. Era un maestro di quella che si suol chiamare alta politica, ma
sentiva benissimo che la politica un passatempo, uno sport, un giuoco
senza base se avulsa dal proletariato, se non riscaldata dal soffio ardente
della collettivit anelante alla sua emancipazione(28). Va forse cambiata
qualche parola (nemmeno tante), ma il senso resta: non esiste una politica
barricata nel Palazzo, fatta di liturgie stanche e incomprensibili, di professionisti del tirare a campare con ricco bonus salariale e di impunit incluso,
non esiste una politica senza categorie di riferimento, senza conoscenza
della collettivit e dei bisogni che esprime. E se questo vale per la politica,
ancor di pi vale per il sindacato che non pu isolarsi nel recinto dei confronti col governo, deve entrare nella societ, vivere in strada, comprendere
cosa si agita nella pancia della gente per selezionare i borbottii e trasformarli in una proposta di politica sociale razionale, dare voce a chi ne
sprovvisto (la stragrande maggioranza) senza, per, inseguire tutte le forme
di protesta, le pi autodistruttive o le pi strumentali e strumentalizzabili.
Del gruppo che si era formato attorno a Turati era stato il pi sensibile alle questioni sindacali e Buozzi gliene rese merito nel momento del
commiato: Abbiamo vivo il ricordo dellentusiasmo con cui segu lultimo
grande sciopero svoltosi in Italia. Eravamo nella primavera del 1925. I
260

T U R AT I , T R E V E S , M AT T E O T T I E S A R A G AT

sindacati fascisti di Brescia avevano inscenato una agitazione dei metallurgici nella speranza di conquistare lo spirito delle masse. La Fiom vi
entr a vele spiegate. I sindacati fascisti furono travolti. E per alcuni giorni
200.000 metallurgici della Lombardia, del Piemonte e della Venezia Giulia
respinsero tutti gli ordini dei sindacati fascisti e abbandonarono le fabbriche e ripresero il lavoro per ordine della Fiom(29). E ancora: Poi viene
lesilio ed Egli sar ancora al nostro fianco. Correr alle riunioni internazionali a perorare la causa della Confederazione del Lavoro. Scriver
per lOperaio Italiano, il documento dellabiura, magnifico, altissimo
documento di condanna della dichiarazione costitutiva del gruppo dei Problemi del Lavoro(30). A Saragat, invece, tocc salutare Buozzi: Il popolo
italiano raccoglier questo testamento sacro e lo consacrer con la forza
vendicatrice e riparatrice delle armi. Ai compagni affranti, agli amici innumerevoli noi non daremo parole di conforto ma consigli di lotta(31).

Claudio Treves: Dopo il congresso della scissione in Critica Sociale, 16-31 ottobre

1922
2

Nicolao Merker: Karl Marx. Vita e opere Laterza 2010, pag. 184

Bruno Buozzi: Treves e il movimento sindacale lOperaio Italiano, 24 giugno 1933;

in Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi, commenti, inediti a cura di


Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pag. 101
4

Carlo Rosselli: Addio a Claudio Treves in La Libert Parigi 15 giugno 1933

Bruno Buozzi: Treves e il movimento sindacale italiano. Ivi

Bruno Buozzi: Un maestro di vita e di morale (ricordi) lOperaio Italiano 25 marzo

1933 in Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi, commenti, inediti a


cura di Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pag. 98
7

Sergio Stucovitz: Saragat racconta Buozzi: la storia ritorna cronaca. Il Tempo, 7

marzo 1980
8

Sergio StucovitzSaragat racconta Buozzi: la storia ritorna cronaca, Ivi

261

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
9

Giuseppe Saragat: Il testamento di un martire, Avanti! 7 giugno 1944

10

Bruno Buozzi, lettera a Giuseppe Saragat, 13 febbraio 1927. In Bruno Buozzi scritti

e discorsi Editrice Sindacale Italiana 1975, pag 207


11

Bruno Buozzi, lettera a Giuseppe Saragat, 13 febbraio 1927. Ibidem pag. 205

12

Bruno Buozzi, lettera a Giuseppe Saragat, 13 febbraio 1927. Ivi

13

Giuseppe Saragat, lettera a Bruno Buozzi del 29 marzo 1927. Da Aldo Forbice (a cura

di): Sindacato e Riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943) Fondazione


Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 271
14

Lettera di Bruno Buozzi a Giuseppe Saragat del 16 marzo 1927. Da Aldo Forbice (a

cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem
pag. 270
15

Sergio Stucovitz: Saragat racconta Buozzi: la storia ritorna cronaca, Ivi

16

Giuseppe Saragat, lettera a Bruno Buozzi del 18 febbraio 1927. Da Aldo Forbice (a

cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem
pag. 266
17

Fernando Santi: fu segretario generale aggiunto della Cgil

18

Giuseppe Saragat, lettera a Buozzi del 23 marzo 1927. Da Aldo Forbice (a cura di):

Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem pag. 268
19

Lettera di Bruno Buozzi a Giuseppe Saragat, 26 marzo 1927. Da Aldo Forbice (a cura

di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem pag.
269
20

Giuseppe Saragat, lettera a Bruno Buozzi del 23 marzo 1927. Da Aldo Forbice (a cura

di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem


pag.268
21

Giuseppe Saragat, lettera a Bruno Buozzi dell8 giugno 1927. Da Aldo Forbice (a cura

di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem pag.
273
22

Giuseppe Saragat, lettera a Bruno Buozzi del 29 agosto 1927. Da Aldo Forbice (a cura

di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem pag.
275
23

Claudio Treves: Luce di un martirio. In Giuliano Pischel: Antologia della Critica

262

T U R AT I , T R E V E S , M AT T E O T T I E S A R A G AT

Sociale. 1891- 1926 Lacaita, 1994, pagg. 558-9


24

Filippo Turati: LEroe. Ibidem pag. 560

25

Bruno Buozzi: Un maestro di vita e morale in lOperaio Italiano, 25 marzo 1933; da

Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi, il riformista. Ricordi, commenti, inediti a cura di


Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pag. 97
26

Giovanni De Luna: Una politica senza religione Einaudi 2013

27

Bruno Buozzi: Treves e il movimento sindacale in lOperaio Italiano 24 giugno 1933.

Da Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi, commenti, inediti a cura


di Angelo Coco; Fondazione Bruno Buozzi 2004, pag. 101
28

Bruno Buozzi: Treves e il movimento sindacale, Ivi

29

Bruno Buozzi: Treves e il movimento sindacale Ibidem pag. 102

30

Bruno Buozzi: Treves e il movimento sindacale Ibidem pagg. 102-3

31

Giuseppe Saragat: Il testamento di un martire Avanti! 7 giugno 1944

263

Il fascismo come un grande edificio


costruito sopra cattive fondamenta

LAntifascista

Bruno Buozzi (nella foto al centro, con il papillon) fu un fiero avversario


di Mussolini: con un discorso alla Camera gli rifiut i pieni poteri
e con una lettera respinse il tentativo del Duce di associarlo al regime

Come la Camera comprende, basta il formidabile e complesso


problema dei servizi pubblici per imporre al gruppo socialista unitario, a
nome del quale ho lonore di parlare, di votare contro i pieni poteri che ci
vengono richiesti 1. Aveva parlato per mezzora, pressato dalle sollecitazioni del presidente dellassemblea: Le rinnovo la preghiera di concludere, e ancora: Ella potr presentare degli allegati al suo discorso. Gi,
gli allegati. Bruno Buozzi chiedeva tempo, perch aveva presentato cifre,
dati, fatti. Non era un intervento tutto politico, il suo; conteneva, invece,
quegli aspetti economici, nazionali e internazionali, che inducevano il suo
gruppo, quello formatosi da poco meno di due mesi, a votare contro. Il
ventennio era cominciato. Ne avrebbe visto la fine, tormentata; avrebbe,
per, pagato la coda tragica nella maniera pi definitiva possibile, con la
vita. Ma in quel momento in pochi in Italia riuscivano a capire quel che
stava accadendo. Altri (e non pochi) avevano lavorato per rendere ineluttabile ci che ineluttabile non era, alcuni in buona fede (e manifestarono,
successivamente il proprio pentimento), altri in totale, coriacea malafede o
perch aderenti a una linea politica sciagurata o perch convinti di ottenere
qualche favore, qualche vantaggio, qualche privilegio.
Benito Mussolini guardava dal suo banco di governo. Era ancora il
presidente del consiglio, il primus inter pares, poi avrebbe provveduto ad
arricchire per legge i suoi titoli, ne avrebbe aggiunti alcuni che spiegavano
chiaramente che lui non era pari essendo chiaramente il primo. Ascoltava
e interrompeva. In maniera irridente: Insegnatecelo voi; o falsamente disponibile: Collaborate voi. LItalia era entrata in una lunga notte: il risveglio sarebbe stato amarissimo. Tutto era cominciato un mese prima. La
data ufficiale quella del 28 ottobre 1922: la marcia su Roma. In realt c
un prima e un dopo e anche un prima un po pi remoto. E ci sono le con267

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

dizioni, create in parte artatamente, che avevano fatto scivolare la vicenda


italiana verso quellepilogo. Un crescendo di violenza, attribuito solo ai
sovversivi, al pericolo rosso, al contagio bolscevico. Cera stato il
Biennio che aveva messo in allarme industriali e agrari sottoposti a una
pressione rivendicativa a cui non erano, soprattutto da un punto di vista
culturale, abituati, non avendo alle spalle le logiche di una vera rivoluzione
borghese. Non si facevano distinzioni. Quando il 5 aprile a Decima di Persiceto millecinquecento cittadini riuniti in un cortile discutevano di disoccupazione venendo alla fine presi a fucilate, nessuno stette l a sottilizzare
sul fatto che i proiettili che avevano lasciato sul pavimento senza vita otto
bracciati e pi o meno gravemente ferite una trentina di persone, erano partiti dalle armi dei carabinieri. Nessuno fece caso al fatto che quando il 21
novembre dello stesso anno, a Bologna, davanti al palazzo comunale rimasero nove corpi senza vita per terra, tutto era cominciato con larrivo di un
centinaio di fascisti che volevano impartire una lezione nel giorno in cui
si insediava il sindaco socialista, Ennio Gnudi, e che quelle squadracce
(probabilmente le stesse che qualche giorno prima avevano devastato la
Camera del lavoro) non erano state tenute a freno dalla forza pubblica che,
anzi, secondo alcuni testimoni, aveva pure partecipato al tiro a segno.
La violenza, lignoranza, il fatto che i media fossero tutti nelle mani
dei grandi imprenditori faceva scivolare sui rossi le responsabilit di tutto
alimentando, anche nella classe liberale, un bisogno dordine che Mussolini
cominciava a interpretare, riuscendo a mescolare parole dordine provenienti da predicazioni politiche diverse, anzi antitetiche. Come ha scritto
Giovanni Borgognone nel fascismo confluivano senza troppa coerenza
parole dordine di ascendenza vagamente socialista, rivendicazioni patriottiche e forti accenti anti-politici... I Fasci cercarono fin dallinizio di presentarsi in tal senso come un movimento innovatore, una sorta di
anti-partito, libero dai dogmatismi della vecchia classe politica. Su tali
basi si proposero di captare simpatie in tutte le direzioni, sia verso sinistra
che verso destra, denunciando le ingiustizie, il caos regnante e limpotenza
dei governanti... Il fascismo si proponeva pertanto come un movimento politico in difesa del popolo e contro quelle oligarchie di politicanti che, falsando la volont delle masse, avevano sino ad allora governato a proprio
esclusivo vantaggio2. In questa analisi c qualcosa di attuale nel senso
268

L A N T I FA S C I S TA

che potrebbe essere sviluppata anche nei confronti di certi movimenti politici dei giorni nostri, che predicano il superamento di destra e sinistra ma
poi manifestano una certa indisponibilit ad accettare le regole della democrazia (per quanto sgangherata o poco credibile essa possa essere). Il consenso, in termini parlamentari, che Mussolini aveva raccolto nelle elezioni
dellanno precedente era stato piuttosto limitato, ma pian piano, con la violenza e con messaggi buoni se non per tutti i gusti, per molti di quelli in
campo, stava costruendo le condizioni per il consenso futuro. Soprattutto
aveva assorbito preoccupazioni, paure e risentimenti che erano cresciuti
anche a causa di una crisi economica che produceva uninflazione sostenuta
e aumentava la disoccupazione. Si sintonizz con i mal di pancia degli industriali che avevano visto crollare gli ordinativi legati alle imprese belliche
e che sognavano qualche altra avventura coloniale per far risalire la domanda in quel settore. Raccoglieva i malumori legati alle difficolt dellindustria pesante che aveva visto naufragare i cartelli che erano stati
costruiti intorno allIlva e allAnsaldo (che insieme agli armatori genovesi
erano stati i primi finanziatori del duce) con il conseguente fallimento di
alcuni istituti di credito. Studenti, ex combattenti, colletti bianchi rimasti
senza lavoro si saldavano alle folle di nazionalisti, futuristi, sindacalisti
violenti. Ci non toglie che lascesa fosse evitabilissima.
Ha scritto Denis Mack Smith: La marcia su Roma non fu che un
viaggio in treno (quello notturno del duce da Milano a Roma, che si
tenne alla larga dalla manifestazione sino a quando non ottenne la garanzia che avrebbe formato il nuovo governo, n.d.a.) in risposta a un esplicito
invito del sovrano3. La pensa diversamente Mario Isnenghi per il quale
due ordini di considerazioni che bene non contrapporre hanno portato,
invece, da non molti anni a una rivalutazione quantitativa e qualitativa dellavvenimento. Sulla quantit le opinioni non riescono a convergere: c
chi parla di non pi di venticinquemila persone, chi avanza la cifra di sessantamila e chi arriva addirittura a centomila. La tesi del colpo di Stato organizzato e preparato sarebbe confermata dal fatto che la marcia venne
anticipata da tre riunioni, una a Milano, laltra a Bordighera e quella decisiva a Firenze. E poi le vittime: sette a Cremona, citt di Farinacci, una decina a Bologna dove venne assaltato il carcere, ventidue a Roma, proprio
nei giorni conclusivi.
269

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Resta il fatto che Mussolini si sarebbe fermato al massimo a Monterotondo se non avesse potuto contare su alcuni vizi italiani: una carente
cultura democratica, allepoca ancora pi carente perch lo Stato era troppo
giovane e figlio di un complesso di idealit (il Risorgimento) che aveva mobilitato (e nobilitato) la mente di pochi; una discreta vilt istituzionale da
parte soprattutto di quegli alti funzionari (i prefetti, ad esempio) che non
avevano alcuna intenzione di assecondare i vecchi padroni nel timore che
fossero sostituiti da nuovi (come in effetti avvenne); le contraddizioni di
un esercito che tendeva a sparare con disinvoltura sugli operai, proclamava
la neutralit rispetto alle vicende politiche ma che attraverso alcuni generali
flirtava con Mussolini. Simpatie, peraltro, tanto scoperte da allarmare il re

La copertina del discorso parlamentare pi famoso di Buozzi

270

L A N T I FA S C I S TA

che decise di non controfirmare lo stato dassedio deciso dal governo, obbligando cos il presidente del consiglio, Luigi Facta (Mi creda, maest, basterebbero quattro cannonate a farli scappare come lepri), alle dimissioni;
Vittorio Emanuele III, daltro canto aveva ritenuto pi convincenti le argomentazioni del capo di stato maggiore della vittoriosa Grande Guerra, Armando Diaz: Lesercito far il suo dovere, come sempre, ma meglio non
metterlo alla prova. Al conto poi bisognava aggiungere: linsipienza di una
classe politica liberale al tramonto che avendo paura del socialismo pensava
di poterlo fermare giocando solo una mano di poker con il fascismo; la cecit
di alcuni esponenti di punta dellintellighenzia come Benedetto Croce e Luigi
Albertini (direttore del Corriere della Sera) che poi si pentiranno della scelta
compiuta; le divisioni del partito socialista (il pi forte per numero di parlamentari); lillusione rivoluzionaria dei comunisti che mentre Modigliani, alla
fine del dibattito per la fiducia al nuovo governo, presumendo la china imboccata, urlava viva il Parlamento, replicavano abbasso il Parlamento;
linaffidabilit della casa regnante incline ai fascisti con la regina madre, Margherita, e il Duca DAosta, cugino del re ma pronto (si dice) a sostenere il
golpe fascista per prenderne il posto; la tendenza dello stesso Vittotio Emanule III a fare per suo conto (come aveva sperimentato gi in occasione dellentrata in guerra nel 1915) senza rispettare le regole parlamentari.
Se la somma di queste condizioni non gli avessero dato una mano,
il pomeriggio del 30 ottobre 1922 Mussolini non avrebbe presentato la sua
lista di ministri (solo quattro fascisti, dieci non fascisti tra i quali un paio
di popolari compreso Giovanni Gronchi con il quale Bruno Buozzi avrebbe
poi trattato per far rinascere il sindacato unitario nellItalia liberata e che
sarebbe diventato, nel 1955, presidente della Repubblica). Se tutti avessero
remato in direzione contraria, Bruno Buozzi non avrebbe il 6 luglio del
1930 dichiarato al giornale svedese Dagens Nyheter: Il fascismo come
un grande edificio costruito su cattive fondamenta. E ancor pi amaramente: Per quanto riguarda le opinioni politiche degli italiani, potrei concisamente esprimermi come segue. Un italiano, che si trovi solo,
antifascista. Due italiani, che si trovino insieme, arrischiano una parolina
critica sul fascismo. Tre, riuniti a conversare, di politica, non dicono niente.
Quando poi sono quattro diventano tutti buoni fascisti4.
Abilissimo a conciliare messaggi ultimativi e strizzatine docchio
271

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

rassicuranti, Benito Mussolini si present il 16 novembre del 1922 restando


fedele al copione. Facendo attenzione, da abile manipolatore della comunicazione (il passato da giornalista, in questo, lo aiutava), a consegnare allopinione pubblica la frase capace di sintetizzare le sue intenzioni, capace
di far capire che il suo governo avrebbe messo fine alla lunga teoria dei deboli esecutivi del crepuscolo liberale, capace di dare il titolo a tutta pagina
ai giornali (allora molto potenti). E a chi provava a sottolineare le forzature
che erano avvenute, favorite, nellimmaginario collettivo, dalla famosa
marcia ma nella realt assecondate da troppi complici che non avevano
certo marciato accanto ai quadrumviri (De Bono, De Vecchi, Bianchi e
Balbo), rispondeva: Lascio ai malinconici zelatori del supercostituzionalismo il compito di dissertare pi o meno lamentosamente su ci. Ma poi
faceva capire che lui era l per restare (ci sarebbe riuscito) in quanto espressione di un moto rivoluzionario. Spiegava: Io affermo che la rivoluzione
ha i suoi diritti. Aggiungo, perch ognuno lo sappia, che io sono qui per difendere e potenziare al massimo grado la rivoluzione delle camicie nere,
inserendola intimamente come forza di sviluppo, di progresso e di equilibrio
nella storia della nazione. Ma poi il messaggio diventava estremamente
chiaro, diretto e intimidatorio: Mi sono rifiutato di stravincere, e potevo
stravincere. Mi sono imposto dei limiti. Mi sono detto che la migliore saggezza quella che non ci abbandona dopo la vittoria. Con trecentomila giovani armati di tutto punto (il che non era vero, scarseggiavano persino in
fatto di provviste alimentari, n.d.a.), decisi a tutto e quasi misticamente
pronti ad un mio ordine, io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato
e tentato di infangare il fascismo. E qui, in qualit di esperto di dinamiche
della comunicazione di massa, inseriva la frase che sarebbe rimasta nelle
cronache di quei tempi e, soprattutto, nella storia successivamente scritta e
rielaborata: Potevo fare di questa aula sorda e grigia un bivacco di manipoli, potevo sprangare il Parlamento e costituire un governo esclusivamente
di fascisti. Potevo ma non ho almeno in questo primo tempo, voluto.

11.1 I pieni poteri usateli sui fascisti

Mescolava, il duce, i messaggi: la parte rassicurante rappresentata da un governo a minoranza fascista (quattro ministri appena), incentrato sullo specchietto per le allodole della maggioranza proveniente da
272

L A N T I FA S C I S TA

aree diverse, dallaltro, per, ci teneva a sottolineare che il libro era stato
appena aperto e che poi ci sarebbero state altre pagine da leggere (il non
volere in questo primo tempo, lasciava aperta la porta al volere in un
secondo tempo). A questo punto avanzava la richiesta a cui Buozzi avrebbe
risposto in maniera molto netta: Chiediamo i pieni poteri perch vogliamo
assumere le piene responsabilit. Senza i pieni poteri voi sapete benissimo
che non si farebbe una lira, dico una lira di economia. Con ci non intendiamo escludere la possibilit di valutare collaborazioni... ci siamo proposti
di dare una disciplina alla Nazione e la daremo. Nessuno degli avversari di
ieri, di oggi e di domani si illuda sulla brevit del nostro passaggio al potere.
Mussolini si era insediato al vertice dello stato e non aveva alcuna intenzione di traslocare in tempi brevi. Con quel discorso assecondava i desideri di quei settori, politici ed economici, che reclamavano ordine dopo
il disordine, una disciplina sostanzialmente militare nelle fabbriche, un po
perch la crisi aveva ridotto drasticamente gli utili e un po perch la guerra,
con la Mobilitazione, aveva rafforzato abitudini che il Biennio Rosso
aveva provveduto in qualche maniera a smentire. Mussolini forniva la promessa di un ritorno al bel tempo andato quando un operaio eseguiva senza
fare obiezioni, accettava soluzioni senza avanzare interrogativi. Soprattutto
si accontentava di poco, a livello salariale. A risarcirli si poteva provvedere
con un po di popolare divertimento: panem et circenses. Contemporaneamente consegnava a tutti lidea che lItalia, con il suo avvento, avrebbe ripreso a volare, avrebbe risolto i problemi economici, avrebbe rilanciato
leconomia e reso tutti pi ricchi. Insomma, camminava in bilico sulle attese
pi disparate, avendo in mente un paese in cui le garanzie costituzionali
sarebbero state eliminate, la libert trasformata in carta straccia, la democrazia sospesa con la conseguente consegna di tutto il potere nelle mani
non di un uomo ma di un taumaturgo, di un Capo dal corpo mistico. Ha
spiegato con grande lucidit Borgognone: I poteri del presidente del Consiglio, dunque, non si sarebbero dovuti basare esclusivamente sulla nomina
del re e sulla fiducia parlamentare, ma anche e per molti versi principalmente, su una legittimazione plebiscitaria. In tale prospettiva i risultati del
voto non dovevano essere considerati primariamente come un metodo per
dare espressione alla pluralit delle posizioni, bens come referendum pro
o contro il leader, il quale, una volta ottenuta linvestitura popolare, aveva
273

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

il diritto e il dovere di mettersi alla guida di una nazione omogenea e unanime. Quale alternativa alla democrazia rappresentativa in cui il concetto
di sovranit popolare si riduceva in sostanza al plebiscito per legittimare
il capo carismatico5. Le elezioni come semplice atto di investitura. Unidea
che raccoglie consensi interessati anche tra molti contemporanei: evidentemente siamo in presenza di un cronico difetto italico.
In quel discorso di Mussolini cerano tutti gli elementi per essere
preoccupati e per consigliare linnalzamento di qualche argine. Ma in quel
momento chi forniva al duce i numeri parlamentari per cominciare la
sua avventura era convinto che quella sarebbe stata una semplice parentesi
(lo pensava persino Croce); quelli che si attestavano pi dogmaticamente
allopposizione, come i comunisti, ritenevano, a loro volta, che quella potesse essere la crisi finale del capitalismo italiano. Non fu n una parentesi
n la crisi finale. Con un intervento dai contenuti borghesi, Buozzi articol lopposizione del suo gruppo, opposizione pragmatica perch avvertiva che la crisi non riguardava il capitalismo ma quella democrazia
parlamentare che con gradualismo Turati e il suo gruppo avrebbero voluto
far approdare a quelli che pi tardi sarebbero stati chiamati equilibri pi
avanzati. I pieni poteri che reclamava Mussolini riguardavano soprattutto
gli assetti economici e, quindi, anche larticolazione del conflitto sociale.
Spieg il segretario della Fiom: Noi crediamo fermamente che i
pieni poteri, che si chiedono a questa Camera, diminuirebbero, se accordati, il prestigio dellItalia allestero, perch o farebbero supporre che
quando lItalia si recata alle conferenze internazionali ad esporre le sue
necessit ha affermato il falso, o che lItalia in stato fallimentare il che
io non credo assolutamente o che gli italiani hanno cos poco patriottismo
da avere bisogno di una dittatura finanziaria per compiere il loro dovere6.
Evidentemente, Mussolini non pensava solo alla finanza: la sua dittatura
aveva (avrebbe avuto) caratteri pi ampi e complessivi. E allora Buozzi diceva: C una sola dittatura necessaria in Italia, onorevole Mussolini: la
vostra sui fascisti per indurli alla disciplina (il festival della violenza era
da tempo in pieno svolgimento, n.d.a.). E voi non dovete cercare di indorare
questa dittatura come una pillola, con i pieni poteri che ci chiedete. Io sono
fra quelli che credono, salve complicazioni internazionali, al superamento
relativamente sollecito dellattuale crisi finanziaria e senza provvedimenti
274

L A N T I FA S C I S TA

di eccezione7. Se la situazione economica del Paese era peggiorata, quella


dei lavoratori certo non era migliorata. Dopo il Biennio Rosso, le lotte si
erano fermate e i concordati firmati venivano spesso violati. Laria, per il
sindacato, era diventata pesantissima, con le squadracce fasciste (come denunciava Buozzi nel suo discorso) che facevano il bello e il cattivo tempo
distruggendo Camere del lavoro e sedi confederali.
La disoccupazione nel frattempo cresceva. Argomentava Buozzi:
La nostra disoccupazione dovuta alla limitata emigrazione, per la
quale... non ci possiamo accontentare delle poche dichiarazioni fatte, alcuni giorni or sono, dal presidente del Consiglio. Badate, onorevoli colleghi, che da un punto di vista strettamente di parte, contingente, e non di
classe, noi avremmo da guadagnare a lasciar emigrare senza freni il maggior numero di lavoratori. Quando non ci sono disoccupati sulle piazze,
riesce facile alle organizzazioni di resistenza, difendere e migliorare i patti
di lavoro. Ma noi preferiamo italiani poveri in patria piuttosto che assoldati
contro ogni norma dellInternazionale dei lavoratori, piuttosto che poveri,
crumiri, combattuti o odiati allestero, a danno loro e del prestigio della
nazione... Esiste solo una crisi finanziaria, artificiale, che non ci fa onore8.
E Buozzi illustrava un panorama che in qualche maniera ricorda tempi a
noi vicini: Il risparmio affluisce scarsamente verso le industrie perch i
risparmiatori, pi che delle industrie, diffidano degli industriali. Moltissime
aziende si trovano in ristrettezze finanziarie, mentre gli amministratori di
esse sono straordinariamente pi ricchi di prima della guerra9.
Da un lato, il credit crunch, dallaltro un utilizzo non produttivo
dei capitali (ai nostri tempi, nella rendita finanziaria invece che nellammodernamento degli apparati). Incalzava (e se chiudiamo gli occhi e ritorniamo con la mente ai nostri affanni, ci rendiamo conto che una parte
dellanalisi pu essere valida anche oggi, che in parte le cause di quella
crisi corrispondono a quelle di questa crisi): Un industriale, deputato, affermava alcuni giorni or sono che occorre un periodo di intenso sfruttamento dei lavoratori per permettere allindustria di rifarsi un capitale. A
mio avviso questo capitale esiste gi. Purtroppo non pi nelle aziende,
diventato propriet degli amministratori delle aziende stesse, investito in
titoli di Stato, o emigrato allestero. Lasciatemi dire, o signori, che soprattutto alla classe abbiente che in Italia manca una coscienza nazionale.
275

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Io non so, onorevole Mussolini, se voi vorrete aiutare perch lo sfruttamento


di cui ho parlato si compia. Voi direte di no, ma non senza significato il
fatto non smentito, ma avvalorato dai voti di plauso a voi ed al vostro governo dei consessi industriali ed agrari, non senza significato il fatto che
la Confederazione generale dellindustria si sia vantata pubblicamente di
avere essa costituito il vostro Gabinetto... Una cosa, comunque, certa, che
tutto ci che vi circonda induce il proletariato a guardarvi con estrema diffidenza10.
Quello di Buozzi era soprattutto lintervento di un leader sindacale
che sentiva crescere attorno a s un clima contrario ai lavoratori, che nel
giro di vite promesso, in quella disciplina alla Nazione che si intendeva
imporre, in realt lobiettivo non erano tutte le classi, ma una sola. Il timore
era quello di un risanamento, pi che mai necessario, a senso unico, con la
protezione di alcuni e lannichilimento di altri. Il segretario della Fiom provava a gridare: abbiamo gi dato. Si chiedono sacrifici a tutte le classi di
cittadini. Ebbene, io affermo qui, che tutti i lavoratori operai, tecnici, impiegati presi in linea generale hanno gi sacrificato al paese durante
la guerra e da due anni a questa parte tutto il sacrificabile. Gli stipendi
ed i salari non seguirono mai, durante la guerra, la progressione del costo
della vita. Le cosiddette esagerazioni dellimmediato dopoguerra compresa loccupazione delle fabbriche non servirono a far raggiungere
lequilibrio fra i salari e gli stipendi e il costo della vita11.
Buozzi svelava con il suo discorso unItalia che vecchia e nuova
allo stesso tempo, perch certi vizi sembrano iscritti nel codice genetico del
paese: Il pareggio si raggiunger solo quando saranno rintracciati i molti
contribuenti che oggi sfuggono al fisco e quando tutti i contribuenti pagheranno quello che dovrebbero pagare... Ma per arrivare a questo non occorrono i pieni poteri. C chi parla di tasse sui salari, io richiamo invece
lattenzione del governo su due cifre suggestive accennate anche test dal
ministro delle finanze e rilevate dal commendatore DAroma, direttore generale delle imposte al Ministero delle finanze, secondo le quali ci sono in
Italia appena 508.067 industriali e commercianti che pagano imposte per un
reddito medio di appena 3.000 lire a testa, dico 3.000. Se la cifra degli industriai e commercianti sicuramente e notevolmente inferiore al vero, quella
dei redditi accertati altrettanto sicuramente e ridicolmente irrisoria12.
276

L A N T I FA S C I S TA

Come si legge nellincisione su tre righe che campeggia sul Palazzo della civilt del lavoro (ai romani noto anche come il Colosseo Quadrato, nove archi
in orizzontale e sei in verticale, il numero delle lettere e delle consonanti che
formano il cognome e il nome del duce, secondo alcuni esegeti dellopera)
un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di
navigatori, di trasmigratori e... di evasori fiscali. Dalla notte dei tempi.
Affermava ancora Buozzi guardando gli scranni disposti in semicerchio: C qualcuno qui i deputati industriali ed agrari la Confederazione generale dellIndustria e la Confederazione generale dellagricoltura

Il Grande Dittatore: Chaplin ironizza su Hitler e i fascismi

277

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

che potrebbe insegnarvi magistralmente, signori del governo, come si potrebbero scovare e perseguire i contribuenti, industriali, agrari e commercianti,
che tradiscono la patria13. Di prendere quel tipo di lezioni, per, Mussolini
non aveva proprio voglia anche perch i finanziamenti per lui e per il suo
partito erano arrivati da quelle parti e a quelle parti con la sua proclamata determinazione strizzava locchio. Un pezzo dItalia, poi, non vedeva lora di
accodarsi a qualcuno che la conducesse per mano verso lidi sconosciuti. Giustino Fortunato, uno di quei liberali che non si erano lasciati abbagliare dal
pifferaio magico romagnolo essendo il suo pensiero fortemente ancorato
ai principi di libert, non a caso disse del fascismo che non si trattava di una
rivoluzione ma di una rivelazione, non un accidente passeggero ma la pi
incredibile, terribile tragedia prodotta certo dalla violenza squadristica ma
ancor di pi dalle debolezze italiane, in particolare il prodotto delle deficienze morali e delle incapacit secolari della borghesia italiana. E tra
queste carenze morali, la spinta formidabile e diffusa al servilismo. Una conferma? Al momento dellarrivo al governo di Mussolini, il Partito Nazionale
Fascista poteva contare su trecentomila iscritti; un anno dopo erano settecentottantamila. LItalia in camicia nera aveva cominciato a mettersi gi da
prima che lindumento diventasse di moda per imposizione del duce.
Spinto anche da questi umori popolari, Mussolini cominci a consolidare il suo regime e per farlo nel migliore dei modi pens alla riforma
elettorale sfruttando, anche in questo caso, la disponibilit della vecchia
classe liberale (non solo i filo-fascisti alla Salandra) che non vedeva lora
di sbarazzarsi della riforma proporzionale voluta da Turati, riveduta e corretta da Nitti e che era considerata la causa dellinstabilit (una storia, anche
questa, che si ripetuta, in tempi a noi vicini). La campagna elettorale (le
camere erano state sciolte il 23 gennaio del 1924, le elezioni indette per il
6 aprile) fu avvelenata da violenze e intimidazioni. Ne fece le spese anche
Bruno Buozzi che a febbraio, cio, pochi mesi prima delle elezioni con la
nuova legge Acerbo era stato aggredito a Torino. Ma prima di lui, oggetto
di intimidazioni erano stati Francesco Saverio Nitti (a novembre del 1923
la sua casa era stata visitata dai bravi di Mussolini), Giovanni Amendola
(assalito per strada da un gruppetto di squadristi il giorno di Santo Stefano;
nel luglio del 1925, poi, sarebbe stato violentemente bastonato, un agguato
che lo avrebbe condotto pochi mesi dopo alla morte), Enrico Gonzales (can278

L A N T I FA S C I S TA

didato socialista a Genova: il suo comizio venne interrotto dai fascisti armati di bastone); dopo di lui la violenza colp mortalmente a Reggio Emilia
un altro candidato socialista, Antonio Piccinini; quindi fu la volta di Alberto
Giannini, direttore del giornale satirico, Il Becco Giallo, percosso da una
banda guidata dalluomo che uccise a colpi di pugnale Matteotti, cio Amerigo Dumini; a Bari, poi, misero letteralmente alla porta della citt tutti i
candidati socialisti facendo roteare i manganelli e agitando le rivoltelle.
Giacomo Matteotti aveva schierato il Psu su una posizione di netta
intransigenza nei confronti del fascismo: conosceva perfettamente il volto
violento del regime e degli scherani di Mussolini per averne verificato il
profilo personalmente. A Ferrara, nella sede del partito (era stato inviato l
in qualit di commissario, era stato accolto dai fascisti a sputi e a schiaffi);
a Castelguglielmo, dopo aver denunciato alla camera, facendo nomi e cognomi, gli atti intimidatori delle squadracce, era stato vittima di una pesantissima aggressione: picchiato in aperta campagna, era stato abbandonato
e costretto a tornare a Rovigo a piedi; a Padova, durante la campagna elettorale per la consultazione del 1921, era stato ancora oggetto di violenze.
Aveva sempre denunciato tutto in Parlamento e quando quel 30 maggio del
1924 alle 15,30 prese la parola, tutti, compreso Mussolini, trattennero il respiro: sapevano che il discorso del leader socialista unitario non avrebbe
risparmiato nulla e nessuno. Vale la pena rileggere quellintervento perch
una lezione di impegno e correttezza civile.

11.2 Ora preparate il mio discorso funebre

Si discuteva la convalida dei risultati elettorali e, quindi, degli


eletti. Matteotti diceva: Contro la loro convalida noi presentiamo pura e
semplice eccezione... la lista di maggioranza governativa, la quale nominalmente ha ottenuto una votazione di quattro milioni e tanti voti... codesta
lista non li ha ottenuti di fatto e liberamente, ed dubitabile se essa abbia
ottenuto quel tanto di percentuale per conquistare, anche secondo la vostra
legge, i due terzi dei posti che sono stati attribuiti... Lelezione secondo noi
non essenzialmente valida e, aggiungiamo, che non valida in tutte le circoscrizioni. In primo luogo abbiamo la dichiarazione fatta esplicitamente
dal governo e ripetuta da tutti gli organi di stampa ufficiali, ripetuta dagli
oratori fascisti in tutti i comizi, che le elezioni non avevano che un valore
279

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

assai relativo in quanto che il governo non si sentiva soggetto al responso


elettorale ma che in ogni caso... avrebbe mantenuto il potere con la forza...
Nessun elettore italiano si ritrovato libero di decidere con la sua volont...
Nessuno si trovato libero perch ciascun cittadino sapeva a priori che, se
avesse osato affermare a maggioranza il contrario, cera una forza a disposizione del governo che avrebbe annullato il suo voto... esiste una milizia
armata... la quale ha questo dichiarato e fondamentale scopo: di sostenere
un determinato capo del governo, ben indicato e nominato nel capo del fascismo... Vi una milizia armata, composta dai cittadini di un solo partito
la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato capo del governo con la forza anche se ad essa il consenso mancasse... Forse al Messico
si usano fare le elezioni non con le schede ma con il coraggio di fronte alle
rivoltelle. E chiedo scusa al Messico, se non vero14.
And avanti come un rullo compressore, Matteotti, in una camera
in tumulto, presidiata da una maggioranza fedele al duce e poco incline
ad ascoltare quelle denunce che con estremo coraggio un ancor giovane dirigente politico stava presentando in un luogo in cui, teoricamente, avrebbero dovuto essere accolte con attenzione e rispetto. Ma in realt Mussolini
aveva di fatto abolito il sistema parlamentare e stravolto le istituzioni: il
Gran Consiglio trasformato da organo di partito in strumento decisionale
dello stato, la milizia di una forza politica istituzionalizzata. Urla, grida,
interruzioni. Si distingueva in questo bailamme, Roberto Farinacci, epigono
di quel fascismo popolano e violento che al paese non risparmi nessuna
infamia, che, non a caso, poi guid, il collegio di difesa nel processo di
Chieti (cominci il 16 marzo del 1926) contro Dumini e compagni. Matteotti, per, continu imperterrito, elencando fatti e circostanze che imponevano il ritorno alle urne in condizioni di vera agibilit democratica.
Affermava il leader unitario: Presupposto essenziale di ogni elezione che i candidati... possano esporre... in pubblici comizi o anche in
privati locali le loro opinioni... in ottomila comuni italiani su mille candidati delle minoranze la possibilit stata ridotta a un piccolissimo numero
di casi... Non solo non potevano circolare ma non potevano risiedere nemmeno nelle loro abitazioni... Molti non accettarono le candidature perch
sapevano che accettare la candidatura voleva dire non aver pi lavoro lindomani o dover abbandonare il proprio paese per emigrare... Uno dei can280

L A N T I FA S C I S TA

didati, lonorevole Piccinini, al quale mando a nome del mio gruppo un


saluto... conobbe cosa voleva dire obbedire alla consegna del proprio partito. Fu assassinato nella sua casa... Si ebbero distruzioni di giornali, devastazioni di locali, bastonature alle persone... Gli elettori votavano sotto
il controllo del partito fascista con la regola del tre... I fascisti consegnavano agli elettori un bollettino contenente tre numeri o tre nomi, secondo
i luoghi, variamente alternati in maniera tale che tutta la combinazione,
cio tutti gli elettori di ciascuna sezione, uno per uno, potessero essere controllati e riconosciuti personalmente nel loro voto... Durante le elezioni i
nostri opuscoli vennero sequestrati, i giornali invasi, le tipografie devastate... Essendosi determinata una larga astensione degli elettori che non
si ritenevano liberi di esprimere il loro pensiero, i certificati furono raccolti
e affidati a gruppi di individui, i quali si recavano alle sezioni per votare
con diverso nome, fino al punto che certuni votarono dieci o venti volte e
che i giovani si presentarono ai seggi e votarono a nome di qualcheduno
che aveva compiuto 60 anni... Molti che ebbero la ventura di votare... dentro le cabine... ebbero la visita di coloro che erano incaricati di controllare
il loro voto... Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire lautorit dello
stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi, s, veramente rovinate quella che lintima essenza, la ragione morale della nazione. Non continuate pi oltre a tenere divisa la Nazione in padroni e
sudditi... Il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con
lopera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranit del popolo italiano... e crediamo di rivendicare la dignit domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza.
Laula, a quel punto, era tutto un tumulto. Da sinistra applaudivano
fragorosamente. Molti parlamentari arrivarono alle mani e la seduta fu sospesa per una decina di minuti. Sedendosi al suo posto, Matteotti avrebbe
detto quasi sottovoce: Io il mio discorso lho fatto. Ora tocca a voi preparare il discorso funebre per me. Alla fine del dibattito, invece, Mussolini
avrebbe sibilato: Dopo questo discorso, quelluomo non dovrebbe pi circolare. Il pomeriggio del 10 giugno, alle 16,30, sul lungotevere Arnaldo
da Brescia lo bloccarono e di peso lo infilarono in una Lancia Lambda a sei
posti. A quello di guida cera Augusto Malacria; gli altri quattro erano occupati da Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola e Amleto Pove281

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

romo. Il sesto era per Matteotti che su quellauto comp il suo ultimo viaggio.
Abbandonarono il corpo (che fu ritrovato il 16 agosto) dalle parti di Riano
Flaminio, nel bosco della Quartarella, a una ventina di chilometri di distanza
dal posto in cui venti anni dopo fu ritrovato il cadavere di Bruno Buozzi.
Era stato un discorso duro e appassionato, che apr una crisi che
avrebbe potuto portare anticipatamente alla fine del fascismo. Se ci fosse stata
maggiore determinazione, se Giovanni Amendola non avesse atteso un intervento del re (cio la rimozione di Mussolini), probabilmente le cose sarebbero
andate diversamente. Invece, ci fu solo lAventino, una risposta al tempo stesso
orgogliosa e impotente, a cui Bruno Buozzi partecip, pagando quella scelta
con la decadenza dalla carica di parlamentare decretata dalla Camera il 9 novembre del 1926, cio quando il segretario, a quel punto, della CGdL aveva
gi abbandonato lItalia per trasferire allestero lattivit sindacale.
Su quellomicidio e soprattutto sulla intransigenza di quel discorso
si sono intrecciate le interpretazioni. Renzo De Felice, ad esempio, ha sostenuto che lintervento di Matteotti serviva a bloccare la marcia di avvicinamento di alcuni esponenti della sinistra a Mussolini (ad Alceste De
Ambris il duce aveva offerto un posto ministeriale ricevendo un rifiuto;
aperture vi erano state anche in direzione di alcuni esponenti della CGdL).
A parere di altri storici, poi, lomicidio fu deciso per impedire a Matteotti
di rendere pubbliche le notizie che aveva raccolto intorno a un paio di affari
con circolazione di mazzette (uno riguardava i diritti di sfruttamento di
eventuali giacimenti petroliferi in Emilia e nel Sud alla Sinclair Oil; laltro
un traffico sotto costo di indumenti e materiali bellici) che riguardavano il
gruppo dirigente del Pnf e, direttamente, il circolo familiare del duce. Al
di l delle ipotesi, il dato concreto che in quel momento lopposizione cominci a capire che in Italia non esistevano pi spazi per una vera e libera
attivit politica e sindacale.
Un altro dato certo riguardava lo stato danimo di Matteotti, uno
stato danimo che era figlio dello spirito del tempo. Il segretario del Psu vedeva troppa rilassatezza nelle file socialiste, uninazione che sconfinava
nellarrendevolezza. La situazione doveva essere proprio quella che appariva
a Matteotti se Filippo Turati in quei mesi scriveva ad Anna Kuliscioff: Non
c anima in nessuno, tranne in Matteotti, che per trovarsi quasi solo ad
averla, riesce pi irritato e scontroso15. Contemporaneamente, il segretario
282

L A N T I FA S C I S TA

del Psu scriveva al Capo storico: Il disfattismo trova tutti i pretesti e tutte
le ragioni e mi duole soprattutto quando arriva a far presa su di te che eri
uno dei pochissimi che resisteva allinerzia dei molti16. E ancora: Gli uomini del nostro partito erano tutti leoni nel buon tempo antico; ora sono
tutti presi dalla gotta... In tali condizioni non posso continuare a fare il segretario... Dirigere un esercito che continua a scappare ridicolo17. Dopo
la vittoria di Nenni al congresso del 1923, avrebbe voluto una ricomposizione del fronte socialista, una riunificazione del Psi. Quando il 7 giugno
Mussolini (giorno della fiducia al suo governo) pronunci un discorso cauto
in cui riconosceva la legittimit dellesistenza di una opposizione catturando
attenzioni nel campo socialista (anche da parte di un galantuomo come Modigliani), Matteotti ebbe la conferma che era venuto il momento di recidere

Con questo intervento Buozzi polemizz con il leader industriale Mazzini

283

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

qualche filo. Cominciarono cos i sei mesi pi complicati del fascismo.


Mussolini si sentiva forte perch aveva consolidato il suo sistema:
aveva fatto nascere il Partito Nazionale Fascista, aveva istituito la Milizia
volontaria per la sicurezza nazionale (la sua Ceka personale, una polizia al
servizio del Capo per tenere sotto controllo i nemici del Capo e il riferimento al corpo organizzato da Lenin non infondato), aveva fatto nascere
il Gran Consiglio, uno strano animale met Stato e met partito, aveva varato la riforma della scuola (quella che porta il nome di Giovanni Gentile,
peraltro lunica organica che questo paese abbia conosciuto) e aveva fatto
approvare una legge elettorale che lo blindava. Poi, per, era arrivato il
delitto Matteotti, gli allarmi, le paure, la riprovazione dei compagni di
viaggio lontani dai metodi sbrigativi di Farinacci (la Confindustria non
prese apertamente posizione sullassassinio del parlamentare socialista ma
Giuseppe Mazzini in una riunione a Torino invit il duce a liberarsi dei
delinquenti e dei violenti che si stringono intorno al governo).
Quando il 12 dicembre 1924 Bruno Buozzi intervenne al sesto con-

1932: Mussolini incontra i lavoratori impegnati nella bonifica delle paludi pontine

284

L A N T I FA S C I S TA

gresso della CGdL, lultimo che si svolse in Italia, la situazione annunciava


grandi cambiamenti. Forse non se ne afferrava completamente la direzione,
ma era evidente che si era giunti quasi al punto di rottura. Quasi, per. Perch le speranze di una normalizzazione istituzionale, seppur ridotte al lumicino, non erano state del tutto cancellate. Doveva intervenire come
semplice segretario della Fiom, ma piccoli problemi di salute avevano
impedito a Ludovico DAragona di leggere la relazione e cos Buozzi venne
incaricato di parlare a nome del Consiglio Direttivo, aggiungendo: Sar
quindi pi lungo di quanto prevedevo perch dovr aggiungere alle mie
personali, altre considerazioni che rispecchino il pensiero del Consiglio
direttivo18. Il tema era diventato scottante e il segretario della Fiom non
perse molto tempo per affrontarlo. Disse: Se c un uomo che per temperamento non portato ad avvicinare facilmente gli avversari di qualsiasi
colore, questuomo sono io. Ma dichiaro che nessuno, che abbia senso di
responsabilit pu affermare in senso assoluto che non si possano e non si
debbano avere contatti con gli avversari19. E al comunista Giovanni Roveda, che lo interrompeva dalla platea chiedendogli ad alta voce se il principio valesse pure per i fascisti, replicava: Non si pu escludere nulla e tu
lo sai, tu che, a Torino, hai avuto trattative cogli industriali insieme ai rappresentanti della Corporazioni fasciste. Fomentare sospetti contro i dirigenti costretti dalle necessit ad avvicinare gli avversari sleale e
ingeneroso. Ognuno pu discutere delle nostre idee politiche, nessuno ha
il diritto di mettere in dubbio la nostra correttezza intesa nel senso pi
ampio della parola. Le precisazioni di Buozzi nei fatti confermavano le
preoccupazioni di Matteotti. Che ci fossero stati dei contatti, degli incontri
era noto a tutti. Che ci fosse da parte di Mussolini lintenzione da un lato
di disarticolare il fronte avversario e dallaltro di recuperare nel proprio alcuni nemici per dare una timida verniciatura democratica al suo regime,
era chiaro a tutti. Questo tentativo era pi forte proprio nel sindacato, cio
in una struttura dove sulle barriere ideologiche prevalevano gli interessi e
le esigenze di classe. Ma Buozzi ci teneva a sottolineare che questi contatti,
che erano parte della dinamica sindacale (una controparte resta tale anche
se ti poco simpatica) non dovevano diventare occasioni per una caccia
alle streghe allinterno dellorganizzazione.
Il tempo avrebbe provveduto a dividere i fronti. Il tempo, le parole
285

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

e gli atti conseguenti di Mussolini. Il duce dopo il delitto Matteotti era


rimasto bloccato, essendo pressato da un lato dal clamore suscitato da
quellagguato (e, soprattutto, dagli autori), dallaltro dalle intemperanze di
Farinacci che il 12 gennaio del 1925, non casualmente, divenne segretario
del Pnf. Non casualmente perch, nove giorni prima alla Camera, il duce
aveva pronunciato il discorso che stato considerato come il vero atto di
nascita del regime. E se il 3 gennaio nato il regime, evidente che quello
latto di nascita anche dellanti-regime, della presa datto delle forze antifasciste che nessuna mediazione era pi possibile: esistevano due Italie.
Divorziarono quel giorno. Mussolini ruppe gli indugi promuovendo il farinaccismo a vera cifra del suo sistema. Anche in questo caso, rileggere
pu essere utile: Se il fascismo non stato che olio di ricino e manganello,
e non invece passione superba della migliore giovent italiana, a me la
colpa! Se il fascismo stato una associazione a delinquere, io sono il capo
di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilit di questo clima, perch questo clima storico, politico e morale
io lho creato20.
Provando a motivare le sue scelte con lAventino, con labbandono
delle attivit parlamentari da parte di un centinaio di deputati che non ritenevano esistenti le condizioni di agibilit democratica se non a rischio gravissimo della propria vita (come Matteotti aveva confermato), Mussolini
continuava: In questi ultimi giorni non solo i fascisti, ma molti cittadini si
domandavano: c un governo? Ci sono degli uomini o ci sono dei fantocci? Questi uomini hanno una dignit come uomini? E ne hanno una come
governo? Un popolo non rispetta un governo che si lascia vilipendere! Il
popolo vuole specchiata la sua dignit nella dignit del governo e il popolo
prima ancora che lo dicessi io, ha detto: Basta! La misura colma! Ed era
colma, perch? Perch la sedizione dellAventino... ha avuto conseguenze,
perch oggi in Italia, chi fascista, rischia la vita21. Anche la trasfigurazione del potente in vittima , evidentemente, elemento caratterizzante del
dna nazionale, lo era gi allora. Si sottolinea che con quel discorso, Mussolini si assunse tutte le responsabilit. In realt, si assunse la responsabilit
dei modi di essere del suo movimento, gli fece scudo (e da questo punto di
vista fu il trionfo di Farinacci), ma rispetto al delitto Matteotti lui non si as286

L A N T I FA S C I S TA

sunse alcuna responsabilit: Se io avessi fondato una Ceka (cio la Milizia,


n.d.a.), lavrei fondata seguendo i criteri che ho sempre posto a presidio di
quella violenza che non pu essere espulsa dalla storia. Ho sempre detto, e
qui lo ricordano quelli che mi hanno seguito in questi cinque anni di dura
battaglia, che la violenza, per essere risolutiva, deve essere chirurgica, intelligente, cavalleresca. Ora i gesti di questa sedicente Ceka sono stati sempre inintelligenti, incomposti, stupidi... E come potevo, dopo un successo, e
lasciatemelo dire senza falsi pudori e ridicole modestie, dopo un successo
cos clamoroso... non dico solo di far commettere un delitto, ma nemmeno
il pi tenue, il pi ridicolo sfregio a quellavversario che io stimavo(22).
Infine lannuncio minaccioso della nascita del regime: Voi avete
creduto che il fascismo fosse morto finito perch io lo comprimevo... LItalia, o signori, vuole la pace, vuole la tranquillit, vuole la calma laboriosa.
Noi, questa tranquillit, questa calma laboriosa gliela daremo con lamore,
se possibile e con la forza, se sar necessario(23). Us molto la seconda,
la prima decisamente meno. Cominciarono subito le persecuzioni degli antifascisti, i licenziamenti (di molti ferrovieri che scioperando avevano interrotto un servizio pubblico), le epurazioni (il 14 per cento dei giornalisti
espulsi in due anni dagli organi professionali), le dimissioni forzate come
quelle dei professori obbligati al giuramento (il 7 gennaio del 1926, Silvio
Trentin, pap di Bruno, futuro segretario della Fiom e della Cgil, scrisse al
rettore della Ca Foscari: Ragioni dordine personale e soprattutto il dubbio, quasi direi la certezza, di non saper conciliare il rispetto delle mie intime e pi salde convinzioni di studioso del diritto pubblico con
losservanza dei nuovi doveri di funzionario che mi vengono imposti dalla
legge 24 dicembre 1925, n. 2300, in questi giorni pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale, mi inducono a rassegnare le mie dimissioni da professore stabile
presso codesto Istituto superiore(24)).
And via anche Buozzi, vittima di un giro di vite che riconosceva
solo un sindacato (quello fascista), che non garantiva una libert fondamentale come il diritto di sciopero, che trasformava il Parlamento in una
inutile appendice di un regime autoritario. And via anche Salvemini che
pure, inizialmente, forse distratto dal furore anti-giolittiano, non si era reso
perfettamente conto che qualcosa di molto grave aveva preso forma nel
paese. Qualche anno pi tardi, si contrappose a Bruno Buozzi in una astiosa
287

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

polemica. Aveva detto, in una intervista a LItalia del Popolo, organo del
partito repubblicano: Non i soli comunisti, ma anche parecchi socialisti e
repubblicani mi sembra nascondano nel fondo del loro cuore una viva simpatia per il sindacalismo fascista. Ci che essi detestano in esso non la
mancanza di libert, ma solo il fatto che la libert vi sia confiscata a profitto del partito fascista anzich a profitto dei loro partiti. Se si mettessero
al posto dei ventimila segretari fascisti, ventimila segretari comunisti, socialisti o repubblicani, il sindacalismo fascista diventerebbe sacro e inviolabile. Beninteso per il solo partito che riuscisse a controllarlo. Buozzi,
alla fine di agosto del 1929, replicava amareggiato: Questa dannata vita
in esilio riesce talvolta a giuocare brutti scherzi persino agli ingegni pi
eletti ed ai combattenti disinteressati... Che qualche socialista o repubblicano sia animato dai sentimenti liberticidi di cui parla Salvemini, pu darsi.
Ogni corrente politica ha sempre qualcuno che vi aderisce per sbaglio. Ma
che fra gli antifascisti siano numerosi i socialisti o i repubblicani che amerebbero confiscare fascisticamente la libert sindacale a profitto del loro
Partito, crediamo di poterlo escludere nel modo pi categorico (25). E, ricordava il segretario della CGdL che nella relazione letta due anni prima
in occasione della Conferenza Internazionale del lavoro, erano stati sottolineati due capisaldi della libert sindacale: la possibilit per i lavoratori di
scegliere senza condizionamenti lorganizzazione a cui aderire; il riconoscimento degli stessi diritti a tutti i sindacati, senza distinzioni ideologiche.

288

L A N T I FA S C I S TA
1

Bruno Buozzi, discorso alla Camera del 25 novembre del 1922; in Aldo Forbice (a cura
di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943) Fondazione
Modigliani Franco Angeli 1994, pag.183
2
Giovanni Borgognone: Come nasce una dittatura. LItalia del delitto Matteotti Laterza
2012, pag. 15
3
Denis Mack Smith: Storia dItalia dal 1861 al 1997, Laterza 1997, pag. 431
4

Bruno Buozzi, intervista al Dagens Nyheter in Bruno Buozzi scritti e discorsi, Editrice
Sindacale Italiana 1975, pag. 269
5
Giovanni Borgognone, idem pagg. 15-6
6
Bruno Buozzi, discorso alla Camera del 25 novembre 1922. Ibidem pag. 173
7
Bruno Buozzi, discorso alla Camera del 25 novembre 1922. Ivi
8
Bruno Buozzi, discorso alla Camera del 25 novembre 1922. Ibidem pag. 174
9
Bruno Buozzi, discorso alla Camera del 25 novembre 1922. Ivi
10
Bruno Buozzi, discorso alla Camera del 25 novembre 1922. Ibidem pagg. 174-5
11
Bruno Buozzi, discorso alla Camera del 25 novembre 1922. Ivi
12
Bruno Buozzi, discorso alla Camera del 25 novembre 1922. Ibidem pag. 177
13
Bruno Buozzi, discorso alla Camera del 25 novembre 1922. Ibidem pagg. 177-8
14
Giacomo Matteotti, discorso alla Camera del 30 maggio 1924
15
Mario Isnenghi: Storia dItalia. I fatti e le percezioni dal Risorgimento alla societ
dello spettacolo Laterza 2011, pag. 433
16
Mario Isnenghi, Ibidem pag. 434
17
Mario Isnenghi, Ivi
18
Bruno Buozzi, intervento al sesto congresso della CGdL, 12 dicembre 1924, in Aldo
Forbice (a cura di): Riformismo e sindacato. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (19101943) Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 121
19
Bruno Buozzi, intervento al sesto congresso della CGdL, 12 novembre 1924, in Aldo
Forbice, Ibidem 126
20
Benito Mussolini, discorso alla Camera del 3 gennaio 1925
21
Benito Mussolini, Ivi
22
Benito Mussolini, Ivi
23
Benito Mussolini, Ivi
24
Mario Isnenghi, op. cit. pag. 452
25
Bruno Buozzi: Per la verit e per la storia in lOperaio Italiano 31 agosto 1929; da
Bruno Buozzi: Scritti dallesilio, Opere Nuove 1959, pagg. 22-3-4

289

Mi sentirei spregevole se nella mia qualit di


Segretario della Confederazione, ottenessi per me
una libert che non concessa agli altri italiani

Il no al duce

Nella foto i funerali dei fratelli Rosselli: la bandiera di


Giustizia e Libert la regge Renato Pierleoni che poi sarebbe
diventato un importante dirigente della Uil

Quando Mussolini cominci a mettere in pratica le sue minacce


(Voi state certi che nelle quarantottore successive a questo mio discorso,
la situazione sar chiarita su tutta larea... Non libidine di Governo, non
passione ignobile, ma soltanto amore sconfinato e possente per la patria)1, quando cominci a dare seguito concreto al suo amore sconfinato
e possente, gli antifascisti compresero che tutto era ormai perduto. Ed era
perduto anche per loro sottovalutazioni come ha osservato Emilio Gentile
ricordando quel che avevano scritto dopo il delitto Matteotti, Antonio
Gramsci (Il fascismo si esaurisce e muore... esso sorretto ancora dalle
forze fiancheggiatrici, ma sorretto cos come la corda sostiene limpiccato), Gaetano Salvemini (Per fortuna siamo alla fine di questa disgustosa tragedia brigantesca e carnevalesca. La bestia ferita a morte,
Matteotti gli diede il primo colpo nella politica interna... se non a novembre
a marzo sar chiuso questo periodo vergognoso) e Anna Kuliscioff, addirittura due giorni prima del discorso mussoliniano alla Camera (Molti
fatti nuovi confermano che il cadavere in putrefazione)2. Invece, il regime non cadde, anzi perfezion la sua rete di controllo autoritario, sostituendo, ad esempio, i sindaci eletti con i podest di nomina governativa o
lattribuzione al duce di fortissimi poteri legislativi. Arrivarono le leggi
sulla stampa e quelle sul sindacato, infine il giro di vite repressivo dopo gli
attentati di Zamboni del 1926 e quello di Violet Albina Gibson nellaprile
dello stesso anno3, con la trasformazione in reato degno della pena di morte
anche della semplice idea di una cospirazione contro Mussolini.
Caddero le ultime illusioni mentre nella CGdL cominciava il rompete le righe di chi si preparava ad accucciarsi ai piedi del nuovo padrone.
Bruno Buozzi, anche convinto dallInternazionale Sindacale, una volta diventato segretario della CGdL, prese la decisione di seguire allestero i tanti
293

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

altri dirigenti politici e intellettuali anti-fascisti che si ripromettevano di


riorganizzare in qualche modo lopposizione al duce. Ma su quella via
(non solo dellesilio, ma anche dellopposizione) non tutti erano disposti a
seguirlo.
I primi mesi furono amarissimi, caratterizzati dalle polemiche che
dallItalia venivano alimentate dai sette che avevano prima deciso di sciogliere la Confederazione e poi di dare vita al fantasma di un centro studi
(Problemi del Lavoro). Per i sette, il traditore era lui, che aveva deciso
di lasciare lItalia. Lo scrisse Giovan Battista Maglione, seppur in maniera
indiretta, nel suo memoriale: Poich Buozzi... che riassumeva tutti i poteri

Un Buozzi sereno a passeggio per le vie di Parigi

294

IL NO AL DUCE

della Confederazione, confermava il suo rifiuto a rientrare in Italia e riprendere il suo posto di responsabilit, non restava altra soluzione possibile
che la cessazione di ogni attivit e la chiusura della sede4. Maglione faceva finta di non ricordare che con ampio anticipo (novembre 1926) il segretario gli aveva comunicato lintenzione di trasferire allestero la CGdL.
Il fatto che intorno allo scioglimento si svilupparono manovre di vario
tipo che dovevano portare a una sorta di bacio della morte: la confluenza
sostanziale dei vecchi sindacati liberi con quelli decisamente meno liberi
organizzati per conto del fascismo da Edmondo Rossoni. Tentativi che non
si esaurirono certo in un giorno, in una settimana o in un mese. Continuarono a lungo, anche dopo la partenza di Buozzi e cercarono, alla fine, (come
vedremo tra poco) di coinvolgere pure il Segretario Confederale.
Maglione offriva nel suo scritto uno spaccato di questo intenso pasticciare: Baldesi... mi aveva fatto recapitare una lettera per richiedere la
convocazione del Consiglio. Ed io mi recai allora a Roma, dove mi incontrai con lui, con Lodovico Calda e con DAragona. Baldesi mi rifer di un
suo incontro con Rossoni e della sua intenzione di proporre il passaggio
motivato della Confederazione ai sindacati fascisti, al che io opposi subito
che, in assenza di Buozzi e indipendentemente da ogni veduta personale,
nessuno avrebbe potuto impegnare il nome della Confederazione5. Nelle
storie di tradimenti, per, vi sono anche risvolti affaristici. Abbiamo precedentemente riportato un passaggio di una lettera a Saragat in cui il Segretario Confederale indicava gli uomini che a suo parere maggiormente
si erano distinti in questa penosa vicenda. Tra questi, Lodovico Calda,
che aveva, infatti, un interesse personale ed economico da soddisfare nel
rapporto con Mussolini. Calda era leditore del Lavoro di Genova le cui
pubblicazioni erano state sospese per disposizione delle autorit di governo,
proprio in virt delle nuove leggi sulla stampa (quando ricominciarono, il
quotidiano divenne una sorta di organo del sindacalismo fascista). Raccontava ancora Maglione: Calda mi rifer del suo incontro con Mussolini
presso il quale si era recato come presidente della Societ editrice Il Lavoro di Genova per chiedere di poter riprendere la pubblicazione del quotidiano, e dalla risposta avutane cap che tutto doveva ritenersi legato a
quanto sarebbe stato deciso in merito alla Confederazione del Lavoro. Da
DAragona mi recai insieme a Calda e, nelloccasione, io affacciai la tesi
295

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

che, dovendosi per forza di cose, sciogliere in Italia la Confederazione del


Lavoro, sarebbe stata utile la costituzione di una associazione di studio.
Anche i sette erano arrivati al Rubicone e come Cesare si preparavano a
pronunciare la fatidica frase, alea iacta est, il dado tratto. Nel Consiglio
Direttivo si confrontarono tre ipotesi: associazione di studio (Maglione),
continuazione (Reina), adesione ai sindacati fascisti (Baldesi). Vinse la
prima, a maggioranza. Il 3 marzo del 1927 usc il primo numero della rivista
I Problemi del Lavoro, cio il prodotto editoriale di quellassociazione
che si proponeva una serena considerazione degli sviluppi sindacali corporativi sulla base di una sostanziale democrazia del sindacato e in tutti gli
istituti dello Stato corporativo... attualit del socialismo come tendenza evo-

Mussolini sul trattore: tipica immagine della retorica di regime

296

IL NO AL DUCE

lutiva della Societ nellordine etico, giuridico ed economico. evidente


la contraddizione tra questi scopi (o princpi) e le condizioni oggettive di
un Paese senza libert perch difficile lattivit di studio o elaborazione
laddove non esiste la possibilit di organizzare un pensiero autonomo e non
irrigimentato. Era una foglia di fico. Che, per, impegn molto intensamente Buozzi nei primi mesi della sua attivit allestero. Perch se da un
lato lui cercava di far sopravvivere la Confederazione quanto meno nel panorama internazionale, dallItalia ci si impegnava a cancellarne anche il
semplice ricordo. Furono mesi di scontri polemici, di scritti astiosi, pubblici
e privati. Come ad esempio il carteggio che intercorse tra Buozzi ed Emilio
Colombino, altro cospiratore profondamente disistimato dal segretario
(come da lettera a Saragat).
Lui, Colombino, aveva provato a difendersi attaccando, con un paio
di scritti di fuoco in risposta ad altrettante missive di Buozzi, in cui contestava al segretario l assenza ingiustificata dallItalia, cosa che fa un po
sorridere visto che praticamente tutti i leader antifascisti avevano preso la
via dellesilio per ricominciare la lotta contro Mussolini lontano dalla Penisola visto che allinterno dei confini tutte le libert erano state cancellate
e solo chi aderiva acriticamente al fascismo poteva immaginare di continuare a svolgere attivit politica (in un senso preciso). Ma al pari di Calda,
Colombino aveva anche qualche interesse personale. Ragazzo sveglio, piuttosto bravo nellattivit negoziale, aveva, per, anteposto col passare del
tempo il benessere economico a quello ideale e spirituale e si era dato al
commercio. Con larrivo del fascismo aveva costituito non solo lAssociazione Problemi del Lavoro ma anche una struttura cooperativistica che era
stata piegata alle direttive del regime. Tutto questo non lo aveva fatto gratis:
Mussolini, infatti, gli aveva dato la gestione delle mense e degli alloggi dei
lavoratori impegnati nei dintorni di Littoria, cio di Latina, nella bonifica
delle campagne pontine. Questo non gli impediva di scrivere, in una lettera
a Buozzi: Dovrei rilevare dai tuoi documenti, frasi e commenti che, se tu
fossi a esatta conoscenza dei fatti come sono avvenuti, come si svolgono e
come si concluderanno, ti vergogneresti semplicemente di averle scritte e dirette a me. Nel nostro gesto tu non hai visto che latto plebeo. Con ben altra
nobilt il nostro gesto stato interpretato e commentato da persone la cui
levatura politica pu ben dirsi superiore alla tua6. E in unaltra, replicando
297

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

alle critiche del segretario confederale, affermava: Accuse che si compendiamo nella tua assenza ingiustificata dallItalia e nellaver organizzato
senza autorizzazione un ufficio allestero senza nessuna pratica utilit.
Le critiche di Buozzi riguardavano il manifesto costitutivo dellAssociazione Problemi del Lavoro e Colombino replicava: Tu ti sei
creato un bersaglio artificiale, ti sei creato un manifesto di comodo, delle
dichiarazioni politiche che esistono soltanto nella tua fantasia, e poi gi a
palle infuocate come un Don Chisciotte in miniatura. Tu abusi di unarma
polemica che il tempo ritorcer contro di te7. evidente che il tempo ha
prodotto ben altri effetti visto che il Regime si manifest per quel che effettivamente era e che quella Associazione di Studio non riusc ad avere
alcun effetto concreto sullevoluzione del sindacalismo fascista che rimase
sempre uno strumento nelle mani del sistema. Le certezze di Colombino
erano in quel momento, la conseguenza di una coscienza inquieta, che doveva fare i conti con scelte che non avevano nulla a che vedere con il passato collettivo e, soprattutto, personale, che ne erano, anzi, laperta smentita.
E, allora, andava allattacco: I dirigenti responsabili che sono rimasti al loro posto han creduto bene di tagliar netto col passato, e ne
avranno avuto le loro brave ragioni. Ma di questo scrivi ai responsabili,
non a me, i quali ti accusano di aver trasportato senza autorizzazione lorganizzazione per mantenerti il posto (Parole e musica non di Colombino)8.
Le contraddizioni sono evidenti. Da un lato Maglione riconosceva che nelle
mani di Buozzi si concentravano tutti i poteri pertanto poteva senza autorizzazione, portare allestero la sede della CGdL anche perch ormai da
mesi, soprattutto dopo il discorso di Mussolini alla Camera, si discuteva
allinterno dellorganizzazione sul futuro. Buozzi stesso era stato eletto per
salvare il salvabile in una situazione disperata (e con i vertici della Confederazione, a cominciare da DAragona, costretto a mollare la poltrona manifestando disponibilit inquietanti nei confronti del Regime). Dallaltro
lato, che la scelta del segretario non fosse un fulmine a ciel sereno (e non
fosse frutto di una scelta individuale, per salvare il posto) veniva confermato dal fatto che mentre da un lato si provvedeva a chiudere in Italia il
giornale Battaglie Sindacali, dallaltro, dallaprile del 1926, si apriva a
Parigi lOperaio Italiano. E tutto questo mentre, dallaltra parte si costituiva lAssociazione di Studio e Il Lavoro si trasformava ne Il Lavoro
298

IL NO AL DUCE

fascista diventando un pezzo di quella nuova Italia che Colombino evocava in conclusione della sua lettera: E ora una parola di consiglio, se
permesso. Tutto al mondo cambia. Cambiano le situazioni nel nostro Paese.
Cercare di essere pi sereni e rallentare, nel vostro interesse e nellinteresse
dellItalia, quelle vostre campagne che non possono produrre alcun effetto
che un inasprimento allinterno. I profughi che combattono lo straniero
accampato in Patria hanno avuto sempre ragione. I profughi che combattono contro il proprio paese in gestazione politica hanno avuto sempre
torto. La Rivoluzione francese e la Rivoluzione Russa insegnano. Noi, comunque si voglia giudicare il passato, siamo al punto della ricostruzione
politica del Paese. A questo lavoro dobbiamo cooperare perch solo a ricostruzione politica compiuta andremo verso la nuova democrazia e verso
la Libert!9. Colombino mor a Roma nel 1933: la sorte gli ha impedito
di prendere atto dellinfondatezza delle sue ragioni e, soprattutto, degli errori marchiani contenuti nelle sue profezie; lItalia avrebbe conosciuto solo
un disperato e tetro futuro di guerra.

12.1 Latto daccusa contro i traditori

Ma la comunicazione era decisiva, ai fini politico-sindacali, anche


a quellepoca e lintensa attivit pubblicistica italiana finiva per dare limmagine allestero di una Confederazione ormai rottamata, per usare un
termine allora sconosciuto ma oggi molto di moda; una storia finita in archivio per il trionfo, anche su questo fronte, del Regime, che aveva normalizzato tutto e tutti. E cos il 28 maggio del 1927, Bruno Buozzi prendeva
carta e penna e scriveva al Journal de Gnve proprio per spiegare che il
sindacato italiano esisteva, era vivo pur operando nei modi, nelle forme e
nei territori imposti dalla situazione che si era venuta a creare nel nostro
Paese. Al signor direttore, il segretario diceva che la Confederazione
generale del lavoro italiana non ha mai deliberato il proprio scioglimento.
Nel corso di questi ultimi anni essa ha visto sciogliere dalla polizia o distruggere dalla violenza fascista una grande parte delle sue organizzazioni.
Malgrado questo, comunque, essa si era mantenuta in vita, promuovendo
agitazioni in parecchie localit nel segreto, attraverso un metodo di adesione personale diretto che sostituiva le adesioni da parte di gruppi ufficialmente costituiti. Ogni tentativo di riorganizzazione stato sistematicamente
299

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

impedito in maniera continua ed appena conosciuta10.


E ai cospiratori italiani che parlavano di un non autorizzato trasferimento a Parigi, Buozzi rispondeva: Il comitato della CGdL prese allora atto dellassoluta impossibilit di funzionare pubblicamente in Italia.
Con i pieni poteri regolarmente, e a pi riprese, accordati dal Consiglio
Direttivo, questo comitato si trasfer allestero. Poi sottolineava, dati di
fatto alla mano, perch lo scioglimento deciso dai sette era illegittimo:
vero che nel corso di una riunione che ebbe luogo a Milano il 4 gennaio
1927 venne presa una deliberazione che si cerca di far passare per una decisione di scioglimento della CGdL. A questa riunione necessario rimarcarlo non partecipavano che sei dei quindici membri che formavano
il Consiglio Direttivo11. Non solo: Il manifesto di quasi adesione al fascismo che fu pubblicato nei primi giorni di febbraio era infatti firmato
solo da sette persone. Tra queste due soltanto (Maglione e Reina) facevano
effettivamente parte della CGdL. Gli altri erano gi da tempo al di fuori
del movimento sindacale, qualcuno gi da qualche anno. Azimonti nel
commercio del carbone; Colombino ha una rappresentanza di articoli tecnici e di lime; Calda amministratore di giornali; Rigola fa il giornalista
ed infine DAragona intermediario nellacquisto e nella vendita di immobili. La maggioranza del Consiglio Direttivo della CGdL non si dunque affatto riunita. Se essa non ha partecipato alla riunione tenuta a
Milano il 4 gennaio, perch in parte essa era allestero, confinata oppure
deportata, e questo ve lo posso assicurare non certamente a causa della
propria volont12. I motivi che rendevano illegittimi le decisioni assunte
in Italia, Buozzi li aveva spiegati anche nelle lettere personali inviate ai
sette. Soprattutto aveva sottolineato ai cinque in questione che loro, con
lattivit sindacale, non avevano pi nulla a che spartire visto che erano
impegnati su altri fronti professionali, suscitando la reazione stizzita di Colombino (Ti ringrazio della concessione che mi fai di poter, malgrado
commerciante, occuparmi di politica. Per non mi concedi ancora il diritto
di occuparmi di sindacalismo. Ma io rivendico anche questo diritto come
lavevano Baldesi, Simonini, Dugoni13).
La scontro, tra i due versanti delle Alpi, continu addirittura sino
alla seconda met degli anni Trenta. Riesplose quando il 1 marzo del 1936,
la rivista I Problemi del Lavoro nuovamente attacc Bruno Buozzi con300

IL NO AL DUCE

siderandolo lautore di un articolo (anonimo) apparso su lOperaio Italiano nel gennaio precedente. Il segretario confederale, a quel punto, riprese carta e penna e scrisse una lettera aperta che cominciava in maniera
estremamente diretta: Quel vecchio confederale che avete creduto di identificare nella mia persona non intende mostrare la faccia per lovvia ragione che non vuole correre lalea del domicilio coatto per far piacere a
voi14. Qualcosa stava cambiando nel consenso che il regime era riuscito
comunque a costruirsi attorno. In Europa si respirava unaria, anche a causa

La Milizia Postelegrafonica ha intercettato la lettera di Buozzi a Villani


La Prefettura ne d comunicazione al Ministero dellInterno il 29 maggio 1929

301

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

del nazismo e delle ambizioni di potenza della Germania, di nuovo pesante.


I cospiratori che avevano pensato di evitare il peggio chiudendo bottega,
dai fatti cominciavano a essere smentiti. E Bruno Buozzi attaccava: Voi
avete sulla coscienza un peccato dorigine del quale non riuscirete facilmente a farvi assolvere. Nel gennaio del 1927, nella dichiarazione costitutiva del vostro Centro, voi rinunciaste a combattere il regime fascista con
la pietosa motivazione che esso era una realt... non fu n una manifestazione di coraggio, n una manifestazione di solidariet verso coloro che per
seguire i vostri incitamenti di pochi giorni avanti venivano perseguitati.
La lettera aperta, pubblicata su lOperaio Italiano, era preceduta da
un cappello nel quale venivano riprodotte alcune dichiarazione rilasciate
dai cospiratori dellAssociazione di studi prima, per di abbracciare la
causa del corporativismo. In particolare: una frase di Maglione estrapolata
da un articolo apparso su Battaglie Sindacali dellottobre del 1926
(Quanto a noi, non intendendo rinunciare a nessuno dei nostri attributi
ideali, chiarissimo quale debba essere il nostro compito: tener fede alla
nostra bandiera e far cuore a quelli che resistono e si battono); due affermazioni di Rinaldo Rigola apparse su lOperaio Italiano il 27 novembre
1926 (Non abbiamo mai approvato e non approveremo mai la legge sindacale fascista) e nel dicembre successivo (Al proletariato si dato il
fumo del sindacato giuridico, prodotto con lincendio delle sue libere istituzioni di classe. La classe operaia non parla pi. La parola riservata ai
ben pasciuti funzionari della burocrazia sindacale. Agli operai per permesso di applaudire). Ricordi editoriali che inducevano Buozzi ad aggiungere: Da nove anni voi, che amate ancora chiamarvi socialisti
girate attorno al fenomeno fascista senza osare toccarlo nella sua sostanza
ferocemente anti-socialista, e vi limitate a reclamare pacatamente come
direbbe il vostro Maglione la democratizzazione del sindacalismo fascista, credendo o fingendo di credere, e contribuendo a far credere, che un
regime di dittatura che si vanta di avere distrutto la libert e la democrazia
e che ha creato un suo movimento sindacale coatto sulle rovine del sindacalismo libero, possa concedere cosa che ripugna alla sua natura15.
Questioni politiche e questioni personali. E le seconde si collegavano allaccusa che nei giorni immediatamente successivi alla delibera di
scioglimento, strumentalmente, era stata lanciata contro Buozzi: labban302

IL NO AL DUCE

dono non autorizzato del posto di comando in Italia. E il segretario a quel


punto svelava con una certa generosit, dettagli che erano stati, evidentemente, nascosti. Scriveva: In quanto al mio esilio consigliato, approvato
e condiviso da scansa-responsabilit dello stampo di Filippo Turati, Claudio Treves, Emanuele Modigliani, Nullo Baldini, Pietro Nenni, Giovanni
Bensi, Felice Quaglino, Giuseppe Sardelli e tanti altri vogliate prendere
atto che esso fu incoraggiato, e quindi approvato anche dal vostro direttore.
Esistono due lettere inviate a Parigi il 18 e 8 dicembre del 1926, nelle quali
Rinaldo Rigola scriveva che data la irrespirabile atmosfera creata dagli
ultimi provvedimenti si imponeva il trasferimento dellinsegna (Confederazione del Lavoro) allestero. I pochi uomini che sono ancora qui dovranno cercarsi una occupazione qualunque o emigrare: e fra gli uomini
che restano, concludeva melanconicamente il vostro direttore,, ci sono io
che mi trovo nella condizione di non poter cambiar mestiere, n di muovermi. Cio a dire che, se avesse potuto, Rinaldo Rigola sarebbe venuto
a raggiungerci a Parigi, a metter in salvo quellinsegna che io e altri amici
siamo orgogliosi di aver messo in salvo16.
Lo scisma milanese doveva fornire al sindacalismo fascista una copertura, una indiretta legittimazione. Ma la scarsa credibilit dei sette che firmarono la delibera di scioglimento, imped alloperazione di essere coronata
da successo (anche relativo). Mussolini, per, accarezzava sempre lidea di
normalizzare in qualche maniera la galassia sindacale, renderla pi efficiente dal punto di vista della raccolta del consenso (a suo favore) tra i lavoratori. Ma perch questo obiettivo fosse raggiunto, aveva bisogno di esibire,
quasi a mo di trofeo, il ripensamento di un leader credibile delle precedenti
organizzazioni che, comunque, continuavano ad avere nei luoghi di lavoro,
sebbene silenziosamente, ancora un discreto seguito. Luomo giusto, dal
punto di vista del duce era Bruno Buozzi. E cos agli inizi del 1929 cerc
di aprire un canale di dialogo per riportarlo in Italia, semmai per offrirgli il
posto di ministro delle corporazioni. In quel momento lui era impegnato in
un suo personalissimo processo di pacificazione del Paese. Pi che altro,
un progetto di ulteriore annichilimento delle libert e di definitivo abbandono
del sistema parlamentare che era stato gi abbondantemente svuotato.
Da un lato puntava a limitare le libert, dallaltro ad ampliare il consenso dopo aver superato la crisi-Matteotti. Il versante economico-sociale
303

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

era decisivo: occorreva dare un contenuto al sistema corporativo, a questo


nuovo paradiso in terra. In un momento, per giunta, di crisi globale. Nel
1928, il 29 aprile, Mussolini aveva fatto confluire a Roma, al Colosseo, gli
operai milanesi per una grande adunata e li aveva arringati: Ci che rende
eloquente e suggestiva la vostra manifestazione il carattere cristallino,
documentabile della sua assoluta spontaneit. Nessuna convocazione comandata, nessuna precettazione, dunque. Proseguiva: Dopo quasi sei anni
di regime io affermo, con piena coscienza che nessun regime del mondo
andato incontro alle masse operaie con la fraternit piena e profonda del
regime fascista... Chi testimonio immediato della mia fatica sa che non
ho che una passione: quella di assicurarvi del lavoro, di aumentare il vostro
benessere e di elevarvi moralmente e spiritualmente. Sapeva bene, il
duce, che la macchina non era poi cos perfetta e le imperfezioni sarebbero emerse in maniera pi evidente dopo il crollo di Wall Street. Realizzazioni parziali da un lato, retorica dallaltro. Come quella che spandeva
cinque anni dopo, il 14 novembre del 1933, a piene mani nel corso del Consiglio nazionale delle corporazioni: Oggi possiamo affermare che il modo
di produzione capitalistico superato e con esso la teoria del liberalismo
economico che lha illustrato e apologizzato. Si chiedeva, davanti a quella
platea, se lItalia era da considerarsi ancora un paese capitalistico. E la sua
risposta era inevitabilmente contraddittoria: Se per capitalismo si intende
quellinsieme di usi, di costumi, di progressi tecnici ormai comuni a tutte
le nazioni, si pu dire che lItalia capitalista. Ma se noi andiamo addentro
alle cose... noi abbiamo allora i dati del problema che ci permettono di
dire che lItalia non una nazione capitalistica nel senso ormai corrente
di questa parola. Mussolini era insomma convinto che il sistema corporativo era ormai nato. Affermava: La corporazione fatta in vista dello
sviluppo della ricchezza, della potenza politica e del benessere del popolo
italiano. Questi tre elementi sono condizionati tra loro. La forza politica
crea la ricchezza e la ricchezza ingagliardisce a sua volta lazione politica...
Il corporativismo leconomia disciplinata e quindi controllata, perch non
si pu pensare a una disciplina che non abbia un controllo. Il corporativismo supera il socialismo e il liberalismo, crea una nuova sintesi. Per ottenere questa sintesi e, soprattutto, il controllo, lui ci si era messo di buzzo
buono a cavallo tra la fine degli anni Venti e gli inizi degli anni Trenta.
304

IL NO AL DUCE

12.2 Carissimo Villani, Platone diceva...

Nel 1928 aveva provveduto a modificare ulteriormente la legge elettorale facendole assumere un carattere puramente plebiscitario-confermativo.
La scelta degli elettori, che lessenza di una consultazione democratica, era
stata totalmente abolita. Le organizzazioni dei lavoratori e degli industriali
sottoponevano un elenco di nomi al Gran Consiglio che li filtrava e li inseriva
in un listone. Agli elettori venivano consegnate due schede, una che approvava la lista dei candidati e li mandava alla Camera (la domanda posta era
semplicissima, come la risposta daltronde: Approvate voi la lista dei deputati designati dal Gran Consiglio Nazionale del Fascismo?), laltra che, teoricamente, disapprovava e li lasciava a casa. Non solo. Per essere sicuro dei
risultati del suo lavoro, Mussolini restrinse anche larea del suffragio che
non aveva pi nulla di universale visto che potevano partecipare solo i maschi
iscritti a un sindacato, a una associazione di categoria, al partito, i militari e
i religiosi. Risultato: gli aventi diritto al voto scesero da 12,1 milioni a 9,5.
Laffluenza alle urne il 24 marzo 1929 fu, ovviamente oceanica, al pari del
consenso certificato con la scheda di conferma (che significativamente era
rossa, bianca e verde; laltra soltanto, quasi tristemente, bianca). Otto milioni
e mezzo di italiani, cio il 98,3 per cento dei votanti, disse che quelli scelti

LItalia ha una nuova legge elettorale: ecco la scheda tricolore del plebiscito
con la quale si confermano semplicemente le scelte compiute dal Gran Consiglio

305

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

dal Gran Consiglio erano i migliori deputati che il Paese potesse desiderare
e, pertanto, potevano andare a occupare gli scranni parlamentari. Solo l1,6
per cento (135.773) non li ritenne degni. Sullaffidabilit delle cifre corrono
molti dubbi perch probabilmente i votanti non furono quelli dichiarati (non
aveva alcun senso mettere una croce su un foglio di carta) e i contrari molto
probabilmente furono creati ad arte, cos, per dare limpressione che in Italia
esistesse ancora un barlume di libert.
Prima che questa triste e insignificante liturgia avesse luogo, Antonio Buozzi, il fratello di Bruno, part alla volta di Parigi (venne contattato
il 4 febbraio e l11 prese il treno per la Francia dopo aver rapidamente ottenuto il passaporto). Antonio era anche lui socialista e anche lui militante
sindacale. A muoversi fu personalmente Mussolini che pieg anche le resistenze di Rossoni che non amava particolarmente il segretario della
CGdL. Non solo, lo obblig anche a un viaggio a Torino per convincere il
fratello di Buozzi a partecipare a questa missione. Il messaggio era
chiaro: per Bruno le porte dellItalia erano aperte. Nelloperazione erano
coinvolti anche il ministro dellinterno Michele Bianchi, Ezio Villani, ex
ispettore della CGdL e Romualdo Rossi, amico di Villani ma soprattutto di
Bianchi. La risposta del leader sindacale fu ovviamente negativa anche perch a una sola condizione lui avrebbe potuto prendere in considerazione il
ritorno nel suo Paese: la restituzione agli italiani delle libert politiche e
sindacali, ipotesi che non albergava certo nella mente delduce. Fu sempre
Antonio a riferire direttamente al capo del fascismo la risposta. Ma era evidente che bisognava squarciare il velo di segretezza che avvolgeva quella
strana trattativa anche per evitare strumentali interpretazioni e per non lasciare dubbi tra i lavoratori. Solo che non si poteva dare pubblicit alla vicenda mettendo in difficolt Antonio. La soluzione fu semplice: una lettera
di Buozzi a Ezio Villani, risposta che poi sarebbe stata veicolata sugli organi
di informazione, con prudenza e discrezione. Anche Villani era convinto
che la cosa si potesse fare e aveva fatto pervenire a Buozzi qualche messaggio in tal senso. Ma se le porte dellItalia erano aperte, quelle di Buozzi
nei confronti del fascismo erano chiuse.
E a Villani lo spiegava sin dalle prime righe dicendo che gli rispondeva solo per due ragioni: Perch la stima che ho di te e la nobilt con
cui redatta la tua lettera meritano particolare riguardo; perch desidero
306

IL NO AL DUCE

riassumerti e non soltanto per te il mio preciso pensiero sulla situazione


italiana17. Di qui in poi la chiusura diventava netta: Tu sai che io non ho
mai creduto alla possibilit di una pacificazione e tanto meno di una collaborazione... fra fascismo e antifascismo. Il fascismo totalitario per definizione; forse per ragioni di vita, certo in gran parte per il temperamento
del suo capo, che io credo di conoscere bene. Dai galantuomini, Mussolini
sempre stato disposto ad accettare la collaborazione a condizione che si
rassegnassero a dargliela servilmente... Perci immediatamente dopo la
marcia su Roma pronunciai alla Camera dei Deputati un discorso (la riscossa plutocratica) rigidamente antifascista. Perci nel 1923 nei noti
colloqui avuti da alcuni dirigenti confederali con alcuni emissari di Mussolini, e poi con Mussolini, sostenni che, se si voleva pacificare lItalia,
non cera che una via da scegliere: ridare ad essa la libert e por fine ad
ogni violenza18. La lettera forse il compendio pi chiaro del pensiero di
Buozzi sul fascismo, in qualche misura latto politico pi significativo della
carriera di parlamentare (in quel momento ex), proprio perch giocato tutto
sul versante dei valori ideali pi che su quelli sindacali. La missiva esprime
al meglio cosa fosse, in quegli anni il riformismo e cosa debba essere ancora
oggi. Certo non la disponibilit al compromesso. Il gradualismo non laccettazione di qualsiasi scorciatoia. Al contrario, proprio perch si tratta di
un processo lento e complesso, obbliga a un tasso maggiore di coerenza e
intransigenza, nelluso dei mezzi e nel raggiungimento dei fini. Per molti
aspetti la lettera di Buozzi la continuazione dellintervento alla Camera
di Giacomo Matteotti, laffermazione dellassoluta incompatibilit tra riformismo e metodi anti-democratici, il rifiuto della violenza come strumento di ampliamento (forzato) del consenso, la riaffermazione dei
principi parlamentari come unica garanzia per un corretto svolgersi della
vita associata.
Continuava incalzando: Fin dallepoca della marcia su Roma, mi
convinsi che il fascismo non avrebbe potuto tollerare lesistenza di organizzazioni politiche e sindacali che non fossero interamente sue o servissero
ai suoi fini... Il fascismo ha eliminato ogni opposizione ed ha in pugno tutto;
ma questo tutto per il modo con cui stato conquistato, evidente che rappresenta la sua intima debolezza19. Villani era favorevole a un rientro di
Buozzi perch era convinto (una idea diffusa tra i riformisti) che il ritorno
307

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

di figure carismatiche avrebbe favorito una normalizzazione in senso pi


democratico del Paese. Non era, per, una opinione condivisa dal segretario
confederale: Il problema della sistemazione del nostro Paese supera di gran
lunga la mia persona, cos come supera la persona di Turati (Filippo) o di
altri pi eminenti di lui e pi di lui nel cuore degli italiani, se ve ne fossero20.
Tornare, seppur, gradualmente alla democrazia, significava avviare negoziati tra le parti ma, sottolineava Buozzi, le trattative di carattere politico

Su lOperaio Italiano Buozzi d conto della sua risposta a Mussolini

308

IL NO AL DUCE

sono possibili solo tra forze che hanno la stessa possibilit di manifestarsi
liberamente, e non quando una di essa in completa bala dellaltra. Trattative di carattere politico sono possibili solo fra due forze che, in caso di
mancato accordo, possono riprendere ciascuna la propria libert senza che
una di essa possa essere ridotta al pi umiliante silenzio dallaltra. Quando
insomma c una forza che pu concedere e togliere a sua libido, e quando
in caso di conflitto, una di tali forze pu essere relegata in carcere o al domicilio coatto senza che abbia neppure la possibilit di far conoscere la pi
minima delle sue proteste, le trattative sono peggio che una irrisione21. Allamico, Buozzi impartisce una piccola lezione di dinamica democratica:
in un sistema che sia veramente tale, il confronto tra pari, non mai sbilanciato in un verso piuttosto che in un altro, perch solo tra pari le scelte
non sono strumentali o, peggio ancora, obbligate. la sintassi della democrazia, spiega, il segretario confederale. Che poi passa ad analizzare la questione sul versante della dignit personale e della fedelt ai valori.
Diceva: Ammesso pure e non concesso che si accettassero delle
trattative, e che il governo fascista, veramente compreso della necessit di
una sistemazione, facesse le pi larghe concessioni, intuitivo che queste,
per il sol fatto di essere state discusse e concesse ad hominem perderebbero
a priori qualsiasi efficacia. pure intuitivo che chiunque ottenesse per s
ci che viene rifiutato ad altri, finirebbe, per questo solo fatto, per perdere
inesorabilmente e giustamente il prestigio che gode. Guarda cosa accaduto al gruppo Rigola. Anzich chiedere, nel modo strettamente burocratico
voluto dalla legge, il consenso di costituire la sua associazione e di pubblicare la sua rivista, ha voluto trattare e patteggiare ed ha finito per essere
considerato fascista o fiancheggiatore del fascismo e per svalutato prima
ancora di iniziare la sua opera. Daltro canto, io mi sentirei il pi spregevole degli italiani se, nella mia qualit di Segretario della Confederazione,
pi ancora che di antifascista, discutessi ed ottenessi per me una libert
che non concessa agli altri italiani. Io non ammetto, dunque, neppure in
ipotesi, trattative personali e concessioni ad hominem. Per me, al fascismo,
non ho nulla da chiedere. La nostalgia della patria tortura lanimo mio e
quello di molti altri, ma il problema ripeto supera la persone. Luomo
dabbene diceva Platone per quanto maltrattato dalla Patria, conserva
eternamente nel cuore un interesse per lei e cerca le occasioni di riconci309

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

liarsi con essa e di servirla. Ma nelle condizioni attuali credo profondamente di servirla meglio qui, piuttosto che a Roma o a Torino per graziosa
concessione del fascismo22.
Infine, il giudizio morale e storico prima ancora che politico, sul fascismo, un giudizio che ha il sapore di una profezia (che non vale solo per
qualche mente malata o qualche revisionista daccatto): Io considero sempre il regime fascista come un regime anacronistico per i nostri tempi, e
penso che verr forse un giorno in cui nessuno oser assumere le sue difese.
Esso almeno per me un castello costruito sulla sabbia, un colosso dai
piedi dargilla. Potr resistere dei decenni, ma se non si trasformer profondamente, croller quando meno il mondo se laspetta23. La conclusione
una condanna senza appello, formulata molto prima che la storia ne scrivesse le motivazioni: Fino a quando ci saranno leggi eccezionali, fino a
quando ci sar il Tribunale speciale, fino a quando ci sar il domicilio coatto, fino a quando non ci sar libert di stampa, di riunione e di parola,
follia pensare ad una qualsiasi sistemazione che non sia basata sulla
forza(24).

310

IL NO AL DUCE
1

Benito Mussolini, dal discorso alla Camera del 3 gennaio 1925


Emilio Gentile: Cos lantifascismo sottovalut il pericolo, in la Repubblica, 4 gennaio 2005
3
Figlia di Edward Gibson, barone di Ashbourne e Lord Cancelliere dIrlanda, spar contro il duce alluscita dal Campidoglio il 7 aprile del 1926; lo fer di striscio al naso
4
Gino Castagno: Bruno Buozzi, ristampa delle Edizioni Avanti! 1955, pag. 90
2

Gino Castagno, Ivi


Lettera di Emilio Colombino a Bruno Buozzi del 15 febbraio 1927 in Gino Castagno:
Bruno Buozzi ristampa Edizioni Avanti! 1955, pag. 101
7
Lettera di Emilio Colombino a Bruno Buozzi in Gino Castagno, Ivi
8
Lettera di Emilio Colombino a Bruno Buozzi in Gino Castagno, Ibidem pag. 105
9
Lettera di Emilio Colombino a Bruno Buozzi, in Gino Castagno, Ibidem pag. 106
10
Lettera di Bruno Buozzi al Journal de Gnve del 28 maggio 1927 in Aldo Forbice (a
cura di): Riformismo e sindacato. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943) Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 218
11
Lettera di Bruno Buozzi al Journal de Gnve del 28 maggio 1927, in Aldo Forbice, Ivi
12
Lettera di Bruno Buozzi al Journal de Gnve del 28 maggio 1927, in Aldo Forbice, Ivi
13
Lettera di Emilio Colombino a Bruno Buozzi, in Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa delle Edizioni Avanti! 1955, pag. 105
14
Bruno Buozzi: Risposta ai capitolardi de I problemi del lavoro lOperaio Italiano
12 marzo 1936, in Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi, commenti
inediti, a cura di Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pagg. 115-6
15
Bruno Buozzi: Risposta ai capitolardi de I problemi del lavoro lOperaio Italiamo
12 marzo 1936, in Giorgio Benvenuto, Ivi
16
Bruno Buozzi: risposta ai capitolardi de I problemi del lavoro, lOperaio Italiano
12 marzo 1936, in Giorgio Benvenuto, Ididem pag. 117
17
Bruno Buozzi: Lettera a Villani, 26 febbraio 1929 in Bruno Buozzi: Scritti dallesilio,
Opere Nuove 1958 pag. 15
18
Bruno Buozzi: Lettera a Villani, Ivi
19
Bruno Buozzi: Lettera a Villani, Ibidem pag. 16
20
Bruno Buozzi: Lettera a Villani, Ivi
21
Bruno Buozzi: Lettera a Villani, Ivi
22
Bruno Buozzi: Lettera a Villani, Ibidem pagg. 17-8
23
Bruno Buozzi: Lettera a Villani, Ibidem pag. 19
24
Bruno Buozzi: Lettera a Villani, Ibidem pag. 21
6

311

Il dirigente deve spingere e trascinare le masse


verso sempre maggiori conquiste
ma non correre troppo e perderle per strada

Lautonomia sindacale

Buozzi sorridente insieme a Pietro Nenni in un caff parigino. In primo piano


la figlia pi giovane, Iole che avrebbe sposato il giornalista e dirigente socialista
Gilles Martinet diventato negli anni Ottanta ambasciatore di Francia a Roma

Ha scritto Piero Boni: Buozzi ha sempre avuto chiara e lucida


percezione, talvolta istintiva, di questo primario elemento della natura del
sindacato. Senza autonomia non pu esserci vera organizzazione; un sindacato che non sia derivazione consapevole, e talvolta sofferta, di questa
maturazione collettiva che la fabbrica rende concreta e tangibile non pu
andare lontano e non pu costruire su basi solide1. Che questo sia (che
sia stato e che sar) il nervo pi sensibile del sindacato e di ogni sindacalista
che si rispetti, un dato di fatto. E la citazione di Piero Boni appare, sotto
molti aspetti, dovuta. Affinit elettive (non a caso, allinterno della Cgil
stato uno degli studiosi del leader ammazzato a La Storta): un pezzo di carriera in Fiom, la medesima origine territoriale (lEmilia); soprattutto una
idea del lavoro sindacale che si trasformava in una scelta di vita. Buozzi
per tre legislature (in anni terribili) si accomod su uno scranno parlamentare ma al di l di alcuni interventi di un certo rilievo (in particolare quello
contro la concessione dei pieni poteri a Mussolini), il suo interesse per lattivit politica fu sempre piuttosto tiepido. Si sentiva sindacalista e faticava
a interpretare un altro ruolo, differenza non di poco conto rispetto a taluni
personaggi della vita pubblica di questi anni e di questi decenni che si sentono pronti a tutto e sono disponibili per tutto, ricchi di ambizioni e, il pi
delle volte, poveri di talento.
Boni, al pari di Buozzi, si sentiva sindacalista e si identificava cos
tanto con quel ruolo che rifiut persino una candidatura (in un collegio
molto pi che sicuro) in Parlamento (un tempo cose del genere accadevano
anche). inevitabile, allora che chi non ritiene il sindacato una fase di passaggio della propria vita, chi gli attribuisce i caratteri quasi di una vera e
propria missione, chi non lo considera la prole di un dio minore della politica, si pone il problema del rapporto con le controparti (dove per contro315

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

parti non si intendono solo i datori di lavoro) o, se vogliamo, con i poteri.


Lautonomia ha tante sfaccettature e quella che riguarda il partito (o i partiti)
di riferimento solo la pi visibile, quella pi enfatizzata ma non per questo
lunica, quella che assorbe in s tutta lannosa questione. E, allora, il quesito
diventa: in che maniera Bruno Buozzi si poneva davanti al problema dellautonomia? Come lo risolveva? Che non fosse un ideologo, nel tempo, lo
hanno detto tutti coloro che lo hanno studiato. Buozzi era un uomo concreto,
una concretezza che gli derivava da una vita complicata, irta di difficolt materiali, che lo aveva obbligato a fare gi da bambino i conti con il problema
non aggirabile del pranzo e della cena. E fu proprio questa origine una delle
ragioni del suo successo e, soprattutto, della popolarit tra masse lavoratrici
che, quando lui arriv al vertice della Fiom, guardavano il sindacato con una
certa diffidenza e i dirigenti anche con astio, in parte alimentato dalla predicazione dei sindacalisti rivoluzionari e in parte dai comportamenti poco commendevoli dei precedenti leader. Era apprezzato e anche amato perch era
uno di quegli operai di officina che si spaccavano la schiena per paghe non
esaltanti, in condizioni di lavoro difficili e il pi delle volte decisamente insalubri. Era, insomma, figlio della classe non il burocrate calato dallalto
che riusciva a stento a riconoscere la differenza tra un perno e una boccola.
Non era un ideologo, non faceva lezioni di dottrina, le sue relazioni ai
congressi erano imperniate sui fatti: le vertenze organizzate, le battaglie offensive e quelle difensive, le ore di sciopero utilizzate, i benefici ottenuti.
Pochi voli pindarici ma lessenza di una battaglia collettiva che avrebbe portato, nel tempo, al socialismo, ma che nellimmediato garantiva benefici a
volte dal sapore rivoluzionario, almeno per quei tempi (pensiamo alla conquista delle otto ore subito dopo la prima guerra mondiale). Le troppe parole
della vita parlamentare, ancorch forbite non lo interessavano molto.
Sono poche le tracce che ha lasciato (anche perch molte delle sue
carte sono andate perdute) nel cortile della cosiddetta politica alta. Altri,
tra i riformisti, si occupavano di queste cose: Turati, in primo luogo, Treves,
Prampolini, Matteotti. Ognuno con il suo stile. Lui preferiva arare il terreno
preferito, quello sindacale perch intuiva che nellattesa che il sol dellavvenire sorgesse, si poteva sempre utilizzare il tempo per trovare soluzioni
concrete che intercettassero in anticipo qualche raggio di quel sole. Sapeva,
insomma, trovare le soluzioni pratiche, da vero aggiustatore meccanico:
316

L A U T O N O M I A S I N D A C A L E

con un cacciavite rimetteva a posto un motore. Come i sindacalisti che son


venuti dopo si ritrov a fare i conti col concetto di autonomia. Che va declinato in una molteplicit di maniere. Lautonomia, ovviamente, dagli imprenditori, concetto di banalissima evidenza, anche se poi i rischi di una
contiguit malsana possono essere sempre dietro langolo (come dire, fa
parte delle umane debolezze a cui non tutti contrappongono coerenza e
forza danimo). Autonomia dai poteri dello Stato perch, fermo restando
che lelemento essenziale per tutti la libert, evidente che non ci possono
essere complicit o invasioni di campo. Autonomia dai governi che anche
nel momento in cui possono mostrare attenzione nei confronti delle politiche sostenute dalle organizzazioni dei lavoratori, non devono trasformarsi
in entit con cui andare a braccetto pena anche la perdita di credibilit. E,
ovviamente, il problema dei problemi: lautonomia dai partiti. Da tutti,
anche da quelli di riferimento
Perch su questo versante si ripropone un dilemma come quello che
riguarda luovo e la gallina, quale dei due sia nato prima: pi importante
il partito (che ha come riferimento la classe lavoratrice) o il sindacato? il
momento politico che deve avere la prevalenza su quello economico? La
questione Buozzi se la ritrov drammaticamente tra i piedi in occasione
delloccupazione delle fabbriche quando, sotto il tiro incrociato degli Ordinovisti guidati da Gramsci, dei massimalisti e dei lavoratori delusi, venne
messo sotto accusa (anche da Lenin) per non aver prodotto lultima pressione sul pedale dellacceleratore della rivoluzione. Per gran parte della sua
carriera sindacale Buozzi ritenne di risolvere il problema facendo riferimento alle decisioni assunte nel congresso di Stoccarda della II Internazionale (1907), cio una divisione dei terreni dazione: ai partiti la politica,
quindi le iniziative, la propaganda, le scelte parlamentari, lazione eventualmente rivoluzionaria; al sindacato leconomia, le lotte di resistenza in
fabbrica, le rivendicazioni, la definizione dei memoriali, i concordati, gli
scioperi, almeno sino a quando si limitavano al momento strettamente economico. Una distinzione che aveva retto, senza particolari contestazioni,
sino al 1920. Poi arriv loccupazione delle fabbriche.
Di fatto contemporaneamente alloffensiva che Gramsci sferrava
sul versante dei Consigli di Fabbrica, considerandoli non semplicemente
come canali di nuova democrazia sui luoghi di lavoro, ma come veri e pro317

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

pri strumenti rivoluzionari, quindi schiettamente politici. Scriveva il giovane intellettuale comunista: Se i funzionari dellorganizzazione sindacale
considerano la legalit industriale come un compromesso necessario ma
non perpetuamente, se essi rivolgono tutti i mezzi di cui il sindacato pu
disporre per migliorare i rapporti di forza in senso favorevole alla classe
operaia, se essi svolgono tutto il lavoro di preparazione spirituale e materiale necessario perch la classe operaia possa in un momento determinato
iniziare unoffensiva vittoriosa contro il capitale e sottometterlo alla sua
legge, allora il sindacato uno strumento rivoluzionario, allora la disciplina sindacale, per quanto rivolta a far rispettare dagli operai la legalit
industriale, la disciplina rivoluzionaria. I rapporti che devono intercorre
tra sindacato e Consiglio di Fabbrica debbono essere considerati da questo
punto di vista: dal giudizio che si d sulla natura e il valore della legalit
industriale. Il Consiglio la negazione della legalit industriale, tende ad
annientarla in ogni istante, tende incessantemente a condurre la classe
operaia alla conquista del potere industriale, a far diventare la classe operaia la fonte del potere industriale... Il Consiglio tende, per la sua spontaneit rivoluzionaria, a scatenare in ogni momento la guerra delle classi2.
Una interpretazione delle rappresentanze che certo non poteva essere apprezzata da Buozzi (non a caso, il leader della Fiom assecond molto
parzialmente le spinte che venivano dal gruppo torinese raccolto intorno
allOrdine Nuovo, non avendo particolare fiducia in quelle strutture e,
soprattutto, delluso che ne veniva ipotizzato). In un simile contesto, lidea
di autonomia, evidentemente, svaniva: il Consiglio di Fabbrica diventava
motore della rivoluzione; quasi scomparivano dalla sua costituzione materiale quelle funzioni che sono tipiche di un sindacato, soprattutto allinterno
dei luoghi di lavoro. Si trattava di una distribuzione di compiti e di prerogative che ricordava altre polemiche, in particolare quella con i sindacalisti
rivoluzionari, polemiche alle quali avevano risposto soprattutto i principali
animatori della Critica Sociale, cio gli ideologi del riformismo. Precedentemente abbiamo parlato della polemica di Turati e Treves con gli autori
della mozione che, nel corso del congresso di fondazione della Federterra,
avevano auspicato la trasformazione delle Camere del Lavoro in luoghi di
stretto rito socialista. Una soluzione poco sostenibile dal punto di vista
dei due esponenti riformisti perch finiva per restringere il campo sociale
318

L A U T O N O M I A S I N D A C A L E

in cui pescare nuovi adepti e perch poteva avere come conseguenza la fuga
dei pi timorosi e dei meno consapevoli. Era il 1901. Quattro anni dopo
Antonio Graziadei chiedeva spazio alla rivista per sostenere che se il Psi
(considerato una aggregazione sociale caratterizzata dalla massiccia presenza di figure borghesi) aveva fede nella classe operaia o, almeno, nei
gruppi pi evoluti di essa, ha lobbligo tanto di volere che quella, o almeno
questi, riescano a sciogliersi dai loro protettori (cio i socialisti, n.d.a.),
quanto di aiutarli sinceramente perch un simile passaggio si compia in
modo pi rapido e sicuro. Una tale emancipazione del resto fatale...
naturale che il movimento operaio, aumentando di coscienza e coincidendo
con una maggiore coscienza e sincerit anche delle altre classi, debba fi-

Un bel disegno giovanile di Bruno Buozzi quando dirigeva la Fiom

319

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

nire per disgregare quellamalgama per rimandare gli avvocati ed i medici


ad occuparsi con maggiore diligenza dei propri clienti e per fare sempre
pi da s. La classe operaia nel fare sempre pi da s sola la propria politica tende necessariamente a darle un contenuto pi economico e ad attribuirle una importanza meno esagerata... Nel suo complesso il partito
socialista appunto perch composto socialmente di elementi troppo disparati tende necessariamente a dare una importanza eccessiva allazione politica e a mettere in secondordine lazione economica.. Il
sindacalismo la classe operaia che si occupa direttamente dei propri interessi, soprattutto dal punto di vista economico3.

13.1 Per unorganizzazione senza confini

Con un articolo che evidentemente rappresentava la linea del giornale (firmato, appunto, Critica Sociale), Turati e Treves replicavano ancora una volta contestando questa idea che avrebbe dovuto indurre il
sindacato ad allargare i propri confini fino a identificarsi col partito e a sostituirsi al partito. Scriveva la rivista: Codesto sindacalismo vero e genuino
e riformista per la pelle si propone (quando sar tempo) questi due obiettivi: 1) emancipare la classe operaia da tutti i partiti, compreso il partito
socialista (due cose dunque, per il Graziadei, affatto distinte tra loro) decomponendo questultimo, togliendogli ogni ragione dessere, cacciando
dal movimento operaio i medici, i professori, gli avvocati, ecc. (ahim sciagurato sindacalismo rivoluzionario se questo dovesse avvenire); 2) rinforzare lazione economica del proletariato rispetto alla sua azione politica e
parlamentare. Orbene tutto questo discorso noi labbiamo gi udito; appartiene ai ricordi della nostra giovinezza... Soltanto, allora tutto ci aveva
un altro nome, si faceva chiamare corporativismo. Le decisioni del congresso di Stoccarda non erano state ancora adottate e la CGdL non era nata
ma ai riformisti lidea di emarginare in una ridotta totalmente proletaria il
movimento andava poco a genio. Continuava la rivista: Un movimento
proletario, barricato gelosamente entro rigide dogane professionali, privato
volontariamente delle disinteressate testimonianze delle forze economiche,
intellettuali e morali, che gli vengono dalle adesioni dei transfughi delle altre
classi, un movimento che si diminuisce e si castra con le proprie mani.
In nome della purezza rivoluzionaria, insomma, non si possono co320

L A U T O N O M I A S I N D A C A L E

struire steccati perch lobiettivo di un movimento non quello di escludere


ma di guadagnare consensi, soprattutto da parte di chi pi lontano, da
parte di chi potrebbe, per questioni di censo, attestarsi su trincee contrapposte. Continuava larticolo: Nessuna rivoluzione sociale riusc mai a
trionfare sin che fu lopera esclusiva di una classe o di un ceto fosse pure
il pi interessato a volerne il trionfo. La forza di una rivoluzione in cammino si misura anzi soprattutto dalle adesioni che strappa alle classi diverse... Lesclusivismo della Blouse nel movimento operaio non dunque
innanzi ai nostri occhi, nellanno duemila, ma dietro, molto dietro, delle
nostre spalle. E comprese il proletariato che assurdo, che infantile addirittura, disgiungere lazione economica dalla azione politica contrapporre movimento operaio a partito socialista... Ma il fenomeno uno... come forza e materia, come forma e sostanza di un fenomeno solo4.
evidente linteresse dei riformisti ad allargare il campo, a guadagnare a una
soluzione gradualista, classi che non sono strutturalmente contigue a quella
proletaria.
Basta questo bisogno di abbattere confini sociali per attribuire a un
partito una particolare sensibilit nel riconoscimento di un ruolo autonomo
da attribuire al sindacato? Evidentemente no. La stessa divisione dei compiti
decisa dalla II Internazionale non garantiva il raggiungimento dellobiettivo.
Un limite sottolineato, ad esempio, da Alceo Riosa per il quale la rigida
separazione delle funzioni... di fatto comportava una supremazia del politico
sulleconomico e, pertanto, del partito sul sindacato5. In sostanza, la vecchia polemica sulla cinghia di trasmissione e su chi coltiva questa idea di
rapporto tra due soggetti che spesso finiscono per pestarsi i piedi. solo comunista questa tentazione egemonica (o strumentale)? Oppure qualche traccia si pu ritrovarla anche nel campo riformista? Certo Turati e Treves
tendono a disegnare dei confini, pur ritenendo il Partito lelemento-guida.
Daltro canto, lo stesso patto di Alleanza tra Psi e sindacato prevedeva che
i dirigenti politici avrebbero potuto avocare la guida del movimento nel momento in cui i suoi caratteri politici fossero stati evidenti.
E fu proprio la questione che si pose in occasione delloccupazione
delle fabbriche quando ci si dilani sullinterpretazione da dare a quella
agitazione. Buozzi accus il partito di non aver agito in quel caso con la
necessaria chiarezza, soprattutto con la necessaria urgenza. E diventato il
321

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

bersaglio delle critiche, sottoline come in quel momento il Psi fosse nelle
mani dei massimalisti, che al tavolo in cui venne deciso di mantenere lagitazione sul terreno economico non ravvisando ancora linsorgere di condizioni rivoluzionarie, cera Egidio Gennari che di quellala era autorevole
esponente. Turati alle indicazioni del congresso di Stoccarda sostanzialmente si uniform, forse anche perch in quel momento doveva combattere
loffensiva dei sindacalisti rivoluzionari. Ma lidea che il sindacato dovesse
andare oltre i confini del Psi per avere dimensioni sociali pi ampie, era

Fine Ottocento: donne al lavoro in uno stabilimento tipografico

322

L A U T O N O M I A S I N D A C A L E

radicata nel suo modo di intendere il rapporto tra le due entit. Poi evidente che nella logica di allora (che diversa da quella attuale), lui vedeva
Partito e sindacato protesi comunque verso il medesimo obiettivo (cio il
socialismo), ma divisi sul tipo di azione che i due soggetti dovevano sviluppare quotidianamente.
La questione del rapporto stata posta periodicamente in Italia. Le
relazioni tra sindacato e partito non sono state sempre amichevoli, anzi a
volte sono diventate conflittuali. Erano proprio queste divergenze, questo
continuo braccio di ferro, che inducevano (ma non solo, cerano anche ragioni pi contingenti che emersero chiaramente negli anni a ridosso dellavvento del fascismo) Rinaldo Rigola a prefigurare un Partito dei
Lavoratori, tentazione ricorrente che Buozzi, con grande realismo, metteva
in un cantuccio perch convinto che lItalia non era lInghilterra. Non lo
era per condizioni economiche: la struttura industriale del nostro Paese non
era, in quel momento, nemmeno lontanamente paragonabile a quella britannica. Non lo era per condizioni sociali: il grande divario tra Nord e Sud,
la profonda diversit da un punto di vista produttivo di queste due facce
del medesimo stato. Non lo era per tradizioni politiche: il laburismo non
era stato affascinato da Marx nella medesima misura in cui lo era stato il
socialismo italiano. Conclusione: se la maturazione dal punto di vista della
coscienza di classe in Gran Bretagna era stata favorita dal lavoro delle Trade
Unions che poi lo travasarono nel partito, in Italia non era percorribile la
strada nel medesimo senso di marcia.
Buozzi lo diceva con chiarezza: lInghilterra lontana. Ma pur essendo il partito la filiazione del sindacato, in tempi anche recenti (ad esempio, con Tony Blair) le relazioni fra i due soggetti non sono state idilliache.
Non ci si pu sorprendere se anche in Italia vi siano stati dei momenti di
incomunicabilit, se ci sono state delle fasi in cui il partito ha prevaricato
il sindacato e altre in cui alle confederazioni stata contestata laccusa di
pansindacalismo, cio lintenzione di invadere il campo dei partiti per realizzare, di fatto, una sostituzione (soprattutto alla fine degli anni Sessanta
e agli inizi dei Settanta), per rivendicare una azione di supplenza. Una storia, insomma, che non si sviluppata secondo una linea retta. Ma in questo
contesto emergono con maggiore chiarezza i meriti di Buozzi. Ha scritto
ancora Piero Boni: Senza autonomia non vi valida coscienza operaia e
323

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

senza di essa non nasce n si consolida il vero sindacato. Essere autonomi,


per il sindacato significa saper individuare e far prevalere le effettive e
reali esigenze dei lavoratori e ad esse correttamente ispirare lazione sindacale6. Le sue battaglie, le sue scelte a questo criterio si sono sempre
ispirate. Anche le sue polemiche. Ad esempio con i sindacalisti rivoluzionari che, evidentemente ancorando ad altri concetti la loro azione, avevano
portato gli operai torinesi a una cocente sconfitta nei primi tempi della sua
segreteria. Sottolinea Boni: Se autonomia sindacale non significava per
Buozzi agnosticismo politico, non significava neanche indulgenza o tanto
meno cedimento allo spontaneismo, inteso non come capacit creativa
della classe operaia bens come esasperazione e ribellismo senza chiarezza
di obiettivi e senza razionale utilizzazione degli strumenti disponibili quali,
ad esempio, lo sciopero7. Il suo era, insomma, un sindacato che aveva una
bussola: i lavoratori. La rivoluzione potr venire cos pure il socialismo,
ma nel frattempo bisogna migliorare le condizioni di vita, da un punto di
vista economico e da quello delle libert e delle garanzie.
La stessa occupazione delle fabbriche come vertenza squisitamente
sindacale non fu un fallimento, anzi. Port a notevoli miglioramenti salariali
e alla conquista di quel controllo sulle fabbriche che, per diventare operativo,
avrebbe dovuto essere tradotto in una legge che non vide la luce. Ma la scelta
di una azione vincolata agli interessi dei lavoratori e non a quelli dei partiti
di riferimento, aveva consentito a Buozzi di chiudere, prima della guerra un
accordo decisamente positivo, con una sostanziosa riduzione dellorario (conquista che poi venne annullata dalla guerra, dalla Mobilitazione, dalla esigenza di adeguare la produttivit alle necessit delle trincee). LAutonomia
per Buozzi un valore e una garanzia. Lo stesso rifiuto opposto a Mussolini
che lo invitava a tornare in Italia il prodotto di quelle sue radicate convinzioni. L Autonomia, infatti, non pu esistere senza la democrazia e senza
la libert; non pu accettare la subalternit nei confronti delle istituzioni statali
nel momento del confronto sindacale; non pu riconoscere legemonia di un
partito che tutto impone e tutto determina; non pu rassegnarsi a escludere
dal suo modo dessere il momento del conflitto che si pu concretizzare anche
con luso dellarma dello sciopero. Non pu, insomma, sedersi a un tavolo
con una controparte che nasconde una pistola avendo di fronte un soggetto
disarmato. In queste condizioni, lAutonomia diventa un fantasma.
324

L A U T O N O M I A S I N D A C A L E

Di qui le sue critiche severissime e senza appello al sindacato fascista. In esilio scriveva a proposito dei rinnovi contrattuali messi a punto
dal regime: Se i gerarchi fascisti non fossero ignoranti presuntuosi, per
non dire di peggio, potrebbero difendere magnificamente gli interessi dei
lavoratori chiedendo laggiornamento dei vecchi contratti di lavoro stipulati dalla Confederazione Generale del Lavoro. Se, ad esempio, avessero
preso i vecchi contratti della Fiom. Ed avessero chiesto di aumentare i salari in relazione allaumento verificatosi nel costo della vita, ne sarebbe
uscito un contratto di lavoro con salari superiori, e, soprattutto, con clausole che permetterebbero agli operai di farlo rispettare facilmente. Esisterebbero, ad esempio, quelle tali commissioni interne che impedivano agli
industriali di applicare il lavoro a cottimo come fanno attualmente, cio
come un sistema di salario esoso ed inumano sfruttamento. Ma il fascismo,
che pure si vanta tanto forte, ha una tremenda paura di quel passato che
sperava di aver distrutto. Delle antiche organizzazioni esso non pu ricordare n il nome n le opere. Ma nomi ed opere sono nel cuore e nel cervello
di troppi lavoratori perch possano essere dimenticate. Spetta a questi lavoratori spiegare ai giovani che tutto ci che il fascismo ha cambiato o sostituito, ha cambiato e sostituito in peggio8.
LAutonomia di Buozzi era un valore allo stesso tempo complesso
(per la variet dei riferimenti) e semplicissimo. In questo, probabilmente,
lo aiutava proprio la sua formazione riformista, pragmatica e poco incline
agli eccessi dottrinari. Questi aspetti della lotta politica li lasciava ad altri.
Il suo interesse era per i risultati concreti che erano figli dellidentit ideologica e della coerenza. Per lui, sino alla fine, i compiti erano chiari: il partito coltivava le coscienze, il sindacato faceva la lotta di classe. Ma la
semplicit non deve essere confusa con il semplicismo perch se vero che
Buozzi non era un raffinato ideologo preferendo le soluzioni concrete
(anche per questo non lo affascin troppo la storia dei gramsciani Consigli
di Fabbrica), anche vero che il meglio delle sue elaborazioni si ritrovano
in quelle che oggi chiameremmo piattaforme rivendicative, negli accordi.
Finita la guerra lui avanz una serie di richieste che andavano dalla Repubblica alla Costituente (che trov fredda accoglienza nel partito) al controllo
delle fabbriche. Certo, poi cerano anche i miglioramenti salariali, le riduzioni dorario, le conquiste che riguardavano la vita quotidiana degli operai
325

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

in fabbrica. Ma da riformista poneva al centro dellazione del sindacato,


nellautonomia della sua azione, questioni che andavano ben oltre laspetto
economico, apriva la strada a quella logica dello scambio che poi il sindacato italiano perseguir in tempi pi recenti nel confronto con le controparti istituzionali ottenendo anche importanti risultati. Lautonomia
consentiva a Buozzi di guardare molto avanti, di dotarsi di un orizzonte
che non era poi proprio quello definito dal congresso di Stoccarda. Il sindacato, insomma, come soggetto politico e, da questo punto di vista, c
un filo rosso che lega quella sua azione a ci che proprio tra i metalmeccanici (non pi solo metallurgici) avvenne a cavallo tra gli anni Sessanta e
Settanta quando prese forma quella Flm che rispondeva esattamente ai requisiti di soggetto politico prefigurati da Buozzi poco prima che il Paese
precipitasse nella notte del fascismo. Ha scritto sempre Alceo Riosa:
Quando Buozzi pone il problema della Fiom che deve battersi anche per
la Repubblica, per la Costituente, si pone il problema di una rivoluzione
democratica nel nostro paese come terza soluzione per uscire dallimpasse
sia del vecchio riformismo sia delle spinte bolsceviche... Ecco in questo
avverto una certa grandezza delluomo, di un uomo che era fondamentalmente pratico, fondamentalmente pragmatico, ma che seppe intuire questa
grossa connessione che cera nelle cose, che era nella realt in trasformazione politica. Nel senso di rivoluzione democratica e nuovi modelli pi
moderni di relazioni industriali9.
Per governare un mondo in trasformazione spesso ci vogliono persone pratiche. Buozzi, in qualche maniera, conferma la regola: aveva intuito
che fare come in Russia non era possibile perch non esistevano le condizioni, che levocazione dei soviet dava un contributo allo scivolamento
verso la reazione e perci proponeva una soluzione democratica alla crisi
del paese; pi tardi cap che cera una sola maniera per evitare il fascismo
cio lalleanza con i Popolari di Don Sturzo. Non era un ideologo, si sentiva
pi a suo agio nel sindacato, eppure quellautonomia che lui traduceva in
libert dazione, gli aveva dato la possibilit di cogliere due soluzioni che
se sostenute dal partito avrebbero potuto indirizzare lItalia verso una strada
diversa da quella che poi effettivamente imbocc.

326

L A U T O N O M I A S I N D A C A L E
1

Piero Boni: Bruno Buozzi e il patto di Roma. Cronaca e storia dellunit sindacale
Ediesse 1984, pag. 10
2
Antonio Gramsci: Sindacati e Consigli LOrdine Nuovo, 12 giugno 1920
3
Antonio Graziadei: Sindacalismo, riformismo, rivoluzionarismo in Giuliano Pischel:
Antologia della Critica Sociale 1891-1926 Lacaita 1994, pagg. 202-3
4
Critica Sociale: Sindacalismo riformista? in Giuliano Pischel: Antologia della Critica Sociale 1891-1926 Lacaita 1994, pagg. 204-5
5

Alceo Riosa: Considerazioni su Buozzi tra partito e sindacato in Bruno Buozzi e


lorganizzazione sindacale in Italia Editrice Sindacale Italiana 1982, pag. 34
6
Piero Boni: Bruno Buozzi e il Patto di Roma, Ivi.
7
Piero Boni: Bruno Buozzi e il Patto di Roma, Ibidem pag. 12
8
Bruno Buozzi: I contratti di lavoro fascisti lOperaio Italiano 30 agosto 1930, in Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi, commenti, inediti a cura di Angelo
Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pag. 73
9
Alceo Riosa: Considerazione su Buozzi tra sindacato e partito in Bruno Buozzi e lorganizzazione sindacale Editrice Sindacale Italiana, 1982 pag. 39

327

I due movimenti del proletariato hanno una particolare


funzione storica da compiere e tale funzione devono soddisfare
lavorando ognuno nel suo campo ma in perfetta armonia

Lunit sindacale

il 1918, la guerra alle ultime battute: lannuncio della sua fine


arriver proprio lultimo giorno del congresso della Fiom il 4 novembre
Nella foto Buozzi con i delegati sulla scalinata di Trinit dei Monti

lunit, la tensione unitaria, probabilmente, il lascito ereditario


pi rilevante di Bruno Buozzi, quella unit che il sindacato italiano ha
spesso invocato, sovente reclamato ma, alla resa dei conti, forse soltanto
una volta veramente realizzato. Significativamente, nella Flm, la Federazione Lavoratori Metalmeccanici, la cui data ufficiale di nascita non il
1973 (per quanto quella indicazione resti sulla carta didentit) ma il
1969, lAutunno Caldo che poi, per una connessione storica inevitabile per
quanto non completamente appropriata, stato definito il secondo Biennio
Rosso. E se la storia lespressione di una serie di coincidenze, allora bisogna dire che tutte, alla fine, portano a Buozzi. Come ha scritto Adolfo
Pepe, la Flm stato lunico esempio di sindacato industriale nato in Italia.
E questo dato finisce per legarla in maniera indissolubile a Buozzi perch
con lui che comincia la lunga marcia del sindacalismo italiano dallorganizzazione di mestiere a quella di industria. Tra i metallurgici, appunto.
Ed con lui che si struttura lidea di un sindacato sicuramente confederale ma irrobustito attraverso la sua articolazione verticale, attraverso
gli apparati federali. con quella Fiom che lorganizzazione sindacale si
trasforma in quel soggetto politico che non abbandona, per, i suoi caratteri
originari, che non si trasforma in partito e che, al contrario, resta quello che
. Perch luno non annulla laltro, n luno, in un eccesso di cannibalismo
rappresentativo, deve divorare laltro. Lo sottoline con grande chiarezza
Bruno Buozzi nel congresso della Confederazione Generale del Lavoro che
si svolse poco dopo la scissione comunista di Livorno. Spiegando la scelta
di confermare il Patto dAlleanza con il Psi, diceva: Inoltre i comunisti
non considerano abbastanza, come non consideravano i riformisti1 che il
proletariato costretto a rendere pi politiche le sue lotte economiche e
sempre pi economiche le sue lotte politiche e che perci o i due movimenti
331

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

economico e politico del proletariato si fondono in uno solo e vengono a


formare il Partito del Lavoro o sono necessari entrambi ed hanno una
particolare funzione storica da compiere, ed allora a tale funzione devono
soddisfare lavorando ognuno nel suo campo ma in perfetta armonia, sostenendosi vicendevolmente da buoni alleati2.
Lidea unitaria di Buozzi non prevedeva schiacciamenti, non era una
scampagnata senza problemi, senza tensioni, senza difficolt. Era, comunque, una unit dinamica che rifiutava, ad esempio, la rottura del rapporto
con i socialisti per una questione di riconoscenza e di meriti storici: Quali
frutti abbia dato in Italia il Patto di Alleanza fra la Confederazione Generale del Lavoro e il Partito socialista italiano superfluo illustrare lungamente qui. Non va per taciuto che la concorde azione dei due organismi
ha valso: a) a liberare il proletariato italiano dal sindacalismo parolaio
che sembrava dovesse travolgerlo3 nei primi anni di vita della Confederazione Generale del Lavoro e che forse lavrebbe trascinato, durante la
guerra dove stato trascinato il proletariato francese; b) a difendere durante la guerra ed a consolidare le nostre organizzazioni al punto di renderle invidiate allestero per lopera spiegata tanto nel movimento
nazionale che per la causa internazionale; c) a permettere alle nostre organizzazioni politiche di affermarsi in modo meraviglioso, ed a quelle economiche di conquistare per prime appena finita la guerra le otto ore e
di sostenere poi e di vincere vaste ed aspre agitazioni che rimarranno segnate a caratteri doro nella storia del movimento operaio4.
Ovviamente la riconoscenza e i meriti del passato non sono sufficienti
per spiegare la decisone della Confederazione Generale del Lavoro (Buozzi
parlava a nome del Direttivo del sindacato, esprimeva, quindi, la posizione
di tutto il vertice) di confermare il Patto con i socialisti e prendere cos le
distanze dalla Russia e dalla convenzione che solo un anno prima Ludovico
DAragona aveva firmato a Mosca insieme ai rappresentanti russo (Losowski), spagnolo (Pestagna), bulgaro (Chabbine), francese (Rosmer), jugoslavo (Milkitch) e georgiano (Michandze). La convenzione aveva creato
un comitato che funzioner come Soviet provvisorio internazionale dei
sindacati operai in accordo col comitato esecutivo della Terza Internazionale (la riconferma veniva accompagnata dalla precisazione che comunque quellaccordo sarebbe stato passibile di aggiustamenti e correzioni).
332

L U N I T S I N D A C A L E

La rottura tra sindacato e comunisti aveva ragioni profonde, ragioni politiche non facilmente risolvibili. Perch in ballo vi era linterpretazione della
funzione che il nuovo partito attribuiva alle organizzazioni sindacali. Una
interpretazione che aveva un contraccolpo diretto ed evidente sul concetto
di autonomia e, di conseguenza, sullunit visto che i due termini della questione si tenevano inevitabilmente insieme. Spiegava ancora Buozzi in
quella relazione ricordando luscita dal Psi di Bissolati e Bonomi: La recente scissione di Livorno ha indiscutibilmente basi diverse e pi profonde.
Gli usciti del 1913, sopravvalutavano il movimento economico al punto da
considerare il partito un ramo secco, i comunisti odierni sopravvalutano
il movimento politico al punto da considerare i sindacati come degli strumenti ciechi dellazione del partito: ma mentre i primi non contavano su
masse compatte e potevano essere considerati dei capitani senza soldati, i
secondi invece hanno effettivamente forti nuclei compatti, dei quali la Confederazione Generale del Lavoro dovr tener conto. In sostanza Buozzi
non voleva dare alla conferma del Patto dAlleanza con il Psi il significato
di una rottura con gli operai comunisti; avvertiva la necessit di tenerli dentro lorganizzazione evitando scismi che avrebbero potuto creare solo problemi al sindacato.
Tanto vero che nel valutare le motivazioni dellindubbio seguito
di cui godeva il PCdI allinterno della classe lavoratrice (i comunisti hanno
le loro forze intrinseche notevolmente valorizzate dallo stato danimo delle
masse esasperate dalle sofferenze fisiche e morali sopportate durante la
guerra e dallautorit che proviene loro dallessere considerati i soli fedeli
del verbo della Terza Internazionale), il segretario della Fiom sottolineava
con toni e intenti polemici: Il tempo far giustizia anche di questo (cio
del fatto di sentirsi unici depositari del verbo socialista, n.d.a) e dir
pure se siano stati pi utili a Mosca coloro che lhanno adulata e continuano ad adularla servilmente, o coloro invece che con pi alta dignit di
uomini e di socialisti si sono sforzati di essere di essa dei ferventi e sinceri
collaboratori, senza rinunciare peraltro ad esprimere francamente il loro
pensiero, non tacendo n sottacendo le particolari condizioni ed esigenze
del loro paese5.
Buozzi riteneva che lunit dellorganizzazione la si tutelava molto
meglio attraverso laffermazione del principio di autonomia, che doveva
333

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

valere sia allinterno che allesterno. La sintesi di tutto il suo discorso


semplice: La subordinazione cieca dei sindacati ai partiti come intesa
dai partiti comunisti non concepibile. Tale subordinazione possibile
solo dove il proletariato alle sue prime armi; dove invece i sindacati
hanno raggiunto una certa maturit la loro opera cos complessa e multiforme da sconsigliare anzi al partito di intervenire ad assumere responsabilit in problemi tecnici che lo potrebbero compromettere. Sulla portata
della parola subordinazione occorre anche intendersi bene per evitare equivoci. Quandanche dai sindacati la subordinazione venisse accettata senza
discussione, in pratica non avrebbe attuazione. Uomini preposti alla direzione di un partito che abbiano appena un briciolo di senso di responsabilit, tutte le volte che si troveranno di fronte ad una situazione grave, prima
di ordinare sentiranno almeno il dovere di interrogare, di consultare i loro
subordinati i quali quindi non saranno pi tali. La subordinazione cieca
non eviterebbe ma creerebbe dissidi. Tanto pi facili saranno gli accordi
quanto pi frequenti, direi quotidiani saranno i contatti tra i due organismi.
Allora non ci sar pi chi ordina e chi obbedisce, ma lazione concorde
assai pi attiva di tutti i giorni e di tutte le ore. Per subordinazione deve
intendersi allidea socialista6.
Lunit senza autonomia non esiste. E, concludendo la parentesi che
riguarda i giorni nostri, proprio la forte indipendenza rivendicata dalla Flm
rispetto ai partiti (non solo della sinistra) fin per infastidire le grandi forze
politiche di massa (il Pci in primo luogo ma anche la Dc) che osteggiarono
in tutti i modi quellesperimento: i comunisti non laccettarono perch quel
soggetto sindacale metteva in discussione il concetto di cinghia di trasmissione; i democristiani perch temevano, e non a torto, che su quella
unit potesse naufragare lequilibrio elettorale che garantiva al partito la
perpetuazione della maggioranza relativa nelle consultazioni periodiche.
Non un caso che quella spinta allunit si basasse su un corollario che poi
tanto corollario non era: lincompatibilit tra cariche politiche e cariche sindacali. Anzi, pi che di corollario, bisognerebbe parlare di pre-condizione.
Lincompatibilit rappresentava lattestato ufficiale del divorzio dai partiti,
lattestato con il quale i sindacalisti non si ponevano al di sopra di essi ma
fuori di essi, non proclamavano egemonie ma non accettavano subordinazioni. Lincompatibilit intesa in questa maniera finiva per essere la garan334

L U N I T S I N D A C A L E

zia dellunit: gli unici soci con diritto di voto e di parola allinterno
dellOrganizzazione erano i lavoratori rappresentati (non solo quelli con
tessera visto che nel frattempo nascevano anche i Consigli di Fabbrica),
non i leader politici che avevano altri compiti a cui assolvere e che dovevano tenersi alla larga delle tematiche proprie del sindacato.
Tutto questo, semmai non completamente o pienamente sviluppato era
gi presente in Bruno Buozzi. Sar quella spinta unitaria che lo porter, dopo
la seconda e la terza scissione (quella dei riformisti di Turati del 1922 e
quella dei terzinternazionalisti di Serrati nel 1923) a liberarsi le mani, a
riprendere la libert di azione perch da quella babele di voci lorganizzazione sindacale correva il rischio di uscire stordita. A quel punto, con tanti
interpreti del pensiero e delle necessit proletarie, meglio non avere patti rigidi di alleanza che finivano per creare oggettivamente un rapporto di subalternit rispetto allalleato scelto. Ci non toglie che quando le condizioni
garantirono un ritorno alla logica unitaria, Buozzi le sfrutt. Quando i socialisti sanarono la frattura delle due sigle (Psi e Psu) Buozzi partecip attivamente alla ricomposizione; quando le condizioni di impraticabilit
democratica obbligarono i comunisti a rinunciare allidea di un sindacato
clandestino, Buozzi favor la riunificazione superando le vecchie polemiche;
quando con la caduta di Mussolini fu possibile ripristinare limmagine di un
sindacato che rimetteva insieme tutte le vecchie anime (quella comunista e
quella cattolica anticipando cos la rinascita della Cgil unitaria) lui volle in
qualit di vice-commissari alla morente corporazione dei lavoratori da un
lato Giovanni Roveda (comunista) e dallaltro Gioacchino Quarello (cattolico); fu decisiva la sua azione nelle trattative che portarono al Patto di
Roma, un accordo che non fu esattamente come lui avrebbe voluto e anche
per questo nacque debole (fu poi ulteriormente indebolito dalle condizioni
politiche internazionali e nazionali, queste ultime riflesso delle prime).
Lunit, insomma, un valore che non nasce dalla capacit di mettere insieme sigle di partiti di diversa provenienza ideologica. Nasce dalla
capacit del sindacato di rappresentare ed esprimere le esigenze della classe
operaia, di organizzare vertenze e stringere accordi che corrispondano al
profondo sentire dei lavoratori. Lunit non pu essere un processo posticcio, non pu essere la somma di contingenti interessi, deve essere, al contrario, la sintesi di vaste e radicate ragioni. La Flm, ad esempio, non fu il
335

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

risultato di un progetto elaborato a tavolino, nacque, invece dalla spinta


formidabile di un movimento che si esprimeva tumultuosamente nelle fabbriche dove si sintetizzavano bisogni, inquietudini, attese, mutamenti di costume che salivano dalla societ a conclusione di un periodo decennale di
incubazione. Fu ovviamente il prodotto dellincontro di culture diverse che
riuscirono in quel caso a trovare lo sbocco di una elaborazione comune e
non settaria. Ed forse in questo la modernit dellidea di Bruno Buozzi.
Una modernit che emerge proprio nellultima grande vertenza prima della
tragedia del fascismo, cio loccupazione delle fabbriche.
Potrebbe apparire paradossale, ma forse il momento in cui si realizza il massimo di unit. Certo, dopo la conclusione questa unit venne
meno, per le polemiche e la propaganda politica (in buona parte incentivata
dalle sollecitazioni sovietiche) ma anche per una serie di contraddizioni
che riguardarono il modo di intendere e di vivere quella vicenda. Per una
parte, quello era uno scontro sindacale che si sarebbe dovuto risolvere con
la conquista di miglioramenti, garantendo alla classe operaia un salto di
qualit dal punto di vista della dignit sul posto di lavoro; per altri era la
spallata, lo strumento per giungere allinstaurazione in Italia di un sistema
analogo a quello sovietico. Due interpretazioni evidentemente incompatibili. Ci non toglie che quella che era nata come una vertenza tutto sommato di ordinaria amministrazione, cammin facendo assunse un carattere
estremamente innovativo che fin per unificare il proletariato italiano di
quegli anni. Linnovazione, voluta e perseguita da Buozzi, fin per dare alla
Fiom una caratterizzazione diversa, rispetto al passato, pi moderna, in
qualche maniera analoga a quella che la Flm ha assunto a cavallo tra gli
anni Sessanta e Settanta (il controllo della produzione, lidea stessa della
costituente: si potrebbe addirittura parlare di un programma politico e qualcuno potrebbe urlare, inorridito, a una versione primitiva di pansindacalismo). Ha scritto Idomeneo Barbadoro illustrando la modernit di Buozzi
partendo proprio dalle esperienze sindacali a noi pi prossime: Sia pure
in maniera molto schematica si pu affermare che in questi anni la coalizione operaia si data in Italia lobiettivo di conquistare, con i propri metodi di lotta e le opportune forme di contrattazione, un potere effettivo non
solo sulla distribuzione del reddito prodotto, ma anche sugli investimenti, i
livelli di occupazione, i meccanismi dellaccumulazione e le decisioni pro336

L U N I T S I N D A C A L E

duttive. In altre parole, per ripetere unespressione di Bruno Trentin, siamo


di fronte a unsindacato che fa politica restando sindacato, e quindi, alla
rottura completa con le concezioni imperanti nellet della Seconda Internazionale e trasmesse pressoch immutate nella Terza, sulla separazione
dicotomica, quasi metafisica, tra politica ed economia, sulla visione dellunionismo esclusivamente legato a una vocazione corporativa, ristretto
nello steccato economico-rivendicativo, irrimediabilmente subalterno rispetto al momento dellelaborazione politica e, di conseguenza, collocato
su un gradino pi basso del partito nella scala gerarchica delle organizzazioni di classe7.

14.1 Un obiettivo e un ideale

La distinzione dei territori di attivit aveva, per, consentito a quei


sindacalisti di porre dei paletti, di definire il proprio ruolo e il ruolo dellorganizzazione nel rapporto con i partiti di riferimento. Poi evidente che
la storia degli uomini fatta di movimento. Lo stesso Buozzi (come abbiamo sottolineato prima riportando una frase della sua relazione al congresso della Confederazione del 1921) riteneva che i sindacati sarebbero
stati sempre pi obbligati ad aggiungere contenuti politici alle rivendicazioni economiche e ad arricchire di contenuti economici le rivendicazioni
politiche. Sottolineava cos linsufficienza della dicotomia di Stoccarda,
declinata in maniera dogmatica. Insomma, non ci sono medaglie le cui
facce sono completamente separate da una sfoglia di metallo pi o meno
nobile. N si pu rinunciare agli effetti benefici della contaminazione intellettuale a vantaggio di una presuntuosa separatezza (tentazione molto
diffusa anche tra i politici di sinistra). Questa libert di azione consent a
Buozzi, in occasione della vertenza che culmin con loccupazione delle
fabbriche, di saldare in un corpo compatto i suoi rappresentati grazie a una
piattaforma rivendicativa che non aveva pi nulla a che vedere con quelle
utilizzate nel passato perch le richieste salariali si mescolavano a richieste
economiche di altro tipo o a rivendicazioni politiche che allargavano lorizzonte del conflitto. Ed in questa chiave che pu essere letta anche lo snodo
cruciale di quella storia: cio la riunione del 10-11 settembre 1920 nella
quale Confederazione e partito decisero di mantenere ancorata la vertenza
sul terreno sindacale. Fu una scelta strumentale da parte del Psi? Angelo
337

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Tasca ne era convinto: La direzione del partito ha perduto dei mesi interi
a predicare la rivoluzione ma non ha previsto niente, niente preparato:
quando i voti... danno la maggioranza alle tesi confederali, i dirigenti tirano un sospiro di sollievo. Liberati adesso da ogni responsabilit possono
gridare a piena gola al tradimento della CGdl: hanno cos qualcosa da offrire alle masse che hanno abbandonato nel momento decisivo8. Analisi
che conforta quella che nel 1935 svolse, in maniera molto secca e diretta,
Bruno Buozzi: La causa principale della sconfitta del movimento socialista italiano va addebitata alla mancanza di decisione degli organi dirigenti del partito.
In quello storico vertice, la Fiom si astenne. Pensava che fosse possibile giocarsi una carta di riserva che poi non era tanto di riserva perch
faceva parte integrante delle rivendicazioni politiche che accompagnavano la vertenza: linstaurazione di una Repubblica che consentisse di aumentare il tasso di democrazia in Italia, la creazione di una Costituente, un
governo di coalizione con il Psi al suo interno per realizzare tutte le riforme politiche ed economiche pi insistentemente reclamate dal proletariato socialista e compatibili con le condizioni del paese9. La
prefigurazione di quello sbocco fa capire la connotazione estremamente
politica che il segretario della Fiom aveva cominciato a dare allazione della
sua organizzazione. Insomma, i miglioramenti non erano pi sufficienti;
per offrire garanzie ai lavoratori bisognava fare uscire lItalia dal pantano
di una monarchia che non aveva mai assecondato le spinte modernizzatrici
presenti nella societ, che non riusciva a comprendere pienamente che il
mondo stava cambiando e che decise, alla fine, di assecondare questo cambiamento nella maniera peggiore, cio favorendo linstaurazione di un regime autoritario, un regime, come avrebbe scritto Buozzi, fuori dal tempo
e dal consesso degli stati europei pi civili.
su piattaforme forti che si costruisce lunit forte. E quella di
Buozzi era una piattaforma forte, con la quale si puntava alla trasformazione della societ pur non mettendo nel conto il totale abbattimento vagheggiato, al contrario, dai comunisti. Era pur sempre una via di uscita
graduale dalla crisi di quei tempi (che era economica ed istituzionale) ma
pi realistica di una rivoluzione soltanto sperata ma mai preparata (come
sosteneva Tasca). Quella nuova Italia che Buozzi aveva in mente avrebbe
338

L U N I T S I N D A C A L E

dovuto essere pi aderente alle necessit dei lavoratori e, al tempo stesso,


alle condizioni del paese. Lastensione fu la sua maniera per dichiarare che
non si riconosceva n nella posizione confederale che risolveva tutto in una
vertenza puramente rivendicativa, n in quella dei massimalisti che avrebbero voluto trasformarla nella miccia della rivoluzione. Capiva bene che
luna e laltra dividevano e non univano. E i suoi successivi riferimenti alla
sconfitta del movimento socialista sono in qualche maniera un atto daccusa nei confronti di posizioni politiche o troppo riduttive (e remissive) o
inutilmente velleitarie.
Lunit, insomma, nella concretezza. Una unit che facesse i conti
con la situazione italiana, caratterizzata da un altissimo tasso di disoccupazione. Il vecchio sindacato, non solo quello di mestiere, ma anche la Fiom
dellepoca precedente alla segreteria di Buozzi, finiva per circoscrivere il
proprio ruolo allinterno della fabbrica, per proporsi come strumento esclusivo di difesa degli occupati. Ma evidente che questa logica portava a una
divisione (se non proprio a una contrapposizione) tra chi un lavoro (seppur
malpagato) lo aveva e chi, invece, non lo aveva. E in quellItalia (come in
questa attuale) i secondi erano tanti. Buozzi per la prima volta intu che bisognava costruire una unit di forze del lavoro che andasse al di l della
fabbrica: raggruppando le sigle ma anche andando a raccogliere le domande, i bisogni di chi cercava una collocazione allinterno dellapparato
produttivo. Il sindacato, insomma, non poteva fare solo del semplice rivendicazionismo, doveva trasformarsi in uno strumento di stimolo generale
proprio per aggredire quelle contraddizioni che impedivano al paese di crescere, per spingerlo sulla strada dello sviluppo.
Questa esigenza di allargare il campo dei rappresentati in un paese
tanto diverso dalla Gran Bretagna, caratterizzato, cio,da un mercato del
lavoro stracolmo di persone inattive, carico di domanda e povero di offerta,
aveva convinto Buozzi a sollevare il tema dei disoccupati gi prima dellesplosione della guerra quando aveva scritto per Il Metallurgico un articolo da sindacalista moderno, capace di guardare ben oltre la fabbrica
e le esigenze dei lavoratori in essa occupati: Cosa abbia fatto il governo
per aiutare e sorreggere le industrie specialmente quelle pi toccate dalla
crisi e per aiutare i disoccupati non vale neppure la pena di parlare. Mentre allestero si sono escogitati una infinit di provvedimenti, in Italia non
339

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

si ancora arrivati alle famose stanze di compensazione, che darebbero


agli industriali le somme occorrenti per il funzionamento delle loro industrie e prendere in cambio le merci che non vanno vendute. Mentre in Francia, in Inghilterra, in Germania, Svizzera, Svezia, Danimarca, ecc. si
monopolizzato il servizio del grano, sono stati intensificati realmente i lavori pubblici e pressoch abolite le relative pratiche burocratiche, si sono
emanate disposizioni per ridurre gli orari di lavoro per non licenziare gli
operai, si sono presi provvedimenti contro lusura e contro la riduzione dei
salari, sono cessate le commissioni alle case di pena per darle allindustria
privata, si impedita lesportazione dei cereali e regolata e favorita limportazione del carbone; mentre in tutte le nazioni a mezzo delle amministrazioni pubbliche, lo Stato provvede, in tutto o in parte a sussidiare i
disoccupati fino a una somma di L. 15 settimanali, servendosi anche delle
organizzazioni, a pagare gli affitti delle famiglie povere per una somma
che arriva a 20 lire settimanali, ed a mantenere i bambini che vanno alle
scuole elementari: in Italia non si fatto nulla10.
Subito dopo la guerra e prima di aprire la vertenza che culmin con
loccupazione delle fabbriche, nei suoi scritti sostenne che il problema italiano era lorganizzazione industriale, sottolinenando in questo modo linteresse del sindacato ad ampliare il suo raggio dazione. Poi, la sua analisi,
allarg ulteriormente lorizzonte: una riforma del sistema produttivo poteva
essere realizzata solo da un nuovo sistema politico. Scriveva: Seguiamo
gli sforzi che si fanno in Italia per creare una democrazia industriale e ci
convinciamo sempre di pi che chi vuole suscitare questa nuova corrente
va a caccia di chimere11. Alzava lasticella, il segretario della Fiom:
opportuno un mutamento di tattica in senso democratico, ma bisogna che
non si creino illusioni. Non bisogna cio che gli industriali credano che la
concessione delle assicurazioni sociali, per esempio, e anche la partecipazione agli utili possano servire a fondare la base della pace idilliaca tra
operai e capitalisti12. Il cambiamento doveva andare molto oltre e su questo cambiamento Buozzi costruiva lunit dei lavoratori: Il problema che
oggi assilla il proletariato nella fabbrica. C nella fabbrica una nuova
burocrazia che peggiore di quella governativa, la quale soltanto cretina.
La burocrazia industriale aguzzina13. Accusava: Nella fabbrica c una
sola legge: produrre. I capi non sono dei tecnici che insegnano; sono
340

L U N I T S I N D A C A L E

spesso dei carabinieri che tormentano e puniscono... La prima forma di


democrazia deve essere nella fabbrica... Loperaio tenuto alloscuro dellimportanza dellindustria che assorbe la sua attivit, dei suoi progressi
dei suoi problemi14.
, nelle grandi linee, la piattaforma che sar alla base delloccupazione delle fabbriche (che venne preparata veramente in maniera unitaria:
un convegno nazionale a Genova a maggio del 1920, uno a Milano ad agosto; al pari dellaccordo che venne prima discusso in un congresso nazionale
e poi approvato in un referendum che si svolse il 24 settembre e che si concluse con 127.904 voti a favore, 44.531 contrari e 3006 astenuti). Laumento del salario non bastava pi. Buozzi lo aveva scritto: La Federazione
dei metallurgici non si chiuder nel suo guscio, per quanto grande e si preoccuper attivamente della politica generale del lavoro15. La linea di
azione, la Fiom laveva perfezionata partecipando molto attivamente alla
definizione della strategia rivendicativa che il Psi e la CGdL avevano messo
a punto in vista della fine della guerra. E in quella strategia i temi si mescolavano: il suffragio universale e il referendum, la riforma della giustizia
e delle autonomia locali, le politiche del lavoro e la lotta contro le ricchezze
nascoste, le nazionalizzazioni e lammodernamento dellindustria e dellagricoltura, assicurazioni contro gli infortuni e la disoccupazione e la
scuola dellobbligo, parificazione dei salari tra uomini e donne e intervento
dei sindacati sulle questioni attinenti alla salute sul posto di lavoro.
Era pi un programma di governo (riformista) che la base per un
confronto sindacale. Ma era proprio questa capacit di trasformare il particolare in generale che dava al sindacato di Buozzi quel carattere quasi ecumenico in cui i valori dellunit si esaltavano (insieme a quelli
dellautonomia). Lunit come esigenza primaria, come strumento essenziale per dare un senso compiuto al lavoro sindacale, come conseguenza
della classe intesa come comunit di destino perch se il destino comune,
comuni devono essere anche gli strumenti per favorirne una positiva evoluzione. Da sindacalista, Buozzi fu costretto a fare i conti con i limiti della
sinistra italiana, con la sua cronica tendenza a litigare, a dividersi, a frantumarsi in mille famiglie perennemente in lotta, proprio come i parenti
serpenti. Una condizione che non agevol certo il suo lavoro, in una fase
storica in cui le contrapposizioni si inserivano allinterno di situazioni
341

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

drammatiche, dalla guerra allo scivolamento verso il fascismo, alla dittatura


e allesilio degli oppositori. A tutto questo il sindacato pag un prezzo, ma
lo pag anche il Paese nel suo complesso perch qualche lacerazione in
meno avrebbe garantito qualche alternativa in pi.
Ognuno interpret il proprio ruolo sino alla fine, senza ripensamenti. Solo la guerra, la necessit di liberarsi di una dittatura favor una
unit (anche a livello sindacale) che, comunque, dur poco perch ancora
una volta finirono per prevalere gli antichi difetti, per giunta aggravati da
situazioni nuove legate agli equilibri internazionali. Avrebbe retto di fronte
a un mondo diviso in blocchi la spinta unitaria di Buozzi? Avrebbe evitato
quella moltiplicazione di sigle che il tempo (e anche la fine di quelle ormai
superate condizioni internazionali: la guerra fredda, i blocchi, la contrapposizione tra occidente capitalista e oriente comunista) non , comunque,
riuscito a ricomporre? Evidentemente la storia non fatta di se. Probabilmente non sarebbe stato sufficiente a tenere insieme le diverse anime
politiche la soluzione che era stata adottata quando il Psi si era diviso in tre
tronconi, la scelta di liberarsi le mani e non stringere con nessuno dei partiti
di riferimento un Patto di Alleanza. Anche perch, nel frattempo, le situazioni si erano complicate, lunit (riconquistata e poi perduta) non riguardava solo una famiglia politica (allepoca quella che faceva riferimento
al marxismo) ma tante famiglie a cominciare da quella numericamente pi
rilevante, la cattolica. Forse oggi la situazione diversa e si pu immaginare
una nuova unit che, per, non potr essere la riproposizione di modelli antichi, nemmeno di quelli utilizzati da Bruno Buozzi. Anche perch, poi, il
tempo in certe vicende complica le situazioni, non le semplifica.
Resta, per, linsegnamento di Bruno Buozzi, quel lascito ereditario
su cui, volendo si pu riflettere e, semmai, cominciare a costruire. Come ha
scritto Piero Boni: Per unit si intende la capacit del sindacato di saper
sostenere le sue scelte rivendicative e il complesso della sua politica con
ladesione pi larga possibile dei lavoratori riuscendo a rappresentarne la
maggioranza se non la totalit. Conquista del consenso e delladesione sono
i primi passi del sindacato. Autonomia, democrazia e unit interagiscono e
si condizionano reciprocamente costituendo un trinomio che va considerato
nel suo insieme. Senza autonomia non vi pu essere n democrazia n unit,
senza democrazia non possono sussistere n autonomia n unit, senza unit
342

L U N I T S I N D A C A L E

restano teoriche e velleitarie autonomia e democrazia16. L istinto unitario


indusse Buozzi a sostenere insieme a Treves, nellunico congresso del Partito
Socialista Unitario, nel marzo del 1925 la necessit di un sindacato capace
di accogliere tutti, indipendentemente dalle preferenze politiche, dalle scelte
religiose e dalle adesioni ideologiche. Un programma che sarebbe stato
alla base delle trattative per il Patto di Roma.
Ma se da un lato il segretario della CGdL cercava forme e modi per
raggiungere quellobiettivo, dallaltro non mancava di sottolineare quanto
fasulla fosse lunit sbandierata dai sindacati fascisti, figlia di una imposizione e non di una scelta, di un atto di forza non di un atto consapevole.
Scriveva in un appunto con cui demoliva i progetti di Giovan Battista Maglione e degli altri che aderirono alAssociazione di Studio Problemi del
Lavoro: Lunit sindacale lideale di quanti si occupano di organizzazioni operaie. Nessuno pi di noi, per esempio, deplora il frazionamento
della classe lavoratrice in sindacati aventi le stesse funzioni economiche,
divisi da diverse tendenze di partito o da diverse religioni. Ma lunit non
si impone: quando imposta diventa tirannia. Ora il fascismo ha voluto
imporre lunit sindacale. Fu dapprima laccordo di Palazzo Vidoni in cui
gli industriali e organizzatori sindacali fascisti si sono assicurati il privilegio di concludere contratti collettivi in tutto il paese. Poi fu la legge del
3 aprile 1926, in cui una sola organizzazione per categoria, pur che raccolga almeno il 10 per cento dei lavoratori di ogni determinata giurisdizione, ha il diritto di essere riconosciuta e di concludere contratti collettivi,
i quali contratti collettivi sono obbligatori per tutti gli imprenditori e per
tutti gli operai della giurisdizione, facciano essi o non facciano parte dellassociazione. C di pi: il regolamento che segu la legge e dove il rigore della legge viene aumentato fa obbligo a tutti i lavoratori della
giurisdizione, siano o no iscritti allassociazione sindacale fascista, di pagare a questa una quota sotto forma di una vera e propria imposta. Lunit
sindacale, siamo daccordo, ma qui c solo una caricatura dellunit17.
No, non era a questo modello che Buozzi si ispirava, nonostante
lidea della quota obbligatoria che pure sosterr nelle trattative per il Patto
di Roma. E lo ribadiva in un libro: Dalla sua comparsa, la macchina pesante e complicata del sindacalismo imposta dal fascismo alla nazione, rivela nella pratica i limiti fondamentali del suo carattere: artificiale. Il
343

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

sindacato fascista fin dalla sua struttura tecnica costituisce la negazione


del sindacato libero. In un regime di sindacalismo libero gli operai pagano
volentieri i contributi di cui ha bisogno lorganizzazione e accettano senza
difficolt la necessaria costituzione di organismi di direzione e di propaganda, tutta questa burocrazia fascista non diretta da essi stessi, e lontana
dallispirare fiducia, richiama sfiducia o antipatia. Un fenomeno caratteristico si sviluppa subito dopo limposizione della legge sindacale e assume
rapidamente un carattere generale: il disinteresse delle masse lavoratrici
per il sindacalismo fascista. Questo atteggiamento dindifferenza, al fondo
di ostilit che si pu constatare in tutti i campi della vita italiana, particolarmente accentuato presso la classe lavoratrice. Lopposizione impossibile; vietato creare organizzazioni libere; uno sciopero sarebbe
estremamente pericoloso18.
Lunit ha bisogno, invece, della libert, ha bisogno di aria per respirare, per potersi esprimere nelle sue forme migliori. Di qui la conclusione: La libert del sindacato del resto presupposto dellunit della
classe lavoratrice. Il sindacato comunista strumento docile di un partito
anti-unitario, come il sindacato cattolico o confessionale (una frase che illustra una certa diffidenza di Buozzi nei confronti dellorganizzazione
bianca che, comunque, verr meno prima e durante le trattative per il
Patto di Roma, n.d.a.). Con ci non si vuol dire che il sindacato debba essere
apartitico o soreliano. Esso deve essere sostanzialmente socialista ma in
senso largo non di partito onde permettere ai seguaci di tutte le scuole politiche di far parte di esso senza sentirsi a disagio. Questo tipo di sindacato
stato realizzato dalla Federazione sindacale internazionale la quale pur
avendo stretti legami con lInternazionale operaia socialista conserva integra la sua libert e la sua autonomia e raccoglie sempre pi adesioni della
maggioranza del proletariato organizzato di tutti i paesi esclusa la Russia19. Il suo sindacato unitario sostanzialmente ispirato a criteri laici, non
schiavo di dogmi, riconosce una sola chiesa: quella rappresentata dai
diritti dei lavoratori. Che vanno tutelati nella loro complessit con la conseguenza che se bisogna aggiungere connotazioni politiche alla rivendicazioni
economiche, bisogna andare avanti, non fermarsi perch lazione del sindacato non tollera steccati.

344

L U N I T S I N D A C A L E
1

I riformisti a cui fa riferimento il segretario della Fiom sono Leonida Bissolati e Ivanoe
Bonomi entrambi espulsi nel 1912 dal partito non avendo preso posizione contro la guerra
libico-turca.
2
Bruno Buozzi: Intervento al congresso della CGdL svoltosi a Livorno dal 26 febbraio al
3 marzo 1921; in Aldo Forbice (a cura di): Riformismo e sindacato. Bruno Buozzi, scritti
e discorsi (1910-1943) Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 98
3

Il sindacalismo parolaio quello dei sindacalisti rivoluzionari


Bruno Buozzi: Intervento al congresso della CGdL svoltosi a Livorno dal 26 febbraio al
23 marzo 1921; in Aldo Forbice (a cura di). Ibidem pagg. 99-100
5
Bruno Buozzi: Intervento al congresso della CGdL svoltosi a Livorno dal 26 febbraio al
23 marzo 1921; in Aldo Forbice. Ibidem pag. 97
6
Bruno Buozzi: intervento al congresso della CGdL svoltosi a Livorno dal 26 febbraio al
3 marzo del 1921; in Aldo Forbice. Ibidem pag. 100
7
Idomeneo Barbadoro: La Fiom, la CGdL e il controllo sindacale della produzione in
Bruno Buozzi e lorganizzazione sindacale in Italia Editrice Sindacale Italiana 1982,
pag. 61.
8
Angelo Tasca: Nascita e avvento del fascismo, Firenze 1951, pag. 122; da Idomeneo
Barbadoro: La Fiom, la CGdL e il controllo sindacale della produzione. Ibidem pag.
77
9
Bruno Buozzi, congresso confederale del 1921
10
Bruno Buozzi: Lavoro per i disoccupati... Il Metallurgico gennaio-febbraio 1915;
in Aldo Forbice (a cura di): Riformismo e sindacato. Bruno Buozzi, scritti e discorsi
(1910-1943) Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pagg. 56-7
11
Bruno Buozzi: La caccia alle chimere Il Metallurgico aprile 1918
12
Bruno Buozzi, Ivi
13
Bruno Buozzi, Ivi
14
Bruno Buozzi, Ivi
15
Avanti! Milano 10 maggio 1917.
16
Piero Boni: Bruno Buozzi e il Patto di Roma Ediesse Fondazione Brodolini 1984,
pag. 20
17
Piero Boni, Ibidem pagg. 22-3
18
B. Buozzi V. Nitti: Fascisme e Syndicalisme, Librairie Valois
19
Piero Boni: Bruno Buozzi e il Patto di Roma, Ibidem pag.24
4

345

Austerit fiera in ogni atto, come si conviene a quelli che


si sono assunti la missione grandiosa, religiosa di adoperare
la patria esule per spezzare i ceppi della patria schiava

In esilio

Per salvare la CGdL, Bruno Buozzi trasfer la sede allestero mentre


in Italia Rinaldo Rigola e Ludovico DAragona ne dichiaravano lo scioglimento
Nella foto dellaprile del 1931 un momento familiare dellesilio

Rue de la Tour dAuvergne una piccola strada, fra Montmartre


e Pigalle. I turisti ci passano distrattamente, per cercare conforto spirituale
lass, al Sacro Cuore o per provare a scoprire, dietro qualche angolo, lo
spirito creativo di Toulouse-Lautrec, Picasso e Modigliani (Amedeo), o
semplicemente nellattesa di soddisfare istinti pi trasgressivi. Gli italiani
che lattraversano non sanno che nella storia del loro Paese, quella stradina
ha un posto privilegiato perch identifica un periodo, perch contiene, segretamente, da qualche parte, quellanelito grandioso di adoperare la patria
esule per spezzare i ceppi della patria schiava. In una di quelle case, che
ai passanti non dicono assolutamente nulla, si spense, nella notte dell11
giugno 1933, Claudio Treves, una delle migliori espressioni della patria
esule. Era appena tornato dalla commemorazione di Giacomo Matteotti,
leroe che non aveva potuto conoscere la patria esule perch il fascismo gli
aveva rubato la vita. Disse al figlio Paolo che si sentiva un po stanco; si
mise a letto e non si svegli pi. Una fine senza dolore, dopo una vita con
tanto dolore. L, in quella stradina trov riparo Bruno Buozzi, appena arrivato a Parigi. Non proprio subito perch allinizio vag ramingo tra amici
e alberghi. Poi arrivarono la moglie Rina e le figlie, Ornella e Iole, e a quel
punto la casa divenne il simbolo di una ritrovata, seppur parziale, normalit
familiare, visto che altre normalit non erano possibili.
La Francia era ancora accogliente e i furori del fascismo faticavano
ad alimentare venti molesti al di l delle Alpi. Si poteva lavorare, a Parigi,
si poteva provare a ricostruire in qualche forma un concetto di vita democratica, una simulazione della dinamica sindacale e parlamentare. Arrivavano in tanti: Turati (la cui fuga venne organizzata da Pertini e dai fratelli
Rosselli che poi lo seguirono sulla medesima strada), Treves, Nenni,
Cianca, Garosci e Saragat che si era temporaneamente sistemato in Austria
349

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

ma che cambi aria perch quella austriaca, per via di Hitler, era diventata
irrespirabile. A Parigi avevano trovato accoglienza gli uomini del sindacato: Giovanni Bensi e Pallante Rugginenti, esponenti della Confederazione, leali a Buozzi; il leader dei ferrotranvieri, Giuseppe Sardelli, e quello
degli edili, Felice Quaglino, lesponente delle cooperative ravennati, Nullo
Baldini. Cerano le condizioni per provare a ricominciare. Dopo il famoso
discorso del 3 gennaio del 1925 di Benito Mussolini, dopo laccordo di Palazzo Vidoni, dopo le leggi che avevano consegnato ai sindacati fascisti,
fedeli maggiordomi del regime, la forzata rappresentanza dei lavoratori
che, per, non si poteva esercitare in forme conflittuali visto che il diritto
di sciopero era stato abolito insieme ad altre libert fondamentali come
quella di stampa e, quindi, di espressione del pensiero. Buozzi e i suoi uomini pi fedeli avevano cominciato a lavorare per trasferire la Confederazione in Francia (mentre gli altri, come abbiamo visto, lavoravano per
trasferire se stessi sotto lombrello protettivo e generoso di Mussolini).
Chiuso in Italia il giornale Battaglie Sindacali, i capi dellorganizzazione avevano cominciato ad adoperarsi per aprirne uno in esilio, al
riparo dalle vessazioni non solo politiche ma anche economiche (espropri).
Ad aprile del 1926, lOperaio Italiano era gi una realt; il 1 maggio,
data altamente simbolica, il primo numero vedeva la luce. Era soprattutto
un manifesto: lillustrazione di quelle che sarebbero state le finalit politiche (a medio termine, evidentemente) e quelle pratiche (a breve termine)
di quel foglio che avrebbe dovuto tenere accesa nei cuori dei lavoratori
italiani la luce della CGdL. Ovviamente tra gli obiettivi, la lotta al fascismo
sino al suo abbattimento, sino allestirpazione della mala pianta che aveva
inquinato i terreni della Penisola rendendoli aridi dal punto di vista dei diritti; la contestazione continua, puntuale, dei sindacati fascisti, incompatibili
con una idea vera di organizzazione a tutela del lavoro e dei lavoratori; la
battaglia per la riaffermazione di quel sindacalismo libero che continuava
a far sentire la sua voce, seppur flebile, dallesilio; difesa dei diritti dei lavoratori stranieri, italiani in particolare, la maggior parte dei quali obbligati
ad abbandonare il proprio paese perch contrari alla dittatura. La nostra
sar una azione pratica, terra terra, come ai primi tempi in cui si cominci
la costituzione di quelle meravigliose organizzazioni violentemente distrutte
dal fascismo per mandato delle classi padronali1. Ricominciare a vivere:
350

IN ESILIO

questo era lobiettivo, contro gli attacchi di un regime che usava la repressione per rendere schiavo un paese; contro lindifferenza di tutti quelli, a
cominciare dalla casa regnante, che avevano accompagnato con indulgenza
la nascita del fascismo calpestando le regole, infangando la costituzione,
insultando la dignit delle persone. Nella sua casa, l tra Montmartre e Pigalle, Buozzi accoglieva amici e profughi. Filippo Turati che era approdato
a Parigi un anno dopo la morte della sua compagna, Anna Kuliscioff. E gli
amici e compagni di viaggio in quella avventura straordinaria che si chiama
sindacato. Gente come Giovanni Bensi che a Parigi ci era arrivato debilitato
nel fisico. A Milano aveva diretto la Camera del Lavoro; era diventato il
bersaglio delle squadracce: agguati, percosse; cinque anni di inferno. Fino
allepilogo: la chiusura della Camera del Lavoro, il rifiuto orgoglioso di
consegnare alle autorit gli elenchi degli iscritti. Se ne and in Francia malato, fiaccato, insieme alla sua compagna e al figlio di tre anni. Mor che di
anni ne aveva appena trentacinque, nel 1928. Sulla sua tomba, al cimitero
Pre Lachaise (dopo la guerra, nel 1949, la salma venne traslata in Italia,
al cimitero Monumentale di Milano) cera scritto: Giovanni Bensi/ italiano: Socialista/ morto esule/ per la sua fede. Non molto distante, riposava
Piero Gobetti. Intorno una compagnia di protagonisti del nostro tempo da
Oscar Wilde a Paul Laforgue, da Amedeo Modigliani a Marcel Proust, da
Gertrude Stein a Paul Eluard, da Maurice Merleau-Ponty a Guillaume Apollinaire, per scendere, ai nostri giorni, sino a Edith Piaf il Passerotto e a
una icona rock, Jim Morrison, il Re Lucertola.
Tra le carte di Bruno Buozzi c una lettera in qualche maniera tenerissima. Cerano stati dei malintesi, Bensi si era sentito messo da parte,
quando a Natale del 1926 il segretario della CGdL aveva annunciato che la
Confederazione avrebbe sempre di pi operato in esilio. Buozzi gli scriveva: Carissimo Bensi, alcune sere fa Nenni mi disse che ti aveva visto
molto sconfortato e invitai subito Rugginenti di avvertirti che desideravo
parlarti. Ieri, invece di vedere te, ricevetti la tua. Non durerai a credere
che essa mi ha profondamente sorpreso e addolorato. Evidentemente ci
sono dei malintesi. O meglio, lanimo nostro tanto turbato per la situazione in cui ci troviamo alimenta talvolta fino alliperbole come ha fatto
ora in te dubbi e impressioni che la minima riflessione o poche parole di
spiegazione basterebbero a eliminare. Erano i giorni della polemica con
351

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

quelli che si preparavano a sciogliere la Confederazione (la lettera per Bensi


datata 4 gennaio 1927, esattamente il giorno della liquidazione della
CGdL decretata dalla banda dei sette). Buozzi spiegava: Il manifesto di
cui tu parli rappresenta un atto di ordinaria amministrazione, conseguenza di
una deliberazione di qualche anno fa. Quando si rediger il vero manifesto,
quello che dar notizia del trasloco della Confederazione, dovrai esserci anche
tu. Il Comitato di cui parli, non ha grande importanza. Quando si tratter di
costituire il vero Comitato Confederale, dovrai esserci anche tu. Ricordati che

Buozzi ai funerali di Fernando De Rosa morto nella difesa di Madrid

352

IN ESILIO

non siamo venuti in Francia per fare i liberi e pacifici cittadini. Per il resto sei
ingiusto. Io non ho fatto nulla di importante senza interpellarti2.
Poi, nel finale, Buozzi riannodava le fila di un rapporto di amicizia,
scuoteva il compagno preoccupato, depresso, avvilito da una salute che
scricchiolava: Nei prossimi giorni dovremo prendere le deliberazioni pi
importanti. Vuoi tu figurare assente? Io non posso e non voglio fare da
solo. Tu mi dirai che ci sono altri. E io dico e tu lo sai che io tengo a te
e voglio bene a te almeno quanto a qualsiasi altro compagno... Fatti vedere.
Se non cercassimo di vincere tutte le nostre angosce; se non riuscissimo
ad eliminare e ad impedire il sorgere di ogni e qualsiasi malinteso, ogni e
qualsiasi ombra , saremmo degli incoscienti e dei folli. Io e te non siamo
n luna n laltra cosa. Bisogna per parlarci e non tacerci ci che pensiamo. Fatti quindi vedere al pi presto o fammi sapere dove e quando possiamo trovarci. Verr io... Ti abbraccio fraternamente, tuo Bruno3. Bensi
mor quasi esattamente un anno dopo, il 26 aprile del 1928. E al di l degli
aspetti che riguardano lamicizia tra i due, la lettera offre uno spaccato dello
stato danimo di chi in esilio sentiva in crisi tutta la propria vita, temendo
di non avere punti di riferimento, di essere stato costretto a rinunciare a
delle certezze per lincerto vivere in terra straniera, a fare i conti con disponibilit economiche molto limitate e, quindi, con una esistenza caratterizzata da rinunce e sacrifici.
Bruno Buozzi aveva provveduto, in qualche maniera, a costruire
una sorta di fondo di resistenza. Da sindacalista, da uomo abituato ai lunghi
scioperi e alla necessit di fornire ai lavoratori gli strumenti materiali per
vivere anche in assenza di un salario puntualmente versato, capiva che
quella non sarebbe stata una scampagnata, che il ritorno da Parigi non sarebbe avvenuto in tempi brevi. La Confederazione Generale non aveva una
cassa propria. Doveva, perci, appoggiarsi alla Union des Coopratives.
Laveva creata Felice Quaglino grazie ai capitali della Federazione Italiana
Operai Edili. Quaglino aveva cos evitato quellesproprio che la legge sui
sindacati consentiva alle autorit fasciste. Ad amministrare limpresa provvide in un primo tempo, Emilio Canevari che firm il Patto di Roma dopo
la morte di Buozzi. Poi, in quel posto si insedi Nullo Baldini, luomo che
aveva fondato a Ravenna lAssociazione dei braccianti agricoli e che poi a
Nerac in Guascogna, nelle tenute del senatore (e banchiere, stato il primo
353

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

presidente dellAbi) Luigi Della Torre, insieme a Luigi Campolonghi (fu


uno dei fondatori della Lidu, la Lega Italiana dei Diritti dellUomo), fece
sorgere una cooperativa che diede lavoro a molti esuli italiani. Ma nella vicenda dellesilio di Buozzi un ruolo di primo piano lo gioc lavvocato torinese Pier Luigi Passoni. Fu, per lantifascismo italiano, una sorta di
spallone solo che lui i quattrini in Francia non li portava per sottrarli al
fisco, ma per un fine nobile, consentire agli emigrati perseguitati dal regime
di poter condurre una vita dignitosa, finanziare lattivit antifascista.
La Federazione degli edili aveva investito una parte dei suoi quattrini nella Federazione Italiana Consorzi e Cooperative Edilizie. Per sottrarla alle grinfie del fascismo, la Ficce venne liquidata. I soldi, a quel
punto, vennero investiti e Passoni si occupava della cosa. E si incaricava,
poi, di portare i proventi a Buozzi, Quaglino e Baldini, imbarcandosi in
viaggi avventurosi ed, evidentemente rischiosi. LUnion del Coopratives,
al pari di quella di Baldini e Campolonghi provvedeva, inoltre a dare lavoro
(nei limiti del possibile) a coloro che arrivavano dallItalia. Passoni dalla
Francia non tornava mai a mani vuote perch se allandata era carico di
quattrini, al ritorno era pieno di materiale di propaganda, a cominciare dal
giornale, lOperaio Italiano. Allavvocato torinese si aggreg anche uno
studente universitario, Fernando De Rosa che nel frattempo aveva cominciato a diffondere nelle aule dellateneo torinese un suo giornale in buona
parte ispirato proprio da quello che Buozzi realizzava a Parigi. I viaggi di
Passoni non erano certo di piacere e non lo erano soprattutto per le autorit
fasciste. Racconta Gino Castagno: Una parte delle somme realizzate in
tal modo servivano per in patria, per lassistenza alle vittime politiche e
Passoni le passava di volta in volta al Soccorso Rosso, che aveva i suoi
comitati a Torino, a Milano e in Emilia. Per quanto questi comitati fossero
formati da compagni e amici fidatissimi... e per quanta abilit e prudenza
mettesse Passoni nella sua opera, i motivi dei suoi viaggi furono segnalati
alle autorit fasciste. Un traditore, Alberto Giannini, del Becco Giallo
(del giornale era il direttore: antifascista, fece per motivi economici il
salto della quaglia diventando un collaboratore dellOvra, n.d.a.), con
le sue confidenze, provoc larresto del messaggero alla frontiera durante
un ritorno da Parigi e il suo deferimento al Tribunale Speciale4.

354

IN ESILIO

15.1 La tutela degli emigrati

Fu questo arresto, il fatto che la polizia fascista avesse ormai mangiato la foglia, che consigli, dopo la liberazione, di far compiere allavvocato solo un ultimo viaggio. Era il 1930. A quel punto i soldi cominciarono
a scarseggiare e gli uffici confederali di assistenza agli esuli vennero smantellati. Il giovane e intraprendente studente universitario, De Rosa, si incaric, nel periodo in cui Passoni era ospite delle prigioni fasciste, di
provvedere al trasbordo di liquidit. A Parigi, nella casa di Buozzi, il ragazzo conobbe Turati, Treves e soprattutto Carlo Rosselli a cui si colleg
politicamente. Dopo un passato turbolento caratterizzato anche da esperienze squadristiche che gli erano costate una condanna a tre mesi e quindici
giorni di detenzione, De Rosa aveva cambiato riferimenti politici: frequentando la facolt di giurisprudenza era diventato antifascista sino ad espatriare, nel 1928, in Francia per evitare il servizio militare. Fu Carlo Rosselli
ad accompagnarlo, il 22 ottobre 1929, alla stazione quando si imbarc per
Bruxelles dove Umberto II si preparava a chiedere la mano di Maria Jos.
Il 24 ottobre, mentre quello che passer alla storia come il re di maggio,
rendeva omaggio alla tomba del milite ignoto, il silenzio venne squarciato
da un colpo di pistola: a sparare aveva provveduto proprio De Rosa che
venne condannato a sette anni di carcere. Se ne fece meno (fu liberato nel
1933). Poi part per la Spagna per combattere i franchisti e nel 1936 mor
sul campo di battaglia: era il comandante del battaglione Octubre n.11.
La vita di Buozzi cambi negli anni trenta. E anche la casa. Dato
che i soldi scarseggiavano si era messo a fare il rappresentante di prodotti
alimentari. La crisi economica esplosa nel 1929 aveva imposto delle economie e la CGdL non era pi in grado di pagare uno stipendio al segretario
che a quel punto invest i risparmi e una piccola eredit che gli aveva lasciato Turati in quella attivit imprenditoriale. Dal 1 aprile 1935 cominci
a lavorare gratuitamente per il sindacato. Tra laltro il commercio di salumi
torn utile in occasione della guerra di Spagna quando fu necessario garantire anche sostegni alimentari ai volontari italiani. Clignancourt una
porta daccesso a Parigi: la Pripherique, un boulevard fratello gemello del
raccordo anulare di Roma (e come quello quasi sempre intasato), delimita
il confine della citt. Dallaltra parte ci sono le Banlieue, Saint Ouen, Saint
355

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Denis, eccetera; il mercato delle pulci da quelle parti. Oggi, su quel confine
in cui la citt delle luci finisce e cominciano quelle che noi definiremmo
borgate (molto meno illuminate), vive una immigrazione nuova, proveniente
soprattutto dalle ex colonie. Allepoca, a Boulevard Ornano, Buozzi fiss
la sua dimora e la sede della sua attivit commerciale. A Parigi il segretario
confederale costitu pure il Comitato Sindacale dAssistenza ai Lavoratori
Italiani. E gran parte dellopera svolta in Francia si incentr proprio sulla
tutela degli esuli, stretti tra le leggi repressive italiane varate proprio per ren-

Le leggi liberticide creavano problemi agli italiani allestero: ecco una denuncia di Buozzi

356

IN ESILIO

dere la loro vita pi difficoltosa e le diffidenze del Paese in cui avevano trovato rifugio. Nel 1929 scoppi la crisi economica considerata sino a poco
tempo fa come la pi grave dellepoca moderna (lultima, quella esplosa nel
2007 potrebbe averla superata). Gli effetti del venerd nero americano si
fecero sentire per un decennio. Il giorno peggiore della storia del capitalismo
(che poi in realt era un gioved 24 ottobre negli Usa) prosegu anche il luned (meno tredici per cento dellindice di Wall Street) e il marted (meno
dodici), fece fallire negli Stati Uniti quattromila istituti di credito, cre venticinque milioni di disoccupati, rase al suolo il Pil dei paesi europei (meno
trentatr per cento in Italia, meno ventotto in Francia, addirittura meno quarantasette in Germania). La conseguenza fu che tutti cominciarono a barricarsi nei propri cortili nella speranza di limitare al minimo gli effetti della
crisi (che Mussolini faceva finta di non avvertire solo perch aveva abolito
la libert di stampa). Bruno Buozzi, dopo aver svolto una relazione al congresso della Lidu, la Lega Italiana per i Diritti dellUomo, pubblicava su
lOperaio Italiano un articolo in cui contestava le leggi adottate dal regime
in materia sindacale perch lasciavano senza tutela gli emigrati.
Il problema era semplice: potevano agire, grazie ai rapporti internazionali, solo i sindacati riconosciuti dal regime; ma con le organizzazioni
fasciste nessuno intratteneva rapporti. Risultato: nessuno poteva tutelare
emigrati, espatriati, esuli. Scriveva Buozzi: Lart. 6, ultimo accapo, della
Legge sindacale del 3 aprile 1926 dice: In nessun caso possono essere riconosciute associazioni che, senza lautorizzazione del governo abbiano comunque vincoli di disciplina o dipendenza con associazioni di carattere
internazionale. Basta un attimo di riflessione per persuadersi che questo
articolo copre di una veste giuridica un vero e proprio tradimento a danno
di 10 milioni di suoi figli in gran parte lavoratori che lItalia ha sparsi
per il mondo. Nessun Paese quanto lItalia avrebbe interesse a coltivare
rapporti cordiali con i sindacati dei paesi di emigrazione. Col regime fascista tali rapporti sono resi impossibili. Esso ha distrutto con la violenza i
sindacati liberi, cio i soli sindacati che potevano essere ascoltati allestero5.
Il segretario confederale sottolineava un paradosso che rappresentava, in realt, una vera e propria discriminazione (a conferma del carattere
di parte del regime fascista): Industriali, agrari, commercianti possono
357

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

liberamente far parte delle loro organizzazioni internazionali... In altre parole, il fascismo ammette linternazionalismo del capitale ma non quello
del lavoro. Questa discriminazione aveva come conseguenza che i consolati non potevano svolgere a favore degli emigrati lavoro di assistenza.
Sottolineava Buozzi: Il Governo fascista si affanna ad affermare che
lazione di difesa dei lavoratori italiani allestero affidata ai consolati.
Menzogna stupida o illusione idiota... Gli italiani allestero sono fatalmente
portati a rivolgersi, per la difesa dei loro interessi, ai sindacati a tendenza
socialista. E siccome i consolati hanno lordine di perseguitare gli antifascisti anche allestero, accade che gli operai che si occupano attivamente
di movimento sindacale, vengono denunziati alla polizia come elementi pericolosi per lordine pubblico6.
Infine, unaltra norma metteva a rischio quel principio di reciprocit
che gli stati seguivano sulla materia del lavoro. Concludeva il segretario
confederale: Lart.2 del regolamento che accompagna la legge sindacale
del 3 aprile 1926 stabilisce quanto segue: Gli stranieri, che risiedono in
Italia da almeno dieci anni, possono essere ammessi in qualit di soci nelle
associazioni sindacali legalmente riconosciute, ma non possono essere nominati od eletti ad alcuna carica o funzione direttiva. La gravit di questa
disposizione evidente. Essa contrasta col pensiero moderno di tutti i paesi
civili, il quale tende a riconoscere, agli operai stranieri, gli stessi diritti
sindacali riconosciuti agli operai nazionali. In proposito, specialmente fra
paesi di emigrazione e di immigrazione, esistono numerosi trattati di lavoro
cosiddetti di reciprocanza. Qualche paese, compresa la Francia, limita il
diritto di coprire cariche direttive, come quella di segretario...; ma la libert di aderire ai sindacati non contestata da alcuna legge... LItalia
paese largamente esportatore di mano dopera avrebbe tutto da guadagnare ad essere larga di concessioni verso i pochi stranieri che si recano
a lavorare entro i suoi confini, onde poter reclamare larghezza dai paesi
che ospitano i suoi numerosi emigrati7.
Buozzi aveva stretto rapporti con la Cgt (Confdration Gnrale
du Travail) e, daltro canto, questo legame consentiva allorganizzazione
italiana una certa libert e ampiezza di movimenti. Ma la crisi stava cambiando le situazioni. Anche quelle politiche. Sulla scena, agli inizi degli
Anni Trenta comparve, infatti, Pier Laval che fra il 1931 e il 1944 ricopr
358

IN ESILIO

quattro volte la carica di primo ministro e una quella di vice-primo ministro


alle dipendenze di Philippe Petain. Esponente della destra francese, venne
poi accusato di aver avuto un ruolo di primo piano nella repubblica di Vichy
e di essere stato il protagonista principale della politica di collaborazione
con i nazisti: laccusa lo port davanti al plotone di esecuzione. Ma prima
di quellepilogo, la sua presenza al vertice della politica francese, essendo
lui non insensibile al fascino di Mussolini (la sua storia era abbastanza simile a quella dellitaliano: nato socialista, eletto deputato nelle liste della
Sfio, cominci a strambare dallaltra parte agli inizi degli Anni Venti),
fin per avere contraccolpi nefasti sulla vita degli esuli italiani. Fu anche
lispiratore (insieme a Petain) di quei gruppi di estrema destra che il 6 febbraio del 1934, misero a ferro e fuoco Parigi provocando la caduta del governo espresso dal secondo Cartello delle sinistre. Firm pure un accordo
con Mussolini (a Roma, il 4 gennaio del 1935) con il quale si dava mano
libera agli italiani in Abissinia. Fatto sta che la situazione, politicamente in
bilico ed economicamente al collasso, induceva (come spesso accade
quando la paura monta, regola confermata anche da vicende a noi vicine) i
membri dellAssemblea Nazionale a promuovere proposte di legge che in
qualche maniera complicavano la vita degli emigrati.
Alla guida del governo francese cera proprio Laval quando venne
presentata una legge che puntava a rendere pi difficile lingresso in Francia
degli stranieri. Il 26 novembre del 1931, infatti, Bruno Buozzi interveniva
per evitare un simile colpo di mano, scagliandosi contro il giornale Lami
du Peuple sostenitore della tesi in base alla quale laumento della disoccupazione era dovuto alleccessiva generosit parigina in fatto di immigrazione (gli argomenti delle destre non sono particolarmente originali,
riaffiorano spesso, fornendo armi agli xenofobi e in Italia lo sappiamo
bene). Affermava il segretario confederale: Non occorrono molte parole
per dimostrare che questa tesi praticamente stupida e politicamente immorale e inumana. Stupida perch ci sono industrie per le quali si dovrebbe
legalizzare una percentuale del cento per cento (di ingressi, n.d.a.). Facciamo qualche esempio. Ci sono zone della Francia nelle quali le industrie
edili e dei cappelli, finirebbero per essere letteralmente paralizzate se fossero costrette a ridurre la percentuale degli stranieri soltanto del 30 o 40
per cento. I mosaicisti sono nella quasi totalit italiani e insostituibili. In
359

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

alcuni importanti centri minerari gli operai sono quasi tutti stranieri ed i
francesi occupano pressoch esclusivamente posti di direzione e controllo.
In alcune regioni, infine, le terre rimangono incolte mentre potrebbero essere redente se gli stranieri, invece di essere respinti, venissero chiamati
ed aiutati. Immorale e inumana perch nessuno Stato ha il diritto di chiamare gli stranieri negli anni di abbondante lavoro per cacciarli al di l
della frontiera nel momento della crisi8.
A sostegno delle ragioni degli immigrati era intervenuto il partito
socialista (la Sfio) ma con un provvedimento che rischiava di creare altri
problemi. E, allora, Buozzi spiegava: opportuno esaminare gli articoli
pi importanti. Larticolo 1) chiede che, a partire da una data da fissarsi,
venga interdetta lentrata in Francia di lavoratori stranieri. Opporsi a questo articolo mentre i disoccupati aumentano sarebbe demagogico. soltanto opportuno aggiungere che esso non infirma in alcun modo il diritto
di asilo, cio lentrata in Francia di perseguitati politici... Lart. 2) chiede
che nessunimpresa sia autorizzata ad assumere operai stranieri, se la proporzione degli stranieri che ha gi al suo servizio supera il 10 per cento9.
Poi Buozzi dava conto dellarticolo 7 che stabiliva parit di salari tra francesi e stranieri (Se questo articolo passer, numerosi impresari fascisti
saranno costretti a por termine allindegno sfruttamento che oggi esercitano sui loro connazionali). Spiegava Buozzi: Questo progetto di legge
riuscito ad eliminare soltanto in parte le preoccupazioni dei lavoratori
stranieri. Lon Blum (cio il leader della Sfio, n.d.a.), in un chiaro articolo
pubblicato su Le Populaire del 20 novembre ha spiegato che il G.P.S.
(il gruppo parlamentare del partito, n.d.a.) si proposto di consolidare lo
statu quo e di conservare il loro impiego a tutti gli operai che lavorano
attualmente in Francia. Siamo spiacenti di dover rilevare che cos come
sono stati compilati gli art. 2 e 3 corrispondono soltanto parzialmente a
questi criteri... La crisi ha gi reso disoccupati molti operai ed prevedibile
che ne render disoccupati molti altri. Il problema non quindi quello
che sarebbe impossibile da risolvere di conservare limpiego a chi ce
lha, ma di non creare due categorie di disoccupati. Purtroppo, invece, gli
articoli 2 e 3, se non saranno modificati, creeranno uno stato di inferiorit
agli operai stranieri, in quanto limitano agli imprenditori che hanno pi
del 10 per cento di stranieri la libert di assumerne altri, senza neppure
360

IN ESILIO

distinguere tra assunzione e riassunzione10.


Ma lattacco contro gli stranieri continu per lungo tempo e anche
sotto governi orientati a sinistra. Si era dimesso da due giorni il governo
guidato da Edouard Daladier (che poi fu anche uno dei pi dinamici animatori del Fronte Popolare), quando Buozzi scrisse ai cari compagni della
CGdL francese. Il deputato Jacquier aveva presentato il progetto di legge
per restituire equilibrio al bilancio e il segretario confederale si era reso
conto che un articolo prevedeva che allorch in un dipartimento, la per-

Per gli emigrati la vita in Francia era dura: la CGdL interveniva a loro difesa

361

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

centuale di disoccupati francesi di una professione eccede il 5 per cento,


lassuntore di mano dopera straniera della detta professione pagher una
tassa di 5 franchi per ogni giornata di lavoro fornita da questa mano
dopera11. Si cercava, insomma, da un lato di fare cassa e dallaltro di rendere un po pi impenetrabili le frontiere. Buozzi, allora, spiegava: Dove
il lavoro diminuisce, gli stranieri sono i primi ad essere licenziati; ed ogni
giorno ci vengono segnalati casi di imprenditori che domandano pubblicamente della mano dopera, ma che respingono sistematicamente gli stranieri che si presentano sui cantieri o nelle officine a chiedere lavoro. Ora,
se la Camera approvasse larticolo in questione, questa situazione diventerebbe ancora pi grave, senza alcun profitto - a nostro parere per la
Francia... Daltra parte, i rimasti sono in grande maggioranza degli operai
che hanno trasferito la loro famiglia in Francia o che si sono creati una
famiglia in Francia o dei rifugiati politici, cio dei lavoratori che nel loro
paese dorigine sarebbero oggi ancora pi stranieri che nel vostro12.
A Bruno Buozzi replicava il vice-segretario della Cgt, Raoul Lenoir.

Il volantino antifascista lanciato su Roma da Lauro De Bosis

362

IN ESILIO

Provando a rassicurarlo: La straordinaria proposta del deputato Jacquier


non appare n possibile n applicabile. Essa sindacalmente inaccettabile
perch contiene in se stessa un prelevamento sul salario delloperaio straniero... Gi avanti la guerra, una proposta di questa natura, presentata dal signor Ceccaldi, deputato di Varrins, sollev le proteste del movimento sindacale.
Eppure allora si trattava di operai frontalieri che lavoravano in Francia senza
consumarvi alcuna parte del loro salario... La proposta insensata del deputato
Jacquier sarebbe pi onestamente precisa se volesse rigettare dalle fabbriche
tutti i lavoratori stranieri. Una tale proposta sarebbe pi chiara, pi cinica ma
dimostrerebbe la mentalit di un parlamentare di corta vista13.

15.2 Il volo senza ritorno di De Bosis, la morte di Turati

Poi cera lattivit pubblicistica rivolta a svelare gli inganni del regime e, in particolare, lipocrisia di un sindacato, quello fascista, che era
un docile strumento nelle mani del regime e che, quindi, nulla aveva a che
vedere con lattivit delle organizzazioni libere che avevano operato in Italia sino alla presa del potere da parte di Mussolini. Nel corso di una conferenza che si trasformava in una cronaca per il giornale La Libert (era
lorgano della Concentrazione Antifascista, diretto da Claudio Treves),
Buozzi diceva: Il sindacalismo fascista non ha nulla in comune col sindacalismo classico, espressione della volont dei lavoratori; una macchina per incassare quote, sostenuta per fare lo spionaggio nelle fabbriche,
nei campi, negli uffici, nelle aziende13. Spiegava agli anti-fascisti presenti
nella sala dellUnione Giornalisti Italiani Giovanni Amendola la genesi di
un fenomeno posticcio: Malgrado i fondi dei padroni e il manganello,
fino alla marcia su Roma il sindacalismo fascista non ebbe... alcun seguito14. Dopo aver spiegato la maniera in cui Mussolini aveva convinto
le controparti (in particolare gli industriali che erano i meno entusiasti), il
segretario della CGdL concludeva con un messaggio in qualche misura possibilista. Dopo aver sottolineato che il sindacato fascista cresciuto e vive
perch lo ha imposto il regime, si domandava: Rimarr sempre qual
oggi? La risposta non facile. Unorganizzazione, comunque, costituita,
tosto o tardi reclama di essere democratizzata. Passata lubriacatura della
cosiddetta rivoluzione fascista, anche i fascisti saranno portati a reclamare
che il loro sindacato sia qualcosa di pi di ci che ora. Gli operai fascisti
363

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

giurano sul genio di Mussolini, ma cominciano a reclamare una maggiore


libert di discutere dei loro interessi e del funzionamento dei loro sindacati.
Si parla gi di concedere agli iscritti ai sindacati di eleggere i loro dirigenti15.
Infine, spronava i suoi compagni: I sindacalisti classisti devono
seguire attentamente gli avvenimenti per sfruttarli ai loro fini. Ogni malcontento deve essere rilevato. Molti operai classisti sono forzatamente
iscritti ai sindacati fascisti. Lazione di critica e di demolizione del sindacalismo fascista si compie finora solo dal di fuori16. Sei anni dopo nel
1934, in un articolo sul Nuovo Avanti!, Buozzi era decisamente pi netto.
Commentando le dichiarazioni del sottosegretario alle corporazioni fasciste
(Biagi) che invitava a lavorare per far vivere la vita del sindacato agli
operai, il segretario confederale affermava: Il fascismo non vi riuscir
mai. Perch il lavoratore sia portato a vivere la vita del sindacato, bisogna
che il sindacato sia suo e libero, bisogna che i dirigenti siano liberamente
scelti dai soci e non dai funzionari del governo17.
Ma poi, oltre allattivit pubblicistica e a quella di difesa dei lavoratori stranieri, cera anche limpegno politico, le azioni concrete per provare ad alimentare una battaglia capace di incrinare in qualche misura il
muro del regime. Il tutto in unEuropa inquieta, in un mondo in difficolt.
Le divisioni tra le forze democratiche avevano agevolato Mussolini, rimetterle insieme, allestero, non che fosse facile. Restavano le diffidenze e
le spaccature: socialisti contro socialisti, comunisti contro i socialtraditori,
repubblicani decisamente poco disponibili nei confronti di Giustizia e Libert. Prov l Avanti! a fine febbraio del 1926 a lanciare la proposta per
una aggregazione delle numerose forze in campo, tutte concentrate sullo
stesso obiettivo, per osservato da punti di vista diversi, a volte anche antitetici. Lappello socialista era rivolto non solo agli altri socialisti, quelli
di Turati, ma anche ai comunisti, agli anarchici ai repubblicani. Alla fine la
campagna dell Avanti! riusc a produrre il risultato e in aprile nacque la
Concentrazione di Azione Antifascista che si dot, per prima cosa, di un
giornale (come abbiamo detto prima, La Libert). Entrarono tutti: i riformisti turatiani con Treves e Modigliani, il Psi con Nenni e la Balabanoff,
il Pri con Ferdinando Schiavetti e Mario Pistacchi, la Lega per i diritti delluomo con Alberto Cianca e Alceste De Ambris, e, ovviamente, la CGdL,
364

IN ESILIO

con Buozzi e Quaglino. Al pari de lOperaio Italiano, anche la Libert di


Treves cominciava le pubblicazioni il 1 maggio (ma del 1927, un anno
dopo lorgano sindacale). Lobiettivo della Concentrazione era chiarissimo:
Proseguire la lotta sino a quando, abbattuta la dittatura, sia possibile al
popolo italiano scegliere le istituzioni politiche e sociali che lo garantiscano contro i periodici ritorni offensivi della reazione che hanno caratterizzato la storia dello stato italiano18. I comunisti, invece, preferirono fare
da soli: avrebbero voluto far convergere nei loro Comitati del Fronte Unico
tutte le forze; ma avevano anche deciso di rispondere picche perch si erano
sentiti esclusi dai lavori che avevano portato alla costruzione della struttura
e perch non apprezzavano la presenza nel gruppo di elementi borghesi
come i rappresentanti della Lega per i Diritti dellUomo. Insomma, unidea
troppo inclusiva a loro non andava a genio, avrebbero preferito una maggiore
selezione. La Concentrazione lanci anche un appello agli italiani, segnalando soprattutto le responsabilit del re nella tragedia che il paese stava vivendo.
Furono organizzate anche azioni dimostrative. In particolare, un paio
di voli con lancio di manifesti. Uno lo comp Giorgio Bassanesi su Milano,
l11 luglio del 1930. Riusc alla fine ad atterrare in Svizzera e le autorit
fasciste ne chiesero larresto immediato e lestradizione. Ma i giudici della
Confederazione optarono per una multa e la libert. Meno fortunato fu
Lauro De Bosis che aveva tentato una prima impresa aerea venendo bloccato da un imprevisto: atterrando in Corsica, l11 luglio del 1931, laereo
si era danneggiato liberando tutti i volantini che avrebbe voluto sganciare
sullItalia, cos annullando leffetto sorpresa. Ma non si arrese e ci riprov.
Acquist in agosto un aereo in Germania, un Klemm I25, si esercit con
due piloti tedeschi che poi gli portarono il velivolo a Marignan. Il 3 ottobre,
De Bosis sorvol Roma liberando nel suo cielo una pioggia di manifestini
anti-fascisti (cera scritto: Seicentomila cittadini si sono fatti ammazzare
per liberare due citt: fino a quando tollererete voi luomo che tiene schiava
lItalia intera?... Dopo nove anni non vi accorgete che avete avuto non solo
il pi tirannico e il pi corrotto ma anche il pi bancarottiero di tutti i governi. Avete rinunziato alle libert per vedervi tolto anche il pane?... Cittadini non vi lasciate intimorire dalle bande che voi stessi pagate). Il suo
atto eroico, per, non venne baciato dalla fortuna: fu tradito dalla benzina
365

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

(rimase a secco) e si inabiss. Il fronte antifascista cominciava a dare segni


di vita. E nel frattempo, come da consolidati costumi della sinistra, cominciava a litigare al suo interno, con la Balabanoff che avendo abbandonato
il Psi reclamava luscita dal comitato di Nenni e lesclusiva della rappresentanza dei socialisti. I suoi desideri non furono esauditi. Poi tocc ai repubblicani prendere cappello. Accadde quando Giustizia e Libert decise
di entrare nella Concentrazione. Gli allievi di Nello e Carlo Rosselli entravano e il Pri usciva (sanciva la cosa con il massimo della formalit: una
decisione del congresso che si svolse il 19 e 20 marzo 1932; lanno dopo,
sempre per scelta congressuale, rientrarono).
Alla Concentrazione antifascista Bruno Buozzi si dedic con un impegno straordinario, raccogliendo fondi, organizzando convegni, svolgendo
anche una relazione al primo congresso, che si svolse a Parigi il 27 e 29 aprile
del 1929. A Basilea, poi, il segretario confederale riusc a far svolgere anche
il Congresso Operaio Antifascista, un appuntamento che gli consent di ricostruire i rapporti tanto con lInternazionale Socialista quanto con la Federazione Sindacale Internazionale. Poi, per, la Concentrazione entr in crisi,
per gli atteggiamenti di GL, per la morte di Treves che aveva tolto al giornale
quellefficacia che aveva avuto nei primi tempi, ma soprattutto perch era
impossibile pensare a una attivit antifascista senza coinvolgere una forza
essenziale come il PCdI. E, infatti, la questione torn allordine del giorno.
Come quella dellunificazione socialista che venne realizzata nellestate del
1930. Non senza qualche dolore di pancia. Soprattutto allinterno del Psi dove
a remare verso la riunificazione senza esitazioni era Nenni (aveva cominciato
a parlarne nel 1928) mentre il resto della direzione frenava.
Con conseguenze anche un po paradossali come la riunione contemporanea a Grenoble, alla fine di giugno del 1930, del terzo congresso
del partito in esilio a cui parteciparono i sostenitori della riunificazione, e
il convegno della minoranza che tirava dalla parte opposta. In mezzo alla
bufera si ritrov Bruno Buozzi che in qualit di segretario della CGdL
aveva gi avviato i contatti con i partiti che intendevano riunificarsi scatenando le ire di Siro Burgassi che, pur essendo membro del Direttivo confederale, lanci contro il suo segretario sindacale dalle colonne dell
Avanti! unoffensiva violentissima. Buozzi rispondeva ricordando quel
che era avvenuto in occasione della scissione comunista quando la Confe366

IN ESILIO

derazione aveva deciso di mantenere in vita il Patto dAlleanza con il Psi.


Il 10 e il 20 luglio del 1930 il congresso sanc lunificazione e la nascita
del Partito Socialista Sezione dellInternazionale Operaia. Buozzi entr
nella direzione. Rimase fuori una minoranza che si tenne, per, l Avanti!
costringendo i riunificatori a far nascere il Nuovo Avanti! (che cominci le pubblicazioni il 19 maggio 1934).
Filippo Turati riusc a rivedere di nuovo unito il partito che aveva
fondato. Poi, il 29 marzo del 1932 si spense nella casa di Bruno Buozzi, in
Boulevard Ornano. Lallievo salut il suo vecchio maestro con un pezzo

Nelle fabbriche italiane si costruiscono gli aerei per la guerra del duce

367

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

carico di commozione che venne pubblicato sul giornale della Concentrazione, La Libert. Scriveva: Come egli disse nella favella ardente e purissima che egli solo aveva, noi abbiamo scelto lesilio, con tutte le sue
amarezze, tutti i suoi sconforti, non per mettere in salvo quelle miserabili
cose che sono la nostra vita e la nostra tranquillit personale, ma per non
essere ridotti allimpotenza assoluta: per lavorare con maggiore efficacia,
dintesa con i nostri compagni rimasti laggi, alla riscossa immancabile...
Pi umilmente: ardore concordia sacrificio il motto che ci viene dalle sue
ceneri. Autonomia di coscienza e di fedi, di gruppi e di partiti, ma unit inflessibile nella causa comune. Ordine, armonia, solidariet nelle iniziative,
energia estrema, infaticabile perseveranza per recarle a compimento; austerit fiera in ogni atto, come si conviene a quelli che si sono assunta la missione grandiosa, religiosa, di adoperare la patria in esilio per spezzare i
ceppi della patria schiava... un cilicio che noi portiamo, che egli volle portare con noi, di cui fece un labaro, ed il labaro consegn a noi perch lo conservassimo immacolato fino alla vittoria di cui egli non ha mai
dubitato19. Ancor pi toccante il racconto di Ornella Buozzi, la primogenita di Bruno, per lAlmanacco Socialista dellanno dopo. Per Ornella, Turati era un nonno affettuso. Lo avevano accolto nella casa di Boulevard
Ornano e lei ricordava scene di vita familiare: Il risveglio di tutti lo trovava
gi a lavoro nel disordine dello studio invaso di carte e plichi, in compagnia
del grande ritratto dellAnna che dal vano di una porta gli sorrideva, incitamento e promessa. E concludeva: impressionante vedere gli uomini
che furono i suoi figlioli spirituali costretti ad affrettarsi meccanicamente
- col viso bagnato di lacrime e la voce interrotta - a preparare i comunicati
ai giornali: morto Filippo Turati.
La riunificazione socialista moltiplic i segnali per giungere anche
a una unit di azione con i comunisti. A lanciare il dibattito aveva provveduto nei primi numeri il Nuovo Avanti!. Poi a renderlo concreto ci aveva
pensato Pietro Nenni nel Consiglio Generale del luglio 1934. Il 17 agosto
dello stesso anno veniva firmato il Patto dUnit dAzione. La prima conseguenza fu la programmazione di un Congresso degli operai italiani allestero per rispondere allavventura colonialista di Mussolini in Abissinia
(che, come abbiamo detto, aveva avuto il via libera anche da Laval). In un
primo tempo, avrebbe dovuto svolgersi a met agosto a Basilea, ma poi si
368

IN ESILIO

tenne in due tempi: una conferenza in difesa del popolo eritreo il 2 settembre a Parigi (Bruno Buozzi svolse la relazione introduttiva a nome del partito socialista); il congresso generale a Bruxelles il 12 e 13 ottobre (Buozzi
intervenne e fu inserito nel Comitato dAzione che doveva gestire la lotta
antifascista).
Poi arriv lappello unitario del 1 maggio 1936. Le cose si sarebbero complicate dopo, quando il 23 agosto 1939 Molotov e Ribbentrop firmarono il patto tedesco-sovietico. LEuropa stava scivolando
inesorabilmente verso la guerra, nel segno del fascismo e del nazismo. Lannuncio pi squillante arriv dalla Spagna (Ornella Buozzi era a Barcellona
quando nel luglio 1936 i franchisti scatenarono lattacco contro la Repubblica popolare e raccont per il Nuovo Avanti! i primi due giorni di battaglia). Le brigate dei volontari non furono sufficienti a fermare loffensiva
di Francisco Franco che poteva contare sugli aiuti di Mussolini e sulla politica di non intervento di Gran Bretagna, Francia e Belgio. Nella difesa di
Madrid cadde anche De Rosa, lo studente che si era sostituito allavvocato
Passoni per portare i soldi alla CGdL e al Comitato di Assistenza ai Lavoratori Italiani. Quando i volontari italiani e i combattenti spagnoli ripararono
in Francia furono immediatamente dirottati nel campo di concentramento
di Vernet: la situazione era decisamente cambiata. Gli eventi ormai si svolgevano a un ritmo accelerato. Il Partito socialista allestero teneva il suo
quinto congresso a Parigi dal 26 al 28 giugno del 1937 con Buozzi che svolgeva la relazione sulle vicende sindacali. Lultimo ancora in tempo di pace.
Una ventina di giorni prima, il 9 giugno, erano stati ammazzati Carlo e Nello
Rosselli.
Il 1 settembre del 1939 la Germania invase la Polonia, forte anche
del patto firmato da Ribbentrop e Molotov: la seconda guerra mondiale cominciava provocando la prima vittima politica, il Patto dUnit dAzione
tra socialisti e comunisti che venne sciolto, mentre repubblicani e Gl rompevano i rapporti con il PCdI. Pietro Nenni entrava in rotta di collisione
con lInternazionale Socialista: si dimetteva dallesecutivo con una lettera
polemica a Fritz Adler. Il leader socialista non condivideva la scelta della
rottura: riteneva che la battaglia antifascista venisse prima di tutto e obbligasse a confermare lunit dazione con i comunisti. Buozzi e Saragat, pur
riformisti erano su una linea mediana che evitasse divisioni traumatiche e
369

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

definitive. Modigliani era, invece, il capofila degli intransigenti per i quali


nessuna alleanza era pi possibile con PCdI. Buozzi veniva designato a sostituire Nenni nellInternazionale ma lorganismo era ormai in stato di coma
irreversibile. Il 27 e 28 aprile, il Partito Socialista convoc un nuovo Consiglio Generale nel corso della quale il segretario della Confederazione
svolse una relazione sui rapporti con lInternazionale e propose di lasciare
liberi i militanti socialisti di tenere in vita la collaborazione con gli altri
gruppi antifascisti senza nessuna esclusione. Prevalse, per, a maggioranza,
la linea della rottura totale con lUnione Popolare Italiana diretta dai comunisti. Ma ormai queste sembravano polemiche del passato: il 10 giugno
1940 lItalia entrava in guerra. Si scriveva unaltra storia.

370

IN ESILIO
1

Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi sindacalista riformista Franco Angeli
1984, pag. 73.
2
Bruno Buozzi, lettera a Giovanni Bensi del 4 gennaio 1927; in Aldo Forbice (a cura di):
Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943) Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 210
3
Bruno Buozzi, lettera a Giovanni Bensi. Ibidem pag. 211
4

Gino Castagno: Bruno Buozzi Ristampa delle Edizioni Avanti! 1955, pag.108
Bruno Buozzi: Lopera nefasta del regime fascista a danno degli emigrati lOperaio
Italiano, 31 maggio 1930, in Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi,
commenti, inediti a cura di Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pag. 67
6
Bruno Buozzi: Lopera nefasta del regime fascista a danno degli emigrati, Ibidem 678
7
Bruno Buozzi: Lopera nefasta del regime fascista a danno degli emigrati. Ivi.
8
Bruno Buozzi: Per la difesa dei diritti dellemigrazione lOperaio Italiano, 26 novembre 1931, in Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi, commenti, inediti a cura di Angelo Coco. Ibidem pag. 85
9
Bruno Buozzi: Per la difesa dei diritti dellemigrazione. Ivi
10
Bruno Buozzi: Per la difesa dei diritti dellemigrazione Ibidem pag. 86
11
Bruno Buozzi: La Confederazione del Lavoro Italiana in difesa della mano dopera
straniera lOperaio Italiano 28 ottobre 1933. Ibidem pag. 109
12
Bruno Buozzi: La Confederazione del Lavoro Italiana in difesa della mano dopera
straniera lOperaio Italiano 28 ottobre 1933. Ibidem pag. 110
13
Bruno Buozzi. Come nato e come funziona il sindacalismo fascista in La Libert 5
febbraio 1928; da Scritti dellesilio Opere Nuove 1958, pag. 9
14
Bruno Buozzi, Ibidem pag. 10
15
Bruno Buozzi, Ibidem. pag 12
16
Bruno Buozzi, Ibidem. pag 13
17
Bruno Buozzi: Fascismo e sindacalismo libero sono inconciliabili Nuovo Avanti! 20
luglio 1934 in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e
discorsi (1910-1943) Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 251
18
Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume Edizioni Avanti! 1955, pag.124
19
Gino Castagno, Ibidem pagg. 134-5
5

371

Dove la parola non pu essere soffocata


dai plotoni di esecuzione, per i fascisti
il contraddittorio assolutamente insostenibile

Lattivit Internazionale

Lattivit internazionale di Bruno Buozzi fu intensa. Nella foto una pausa della riunione
della Federazione Internazionale di Amsterdam. In piedi, quinto e sesto
da sinistra il segretario della FSI, Oudegeest, e il leader della CGT francese, Jouhaux

Alla fine, la battaglia del Bureau International du Travail in qualche maniera la vinse lui. Dieci anni di schermaglie, di denunce, di dossier
sul terreno neutro di Ginevra fiaccarono anche Benito Mussolini che nel
1936 decise di uscire dallorganizzazione. Prese a pretesto le critiche che
lorganismo (nato sotto la Societ delle Nazioni e trasmigrato, dopo la seconda guerra mondiale, sotto le insegne dellOnu) mosse nei confronti della
politica dellautarchia. Ma era, evidentemente, una giustificazione debole.
La realt che il fascismo non aveva mai convinto troppo il Bit con i suoi
sindacati, soprattutto non era riuscito a convincere le organizzazioni dei lavoratori, in particolare quelle che operavano allinterno di sistemi democratici. Bruno Buozzi, poi, con la sua costante presenza nei vertici
internazionali, con il lavoro di denuncia sviluppato, anno dopo anno, in
tutte le sedi possibili, aveva contribuito a creare il deserto intorno alle organizzazioni volute dal duce che, peraltro, nonostante limpegno della
repressione, non erano riuscite a sfondare nemmeno nelle officine, almeno
non erano riuscite a fare breccia nei cuori dei lavoratori che vi aderivano
perch non avevano alternativa. Se lavessero avuta, si sarebbero regolati
diversamente. Lo sottolineava, ad esempio, Pietro Nenni: Perfino le elezioni delle commissioni interne delle fabbriche, per tutto il tempo che sono
state tollerate dal governo, hanno assicurato maggioranze ai rossi. A
tal punto che nel 1925 il fascismo, avendo dovuto abbandonare la speranza
di un compromesso con la CGdL, pass violentemente alloffensiva con lo
scioglimento della CGdL e con la soppressione dellorganizzazione1. I
metodi usati da Mussolini (per quanto da molti governi tollerati) per piegare le resistenze erano, dunque, piuttosto noti. Ci non toglie che il lavoro
di Buozzi, in quegli anni, sia stato capillare e certosino.
stato forse il versante su cui meglio si svilupp la sua capacit di
375

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

costruire relazioni. Privata del suo ruolo in Italia, la Confederazione Generale del Lavoro aveva una sola strada da percorrere: acquisire spazio e autorevolezza allestero, segnalare con la sua presenza sul proscenio
internazionale il caso Italia, dimostrare ai lavoratori rimasti sulla Penisola che quella messa in piedi a Parigi non era solo una sigla ma un presidio
di libert. Che sarebbe risorto nel momento in cui il Paese si fosse liberato
da quei ceppi a cui Buozzi aveva fatto riferimento nel momento in cui
aveva ricordato la figura di Filippo Turati. A livello internazionale, la partita
con il regime si giocava ad armi (quasi) pari: Mussolini poteva comprimere
la libert in Italia, piegare con metodi violenti la volont degli italiani, chiudere a tutti i concorrenti politici e sindacali gli spazi di agibilit democratica, ma fuori dai confini, oltre le Alpi e le coste del Mediterraneo quei
metodi non erano utilizzabili.
Come scrisse Buozzi a commento proprio di una vivacissima riunione del Bureau: In terreno libero, in terreno neutro, dove la parola non
pu essere soffocata dal manganello, dal domicilio coatto, dal tribunale
speciale e dai plotoni di esecuzione, per i fascisti il contraddittorio assolutamente insostenibile. Quando un regime ha sulla coscienza i misfatti che
ha il regime fascista, non pu difendersi con mezzi civili2. Pian piano,
Mussolini fu costretto a rinunciare a una operazione che in Italia gli era riuscita: cio mettere fuori gioco i sindacati liberi. Allestero dove non doveva
fare i conti con sedi devastate (ancorch la sua casa, prima quella al 16 di
Rue de la Tour dAuvergne, poi quella in Boulevard Ornano, venisse tenuta
costantemente sotto controllo dagli inviati dellOvra, la polizia segreta
fascista) e dirigenti bastonati, Bruno Buozzi riusciva a giocarsi qualche
carta, come aveva sempre fatto ai tavoli delle trattative. E poi il segretario
generale della CGdL aveva capito unaltra cosa: le organizzazioni del lavoro dovevano aprirsi, dovevano guardare oltre il proprio cortile, non solo
per allargare i confini della rappresentanza (gli occupati ma anche quelli
che un lavoro lo stavano cercando), non solo per incidere sempre di pi sui
processi produttivi e la gestione e il controllo della produzione, ma anche
per costruire alleanze capaci di intervenire sulle dinamiche economiche internazionali perch se il mercato sotto la spinta del capitalismo diventava
sempre pi ampio (per quei tempi), allora sempre pi ampia doveva essere
lazione di chi doveva provvedere alla tutela degli interessi dei lavoratori.
376

L AT T I V I T I N T E R N A Z I O N A L E

Il Piccolo Mondo Antico non reggeva pi. E non reggeva pi, nella
ricerca di queste alleanze internazionali, il collante ideologico perch bisognava trovare terreni di intesa tra soggetti portatori di interessi analoghi. Di
qui la sua tendenza a guardare a ovest piuttosto che ad est, a cercare nella
Federazione Internazionale di Amsterdam la sponda piuttosto che nellInternazionale Rossa cara ai comunisti. Certo, ladesione a una posizione politica, aveva il suo peso. Ma la motivazione pi profonda era, probabilmente,
unaltra: la consapevolezza che a Ovest si ritrovavano modelli di societ (da
un punto di vista economico e produttivo) pi affini a quello che si andava
affermando in Italia. I lavoratori inglesi, francesi e tedeschi erano portatori
di problemi, interessi e bisogni simili a quelli dei colleghi italiani e il motivo
era semplicissimo: facevano riferimento a un modello di organizzazione
economica comune, il capitalismo; a sistemi produttivi (il taylorismo) simili.
Lo stesso Marx, in fondo, non aveva intravisto nella Russia la culla della
sua rivoluzione ritenendo che mancasse ancora, da quelle parti, il passaggio
essenziale di unaltra rivoluzione, quella borghese. Per quanto con ritmi pi
lenti rispetto a Gran Bretagna, Francia e Germania, il settore industriale in
Italia aveva cominciato a espandersi gi a partire dallultimo ventennio
dellOttocento. Conclusione: era da quella parte che bisognava guardare.
Era linternazionalit delle elaborazioni intellettuali che bisognava far prevalere sullinternazionalismo del posizionamento ideologico.
Se lazione concreta di tutela della CGdL in esilio fu ben poca cosa
(a parte il sostegno, a volte anche economico, garantito agli esuli e agli
emigrati), ben pi sostanziosi, invece, furono i risultati che Bruno Buozzi
ottenne con la sua attivit internazionale. Costru un tessuto di rapporti che
la guerra, ovviamente, distrusse, almeno in parte. Ma indic una linea di
azione, uno svolgimento del tema delle relazioni con lestero che riusc a
riemergere pi tardi, ad esempio quando la Flm decise di aderire allorganizzazione occidentale dei metalmeccanici. Era il 24 maggio del 1981
quando per la prima volta dallepoca di Buozzi, un sindacato italiano si
present in maniera unitaria a un congresso internazionale: quello della
Fism, la Federazione Mondiale dei Sindacati Metalmeccanici che si svolse
a Washington; una adesione accolta dal Pci con un velenoso corsivo su
lUnit a firma di Giorgio Napolitano. Quelladesione fu figlia (probabilmente inconsapevole) degli stessi ragionamenti che Buozzi sviluppava
377

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

ai suoi tempi, in un mondo decisamente diverso, con una guerra calda


incombente che si sarebbe trasformata, a pace firmata in una lunga e tormentata guerra fredda. La sua azione pu forse essere oggi considerata
come una forma di testimonianza, come il messaggio nella bottiglia di un
uomo che sarebbe stato coinvolto in un naufragio. probabilmente questo
laspetto pi originale della sua predicazione sindacale: la scoperta e la
valorizzazione di un complesso di alleanze che poi il sindacato ha sviluppato pi o meno con lo stesso ardore. Soprattutto a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta quando le relazioni, tanto nelle sedi congressuali quanto
nelle semplici assemblee di fabbrica, partivano invariabilmente da lunghe
dissertazioni sulle situazioni internazionali e sulla necessit di stabilire,
caso per caso, vicenda per vicenda, situazione per situazione un collegamento, un punto non solo ideale ma pratico di intesa. Che fosse il Cile colpito a morte dal golpe di Augusto Pinochet o il Vietnam percorso da guerre
alimentate da un passato coloniale multiforme dal punto di vista delle lingue
degli occupanti ma comunque duro a morire.
Questa abitudine a confrontarsi con un mondo vasto avrebbe oggi
ancora pi fondamento, davanti a un capitalismo (soprattutto finanziario)
che ha organizzato le sue Internazionali in maniera molto pi efficiente di
quanto non siano riusciti a fare i partiti della sinistra. Soprattutto, molto pi
di quanto non abbiamo fatto i sindacati che si son fatti scoprire nudi e disarmati alla meta della globalizzazione, vittime, con i loro rappresentati, di
un dumping sociale che rende le vite dei lavoratori estremamente complicate, da una parte perch non riconoscendo diritti distribuisce paghe da
fame, dallaltra perch abbassa tutele, scaccia la moneta buona della legislazione sociale per sostituirla con la moneta cattiva della deregulation pi
sfrenata, finendo, poi, col distruggere posti di lavoro attraverso la delocalizzazione che altro non se non la corsa a trovare il luogo in cui le condizioni (del capitalismo) sono migliori (remunerazioni ridotte allosso, diritti
in pratica azzerati, mercato del lavoro asfittico e proprio perch asfittico
sostanzialmente ricattatorio come hanno ampiamente spiegato alcune vertenze degli ultimi anni: se ti sta bene cos, altrimenti andiamo via).
Riscoprire la vocazione di Bruno Buozzi a confrontarsi con il vasto
mondo dei suoi tempi, potrebbe essere utile per tutti. E non sarebbe una
operazione di archeologia sindacale, ma pi produttivamente un viaggio
378

L AT T I V I T I N T E R N A Z I O N A L E

alla ricerca delle radici pi che perdute, un po dimenticate. Probabilmente


anche il bisogno spinse Buozzi a quella lunga nuotata nel mare aperto di
linguaggi, costumi, abitudini lontani dalle sue. Ci non toglie che con questa impresa si ciment riuscendo a salvare limmagine di un sindacato che
dal lungo silenzio imposto dal regime poteva solo uscire orribilmente deturpata. I rapporti con la Federazione Internazionale di Amsterdam e con
lInternazionale Socialista sicuramente laiutarono. Non casuale il fatto
che l11 febbraio del 1940 la direzione diede a lui lincarico di rappresentare
il partito nellesecutivo dello IOS che si doveva svolgere dodici giorni dopo
(in realt non vi partecip perch gli fu rifiutato il visto). E sempre lui venne
designato a sostituire il dimissionario Pietro Nenni al vertice dellInternazionale. Lorganismo stava morendo, sotto i colpi della guerra (pi o meno
come era avvenuto in occasione del conflitto mondiale precedente), paralizzato da un lato da un pacifismo di maniera che non faceva i conti con i
deliri di potenza e onnipotenza del nazismo e delle varie forme di fascismo
e dallaltro da un anti-comunismo cieco e sterile che, peraltro, nemmeno
Buozzi condivideva visto che quando si tratt di decidere che tipo di atteggiamento avere nei confronti del PCdI dopo il patto firmato da Molotov e
Ribbentrop, lui sostenne la tesi di lasciare liberi i rappresentanti di partito,
a livello locale, di tenere in vita alleanze antifasciste con tutti coloro che ci
stavano, senza distinzioni ideologiche. Nenni, a sua volta, aveva deciso che
lInternazionale non poteva crogiolarsi nellinazione.
Si dimise con una lettera dai contenuti e dai toni chiarissimi: Voi
non ignorate che quattro mesi fa mi dimisi da Segretario del Partito Socialista Italiano e da direttore del Nuovo Avanti!. A quellepoca, non avevo
ancora preso alcuna decisione circa lInternazionale. Non gi che mi facessi delle illusioni sullutilit di continuare allEsecutivo la lotta contro
il neo-riformismo e la sua politica... Il mio disaccordo con lInternazionale
si aggrava. Esso non verte su tale o talaltro punto di dettaglio, ma sui compiti essenziali dei socialisti nella guerra, i quali secondo me dovrebbero
essere i seguenti: far di tutto per assicurare la disfatta del nazifascismo
che ha provocato e scatenato la guerra e che il nemico mortale della
classe operaia; pur sottolineando il nostro disaccordo e la nostra opposizione alla politica attuale di Mosca, ergersi con energia contro la crociata
reazionaria antisovietica e anticomunista, la quale, con il pretesto di di379

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

fendere la civilt occidentale e cristiana, prepara contro il proletariato e


contro il socialismo la congiunzione della plutocrazia fascista e della plutocrazia demo-liberale; dar coscienza alle classi popolari dei dati fondamentali del dramma europeo, che marca con il ferro rovente della guerra
il fallimento della civilt capitalistica e prepararle, fin dora, ai compiti
rivoluzionari di domani, in modo da evitare gli errori del 1918-19, il prezzo
dei quali fu ieri il fascismo ed oggi la seconda guerra europea. Niente
pi lontano dal mio spirito della presente attivit dei dirigenti delle diverse
Sezioni dellInternazionale, che si prodigano a rimettere in circolazione i
pezzi falsi dellutopismo pacifista piccolo-borghese e che si sforzano di integrare il movimento operaio nello Stato borghese e al suo servizio3. Cos
come la II Internazionale era franata sulla guerra, con i socialisti di molti
paesi che accorrevano a sostegno delle tesi interventiste, allo stesso modo
i carri armati stritolavano lorganizzazione che era stata messa in piedi nel
congresso di Amburgo del 1923. LInternazionale socialista, poi, tornata la
pace, resusciter nel congresso di Francoforte del 1951 e il marxismo non
sar pi il suo unico riferimento ideologico.

16.1 I rapporti con gli altri sindacati

Lattivismo su questo terreno induceva Buozzi a non saltare nemmeno una delle riunioni che venivano organizzate. Nellaprile del 1931, ad
esempio, partecip in Spagna al congresso internazionale dei sindacati. La
sua presenza non sfugg ai poliziotti fascisti che colsero loccasione per
spedire a Roma una dettagliata relazione: Dalle informazioni portate da
Buozzi, reduce dalla Spagna, dove, a quanto pare, ha visitato i maggiori
centri ed ha incontrato elementi antifascisti delle colonie italiane, ed ha
visto anche alcuni membri del governo, la Concentrazione ha tratto la certezza che in questo paese lantifascismo ha un campo aperto ad una pi
vasta lotta contro il fascismo, e dove potrebbero convergere facilmente gli
sforzi che attualmente vengono sprecati altrove, senza risultati tangibili. Il
Buozzi ha presentato una diffusa relazione, ricca di dati e di cifre e le cui
conclusioni si riassumono nellaffermazione che lelemento italiano di Barcellona pu costituire, se abilmente lavorato, un reclutamento assai pi
poderoso di quello di Parigi, tale in ogni modo da rappresentare un nuovo
centro importantissimo di agitazione4. La Spagna cinque anni dopo fu
380

L AT T I V I T I N T E R N A Z I O N A L E

sconvolta dallAlzamiento Nacional dei cuatro generales (Francisco


Franco, Emilio Mola, Gonzalo Queipo de Llano e Jos Enrique Varela) scatenato nel giorno di San Firmino, il 17 luglio del 1936, che port a una sanguinosa guerra civile e alla fine della Seconda Repubblica Spagnola.
Mussolini (insieme a Hitler) non fece mancare il suo sostegno militare ai
golpisti anche perch, come scrivevano i suoi poliziotti, temeva che da
quelle parti potesse crescere una forte realt di opposizione politica al suo
regime. Il conflitto termin dopo meno di tre anni, il 1 aprile del 1939 con
la disfatta dei repubblicani. Bruno Buozzi, proprio per la conoscenza delle
dinamiche internazionali, venne invitato a svolgere un ruolo primario nellorganizzazione dei volontari antifascisti che andarono a combattere in
Spagna. In particolare a lui Nenni chiese di mettere in piedi la brigata intitolata a Fernando De Rosa, lex studente universitario che lui aveva conosciuto nei primi anni del suo esilio parigino, che aveva aiutato la CGdL e
che aveva immolato la sua vita nella difesa (inutile) di Madrid.
Fu proprio questa intensa attivit internazionale che consent a Buozzi
di legittimare la CGdL come rappresentante (ancorch pi che dimezzata
nei poteri e nelle prerogative negoziali, essendo obbligata allesilio) degli interessi e voce dei lavoratori italiani. A dare, poi, autorevolezza allorganizzazione aveva provveduto anche il riconoscimento della Federazione
Sindacale Internazionale che non fu un grazioso dono e nemmeno una soluzione scontata visto che fu oggetto di una controversia con laltra CGdL
(quella costituita in clandestinit in Italia dai comunisti) che dopo non aver
sollevato obiezioni per laffiliazione ottenuta da Buozzi, denunci la questione chiedendo di entrare nellorganismo internazionale al posto di quella
che aveva fissato la sua sede a Parigi. Al ricorso dei comunisti, Buozzi rispose
con un controricorso nel quale si sottolineava come fosse praticamente impossibile svolgere attivit sindacale in Italia, mancando garanzie e libert. Di
questa vicenda, il segretario della CGdL parla in una lettera a un dirigente
sindacale francese (Carrefour), segretario dellUnione Dipartimentale della
CGT del Gers (allepoca quella era una zona che rientrava nella Guascogna:
l avevano trovato asilo molti connazionali tanto vero che in quel territorio
ubicata anche la cittadina di Pavie dove nacque Bruno Trentin). Il sindacalista francese aveva ricevuto una lettera da un militante italiano, Valentino
Belli, in cui venivano espresse critiche alla gestione della CGdL e si avanzava
381

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

una tesi decisamente poco onorevole relativamente al trasferimento in Francia


della Confederazione. In sostanza, Belli accusava Buozzi di aver portato allestero la sede della Confederazione solo perch sette dirigenti (il gruppo
Rigola) avevano tradito abbracciando i principi del corporativismo fascista.
Buozzi replicava: Dopo la messa in vigore delle leggi eccezionali
(novembre 1926) e loccupazione fascista della sede della CGdL italiana a
Milano, il comitato esecutivo (Buozzi, Bensi, Quaglino, Sardelli) in virt del
potere conferitogli dal Comitato Direttivo in precedenza, decise nel dicembre
1926 il trasferimento della sede allestero, o, per essere pi esatti, ad Amsterdam nella sede stessa della F.S.I. Questa decisione, inoltre, che fu presa
con il rispetto pi assoluto delle decisioni degli organismi responsabili, fu
ratificata in due riprese (gennaio e febbraio 1927) dallEsecutivo e dal Consiglio Generale della Federazione Sindacale di Amsterdam. Il 16 gennaio
solamente un gruppo di vecchi militanti sindacali pubblic una dichiarazione
di sottomissione al regime. Dunque, primo falso. Il trasferimento fu deciso
prima e non dopo il tradimento del gruppo Rigola, DAragona5. Chiudeva
significativamente il capitolo polemico sottolineando che vero che i comunisti hanno fatto gran rumore intorno ad una presunta CGdL che dicevano
di aver ricostruito in Italia. Ma la controversia se poteva ancora avere una
giustificazione un anno fa (cio nel 1927 quando la Federazione Sindacale
Internazionale non aveva deciso sul ricorso comunista e sul contro-ricorso
di Buozzi, n.d.a.) - ora non ne ha pi dal momento che la F.I.S. di Amsterdam
ha ratificato la decisione di trasferimento6.
Ma in una situazione cos difficile, non mancavano i colpi bassi
tanto vero che nella stessa lettera, il militante italiano accusava Buozzi di
aver costruito un vertice sindacale solo di persone a lui fedeli. Replicava il
segretario confederale affermando di non essere affatto circondato di
amici a lui graditi. Coloro che compongono il Comitato Esecutivo della
CGdL italiana furono regolarmente eletti dal congresso del 1924 lultimo
che ebbe luogo in Italia. Bensi, vecchio segretario della Camera del Lavoro
di Milano. Sardelli, vecchio segretario della Federazione dei Trasporti e
Quaglino, segretario della Federazione edile, trasferitosi in Francia dal
19237. Lautore della lettera puntava evidentemente a candidarsi come dirigente sindacale nel Gers (che ora non fa pi parte della Guascogna ma
associata al Midi-Pirenei) dove riteneva che vi fossero condizioni decisa382

L AT T I V I T I N T E R N A Z I O N A L E

mente favorevoli per fare opera di proselitismo fra gli italiani impegnati
soprattutto nel settore agricolo. Buozzi invitava Carrefour a prendere questa
auto-candidatura con le molle: Belli... in sostanza un critico e un ipercritico che si compiace di demolire. Quanto al lavoro di costruzione, io dubito
fortemente che egli possa farne, e non solamente nel Gers, ma dappertutto8.
E poi spiegava i motivi che rendevano complicata una azione di proselitismo
su vasta scala da quelle parti: Voglio esaminare subito la parte dottorale
del suo rapporto , quella che concerne lazione da svolgere tra i contadini
del Gers. Vi vedo almeno due affermazioni inesatte... Non vero (e bisogna
avere il coraggio di dire tutta la verit anche quando essa ci sembra dolorosa) che gli immigrati italiani dellagricoltura del Sud-Ovest siano in qualche misura militanti sindacali... Limmigrato italiano nei campi di questa
regione in maggioranza proveniente dalle provincie italiane che anche negli
anni 1919-1920 non avevano dato alcuno sforzo alle nostre organizzazioni,
o al massimo qualche segno di entusiasmo senza la preparazione e lesperienza che si possono acquistare solo con anni di lotta e dazione proletaria...
Dire che in questi ambienti facile fare della propaganda ingannare se
stessi e i compagni francesi... Lesempio di Tolosa sintomatico. L abbiamo
un compagno che da pi di due anni si votato alla propaganda fra i contadini italiani. Egli ha giustamente organizzato un sistema di propaganda epistolare, come Belli indica. Ebbene! Su qualche decina di migliaia di italiani
che lavorano nellagricoltura del Sud-Ovest, il nostro sindacato conta meno
di cinquecento aderenti... Bisogna tenere conto anche di questaltro elemento
che Belli sembra dimenticare: i mezzi finanziari. Noi non possiamo permetterci il lusso di installare funzionari dovunque occorrerebbe9. E qui Buozzi
inseriva un tema che fu sempre al centro dei suoi discorsi, da quando, segretario della Fiom, aveva deciso di aumentare le quote sociali scatenando le ire
di alcuni oppositori: la partecipazione allattivit sindacale che non pu prescindere da una manifestazione concreta cio economica, di adesione. E allora
sottolineava: Se i compagni immigrati italiani volessero considerare la organizzazione sindacale non come una opera di beneficenza, ma come uno
strumento di lotta... dovrebbero innanzitutto darle la loro adesione e dopo
reclamare da essa i servizi necessari10.
La rete di relazioni internazionali che Bruno Buozzi aveva tessuto
era irrobustita anche da legami personali che, pur nella criticit del mo383

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

mento, il segretario confederale teneva in vita e alimentava anche con


scambi di piccoli favori. Cosa che, ad esempio, emerge dalla lettera a un
dirigente sindacale tedesco, Reventlow che gli aveva chiesto di mettergli a
disposizione la raccolta della legislazione sindacale fascista. Buozzi da
un lato annunciava di non essere riuscito ad averla, dallaltro, assicurava
di averla richiesta alla libreria italiana di Parigi e mi hanno assicurato
che fra non molto arriver11. Quindi dichiarava la sua disponibilit ad inviare al collega e amico tutto quello che gi aveva messo insieme sullargomento (Ho un discreto numero di riviste e giornali. E se mi preciserai
volta in volta ci che ti interessa, guarder di inviarti copia di quanto ho12).
Poi sollecitava due favori. Il primo: Ti unisco copia di un foglietto volante
contenente un appello ai lavoratori italiani (quello redatto dalla Concentrazione, n.d.a.) e un mio articolo sulla recente convenzione stipulata dai fascisti
per gli operai metallurgici. Il foglietto stato introdotto in Italia clandestinamente a migliaia di copie, e dalle notizie che mi pervengono risulta che ha
fatto ottima impressione fra gli operai, e fatto andare in bestia i fascisti. Vedi
se dei due scritti puoi fare un sunto per i giornali germanici. Il secondo: Hai
la possibilit di introdurmi presso qualche rivista germanica per la pubblicazione di articoli particolarmente dedicati alla situazione italiana?13.
La lettera illustra uno dei modi in cui si sviluppava la propaganda a
livello internazionale contro il regime fascista. La Germania poteva ancora
essere un ottimo canale per alimentare quel tipo di attivit anche perch Hitler non aveva ancora conquistato il potere. I rapporti con i colleghi tedeschi
dovevano essere molto intensi se a conclusione della missiva, Buozzi spiegava a Reventlow che lufficio confederale diviso... in due parti. Tutto
ci che si riferisce al giornale lOperaio Italiano deve essere indirizzato
allindirizzo ufficiale, 11 Rue Lafayette, Paris 10. Il resto puoi indirizzarlo
a Bruno Buozzi, Rue J. Dumien, Paris 1014. Lattivit internazionale, insomma, si dipanava su due piani: uno ufficiale che riguardava le istituzioni
e le polemiche pubbliche e uno pi discreto, pi coperto, che riguardava i
rapporti, la possibilit di influire sugli umori generali attraverso laiuto e il
sostegno delle altre organizzazioni sindacali europee che potevano lavorare
ancora in una situazione migliore di quella in cui era costretta ad operare la
CGdL italiana, stretta fra la repressione fascista, i tradimenti dei vecchi
dirigenti che avevano deciso, con la loro adesione al corporativismo, di dare
384

L AT T I V I T I N T E R N A Z I O N A L E

una sorta di copertura al sistema sindacale mussoliniano, i colpi bassi frutto


di sensazioni e iniziative personali, le contrapposizioni politiche che caratterizzavano soprattutto le relazioni fra comunisti e socialisti.
Ma la cosa che pi angustiava Buozzi, in quella fase, era il riconoscimento che a livello internazionale le organizzazioni di Rossoni erano riuscite a ottenere dal Bit, cio dal Bureau International du Travail. E su quel
campo di battaglia era stato costretto a misurarsi con una figura di un certo
rilievo (oltre che di una certa notoriet, almeno allepoca). Negli scritti pubblicati da lOperaio Italiano sullargomento, Buozzi fa riferimento a Giuseppe De Michelis. Non si tratta di un Carneade ma, al contrario, di un
personaggio piuttosto stimato negli ambienti internazionali che frequentava
da decenni. De Michelis si era laureato alluniversit di Losanna nel 1901 in
medicina e subito dopo aveva conseguito anche la laurea in giurisprudenza.
Pian piano si era appassionato al tema dellemigrazione e agli inizi del secolo,
la Commissione Generale dellEmigrazione (CGE) gli aveva affidato il compito di realizzare un rapporto su quella italiana in Svizzera. Divenne, cos,
un esperto della materia e cominci a pubblicare una rivista, Il Pensiero Italiano. Di formazione liberale, aveva stretto rapporti con Luigi Einaudi ma
aveva buone relazioni anche con Giacinto Menotti Serrati e una frequentazione assidua (gli servir anche nella vita professionale) della massoneria.

16.2 La guerra del Bureau

Nella veste di esperto in emigrazione fece notevole carriera e il fascismo, quando arriv al potere, decise di cooptarlo consegnandogli una
tessera onoraria del Partito (in una lettera a Mussolini lui, per, ci tenne a
sottolineare che la sua adesione era stata volontaria e databile nellestate
del 1924, cio dopo lassassinio di Matteotti, cosa che dava, da un certo
punto di vista, ancora pi valore alla volontariet). I rapporti di polizia
dicono che la politica migratoria (rivolta verso lAfrica) del fascismo non
lo convincesse troppo ma il dissenso lo occult piuttosto bene e continu a
salire nella gerarchia fascista tanto vero che nel 1929 Giuseppe Bottai,
gi ministro delle corporazioni, lo propose per la nomina a senatore che
Mussolini accolse con grande calore. Quando il duce arriv al potere, De
Michelis era gi membro del consiglio di amministrazione dellUfficio Internazionale del Lavoro (vi rester sino al 1936, quando lItalia si ritirer
385

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

dal BIT) e nelle stanze ginevrine si muoveva con grande disinvoltura. Cosa
che non pass inosservata. Era, insomma, luomo giusto al posto e al momento giusto. Divenne capo della delegazione italiana alle conferenze periodiche che si svolgevano al Bit e cominci immediatamente (in
particolare a partire dal 1923) a lavorare per garantire a Edmondo Rossoni
e al suo sindacato non un posto al sole, ma uno allombra: lombra della sala
in cui si riunivano rappresentanti dei governi, dei lavoratori e dei datori di
lavoro che partecipavano alla periodica Conferenza. Nonostante limpegno,
De Michelis non riusc a cavare un ragno dal buco sino al 1926, cio sino a
quando la CGdL fu un grado di lavorare, seppur in condizioni molto precarie, in Italia. Poi Mussolini provvide a risolvere il problema e a facilitargli

La lettera inviata da Bruno Buozzi a Pietro Nenni per segnalare i problemi


sorti nel corso della conferenza del Bureau International du Travail

386

L AT T I V I T I N T E R N A Z I O N A L E

la perorazione della causa dei sindacati fascisti in seno al Bit: abol le libert
e var le leggi che riconoscevano una sola organizzazione dei lavoratori,
quella che lui aveva creato a immagine e somiglianza del suo regime.
Nel 1927 De Michelis vinse la sua battaglia e Rossoni, che era presente alla riunione ginevrina, finalmente riusc a entrare in rappresentanza
dei lavoratori italiani al Bit. Non fu, comunque, una passeggiata di salute
perch i sindacati votarono compattamente contro il riconoscimento delle
organizzazioni fasciste e a favore della CGdL in esilio. Peraltro, Buozzi sapeva bene che quella era quasi una missione impossibile. Lo aveva scritto
alla vigilia del vertice decisivo, in una lettera a Pietro Nenni nella quale
sottolineava il cambiamento di atteggiamento del complesso dei rappresentanti governativi, che negli anni passati rappresentava il centro, questanno minaccia di schierarsi almeno in parte per i padroni... Per questo
i nostri amici (evidente il riferimento al leader della Cgt, Lon Jouhaux,
n.d.a.) dicono che ad attaccare Thomas (si tratta di Albert Thomas, socialista
francese, primo direttore del Bureau International du Travail, n.d.a.) si corre
il rischio di fare il gioco dei padroni. Tutti per sono concordi nel ritenere
che se non avverr del nuovo, finita la conferenza bisogner attaccare. La
lettera terminava con un post scriptum che prefigurava la sconfitta: Mentre
sto per imbustare mi annunciano che quasi certamente domani si inizier
battaglia grossa... i rappresentanti degli operai si ritroveranno soli su tutte
le questioni importanti. La missiva datata 1 giugno 1927 ed scritta sulla
carta intestata dellalbergo International et Terminus di Ginevra.
Il nuovo sperato non si materializz. Alla fine, i lavoratori italiani vennero fascisticamente rappresentati grazie non al proprio voto (o di chi li rappresentava nel mondo di allora) ma attraverso il voto dei governi e dei datori
di lavoro che decisero di mettere un timbro ufficiale sulla pratica Rossoni.
Il confronto fu acceso. Contro le pretese fasciste vennero presentate due mozioni, una da Buozzi e laltra dal segretario generale della FSI, Oudegeest. E
sempre Oudegeest insieme al segretario della CGT, Lon Jouhaux, denunciarono la condizione miserabile in cui versavano le libert sindacali in Italia con
organizzazioni costrette a chiudere dalla violenza fascista e italiani obbligati
a iscriversi al Pnf per poter lavorare (o per non essere licenziati).
Lintervento del segretario generale della CGdL fu vibrante e appassionato. Allinzio dellanno cera stato il tradimento del gruppo Rigola
387

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

che De Michelis e Rossoni esaltavano come la conferma che in Italia le libert sindacali continuavano a essere rispettate, che, insomma, la democrazia non era morta ma viva e vegeta. Buozzi diceva: Latto degli ex
confederali italiani Rigola, DAragona e compagni potr essere considerato dai capi del movimento operaio di tutti i paesi pi o meno severamente
secondo tendenze e temperamenti... Ma poich notoriamente nel sistema
del fascismo di non arrestarsi mai ad una vittoria, ecco ora la stampa italiana (in testa Il Popolo dItalia di Mussolini e il Lavoro dItalia di
Rossoni) attaccare il Bureau International du Travail come una istituzione
troppo legata alla II Internazionale e alla Internazionale di Amsterdam e
domandare alla Societ delle Nazioni che tenga a posto questo suo figlio
irrequieto. Questanno Rossoni verr a Ginevra a testa alta e, ritenendosi
ormai immune da ogni attacco sulla legittimit della sua presenza nella
Conferenza internazionale del lavoro, pretender di contrapporre il sindacalismo fascista al sindacalismo come lo definisce lui di Amsterdam5.
Si preparava, il segretario confederale, a una dura battaglia e immaginava che non sarebbe stata semplice e nemmeno vittoriosa. Cercava, allora, di sottolineare laspetto pi critico del sindacalismo fascista: il fatto
di essere al servizio di un regime e di avere lesclusiva della rappresentanza
a discapito di tutte le altre organizzazioni che erano state chiuse per legge.
Affermava: C la questione della libert sindacale... No, non si tratta di
definire teoricamente i limiti della libert sindacale, quanto di vedere in
pratica se il governo italiano rispetta il principio di questa libert nella
sua essenza... Anzitutto sta il fatto che i lavoratori italiani sono inquadrati
nelle organizzazioni fasciste per forza. Dapprima furono le persecuzioni
continue e brutali contro le singole persone dei lavoratori per opera dei
fascisti; olio di ricino, bastonate ai lavoratori pi fedeli alla Confederazione Generale del Lavoro; poi fu la cura ferocemente assidua per far mancare ogni mezzo di sussistenza a chi pretendeva di non entrare nelle
organizzazioni fasciste16. E concludeva con un riferimento storico: (LItalia tutta una Molinella17) per spiegare cosa stava avvenendo nel nostro
Paese. Il riferimento era a quanto accaduto sei anni prima, il 12 giugno del
1921 nella cittadina emiliana. Su ordine del federale di Bologna, Gino Baroncini, un migliaio di squadristi guidati da Augusto Regazzi avevano
messo a ferro e fuoco la Camera del lavoro e la Cooperativa di consumo.
388

L AT T I V I T I N T E R N A Z I O N A L E

Fu, in pratica, una caccia alluomo scatenata da Baroncini nel bolognese


che termin con un bilancio pesantissimo: diciannove morti e quasi duemila
feriti. Continuava Buozzi puntando il dito: Che le organizzazioni sindacali
fasciste siano dominate con criteri che sono la negazione della libert sindacale, lo dice la forma del loro funzionamento... Orbene nelle organizzazioni
sindacali fasciste lassemblea ... non esiste. Esistono le adunate dove capi
nominati, imposti dallalto attraverso la gerarchia anche politica del partito
fascista si limitano a dare comunicazione di quello che hanno deliberato18.
Rossoni si vantava di aver dato alla rappresentanza sindacale una
forma unitaria. Buozzi gli replicava: Lunit non si impone, quando imposta diventa tirannia. Ora il fascismo ha voluto imporre lunit sindacale...
La legge 3 aprile 1926 contiene una disposizione (art 12) in cui pur stabilendo che una sola organizzazione per categoria giuridicamente riconosciuta, e quella sola pu concludere contratti collettivi di lavoro, si riconosce
ad altre organizzazioni sindacali il diritto di esistere come organizzazioni
di fatto (era la norma a cui facevano riferimento Rigola e compagni creando
lAssociazione di Studio Problemi del Lavoro, n.d.a.). Ebbene De Michelis
e Rossoni diranno a Ginevra che uso il governo ha fatto di questo famoso
articolo 12. Noi proveremo che il governo non lo volle applicare19.
Lo scontro tra Buozzi e i sindacati fascisti a Ginevra and in scena
praticamente ogni anno. Ma il duello pi paradossale (e che scaten le ire
di Bottai) si svolse nel 1931. Era accaduto un fatto che aveva in qualche
maniera mutato un po le carte in tavola. In Polonia Jzef Klemens Pilsudski, ispirato da Mussolini, aveva deciso di instaurare un regime autoritario.
E cos, alla conferenza di quellanno, il Bit si ritrov sul tavolo non solo la
controversia italiana ma anche quella polacca. Risultato: i rappresentanti
di Varsavia vennero legittimati a sedersi a quel tavolo con un voto pi largo
di quello ottenuto dagli italiani. La cosa non piacque al ministro delle corporazioni, Giuseppe Bottai, che minacci fuoco e fiamme. Rossoni, nel
frattempo, era uscito di scena e al suo posto era subentrato il trentanovenne
Luigi Razza, un calabrese (a Vibo Valentia gli hanno dedicato una statua,
una strada che collega il parco municipale al tribunale e lo stadio dove gioca
la locale squadra di calcio, la Vibonese) piuttosto sveglio che si era messo
in mostra svolgendo attivit sindacale in Lombardia dove era stato anche
segretario dei Fasci dAzione. La carriera straordinaria (il 24 gennaio del
389

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

1935 era stato nominato ministro dei lavori pubblici) a cui sembrava destinato, venne interrotta da un mortale incidente aereo mentre si recava ad
Asmara. In quel 1931 era ancora un leader sindacale (presidente della Confederazione dei sindacati fascisti dellagricoltura) e in tale qualit puntava
ad accomodarsi allambito tavolo del Bit. Ma quella che si svolse a Ginevra,
come spesso capita alle vicende italiane, da tragedia si trasform in farsa.
La farsa la raccont Buozzi con dovizia di particolari in un articolo che apparve su lOperaio Italiano. Premettendo: Il giornale La Suisse stato
il solo che si degnato di rivolgere qualche parola di conforto (non sappiamo
quanto disinteressata) ai vari Bottai, De Michelis e simili, Razza. Ma siccome
si tratta di un giornale ultrareazionario, senza autorit e senza seguito, lo
sfruttamento che, delle sue parole, ha fatto la stampa fascista, ha finito per
dare maggior risalto al ridicolo di cui si coperta la pattuglia fascista20.
Quindi, con finalit didascaliche, il segretario confederale spiegava
cosa era avvenuto a Ginevra e in quale sede: La Conferenza Internazionale
del Lavoro costituisce lassemblea generale dellUfficio Internazionale del
Lavoro. La Conferenza composta di due delegati governativi, di un delegato
operaio e di un delegato padronale per ogni Stato aderente alla Societ delle
Nazioni. La ratifica dei mandati spetta allassemblea. Per la nomina delle cariche vige unaltra procedura. I delegati governativi, operai e padronali si
costituiscono rispettivamente in gruppi distinti e provvedono alla nomina dei
loro rappresentanti nel Consiglio di Amministrazione dellUfficio e nelle commissioni incaricate di esaminare le diverse questioni21. Spiegato il motivo
del contendere, Buozzi passava alla cronaca. E diceva: Data questa costituzione, Rossoni e Razza, malgrado le proteste del gruppo operaio, vennero
sempre ammessi alla conferenza come delegati operai, col voto compatto dei
padroni e di parte dei governi mentre il gruppo operaio (composto di socialisti, di sindacalisti e di cattolici) valendosi dei suoi diritti, li escluse da tutte
le cariche22. Ma dopo tanti duelli, il regime era deciso a chiudere la partita, a conquistare quelle cariche nelle strutture elettive che i sindacati internazionali non concedevano: Allinizio dei lavori fece spargere la voce (la
delegazione italiana, n.d.a) che se si fosse rinnovato il boicottaggio a Razza
ed ai consiglieri tecnici operai, avrebbe abbandonato sdegnosamente i lavori.
Il gruppo operaio, unanime, non si commosse. Escluse Razza ed i suoi amici
da tutte le commissioni e la delegazione fascista rinfoder le armi... Poi tent
390

L AT T I V I T I N T E R N A Z I O N A L E

il ricatto... Essendo in discussione una proposta di aumento del numero dei


componenti del Consiglio di Amministrazione, fece sapere che avrebbe votata
tale proposta soltanto se fra i suoi eletti vi fosse stato il suo Razza. La richiesta
ricattatoria non trov un cane disposta a sostenerla23.
Il duello, insomma, continuava e la CGdL contestava il mandato del
signor Razza... con una larga documentazione di scritti e discorsi di Bottai,
De Michelis e dello stesso Razza... Alla seduta del 13 giugno la pattuglia fascista non comparve e il valoroso compagno Jouhaux svolse sobriamente la
sua protesta contro la convalida del Razza, mettendo in rilievo che contro i
nemici in fuga non era il caso di infierire. Esaurita la discussione, la commedia littoria riprese il suo posto in aula, priva dei suoi generali. Sicuro! De Michelis, Olivetti24 e Razza seguendo lesempio del loro ministro, avevano preso
il treno25. Insomma, irritati ma non troppo; in fuga da Ginevra ma non troppo.
A presidiare la postazione restavano i semplici funzionari. Ma lo smacco pi
grave per Mussolini, che dava anche il senso di un giudizio politico negativo,
sarebbe arrivato nella solita votazione per la conferma dei delegati alla Conferenza: I nostri amici del Gruppo operaio avevano contestato il mandato a
due delegati operai: a quello polacco, inviato a Ginevra dal governo Pilsudski, ed al signor Razza. Ebbene: in favore del delegato polacco votarono 62
delegati governativi, 25 padronali e 3 operai, formando un totale di 90 voti.
Mezzora dopo, trattandosi del Razza, i voti dei delegati governativi si ridussero a 53, quelli padronali a 23 (totale 76) e il Gruppo operaio ritrov la sua
compattezza. Mussolini, insomma, rimase battuto da Pilsudski per 14 voti, e
di ci sian rese grazie alla strategia e alla tattica del ragazzino Bottai26.
La sostanza della battaglia era la conferma del mandato a Razza
che, per, tra gli operai (che pure avrebbe dovuto rappresentare e dalle organizzazioni dei quali avrebbe dovuto ottenere il consenso) non raccolse
nemmeno un voto; contemporaneamente, rispetto agli anni precedenti qualche crepa si era creata tra i rappresentanti governativi e padronali che avevano consegnato in maniera meno compatta il loro consenso al
rappresentante dei sindacati fascisti. Buozzi, nellarticolo, chiosava: Diciamo la verit: la fuga di Ginevra non ci ha sorpreso. In terreno libero,
in terreno neutro, dove la parola non pu essere soffocata dal manganello,
dal domicilio coatto, dal tribunale speciale e dai plotoni di esecuzione, per
i fascisti il contraddittorio assolutamente insostenibile. Quando un regime
391

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

ha sulla coscienza i misfatti che ha il regime fascista non pu difendersi


con mezzi civili27.
Poi il segretario confederale passava a contestare quello che la delegazione italiana e in particolare De Michelis avevano sostenuto: Nel suo
discorso questo signore ebbe la spudoratezza di dichiarare che i sindacati
fascisti godono di diritti sconosciuti ai sindacati degli altri paesi. Essi sono
organi di diritto pubblico disse integrati nello Stato, rappresentati in
tutti i grandi organi di questo, possessori persino di responsabilit e funzioni
legislative. vero! Sulla carta... Si tratta di diritti concessi soltanto per
soffocarli, per negare loro, insomma, il diritto pi elementare e fondamentale, quello di amministrarsi liberamente e di nominarsi i propri dirigenti...
Sarebbe pi esatto dire sindacalismo sottoposto forzatamente allo Stato...
quello fascista uno strumento di compressione e di spionaggio28. Infine
Buozzi rivolgeva la sua offensiva contro Olivetti: Nel suo discorso... contenuto questo fiore: Malgrado la crisi economica che infierisce attualmente
in tutto il mondo e che in questo momento si fa sentire anche da noi, io credo
di poter dire che lItalia il solo paese dove la discussione tra organizzazioni operaie e padronali non ancora arrivata a delle riduzioni di salario.
Pi falsi di cos si muore...Le riduzioni applicate ai lavoratori agricoli dal
1927 arrivano complessivamente al 50 per cento. Da Ginevra, dal punto
di vista formale, Buozzi torn sconfitto, dal punto di vista della sostanza politica, del giudizio internazionale torn vincitore. Il muro propagandistico
che era stato eretto a difesa del regime cominciava a mostrare delle crepe.
Cinque anni dopo quella bizzarra commedia ginevrina, Mussolini decise di
abbandonare il Bit (usc poi da tutte le istituzioni internazionali a cominciare
dalla Societ delle Nazioni) non tollerando le critiche alla politica dellautarchia. Il fatto che, preparandosi ormai alla guerra di conquista, non riusciva a tollerare quel periodico esame di democrazia che in nessun modo
avrebbe potuto superare.

Pietro Nenni: La lotta di classe in Italia, Sugarco 1987, pag. 263


Bruno Buozzi: I fascisti a Ginevra in lOperaio Italiano 20 giugno 1931, da Bruno
Buozzi: Scritti dellesilio Opere Nuove 1958, pag. 117
3
Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume Edizione Avanti! 1955, pagg. 145-6
2

392

L AT T I V I T I N T E R N A Z I O N A L E
4

Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista Franco Angeli 1984, pag. 79
5
Bruno Buozzi: lettera a Carrefour, 11 marzo 1928 in Bruno Buozzi scritti e discorsi
Editrice Sindacale Italiana 1975, pag 235
6
Bruno Buozzi: lettera a Cerrefour, 11 marzo 1928. Ibidem pag. 236
7
Bruno Buozzi: lettera a Carrefour, 11 marzo 1928. Ivi
8

Bruno Buozzi: lettera a Carrefour, 11 marzo 1928. Ibidem pag. 232


Bruno Buozzi: lettera a Carrefour, 11 marzo 1928. Ibidem pag. 234
10
Bruno Buozzi: lettera a Carrefour, 11 marzo 1928. Ivi
11
Bruno Buozzi, lettera a Reventlow del 23 marzo 1928. In Bruno Buozzi scritti e discorsi Editrice Sindacale Italiana 1975, pag. 239
12
Bruno Buozzi, lettera a Reventlow del 23 marzo 1928. Ivi
13
Bruno Buozzi, lettera a Reventlow del 23 marzo 1928. Ivi
14
Bruno Buozzi, lettera a Reventlow, del 23 marzo 1928. Ibidem pag. 240
15
Bruno Buozzi, discorso alla conferenza del BIT del 1927. In Aldo Forbice (a cura di):
Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943) Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 219
16
Bruno Buozzi, discorso alla conferenza del Bit del 1927. Ibidem pagg. 219-220
17
Bruno Buozzi, discorso alla conferenza del Bit del 1927. Ivi
18
Bruno Buozzi, discorso alla conferenza del Bit del 1927. Ivi
19
Bruno Buozzi, discorso alla conferenza del Bit del 1927. Ivi
20
Bruno Buozzi: Fascisti a Ginevra lOperaio Italiano 20 giugno 1931 in Bruno Buozzi:
Scritti dellesilio Opere Nuove 1958, pag. 113
21
Bruno Buozzi: Fascisti a Ginevra lOperaio Italiano 20 giugno 1931. Ibidem pagg.
113-4
22
Bruno Buozzi: Fascisti a Ginevra lOperaio Italiano 20 giugno 1931. Ivi
23
Bruno Buozzi: Fascisti a Ginevra lOperaio Italiano 20 giugno 1931. Ibidem pagg.
114-5
24
Jacob Angelo Gino Olivetti, segretario generale della Confindustria non aveva nessun
rapporto con la famiglia di Adriano Olivetti
25
Bruno Buozzi: Fascisti a Ginevra lOperaio Italiano 20 giugno 1931. Ivi
26
Bruno Buozzi: Fascisti a Ginevra lOperaio Italiano 20 giugno 1931. Ibidem pag. 116
27
Bruno Buozzi: Fascisti a Ginevra lOperaio Italiano 20 giugno 1931. Ibidem pag. 117
28
Bruno Buozzi: Fascisti a Ginevra lOperaio Italiano 20 giugno 1931. Ibidem pagg.
118-9
9

393

Voi non ignorate del pari, che lultimo tentativo


di unit sindacale fatto verso la fine del 1933
fall a causa della ostilit della vostra organizzazione

Laltra CGdL

Nella foto una fase del congresso di fondazione della CGdL del 1906 che
si svolse a Milano. Sempre nella citt lombarda, in una fabbrica, nacque
nel 1927 la Confederazione clandestina su iniziativa del Partito Comunista

Impiegarono un attimo a separarsi e nove anni per ritrovarsi. Due


date: 20 febbraio 1927, 1 maggio 1936. In questo arco di tempo c la storia di un rapporto difficile, complesso, caratterizzato da aspre polemiche,
da accuse violente, da pesanti interventi del Comintern, da elaborazioni
dottrinarie che consideravano i fascisti iscritti nei sindacati di regime come
compagni che sbagliano e i socialisti come traditori, gente che svendeva il proletariato, personaggi da processare sulla pubblica piazza e, semmai, eliminare. Daltro canto, lUnit clandestina aveva commentato
linfausta decisione di sciogliere la CGdL per trasformarla nellAssociazione di Studio Problemi del Lavoro, con queste parole: Domani i vari
DAragona e Colombino li metteremo con la faccia contro il muro uno di
fianco allaltro. E il plotone di esecuzione tirer nella loro schiena il
piombo mortale. In realt, non ci fu nessun plotone di esecuzione: Colombino mor per i fatti suoi molto prima che il fascismo crollasse, Lodovico Calda cadde nelloblio gi prima delluscita di scena di Mussolini; un
analogo destino tocc anche a Rinaldo Rigola, stritolato moralmente e politicamente da una scelta che non poteva certo fare onore al primo segretario
della CGdL (ridotto in miseria poi si rivolse a Giuseppe Di Vittorio per ottenere un aiuto che gli venne concesso). Lunico che riusc a ritagliarsi un
minimo di spazio politico dopo la guerra fu Ludovico DAragona che fra
il 1946 e il 1951 ricopr per tre volte la carica di ministro (Poste, Trasporti,
Lavoro). Insomma, per risistemare le pedine sulla scacchiera della storia,
non vennero convocati i plotoni di esecuzione, semmai lavorarono le mani
assassine che eliminarono da questo complesso gioco Bruno Buozzi.
Sarebbe utile provare a capire in quale maniera quei sette anni abbiano, poi, contribuito ad accentuare le diffidenze che caratterizzarono
anche i negoziati per il Patto di Roma, per la costruzione di un sindacato
397

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

unico che per la prima volta doveva superare non solo le diversit ideologiche ma anche quelle religiose coinvolgendo i cattolici che sino a prima
del fascismo avevano preferito organizzarsi per proprio conto nella Cil.
Perch evidente che molti di quei veleni, alimentati dalla corsa allegemonia (culturale prima ancora che organizzativa) nella rappresentanza del
mondo del lavoro che troppo spesso ha indotto un pezzo della sinistra italiana a sentirsi il depositario di una verit rivelata che, poi, rivelata non era
affatto, hanno avuto degli strascichi, anche psicologici perch relativi alle
relazioni tra le persone, cio alle dinamiche private pi che a quelle pubbliche. Lo straordinario impegno posto nellaffermazione della purezza
ideologica non ha certo agevolato, negli anni e nei decenni il dibattito, al
contrario ha contribuito a trasformare il campo delle forze progressiste italiano in una sorta di cortile riservato al combattimento tra galli aggressivi.
La conseguenza stata la perdita di lucidit, la difficolt a confrontarsi con la realt in continuo mutamento, la lentezza a prevedere cosa ci
fosse dietro langolo della storia. Atteggiamenti e comportamenti che
hanno, nel campo opposto, prodotto una certa tendenza a inseguire un nuovismo senza contenuti e prospettive, la trasformazione della modernit in
un principio di vita assoluto e incontestabile, una certa disinvolta adesione
a comportamenti superficialmente considerati innovativi ma in realt solo
profondamente sbagliati. Insomma, da un lato lirrigidimento dottrinario,
dallaltro leccesso di elasticit etica. Nel mezzo una sinistra che non riuscita a evolversi finendo per essere in alcuni casi velleitariamente in lotta
col capitalismo, in altri supinamente subalterna. E tutto questo mentre in
Europa quella stessa sinistra si evolveva e governava, a volte scrivendo la
storia, altre volte deludendo le attese, sempre, comunque, riuscendo ad
avere una centralit politica che, al contrario, in Italia stata episodica o
stentata. Una sinistra, in sostanza, che in buona parte rimasta bloccata a
quei vecchi contrasti e a quei vecchi anatemi, formulati, semmai, con parole
nuove, pi moderne o eleganti, ma ferme su un confine che non mai stato
attraversato. Perch, poi, a guardare bene alcuni dei motivi che inducevano
Buozzi e i sindacalisti comunisti a parlare lingue cos diverse pur in una situazione che, al contrario, avrebbe dovuto facilitare luso di una grammatica
e di una sintassi comune, sono in buona parte riemersi quando i negoziati
per la ricostruzione del sindacato sono entrati nel vivo, quando con estrema
398

L A LT R A C G d L

chiarezza salito in superficie il contrasto tra il segretario della CGdL e


Giuseppe Di Vittorio, che non era solo determinato da una diversit temperamentale ma da un bagaglio dottrinario che impediva la comprensione
vicendevole delle ragioni e dei torti. Il problema (lo vedremo pi avanti)
per Di Vittorio (estremamente pressato, condizionato dal partito) era laffermazione dellegemonia comunista nella rappresentanza dei lavoratori,
lidea aprioristica che la maggioranza del proletariato fosse attestato sotto
le bandiere del Pci. Cosa che poteva essere anche vera ma che finiva per
confondere dinamiche politiche e dinamiche sindacali: ladesione a un partito il frutto di una scelta ideologica, quella a un sindacato pu essere
anche solo la conseguenza di un bisogno, della necessit di avere uno strumento di tutela, di difesa nei confronti di un sistema che ti stritola o di attacco a posizioni e soluzioni che sono oggettivamente contrarie agli
interessi dei lavoratori. evidente che il sindacato trova una sponda politica
nei partiti pi sensibili a questo tipo di messaggi, ma considerarlo un partito
sotto altra forma finisce per essere un errore, che limita in misura notevole
le capacit di rappresentanza e di movimento delle organizzazioni dei lavoratori. Lidea di un Popolo Eletto che guida il sindacato a prescindere da
qualsiasi verifica pratica, fa inevitabilmente a pugni con una concezione
inclusiva del suo ruolo, tanto pi inclusiva in quanto fa riferimento a un
Paese come lItalia decisamente frammentato, anzi storicamente frammentato, tanto da un punto di vista sociale quanto da un punto di vista politico
(come dimostrano i tentativi, al momento coronati da insuccesso, di realizzare per legge il bipartitismo o la sua versione pi compromissoria, cio il
bipolarismo) quanto ancora da un punto di vista geografico. Il 1 maggio
del 1936 la CGdL ritrov una sua prima, temporanea unit. Laccordo per
rimettere insieme le due confederazioni nate dallo scioglimento deciso dal
gruppo DAragona-Rigola il 4 gennaio 1927, era stato definito nel mese di
aprile ma annunciato in una data-simbolo: la festa del lavoro. E a quellintesa si era giunti dopo cinque, sei mesi di fitti contatti, resi pi complessi e
difficili dalle condizioni oggettive: dirigenti in esilio, consultazioni da realizzare in fabbrica aggirando i controlli della polizia fascista, evitando una
repressione che col tempo era diventata sempre pi feroce.
I segnali, per, erano diventati chiari quando su lOperaio Italiano
fu pubblicata una lettera di Bruno Buozzi in risposta a una sollecitazione
399

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

arrivata dallaltra CGdL. Era gennaio e il giornale dava conto di una missiva
spedita alcune settimane or sono dalla segreteria della CGdL comunista
alla CGdL italiana, una formula velenosa per sottolineare che la prima
era una organizzazione che riguardava una sola parte politica mentre la seconda era la diretta prosecuzione dellorganizzazione ecumenica nata nel
1906. Il resoconto svelava il contenuto della lettera: Dopo spiegate le ragioni che attualmente militano in favore dellunit sindacale, chiedeva che
due delegazioni delle due Confederazioni si riunissero insieme per esaminare di comune accordo le basi e le modalit di fusione delle due organizzazioni e il programma della Confederazione unica che ne dovrebbe
risultare1. Al primo contatto scritto, aveva fatto seguito un colloquio tra
Buozzi e Di Vittorio che guidava la CGdL comunista. In quella occasione,
il primo aveva fatto presente che la risposta non sarebbe stata sollecita
perch la proposta di unit doveva essere esaminata dagli organi responsabili della CGdL anche nei suoi rapporti con laffiliazione alla Federazione
Sindacale Internazionale2. Dicembre era evidentemente passato invano e
agli inizi del nuovo anno Di Vittorio bussava di nuovo alla porta di Buozzi,
consapevole della fattibilit delloperazione essendo nel frattempo diventate
favorevoli le condizioni politiche. Il 17 agosto del 1934, infatti, Palmiro Togliatti, segretario comunista, e Pietro Nenni, segretario socialista, avevano
firmato il patto di unit dazione antifascista (intesa che fu poi investita dalla
bufera nel momento in cui Molotov e Ribbentrop firmarono il 23 agosto
1939 il famoso trattato di non aggressione con il quale Hitler e Stalin si dividevano le spoglie della Polonia e lArmata Rossa veniva autorizzata a
invadere le Repubbliche Baltiche). Non cerano, insomma, pi impedimenti
alla ricomposizione di una frattura sindacale che in realt ai comunisti aveva
portato pochissimi benefici visto che la CGdL organizzata in clandestinit
non era alla fine andata oltre la pubblicazione del vecchio giornale Battaglie
Sindacali. La cronaca stringata de lOperaio Italiano spiegava, dunque,
che in data 2 (gennaio 1936, n.d.a.) corrente la confederazione comunista
scrisse nuovamente alla CGdL rievocando i termini della sua proposta di
unit sindacale, lamentando di non avere ancora ricevuto una risposta ed
augurandosi che il lungo silenzio non significhi ostilit preconcetta allunit sindacale. A questa sollecitatoria, lEsecutivo della CGdL ha risposto con la seguente lettera3.
400

L A LT R A C G d L

I toni erano formali. Risentivano, evidentemente, di anni, nel migliori dei casi, di incomunicabilit, nel peggiore di aperta e non ancora sanata ostilit. Daltro canto, nulla era stato risparmiato nel fuoco della
polemica. Nessuno sconto aveva, ad esempio, fatto il Comintern nel momento in cui aveva scritto: Noi dobbiamo considerare Buozzi come un liquidatore della CGdL, un disertore e denunciarlo come tale alla classe
operaia italiana4. Il segretario confederale, nove anni dopo non era pi
un disertore, almeno non lo era per i comunisti italiani che con lui volevano
provare a ricostruire ununit sindacale che diventava uno strumento decisivo nella lotta al fascismo. Le polemiche e le incomprensioni non avevano
facilitato quella battaglia, anzi lavevano il pi delle volte complicata perch limmagine del vero nemico era stata dimenticata per concentrarsi su
un nemico fasullo, che poteva anche essere (in un regime democratico) elettoralmente un avversario ma che in un momento come quello, con una dittatura che si era ormai messa alle spalle gli anni del maggiore consenso e
si avviava (per le avventure coloniali e per la guerra) verso la crisi definitiva, poteva soltanto essere un alleato. Buozzi, nella seguente lettera da
un lato rassicurava gli interlocutori ma dallaltro ci teneva a sottolineare
che le difficolt incontrate nella ricomposizione del tessuto unitario non
erano state prodotte a Parigi ma, semmai, a Mosca e dintorni. Scriveva il
segretario: Abbiamo ricevuto la vostra proposta di unit sindacale e comera nostro preciso dovere labbiamo sottoposta allesame dei nostri
gruppi residenti in Italia. Alcuni di questi gruppi ci hanno gi risposto,
altri ci hanno promesso di farlo fra breve. Appena ricevute queste risposte
convocheremo il nostro Consiglio allargato. Immediatamente dopo e sar
entro il mese corrente vi indicheremo la data e il luogo in cui la nostra e
la vostra delegazione potranno incontrarsi. E poich voi conoscete quanto
noi le difficolt che si devono superare per consultare i gruppi di militanti
che operano in Italia, speriamo vi persuaderete che il nostro ritardo pi
che giustificato e per nulla imputabile a ostilit preconcette allunit sindacale5.
Le lettera esprimeva chiaramente la volont della CGdL di Buozzi
di andare a una intesa. Ma ci teneva a sottolineare una diversit di comportamenti: le ostilit preconcette non facevano parte delluniverso pragmatico
della Confederazione che aveva scelto di trasferirsi a Parigi che ben altre
401

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

ostilit aveva dovuto, negli anni precedenti, fronteggiare. Per rendere ancora pi esplicito il concetto, Buozzi concludeva: Cogliamo anzi loccasione per riconfermare che di questa unit siamo stati sempre fautori
ferventi e che della scissione sindacale italiana noi non abbiamo minima
responsabilit. Voi non ignorate certo che la nostra Confederazione esiste
fino dal lontano 1906, mentre la vostra venne creata nel 1927 quale contro-altare alla nostra. E voi non ignorate del pari, che lultimo tentativo di
unit sindacale fatto verso la fine del 1933 da un gruppo di lavoratori massimalisti, fall proprio a causa dellostilit della vostra organizzazione6.
Buozzi, in un momento in cui si andava a un chiarimento, ci teneva a fare
un piccolo ripasso di storia. Ci teneva, tanto per cominciare, a sottolineare
che non cera stato alcuno scioglimento della Confederazione visto che
lorganizzazione allestero aveva provveduto a disconoscere quanto fatto
da DAragona e soci anche perch, al di l di qualsiasi valutazione politica,
la scelta era stata adottata da persone che non avevano alcun potere. Dunque, rivendicava la continuit che i comunisti, al contrario, avevano
messo in discussione nel momento in cui avevano deciso di costituire unaltra CGdL.

17.1 Un sindacato senza barriere religiose

E quella continuit era confermata dal fatto che la Federazione Sindacale Internazionale si era affrettata a riconoscere la legittimit della
ditta aperta a Parigi da Buozzi, anzi, come lo stesso segretario aveva spiegato, aperta ad Amsterdam visto che ufficialmente la sede della CGdL coincideva con quella della Fsi. Ma non si limitava a queste precisazioni, il
segretario. Venuti i nodi al pettine, verificata limpossibilit di gestire in
clandestinit lazione sindacale (conclusione a cui Buozzi era giunto subito
dopo Palazzo Vidoni, il varo della legge sindacale e le norme repressive
che avevano fatto seguito allattentato di Bologna contro Mussolini), i comunisti dovevano prendere atto in qualche maniera degli errori compiuti
con quella scelta. Se il fronte operaio aveva subito una dolorosa frattura, la
responsabilit non era stata di chi, con lucidit aveva preso atto che le cose
in patria avrebbero avuto un corso poco favorevole alla libera gestione
dellattivit sindacale, ma ricadeva inevitabilmente su chi si era illuso che
si potesse continuare contro una legislazione che non prevedeva alternative
402

L A LT R A C G d L

alliscrizione alle organizzazioni fasciste, contro un apparato repressivo


allopera ventiquattro ore al giorno, contro un sistema autoritario che aveva
cancellato garanzie e libert, contro un regime che garantiva benefici e privilegi ma pretendeva (e obbligava alla) obbedienza acritica, anzi assoluta.
Insomma in un Paese in cui si chiedeva un unico sforzo, portare il cervello
allammasso, immaginare di costruire una dinamica sindacale che fatta
inevitabilmente di contraddittorio e conflitto era pi che altro una pia (per
quanto volenterosa e in parte eroica) illusione.
Le risposte alla fine arrivarono e furono quelle che Di Vittorio aveva
sollecitato. Buozzi, in realt, di rifiutarle non aveva avuto alcuna intenzione.
Le scelte, gli scritti, i comportamenti tenuti prima del fascismo e anche
dopo, erano l a dimostrare che lanelito unitario era stato continuamente
coltivato e non era mai appassito. La consapevolezza che lunit fosse un
valore non era mai stata messa in discussione, nemmeno nei momenti in
cui la contrapposizione polemica era stata pi velenosa. E alla fine, in
quellaprile del 1936 venne messo nero su bianco un programma comune
che venne reso pubblico il giorno della festa del lavoro. Diceva: La CGdL
ha lo scopo di raggruppare tutti i lavoratori salariati di ogni corrente politica e religiosa per la difesa e il miglioramento delle proprie condizioni
di vita, sviluppando questa lotta sino allabbattimento del fascismo e del
regime capitalista, condizione indispensabile per lemancipazione totale
del lavoro7. In questa dichiarazione c buona parte della elaborazione che
Buozzi era andato sviluppando sin dagli anni Venti. E ci sono alcuni semi
che poi verranno piantati nel Patto di Roma, otto anni pi tardi. Il seme pi
evidente quello relativo allidea di un sindacato che abbia lo scopo di
raggruppare tutti i lavoratori salariati di ogni corrente politica e religiosa.
Il segretario confederale era stato il primo a cogliere laspetto innovativo,
sulla scena politica italiana, dellirruzione di un partito cattolico. Aveva
percepito questo elemento di novit con una tale chiarezza da sollecitare,
proprio nel corso di una riunione politica, lalleanza di governo tra socialisti
e Popolari per sbarrare la strada del potere a Mussolini. Ma su quella strada
nessuno decise di seguirlo e il conto di quella cecit alla fine lo aveva pagato lItalia, con la marcia su Roma e col Ventennio. Buozzi capiva che
quelle dinamiche politiche, e quindi sindacali, si sarebbero riproposte dopo,
a fascismo caduto e a democrazia riconquistata. La CGdL non poteva che
403

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

prenderne atto e uniformarsi al nuovo. E anche lidea che lemancipazione


totale dei lavoratori dovesse essere per forza di cose la conseguenza dellabbattimento del regime (prima ancora dellannichilimento del capitalismo) era il frutto dellelaborazione che Buozzi era andato sviluppando in
numerosi scritti: non esisteva sindacalismo senza libert, lunit imposta
per legge solo una variante della tirannia. Era per la Confederazione, che
si schierava compatta sotto le insegne della Federazione Sindacale Internazionale, un nuovo inizio. Il programma dellorganizzazione nuovamente
unitaria era ambizioso, soprattutto in rapporto alle condizioni in cui era
chiamato ad operare e al clima che ormai, con Hilter al potere, volgeva decisamente al peggio, alla guerra di conquista, al nuovo Grande Macello
che avrebbe oscurato quello di alcuni anni prima.
Gli obiettivi erano il prodotto di un cocktail di aspettative puramente
sindacali e di necessit pi squisitamente politiche. Politico era lobiettivo
di far crescere allinterno del paese e delle fabbriche (che giocarono, poi,
un ruolo non irrilevante nei momenti decisivi della guerra di liberazione)
il malcontento contro un regime che, comunque, aveva cominciato a svelare
alcuni dei suoi inganni, anche sotto la pressione di una crisi economica che
dur una decina di anni. Sindacale, invece, quello che prevedeva lelezione
di rappresentanti di fabbrica cosa che avverr con laccordo firmato da
Buozzi con Piccardi e Mazzini dopo il 25 luglio del 1943. Il sindacato, pur
sapendo di avere margini di azione molto ridotti e di dover combattere contro il controllo poliziesco, puntava a ricostruire una presenza allinterno dei
luoghi di lavoro e, daltro canto, senza questa presenza una organizzazione
sindacale non pu esistere. Bisognava muoversi in ambiti strettissimi, con
prudenza, limitando al minimo i rischi gi naturalmente altissimi. E, allora,
per ricostruire questa presenza, la CGdL riunificata si affidava alle sue vecchie strutture, senza discriminarle, a conferma che la contrapposizione ideologica era stata (almeno momentaneamente) accantonata.
E cos un ruolo lo svolgevano tanto gli organismi che facevano riferimento alla Federazione Sindacale di Amsterdam, tanto quelli che erano
stati la filiazione della Internazionale Rossa. Nel programma, infatti, si diceva: Utilizzare per la continuit e lo sviluppo del lavoro in Italia, sia gli
aderenti alla vecchia sezione della Fsi, sia lorganizzazione della vecchia
sezione italiana della Isr, che consiste in una rete di fiduciari confederali,
404

L A LT R A C G d L

nei quali sono raggruppati in forme diverse ed elastiche, un certo numero


di operai attivisti confederali: fare appello a tutti i vecchi militanti dogni
corrente sindacale, ai giovani, agli operai attivi, perch partecipino e collaborino allo sviluppo di questa rete di fiduciari, i quali divengono i fiduciari della CGdL unica8. Lunit, insomma, si esprimeva con una
addizione e la somma finale risultava gradita a tutti, ai socialisti e ai comunisti. Per agevolare lintesa, Buozzi faceva propria una tesi di Di Vittorio: quella che prevedeva di penetrare, di insinuarsi allinterno delle
organizzazioni di massa fasciste per favorire il reclutamento.
Laccordo chiudeva una parentesi lunga nove anni. Il percorso era
stato tortuoso, in alcuni casi erano entrate in crisi anche delle consolidate
amicizie. Tutto, come abbiamo gi detto, era cominciato con quella famosa
scelta del gruppo DAragona-Rigola. Buozzi aveva deciso (peraltro gi da
prima di quel comunicato del 4 gennaio 1927) di portare allestero la sede

Di Vittorio (eccolo in un comizio del 47) rappresent la CGdL clandestina a Mosca

405

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

dellorganizzazione. In questa scelta era stato anche sollecitato dalla Federazione Sindacale Internazionale. Ma nemmeno la decisione dei comunisti
era stata un fulmine a ciel sereno. Ad annunciare una simile evoluzione era
stata, proprio il primo dellanno (1927), Camilla Ravera, membro dellUfficio Politico del PCdI. A Palmiro Togliatti aveva comunicato, infatti, che
qualora risultasse ben certo che la CGdL (ci che appare la cosa pi probabile) rinuncia ad ogni lavoro organizzativo e di reclutamento, io penso
che si possa fare un manifesto di partito in cui si denuncia questo atteggiamento dei capi confederali, si richiamano gli operai a tutelare la vita e
gli interessi della loro organizzazione, a ricostruire le fila della CGdL in
modo da ricostruire le forze e darle una capace e degna direzione... In un
primo tempo... il nostro lavoro sindacale dovrebbe soprattutto avere il carattere di unazione di propaganda e di agitazione sindacale, pi che di
stretta organizzazione9.
Il 5 febbraio, un mese dopo lo scioglimento decretato da DAragona
e Rigola, lUnit clandestina annunciava la ricostituzione dellorganizzazione sindacale, seppur in clandestinit. Scriveva lorgano comunista: Il
diritto sindacale occorre conquistarselo e riconquistarselo quando si perduto. Le difficolt che derivano dalla situazione, lesistenza di una proibitiva legislazione fascista, i maggiori sacrifici imposti dalla lotta non
getteranno gli operai nellinerzia e nella passivit, perch gli operai si rifiutano di accettare il presente stato di cose, vogliono superarlo. Quando
le vostre camere del lavoro caddero ad una ad una , parve a taluno come
lorganizzazione fosse morta. Ma i nuclei vitali del movimento sindacale
continueranno a vivere; perch il sindacato non un edificio di mattoni
ma un organismo vivente della vita delle masse. Oggi, che insieme con i
vostri nemici, i vostri capi tentano di far crollare la vostra massima organizzazione, voi affermerete che la Confederazione generale del lavoro vive,
che la deliberazione di coloro che furono i vostri dirigenti non ha alcun
valore, che essa non stata sanzionata da voi e non lo sar mai10. Il 20
febbraio, infine, nellofficina di una fabbrica di specchi in via Porta Vigentina nasceva la CGdL in clandestinit preconizzata da Camilla Ravera e dal
lUnit. In quellofficina oggettivamente non cerano tutte le anime del
lavoro italiano e tutte le anime sindacali. Cerano le federazioni in cui i
comunisti erano maggioranza (legno, alberghieri, impiegati privati), cerano
406

L A LT R A C G d L

singoli esponenti delle grandi categorie (metallurgici, chimici, alimentaristi,


trasporti) e delle camere del lavoro, soprattutto del nord (Milano, Torino,
Genova, Bologna, Trieste, Vicenza, Roma e Napoli). Il convegno venne
messo in piedi da Paolo Ravazzoli. Tornitore come Bruno Buozzi, si era
iscritto al PCdI aderendo allala bordighiana ed era entrato nel comitato
sindacale del partito. Dopo la marcia su Roma era andato via dallItalia, sistemandosi in un paese nel nord della Francia ma nel 1925 era rientrato in
Italia. Avvicinatosi a Gramsci, quando questi nel 1926 vinse il III congresso
che si svolse a Lione, lui entr nel comitato centrale e in quello esecutivo
del PCdI. Venne, ovviamente, eletto segretario della nuova organizzazione
e come primo atto resuscit, seppur in clandestinit, il vecchio organo Battaglie Sindacali (il primo numero usc il 15 marzo 1927).
La scelta della clandestinit e della rottura con Buozzi, per, non
che fosse condivisa da tutti. Palmiro Togliatti, ad esempio, avrebbe preferito
evitare quella contrapposizione di sigle analoghe tanto vero che si adoper
a favore delle trattative che avrebbero potuto portare alla ricomposizione
nove anni prima. Un emissario, Angelo Tasca, venne inviato da Bruno
Buozzi per cercare di risolvere la questione. Il mediatore in una relazione
del 9 marzo del 1927, cio poco prima del ritorno in vita di Battaglie Sindacali, faceva sapere che Buozzi non si opponeva alla riunificazione ma
a una condizione: la direzione politica della Confederazione doveva competere agli uffici parigini. Il segretario confederale accett anche la proposta
di eleggere i delegati nelle fabbriche ma anche in questo caso pose come
condizione che la linea avrebbe dovuto fare sempre e comunque capo alla
sede in esilio.
I comunisti temporeggiarono. E questo (insieme alle trattative)
spiega perch in un primo momento la CGdL comunista avesse accettato
senza sparare nemmeno un colpo di cannone polemico il riconoscimento
dellorganizzazione di Buozzi da parte della Federazione Sindacale di Amsterdam. Tasca incontr di nuovo Buozzi il 15 marzo. Poi la repressione
complic la trattativa. Venne, infatti, arrestato l11 aprile Luigi Pagani in
partenza per Parigi su incarico del PCdI dove avrebbe dovuto continuare il
negoziato con il segretario della CGdL. Larresto e i malumori sovietici fecero precipare la situazione. Sotto la pressione del Comintern (che aveva
accusato Buozzi di essere il commissario liquidatore del sindacato) la pol407

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

trona nella sala di Amsterdam divenne un obiettivo ambito anche per la


confederazione comunista. Tanto vero che Ravazzoli nel luglio del 1927
venne spedito a Parigi per perorare la causa dellingresso della Organizzazione clandestina nellInternazionale Sindacale. Cominci una nuova battaglia. Ravazzoli non fu ammesso al quarto congresso della FSI, ma riusc
a ottenere un incontro con i vertici della Federazione di Amsterdam anche
grazie al sostegno di Buozzi e Saragat, a conferma della disponibilt socialista a ritrovare lunit. L8 agosto si svolse la riunione con il presidente
Johan Sassenbach. Cera anche Tasca. Ma la CGdL clandestina non cav
un ragno dal buco. Buozzi risult, con il suo controricorso, pi convincente
del collega che allepoca era ancora comunista (Ravazzoli lascer poi il
PCdI e concluder la sua parabola politica in Giustizia e Libert) e alla fine
Amsterdam chiuse la controversia a favore della Confederazione che aveva
deciso di operare fuori dallItalia (peraltro la partita non era stata mai realmente riaperta poich tanto la FSI quanto lInternazionale Operaia e Socialista avevano riconosciuto la struttura parigina sin dal 26 febbraio 1927).

17.2 Quella lite tra Turati e Buozzi

Intorno alla vicenda era cresciuta, comunque, una tensione piuttosto


alta che alla fine coinvolse anche il rapporto di amicizia che legava Buozzi a
Turati. Il vecchio capo socialista nella casa del leader sindacale sarebbe morto
ma in quegli anni in cui si provava pi a sopravvivere che a vivere, anche la
critica minima si trasformava in occasione di litigio. Certo, Buozzi tenne la
polemica su un piano di grande civilt, proprio per il rapporto che lo legava
al suo maestro. Ci non toglie che in una lettera del 1928, il segretario confederale si lamentasse per la tolleranza eccessiva che Turati mostrava nei confronti dei toni che spesso i comunisti usavano nei confronti della CGdL in
esilio e del suo leader. Scriveva a Turati: Battaglie Sindacali - Sindacato
rosso ha una manchette che mi accomuna con DAragona, quella frase volgare e quellaltro titolo: Gli ex confederali venduti al fascismo. A parte
che nessuno, neppure ora, pu parlare di venduti, a quei fessi di RigolaDAragona, c da domandare : gli ex chi? Ci sono degli ex confederali in
carcere, al domicilio coatto ed alla fame11. La lettera cominciava con la manifestazione di uno stato danimo molto irritato: Caro Turati per evitarmi
altre arrabbiature vado a spasso, al Salon a vedere altri quadri12.
408

L A LT R A C G d L

E poi continuava nello sfogo: LUnit con stella porta il motto:


Gli interessi dei lavoratori si difendono in Italia. Tu mi hai detto ieri (e
mi sono arrabbiato contro di te...) che si tratta di un pensiero. No. Si tratta
di un motto, di una parola dordine comunista, che ricorre continuamente
sui giornali comunisti a condanna della Confederazione e dei partiti trasferitisi e fuggiti allestero. I comunisti, in Italia, non hanno n direzione
del partito n Confederazione, perch tutto diretto da qui o da Mosca.
Ma il motto di cui sopra rappresenta una posizione polemica contro di noi.
La sigla III, rossa o nera, rappresenta uno dei tanti segni della Terza
internazionale, che ricorre continuamente sulle pubblicazioni comuniste.
Trascuro le frasi di propaganda comunista. E trascuro pure tre pagine di
un convegno-trucco tenutosi a Milano per ricostituire la Confederazione
del lavoro, cio contro di noi che labbiamo trasferita qui12. Il clima, dunque, subito dopo la moltiplicazione delle sigle era teso. Una tensione anche
determinata dalla repressione e da alcune vicende veramente poco edificanti. Molti dei militanti comunisti che diedero vita alla Confederazione
clandestina poco dopo vennero arrestati e processati. E in una occasione,

Turati (il primo da destra) e i candidati socialisti in una cartolina elettorale del 1900

409

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Ludovico DAragona fu protagonista di una sorprendente testimonianza.


Il processo in questione si era tenuto un mese prima di quella lettera a Turati. Davanti al tribunale speciale era comparso Leonardo Nissi, muratore
di Fasano che dal 1919, alla ricerca di lavoro, si era stabilito a Trieste. L
si era avvicinato ai comunisti e qualche mese dopo il convegno milanese
svoltosi nella fabbrica di specchi, precisamente a luglio, aveva subto una
perquisizione. In casa gli avevano trovato un paio di tessere della CGdL e
un elenco di nomi cifrato. Il Tribunale Speciale presieduto dal giudice Saporiti, con la sentenza numero trentasei, il 17 aprile del 1928 lo condann,
per propaganda sovversiva e appartenenza al PCdI, a una pena piuttosto
pesante: cinque anni di reclusione e tre di libert vigilata (che scont nel
paese dorigine, in Puglia).
Al di l dei risentimenti, pi o meno reciproci, la gestione dellattivit sindacale in clandestinit era praticamente impossibile. Lultimo sussulto di combattivit fu nei primi mesi del 1927 quando diverse fabbriche
furono costrette dagli scioperi a fermarsi. La cosa scaten una feroce repressione e molti dirigenti politici e oppositori vennero arrestati. Verso la
fine dellanno, a novembre del 1927, anche Ravazzoli fu costretto a riparare
in Svizzera.
Alle difficolt organizzative, si aggiungevano, inoltre, i problemi
politici, prodotti soprattutto dallintervento del Comintern che nel 1928 teorizz il cosiddetto terzo periodo che imponeva di lottare non solo contro
la borghesia ma anche contro i partiti socialisti. Una svolta che non convinse gran parte dei dirigenti del PCdI, che portava a una radicalizzazione
dei rapporti con i vecchi compagni di lotta politici. Ravazzoli insieme a
Tasca non condivise. Ma anche Togliatti era molto perplesso. Solo che poi
su di lui ebbe la meglio la ragion di partito: si alline e Ravazzoli venne
espulso insieme a Tasca che con Tresso e Leonetti criticarono laccettazione
della linea del socialfascismo. A livello sindacale la mancata unificazione
e il rifiuto della Federazione di Amsterdam di accogliere la sigla comunista,
port la CGdL clandestina ad avvicinarsi sempre di pi allInternazionale
Rossa (Di Vittorio partecip al IV congresso di quellorganizzazione). Per
era chiaro a tutti che lazione dellorganizzazione sindacale stava diventando sempre pi sterile. Una situazione che veniva riconosciuta anche in
occasione della seconda conferenza della CGdL comunista (aprile 1929)
410

L A LT R A C G d L

che affermava di non aver saputo trovare forme di collegamento con le


masse... n risolvere la questione della direzione della lotta quotidiana per
dirigere le azioni di massa dei lavoratori, che avevano chiaramente il carattere della lotta di classe13.
Lentamente riemergeva la necessit di uscire da una situazione di
impasse, semmai recuperando i rapporti unitari che erano stati devastati da
anni di polemiche e contrasti. Togliatti non a caso affermava: Al centro
della svolta, in campo sindacale, c il problema del passaggio dalla propaganda allattivit quotidiana tra le masse, sfruttando tutte le possibilit
offerte dal fascismo14. Allunit pensava Di Vittorio e lanciava la proposta
nella terza conferenza della CGdL. Ma legemonia doveva essere comunista: I concentrazionisti, i residui del defunto Aventino, sotto la maschera
di un antifascismo parolaio cercano di sottrarre il proletariato allinfluenza
del partito comunista e della CGdL. Il partito comunista e tutti gli elementi
rivoluzionari devono denunciare con la massima energia le manovre scissioniste dei socialfascisti... dobbiamo agitare la CGdL come organizzazione
unitaria del proletariato italiano, dobbiamo realizzare nel suo seno il fronte
unico antifascista15. Uniti s ma sotto precise insegne. Nel frattempo la
CGdL clandestina si proponeva obiettivi che forse nemmeno in un sistema
libero e democratico avrebbe mai potuto realizzare: liberazione dei prigionieri politici, soppressione della milizia e delle leggi speciali, riconoscimento della libert di associazione sindacale, aumenti salariali. Alla fine di
questo percorso cera lo sciopero generale.
Le distanze tra le parti erano ancora molto ampie. Di quella terza
conferenza, la polizia ricav e trasmise al ministero una nota che conteneva
una dichiarazione approvata in assemblea: Compagni, la terza conferenza
internazionale della Confederazione Generale del Lavoro dItalia che ha
avuto luogo in questi giorni ha approvato allunanimit una disposizione
di completa ufficiale adesione allInternazionale Rossa dei sindacati professionali... DAragona, Rigola e gli altri traditori sono passati apertamente al servizio del fascismo, mentre unaltra parte di essi (Buozzi e
compagni) fanno allestero unopera contro la classe operaia italiana, cercando di creare delle riserve per il capitalismo italiano. E questi e quelli
sono cinicamente superbi del loro vergognoso merito, cio del fatto che
essi con il loro tradimento hanno sconfitto il proletariato italiano. La data
411

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

quella del 16 novembre 1930. Lentamente, per, qualcosa si muoveva.


Nel 1933, infatti, la CGdL comunista organizzava un congresso del fronte
unico operaio di tutta lEuropa, non dimenticando, comunque, di lanciare
qualche insulto ai socialfascisti (Malgrado lostilit aperta dei loro capi:
Modigliani, Nenni, Buozzi e C., che si sono mostrati accanitissimi avversari
del fronte unico proletario16).
Il clima, per, stava cambiando e si andava verso il patto di unit
di azione. Un mutamento che Di Vittorio non colse immediatamente tanto
vero che fin per polemizzare con Togliatti quando Bruno Buozzi lanci
la proposta di una conferenza dei lavoratori iscritti allInternazionale di
Amsterdam. E se il sindacalista invitava a continuare nella polemica contro
lo scissionista Buozzi, il leader del PCdI, molto pi concreto e realista,
rispondeva sostenendo una campagna per lunit sindacale a cui bisognava far partecipare non solo gli elementi di altri partiti ma qualsiasi
gruppo organizzato di cui conosciamo lesistenza e proporre la fusione
sulla base della lotta per le rivendicazioni attuali immediate17. Il primo
tentativo (come diceva Buozzi nella sua lettera a Di Vittorio) per giungere
allunit lo fecero i massimalisti proponendo, alla fine del 1933, di nominare i vertici confederali utilizzando i risultati degli ultimi congressi liberi,
quelli di nove e undici anni prima. Di Vittorio rispose con un niet. Poi,
per, dopo il patto dellagosto del 1934 tra comunisti e socialisti, cominciarono a parlarsi anche le due CGdL. Lepilogo di questo disgelo lo abbiamo raccontato allinizio di questo capitolo. Ma fu solo il primo atto; il
secondo fu la trattativa per il Patto di Roma.

412

L A LT R A C G d L
1

Bruno Buozzi: Verso il ripristino dellunit sindacale in lOperaio Italiano gennaio


1936; da Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi, commenti, inediti, a
cura di Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pag. 113.
2
Bruno Buozzi: Verso il ripristino dellunit sindacale in lOperaio Italiano gennaio
1936. Ivi
3
Bruno Buozzi: Verso il ripristino dellunit sindacale in lOperaio Italiano gennaio
1936. Ivi.
4

Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi, commenti inediti a cura di


Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pag. 20
5
Bruno Buozzi: Verso il ripristino dellunit sindacale in lOperaio Italiano gennaio
1936. Ivi
6
Bruno Buozzi: Verso il ripristino dellunit sindacale in lOperaio Italiano gennaio
1936. Ivi
7
Aldo Forbice: La Forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista Franco Angeli 1984, pag. 72
8
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista. Ibidem pagg.
72-3
9
Fondazione Giuseppe Di Vittorio: in ricordo di Paolo Ravazzoli segretario della CGdL,
2007
10
Fondazione Giuseppe Di Vittorio. Ivi
11
Bruno Buozzi, lettera a Filippo Turati del 21 maggio 1928 in Aldo Forbice (a cura di):
Sindacalismo e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943) Fondazione
Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 226
12
Bruno Buozzi, lettera a Filippo Turati del 21 maggio 1928 in Aldo Forbice (a cura di).
Ivi
13
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista Franco Angeli 1984, pag. 67
14
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista, Ibidem pag.
68
15
Aldo Forbice: La forza Tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista, Ibidem pag.
69
16
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista. Ibidem pag
70.
17
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista. Ivi

413

C unopera critica e di demolizione da compiere


che comune a tutte le scuole e che
dovrebbe unire quanti hanno buona volont

Braccato e spiato

Lesilio francese era caratterizzato da una forte solidariet tra i fuorusciti


come dimostra questa foto di gruppo. Ma non mancavano gli informatori
al soldo del regime e lattivit degli agenti dellOvra era continua e insidiosa

C una parte della vita delloppositore di un regime che sfugge


ma che contenuta nelle note, nei dispacci, nelle relazioni che su di lui redigono coloro che lo tengono sotto controllo per comprenderne le intenzioni
e per fermarlo quando loccasione si presenta. Da questo punto di vista la
documentazione su Bruno Buozzi ricca, segno dellimportanza che il leader sindacale aveva agli occhi del fascismo e dellinteresse che suscitava.
La lettura di questi documenti che spuntano dagli archivi della polizia politica e dellOvra ci offrono uno spaccato della politica repressiva: da un
lato la segnalazione di ogni minimo movimento, dallaltro la costruzione
ad arte di notizie che devono servire per ferire limmagine morale del
leader per screditarlo agli occhi dei suoi compagni di lotta, per suscitare
contrasti, per insinuare il sospetto. Insomma, la politica dellillazione unita
a quella della delazione: come si dice, diffamate, diffamate qualcosa rester.
I documenti raccontano un doppio livello di attenzione del regime nei confronti di Buozzi. Uno, come dire, buonista o trattativista che si esprime
attraverso il tentativo di coinvolgerlo, alla fine degli Anni Venti, nel fascismo
convincendolo a tornare in patria e, per questo, avviando un negoziato attraverso il fratello Antonio e un vecchio e anche stimato conoscente come
Ezio Villani, ex ispettore della Confederazione Generale del Lavoro; dallaltro, abortito quel tentativo, lattribuzione allOvra, ai suoi agenti, agli
infiltrati nelle file dei fuoriusciti di insinuare dubbi, spargere veleni, costruire
contrapposizioni politiche e personali per isolarlo, semmai debilitarlo definitivamente a livello economico per convincerlo a tornare in patria.
Tutte queste operazioni spiegano, alla fine una cosa: se i contemporanei hanno un po dimenticato Buozzi, il regime, al contrario, allepoca
non lo dimentic mai, prov in tutte le maniere a circuirlo o a demolirlo.
Era per il fascismo una figura centrale allinterno del movimento degli op417

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

positori, un leader che con la sua storia e la sua autorevolezza poteva orientare le masse, indirizzare la lotta anti-fascista, favorire il reclutamento di
oppositori, organizzare meglio di altri le fila del movimento. Insomma,
era temuto. Temuto e allo stesso tempo rispettato. Riportarlo in Italia favorendone labiura dellantifascismo, avrebbe da un lato indebolito il
fronte degli oppositori e dallaltro dato legittimit al regime. In particolare,
avrebbe dato una parvenza di affidabilit a un sindacalismo fascista che,
al di l dei numeri ufficiali ottenuti con i metodi che Buozzi continuamente
denunciava (lobbligatoriet delliscrizione, il divieto di aderire a organizzazioni alternative, lobbligatoriet dei contratti, lattribuzione in monopolio della capacit negoziale stabilita con il patto di Palazzo Vidoni e
ancor di pi con la legge che vietava anche il diritto di sciopero), non era
riuscito a penetrare realmente allinterno del tessuto produttivo. Il consenso era figlio della paura non del convincimento, del timore di non trovare posto di lavoro o di perdere quello che si era trovato e non tutti erano
in vena di eroismi.
Il sindacato fascista sempre stato una creatura incompiuta, una
realt marginale in un regime che aveva provato, mescolando nel corporativismo anche elementi tipici delle vecchie organizzazioni, a costruire una patina di accettabilit su una realt che accettabile non era per alcuni difetti
strutturali, primo fra tutti lassenza di libert, la confisca dellatto volontario.
Mussolini e Rossoni avevano provato, attraverso il tradimento di DAragona,
Rigola, Colombino e compagni a recuperare in qualche maniera terreno nelle
fabbriche ma invece di far guadagnare credibilit allorganizzazione fascista,
avevano finito per farla perdere a quei vecchi dirigenti sindacali che, comunque, gi prima dellavvento del fascismo allinterno della Confederazione ricoprivano, in qualche misura un ruolo se non secondario, politicamente
subalterno. Nella CGdL erano i metallurgici la categoria di riferimento, la
struttura federale pi forte ed era inevitabile che il suo leader acquisisse allinterno dellorganizzazione nel suo complesso un ruolo e un peso che andava al di l dei confini dello specifico settore produttivo. La Confederazione
si identificava in larga misura in Buozzi gi prima che il dirigente sindacale
venisse chiamato a salvare il salvabile dopo le dimissioni di DAragona. Non
un caso che le vertenze-pilota fossero quelle delle fabbriche metallurgiche
e che le rivendicazioni avanzate dalla Fiom spesso si trasformassero in ri418

B R A C C AT O E S P I AT O

vendicazioni generali, valide per tutte le categorie, a cominciare da quella


sul controllo della produzione. Buozzi era una preda ambita proprio perch ritenuto pi autorevole di DAragona e Rigola, comunque legato pi
di questi due al ricordo di una attivit sindacale che aveva scaldato i cuori
dei lavoratori, garantendo grandi successi, non senza la variante di qualche
notevole delusione. In fabbrica, insomma, Buozzi era ancora amato. Il privato fatto di rapporti di polizia, di note degli infiltrati dellOvra ma
anche di lettere familiari che esprimono rabbie, speranze e delusioni del
protagonista principale di questo lungo racconto, svelano alcuni dei segreti
celati dietro le quinte. Da un lato ci sono le dichiarazioni ufficiali, gli articoli pubblicati sui giornali del sindacato e su quelli della Concentrazione
Antifascista, dallaltro piccole schegge di vita che spiegano quanto sia
amaro anche il pane dellesiliato, non solo quello dellemigrato (anche se
poi, le due figure, in larga misura coincidono differendo solo le motivazioni:
per il primo la mancanza di libert politica, per il secondo la carenza di
strumenti di sussistenza per s e la propria famiglia, cio la carenza di libert economica).
Dallesilio, nei primi mesi, Buozzi esprime i suoi sentimenti. Tutti
hanno descritto il leader della CGdL come un ottimista ci non toglie che
nelle prime fasi della sua vita lontano dallItalia (forse anche per lassenza
della famiglia) si avverta una certa amarezza. A volte anche un po di sconforto per come le cose vanno, soprattutto per i modi in cui si sviluppa la
lotta antifascista, carica pi di contrasti che di identit di vedute. Scrive,
ad esempio, al fratello Antonio, in una lettera del 10 giugno del 1927: La
concentrazione della quale hai certo avuto notizia, va abbastanza bene.
Non come io vorrei, ma in modo abbastanza promettente. Certo litaliano
sempre litaliano. Il passato ahi quanto duro non ha insegnato abbastanza, e lamore, o meglio il fanatismo per la propria chiesuola impedisce
a molti di vedere al di l della chiesuola stessa. Se a ci aggiungi la eccessiva sfiducia di molti, la esasperata impazienza di altri e la polemica comunista che qui si rivela veramente inaudita avrai un quadro delle
difficolt che ci sono da superare. C unopera critica e di demolizione
da compiere che comune a tutte le scuole, che supera i programmi delle
diverse scuole, e che dovrebbe unire quanti hanno buona volont. Questo
concetto non ancora entrato nel cervello dei pi ma sta entrando. Il gior419

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

nale (La Libert, n.d.a.) - che ha avuto ottimo successo aiuta moltissimo.
Ed io spero che la concentrazione diventer veramente il centro dellItalia
di domani1. Laspetto ottimistico delle sue valutazioni non trover conferma, al contrario di quello pessimistico. Perch saranno proprio le chiesuole, unite alla scomparsa prematura di Claudio Treves che del giornale
che aveva avuto ottimo successo era stato il grande animatore, porteranno
nel tempo alla dissoluzione della Concentrazione. Daltro canto, tutte le alleanze antifasciste ebbero un andamento altalenante: a una fase di grande
solidariet faceva seguito una di grande polemica. Una legge che riguard
anche luscita dalla guerra, la costruzione della Repubblica, la fase costituente e, infine, la rottura tra la Dc e gli alleati centristi di governo, da un
lato, comunisti e socialisti dallaltro. Certo, in questultimo caso un ruolo
decisivo lo svolse la Guerra Fredda.
Da un lato c la speranza del domani, dallaltro la certezza di un
oggi che troppo lontano dalle speranze e che obbliga a vivere immersi
in una nuova realt, per quanto affascinante come quella parigina. Le amarezze a volte superano le gioie, la nostalgia viene in qualche maniera repressa con il lavoro quotidiano. E poi ci sono le polemiche. La partenza
dallItalia, non capita da tutti e non condivisa da tutti. Le polemiche e i veleni, lidea che alla base della scelta vi siano pi interessi personali che motivazioni politiche, pi lesigenza di mettere in salvo la propria pelle che la
struttura dellorganizzazione. Una condizione personale caratterizzata da
un tumulto di sensazioni e dal bisogno di essere, comunque, capito. C
unaltra lettera significativa di quei primi mesi, sempre al fratello Antonio.
La decisione di trasferire la Confederazione a Parigi era diventata pubblica
a fine dicembre; agli inizi di gennaio, il gruppo DAragona-Rigola aveva
deciso di sciogliere lorganizzazione e di creare le basi per la costituzione
dellAssociazione di Studio Problemi del Lavoro. Militanti e dirigenti
erano, inevitabilmente, un po spaesati. La conseguenza era che intorno a
Buozzi e alla sua scelta erano nati malintesi, interpretazioni malevoli, alimentate anche dallaggressivit giustificatoria di chi aveva deciso di fare
il funerale alla CGdL riservando onoranze di terza classe. Il 16 gennaio del
1927, Bruno Buozzi scriveva al fratello: Ti unisco unaltra lunga lettera,
inviata ad amici di Milano, colla quale credo di aver placato, sintende
nelle anime oneste, il dubbio che alcune lamentele e critiche fatte circolare
420

B R A C C AT O E S P I AT O

a mio riguardo fossero fondate. Qualcuno da Milano mi ha gi scritto riconoscendo lealmente che se per un certo periodo si navigato nella incertezza, la colpa non mia. Non pensare che io abbia sofferto per quello
che pu essere stato detto e pu essere stato detto nei miei riguardi personali. La mia coscienza talmente tranquilla che sa non avere in proposito,
alcuna preoccupazione. Certo sarei assai pi felice se mi trovassi in Italia,
fra i miei a lavorare liberamente per i miei ideali2.
Sicuramente anche altri avrebbero gradito la sua presenza in Italia,
cio coloro che erano stati costretti ad ammettere che la perfetta macchina
di controllo, repressiva del regime fascista qualche crepa ce laveva. Bruno
Buozzi, infatti, era riuscito a far perdere le tracce. Il capitano Raffaele
Bianco, comandante della compagnia di Ferrara Interna, quasi contemporaneamente alla lettera che Antonio riceveva dal fratello Bruno, era a sua
volta destinatario (il 28 gennaio) di un invito a compiere delle ricerche per
individuare il segretario confederale. Il capitano rispondeva il 4 febbraio
1927 (Anno V, dellera fascista n.d.a.) in maniera quasi sconsolata, seppur con il piatto stile narrativo che lArma imponeva (ed impone ancora).
Oggetto: Ricerca di sovversivi. A quel punto Bianco comunicava: Con
riferimento al foglio succitato, si partecipa che da indagini esperite risultato che lex deputato socialista Buozzi Bruno fu Orlando e Berti Maddalena (Busti, in realt n.d.a.) nato il 31 gennaio a Pontelagoscuro, ex
segretario generale della Federazione Nazionale Metallurgici (si erano
persi un passaggio, lelezione al vertice della CGdL, n.d.a.), non ha fatto
ritorno al suo paese nativo. Quindi una rapida illustrazione del contesto
familiare che avrebbe potuto accogliere il sovversivo: A Pontelagoscuro
ha una zia materna, Buozzi Udgarda abitante in via Piacere, unica superstite della famiglia, con la quale da oltre un anno non mantiene alcuna corrispondenza. Anche dalle indagini esperite presso lUfficio Postale,
lelemento fascista ed altre fonti, risultato non essere egli in corrispondenza con altre persone. Risulta che un anno fa la moglie ed i figli del
Buozzi abitavano a Torino Viale Margherita, ove si ritiene abitino tuttora
e dove si ritiene altres siasi rifugiato il Buozzi stesso. Bisogna dire che
dal punto di vista del controllo delle persone e del territorio non che la
situazione fosse allepoca brillantissima.
Per quanto occhiuto, il regime aveva pur sempre un segno distintivo
421

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

italiano, cio lapprossimazione. Buozzi, evidentemente, aveva ormai abbandonato Torino e lItalia, viveva a Parigi, dove riorganizzava la struttura
del sindacato. Daltronde, mentre il capitano Bianco esperiva le sue ricerche per fornire ai superiori una risposta che i medesimi probabilmente
non gradirono, il segretario della Confederazione inviava lettere in giro per
lItalia per dare indicazioni e distribuire compiti. A un amico, ad esempio,
alla fine di gennaio, mandava una missiva per chiedergli di raccogliere alcuni documenti e spedirglieli in Francia, distruggerne altri e organizzare il
trasferimento allestero della Fiom. Scriveva: A casa mia, fare subito uno
spoglio sommario degli incartamenti che vi si trovano. Ci sono lettere, scritti
e appunti polemici, incartamenti riguardanti lAlleanza Cooperativa, concordati, statistiche e relazioni: tutto questo deve essere messo in casse e inviato allindirizzo di cui sopra. Gettare al fuoco quanto vecchio e non pu
pi servire, neppure come ricordo, compresi i vecchi ritagli dei giornali.
Fra questi per ve ne sono pochi di questi ultimi anni riguardanti il fascismo, da spedire nelle casse. Le cartelle che si trovano nella scrivania e nellarmadio della sala da pranzo, possono essere spedite come sopra. Tutto
ci per da farsi subito. Appena fatta la spedizione, Comitato Centrale e
Commissione di controllo devono riunirsi di fronte al notaio e prendere la
deliberazione che unisco. La deliberazione dovr naturalmente essere legalizzata e spedita immediatamente in copia alla Federation International
Ouvrier Matellurgiste, Berna. Una copia la invierete anche a me3.

18.1 Il sovversivo mite e tollerante

In pratica con la deliberazione proponeva per la Fiom la stessa


(quasi) soluzione che aveva consentito la sopravvivenza della CGdL. Diceva: Il Comitato Centrale e la Commissione di controllo della Federazione Italiana Operai Metallurgici, riuniti a Torino il giorno... presso...
nelle persone dei membri ancora in carica... vista la situazione creatasi in
Italia per le organizzazioni di fatto, fra le quali deve annoverarsi la Federazione Italiana Operai Metallurgici; deliberano di trasferire alla Federation International des Ouvrier Metallurgiste, con sede a Bern, 62
Monbijoustrasse, tutte le proprie attribuzioni e la pi completa rappresentanza della Federazione Italiana Operai Metallurgici, cos che possa amministrare il patrimonio senza limitazione e senza riserve: col solo obbligo
422

B R A C C AT O E S P I AT O

di renderne conto ai propri congressi e provveda a dirigere ed assistere gli


operai metallurgici italiani che aderiscono o vorranno aderire direttamente
ad essa. Nella sostanza Buozzi replicava lo schema che aveva usato per
la Confederazione di fatto sistemata al riparo delle insegne della Federazione Sindacale di Amsterdam seppur avendo i suoi uffici a Parigi.
La citt olandese divenne, peraltro, una meta consueta nella vita di
Buozzi. Anche in questo caso, la direzione generale di Ps e lo schedario
politico custodiscono affidabili testimonianze. Il 19 ottobre del 1928
(Anno VI), infatti, il console di Bruxelles scriveva al Regio Ministero
dellInterno, Casellario Politico Centrale, al Regio Ministero Esteri e alla
Regia Ambasciata dItalia nella capitale belga per segnalare che il fuoruscito Bruno Buozzi, nel mese decorso, si recato tre volte a Amsterdam
allo scopo di ottenere aiuti finanziari dalle organizzazioni olandesi operaie
per la propaganda antifascista e sindacalista; nel ritornare a Parigi si
fermato a Bruxelles per riferire al prof. Labriola lesito delle pratiche che
non sembra aver avuto un buon risultato. Analoga azione hanno tentato di
esercitare Don Sturzo e lavv. Ferrari presso organizzazioni cattoliche
olandesi. Questa volta, loggetto della lettera non il sovversivo ma pi
semplicemente: Bruno Buozzi. Un mese dopo, il 12 novembre, toccava
al ministero dellInterno mettere al corrente il prefetto di Ferrara dellattivit del segretario della CGdL , la comunicazione serviva, ovviamente, ad
aggiornare lo schedario. Si diceva: Da Parigi comunicano che il 31 ottobre, alle ore 20,30, il noto Buozzi, tenne, in una sala della Rue de la Runion, una conferenza sul tema sindacalismo di classe e sindacalismo
fascista. Assistevano circa duecento persone. Il Buozzi consigli, come al
solito, lunione di tutti i lavoratori, per la lotta contro il fascismo.
Bisogna dire che questi carteggi ufficiali finiscono per confermare
linutile (e decisamente ottusa) pedanteria delle strutture allepoca impegnate a difendere il Paese dalla propaganda antifascista. Appare, ad esempio, poco comprensibile lutilit di una scheda personale messa a punto
dalla Questura di Torino e inviata alla Questura di Ferrara il 1 dicembre
del 1928. La nota, in realt, non conteneva nulla che gi allepoca non fosse
ampiamente noto. Lincipit finiva per essere addirittura un elogio del pericoloso sovversivo: Lex deputato Buozzi Bruno da questi atti risulta di
regolare condotta morale e immune da precedenti o pendenze penali. Po423

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

liticamente noto a questo ufficio fin dal 1912 epoca in cui era consigliere
della Confederazione Generale del Lavoro, con sede a Milano, come professante idee socialiste riformiste. Apparteneva al partito fin dal 1906, anno
in cui si rec a Milano perch nominato segretario di quella Federazione
Italiana Metallurgici. I dirigenti della Questura mostravano una scarsa dimestichezza con le vicende sindacali e facevano un po di confusione nella
ricostruzione della carriera di Buozzi che nel 1912 gi non era pi a Milano
insieme alla sede dei metallurgici trasferita a Torino. Continuava la nota:
Nel 1919, il Buozzi, chiese e ottenne previo assenso del Ministero dellInterno, il passaporto per la Francia, Svizzera, Olanda ed Inghilterra allo
scopo di partecipare alle varie conferenze internazionali del lavoro indette
in quei paesi e specialmente alla pi importante di esse, quella di Amsterdam. Nello stesso anno 1919 fu eletto deputato di parte socialista per la circoscrizione piemontese e per tale sua qualit e dincarico di partito, il
Buozzi si recava sovente fuori Torino per organizzare le leghe operaie, tanto
che da quellepoca, la sua dimora in questa citt divenne puramente formale. Rieletto deputato nellelezioni dellaprile 1924 continu a svolgere
attiva propaganda in favore del partito socialista unitario in seno al quale
godeva di molta influenza... Oratore efficace ed espertissimo in materia di
organizzazioni sindacali il Buozzi godeva di molta influenza nel partito e di
incontrastato ascendente sulle masse... Di carattere mite, per, rifugg sempre dalle violenze tanto che quando le teorie comuniste cominciarono a prevalere sulle socialiste, si deline contro di lui e proprio per i suoi metodi di
temperanza, forte corrente di avversione. Il 27 ottobre 1926 espatri in
Francia e da allora non pi ritornato in patria.
Ai fini polizieschi questa sorta di curriculum vitae non ha un gran
rilievo. Ci non toglie che emergano alcuni elementi interessanti. Tanto per
cominciare, la data in cui Buozzi sparisce dallItalia: il 27 ottobre 1926.
Quattro giorni dopo Anteo Zamboni prova ad ammazzare il duce ferendo solo la tappezzeria della sua auto; a quel punto Mussolini annuncia
il giro di vite e Buozzi decide che laria ormai troppo pesante. Si d allesilio. Molti altri lo avevano preceduto su quella strada. Altro elemento:
la mitezza del carattere che in buona misura emerge anche dal tono delle
lettere. Persino le polemiche pi accese non assumono mai toni eccessivi
da un punto di vista dialettico. Unidea di lotta politica ispirata a principi
424

B R A C C AT O E S P I AT O

di tolleranza (temperanza) che lo rende, allo stesso tempo, straordinariamente influente fra i lavoratori ma che non gli consente di guadagnare simpatie tra chi sogna la spallata rivoluzionaria, armi in pugno, semmai
lannientamento fisico degli avversari di classe. La definizione pi semplice
: uno spirito squisitamente democratico, disponibile al confronto ma non
allassalto allarma bianca, coerente ma non iracondo. Forse saranno state
anche quelle relazioni che arrivavano da citt in cui Buozzi aveva lavorato
e si era fatto apprezzare a convincere Mussolini (che pure lo conosceva
bene per aver militato anche lui nel Psi) che la soluzione giusta per convincere i lavoratori ad abbracciare la causa del sindacalismo corporativo
era la cooptazione del segretario della CGdL, la sua folgorazione sulla
strada della societ fascistizzata. Il 29 maggio 1929 (Anno VII) la Regia
Prefettura di Torino intercettava uno scritto a cui veniva dato il titolo di:
Libello antinazionale. Destinatario della comunicazione prefettizia la
Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del Ministero dellInterno. Scrive
il funzionario: Dalla milizia postelegrafonica stato rimesso lunito libello antinazionale dattilografico in 7 fogli dal titolo Carissimo Villani
Parigi 26 febbraio 1929 a firma del fuoruscito Bruno Buozzi, rinvenuto dal
personale dellUfficio Poste di Torino Ferrovia fra le corrispondenze ordinarie proveniente dalle buche di impostazione della citt (Borgo S. Salvario: levata delle ore 20 del giorno 24 corrente). La lettera, insomma,
non arrivava direttamente dalla Francia. Forse come ha sostenuto Castagno
era un espediente: attraverso la risposta a Villani (che pure aveva partecipato attivamente alla trattativa), Buozzi (non volendo scoprire troppo il
fratello Antonio) faceva pervenire allesterno il suo messaggio per tacitare
i pettegolezzi che si erano sviluppati anche a causa di qualche dichiarazione
pubblica imprudente.
La conferma di tutto ci arrivava, daltro canto, per via indiretta attraverso un epistolario che precedeva (e anche di alcuni mesi) il rinvenimento del libello antinazionale. Villani scriveva il 4 marzo al Carissimo
Rossi (Romualdo n.d.a.) anche lui coinvolto in quella strana trattativa (era
in ottimi rapporti con il ministro dellinterno Enzo Bianchi). Diceva lex
ispettore della CGdL: Buozzi non vede a che cosa potrebbe servire il suo
ritorno in Italia. Egli troppo onesto per cercare soluzioni personali che se
da un lato garantirebbero il suo avvenire economico, distruggerebbero inte425

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

ramente il suo passato e la sua consistenza morale e spirituale... Buozzi in


conclusione osserva che al di l della sua persona e delle persone di altri
come lui eminenti rappresentanti di una corrente di idee e di pensiero che non
certamente scomparsa per il fatto che ha perduto ogni possibilit di espressione, ritiene che vi sia un problema ben pi importante e gravissimo da risolvere: quello della bonificazione degli spiriti nel nostro tormentato paese...
Egli afferma... che non vede a cosa potrebbe servire la sua presenza in Italia
se non avesse la possibilit di dire il suo pensiero quando ritenesse di doverlo
fare. Insomma siamo sempre al solito punto: senza una sia pur relativa libert
di esame ed eventualmente di critica non vi posto in Italia, cos pensa Buozzi,
se non per chi sia disposto soltanto a servire; ora egli non pensa che questo
sia utile n a lui n al paese, in quanto di persone che servono, e anche male,
ve n gi in abbondanza. Caro Rossi, questo in succinto, il pensiero di Buozzi;
queste le sue intenzioni. Personalmente ritengo che abbia ragione.
Concetti che trovarono una sistemazione pi organica nella lettera
che Buozzi fece pervenire a Villani. Il problema, insomma, era la libert e
tutto ci che ne conseguiva a livello di organizzazione sindacale. quello
il confine insuperabile che rende impossibile lavvicinamento del leader
del sindacalismo di classe al sindacalismo fascista, una discriminante pi
che politica culturale, quasi spirituale. Da questa sorta di carteggio a latere emerge il ruolo svolto dal fratello Antonio a cui, peraltro, Buozzi
spesso si affidava per risolvere problemi legati alla vicenda sindacale (in
quel campo anche il fratello era impegnato). Nello stesso giorno in cui Villani redigeva la lettera a cui abbiamo fatto riferimento prima, analoga attivit svolgeva pure Antonio Buozzi, Il destinatario era sempre lo stesso.
Spiegava: Dopo il mio viaggio a Parigi credo mio dovere precisarti le mie
impressioni sulla possibilit di raggiungere una soluzione che risolva una
volta per sempre lincresciosa questione creatasi in seguito allespatrio di
mio fratello e di tanti altri suoi compagni. Intanto ti premetto che in ogni
caso mio fratello esclude che la questione possa essere risolta attraverso
soltanto la sua persona e ci per due ragioni: 1 perch un suo eventuale
accordo non farebbe che provocare ai suoi danni... un cumulo di dicerie e
di recriminazioni che toglierebbero alla soluzione raggiunta ogni importanza e significato; 2 che in tal caso la questione essenziale e di vera importanza riguardante il problema degli espatriati resterebbe, con
426

B R A C C AT O E S P I AT O

transazioni a persona, totalmente insoluto. Mio fratello e i suoi amici (dei


quali ritiene di interpretare il pensiero) seguono diligentemente tutto
quanto avviene in Italia e posso assicurarti, per sua stessa dichiarazione,
che gli avvenimenti sono seguiti con animo scevro da ogni spirito fazioso
e con animo parecchio nostalgico... Credo che queste mie impressioni siano
esatte ed in ogni caso ti potranno essere confermate dallamico Villani il
quale ha ricevuto a mezzo mio da mio fratello una risposta ad una sua lettera da me direttamente trasmessagli. In sostanza, Antonio consegna a
Villani la lettera di risposta che poi viene trasformata in un atto pubblico
grazie alla copia che viene intercettata dalla Milizia Postelegrafonica.
Il rifiuto di Buozzi produce un effetto collaterale: lattenzione poliziesca intorno al segretario della CGdL aumenta e si cercano, a questo
punto, altre strade per convincerlo a pi miti consigli. Insomma, la fase
della carota terminata, si passa a quella del bastone che coinvolge tutta la
famiglia. Il 28 marzo 1930 (Anno VIII) la prefettura di Torino scrive alla
direzione generale di Pubblica sicurezza, divisione Affari Generali e Riservati e, per conoscenza al casellario politico centrale di Roma. Si tratta di
una semplicissima richiesta: Pregasi cotesto On.le Ministero compiacersi
far conoscere se la Gaggianesi Rina, moglie del noto Buozzi Bruno, e le figlie, oggetto di precorsa corrispondenza, siano da iscriversi nella rubrica
di frontiera per perquisizione e vigilanza nel caso rientrassero nel Regno.
Il 30 novembre del 1932 (Anno X) invece la Direzione Generale della
Pubblica Sicurezza del Ministero dellInterno a scrivere al prefetto di Ferrara: Il soprascritto sovversivo, oggetto di precorsa corrispondenza,
avrebbe preso parte al congresso contro la guerra tenutosi ad Amsterdam
dal 17 al 29 8 u.s. E di recente sarebbe stato nominato membro di un comitato di soccorso per i profughi politici, costituitosi in Francia in seno
alla Lidu (Lega Italiana per i Diritti dellUomo, n.d.a.). Nel comunicare
quanto sopra per opportuna notizia si prega, in considerazione del grado
di pericolosit del Buozzi di disporre la iscrizione nel bollettino delle ricerche, con pubblicazione della fotografia.

18.2 Le spie che agivano nellombra

E la segnalazione con fotografia, come da una nota scritta a mano


sul foglio ministeriale, venne effettivamente fatta una decina di giorni dopo.
427

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Due anni dopo, il 24 ottobre del 1934 (Anno XII), la polizia tornava ad
occuparsi della moglie di Buozzi con una lettera del ministero ai prefetti di
Ferrara e Pavia: La Regia Ambasciata di Parigi con dispaccio 6 corrente
ha riferito: la nominata in oggetto (cio Rina Gaggianesi, n.d.a.) abita insieme al marito, noto socialista militante, al n 8 di Boul. Ornano in questa
capitale. La Gaggianesi professa apertamente idee antifasciste ma non
esplica attivit politica. Quanto sopra si comunica per opportuna notizia
alla Regia Prefettura di Ferrara. La Regia Prefettura di Pavia pregata
di dare cortese riscontro alla ministeriale del 15 settembre u.s. N 62462
e di disporre la iscrizione della Gaggianesi nella rubrica di frontiera. Avvicinandosi i venti di guerra e ormai accertata lindisponibilit di Buozzi
ad avere un rapporto diverso, la pressione intorno al segretario generale
della CGdL si fa sempre pi forte. Un telegramma cifrato del 21 ottobre
del 1936 (Anno XIV) viene spedito a tutti i questori del Regno per rinnovare preghiera vigilanza per arresto comunista (anche la qualifica politica evidentemente segnala un pi alto livello di pericolosit del ricercato,
n.d.a.) Buozzi Bruno nato a Pontelagoscuro 31-1-1881 residente in Francia, iscritto pagina 93 rubrica di frontiera et elenco sovversivi residenti
estero. Il 18 aprile 1939, infine, la Regia Questura di Ferrara chiedeva alla
divisione Polizia di Frontiera e Trasporti del Ministero dellInterno e al Servizio Rubriche di Frontiera di arrestare Buozzi Bruno di Orlando.
Ci sono aspetti anche un po comici in queste comunicazioni. Il 24
gennaio del 1935 il Ministero dellInterno comunicava al prefetto di Ferrara
che luned mattina, 14 ottobre u.s. Si sono riuniti nella Maison du Peuple di Bruxelles i maggiori esponenti del p.s.i., p.c.i. E partito soc. massimalista. Seguivano, quindi, i nomi: Modigliani, Morgari, Buozzi, Trentin
e Parini per i socialisti. Per i comunisti, invece, cerano Grieco, Di Vittorio
e... Ercoli. Cio Togliatti, dettaglio evidentemente sfuggito ai compilatori
della nota. Ai controlli nessuno dei membri della famiglia si sottraeva e
cos, anche fatti privati, diventavano di interesse politico. Il 31 agosto 1938
la Divisione Polizia Politica inviava alla Divisione Affari Generali e Riservati una dettagliata relazione sui movimenti avvenuti allinterno della famiglia Buozzi. E cos si veniva a sapere che una delle figlie di Buozzi
Bruno, Iole, ha sposato e si trova in Corsica col marito e che, prossimamente, anche laltra figlia, Ornella , andr a nozze con un pittore pub428

B R A C C AT O E S P I AT O

blicista di Trieste... La figlia del noto antifascista Buozzi Bruno, a nome


Jole, ha effettivamente contratto matrimonio con il cittadino francese Martinet Gilles (giornalista, sar uno dei pi stretti collaboratori di Mitterrand,
n.d.a.) fu Enrico e Walweim Colette nato a Parigi l8.8.1916, abitante in
questa capitale al n 12 della Rue Farady. Nulla sfugge allocchio vigile.
Ma la polizia politica era interessata soprattutto allaltro fidanzato, figura
pi sfuggente. E dopo aver compiuto altri accertamenti, garantivano ai superiori che il fidanzato di Ornella non un pubblicista o giornalista, ma
semplicemente un disegnatore di manifesti-reclame-pubblicit, per conto
della Confederazione Generale del Lavoro francese, Ufficio turistico. Questo giovane si chiama Gabrielli (Raffaelli, in realt n.d.a.). Ma indagando,
i poliziotti finivano per svelare lattivit politica della suocera di Iole.
Scrivevano: Con loccasione, richiamando precorsa corrispondenza circa
radiotrasmissioni da Nizza in lingua italiana a carattere antifascista, giova
tenere presente che la Madame Martinet segnalata non altro che la madre
del marito della Buozzi Jole e non pertanto improbabile che la predetta
Buozzi Jole non sia estranea alla cosa. Inoltre la famiglia di Bruno Buozzi
abita nella stessa casa di Modigliani Emanuele al n 8 di Bld. Ornano. Si
ritiene pertanto che le notizie inviate dal Regno (e destinate alla radiodiffusione del posto di Nizza) dirette alla M. Martinet, siano in effetti recapitate o ad una delle figlie di Buozzi o alla moglie di Modigliani.
Bisogna dire che tutto quel grande affannarsi in complicate indagini
poliziesche in realt aveva ben poco senso visto che quello che avevano
scoperto gli uomini del Ministero dellInterno corrispondeva a quel che
Bruno Buozzi aveva scritto al fratello Adolfo un mese e mezzo prima, il
21 luglio del 1938, e che certo non passava inosservato al microscopio della
censura: Per ragioni di economia gli sposi hanno rinunziato alla gita a
Torino e si sono recati in Corsica a godersi la loro luna di miele... Le nozze
si sono svolte in una atmosfera di affettuosit ideale... Un solo disappunto:
Rina che aveva tanto lavorato, e che, come puoi immaginare attendeva lavvenimento con maggiore emozione di tutti, non ha potuto partecipare alla
cerimonia in municipio, n pranzare a tavola con noi. Uninfezione a un ginocchio, non sappiamo come prodottasi, lha obbligata a mettersi a letto
lantivigilia del matrimonio, ed a rimanervi poi per una buona settimana...
Ora il caso di dire che un matrimonio tira laltro. Fra pochi mesi anche
429

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Ornella sinvoler a giuste nozze! Questa volta lo sposo sar un italiano,


di Trieste. Pittore, pubblicista, serio, intelligente, simpatico.
La corrispondenza sottoposta al controllo della censura, i movimenti continuamente spiati: la vita di un esule che svolgeva attivit politica
e sindacale era decisamente dura. Anche perch poi bisognava guardarsi le
spalle. Perch se il regime poteva contare su un discreto numero di polizie,
gli antifascisti dovevano organizzare in maniera pi artigianale i controlli.
Soprattutto nei confronti delle spie dellOvra, particolarmente attive nel
mondo del fuoruscitismo italiano. E dagli infiltrati che allOvra facevano
riferimento. A volte si trattava di persone apparentemente al di sopra di
ogni sospetto. Emblematico fu il caso del direttore del giornale satirico il
Becco Giallo, Alberto Giannini. Ex cronista del Messaggero, diventato
interventista prima della guerra 1915-1918, ritornato tra i socialisti dopo,
fondatore del giornale Il Paese attestato su posizioni antifasciste e per
questo costretto alla chiusura dalle scorribande delle squadracce mussoliniane. Quindi aveva dirottato i suoi interessi sulla satira fondando Il Becco
Giallo, chiuso dopo lapprovazione delle leggi sulla stampa. Espatriato a
Parigi, continu a proclamarsi socialista sin quando pubblic una autobiografia dal titolo significativo: Memorie di un fesso. In gravi difficolt
economiche, Giannini aveva accettato il corteggiamento dellOvra che gli
aveva messo a disposizione i contanti per pubblicare il libro che altro non
era che lautobiografia di un antifascista deluso. Insomma, un modo per allontanarsi da quello che era stato il suo mondo, voltandogli le spalle, e per
gettare discredito su quelli che erano stati suoi compagni di viaggio.
Una storia da un certo punto di vista esemplare a cui faceva riferimento una breve nota di un agente dellOvra (Lorenzo Lorenzi) che nella
seconda met degli Anni Trenta scriveva ai suoi superiori: Buozzi arrivato al giusto punto al quale era arrivato Giannini quando lo segnalai e
lo decisi (lo convinsi, evidentemente, n.d.a.) ad abiurare pubblicamente.
Con Buozzi, altro tipo ed altro carattere, la cosa (se piace), dovrebbe essere
condotta con maggiore signorilit perch non alla fame, cerca vero una
sistemazione, ma non ha bisogno dei mille o duemila franchi. Il colpo si
potrebbe fare: ne sono sicuro ma bisognerebbe avere da offrirgli qualcosa.
Ed il suo revirement avrebbe un altro significato ed unaltra portata di
quella che ebbe il voltafaccia di Giannini. In quel periodo Buozzi aveva
430

B R A C C AT O E S P I AT O

dovuto rinunciare allo stipendio confederale e avviare una attivit commerciale per far fronte alle sue necessit economiche. I tentativi di Lorenzi,
fruttuosi con il direttore del Becco Giallo, non furono coronati da successo: Buozzi non era Giannini. Ma nel suo lavoro lagente operava anche
nel campo delle insinuazioni, delle millanterie, degli strumenti pi subdoli
e ambigui per distruggere la credibilit dellantifascismo e limmagine di
un leader. Gli infiltrati e gli uomini dellOvra, allinterno del gruppo dei
fuorusciti italiani, operarono alacremente, con lobiettivo di aprire varchi,
facendo leva (come nel caso di Giannini ) sulle difficolt economiche e su
una certa volatilit dei convincimenti politici personali. Lobiettivo, poi,
era quello di screditare le persone mettendo in circolo notizie infondate, di
indebolirle nei rapporti umani, di fiaccarle dal punto di vista dello spirito.
Ma Buozzi, come pure riconoscevano quei rapporti di polizia che abbiamo
gi citato, era uno dalla schiena dritta, non si fece allettare dalla carota
del negoziato, non indietreggi davanti alla persecuzione poliziesca e non
permise a spioni e infiltrati di incrinare la sua immagine pubblica e
privata.

Bruno Buozzi, lettera al fratello Antonio del 10 giugno 1927 in Bruno Buozzi, scritti e
discorsi Editrice Sindacale Italiana 1975, pagg. 230-231
2
Bruno Buozzi, lettera al fratello Antonio del 16 gennaio 1927 in Bruno Buozzi, scritti
e discorsi. Ibidem pag. 199
3
Bruno Buozzi, lettera a un amico. In Bruno Buozzi scritti e discorsi. Ibidem pagg. 203-4

431

In quindici anni mai una sola nube riusc


non dico a oscurare ma appena a turbare seriamente
per ventiquattro ore la nostra felicit

Rina mia cara...

Bruno Buozzi viveva con grande sofferenza le inquietudini che la sua


attivit procurava alla moglie. Nella foto un momento di serenit
Tra Rina Gaggianesi e Bruno, la giovane figlia di Pietro Nenni, Luciana

In relazione alla nota sopradistinta, si ha il pregio di comunicare


a codesto Ministero che per la grave insufficienza dimostrata, nella nota
circostanza, dal Maresciallo Maggiore Battistini Angelo, Comandante della
stazione Carabinieri Reali di Vigevano, questo Comando Generale gli ha
inflitto 10 giorni di arresti di rigore e lo ha trasferito ad una stazione di minore importanza. La firma decisamente autorevole: generale di divisione
comandante generale Enrico di San Marzano. Il destinatario era il Ministero
dellInterno, Direzione Generale della Pubblica Sicurezza, Affari Generali
e Riservati e il Casellario Politico centrale. La nota circostanza semplicemente la fuga dallItalia della moglie di Bruno Buozzi, Rina Gaggianesi, e delle figlie, Ornella e Iole, cio due ragazzine. La data quella del
20 novembre 1927, moglie e figlie hanno da tempo ricostituito allestero
la famiglia divisa in Italia dal fascismo. Bruno Buozzi in persona ne aveva
data notizia un mese prima della comunicazione del generale di divisione
comandante generale, al fratello Antonio con una formulazione ironicamente cifrata: Cos un bel giorno appositi emissari si recarono a prelevare
la... refurtiva1. Nella sua lettera, Buozzi spiegava che per quasi un anno
ho lasciato prima alle tue costole e poi a quelle dei buoni parenti di Vigevano, moglie e figlie ma evidente che la cosa non potesse perpetuarsi.
Primo, perch tanto tu che i parenti di Vigevano non avete bisogno di fastidi.
Secondo, perch io non poso finanziariamente vivere allestero e mantenere
la famiglia in Italia. Terzo, perch non avendo, almeno per ora alcuna intenzione di tornare in Italia, desideravo ricongiungermi con i miei cari.
I parenti di Vigevano il problema avevano finito, in realt, per crearlo al povero Maresciallo Maggiore Angelo Battistini, la vera, tipica, italianissima ultima ruota del carro, la vittima predestinata quando si tratta
di salvare la faccia e la poltrona ai superiori. Per carit, il Maresciallo Mag435

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

giore un po disattento lo era stato, forse anche pi di un po visto che i parenti di Buozzi erano i proprietari di un cinema sistemato proprio davanti
alla caserma da lui comandata. Come se non bastasse, la casa in cui Rina,
Ornella e Iole erano ospitate era proprio sopra il cinema. Insomma, casa e
bottega con vista sullufficio dei Reali Carabinieri. Bisogna ammettere, che
la cosa rassomiglia molto a una di quelle barzellette che circolano sui peraltro encomiabili Militi. Ma a volte il destino crudele. E, peraltro, il povero Battistini, era proprio lanello finale di una catena fatta di disattenzioni.
Solo che gli altri coinvolti potevano contare su un grado (militare o civile)
pi alto del suo. E lo stato fascista che si riprometteva di cambiare gli italiani in realt non era riuscito nemmeno a cambiare se stesso, rimanendo
sempre fedele allimperituro principio: forti con i deboli e deboli con i forti.
E Battistini al cospetto di prefetti e generali era veramente tanto debole,
dunque nelle migliori condizioni per poter pagare il conto. Per tutti. Non
dato sapere se labbiamo sbattuto in Sardegna, come si usava non solo
dire ma anche fare tanti anni fa, prima che lIsola diventasse meta ambita
del turismo pi ricco e carico di glamour (calciatori, veline, imprenditori
che in tv si trasformano in spietatissimi selezionatori di cervelli, immaginiamo senza particolari sforzi e senza straordinarie remore morali).
Che la famiglia Buozzi preparasse la fuga, lo sapevano anche le pietre. Non poteva sorprendere il fatto che il 23 ottobre del 1927, Bruno scrivesse: Organizzai il viaggio senza parlarne neppure ai parenti di Vigevano
i quali, come te, ne ebbero notizie dalla cartolina inviata da Vienna... Io
andai a incontrare i miei cari nella vecchia Austria, dove rimanemmo tre
settimane. Poi ci fermammo un giorno anche in Svizzera, ed ora siamo felici, il massimo che si pu essere felici nella nostre condizioni... Rina semplicemente stordita dal movimento parigino e dice che, una volta trovata
la casa, non uscir pi perch a circolare troppo difficile2. Il trasferimento della refurtiva era stato preparato con cura e grande attenzione. E
straordinaria discrezione. Sicuramente gi a ferragosto il piano era entrato
nella fase operativa tanto vero che, in maniera non particolarmente criptica, Buozzi ne dava conto in una lettera alla moglie. Rina, Ornella e Iole
erano gi da tempo a Vigevano e da l inviavano al segretario generale della
CGdL una lettera allarmata . Alla base di questo allarme una missiva scritta
da Buozzi ma mai arrivata, probabilmente bloccata dalla censura. Un im436

RINA MIA CARA...

previsto che poteva rivelarsi esiziale, che poteva far saltare tutto. In realt,
per, se pure bloccata dalla polizia fascista, la lettera non conteneva nulla
di compromettente, nessun particolare che poteva svelare i piani di fuga. E
cos Buozzi il 28 di agosto scriveva alla moglie: Carissima, ieri sera, al
mio ritorno dopo alcuni giorni di assenza, ho trovato la tua e quella di Nellina3 che non mi aspettavo cos piene di preoccupazioni. Nella mia del 26
(e non del 30)4 andata smarrita, non cera niente di compromettente. Ti
confermavo e ti spiegavo il telegramma inviatoti lo stesso giorno e ti davo
mie notizie. Non quindi il caso di allarmarsi, e di pensare come dice
scherzosamente Nella a patatrac!5. Poi, in maniera circospetta, Buozzi
provava a spiegare che i preparativi per la fuga erano in corso. Avevano,
per, subito un temporaneo arresto, dovuto alla particolare situazione che
si viveva in Italia e alla necessit di agire con grande prudenza. Diceva,
usando un linguaggio nemmeno troppo cifrato: Le trattative subirono un
arresto per lassenza del titolare della ditta6; ma ora tornato in sede, le
trattative sono state riprese e limpiego sostanzialmente assicurato7.
Credo anzi che avrai gi avuto notizie dirette; se non le hai avute le avrai
prestissimo. Tu d pure tutti i ragguagli che ti chiederanno colla cartolina
a mia firma8. Stai quindi tranquilla e non preoccuparti dellavvenire, anche
se lo vedi meno roseo di come vorresti e vorrei9.
Su come, poi, sia avvenuto il trasferimento, le ricostruzioni si sono
sprecate. Gino Castagno nella sua biografia di Buozzi raccontava, ad esempio: Il viaggio della signora Buozzi e delle due bambine fu molto avventuroso. Esse vivevano nascoste a Torino nella casa del compagno dottor
Gasca, in attesa che gli amici della citt comunicassero loro che era venuto
il momento di partire. Alcuni ferrovieri vennero incaricati di aiutarle e
provvidero a scegliere il treno notturno pi adatto; il viaggio fino a Modane
fu fatto parte nel bagagliaio e parte nel vagone postale. Alla stazione di
confine le viaggiatrici, una per volta, furono prese in mezzo a gruppi di
ferrovieri italiani e francesi e portate al sicuro fuori dalla stazione. Ripartirono poi con un treno locale per proseguire tranquille fino a Parigi, sotto
la sorveglianza di un compagno francese. Versione perfetta per un romanzo di avventura. Ma non vera. Nella lettera al fratello Antonio il segretario della CGdL offre, invece, una ricostruzione che coincide perfettamente
con quella messa insieme dalle autorit di polizia, con una certa fatica. Anzi,
437

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

sotto alcuni aspetti, la corrispondenza ufficiale sembra uscita da un film di


Alberto Sordi. Tanto per cominciare, mettendo a confronto le date delle lettere con quelle dei telegrammi di prefetti e uffici di polizia, emerge che
lallarme per la fuga di Rina scatt molto tardi, praticamente quando era
gi da tempo avvenuta. Infatti, Bruno scriveva ad Antonio il 23 ottobre che
con moglie e figlie si era fermato per tre settimane in Austria. Il primo allarme, invece venne dato l8 ottobre del 1927 quando il capo divisione della

Rina al mare con le figlie, la Grande Guerra finita e si pu andare in vacanza

polizia politica inviava alle prefetture di Milano e Torino questo telegramma: Viene riferito che componenti famiglia noto ex Deputato fuoruscito Buozzi intendano espatriare clandestinamente per recarsi in Francia.
Pregasi disporre tutte misure rigorosa vigilanza impedire effettuazione tale
proposito e telegrafare urgenza attuale recapito singoli componenti famiglia Buozzi, comunicando generalit connotati questo Ministero e Prefetti
terra e mare. Insomma, una vera e propria mobilitazione generale per fermare tre soggetti pericolosissimi: una tranquillissima signora e due bambine. Una mobilitazione tardiva: la donna e le due bambine erano a quel
438

RINA MIA CARA...

punto gi in Francia. Che fossero ormai partite, anche un disattento funzionario di polizia lo avrebbe potuto capire leggendo la comunicazione che
ventiquattro ore dopo il telegramma che mobilitava le forze di terra e di
mare, faceva pervenire al Prefetto di Torino il collega Baccaredda da Pavia:
Per supposta residenza Vigevano della famiglia ex deputato Buozzi composta dalla consorte Gaggianesi Rina e figlie Ornella e Jole; fu ospite a Vigevano per circa tre mesi congiunta Gaggianesi Carmela, maritata Brielli
Battista di Luigi proprietario cinematografo Marconi e ripartiva giorni fa
per Torino senza dare pi notizie di s. Famiglia Brielli ignora indirizzo ed
attuale recapito famiglia Buozzi; connotati Gaggianesi Rina in Buozzi: anni
35 alta, bruna, capelli castani, lisci, non porta cappello, veste decentemente;
Buozzi Ornella anni 15 capelli biondi slanciata alta 1,30 circa, Buozzi Jole
anni 11 capelli castani alta uno e 20 circa, con la scorta di altri e pi precisi
connotati questo Ufficio potr diramare le ricerche e riferire Ministero. Il
telegramma ha, oggettivamente un qualcosa di sordiano. Straordinaria,
poi, la descrizione della signora Buozzi in cui, forse, lelemento pi significativo dato dal fatto che non portasse il cappello. Per il resto la descrizione poteva andare bene per qualsiasi persona di sesso femminile (con o
senza copricapo).
Cominciava, in pratica, il palleggio delle responsabilit che avrebbe
eletto il Maresciallo Maggiore Angelo Battistini ad agnello sacrificale. Perch ventiquattro ore dopo Baccaredda, interveniva, da Torino, il collega
Devita. Telegramma, come si conviene nelle storie di spionaggio, cifrato.
In sostanza, un lungo giro di parole per prendere atto che la signora e le figlie ormai sono ben oltre i confini. Scriveva Devita: Questa Questura partecip Questura Pavia trasferimento signora Gaggianesi Rina moglie ex
Deputato socialista Buozzi Bruno da Torino a Vigevano raccomandando
massima vigilanza. Predetta questura Pavia con nota 10 agosto N. 5633 assicurava che signora Buozzi trovavasi a Vigevano10 presso famiglia cognato
Brielli e aver disposto vigilanza. Allorquando pervenne telegramma Ministero 8 corrente n. 37200/500 venne immediatamente informata prefettura
Pavia che nessun altra comunicazione aveva fatto dopo quella 10 agosto.
Predetta prefettura con telegramma 9 corrente N. 1001 informava che famiglia Buozzi era ripartita giorni fa per Torino senza specificare giorno
partenza. Disposto immediatamente indagini risultata che detta famiglia
439

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

non aveva fatto ritorno questa citt e proseguito attivamente indagini risultato invece che essa troverebbesi Vienna. Infatti stata da questa questura sequestrata cartolina illustrata impostata Vienna col timbro partenza
7 ottobre diretta a parenti di Torino con la firma Bruno Rinaldi, Ornella e
Jole. Da perizia calligrafica risulta che firma Bruno corrisponde perfettamente a quella Bruno Buozzi il quale evidentemente trovasi col raggiunto
famiglia. La dinamica della fuga la spieg molti anni dopo Iole. A Rina e
alle figlie il regime aveva negato il passaporto. A quel punto Buozzi decise
di seguire altre strade, pi discrete e anche pi pericolose. All organizzazione del trasferimento si dedic anche il fratello di Cesare Battisti. In auto,
le tre donne raggiunsero il confine in Alto Adige. Prima di arrivare al posto
di frontiera, per, Rina, Ornella e Iole scesero e, protette dalle tenebre, accompagnate da una buona guida, passeggiando attraverso i boschi, passarono dallaltra parte, in Austria, lasciandosi alle spalle lItalia e Mussolini.
Qui ad accoglierle trovarono lauto che aveva serenamente superato i controlli di frontiera e Bruno che le riabbracci dopo quella lunga e certo non
volontaria separazione. Quindi, tutti insieme verso Vienna.

19.1 In Austria sotto il naso dei carabinieri

Le date, in effetti, confermano quelle indicate da Buozzi nella lettera al fratello Antonio e alle cartoline come strumento di comunicazione
anche il segretario generale della CGdL aveva fatto accenno. A quel punto,
il caso esplodeva obbligando a correre ai ripari. Soprattutto i funzionari
dovevano correre per evitare le ire del regime. E cos il prefetto Devita ci
teneva a far sapere che lui aveva immediatamente informato il collega
di Pavia e che alla soluzione del giallo era arrivato proseguendo attivamente le indagini. Contemporaneamente a Devita, scriveva al ministero
dellinterno anche Baccaredda: Seguito mio telegramma nove corrente
1001 da Vigevano informo che ex Deputato Buozzi tre corrente11 scrisse da
Vienna al Brielli che moglie Rina e figlie lo avevano raggiunto a Vienna
ma sarebbero ripartite per Parigi con recapito via Vauvers n. 60. Insomma, il solerte allarme era scattato con almeno diciotto giorni di ritardo
rispetto alla partenza della signora con le sue due figlie. La data della fuga
sarebbe stata ricostruita, infatti, dallispettore generale di Ps incaricato di
andare a Vigevano per accertare le responsabilit. Il 15 ottobre 1927 scri440

RINA MIA CARA...

veva al capo della polizia: Accertai poi che dette persone erano partite
giorno 21 settembre e presi anche visione di una lettera a firma Bruno, con
la quale questi partecipava ai parenti arrivo a Vienna della moglie e delle
figlie. A chi tutto questo era sfuggito? Allultima ruota del carro. E, infatti,
lispettore, senza alcuna indulgenza, affermava: Responsabilit espatrio
clandestino famiglia ex deputato Buozzi Bruno ricade su Arma Reali Carabinieri Vigevano, che, contrariamente assicurazioni fornite a suo tempo,
con nota 7 agosto u. s. alla Questura di Pavia, aveva trascurato di effettuare
la vigilanza richiesta. Recatomi a Vigevano e interrogato il Maresciallo Battistini Angelo, firmatario della lettera suddetta, in presenza tenente Sig. Caffaratti Luigi, Comandante Interinale della Compagnia e del Vice Questore
di Pavia Cav. Azzali, con sorpresa appresi che detto sottufficiale riteneva
essere presenti persone da vigilare, che insisteva aver veduto fino a qualche

Il fratello di Cesare Battisti organizz


la fuga dallItalia della moglie di Buozzi
e delle sue figlie.
Nella cartolina depoca, limmagine
delleroe accompagnata da una sua
frase: Io sono socialista ma non mi
dimentico mai di essere prima italiano.

441

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

giorno addietro. Alle mie osservazioni il Battistini si allontan per sincerarsi


e tornato ammise che la Gaggianese12 Rina moglie del Buozzi e figlie Jole
e Ornella da oltre venti giorni avevano lasciato Vigevano, dove avevano dimorato per oltre tre mesi presso il cognato Battista Brielli, comproprietario
del cinema Marconi. E qui arrivava lultima stilettata dellispettore per il
povero Maresciallo Maggiore: a notarsi che detto esercizio e abitazione
sovrastante sono situate quasi di rimpetto (lerrore nelloriginale, n.d.a.)
alla caserma. Come a dire: caro Battistini, ti hanno fatto fesso passandoti
sotto il naso. Forse il Maresciallo Maggiore sar rimasto stordito pi da
questultima nota che dai dieci giorni di cella di rigore.
Il viaggio di Rina, Ornella e Iole era stato preparato veramente con
grande cura e straordinaria discrezione. Tra Buozzi e la moglie, daltronde,
il rapporto era intenso, estremamente affettuoso, condizionato dallamarezza per la lontananza e dalle preoccupazioni per una vita che per tutti, sia
per il segretario della CGdL che si era trasferito in Francia, che per la famiglia rimasta in Italia, era diventata estremamente precaria e caratterizzata
da pericoli di tutti i tipi. Le lettere alla moglie, rappresentano uno spaccato
sentimentale e psicologico, con Buozzi che ostenta sicurezza per tenere alto
il morale della moglie. Il peso di una separazione non imprevista ma non
per questo meno improvvisa. Che lespatrio fosse una alternativa da tenere
in considerazione Buozzi lo sapeva da tempo. Il Patto di Palazzo Vidoni e
la legge sindacale avevano ormai reso impossibile lattivit della CGdL.
Poi, per, arrivarono le leggi eccezionali, la sospensione di tutti i partiti e
dei giornali non fascisti, il divieto di espatrio, il Tribunale Speciale. A quel
punto la vita delloppositore che gi era molto complicata, divenne pure
pericolosa. Buozzi che a novembre del 1926 era andato a Zurigo per una
riunione internazionale, a quel punto cominci a prendere tempo. La decisione finale non era stata ancora presa e per non allarmare troppo la moglie,
conoscendone il carattere apprensivo e sapendo quale turbamento caratterizzasse il suo stato danimo, scriveva il 20 dicembre: Carissima Rina, ti
ho scritto in data 13 e spero avrai ricevuto. Con questa ti avverto che il mio
ritorno ormai rinviato sine die. Fino alla fine dellanno sono occupato qui
(a Parigi dove si era trasferito per un altro convegno sindacale, n.d.a.). Poi
dovr recarmi in Olanda, poi in Inghilterra. Per ora non neppure il caso
di parlare della tua venuta qui; tanto pi che mi sembra conveniente sotto
442

RINA MIA CARA...

tutti gli aspetti, far terminare lanno scolastico tanto a Nella che a Iole. Tu
intendi con quale dispiacere ti parlo in tal modo, ma... necessit non conosce legge. Per lalloggio cerca di ottenere che ti lascino stare fino a maggio,
cio fino allepoca della chiusura della campagna e delle scuole, perch
poi dovremmo recarci ad abitare a Roma. Se troverai resistenze, accetta
pure di rimanere sino a tutto marzo. Di qui ad allora, pu darsi che si verifichino degli imprevisti13. Spaccati di vita quotidiana che raccontano la difficolt dellesistenza di un esiliato, della condizione sospesa in cui
vivevano i suoi familiari.
Buozzi avvertiva gli struggimenti della moglie, ne coglieva le angosce attraverso le lettere che periodicamente gli arrivavano, provava a
consolarla e una decina di giorni dopo quella comunicazione con la quale
rinviava il rientro in Italia, le diceva: Rina mia cara, la tua ultima un
poco migliore delle altre, ma non tanto da tranquillizzarmi del tutto sul tuo
stato danimo. Ogni tua parola riconferma limmenso affetto che nutri per
il tuo Bruno e per le nostre care bambine, ma ancora troppo accorata. La
distanza che ci separa indubbiamente dolorosa, ma non tale da giustificare
il turbamento che mi manifesti. Da quando siamo compagni e noi lo siamo
veramente nel senso migliore della parola e sono quasi quindici anni! - la
mia vita pubblica e privata ci ha procurato ogni sorta di emozioni, liete e
tristi, ci che accade oggi non dovrebbe addolorarti troppo14. La solidit
del rapporto consentiva a Buozzi di aggrapparsi alla moglie ma anche di
offrirle, seppure a distanza, una spalla su cui appoggiarsi con le proprie
paure, le proprie inquietudini, i troppi interrogativi sul futuro: La certezza
dellimmenso reciproco affetto che ci lega, dovrebbe, da sola, essere sufficiente per darti animo. Prima che in quindici anni! - mai una nube riusc,
non dico ad oscurare; ma appena a turbare seriamente per ventiquattro ore
la nostra felicit. Perch allora vivere in uno stato permanente di accoramento che rasenta quasi langoscia?
Il leader sindacale svelava, in questi dialoghi intimi, personali una
tenerezza che nel momento pubblico non traspariva, svelava anche il suo
carattere: Tu sai ancora che sono sempre stato ottimista, non ciecamente,
ma relativamente ottimista, anche in mezzo alle tempeste pi tremende.
Sforzati di esserlo anche tu. Tu sai infine che io non ho mai dubitato e disperato del nostro avvenire. Sforzati di non dubitare e di non disperare nep443

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

pure tu. Su, allegra! La vita comincia adesso15. Le consegnava il suo ottimismo e provava a scuoterla fornendole una cronaca rassicurante della
sua nuova vita parigina: Natale lho passato abbastanza bene. La popotte16 ha fatto una strage di cappellotti fabbricati sotto la direzione mia
e di Baldini. La strage ha colpito anche numerosi tacchini e capponi inviatici
dai contadini italiani sparsi in questa ospitale terra di Francia. Per capodanno tutti i componenti la Popotte - oltre venti! - sono invitati a pranzo
da una nipote di Victor Hugo, signora ricchissima, socialista, grande amica
degli italiani17. In quel finale di 1926, n Bruno n Rina avevano una idea
chiara del loro futuro. Persino il segretario della CGdL sembrava ancora
tentennare.
Parigi, in quel momento, non gli appariva ancora come la tappa finale del suo girovagare perch, poi, tutto dipendeva dal suo lavoro sindacale: sarebbe riuscito a far rinascere in Francia la Confederazione? Avrebbe
potuto garantirle i mezzi per la sopravvivenza? Tutto questo aveva dei contraccolpi sulla sua vita e su quella della sua famiglia che in Italia attendeva
una parola di chiarezza, una decisione, una scelta. Lattendeva impaziente.
A met gennaio, dopo il tradimento del gruppo Rigola, la costituzione della
CGdL fuori dai confini, era ormai chiaro che lesilio non sarebbe stato una
parentesi chiusa in breve tempo. Bisognava scegliere dove stabilirsi. Diceva
alla moglie: Alla Svizzera occorre rinunciare. troppo cara! Bisogna scegliere tra lItalia e la Francia o lAmerica. Aggiungo anche lAmerica perch se nelle prossime settimane le cose non si metteranno come io desidero,
non escluso loltre Oceano. L troverai anche tu dei parenti. Non farmi il
broncio se ti scrivo scherzosamente. Lironia nasconde talvolta le cose pi
serie e dice la verit18. Le incertezze di Bruno, acuivano le paure della
moglie. Quel riferimento allAmerica, a un luogo cos lontano dallItalia.
Rina gli chiedeva chiarezza, voleva sapere dove avrebbero rimesso su famiglia e lui rispondeva: Tu mi chiedi di dirti seriamente come voglio sistemarmi e cosa intendo fare, ed eccomi ad ubbidire. Seriamente. Lanno
scorso quando mi venne offerta la segreteria della Confederazione sapevo
benissimo che accettando, andavo incontro a responsabilit di lunga durata.
Ci malgrado accettai egualmente e per un fatto molto semplice: gli uomini
del mio stampo, non possono arretrare di fronte al dovere, qualunque esso
sia, specialmente dopo che hanno dato al proprio ideale il meglio della loro
444

RINA MIA CARA...

esistenza. Del resto tu mi conosci perfettamente. Tu mi ami molto anche per


la mia rettitudine19.

19.2 Turbamenti e paure di una moglie in attesa

Le prospettive non erano ancora chiare e lui provava a ridimensionare le angosce della moglie, costretta a seguire da lontano i problemi del
marito, cercava di evocare in lei la figura delluomo, le qualit morali che
lavevano indotta a sceglierlo: Tu mi dirai che ben pochi dei miei amici e
collaboratori seguono il mio esempio, ma io tengo fino allinverosimile a
due cose: ad avere la coscienza tranquilla ed a lasciare alle mie figlie un
nome onorato, anche se modesto. Ora la situazione questa: in Italia o si
tace, o si parla come vuole il governo, o si va al domicilio coatto. A questultimo - se le informazioni che mi sono giunte sono esatte sono sfuggito
per puro e fortunato caso. Tacere mi riuscirebbe impossibile. Parlare come
vuole il fascismo farebbe orrore a me stesso prima che ad altri. La Confederazione non pu vivere in Italia, ma non deve morire. Quindi eccomi qui
a tentare tutto il tentabile per tenere alto il suo nome... Riuscir? Lo spero...
Purch non manchino i mezzi... Quindi: o avr i mezzi per esplicare una
larga attivit che consenta di tenere degnamente in vita la Confederazione
per un domani migliore, o lascer il posto ad altri, e, senza rinunciare alle
mie convinzioni, mi far una nuova vita. A 46 anni sar un po dura, ma la
buona volont non manca. E ci riuscir... Questo ti spiegher laccenno
allAmerica dellultima mia accenno che non doveva sorprenderti... Se il
mio progetto di sistemazione verr approvato, ci stabiliremo quasi certamente in Francia(20). Alla fine di gennaio del 1927, insomma, non tutto
era certo, non tutto era acquisito. E, soprattutto a livello familiare, Buozzi
aveva un piano di riserva: attraversare lOceano, andare in America. Ma
solo in presenza di un fallimento, personale e politico.
Dalla Francia il leader voleva tenere la famiglia al riparo dai pettegolezzi, dalla campagna diffamatoria che contro di lui si preparavano ad
avviare quelli del gruppo Rigola, in particolare Emilio Colombino. Buozzi
non mancava di mettere al corrente la moglie della sua attivit, dei suoi
problemi. Sapeva che vivendo a Torino, Rina aveva di tutto questo uneco
pi diretta ma anche pi facilmente strumentalizzabile, sapeva che le avrebbero detto che i dolori dellesilio Buozzi se li era un po cercati, che avreb445

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

bero provato a farla tentennare nelle sue certezze, a scardinare la fiducia


nelluomo amato e lontano. E allora il segretario della CGdL parlava dei
suoi scontri: Sono, siamo riusciti a neutralizzare discretamente il colpo infertoci da Rigola, DAragona, Colombino e soci e in ci siamo stati aiutati
dagli stessi fascisti i quali hanno sciupato il loro colpo buttando subito a mare
(e di ci vanno ringraziati) i sette... savi che si sono prestati al loro giuoco(21).
Ma a lui interessava tenere soprattutto la moglie lontana dai traditori e da uno in particolare, Colombino. In un momento in cui la moglie
era gi provata dalla lontananza del marito, probabilmente anche non convintissima della scelta da lui fatta di riparare allestero per far sopravvivere
la Confederazione, quindi psicologicamente fragile, i messaggi che potevano arrivare da quel gruppo avrebbero potuto minare il suo stato danimo
gi carico dangoscia, indebolirlo. E allora, le diceva: Con Colombino ti
consiglio di rompere ogni rapporto. Secondo quanto mi stato riferito
uno dei pi colpevoli. Chi mi fa veramente compassione il povero Rigola,
il quale stato certamente trascinato nel fango da altri i quali obbedivano
unicamente ai loro interessi personali. Effettivamente, Colombino aveva
provato a convincere la moglie di Buozzi che la scelta compiuta dal marito
non aveva basi razionali, che una Confederazione in esilio non avrebbe
avuto ragion dessere, che tutte quelle sofferenze erano ingiustificate. E allora il segretario confederale esplodeva: Emilio ti dice che ho perso la
testa, ma ti assicuro che lha perduta lui. Io credo di non averla mai avuta
tanto sulle spalle E se ti capita digli che non lo invidio, che non ho bisogno
dei suoi consigli e che alla mia famiglia ho sempre pensato e penso... Cio
non dirgli niente. Se lo incontri, salutalo e basta, quindi non andare a casa
sua. Ti dico ci con dolore, ma il dovere deve vincere il dolore. Per ora ho
il dovere di salvare il buon nome del movimento sindacale italiano (22).
Ma cerano anche i consigli pratici perch evidente che a quel
punto Buozzi aveva trovato i mezzi per far sopravvivere in Francia la Confederazione e lavorava per trasferire la famiglia. Anche il pi piccolo passo
falso avrebbe potuto compromettere tutto: Per i passaporti ti prego di non
fare alcun passo. Dovrei anzi rimproverarti per quelli che hai fatto (la
donna lo aveva richiesto attraverso i canali ufficiali e le era stato rifiutato
n.d.a.). Ma poich non ci sono state complicazioni spiacevoli, ci rinunzio!
Al momento opportuno ti far pervenire dettagliate e precise istruzioni...
446

RINA MIA CARA...

Mi compiaccio che la moglie di Saragat sia stata a trovarti e del proposito


di scambiarvi sovente visita. Fatevi coraggio a vicenda(23). Avverte, per,
il disagio psicologico della moglie, lapprensione per il marito lontano:
Comprenderei le tue ansie se io mi trovassi in giro per il mondo, spostato,
in pericolo o in guerra. Niente di tutto questo, lavoro e sto benissimo. Penso
a te, a Ornella e a Iole col solito grande affetto che conosci. Perch dunque
disperarti senza costrutto, anzi a danno di te stessa e della tua salute, invece
di guardare fiduciosamente allavvenire? So bene che tu appartieni a quella
schiatta di persone ormai rara che quando amano, amano veramente e
intensamente. So bene che i tuoi cari rappresentano il tuo tutto. Ma appunto per tutto ci, che, volendo dico volendo dovresti riuscire a dominarti(24). Parole delicate che si uniscono ai rimproveri, segnali di una vita
fatta di rispetto e comprensione. Poi cominciava (gi ad aprile) il soggiorno
a Vigevano, i preparativi per la fuga entravano nel vivo e la condizione psicologica di Rina cominciava a dare segni di miglioramento. Bruno li coglieva: Dalla lettera che mi hai inviato da Vigevano mi parso che,
finalmente, il tuo animo sia pi sollevato(25).
Nonostante la vita difficile e piena di contrariet, il rapporto tra
Buozzi e la moglie venne sempre caratterizzato da un tratto speciale di tenerezza, una tenerezza che non and mai smarrita nemmeno nei momenti
pi drammatici, nemmeno davanti ai pericoli di unItalia sottomessa al fascismo e poi anche alloccupazione nazista. C una lettera che con straordinaria efficacia illustra questo carattere del loro rapporto. E dalle parole
del segretario della CGdL sembra quasi trasparire una premonizione rispetto al suo futuro perch quella missiva contiene tutti i segnali di un
addio pur essendo stata scritta il 15 febbraio del 1942. La lettera fu recapitata a Rina mentre soggiornava a Parigi, ospite dalla figlia Ornella. Il marito
era a Montefalco, in Umbria, al confino. Buozzi con un misto di commozione e rimpianto diceva: Rina cara, ricordi, si compiono oggi trentanni
in cui ci unimmo in matrimonio. Ed questa, se non erro, la seconda volta
(la prima fu nel 1927, quindici anni or sono) che questanniversario ci trova
separati. Tuttavia non sono triste; perch riandando col pensiero a tutti questi anni della nostra vita coniugale, trovo soltanto motivi di soddisfazione e
di conforto. Mai una nube seria sorse tra di noi, non dico ad offuscare ma
neppure a turbare appena ventiquattrore la nostra felicit. Provammo in447

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

sieme molte gioie e molte soddisfazioni. Provammo anche dei dolori e delle
amarezze. Ma non mai a causa di dissensi nostri. Lo so: di questi dolori e
di queste amarezze il maggior responsabile sono io, o, per essere pi precisi,
la movimentata vita sindacale e politica a cui dedicai tanta parte di me
stesso... Mi sei stata una compagna devota. Mi hai regalato due figliole,
delle quali, grazie alla tua sana educazione, difficile dire di tutto il bene
che meritano... Di tutto ci, oggi, trentennio del nostro matrimonio, qui, da
questo confino, che oggi mi pesa meno che mai, mi sommamente caro
esprimerti la mia pi profonda riconoscenza e riconfermarti tutto il mio affetto, rafforzato, anzich affievolitosi, col passare degli anni. E se posso
chiudere con un augurio, quello che le nostre buone figliole possano godere anchesse, sempre, di una felicit coniugale dolce ed appassionata ad
un tempo, pari alla nostra(26). Quel che colpisce in questo epistolario la
compostezza: una maniera serena di affrontare anche le vicende drammatiche di una dittatura che toglie il respiro e di una guerra feroce. Buozzi
sembra attraversare la bufera quasi in punta di piedi, preoccupandosi di non
arrecare troppo disturbo, di dare ai sentimenti quel valore di conforto dagli
affanni che gli consentir di andare incontro al suo triste destino con la serenit degli eroi.

Bruno Buozzi, lettera al fratello Antonio del 23 ottobre 1927 in Aldo Forbice (a cura
di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943) Fondazione
Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 222
2
Bruno Buozzi, lettera al fratello Antonio del 23 ottobre 1927. Ivi.
3
Il vezzeggiativo che Buozzi usava per indicare la figlia Ornella
4
Il mese di riferimento luglio
5
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 18 agosto 1927 in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943) Fondazione Modigliani
Franco Angeli 1994, pag. 209
6
Lassenza della persona che avrebbe dovuto provvedere a portare allestero Rina, Ornella e Iole.
7
In pratica il trasferimento dallItalia
8
Probabilmente il riferimento al pagamento del servizio di trasporto.

448

RINA MIA CARA...


9

Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 18 agosto 1927. Ivi.


Data che coincide con la precedente lettera di Buozzi del 18 agosto
11
Ottobre
12
Lerrore nel cognome (Gaggianesi) nel testo originale
13
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 20 dicembre 1926 in Aldo Forbice (a cura di):
Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943) Fondazione Modigliani Franco Angeli 1994, pag. 199
10

14

Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 30 dicembre 1926, in Aldo Forbice (a cura di):
Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem pag. 200
15
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 30 dicembre 1926, in Aldo Forbice (a cura di):
Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943). Ivi
16
Era in sostanza la mensa, organizzata sempre nel palazzo di Rue dAuvergne, in cui
pranzavano gli esuli italiani.
17
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 30 dicembre 1926 in Aldo Forbice (a cura di):
Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943). Ivi
18
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 16 gennaio 1927 in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem pag. 201
19
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 26 gennaio 1927 in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem pag. 202
20
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 26 gennaio 1927 in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943). Ivi.
21
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 14 febbraio 1927 in Aldo Forbice (a cura di):
Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem pag. 203
22
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 6 marzo 1927 in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e Riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943). Ibidem pagg. 203-4
23
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 14 febbraio 1927 in Aldo Forbice (a cura di):
Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943). Ivi.
24
Bruno Buozzi, lettera alla moglie dell8 marzo 1927 in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943) Ibidem pag. 204
25
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 5 aprile 1927 in Aldo Forbice (a cura di): Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943) Ibidem pag. 208
26
Bruno Buozzi, lettera alla moglie del 15 febbraio 1942 in Aldo Forbice: La Forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista Franco Angeli 1984, pagg. 85-86

449

I miei sentimenti sono tuttora immutati e


quindi sono rimasto socialista. Sono per la libert
di pensiero, di discussione e di stampa

Larresto, il ritorno

Dopo larresto a Parigi, la Gestapo sped Bruno Buozzi in Germania


Le carceri tedesche si rivelarono dure tanto vero che il sindacalista
perse 15 chili come conferma la foto della scheda segnaletica

Il 4 marzo del 1941, il signor Francolini, dallambasciata di Parigi,


inviava al Ministero dellInterno italiano un telegramma riservato in cui diceva: Avendo appreso dai nostri fiduciari che il noto Buozzi Bruno, irreperibile al 34, square de Clignancourt, si trovava ogni giorno dalle 10,30
alle 11,30 al deposito di merce sito al n 16 della Rue de la Tour DAuvergne, piano 3, ho avvertito i camerati della Polizia Germanica i quali hanno
proceduto al di lui arresto. Il Buozzi trovasi detenuto nelle carceri della
Sant, in attesa di essere avviato in Italia. Egli fa parte del 1 elenco di sovversivi da arrestare. Lesilio del segretario generale della CGdL era finito.
Nel peggiore dei modi, con larresto favorito dalla delazione di un funzionario dellambasciata, Pietro Francolini. La tempistica, nei periodi di guerra
era piuttosto rallentata e cos soltanto ventiquattro giorni dopo quella scarna
comunicazione proveniente da Parigi, la Direzione Generale della Pubblica
Sicurezza, confermava che il nominato in oggetto (cio Bruno Buozzi
n.d.a.), dietro richiesta di questo Ministero, stato arrestato dalla Polizia
Germanica, rinchiuso nelle carceri della Sant (Parigi), in attesa di essere
tradotto in Italia. In un regime in cui obbedienza e mellifluit andavano a
braccetto, tutti si appuntavano un pezzo di medaglietta per limportante
preda finalmente conquistata con successo: lambasciata, la polizia, il ministro. Era stato imprudente, Buozzi. Tradito dai sentimenti, dallamore per
le figlie e per la nipotina nata qualche mese prima. Eppure che Parigi in
quel momento fosse per gli antifascisti un posto decisamente pericoloso,
lo sapeva benissimo tanto vero che, insieme ad altri esuli, aveva deciso
di riparare a Tours con la conseguenza che nella casa di Boulevard Ornano,
come comunicavano dallambasciata con dei riferimenti piuttosto imprecisi
dal punto di vista della toponomastica, non cera pi nessuno.
Non aveva resistito al desiderio di giocare con quella nipotina che
453

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

la sorte non gli avrebbe dato lopportunit di veder crescere. Non aveva resistito al richiamo dei vecchi luoghi e dei vecchi compagni. Guido Raffaelli,
il marito di Ornella, ha raccontato cos, ad Aldo Forbice, le fasi dellarresto:
Quel giorno tornando a casa, la portinaia mi aveva informato che alcuni
agenti, probabilmente dellOvra, insieme ai tedeschi, erano venuti ad arrestarlo. Quasi sicuramente mio suocero aveva avuto limprudenza di tornare
nella sede della Popote, in rue dAuvergne. Lo arrestarono in quellufficio
dove cera ancora Nullo Baldini. Io sono arrivato dopo pochi minuti, ma lo

Lordine di arresto nei confronti di Buozzi impartito alla polizia di frontiera

454

L A R R E S T O , I L R I T O R N O

avevano gi portato via. Lho rivisto due mesi dopo, nel parlatorio del carcere de La Sant, insieme a Ornella e nostra figlia. Ma quel giorno non riuscimmo a parlare molto: lui non aveva occhi che per la nipote1.
La capitale francese non era pi il luogo ospitale che tante volte
Buozzi aveva descritto nelle sue lettere. Non era cambiato lumore dei suoi
abitanti, erano cambiati i padroni. Da poco meno di un anno da quando,
il 10 maggio del 1940, aggirando la linea Maginot i tedeschi, avevano varcato i confini della Francia, procedendo verso Dunkerque e cos obbligando
i francesi alla resa, temporanea (qualche giorno dopo, il 10 giugno, lItalia
avrebbe dichiarato guerra a Parigi, il 20 avrebbe avviato una offensiva non
particolarmente brillante dal punto di vista dei successi bellici, per poi chiudere le operazioni con larmistizio di Valle Incisa). I tedeschi erano, insomma, padroni del territorio e i fascisti potevano muoversi con maggiore
libert. E con grande libert si erano mossi il 1 marzo del 1941 dando al signor Francolini la possibilit, tre giorni dopo, di telegrafare, con toni trionfanti, lavvenuta cattura del pericoloso sovversivo. L, a La Sant, Buozzi
ebbe il relativo conforto dellincontro con Giuseppe Di Vittorio (dei rapporti tra i due parleremo pi ampiamente nel prossimo capitolo). Si erano
conosciuti poco prima delle penultime elezioni, quelle del 1921 (poi cerano
stati solo due plebisciti fascisti). Alla politica Di Vittorio si era accostato
provenendo da esperienze e idee notevolmente diverse da quelle di Bruno
Buozzi. Prima anarchico, poi folgorato sulla via del socialismo in maniera
cos violenta da creare un circolo giovanile organico a quelle tendenze nella
sua citt, Cerignola, in Puglia. Poi, nel 1911, lo avevano mandato a Minervino Murge, per guidare la Camera del Lavoro. E qualche tempo prima
delle elezioni Giuseppe Di Vagno (che sarebbe stato ucciso, durante un comizio, il 25 settembre del 1921 dagli squadristi guidati da Giuseppe Caradonna) lo present a Buozzi che era gi un notissimo leader sindacale e
politico. Scambi di battute fugaci, sotto gli occhi truci e le orecchie attente
dei secondini, istruiti dai tedeschi alla massima severit.
In quel primo giorno di marzo cominciava una via crucis che sarebbe durata mesi, caratterizzata per tutti i membri della famiglia Buozzi
da un unico interrogativo: dove spediranno Bruno. E tutti provavano a capire per poter portare un minimo di conforto alluomo che alle sue idee
aveva sacrificato la libert. Scriveva Iole, la figlia minore che aveva sposato
455

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Gilles Martinet, allo zio Adolfo (la data quella del 2 maggio, anzi del 2
mai, in francese): In una cartolina del 27 aprile Nella annunzia la partenza
probabile di pap a destinazione dellItalia. Informati per sapere dove sar
mandato e quando arriver, e soprattutto, ti supplico fai limpossibile per
venirgli in aiuto. Inutile dirti il nostro dolore e la nostra angoscia. Buozzi
non rest molto nel carcere parigino, una cinquantina di giorni in tutto. L11
maggio Iole scriveva di nuovo allo zio: Pap partito il 24 aprile da Parigi. Non ha potuto portare con s molto danaro. Ti preghiamo di aiutarlo.
Ornella conta venire cost questestate con mamma, e ti rimborseranno. A
Parigi credono che Pap sar mandato a Torino o Ferrara.
Il viaggio, invece, fu molto pi lungo e tortuoso e sempre Iole informava della cosa lo zio: Secondo notizie ricevute direttamente pap non
sarebbe ancora giunto cost (cio a Torino, n.d.a.), ma in attesa, in una citt
tedesca. Per quanto tempo ancora non lo sappiamo. Mia suocera tornata
pochi giorni or sono da Parigi, mi dice che Ornella molto coraggiosa,
mamma, invece, sopporta male la separazione, molto dimagrita. Per fortuna c la bambina di Ornella (9 mesi) che laccaparra e riesce a distrarla.
Ornella e il marito vivono con la mamma. Il viaggio di Buozzi fu una specie di tragico gioco delloca tra citt segnate e ferite dalla guerra. Da Parigi a Treviri dove era stato separato da Di Vittorio, toccando Norimberga,
Monaco, Innsbruck. La drammatica attesa di notizie di quei giorni, emerge
dalla corrispondenza. Il 26 giugno Ornella scriveva allo zio Adolfo: Lultima lettera ricevuta dal babbo, in data 31 maggio, ci informava che egli
sarebbe partito da Treviri pochi giorni dopo, diretto in Italia, ed aggiungeva: Informate immediatamente mio fratello Adolfo... Se poi, come vogliamo sperare, tu potrai vederlo, abbraccialo zio caro, forte forte, per noi
quattro, e digli che siamo costantemente con lui, che viviamo nella speranza di ritrovarlo in buona salute; che la bimba cresce bella e cara, pesa
gi pi di nove chili, e sta in piedi da sola; che mio marito continua a seguire con ardore landamento della ditta, di cui ha fatto mettere perfettamente a giorno la contabilit, e che malgrado le difficolt attuali del
commercio se la cava. In realt, in salute Buozzi non stava benissimo.
Il viaggio verso Treviri lo aveva profondamente debilitato anche
perch, dal punto di vista dellalimentazione i tedeschi non che badassero
a tenere in gran forma i loro prigionieri. In quei trasferimenti aveva perso
456

L A R R E S T O , I L R I T O R N O

quindici chili anche se provava a rassicurare, con una lettera da Wurzburg


i parenti: Come vitto, finora, non c da lamentarsi. totalmente vegetariano, ma abbastanza... Molte patate, ma da due mesi ne ho mangiate certamente pi che in quelli precedenti. Oggi, ad esempio, non sono riuscito
a mangiare tutto quello che mi hanno dato, ma lappetito non manca. Stasera, poi, abbiamo fumato clandestinamente alcune sigarette clandestine,
fabbricate con la buccia di patate bollite!2. In una lettera successiva, per,
ammetteva che il trattamento non era stato propriamente da albergo a cin-

LAmbasciata di Parigi comunica a Roma larresto di Buozzi

457

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

que stelle e la carne dosata con straordinaria parsimonia: Causa linsufficienza del vitto e gli strapazzi del viaggio (sette tappe in sette prigioni
diverse in due mesi e mezzo) quando arrivai qui avevo perduto nientemeno
che quindici chili3. La durezza di quella vita la raccont, una volta libero,
al compagno di tante battaglie sindacali, Gino Castagno: S vero egli
mi disse un giorno il trattamento dei carcerati molto duro, in Germania
pi che in Italia; in parecchi luoghi i prigionieri sono ancora nelle celle con
le catene, e anchio lo fui; il vitto scarso e ligiene non curata per nulla.
Lincertezza del futuro, il bisogno di sapere quale destino lattendeva oltre
le sbarre de La Sant aveva indotto Buozzi a scrivere una lettera a Mario
Bergamo (repubblicano, si adoperava in Francia per dare aiuto a ebrei ed
esiliati) il 3 aprile: Se si crede veramente che io abbia dei conti da rendere
alla giustizia del mio paese, mi si trasferisca al pi presto in Italia e si decida
al pi presto della mia sorte. Non lo chiedo per me che malgrado i miei
sessantanni ho cuore e nervi buoni; lo chiedo per quella santa donna di
mia moglie che non si mai occupata di politica, che ha vissuto soltanto
per me e per le sue figliole, che da qualche anno ha la salute scossa, e che
il mio arresto ha ridotto nelle condizioni che tu conosci.
Arrestato in inverno, Buozzi torn in Italia soltanto in estate. Era il
20 luglio quando Iole rispondeva a una lettera dello zio Aldolfo che comunicava larrivo del fratello: Ieri sera mi giunta la tua lettera del 13 luglio
e puoi immaginare quale conforto sia stato per me il sapere finalmente in
modo preciso dove si trovi pap. La tua cartolina del 22 giugno (alla quale
avevo subito risposto) mi aveva gi dato un po di speranza, speranza che
si era andata affievolendo dato che non ricevevo conferma n da te, n da
pap. Ed ora bisognerebbe sapere in che stato si trova pap, se ha bisogno
di indumenti, di danaro, di viveri. Molto probabilmente non lo lasceranno
a Vipiteno. Il lungo giro per lEuropa in fiamme era, insomma, quasi
giunto alla conclusione. Il 7 luglio la polizia tedesca aveva consegnato la
preda alla polizia italiana che laveva custodita a Vipiteno; il 13 luglio
lavevano trasferita a Ferrara sistemandola nelle carceri locali; il 9 agosto
il Ministero dellInterno aveva disposto il confino a Montefalco, in provincia di Perugia; il 17 l avevano spedita nella nuova residenza coatta con foglio di via obbligatorio e lingiunzione di presentarsi allautorit di P.S.
di Montefalco.
Lo avevano dotato anche di un appannaggio per
458

L A R R E S T O , I L R I T O R N O

le spese: otto lire giornaliere per il vitto, cinquanta mensili per lalloggio.
Un sostegno finanziario non proprio da nababbi. A Ferrara, prima di spedirlo al confino, lo avevano interrogato. E il prefetto, Villa Santa, cos in
una nota riservata del 23 luglio, inviata al Ministero dellInterno, sintetizzava il pensiero del prigioniero e le impressioni personali che ne aveva
tratto: Il giorno 8 (il 7 luglio, secondo il prospetto biografico redatto dalla
stessa Prefettura, n.d.a.) andante stato consegnato dalla polizia germanica allUfficio di P.S. di confine del Brennero il sovversivo in oggetto,
che nel corso dellinterrogatorio ha ammesso di aver diretto di fatto, per
circa un decennio, lUfficio Mano dOpera straniera della confederazione
del lavoro francese, di aver fatto parte per alcuni anni della commissione
esecutiva della L.I.D.U. e di aver coadiuvato i noti Turati, Treves, Nenni,
Modigliani, e Ruggimenti (lerrore nel testo perch, il cognome esatto
era Rugginenti, n.d.a.) nellorganizzazione del partito socialista italiano...
ha infine, precisato che dal 1935 ha intrapreso unattivit commerciale...
da ultimo, il predetto ha asserito che anche allestero ha rifuggito da iniziative dirette a condurre la lotta antifascista con metodi violenti... rimasto, per, ostinatamente fedele alle vecchie idee, non accettando alcunch
dei principi sindacali e corporativi del Regime. Pertanto, non si ritiene opportuno che il predetto resti, al presente, libero ed indisturbato nel Regno,
potendo egli svolgere attivit avversa al Regime. Si propone, quindi, che il
soprascritto venga assegnato al confino di polizia.

20.1 Non ho abiure da fare

Nellinterrogatorio, Buozzi aveva spiegato i motivi che lo avevano


indotto a non rientrare in Italia: Essendomi recato dallOlanda a Parigi,
trovai presso la Confederazione del Lavoro francese o presso lalbergo che
avevo indicato ai miei congiunti quale mio recapito, una lettera di mio fratello Antonio con cui questi mi consigliava di non rientrare subito nel
Regno, in quanto i fascisti di Torino, quale atto di rappresaglia per il noto
attentato di Bologna, avevano devastato la sede della Federazione Italiana
Metallurgici. Quindi spiegava che nulla era cambiato nei suoi convincimenti politici: I miei sentimenti sono tuttora immutati e quindi sono rimasto socialista; riconosco che il fascismo ha avuto qualche iniziativa degna
di elogio ma disapprovo molte direttive politiche ed economiche dellattuale
459

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Regime Italiano. Sono, ad esempio, per la libert di pensiero, di discussione


e di stampa e fu questo uno dei motivi che mi spinsero nel 1926 a lasciare
lItalia; non vedo un sindacalismo fascista sufficientemente attrezzato in
confronto del sindacalismo padronale che ritengo assai meglio attrezzato.
Nel campo politico, poi, non vedo di buon occhio lalleanza con la Germania,
in quanto temo che una Germania potente e che abbia egemonia sullEuropa
sia un pericolo per lItalia; non giustifico neanche lostilit dellItalia con
la Francia. Conclusione: Non ho abiure o rinunce da fare. Nellufficio
di Sante Panebianco, vice-commissario di pubblica sicurezza, Buozzi era
entrato per linterrogatorio alle 15,30 del 18 luglio 1941; un mese dopo, il
17 agosto, era a Montefalco, temporaneamente ospite di una famiglia, quasi
una soluzione da studente universitario, solo che in quel caso gli studi centravano poco.
La casa la prese solo in un secondo momento anche perch le limitazioni imposte dalla condizione di confinato non gli davano, almeno inizialmente, la possibilit di un rapporto costante, continuo con la moglie.
Rina fu costretta a prolungare la sua coabitazione con Ornella per qualche
tempo, fino a quando non le venne restituito il passaporto. Ma anche dopo
aver ottenuto quel documento, non venne autorizzata, per, a stabilirsi a
Montefalco. Si avvicin soltanto, sistemandosi a Ferrara. Buozzi trascorreva le giornate leggendo libri, facendo grandi passeggiate, cercando conforto nellabbraccio rassicurante della campagna umbra, come scriveva alla
figlia Ornella, nellaprile del 1942: Quando il tempo bello, un incanto.
Poche mattine fa, nel viale che sta vicino a casa mia, mi sono goduto
unoretta deliziosa. Sul viale tigli fiorenti e odoranti. Alle mie spalle il piccolo parco, che mamma conosce, piccolo ma bello e ben dotato di pini di
diverse specie e di cipressi altrettanto belli. Stormir di fronde, canto di uccelli e di cuc mancava il corno di Sigfrido ed avrei avuto un piccolo
mormorio della foresta. Ai miei piedi, un praticello dove miriadi di margherite si aprivano lentamente sotto i raggi del sole, dopo essersi chiuse
in se stesse durante la notte. Davanti a me la vallata ridente che mamma
pure conosce. Verde glauco di ulivi, verde vivo dei prati e campi di grano,
riccamente nuanc dai riflessi del sole sui declivi della colline, macchie
verde-giallo di querce secolari o verde-cupo di pini e di altri alberi; ciuffi
bianco-rossi di frutti in fiore, punti grigi vaganti di greggi pascolanti lon460

L A R R E S T O , I L R I T O R N O

tano4. Questo panorama, bucolico e georgico allo stesso tempo, che appare
in qualche misura uscito dalle opere virgiliane, in contrasto con il tumulto
che circondava Buozzi e che stava sempre di pi avvinghiando lItalia. Lui,
il confinato, cercava conforto nei ricordi delle scene di vita quotidiana. E
diceva a Ornella: Mentre scrivo, ho qui appeso davanti a me il bel faccione
non triste ma interrogativo della tua, della nostra Claudine, al quale
do un bel bacione, alla maniera di Iole, cio passando due dita dalla mia
bocca alla sua bocca, il che non mi impedisce di mandarti, anche per lei,
tanti e tanti bacioni quanti ne mando a te e alla mamma5.
Il carattere mite lo aveva reso benvoluto presso gli abitanti del
paese, addirittura presso coloro che erano chiamati a sorvegliarlo, cosa che
aveva prodotto allarme nel federale locale, ottuso come si conveniva a uno
della sua razza, che per stroncare quella insopportabile cordialit (se non
proprio familiarit) aveva chiesto per Buozzi (ed altri quattro) il trasferimento in un altro posto. Aveva stretto un buon rapporto persino con il parroco, lui, inveterato socialista, quindi in odor di mangiapretismo.
Scriveva una lettera a Don Brizio con la quale pi che favori, chiedeva di
essere utile: Come vi ho gi detto, egregio Don Brizio, il mio maggior tormento quello di trovarmi qui condannato allozio e costretto a vivere a carico altrui, io che a 11 anni dovetti lasciare i banchi della scuola per quelli
dellofficina, e che a partire dai 13 anni bastai sempre a me stesso e non
soltanto a me stesso. Se il vostro cortese intervento in mio favore non avr
esito favorevole, ve ne sar grato egualmente. E questo vecchio operaio che
vi scrive (ha ormai 61 anni) sopporter socraticamente la sua sorte senza
imprecare contro la patria, con la sicura coscienza che, in fatto di amore per
il proprio paese altri mi potranno uguagliare ma mai superare. Don Brizio
di cognome faceva Casciola e intratteneva vaste e importanti relazioni. Convinse Buozzi a redigere una sorta di memoriale che il sindacalista gli invi
l11 aprile del 1942 sotto forma di lettera. Che si concludeva ponendo tre
quesiti:esiste qualcosa a mio carico? E se non esiste nulla, mi si consenta
di ritornare in Francia, dove potrei essere utile al mio paese oltre che a me
stesso. Infine, se al mio ritorno in Francia ostano disposizioni dellautorit
tedesca di occupazione, mi si consenta di trasferirmi a Torino.
La lettera conteneva, per, anche una valutazione dellattivit diplomatica italiana relativamente ai rapporti con la Francia. Buozzi, infatti,
461

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

sottolineava che dopo la disfatta militare di quel Paese, non tardai ad


accorgermi che i nostri alleati tedeschi svolgevano una politica di accaparramento del mercato francese che io ritenevo pericolosa per gli interessi
dellItalia. Insomma, al di l della diversit di posizioni, il leader sindacale
continuava a pensare al bene del suo Paese che dopo la guerra doveva essere ricostruito, confermando cos che in fatto di amore per la patria non
sarebbe mai stato secondo a nessuno. Don Brizio gir la lettera a Thaon di
Revel (che il 25 luglio del 1943 avrebbe avuto una parte non secondaria
nellallontanamento di Mussolini dal governo facendo parte del cerchio
magico di Vittorio Emanuele III) il quale sped un mese dopo a Torino (a
Buozzi era stata concessa una licenza per assistere il fratello ormai agonizzante: il 15 maggio era al capezzale di Antonio; la prima persona che incontr a Torino fu Giuseppe Mazzini lex presidente della Confindustria)
un ispettore del Ministero dellInterno, Vincenzo Grandinetti che invit il
segretario della CGdL a scrivere personalmente al duce. Cosa che Buozzi
non fece spiegando a Don Brizio che lui non aveva alcuna intenzione di
strappare privilegi personali. Questa corrispondenza (peraltro nel contenuto
non molto dissimile dalla lettera che lanno prima a La Sant il prigioniero aveva consegnato a Mario Bergamo) in ogni caso aliment nuovamente pettegolezzi e sospetti circa una disponibilit di Buozzi a trovare un
compromesso col regime. Un sospetto volgare e infamante che il diretto
interessato aveva pi volte fugato con i fatti (la lettera a Villani del 1929 e
quella al fratello del 1934 quando, di fronte a un nuovo tentativo del regime,
rispondeva che sarebbe tornato in Italia senza patteggiamenti di sorta).
Se ai funzionari di polizia che lo avevano interrogato aveva voluto
dare limpressione di aver da diversi anni attenuato il suo impegno politico
per dedicarsi con maggiore assiduit al commercio di salumi che gli dava
da vivere, nella realt la sua azione stava diventando, anche al confino,
sempre pi intensa. Aveva cominciato a tessere la tela che di l a poco sarebbe tornata utile, aveva riannodato i rapporti soprattutto con gli ambienti
cattolici con i quali aveva flirtato sin dai tempi in cui aveva pensato a una
alleanza tra socialisti e popolari per sbarrare la strada al fascismo. Una attenzione che non gli risparmiava critiche, ma a Gino Castagno, che era tra
i critici, spiegava di temere che i primi a scuotere limpalcatura del fascismo
potessero essere le gerarchie militari, aveva timore dello stabilirsi duna dit462

L A R R E S T O , I L R I T O R N O

tatura di generali appoggiata dalla monarchia, per la continuazione della


guerra (e non era andato tanto lontano dal reale, n.d.a.). Per questo accettava
anche lalleanza con gli uomini vecchi e nuovi del Partito Popolare e delle
gerarchie cattoliche, pur di non lasciare tutto il potere al clan militare6.
Poi una serie di eventi familiari, anche molto tristi, gli consegnarono
una certa libert di movimento che lui utilizz proprio per riavviare definitivamente la sua attivit politica, potendo fare ritorno sovente a Torino. Il
fratello Antonio, il mediatore in occasione della trattativa sollecitata dal
regime e conclusa con un netto rifiuto di Buozzi a tornare in Italia (la famosa
lettera a Villani), era scomparso e lo aveva nominato tutore del figlio, un
lutto che gli consent di tornare a Torino il 25 giugno per rimanervi sino al
17 settembre; poi le incombenze derivanti dal ruolo di tutore gli garantirono
unaltra licenza il 21 ottobre. Fu in questa occasione che il segretario generale della CGdL incontr il cattolico Achille Grandi. Nel frattempo il patto
di unit di azione con i comunisti pur essendo ufficialmente interrotto dallepoca del trattato Molotov-Ribbentrop, in realt aveva ricominciato sotterraneamente a funzionare sin dal 1941 e il 7 settembre del 1942 a Torino
uno nuovo era stato firmato per i socialisti da Ogliaro, Carmagnola, Acciarino e Chiaramello, e per i comunisti da Carretto, Massola e Cappellini. Nel
capoluogo piemontese riallacci pure i rapporti con un vecchio compagno
di lotte sindacali, il comunista Giovanni Roveda (lo incontr in una quarta
licenza che gli venne concessa dal 16 febbraio al 4 marzo del 1943) che godeva di una certa libert di movimenti (anche lui era al confino) essendo
stata la sua casa gravemente danneggiata durante un bombardamento.
Contemporaneamente ci fu un risveglio della combattivit operaia a
Torino e a Milano dove nella seconda met del 1942 ci furono scioperi che
vennero coronati da un successo molto parziale (andarono benino solo allAlfa
Romeo e alla Tedeschi). Ma erano il segnale che qualcosa stava ripartendo.
Anche perch si saldavano due motivi di insofferenza: uno, quello pi visibile
e pi diffuso, che riguardava la guerra, il suo protrarsi oltre le attese, le insopportabili sofferenze che stava infliggendo alla popolazione civile; laltro meno
visibile ma non per questo meno rilevante dal punto di vista delle motivazioni,
che tirava direttamente in ballo la situazione salariale che si era profondamente
deteriorata con la guerra. Fondendosi, le due insofferenze avevano fatto risvegliare la coscienza di classe, risveglio legato anche allo spirito di iniziativa di
463

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

due operai comunisti, Umberto Massola e Leo Lanfranco, e alla presenza in


zona di Buozzi e Roveda, ambedue molto conosciuti a Torino.
Roveda, infatti, era stato lultimo segretario della Camera del Lavoro prima dellavvento del fascismo; era stato arrestato nel 1926. Condannato a ventanni di carcere, dopo averne scontati dodici e godendo di
una serie di riduzioni di pena attraverso alcune amnistie, era stato liberato.
Ma in maniera teorica perch lo avevano spedito al confino, a Ventotene.
In Questura incontr Buozzi e dato che gli scambi di notizie e opinioni non
potevano avvenire in incontri privati, organizzavano i loro vertici politicosindacali sulla lunga scalinata e nel corridoio che portava alla stanza in cui
svolgevano gli adempimenti burocratici imposti a chi doveva essere costantemente sotto controllo. In quei colloqui vennero definiti i piani che
avrebbero portato agli scioperi del 1943 che non furono solo politici ma
anche pi schiettamente economici, sindacali. Roveda, poi, decise che non
aveva alcuna intenzione di tornare a Ventotene e si diede alla clandestinit.
La moglie fu pure arrestata essendo in odore di complicit ma ad aiutarla
provvide Buozzi che testimoni la radicata intenzione del marito di sottrarsi
alla condizione di confinato. Anno cruciale, comunque, il 1943.
Il primo tentativo di sciopero abort il 1 marzo perch la Fiat, a conoscenza dei piani operai, annunci un aumento salariale di 50 lire in acconto sugli altri miglioramenti che sarebbero arrivati successivamente. Le
cose, poi, andarono progressivamente meglio anche perch le condizioni
dei lavoratori erano critiche. Rispetto al 1939, linflazione, a fine 1942, era
aumentata del 172 per cento. I lavoratori chiedevano il pagamento delle
192 ore, praticamente un mese di paga che veniva liquidato a fine anno
(una sorta di tredicesima) e la corresponsione dellindennit di sfollamento.
E se la Fiat aveva fatto fallire lo sciopero del 1 marzo, le cose andarono
diversamente il 5 e ancor di pi l8 e il 12 marzo. Il PNF prov a disinnescare la bomba sociale spedendo a Torino il vice-segretario Carlo Scorza
che non non essendosi ancora reso conto che il Regime era agli sgoccioli,
ordin agli operai di rientrare in fabbrica e, per giunta, in camicia nera.
Gli risposero in qualche maniera fascisticamente: Ce ne freghiamo. E rimasero fuori dai cancelli. Imitati, poi, il 24 dai compagni milanesi che bloccarono lattivit produttiva di Pirelli, Magneti Marelli, Falck. La protesta
come una macchia dolio si estese a tutta la Lombardia e alla Liguria, men464

L A R R E S T O , I L R I T O R N O

tre Mussolini dichiarava che non si sarebbe fatto ricattare, che non avrebbe
scucito un centesimo. Diede di pi, molto di pi del centesimo e si consol
facendo lunica cosa che in quel momento era in grado di fare: rimuovere
un pubblico funzionario come il capo della polizia, Carmine Senise, che di
l a poco, per, sarebbe stato richiamato.
Quegli scioperi smascherarono lormai cronica debolezza del fascismo, fiaccato da una guerra sempre pi disastrosa e da un consenso che era
ormai venuto meno. Le motivazioni politiche erano forti ma venivano irrobustite dalla consistenza di quelle economiche come sottolineava un manifesto diffuso in Piemonte: Operai, impiegati! Il governo Mussolini,
responsabile di aver trascinato il nostro Paese in una guerra ingiusta e rovinosa, vuole farci morire di fame, dandoci degli stipendi irrisori, pagandoci
con assegni in luogo di moneta e allungando a 12 ore la giornata lavorativa.
Smettiamo di lavorare, prepariamo lo sciopero7. In quegli scioperi emerse
un nuovo protagonista: le donne. Furono loro la parte pi combattiva e determinata del movimento, talmente combattiva e determinata da spiazzare
persino i poliziotti che si videro costretti a ridimensionare la loro azione
intimidatoria. Quattro di loro, a Torino, vennero pure arrestate. Alla fine l
bilancio fu: il riconoscimento di gran parte delle richieste avanzate e la denuncia di ottantasette operai al Tribunale Speciale. Bruno Buozzi, con i
suoi viaggi a Torino, contribu alla riuscita del movimento. Lo sottoline
poi, nel primo congresso della Cgil a Napoli, nel 1945, Oreste Lizzadri:
Egli prese vivissima parte agli scioperi del marzo 43, che stupirono tutto
il mondo, perch la classe operaia dimostr con un fatto concreto che non
aveva mai accettato la dittatura di Mussolini e che sapeva ricorrere a tutti
i mezzi di lotta8.
Quegli scioperi furono il segnale che il fascismo stava franando,
sotto il peso anche della sua tragica cialtroneria. Aveva portato in guerra
un paese impreparato e malissimo armato. Ci sono alcuni dati che sottolineano la distanza tra la nostra macchina bellico-produttiva e quella delle
altre nazioni belligeranti. Nel triennio 1940-1943 lItalia riusc a fabbricare
undicimila aerei; in un solo anno la Germania riusc a produrne venticinquemila, la Gran Bretagna ventiseimila, lUnione Sovietica trentacinquemila, gli Stati Uniti addirittura ottantaseimila; agli italiani per costruire 3705
blindati furono necessari sempre tre anni; in un solo anno, invece, i tedeschi
465

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

ne costruirono ventimila, i sovietici ventiquattromila, gli americani quasi


trentamila. La situazione economica era molto pi che disastrosa: alla fine
del 1939 il deficit del bilancio statale era di poco pi di dodici miliardi, alla
fine del 42 era schizzato a oltre 77 miliardi per attestarsi nel 43 a 85,5
miliardi. Mussolini aveva fatto una puntata alla roulette con la vita dei suoi
connazionali, aveva confidato in una guerra rapida favorita dalla potenza
bellica e industriale dellalleato tedesco. Era cos sicuro dallesito da averlo
retoricamente proclamato: Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se mi uccidono vendicatemi. Fin come lui stesso aveva previsto: a
piazzale Loreto. E non poteva esserci altro epilogo.
I giornali di luned 26 luglio 1943 uscirono con un appello firmato
da Vittorio Emanule III: Italiani! Assumo da oggi il comando di tutte le
forze armate. Nellora solenne che incombe sui destini della patria ognuno
riprenda il suo posto di dovere, di fede e di combattimento: nessuna deviazione deve essere tollerata, nessuna recriminazione pu essere consentita.
Ogni italiano si inchini dinanzi alle gravi ferite che hanno lacerato il Sacro
Suolo della Patria. LItalia, per il valore delle sue Forze Armate, per la
decisa volont di tutti i cittadini, ritrover nel rispetto delle Istituzioni che
ne hanno sempre confortata lascesa, la via della riscossa. Italiani, sono
oggi pi che mai indissolubilmente unito a voi dallincrollabile fede nellimmortalit della Patria. Fu cos coerente con questo proclama che
quando le cose si misero veramente male, quello che passer alla storia con
il soprannome non certo aulico di Sciaboletta, se la dar a gambe e mentre
un pezzo dItalia soffrir le pene della guerra e delloccupazione nazista,
lui si ritemprer in riva al mare di Brindisi.
Mentre i giornali andavano in stampa, Mussolini era gi in una cella
della caserma dei carabinieri Podgora, epilogo infelice di un fine settimana
decisamente tragico. Quellorganismo che aveva voluto costituzionalizzare
e poi aveva trasformato in un elemento decorativo del regime, il Gran Consiglio, gli aveva dato una spallata. Dieci ore di dibattito, a cavallo tra il 24
e il 25 luglio, accesissimo, tanto acceso da convincere un membro di quellassemblea, Dino Grandi, a presentarsi con due bombe a mano in tasca,
una la tenne per s, laltra la allung al collega De Vecchi. E fu proprio
Grandi a presentare il famoso ordine del giorno che venne approvato con
19 voti (vi aderirono De Bono De Vecchi, Federzoni, Ciano, Alfieri, Bottai
466

L A R R E S T O , I L R I T O R N O

e De Stefani, cio il fior fiore del fascismo) contro sette e due astensioni.
In realt, non veniva chiesta la testa di Mussolini ma lattribuzione del comando delle Forze Armate e delle Operazioni militari al Re, cio lapplicazione di un principio costituzionale. Diceva lordine del giorno: Il Gran
Consiglio del Fascismo riunendosi in queste ore di supremo cimento, volge
innanzi tutto il suo pensiero agli eroici combattenti di ogni arma che, fianco
a fianco con la gente di Sicilia in cui pi risplende lunivoca fede del popolo
italiano, rinnovando le nobili tradizioni di strenuo valore e dindomito spirito di sacrificio delle nostre gloriose Forze Armate, esaminata la situazione
interna e la condotta politica e militare della guerra proclama il dovere
sacro per tutti gli italiani di difendere ad ogni costo lunit, lindipendenza,
la libert della patria, i frutti dei sacrifici e degli sforzi di quattro generazioni dal Risorgimento ad oggi, la vita e lavvenire del popolo italiano; afferma la necessit dellunione morale e materiale di tutti gli italiani in
questa ora grave e decisiva per i destini della Nazione; dichiara che a tale
scopo necessario limmediato ripristino di tutte le funzioni statali, attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle
Corporazioni i compiti e le responsabilit stabilite dalle nostre leggi statutarie e costituzionali; invita il Governo a pregare la Maest del Re, verso il
quale si rivolge fedele e fiducioso il cuore di tutta la Nazione, affinch Egli
voglia per lonore e la salvezza della Patria assumere con leffettivo comando delle Forze Armate di terra, di mare, dellaria, secondo larticolo 5
dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa di decisione che le nostre
istituzioni a lui attribuiscono e che sono sempre state in tutta la nostra storia
nazionale il retaggio glorioso della nostra Augusta Dinastia Savoia. Non
era la richiesta esplicita della testa del duce ma di un suo esautoramento
e, soprattutto, un tentativo di scindere le responsabilit, lasciando solo il
dittatore, fino a poco tempo prima acclamato.

20.2 Dal 25 luglio all8 settembre

In unaltra situazione probabilmente Mussolini sarebbe riuscito in


qualche maniera a disinnescare quellordigno ma il duce era ormai stanco
e malato, soprattutto aveva capito che cera poco da salvare. Il re, alle 6 di
domenica mattina, 25 luglio, era gi al corrente di tutto. Mussolini, a sua
volta, era ancora convinto che se la sarebbe cavata: Fra qualche ora andr
467

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

dal re e risolver la cosa con lui. Si tratta di ministri, sottosegretari e anche


di collari dellAnnunziata che non posso fare arrestare come cittadini qualsiasi9 rispondeva a chi gli diceva di far scattare le manette ai polsi dei
golpisti (i diciannove, poi, dal tribunale della Repubblica sociale vennero
condannati a morte; cinque, De Bono Gottardi, Marinelli, Pareschi e Ciano,
genero di Mussolini, furono giustiziati, uno, Cianetti, venne condannato a

Il Ministero dellInterno comunica la fine del confino di Buozzi

468

L A R R E S T O , I L R I T O R N O

trentanni perch pentito). Quando alle 17 il duce varc la soglia di Villa


Savoia, i giochi erano fatti. Nonostante il caldo, il colloquio fu gelido. Non
posso ignorare il significato politico di quellordine del giorno. Ho deciso
di sostituirvi con il maresciallo Badoglio10. E allo stupore di Mussolini,
Vittorio Emanuele III spiegava con parole chiare i motivi che lo inducevano
a comportarsi in maniera diversa rispetto alle altre volte. Non mancavano
nemmeno i risentimenti personali: Ma cosa credete che il vostro re non lo
sapesse che quei due straccioni di Farinacci e Buffarini dicevano a tutti che
se il re non firma la delega del comando supremo lo pigliamo a calci nel
sedere10. Alle 22,45 del 25 luglio, sul duce dItalia calava ufficialmente
il sipario. Radio Roma annunciava: Il re ha accettato le dimissioni dalla
carica di capo del governo e di primo ministro di Benito Mussolini ed ha
nominato capo del governo e primo ministro il maresciallo Pietro Badoglio. E il maresciallo, un tipo particolarmente abile a galleggiare nel mare
tempestoso della politica, indipendentemente dai regimi e dai capi di giornata, chiudeva il cerchio con un messaggio agli italiani: Per ordine di Sua
Maest il Re e Imperatore assumo il Governo Militare del Paese, con i pieni
poteri. La guerra continua LItalia duramente colpita nelle sue provincie
invase, nelle sue citt distrutte, mantiene fede alla parola data, gelosa custode delle sue millenarie tradizioni. Si serrino le file attorno a Sua Maest
il Re e Imperatore, immagine vivente della Patria, esempio per tutti. Parole,
queste ultime, che rilette oggi producono un amaro sorriso nel senso che
se gli esempi erano Vittorio Emanuele III e Badoglio, allora taluni difetti
italiani sono piuttosto comprensibili.
Lesautoramento (meglio parlare di defenestrazione) di Mussolini
era, comunque, nellaria, non fu un fulmine a ciel sereno. Solo il diretto interessato era convinto di poter tenere tutti a bada con i vecchi metodi, con
la sua milizia, vero e proprio esercito personale. Dino Grandi stava preparando lammutinamento da un mese e mezzo. Ne aveva parlato al re il 4
giugno: un governo di emergenza affidato al maresciallo Caviglia e con
dentro un paio di socialisti, cio Baldesi, uno dei traditori del 4 gennaio
1927, uno dei fondatori dellAssociazione di Studio Problemi del Lavoro,
e Bruno Buozzi, A una operazione simile , il segretario della CGdL non
avrebbe mai dato il suo assenso. Ci non toglie che, come ha avuto pure
modo di confermare Oreste Lizzadri, di lui (cio di Buozzi, n.d.a.) si par469

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

lava come uno dei candidati alla carica di presidente di un governo antifascista di unit nazionale11. La notizia della caduta di Mussolini venne
accolta con manifestazioni di giubilo. Uno solo si suicid: Manlio Morgagni, presidente dellagenzia Stefani, il 26 luglio. Sulla sua tomba nel Cimitero Monumentale di Milano, si legge una epigrafe dettata direttamente da
Mussolini: Qui nel sonno senza risveglio riposa Manlio Morgagni giornalista presidente della Stefani per lunghi anni uomo di sicura fede ne diede
testimonianza nel torbido 25 luglio 1943. Ma quel 25 luglio era stato torbido per chi lo aveva subto, liberatorio per molti altri. Anche se il futuro
era pieno di incognite. Il Paese, fiaccato, voleva uscire dal conflitto e quella
frase di Badoglio (La guerra continua) aveva spento le speranze. Il Maresciallo sapeva di dover rimettere a posto una serie di tasselli, soprattutto
restituire una parte di quelle libert che Mussolini aveva confiscato, sottolineando con un taglio netto che la situazione era, comunque, in movimento.
Laspetto sindacale, da questo punto di vista, si prestava. Il 31 luglio, attraverso lagenzia Stefani faceva sapere che le organizzazioni fasciste potevano essere messe sotto il controllo dei prefetti. A capo del ministero delle
corporazioni, Badoglio aveva chiamato Leopoldo Piccardi (che poi, nel
1956 avrebbe partecipato alla fondazione del Partito Radicale venendo travolto dalla scoperta, da parte di Renzo De Felice, della sua partecipazione
a due convegni giuridici italo-tedeschi considerati come il luogo di elaborazione delle leggi razziali).
Fu lui a disporre la liberazione di Bruno Buozzi. Lordine venne
notificato alle prefetture di Torino e Ferrara il 2 agosto 1943: In relazione
a precorsa corrispondenza, si comunica, per opportuna notifica, che, essendo venuti meno i motivi per cui lindividuo in oggetto venne internato,
egli con provvedimento in data 30 luglio u.s. stato rimesso in libert. A
disporre la liberazione era stato il capo della polizia, Senise. E, significativamente, la liberazione (ufficiale) era avvenuta ventiquattro ore prima del
dispaccio dellagenzia Stefani sulle organizzazioni sindacali. Il 1 agosto,
Piccardi convoc Buozzi (che in realt dal confino di Montefalco se lera
svignata il 28 luglio) per esporgli il suo piano: nominarlo commissario delle
vecchie organizzazioni sindacali fasciste. La risposta del segretario generale
della CGdL fu positiva. Tra laltro, poteva essere quello un terreno fertile
per cominciare a impostare la ricostruzione del sindacato unitario. A Pic470

L A R R E S T O , I L R I T O R N O

cardi fece presente che la struttura organizzativa del Psi era debole e che
per fare in modo che liniziativa avesse successo era necessario associare i
comunisti. Tre giorni dopo, Buozzi ne parl con Nenni e Sandro Pertini,
sottolineando che aveva posto come condizione pregiudiziale per accettare
la presenza di Roveda e Di Vittorio. Le prime reazioni, dei comunisti in
particolare (ma non solo) non furono particolarmente positive. Questa informativa riservata inviata al Ministero dellInterno fornisce una conferma.
Porta la data del 23 agosto 1944: I commenti sulla nomina e accettazione
di Bruno Buozzi al posto di commissario dei lavoratori dellindustria, si
precisano. Inutile dire che i comunisti fanno di questo fatto il loro pianto
del giorno. Le critiche sono vivaci. I comunisti traggono, dal fatto, argomento per dimostrare che, oggi, come per il passato, i socialisti sono pronti
ad assurgere la difesa della borghesia, ogni qualvolta questa si trovi in pericolo. E poi cera lopposizione dei repubblicani stupiti dal fatto che un
socialista possa collaborare con un governo monarchico. E persino fra i
colleghi di partito la maggioranza avversa a Buozzi. Cosa verissima
visto che Nenni era recisamente contrario.
Ma le perplessit non bloccarono il processo avviato. E nemmeno
le condizioni poste dal leader sindacale, cio la cooptazione di Roveda e
Di Vittorio. Certo si trattava di una richiesta molto forte anche perch n
Badoglio n il re avevano tanta voglia di assecondarla. Nel suo diario Oreste Lizzadri ha sottolineato: Piccardi perplesso: personalmente non sarebbe contrario, ma Badoglio, gli altri ministri, e, in definitiva, Vittorio
Emanuele, difficilmente ingoieranno un rospo di tale portata. Invece, lo
deglutirono. Roveda venne nominato vice-commissario insieme al cattolico
Gioacchino Quarello; Grandi and ad organizzare i lavoratori dellagricoltura mentre a Di Vittorio, che era ancora al confino e sarebbe arrivato con
giustificato ritardo, erano stati assegnati i braccianti. Era il seme del futuro
sindacato unitario: le tre grandi correnti di pensiero politico, socialisti, comunisti e cattolici, erano schierate.
Un seme, per, che germogli tra diffidenze, aperture e repentine
chiusure, condizionato dalla situazione politica e dalla diffidenza dei partiti
nei confronti di Badoglio che con quella frase, la guerra continua, aveva
in qualche misura tradito le attese di quelle forze politiche (la quasi totalit)
che reclamavano larmistizio, luscita da un conflitto che stava seminando
471

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

solo morte e distruzione, che si sarebbe inevitabilmente concluso con una


sconfitta morale, prima ancora che bellica, riscattata solo parzialmente
dallantifascismo e dalla Resistenza, che avrebbe sottolineato la crisi di un
sistema istituzionale (la monarchia) che non era stato capace di impedire
(anche per responsabilit dei partiti) alcune tra le peggiori avventure italiane. Il mondo del lavoro, le organizzazioni sindacali e gli uomini che si
erano formati nel sindacato, come Bruno Buozzi o lo stesso Giovanni Roveda, camminavano su un filo sottile: da un lato lesigenza di portare il
paese fuori dalla tempesta, dallaltro evitare che fossero i lavoratori a pagare
il prezzo pi alto di questo traghettamento, posto che non sarebbe stato n
indolore n gratuito. Il problema pi rilevante era quello di caratterizzare
laccordo sui commissari come una scelta di servizio a favore dellItalia e
non come una adesione politica a un governo che non aveva qualificato ancora la sua azione con un atto di rottura (luscita dalla guerra accanto alla
Germania) chiara e inequivocabile e che comunque era in sostanziale continuit con una azione istituzionale rovinosa. Daltro canto, il 3 agosto i delegati del Comitato delle Opposizioni (cerano Buozzi, Ivanoe Bonomi,
Alcide De Gasperi, Meuccio Ruini, Luigi Salvatorelli e Giorgio Amendola)
si erano recati da Badoglio per chiedergli di chiudere con una guerra contraria alle tradizioni nazionali. Alcuni giorni dopo, il 10 agosto, Il Lavoro Italiano (ex Lavoro Fascista), organo dei sindacati, pubblicava un
editoriale allineato sulle posizioni espresse dalla delegazione al capo del
governo: Badoglio dice che noi dobbiamo continuare a combattere per la
vittoria degli ideali fascisti quando il fascismo non esiste pi. Continuare
la guerra non significa altro che preparare la rivoluzione armata del popolo.
Lasciamo che i tedeschi si arrangino da soli12.
Estremamente contrari allaccordo sui commissari era il Partito
dAzione, nonostante nel gruppo fosse stato cooptato anche un autorevole
esponente di quella forza politica, cio Guido De Ruggiero che, per, era
lespressione di una posizione largamente minoritaria. Alla fine, ader anche
il PdA ma solo per non infrangere la compagine del fronte anti-fascista13.
Come ha sottolineato Sergio Turone nella sua Storia del sindacato italiano, questo atteggiamento fu uno dei motivi che in seguito favorirono
lesclusione del PdA dal negoziato per il Patto di Roma. Buozzi, che
aveva dato immediatamente la sua adesione, premeva per andare avanti
472

L A R R E S T O , I L R I T O R N O

anche perch individuava in questa soluzione loccasione per aprire le celle


delle carceri e far uscire i prigionieri politici. Anche lui, per, dovette combattere contro le perplessit, anzi laperta contrariet di Pietro Nenni (parleremo pi diffusamente dei rapporti complessi tra i due) che la manifest
in maniera chiara e piuttosto colorita nel corso di un incontro a cui parteciparono Roveda e Amendola. I due esponenti comunisti si recarono dal
leader socialista proprio per sbloccare la situazione. Era l8 agosto (il leader
socialista era stato liberato quattro giorni prima dal confino di Ponza) e bisognava dare una risposta a Piccardi. Chiarissimo il racconto di Amendola:
Ci recammo, Roveda ed io, da Nenni, che stava allalbergo Moderno, in
via Minghetti, in procinto di partire per il nord. Lo trovammo che era ancora
a discutere con Buozzi sullopportunit dellaccettazione. Quando intervenni per sostenere le tesi di Buozzi, Nenni sbott: Vi ci mettete anche voi
comunisti a dare una mano ai riformisti14.

20.3 Rinascono le commissioni interne

Non era una quadratura del cerchio semplice perch si trattava di


mettere insieme laccettazione delle poltrone commissariali con lopposizione dei partiti antifascisti a Badoglio e alla sua linea di attesa. Una opposizione emersa con chiarezza quando il 7 agosto a Milano, comunisti
socialisti e azionisti elaborarono una dichiarazione decisamente polemica
nei confronti del governo. Quella dichiarazione si era trasformata in breve
nella posizione di tutti i partiti anti-fascisti del comitato milanese per essere
proposta, quattro giorni dopo, come latteggiamento comune dei due comitati pi forti, quello che veniva dalla Lombardia e quello romano. Le posizioni faticarono, per, a coincidere perch al comitato milanese che
riteneva ormai matura lesplosione di un movimento insurrezionale, faceva
riscontro un atteggiamento pi cauto dei romani. Il 13 agosto, dopo una
lunga interruzione, la riunione partor la posizione unitaria. Di rottura con
Badoglio. In ossequio alle decisioni dei partiti, i commissari sindacali misero a disposizione il mandato. Ma in maniera estremamente formale cosa
che consentiva di continuare le trattative con Piccardi. Il ritiro delle dimissioni, per, era sottoposto a una condizione: le nomine non dovevano avere
il carattere di una adesione politica al governo. Il 13 agosto, praticamente
dopo la conclusione della riunione politica, cominci il vertice sindacale.
473

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Oreste Lizzadri ha raccontato che lo convoc Bruno Buozzi con due obiettivi: il primo compiere un passo verso Badoglio per prospettargli la necessit di dar vita a un governo veramente rappresentativo e democratico, e
al contempo scindere la nostra responsabilit dagli atti politici del governo
nominato da Vittorio Emanuele. Il secondo, e fu questo il fatto pi importante per gli sviluppi futuri, costituire un comitato che coordinasse unitariamente lazione dei commissari15.
Il giorno dopo, i commissari dimissionari si presentarono da Piccardi. Su Roma infuriava un bombardamento aereo e una parte dellincontro
si svolse in un rifugio. Al ministro delle corporazioni, i sindacalisti chiesero
la liberazione di tutti i prigionieri politici. E, in pi, un atto che svincolasse
i commissari dalla responsabilit politica. La richiesta di aprire le carceri,
indusse Carmine Senise, capo della polizia, ad appartarsi per qualche minuto
con Bruno Buozzi che si sent dire, secondo il racconto di Lizzadri: Io lammiro, la conosco da anni, da quando era segretario della Fiom e della
CGdL... Non credo per che lei faccia una buona richiesta. Ma si rende
conto che cosa significa liberare tutti i prigionieri? Ve ne accorgerete
quando torneranno... i comunisti dal confino. Buozzi fu ovviamente, irremovibile e i prigionieri vennero liberati tutti16. Il percorso, era contorto
perch caratterizzato da molte variabili. Ma la situazione era quella che era:
drammatica per tutti. Anzi, il dramma era solo agli inizi perch, poi, ci sarebbe stata la divisione e loccupazione del paese, la feroce repressione nazista. I segnali si erano gi avuti, a Roma, alle Fosse Ardeatine il 24 marzo
(335 vittime innocenti), a SantAnna di Stazzema in Toscana, proprio due
giorni prima dellincontro dei sindacalisti con Piccardi, cio il 12 agosto,
(560 morti, 130 dei quali bambini, una massacro che condanna moralmente
chi lo comp, le SS guidate dal generale Max Simon, ma coadiuvate da
gruppi di italiani, collaborazionisti fascisti). Badoglio, che incontr nel pomeriggio dello stesso giorno, Piccardi e Buozzi, accett apparentemente
senza battere ciglio la richiesta di liberazione dei prigionieri politici (apparentemente perch poi prov a resistere per tre giorni ma il 17 agosto capitol davanti alla minaccia di uno sciopero generale) ma non prese benissimo
lo smarcamento politico dei commissari dagli atti del suo governo.
Dato che il suo esecutivo non era propriamente popolare e che la
situazione era tremendamente in bilico, alla fine accett. Nel giorno di fer474

L A R R E S T O , I L R I T O R N O

ragosto latto richiesto da Buozzi fu compiuto sotto forma di dichiarazione:


Considerando che la funzione a cui siamo chiamati ha uno stretto carattere
sindacale che non implica nessuna corresponsabilit politica, dichiariamo
di accettare le nomine nellinteresse del Paese e dei nostri organizzati, per
procedere alla liquidazione del passato e alla sollecita ricostruzione dei sindacati italiani, che tenga conto delle tradizioni del vecchio movimento sindacale e tenda ad avviare al pi presto gli organizzati a nominare
direttamente i propri dirigenti17. La strategia di Buozzi era chiarissima. La
spiegher Oreste Lizzadri con pochissime parole: Si realizza il primo
passo concreto per la ricostruzione del sindacato libero e unitario18. I luoghi a volte assumono in maniera quasi imprevedibile una valenza straordinariamente simbolica. Sempre nel giorno di ferragosto quel passo indicato
da Lizzadri ebbe la sua traduzione pratica nella costituzione del comitato
interconfederale. Laccordo fu raggiunto in via Lucullo 6, in quel palazzo
stretto tra via Bissolati, via Piemonte e la futura sede dellambasciata americana. Oggi la sede della Uil. Al sesto piano, lo spirito di Bruno Buozzi,
il Padre del sindacato aleggia in una sala a lui intitolata; la sua foto incastonata tra i pannelli rossi ricorda che l, ancor prima che con il Patto di
Roma, il sindacato ha ritrovato la dignit offesa e vilipesa dal fascismo.
Nel frattempo, Buozzi lavorava anche sul versante politico. Il suo partito
gli aveva affidato la presidenza della commissione economica. Il 22 agosto,
nella casa di Oreste Lizzadri, in viale Parioli 44, partecip anche lui alla
nascita del nuovo partito socialista: si chiamava Psiup e riunificava il Psi,
Unit Popolare Italiana e il Movimento di Unit Proletaria. Quella sera, a
viale Parioli 44 cerano tutte le anime socialiste: Nenni, Saragat, Pertini,
Buozzi ed Eugenio Colorni, luomo che con Altiero Spinelli ed Ernesto
Rossi aveva sognato unEuropa dei Popoli, e che, custode di quel sogno,
sarebbe stato ferito mortalmente dai fascisti della banda Koch il 28 maggio
a Roma (sarebbe morto quarantotto ore dopo allospedale San Giovanni;
cinque giorni dopo i nazisti avrebbero ucciso Buozzi).
AllItalia che provava a uscire dalla dittatura, il partito si presentava
cos: a) Che cosa il Psiup: storia del Psi dal 1892 e ragioni della fusione
col Mup e lUpi; b) che cosa vuole il Psiup: lo stato borghese deve essere
distrutto per creare la repubblica socialista dei lavoratori; c) a chi si rivolge
il Psiup: agli operai, ai contadini, ai braccianti, ai ceti medi minori della
475

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

borghesia produttrice e impiegatizia, ai giovani studiosi, ai professionisti,


agli artisti che antepongono la libert allinteresse personale; d) compiti
immediati del Psiup: 1) armistizio immediato con lInghilterra, gli Stati
Uniti e lUnione Sovietica; 2) liquidazione del fascismo e della monarchia.
Rinvio a giudizio dei responsabili dellabuso di potere che va dal 28 ottobre
1922 alle dichiarazioni di guerra, il 10 giugno 1940; 3) il ripristino di tutte
le libert civili e politiche; e) per il partito unico del proletariato: realizzare
lunit di tutti i socialisti nel Psiup e poi creare la fusione del Psiup e del
Pci in un partito unico dei lavoratori italiani; f) sulla politica internazionale:
solidariet internazionale dei partiti proletari come elemento essenziale dellazione del Psiup. Avvio dellEuropa verso una libera confederazione di
Stati, come primo passo verso lunione delle repubbliche socialiste(19).
Piccardi aveva voluto anche a capo dellorganizzazione degli imprenditori, Giuseppe Mazzini, ex presidente della Confindustria, uno che,
al contrario di Olivetti (poi costretto a fuggire per via delle leggi razziali),
aveva deciso di avere col fascismo un rapporto non di calorosa complicit
(comportamento che in ogni caso non gli risparmi laccusa di collaborazionismo). Insomma, si era tenuto un po in disparte. Cosa che, in quel momento, lo agevolava. E poi Mazzini conosceva benissimo Buozzi, sin dai
tempi del Biennio Rosso, delloccupazione delle fabbriche (era stato proprio lui a convincere Giovanni Agnelli ad accettare il decreto sul controllo
della produzione prospettato da Giovanni Giolitti). Ecco perch i due non
impiegarono troppo ad intendersi. E questa intesa venne sottolineata da un
accordo che aveva, nelle fabbriche, uno straordinario valore simbolico: la
ricostituzione di quelle commissioni interne che il fascismo aveva sciolto
con il Patto di Palazzo Vidoni. Era il 2 settembre ed era il primo vero atto
di rottura rispetto al regime. Le commissioni interne dovevano essere strutture di collegamento tra gli organi direttivi dellassociazione dei lavoratori
ed i dipendenti dellimpresa(20). Laccordo non faceva riferimento agli
iscritti e dava alle organizzazioni sindacali un tratto veramente innovativo
che si sarebbe ritrovato, molto pi tardi, con lAutunno Caldo, la nascita
della Flm e dei Consigli di fabbrica, organismi dalla rappresentativit ecumenica, eletti con un voto democratico dagli iscritti e dai non iscritti.
La guerra, per, infuriava e le sofferenze degli italiani continuavano.
Badoglio, nellincontro che aveva avuto con i capi sindacali il 14 agosto
476

L A R R E S T O , I L R I T O R N O

aveva fatto capire che lintenzione di uscire dal conflitto stava pian piano
assumendo concretezza. A Buozzi e Roveda, in dialetto piemontese, aveva
sussurrato: Per la pace qualcosa bolle in pentola(21). Lebollizione sarebbe
stata lenta perch nel frattempo gli alleati sganciavano tonnellate di bombe
su Milano, Torino e Bologna. Agosto fu un mese terribile. I lavoratori non
tolleravano pi le esitazioni del governo: volevano larmistizio e per ottenerlo scioperarono il 19 agosto. Era una situazione estremamente delicata,
che in quel momento non agevolava nessuno, anzi rischiava di creare prospettive funeste. Lo ha raccontato Piccardi a Sergio Turone: Il pericolo
che temevamo era che una sollevazione dichiarata del Nord dividesse lItalia in tre settori: i fascisti, che erano ancora forti, gli antifascisti e in mezzo
il governo che non era n fascista n antifascista. Andai nel nord per vedere
se era possibile indurre i lavoratori a sospendere lo sciopero che nelle intenzioni doveva proseguire a oltranza(22). In quel viaggio a nord, alla ricerca di una temporanea tregua sindacale, Piccardi decise di farsi
accompagnare anche da Buozzi e Roveda.
A Torino la situazione era sullorlo dellimpazzimento visto che allo
sciopero il generale Adami Rossi aveva deciso di rispondere con una violenta repressione, certo non la scelta pi felice in un paese gi fortemente
provato e ormai stufo di armi e divise. Lui, il generale, invece, le armi, le
mitragliatrici, le aveva piazzate addirittura allinterno della Fiat e le aveva
puntate contro gli operai. Non contento, aveva fatto arrestare cinquantatr
lavoratori. Appena giunti a Torino, Buozzi e Roveda fecero capire a Piccardi che in quelle condizioni nessuna mediazione era possibile; chiesero,
perci, che le mitragliatrici fossero rimosse anche perch una fabbrica non
un campo di battaglia e che venissero immediatamente rilasciati gli arrestati. Il generale pieg la testa ma si lament con i suoi comandi che ormai
avevano perso il controllo della situazione italiana. E anche a Milano la situazione era difficile perch nella notti precedenti i bombardamenti sulla
citt erano stati violenti e dalle macerie stavano ancora recuperando i corpi
delle vittime civili.
Ma alla fine, Piccardi, con laiuto di Buozzi e Roveda, riusc a far
cessare lo sciopero. Il sindacalista comunista fu poi bersaglio di aspre critiche da parte dei suoi compagni che avevano intravisto nello sciopero la
scintilla di un moto insurrezionale. Ma la scelta di Roveda venne, qualche
477

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

tempo dopo, confermata da Togliatti che, tornato da Mosca, garant lappoggio del Pci al governo monarchico. Ma c dellaltro. Lo ha sottolineato
Sergio Turone: La moderazione dimostrata in quelloccasione da Roveda
contribu a ridurre nel campo democristiano, la paura del massimalismo comunista e perci, in qualche misura, agevol la strada al patto sindacale unitario(23), cio al Patto di Roma. Laccordo sulle commissioni interne rimase
in piedi appena sei giorni. Alle 18 dell8 settembre la radio annunci larmistizio e lo sbarco a Salerno degli alleati. Poco prima il Maresciallo Badoglio
aveva spedito a Hitler un telegramma dai significati inequivocabili: ...LItalia
non ha pi la forza di resistenza: le sue maggiori citt, da Milano a Palermo,
sono o distrutte o occupate. Le sue industrie sono paralizzate. La sua rete di
comunicazioni, cos importante per la sua configurazione geografica, sconvolta. Le sue risorse, anche per la gravissima restrizione delle importazioni
tedesche, sono completamente esaurite. Non esiste punto del territorio nazionale che non sia aperto alloffesa del nemico, senza adeguata capacit di difesa, come dimostra il fatto che il nemico ha potuto sbarcare come ha voluto,
dove ha voluto e quando ha voluto una ingente massa di forze, che ogni
giorno aumentano di quantit e di potenza travolgendo ogni resistenza e rovinando il Paese. In queste condizioni, il Governo italiano non pu assumersi
pi oltre la responsabilit di continuare la guerra, che gi costata allItalia,
oltre alla perdita del suo impero coloniale, la distruzione delle sue citt, lannientamento delle sue industrie, della sua marina mercantile, della sua rete
ferroviaria, e finalmente linvasione del proprio territorio. Non si pu esigere
da un popolo di continuare a combattere quando qualsiasi legittima speranza
non dico di vittoria ma financo di difesa, si esaurita. LItalia, ad evitare la
sua totale rovina, pertanto obbligata a rivolgere al nemico una richiesta di
armistizio. E Badoglio, a sua volta, si sent obbligato a darsela a gambe, insieme al re e a un nutrito gruppo di generali. Bruno Buozzi e gli antifascisti,
invece, in clandestinit continuarono a combattere.

478

L A R R E S T O , I L R I T O R N O
1

Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista Riformista Franco Angeli 1984, pag. 81
2
Bruno Buozzi, lettera ai familiari del 16 giugno 1941 in Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista. Ibidem pag. 83
3
Bruno Buozzi, lettera alle figlie Iole e Ornella, in Aldo Forbice: La forza tranquilla.
Bruno Buozzi sindacalista riformista. Ibidem pagg. 83-4
4

Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume Edizioni Avanti! 1955, pag. 153
Gino Castagno: Bruno Buozzi. Ibidem pag. 154
6
Gino Castagno: Bruno Buozzi. Ibidem pag. 157
7
Sergio Turone: Storia del sindacato in Italia. 1943/1980 Laterza 1981, pag. 14
8
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista Franco Angeli 1984, pag. 89
9
Aldo Forbice: La forza Tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista. Ibidem pag. 91
10
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista. Ibidem pag. 92
11
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista. Ibidem pag. 93
12
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista. Ibidem pag. 96
13
Circolare riservata ai comitati regionali in Sergio Turone: Storia del sindacato in
Italia. 1943/1980, Laterza 1981, pag. 22
14
Giorgio Amendola: Lettere a Milano in Aldo Forbice: La Forza tranquilla. Bruno
Buozzi, sindacalista riformista. Ibidem pag. 95
15
Intervista a Oreste Lizzadri pubblicata sull Avanti! del 3 giugno 1964 in Sergio Turone: Storia del sindacato in Italia 1943/1980. Ibidem pag. 24
16
Dichiarazione di Lizzadri a Forbice in : La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista
riformista. Ibidem pag.129
17
Sergio Turone: Storia del sindacato in Italia 1943/1980. Ibidem pag. 25
18
Oreste Lizzadri: Quel dannato marzo in Sergio Turone: Storia del sindacato in Italia
1943/1980. Ivi
19
Oreste Lizzadri: Il socialismo italiano dal frontismo al centro-sinistra. Il filo rosso di
una politica unitaria in Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista
riformista, Ibidem pagg. 130-1
20
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista. Ibidem pag. 134
21
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista. Ibidem pag. 96
22
Sergio Turone: Storia del sindacato in Italia 1943/1980. Ibidem pag. 27
23
Sergio Turone: Storia del sindacato in Italia 1943/1980. Ibidem pag. 29
5

479

I commissari delle Confederazioni dei lavoratori


invitano a preparare la riscossa nazionale contro ogni
reviviscenza fascista e contro l'occupazione nazista

Lui e Di Vittorio

Foto di gruppo al convegno sindacale dellItalia liberata nel novembre 1944


In piedi, il quarto da destra Giuseppe Di Vittorio mentre il penultimo
Achille Grandi. Il terzo da sinistra nellultima fila in alto Oreste Lizzadri

Larmistizio era arrivato, la fine della guerra no. Anzi ne era cominciata una pi crudele, contro gli occupanti nazisti e contro quel gruppo
di italiani che aveva deciso di dare vita allo stato e al governo-fantoccio
della Repubblica Sociale. Ovviamente, quello che era stato deciso in quei
quarantacinque giorni di libert aveva un valore morale ma non ne aveva
pi uno pratico, in un paese diviso in due. I commissari dal rinascente governo fascista, decisamente poco rappresentativo della realt e dei voleri
del Paese, isolato in unazione di tanto ottuso quanto feroce sostegno alle
forze di occupazione tedesche, vennero dichiarati decaduti. Era, quel governo, solo un fantasma del potere, obbediente e privo di autonomia,
espressione di uno stato in cui Mussolini, il dittatore che aveva costruito
un mito intorno alla sua forza esibita attraverso una usata e abusata oleografia, ormai era stato declassato a reggicoda di Hitler, un Quisling qualsiasi
che non si poteva eliminare, al pari del norvegese, dopo cinque giorni, ma
doveva essere tenuto in vita per costruire un filo rosso tra passato e presente.
Ma quel filo rosso si stava spezzando. Ci sarebbero voluti altri morti, altri
lutti, altre sofferenze, ma la storia si preparava a presentare il conto a chi
aveva pensato di poterla maneggiare a proprio piacimento.
Pu apparire un paradosso, ma la rimozione dei commissari fu,
in realt, il momento in cui il processo di ricostruzione dellunit sindacale
si mise definitivamente in moto (in realt, i contatti erano partiti gi nel
febbraio del 1943). E probabilmente anche il momento in cui Bruno Buozzi
firm la sua condanna a morte. Perch con gli atti che fecero seguito all8
settembre il leader sindacale divenne ufficialmente uno dei capi della lotta
clandestina. Non a caso la Gestapo lo fece immediamente inserire nella
lista dei ricercati prendendo spunto dal documento che il leader sindacale
aveva firmato il 23 settembre del 1943 nel quale venivano considerate il483

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

legittime le decisioni adottate dal governo italiano e dai comandi delle


forze di occupazione tedesche a proposito della sostituzione dei commissari
alle corporazioni. In ogni caso quelle nomine favorite da Piccardi ma assecondate da Bruno Buozzi avviarono un processo ineluttabile, obbligando i
partiti della coalizione antifascista, soprattutto i tre grandi partiti, a porsi il
problema del dopo, perch in quelle poche settimane il dopo lo avevano
intravisto, forse appena accarezzato, sicuramente individuato nelle sue sfumate forme in un mondo che cominciava a uscire dal tunnel. Non si poteva
pi perdere tempo. La bestia nazista era avviata alla morte: avrebbe inferto dei colpi di coda terribili, ma non sarebbe pi guarita, non avrebbe
pi ritrovato la vitalit degli inizi del conflitto, delle guerre-lampo, delle
avanzate che sembravano non conoscere impedimenti. Quando il provvedimento di rimozione venne emesso, dopo la battaglia di Porta San Paolo,
i commissari il 23 settembre del 1943, uscirono allo scoperto con un comunicato che sostanzialmente diceva che il dado era tratto: il processo non
si poteva arrestare, n lo avrebbero arrestato Hitler e Mussolini, lultimo
ormai ridotto a una semplice testimonianza fisica di ci che era stato. I commissari denunziavano che pur essendo i soli legittimi rappresentanti delle
masse confederate, sono stati messi, dopo loccupazione tedesca di Roma,
nella impossibilit di esplicare liberamente e apertamente il mandato loro
affidato con il manifesto consenso di tutto il popolo da un governo legale;
che la loro sostituzione con funzionari o altri mandatari, sia essa stata fatta
dai commissari ministeriali o dai ministri fascisti autoproclamatisi Governo dItalia sotto la protezione delle armi tedesche, deve ritenersi arbitraria e illegale perch i mandanti non hanno veste n poteri legittimi per
amministrare il Paese e per disporre dei sindacati dei lavoratori i quali
appartengono ai lavoratori stessi1.
Erano stati rimossi ma chi sarebbe subentrato sarebbe stato solo un
usurpatore, una marionetta priva di qualsiasi rappresentativit: Ogni nomina o incarico sindacale comunque deliberato, non pu avere da parte dei
lavoratori alcun riconoscimento e che chiunque tali nomine e incarichi
abbia accettato ha con ci assunto una responsabilit della quale sar chiamato a rispondere2. Insomma, ci sarebbe stato tempo e modo per contestare, anche a livello individuale, un atto che era manifestamente illegittimo.
Ma la denuncia non poteva pi bastare, bisognava contrastare un tentativo
484

LUI E DI VITTORIO

che puntava a imporre, in quel momento soltanto in un pezzo dItalia, un


regime che il Paese aveva gi condannato non versando una lacrima al momento della destituzione di Mussolini da parte del re. E, allora, i commissari
dopo aver constatato che al fine di far trionfare i suoi propositi di oppressione, la Germania tenta di imporre allItalia con loccupazione e con mezzi
di violenza e di rapina la restaurazione di un regime che il popolo ha inesorabilmente condannato e la continuazione di una guerra egualmente condannata dal popolo perch contraria ai suoi ideali e ai suoi interessi3,
invitavano a preparare la riscossa nazionale contro ogni reviviscenza fascista e contro loccupazione tedesca insieme alleati ai danni della Patria3. Ma forse lelemento caratterizzante di quel documento, la sua cifra
politica pi che nelle denunce e negli appelli alla lotta, era nelle firme che
laccompagnavano: Bruno Buozzi (socialista), Achille Grandi (cattolico),
Ezio Vanoni (cattolico), Guido De Ruggiero (azionista), Giovanni Roveda
(comunista), Gioacchino Quarello (cattolico), Oreste Lizzadri (socialista).
Le anime sindacali e politiche cerano tutte. A quel punto bisognava sintetizzarle in una sola anima, cio in quel sindacato unitario il cui seme
era nascosto allinterno della nomina dei commissari. Perch era evidente
che Buozzi a quello pensava: sapeva che di l qualcosa poteva fiorire, che
quella operazione che da un punto di vista pratico non determin grandi risultati perch, poi, fu costretta a fare i conti con tempi troppo ristretti e mutamenti tragici, avrebbe potuto avere degli sviluppi.
E cos fu perch da quel 23 settembre cominci a dipanarsi una storia che trov una conclusione duecentocinquanta giorni dopo, nella firma
di quel Patto che restituiva ai lavoratori italiani il sindacato libero. In una
guerra cos lunga, duecentocinquanta giorni sono un tratto breve, brevissimo. La morte di Buozzi, poi, condizion in maniera decisiva la conclusione di quellaccordo perch il testo che venne firmato non era certo quello
a cui pensava il segretario generale della CGdL. Quel Patto fu segnato dagli
avvenimenti, dai sospetti, anche dalle ambizioni personali. Ecco, allora,
che diventa essenziale, prima di parlare della dinamica in cui si svilupp il
negoziato (in condizioni, peraltro, difficilissime, come facile immaginare,
con Roma che era sotto il tallone di ferro degli occupanti nazisti), parlare
dei protagonisti e dei loro rapporti con luomo che tesseva la tela del nuovo
sindacato. Perch sul fatto che il filo dArianna fosse nelle mani di Bruno
485

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Buozzi, lunico che si muoveva in totale autonomia senza prendere ordini


da qualche segreteria o segretario (Di Vittorio aveva il filo diretto con Togliatti, Grandi doveva giocare di sponda con De Gasperi) corrono pochi
dubbi: era stato lui ad avviare il processo obbligando Piccardi a dare alla
struttura dei commissari quella forma unitaria che n il ministro n Badoglio n tantomeno il re pensavano di realizzare.
In questi anni gli storici si sono divisi sullinterpretazione di quei
rapporti, in particolare su chi avesse stabilito con Buozzi le relazioni privilegiate: il comunista Di Vittorio o il cattolico Grandi? Si tratta, ovviamente,
di una disputa che probabilmente non sar mai risolta perch i protagonisti
non ci sono pi e perch anche quando cerano hanno un po provveduto a
nascondere alcune tracce e a rendere altre decisamente pi evidenti. Certo
non fu semplice il rapporto tra Buozzi e Di Vittorio. Erano nati e cresciuti
in mondi lontani, non diversi perch tutti e due sapevano quanto fosse
amaro il pane che i lavoratori (luno operaio, laltro bracciante) dovevano
conquistare quotidianamente. Ma mentre Buozzi era cresciuto al nord, in
citt industriali come Milano e Torino, dove la coscienza di classe si era
potuta radicare in maniera pi coerente e organica, Di Vittorio veniva da
quel mondo di cafoni magistralmente illustrato da Ignazio Silone. Un
mondo perennemente in bilico tra rassegnazione ed esplosioni dira collettive, tra superstizione, fatalismo e un ribellismo straordinariamente possente
nel momento della deflagrazione ma alla resa dei conti a volte inconcludente. Tra la generosit dellatto iniziale e il realismo un po cinico della
realizzazione finale.
Il rivoluzionario scettico, Vincenzo Cuoco, alla fine del Settecento,
allamico Vincenzo Russo, esponente di primo piano della Repubblica Partenopea, illustrava concetti che forse non confortavano la forte spinta ideale
di colui che riceveva quella lettera: Il voler tutto riformare lo stesso che
voler tutto distruggere. Il voler immaginare una costituzione la quale debba
servire agli uomini savi lo stesso che voler immaginare una costituzione
per coloro che non ne hanno bisogno, e non darla a coloro che ne abbisognano4. Lintellettuale molisano di nascita e napoletano di formazione, conosceva bene questo stare in bilico. E di questo stare in bilico, Di Vittorio
era comunque figlio. Prima anarchico, poi socialista, infine comunista: la
consapevolezza della complessit della vita della gente che gli stava attorno
486

LUI E DI VITTORIO

accompagnata dalla ricerca di una casa in grado di assecondare le sue motivazioni ideali. Spinte e contro-spinte: Masaniello pi che una figura storica,
uno stato danimo, che resiste nel tempo, con i suoi pregi e i suoi difetti.
A Taranto, sotto leffetto dei fumi mortali dellIlva, alle elezioni del 2013, i
cittadini hanno consegnato la maggioranza dei voti al partito di Beppe Grillo
(27,7 per cento, contro il 25,5 del Pdl e il 21,7 del Pd); due mesi dopo, per,
hanno disertato i seggi del referendum (consultivo) sulla chiusura dellacciaieria e della sua area a caldo: in media, poco meno del venti per cento
alle urne (19,5), nel quartiere pi a rischio perch a ridosso dellimpianto
laffluenza si era fermata addirittura al 10 per cento.
Figlio di una terra, Di Vittorio, in cui gli spifferi levantini finiscono
spesso per ammorbidire (se non inquinare) le intenzioni pi combattive,
in cui si pu essere, in massa, oggi tutti (o quasi) socialisti e ieri tutti (o
quasi) democristiani; in cui si passa, senza particolari inibizioni da un sindaco comunista a uno di Avanguardia Nazionale, amico di Ciccio Franco,
interprete certo non raffinato dei boia chi molla. Questo vale per il presente, ma ci sono caratteri ancestrali che circolando nellaria, finiscono per
condizionare un po tutti, ovviamente chi pi chi meno. C poi un difetto
italico che riguarda le celebrazioni post mortem: tutti bravi e buoni. Un
esercizio di ipocrisia che sarebbe facilmente evitabile con quellarte del silenzio che a volte invocava Aldo Moro. Dieci anni dopo la morte di Bruno
Buozzi, Giuseppe di Vittorio pubblic un articolo accorato su lUnit che
corrispondeva poco, nello spirito, con quel che aveva scritto nelle relazioni
con le quali informava i vertici del suo partito sullandamento delle trattative per la ricostituzione del sindacato unitario. E forniva una interpretazione delle vicende, non propriamente prossima alla realt.
Ad esempio a proposito dei rapporti con i cattolici affermava: In
verit Buozzi era un po scettico sulla possibilit di estendere lunit sindacale sino ai cattolici, considerate le loro ben note riserve mentali e la loro
ubbidienza a determinate gerarchie dellAzione Cattolica e del Vaticano.
Egli riteneva, per, che sarebbe stato possibile un accordo di collaborazione
fra la Confederazione generale del lavoro e lorganizzazione sindacale
bianca che i cattolici avrebbero ricostruito. Io non condividevo questo
suo pessimismo. Quando Buozzi apprese i risultati positivi del mio primo
colloquio con lon. Gronchi e col tanto compianto Achille Grandi se ne com487

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

piacque vivamente5. Per quanto Di Vittorio sia stato un grande sindacalista,


si attribuisce un merito che in realt non aveva. vero, Buozzi era stato
diffidente nei confronti dei cattolici, scettico sulla possibilit di coinvogerli
in un processo unitario. Ma le cose erano cambiate. Come aveva raccontato
Gino Castagno, Buozzi aveva avviato gi da tempo contatti con i cattolici
anche superando le sue riserve mentali nei confronti dellAzione Cattolica
e delle gerarchie vaticane (una scelta che aveva creato, in socialisti pi ferocemente anti-clericali come Castagno anche delle perplessit); perch a
Torino con Achille Grandi si erano incontrati spesso e pur dando per buono
quello che aveva detto Giovanni Gronchi, e cio che i due non avevano avviato trattative per la ricostituzione del sindacato unitario, sembra piuttosto
difficile immaginare che si siano limitati ad ampie conversazioni sulle condizioni meteo del momento. E Oreste Lizzadri, a sua volta, ha spiegato che
quella valutazione poteva riguardare il Buozzi dellesilio, cio di molto
tempo prima, non quello da anni impegnato nella battaglia anti-fascista. In
pi, se cera una cosa che Di Vittorio temeva era proprio la saldatura tra
Buozzi e i cattolici che avrebbe finito per mettere in un angolo i comunisti.
E da questo punto di vista hanno un gran valore un paio di testimonianze raccolte da Sergio Turone e riportate da Piero Boni nel suo libro sul
Patto di Roma. Una del cattolico Lamberto Giannitelli: Tra Buozzi e Di
Vittorio, Buozzi ci dava maggiori garanzie politiche anche se Di Vittorio,
sul piano umano, era pi amichevole, pi accessibile, pi sgombro da quel
bagaglio anticlericale che avvertivamo nella tradizione dei socialisti soprattutto riformisti. Per nei confronti dei comunisti cera in noi il timore
di una loro possibile futura egemonia: timore suffragato dal fatto che, anche
nel corso dei negoziati con noi, la delegazione comunista (e noi lo sapevamo) informava costantemente Mosca degli sviluppi delle trattative6 e le
relazioni di Di Vittorio, firmate Nic (Nicoletti), confermano la fondatezza
di quella impressione.
Ma poi, a smontare un po la ricostruzione dellallora segretario
della Cgil (ormai non pi unitaria), interveniva anche Giorgio Amendola
che di Buozzi si fidava (non a caso, come abbiamo gi sottolineato, era intervenuto in suo sostegno con Nenni per convincere il segretario socialista
ad accettare la soluzione dei commissari e laccordo con Piccardi): Per la
sua grande personalit Buozzi rappresentava la garanzia delladesione al
488

LUI E DI VITTORIO

patto unitario da parte delle masse riformiste del Nord. A quel tempo la dirigenza del Psi era pi a sinistra di buona parte della sua base operaia. I lavoratori che prima del fascismo avevano aderito alla CGdL riformista e che
durante la dittatura avevano mantenuto una linea di opposizione passiva ma
dignitosa, godevano di grande prestigio nelle fabbriche presso i pi giovani.
Particolarmente in rappresentanza di questa base operaia riformista, una

La copertina dello Statuto CGIL approvato nel congresso del 1945

489

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

base con cui le sinistre avrebbero dovuto comunque fare i conti, la funzione
di Buozzi nei rapporti con i comunisti e i cattolici ebbe un peso fondamentale7.

21.1 Lincontro in carcere davanti ai nazisti

Era, insomma, un elemento di equilibrio. Lo sottolinea, ad esempio, Piero Boni: I comunisti in particolare erano portati ad apprezzare il
realismo politico di Buozzi in base al quale il sindacalista si trov talvolta
pi vicino alle posizioni duttili del Pci che a quelle rigorosamente intransigenti sostenute dalla maggioranza del suo partito, come avvenne nel caso
della nomina dei commissari e della svolta di Salerno8. E a proposito della
svolta di Salerno c un aneddoto che cita nella sua storia del sindacato Sergio Turone. Togliatti era rientrato dallUnione Sovietica il 27 marzo annunciando ladesione del Pci al governo monarchico. Agli inizi di aprile, in via
Po (la strada che ospita la sede della Cisl) due signori discutevano animatamente, infischiandosene della eventuale presenza di poliziotti fascisti. I
due signori erano Giorgio Amendola e Sandro Pertini. Al centro della discussione, la scelta di Togliatti, difesa da Amendola, criticata da Pertini.
Passava da quelle parti il prudente Buozzi che li invitava a calmare un po
i bollenti spiriti. Poi, sollecitato a esprimere sulla questione unopinione,
rispondeva: Saggia decisione. Pertini si infuriava: Fra un po voi comunisti sarete pi a destra dei riformisti.
Di Vittorio aveva conosciuto Bruno Buozzi agli inizi degli anni
Venti; in quel momento militavano tutti e due nel medesimo partito, cio il
Psi. Buozzi era un leader sindacale affermato, segretario della Fiom e, di
conseguenza, autorevole esponente della CGdL. Di Vittorio, di undici anni
pi giovane, era una figura emergente in Puglia. Era ospite nel carcere
di Lucera quando i socialisti lo candidarono nelle elezioni del 1921. L in
quella cella si invent anche cantautore: con un facchino di Apricena
aveva composto una marcetta, Evviva la Repubblica. Il facchino era il
padre di Matteo Salvatore, uno straordinario folk-singer pugliese che
avrebbe poi inserito quella marcetta in un suo album dal titolo il lamento
dei mendicanti. Quando si incrociarono a La Sant, il carcere parigino,
utilizzato massicciamente dalla polizia per intercettare gli oppositori dei
vari regimi nazi-fascisti europei, i due si confortarono a vicenda, come era
490

LUI E DI VITTORIO

naturale tra compagni di lotta obbligati a vivere senza certezze e preoccupati per le angosce che stavano regalando ai familiari.
Lo ha raccontato in quellarticolo Di Vittorio: Un giorno verso la
fine di febbraio, la polizia hitleriana trasse dalla monotonia delle celle disolamento un folto gruppo di detenuti per una corve. Bisognava vuotare alcuni
autocarri carichi di eccellente pane, destinato ai nostri carcerieri. Fummo
raggruppati in un cortile, dal quale poi, per gruppi di dieci, in fila indiana,
scortati da guardia armata di mitra, si partiva carichi di sacchi ripieni di
pagnotte, verso i vari magazzini dellimmensa prigione. Fu in quel raggruppamento di detenuti comandati alla corve che rividi Bruno Buozzi. Appena
i nostri occhi si incontrarono con moto quasi istintivo manovrammo entrambi
accortamente per avvicinarci luno allaltro. Riuscimmo appena a toccare
furtivamente le mani giacch la severissima vigilanza dei nostri aguzzini tendeva a rendere impossibile ogni scambio di parole o di segni fra i carcerati.
Vidi gli occhi amichevoli di Buozzi brillare di gioia nel vedermi: ero la prima
persona conosciuta e amica che incontrava in quella triste prigione, nello
stato dangoscia in cui laveva gettato larresto. Per me non mimporta
nulla, mi disse subito: mi preoccupo per il grande dolore di mia moglie e
della mia bambina, poverette!. Lurlo bestiale gettato da uno dei nostri
guardiani che aveva sentito il bisbiglio di quelle parole, tronc sullinizio la
nostra conversazione. Tuttavia riuscimmo a rimanere nello stesso gruppo di
dieci e a marciare luno dopo laltro nella corve. Mentre salivamo uno scalone, curvi sotto il carico del pane, riuscii a dire a Buozzi parole di conforto
per la sua famiglia e cercai di sapere come si trovava l. Buozzi mi disse che
la Gestapo hitleriana, ignara della sua vera personalit, voleva sapere da
lui i motivi del suo arresto, dato chegli era stato messo in carcere su richiesta
del governo fascista italiano, per essere trasferito in Italia, a disposizione di
Mussolini. Aveva appena completato la frase, che uno dei nostri guardiani,
con uno spintone improvviso a Buozzi il quale mi precedeva ci sbatt a
terra entrambi, facendoci ruzzolare sulle scale, col nostro carico di pane,
coprendoci di improperi e di minacce. Fummo subito separati e riportati
ognuno nella propria cella, col rimpianto di non aver potuto continuare il
discorso, e con le nari inondate dalla fragranza del pane fresco, che la fame
ci faceva sognare ogni notte! Da quel momento, per, con la tecnica nota ai
vecchi carcerati politici, riuscii a stabilire collegamenti quasi regolari con
491

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Buozzi mediante lo scambio di biglietti, con i quali ci mandavamo notizie,


pensieri, e qualche cibaria. Dopo alcuni giorni riuscimmo sovente a prendere
lora daria quotidiana nello stesso cortile dove la possibilit e la volont
dei detenuti di conversare fra loro sono pi forti della occhiuta vigilanza.
Tutte le nostre conversazioni partendo dal presupposto comune dellassoluta
necessit dellunit sindacale, nazionale e internazionale, e dallesigenza
imperiosa dellunit di azione fra i due partiti, comunista e socialista quale
base fondamentale dellunit della classe operaia rafforzavano continuamente il nostro accordo sulle questioni di maggiore interesse, relative alla
riorganizzazione del movimento operaio italiano e alla ricostruzione democratica dellItalia. A coloro che hanno vissuto lunghi periodi in carcere ben
noto come non vi siano altri luoghi e altre circostanze in cui gli uomini possono conoscersi pi profondamente fra di loro. Ebbene, quel periodo di prigionia trascorso insieme rafforz in me la convinzione che Bruno Buozzi era
un combattente socialista di primo piano e di grande fede. Il suo gradualismo
ragionato non aveva nulla col rinnegamento dogni principio fondamentale
del socialismo9.
E cera, infine, un riconoscimento che riscattava il vecchio socialtraditore che a parere anche di autorevoli esponenti del PCdI (Gramsci
compreso) aveva tarpato le ali della rivoluzione in occasione del Biennio
Rosso e delloccupazione delle fabbriche, un riconoscimento che era anche
legato alla polemica politica di quei tempi (larticolo fu pubblicato il 4 giugno del 1954), perch evidente che il bersaglio, sottinteso, di Di Vittorio
era Giuseppe Saragat (peraltro legatissimo al dirigente ucciso a La Storta,
praticamente un suo allievo), autore della scissione di Palazzo Barberini
che poi, nel momento della scomparsa, verr rivalutato da Giancarlo Pajetta ( morto un compagno). Scriveva il leader della Cgil: A differenza
dei capi socialdemocratici, Bruno Buozzi aveva conservato un legame vivo
e profondo con la classe operaia. Il limite estremo del suo gradualismo
stato sempre rappresentato dal bisogno di non staccarsi in alcun modo dalla
classe operaia, alla quale egli apparteneva integralmente, organicamente10.
E qui la stilettata ai contemporanei: Quale differenza dai capi socialdemocratici nostrani, i quali si pavoneggiano su posizioni non soltanto estranee, ma pienamente contrarie agli interessi e agli ideali della classe operaia
e poi incolpano il destino cinico e baro se gli operai percorrono una via
492

LUI E DI VITTORIO

opposta a quella reazionaria che segue la socialdemocrazia11. Di destino


cinico e baro aveva, infatti, parlato Saragat in occasione delle elezioni del
1953 (un anno prima dellarticolo di Di Vittorio), quando il Psdi aveva perduto il 2,6 per cento dei consensi.
Il destino continu ad accomunare Buozzi e Di Vittorio. Insieme
percorsero mezza Europa verso la Germania, venendo separati solo nella
destinazione finale: per tutti e due era previsto il rientro in Italia, ma uno
and al confino a Montefalco e laltro a Ventotene. E sarebbe stato Buozzi
a imporre la liberazione dei detenuti politici in occasione dellaccordo con
Piccardi, consentendo il ritorno a Roma del futuro segretario della Cgil e
la sua cooptazione fra i commissari in qualit di organizzatore dei braccianti. I rapporti seguirono andamenti alterni un po per i dibattiti allinterno
del Pci in cui non tutti sposavano le cautele di Togliatti (molti preferivano
assumere posizioni decisamente anti-socialiste) e un po per il fatto che il
Pci per la gestione delle questioni sindacali inizialmente non aveva scelto
il leader pugliese. Il punto di riferimento era Roveda che non a caso fu autorizzato a fuggire da Ventotene. E al momento della fuga, come ha ricordato Girolamo Li Causi, al dirigente sindacale fu consegnato un documento
in cui venivano illustrate le direttive che si sarebbero dovute seguire nella
riorganizzazione della struttura unitaria.
Ed sempre a Roveda che scrivono Mauro Scoccimarro, Pietro Secchia e Luigi Longo, per spiegare le condizioni alle quali ci si sarebbe dovuti
uniformare per accettare le nomine commissariali proposte da Buozzi:
Essa non pu e non deve significare collaborazione politica con lattuale
governo... lincarico affidatoti accettabile solo in quanto tu lo concepisca
e affermi non come rappresentante del governo e della sua politica, ma
come rappresentante del pensiero e delle volont delle masse lavoratrici12.
A lui i tre si rivolgeranno per manifestare la loro irritazione per il fatto che
presidente e segretario del comitato interconfederale siano due socialisti
(Buozzi e Lizzadri): spiacevole che il nostro partito ricompaia sulla scena
politica al seguito del partito socialista, mentre noi crediamo che in base ai
reali rapporti di forza in seno al movimento operaio dovrebbero essere rovesciate13. Questultimo un concetto che ricorrer spesso nel corso delle
trattative tra Buozzi e Di Vittorio per il Patto di Roma. In una lettera inviata
il 13 dicembre da Scoccimarro al gruppo dirigente del Pci a Milano (Sec493

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

chia, Longo e Li Causi) si affermava con maggiore chiarezza: Noi non riconosciamo pi la gerarchia stabilita da Badoglio fra i commissari. In ogni
caso non accetteremo pi una posizione di subordinazione rispetto a Buozzi.
Sar gi molto concedere a lui una posizione di parit. Il partito socialista
non daccordo col nostro progetto, esso sostiene il principio del sindacato
obbligatorio (ipotesi sostenuta soprattutto da Buozzi, n.d.a.) e il mantenimento delle Confederazioni fasciste almeno per un anno. Dal memoriale
Roveda avete compreso il significato politico di questo atteggiamento.
Buozzi vuole conservare la sua posizione di preminenza per ricreare il vecchio apparato riformista della burocrazia sindacale. Noi siamo decisi a non
accettare tale posizione14.
Proprio linsistenza con cui il Pci si batter sul tasto del mutamento
dei rapporti di forza, spiega come il negoziato sia stato in larga parte eterodiretto. Le stesse rigidit di Di Vittorio erano probabilmente una conseguenza del fatto che lui doveva accreditarsi come uomo di fiducia del
vertice di un partito che non aveva inizialmente puntato su di lui, che al
massimo lo vedeva a capo di una federazione (quella bracciantile) ma non

I romani hanno ritrovato la libert: una gioia offuscata dalleccidio de La Storta

494

LUI E DI VITTORIO

della confederazione. Essendo un convertito, era guardato con diffidenza.


E Di Vittorio stesso, a sua volta, ingoiava scelte politiche che non condivideva sino alla fine. Questa sua autonomia di giudizio, figlia di una cultura
piuttosto eretica, spesso riaffiorer: ad esempio in occasione dei fatti dUngheria, quando, aderendo alla posizione dei socialisti della Cgil, condanner
il sanguinoso intervento dellArmata Rossa; o, pi o meno nello stesso periodo, quando manifester, seppur cautamente, le sue perplessit nei confronti di quel vero e proprio caposaldo della dottrina politica comunista che
considerava il rapporto col sindacato ispirato al principio della cinghia di
trasmissione.
In quel momento, in quel 1943, Di Vittorio avvertiva una certa lontananza dal vertice della rinascente confederazione. Racconta Michele Pistillo: Dal 18 agosto, dopo unattesa lunga ed interminabile, incominciano
le prime partenze da Ventotene. Il 22 agosto Di Vittorio lascia lisola, assieme ad un gruppo di confinati. Raggiunge Roma e va a vivere con la vecchia mamma in una stanzetta, minuscola e bassa, di via Muzio Scevola, al
n. 17. Qualche giorno dopo, in unintervista rilasciata a La Gazzetta del
Mezzogiorno, dopo aver inviato un saluto agli amici ed ai compagni della
regione e allinsieme dei lavoratori pugliesi, ai quali appartengo ed ai quali
mi sono sempre sentito legato, Di Vittorio parla di un suo ritorno in Puglia,
per stabilirvisi definitivamente. Accenna allincarico che sta per avere dal
governo, di vice-commissario alla Confederazione dei lavoratori agricoli,
incarico che otterr ai primi di settembre. Lincarico per egli dichiara
non mi impedir di stabilirmi definitivamente a Bari15.
Ma le prospettive cambieranno verso la fine dellanno, precisamente
il 21 dicembre, quando Giovanni Roveda fu arrestato. A quel punto Di Vittorio divenne il negoziatore sforzandosi soprattutto di superare le perplessit, le diffidenze che ancora lo circondavano. In realt, il futuro segretario
della Cgil si ritrov tra le mani un negoziato gi ben impostato. E limpostazione era distillata proprio nel memoriale di Roveda di cui Scoccimarro
parlava nella lettera del 13 dicembre. In quel documento, il dirigente comunista fissava i punti di disaccordo con i socialisti che chiedevano di tenere in piedi il sindacato obbligatorio e rinviare di un anno la decisione
sulla libert di adesione. Anche perch, sosteneva il Psiup, cio Buozzi,
non era possibile riorganizzare immediatamente le strutture sindacali. Ro495

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

veda (e il Pci) obiettava: La ricostruzione delle nostre vecchie organizzazioni sindacali non un gesto politico ma una necessit politica profondamente sentita dalla massa lavoratrice, che ha chiaramente dimostrato di
ritenere indispensabile atti concreti che distruggano limpalcatura sindacale
fascista tanto odiata dai lavoratori... Rinviarne lattuazione si commetterebbe un grave errore politico16. Poi Roveda entrava nel dettaglio delle
tappe che avrebbero dovuto portare alla rinascita della confederazione: i
vecchi commissari badogliani, raggiunta lunit sindacale, avrebbero subito dovuto dichiarare sciolte le vecchie organizzazioni fasciste; accertata
limpossibilit di convocare immediatamente un congresso, si sarebbe dovuto provvedere alla nomina di un comitato centrale provvisorio che
avrebbe dovuto, a sua volta, nominare i comitati direttivi delle Federazioni
e delle Camere del Lavoro.
I comunisti, insomma, vedevano lunit in qualche misura funzionale
allaffermazione della loro egemonia sulla confederazione (confermando le
preoccupazioni espresse da Giannitelli). E questo atteggiamento emerge da
un passaggio del promemoria, dal tono decisamente arrogante: Se laccordo
per lunit sindacale si raggiunge tenendo conto delle condizioni che sono
poste nel nostro opuscolo, penso che potremo ancora permetterci il lusso
dei gran signori creando al centro i comitati provvisori nei quali siano pariteticamente rappresentati i comunisti, i socialisti ed i cattolici17. Infine,
una valutazione che le elezioni del 1946 in realt non confermarono completamente: Latteggiamento dei socialisti , a mio avviso, dovuto alla considerazione dei rapporti di forze, considerazione che ha anche influito sulla
lentezza nella scelta dei loro nomi per le federazioni e per le Unioni provinciali. I socialisti non ignorano che la grande maggioranza dei lavoratori,
specialmente nei centri operai pi importanti, non li seguono e sono invece
orientati verso di noi, Italia meridionale compresa... ed hanno voluto tentare, e lo vorrebbero anche per lavvenire, approfittare della favorevole ed
insperata condizione di essere stati posti dal Governo Badoglio al centro in
posizione di preminenza, per creare un apparato di vecchi funzionari che
permetta loro, e qui gioca il lavorio della parte pi di destra, di conservare
una preponderanza di fatto18. Lanalisi di Roveda contraddiceva quella di
Amendola che abbiamo precedentemente riferito e che sottolineava il seguito che i riformisti avevano tra i giovani operai del nord.
496

LUI E DI VITTORIO

chiaro che una consultazione elettorale non un referendum operaio, per le valutazioni aritmetiche di Roveda nelle prime elezioni libere,
cio quelle del 1946 non trovarono conferma visto che il Psiup (la scissione
di Palazzo Barberini non era ancora avvenuta) ottenne il 20,7 per cento dei
consensi, mentre il Pci si ferm al 18,9. Inoltre, anche le previsioni sulle
scelte meridionali, alla verifica delle urne, risultarono piuttosto distanti dalla
realt. Quel promemoria, nel suo significato polemico nei confronti dei socialisti e di Buozzi in particolare (non a caso, nelle sue relazioni, Di Vittorio
chieder spesso di rinviare la soluzione dei problemi al comitato anti-fascista, una sede in cui il segretario della CGdL si sarebbe ritrovato a fare i conti
con Pietro Nenni con il quale non sempre legava), appare lontanissimo dalla
celebrazione che sarebbe stata fatta su lUnit dieci anni dopo leccidio de
La Storta. Scriveva in conclusione Di Vittorio: Seguivo ansiosamente i tentativi fatti da importanti personalit amiche per cercar di ottenere la liberazione di Bruno Buozzi. E quando seppi che tutto era stato inutile, pensai
che lodio ed il particolare accanimento dei fascisti e dei nazisti contro la
nobile e mite figura di Bruno Buozzi doveva derivare dal fatto che la polizia
era riuscita a scoprire lintensa e proficua attivit chegli svolgeva, per la
costruzione della grande CGIL. Quando ci giunse la terribile notizia del
vile massacro della Storta, che gett nel lutto e nellangoscia i nostri cuori,
quel mio dubbio divenne certezza: la polizia nazista e fascista volle annientare, nel nostro Bruno, uno dei principali fautori dellunit sindacale italiana. Oltre che della libert e del socialismo. Bruno Buozzi martire
dellunit sindacale e della fondazione della grande CGIL18.

21.2 Il ricordo, dieci anni dopo

In realt, lorganizzazione sindacale unitaria prodotta dal lungo negoziato non era esattamente quella a cui pensava Buozzi e lo sapeva benissimo (mentre scriveva quellarticolo) anche Di Vittorio che in una relazione
(che pubblicheremo in altro capitolo) trionfalmente annunciava lo stravolgimento delle linee dazione socialiste non pi sostenute dal vecchio dirigente sindacale, prigioniero a via Tasso, ma dal pi malleabile Emilio
Canevari (Lizzadri era assente, impegnato al Sud). Una immagine idilliaca
di quelle trattative e dei rapporti che intercorsero tra i due esponenti di sinistra, finirebbe per trasformarsi in un torto alla loro memoria. In realt,
497

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

difficilmente il Patto avrebbe visto la luce a giugno del 1944 se Buozzi non
fosse stato arrestato e se, attraverso larresto, non gli fosse stata impedita
la partecipazione alla fase finale e decisiva di quel confronto. Perch tutte
le questioni pi rilevanti erano ancora aperte. A cominciare dalla scelta di
chi avrebbe dovuto guidare lorganizzazione sindacale unitaria. Scriveva
Di Vittorio (firmandosi Nic.) nella prima relazione (inizio febbraio 1944):
Insiste (Buozzi, n.d.a.) nellavere il posto, non solo come esponente della
corrente, ma anche (fa capire soprattutto), per let... della persona designata dalla sua corrente e dalla particolare autorit che - volere o no possiede quella persona sia come vecchio esponente del movimento sindacale libero, sia come conosciuto personalmente e stimato dai dirigenti delle
organizzazioni sindacali inglesi ed americane, ecc. Egli giunse a dire che
la persona da essi designata si sarebbe piuttosto appartata anzich assumere
in sottordine un posto di responsabilit che non sar affatto comodo.
Compresi che su questo punto egli insisterebbe sino alla rottura. Allora,
come daccordo, ripiegai sulla seconda nostra posizione, senza rinunciare
a ritenerci maggioranza assoluta (ritorna il concetto espresso nel pro-memoria Roveda, n.d.a): che il segretario di tre, funzionerebbe come organismo
collettivo, senza designare un segretario della direzione provvisoria, demandando al I congresso il compito di eleggerlo. Ma Br (che poi sarebbe
Buozzi, n.d.a.) respinge recisamente anche questa soluzione, che mi pare
assolutamente equa ed accettabile per tutti, pretendendo il primo posto come
nel regime Badoglio. evidente che al tavolo delle trattative Di Vittorio
segue un copione, tanto vero che parla del ripiegamento come daccordo... sulla seconda nostra posizione(19).
In sostanza, se Buozzi agiva in rappresentanza dei socialisti senza
dover rendere conto a nessuno (era peraltro un dirigente autorevole del partito), il sindacalista pugliese si muoveva sulle sabbie mobili di un mandato
che gli attribuiva una autonomia decisamente limitata. A met febbraio (il
14 per la precisione), nuovo incontro, nuovo scontro sulla segreteria e
nuova relazione (numero 4): Egli dice che non lui, no!...- insiste pel segretario generale (invece del segretario egualitario di tre), ma il suo P. (partito, n.d.a.), per cui egli deve essere il segretario generale anche per
mantenere lequilibrio e lunit coi comun. (comunisti, n.d.a.) da una parte
e i cattolici dallaltra. Il tono del racconto sottintendeva evidentemente
498

LUI E DI VITTORIO

un rifiuto da parte comunista alla richiesta di Buozzi. Meno di un anno


dopo, il 1 marzo 1945, in occasione dellinaugurazione del monumento
eretto al cimitero del Verano, in onore del sindacalista ammazzato, Di Vittorio disse cose decisamente diverse a proposito della guida della Confederazione: Buozzi stato tolto con la violenza alla grande Confederazione
Italiana del Lavoro, della quale egli sarebbe stato il capo naturale.
Qual era, dunque, la vera opinione di Di Vittorio? Il rifiuto che
aveva opposto nelle trattative era solo la conseguenza di una linea del partito a cui lui poteva soltanto adeguarsi? O davanti a quella statua il clima
emotivo gli aveva giocato un brutto scherzo oratorio? Un interrogativo che
non sar mai risolto. E, comunque, in politica, come nella vita, valgono gli
atti che si compiono nel momento immediato non gli eventuali pentimenti
tardivi. Una cosa certa: tra socialisti e comunisti, la mediazione non fu
semplice, complicata anche dalla personalit dei protagonisti. Buozzi era
un abile negoziatore, si era allenato nelle durissime trattative con gli indu-

La festa del 1 Maggio in una


cartolina postale degli inizi del
secolo scorso. Con la Liberazione
i lavoratori italiani ritrovarono
insieme alla libert anche quella
ricorrenza nata con la storica
battaglia per la giornata lavorativa
di otto ore

499

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

striali metallurgici e metteva a dura prova i nervi di Di Vittorio che nella


relazione numero tre sbottava: Lamico Br. (Buozzi, n.d.a.) riformista
nellanima. Difende la Fed. Naz (la federazione nazionale, n.d.a.) e la loro
naturale competenza tecnica con un accanimento incredibile, mentre vorrebbe definire le Cdl (Camere del Lavoro, n.d.a.) come semplici organi di
propaganda sindacale(20). In pratica, socialisti e comunisti erano divisi sul
modello di organizzazione privilegiando i primi la struttura verticale (cio
le federazioni e le rappresentanze di fabbrica) e i secondi quelle orizzontali
(Confederazione e Camere del Lavoro). Distinzione non di poco conto perch le strutture orizzontali avevano un carattere pi politico, pi funzionale
allindottrinamento ideologico.
La preoccupazione relativamente a una saldatura tra le posizioni socialista e cattolica, induceva Di Vittorio a non accentuare i toni della polemica. La questione fondamentale era la obbligatoriet del sindacato unico.
Per Buozzi quella soluzione consentiva la stipula di contratti che avrebbero
avuto valore nei confronti di tutti. Il futuro segretario della Cgil riconosceva
la fondatezza dellargomento e replicava che bastava una legge dello stato
che noi possiamo promuovere con la quale si riconosca al sindacato
che abbia un tanto per cento degli operai interessati iscritti, a stipulare il
contratto di lavoro per tutti gli interessati della industria cui il contratto si
riferisce(21). Ma anche su quel fronte, Di Vittorio non riusciva a sfondare,
per giunta rendendosi conto che sulle posizioni assunte da Buozzi era allineato anche Grandi: Il guaio pi grande che anche i cattolici propendono
per quel sistema. Perci vi un serio pericolo che le due parti si accordino
contro di noi. Dieci anni pi tardi, Giuseppe Di Vittorio avrebbe scritto:
La CGIL e tutti i lavoratori italiani rendono il pi commosso omaggio e
manifestano il loro unanime e profondo sentimento di riconoscenza alla memoria di Bruno Buozzi, nel decimo anniversario del suo martirio. Bruno
Buozzi ha ben meritato questo doveroso tributo di gratitudine per le belle
pagine chegli ha scritto nella storia del movimento operaio italiano, nella
sua qualit di militante e dirigente sindacale di primo piano e come combattente socialista e antifascista di forte tempra e larghe vedute. La morte,
a quel punto, aveva cancellato tutto, anche quelle parole in cui si diceva a
Buozzi di non esagerare con le pretese perch era gi tanto riconoscergli
una posizione di parit.
500

LUI E DI VITTORIO
1

Piero Boni: 1944 Bruno Buozzi e il patto di Roma. Cronaca e storia dellunit sindacale Ediesse Fondazione Brodolini 1984, pag. 45
2
Piero Boni: 1944 Bruno Buozzi e il patto di Roma. Cronaca e storia dellunit sindacale. Ivi
3
Piero Boni: 1944 Bruno Buozzi e il patto di Roma. Cronaca e storia dellunit sindacale. Ibidem pag 46
4

Vincenzo Cuoco: La politica del Regno Italico Universale Einaudi 1944, pag. 7
Giuseppe Di Vittorio: Bruno Buozzi combattente antifascista lUnit 4 giugno 1944
in Giorgio Benvenuto: Il Patto di Roma Quaderni della Fondazione Bruno Buozzi 2012,
pag.64
6
Piero Boni: 1944 Bruno Buozzi e il patto di Roma. Cronaca e storia dellunit sindacale. Ibidem pag. 48
7
Piero Boni: 1944 Bruno Buozzi e il patto di Roma. Cronaca e storia dellunit sindacale. Ivi
8
Piero Boni: 1944 Bruno Buozzi e il patto di Roma. Cronaca e storia dellunit sindacale. Ivi
9
Giuseppe Di Vittorio: Bruno Buozzi combattente antifascista lUnit 4 giugno 1954
in Giorgio Benvenuto: Il patto di Roma. Ibidem pagg. 65-6
10
Giuseppe Di Vittorio: Bruno Buozzi combattente antifascista lUnit 4 giugno 1954
in Giorgio Benvenuto: Il patto di Roma. Ivi
11
Giuseppe Di Vittorio: Bruno Buozzi combattente antifascista lUnit 4 giugno 1954
in Giorgio Benvenuto: Il patto di Roma. Ivi
12
Michele Pistillo: Giuseppe Di Vittorio 1924-1944 Editori Riuniti 1977, pag. 212
13
Michele Pistillo: Giuseppe Di Vittorio 1924-1944. Ibidem pag. 213
14
Piero Boni: 1944. Bruno Buozzi e il patto di Roma. Cronaca e storia dellunit sindacale. Ibidem pag.83
15
Michele Pistillo: Giuseppe Di Vittorio 1924-1944 . Ivi
16
Michele Pistillo: Giuseppe Di Vittorio 1924-1944 . Ibidem pagg. 222-3
17
Michele Pistillo: Giuseppe Di Vittorio 1924-1944 . Ivi
18
Giuseppe Di Vittorio: Bruno Buozzi combattente antifascista lUnit 4 giugno 1954
in Giorgio Benvenuto: Il patto di Roma. Ibidem pag. 67
19
Giorgio Benvenuto: Il patto di Roma. Ibidem pag. 25
20
Giorgio Benvenuto: Il Patto di Roma. Ibidem pag. 38
21
Giorgio Benvenuto: Il Patto di Roma. Ibidem pag. 41
5

501

Molti anche vi sono in Italia, che volentieri farebbero


ritorno alle loro vecchie associazioni cattoliche
ma nemmeno queste hanno il permesso di esistere

Lui e Grandi

Bruno Buozzi ormai non c pi: toccher ad Achille Grandi (nella foto
tra Lizzadri e Di Vittorio) provare a trasferire nel Patto di Roma
le intese raggiunte con quello che era stato il segretario della CGdL

C una idea che da sempre circola a proposito delle trattative


che portarono alla definizione del Patto di Roma: un accordo tra Buozzi e
i cattolici guidati da Achille Grandi (ma anche da Alcide De Gasperi che
segu molto pi di Nenni la vicenda) raggiunto molto prima dellavvio ufficiale del negoziato, molto prima della nomina dei commissari, molto
prima dell8 settembre, quel giorno infausto che Oreste Lizzadri aveva raccontato nel suo libro, il Regno di Badolgio, con spirito a dir poco affranto: Si attende il comunicato della resa incondizionata o dellarmistizio
da un momento allaltro. Aria da funerale in giro alla Confederazione, ove
mi reco per fare mostra di una tranquillit che sono lungi dal possedere, i
fascisti ridono sotto i baffi. Sconforto e smobilitazione. Il giornale voluto
da Buozzi, il Lavoro Italiano (sarebbe rinato come organo della Uil) era
stato sbaraccato dopo aver pubblicato appena un numero. I fascisti, come
aveva detto Lizzadri, ridevano sotto i baffi e preparavano vendette, coperte
da un sottile strato di legalit: gli ordini di cattura spiccati contro i commissari e i vice dal ministro dellInterno, Guido Buffarini Guidi, uomo di
straordinarie simpatie nei confronti dei tedeschi, catturato dai partigiani e
fucilato, dopo essere stato condannato a morte da una corte dassise straordinaria, al campo Giuriati a Milano nella zona Citt degli Studi, il 10 luglio del 1945. Cera questo accordo? Sicuramente cerano stati i contatti
tra Buozzi e Achille Grandi, a Torino, nellautunno del 1942. Cos come
cera stata pure, tra ottobre e novembre di quellanno, unintesa di massima
tra il segretario generale della CGdL, il sindacalista cattolico e DAragona
che nonostante la vicenda dellAssociazione di Studio Problemi del Lavoro, era riuscito a limitare i danni personali. Lintesa non era cos ampia
ed ecumenica, non precostituiva soluzioni per il futuro. Era, in qualche misura una sorta di protocollo propedeutico, per smussare gli angoli dei
505

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

rapporti tra rossi e bianchi e poter successivamente entrare nel vivo di


un negoziato. E, daltro canto, anche il superamento della contrapposizione
delle due CGdL, quella allestero guidata da Buozzi e quella in clandestinit
che si era sostanzialmente esaurita nella resurrezione del giornale Battaglie Sindacali, aveva portato alla elaborazione di una piattaforma. Giovanni
Gronchi, che poi divenne presidente della Repubblica nel 1955, ha sempre
ridimensionato la portata dei colloqui torinesi tra Buozzi e Grandi: in sostanza si incentravano sulla situazione politica generale ma non entravano
nel dettaglio.
Al di l del carattere generale, quegli incontri qualcosa produssero,
in particolare quellintesa dellautunno del 1942, di cui Grandi diede conto
nel corso del I convegno di sindacalisti democristiani svoltosi a Roma il 6
luglio 1944, un mese dopo la firma del Patto e luccisione di Bruno Buozzi.
Raccontava Luigi Bellotti nel suo libro sul leader cattolico: Eravamo nel
1942, ci siamo trovati col povero Buozzi, ci siamo trovati insieme a vecchi
organizzatori come DAragaona, che avevano diretto sia la Confederazione
bianca che quella rossa: questa situazione che in Europa durata per molti
anni, e cio tra due correnti: la corrente socialista, cui adesso associata
la corrente comunista (che allora si trovava in condizioni di minoranza) e
la corrente cattolica... devono continuare a mantenere divise le loro organizzazioni, dobbiamo continuare questa divisione di forze? E che cosa abbiamo concluso? Sul terreno sindacale dobbiamo favorire che sorga un
movimento... libero da pregiudizi politici, che sorga rispettoso di tutte le
convinzioni, che si estenda a tutte le categorie, se realmente vogliamo che
il lavoro domani prenda il suo posto nella vita dei giovani, di uno Stato profondamente democratico e popolare.
Vi sono tutti gli elementi della posizione cattolica (o democristiana
che dir si voglia): la caduta di ogni pregiudiziale religiosa (la condizione
delle condizioni dal punto di vista di Grandi e De Gasperi), lorganizzazione
del sindacato partendo dalle categorie, lautonomia dai partiti che nella
vulgata cattolica si trasformava in un movimento libero dal condizionamento di classe e, soprattutto, non al servizio della politica (del Pci) e della
rivoluzione. Intorno a questi tre temi ruot il dibattito. Se ne aggiunse, cammin facendo, un quarto (con conseguente corollario) non di pochissimo
conto che, anzi, come abbiamo gi accennato nel capitolo precedente, rap506

LUI E GRANDI

present un invalicabile spartiacque: il sindacato obbligatorio (soluzione,


a dir il vero, non apprezzata da tutti i democristiani: De Gasperi stesso era
perplesso o, comunque, non molto convinto) e il valore generale (erga
omnes, come si dice) dei contratti stipulati dallorganizzazione (il corollario, appunto). Ma evidente che si trattava, comunque, di una intesa di carattere generale, tendente a rimuovere le vecchie pregiudiziali che avevano
favorito la moltiplicazione delle organizzazioni sindacali. Lo sapeva bene
lo stesso Grandi che aveva guidato la Cil, lorganizzazione bianca per
quattro anni, dal 1922 al 1926, raccogliendo, nel momento di massimo fulgore, qualcosa come due milioni di iscritti. Ed era anche evidente che dal
punto di vista delle origini geografiche, delle storie personali e delle affinit
anagrafiche, lui e Buozzi finivano per avere molti tratti comuni. Anche il
leader cattolico era stato costretto a interrompere gli studi alla fine della
scuola elementare. Il padre, Romualdo, operaio tessile, era rimasto senza
lavoro e lui, Achille, essendo il primo di quattro fratelli doveva collaborare
al mantenimento della famiglia (trov sistemazione come apprendista tipografo). Era sostanzialmente coetaneo di Buozzi essendo nato il 24 agosto
del 1883. Era nato in Lombardia (per la precisione a Como), cio nella
stessa regione in cui il segretario generale della CGdL aveva lavorato, si
era formato politicamente (alla scuola di Turati) e aveva colmato le lacune dal punto di vista della preparazione culturale frequentando luniversit popolare. Era figlio dellItalia industriale, non di quella contadina da
cui veniva Di Vittorio. Se non erano proprio affinit elettive, certo erano
condizioni che consentivano un dialogo pi agevole, meno condizionato
da quelle ragioni ideologiche e ideali (a cominciare dal rapporto con la religione e con le gerarchie ecclesiastiche) che avevano normalmente impedito un confronto sereno fra socialisti e cattolici.
Da questo punto di vista le testimonianze sono abbastanza univoche. Sempre Luigi Bellotti ha scritto: La prima cosa che mi disse Achille
Grandi nei colloqui iniziali del 1943 (prima del 25 luglio) fu che Bruno
Buozzi aveva superato anche nella propria coscienza, lantica avversione
al cristianesimo. La vecchia questione morale non cera pi, ma esistevano
altri problemi che Oreste Lizzadri ha cercato, per la sua tranquillit di coscienza, di sintetizzare che Bruno Buozzi voleva anche i comunisti nel patto.
Ma su questo punto Achille Grandi ha sempre convenuto. Ma il nostro dava
507

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

molta importanza a Bruno Buozzi per la sua dirittura morale. Erano sotto
questo aspetto anime gemelle. Quella questione di coscienza era rappresentativa del modo in cui Buozzi voleva portare le diverse anime del movimento operaio a una sintesi unitaria, il modo in cui, proprio il caso di dire,
coniugare il diavolo con lacqua santa. Lo ha sottolineato Sergio Turone:
Dei tre gruppi, quello comunista era certamente il pi deciso e il pi compatto nel volere lunit, perch fra i cattolici la destra aveva grossi timori
e fra i socialisti cerano le resistenze dellala socialdemocratica; ma Buozzi,
bench di orientamento riformista, era su posizioni decisamente unitarie.
Lizzadri riferisce di averlo sentito pi volte ripetere: E ricordati, nulla
senza i comunisti, e qualsiasi sacrificio pur di realizzare lunit dei lavoratori. In merito alla fase iniziale dei negoziati, Lizzadri ribadisce di aver
assistito a colloqui in cui Buozzi si adoper per eliminare talune difficolt
sollevate dai democristiani nei confronti dei comunisti1.
Cera, insomma, un feeling in qualche maniera consolidato, confermato da quello che ha raccontato Giuseppe Rapelli che a Bruno Buozzi
aveva offerto ospitalit a Torino dopo che le sedi della sua Fiom erano
state devastate dai fascisti: Grandi mi disse che aveva firmato il Patto
di Roma solo perch si fidava di Buozzi, che la pensava come lui. E ancora: Buozzi e Grandi non erano soltanto sindacalisti affini per esperienza e maturit, ma avevano una comune concezione politica e
democratica: erano convinti che i lavoratori dovevano essere conquistati
al sindacato con la convinzione, stimolando la loro partecipazione; erano
per una strategia graduale nelle conquiste sindacali, respingendo ogni
massimalismo ed ogni atto demagogico che servisse solo a ingraziarsi le
masse. E a sua volta Bellotti, che stato biografo di Grandi, ha sottolineato: La Democrazia Cristiana aveva puntato le sue carte sullaccordo
Buozzi-Grandi. Una base sindacale democratica ed unitaria sarebbe
stata una garanzia per il nostro Paese. Infine, c quel che disse direttamente Grandi davanti al monumento e alla tomba di Buozzi: Noi tutti
vedevamo in lui, senza nessuna distinzione di parte, il capo maggiore dellorganizzazione sindacale italiana.
Che la pensassero totalmente allo stesso modo in realt tutto da
dimostrare ma che su molti punti le posizioni del riformista Buozzi e del
cattolico Grandi convergessero, era un dato di fatto. E non erano punti di
508

LUI E GRANDI

secondaria importanza, perch riguardavano limpostazione filosofica


del sindacato, riguardavano, cio, il suo volto, la sua identit, la sua capacit di operare allinterno della realt italiana evitando di riaprire le
vecchie ferite che non pochi problemi avevano creato nel momento in cui
il fascismo aveva deciso di gettare il cuore oltre lostacolo e andare alla
conquista del potere. La questione che maggiormente preoccupava i cattolici era la definizione dellaspetto sociale dellorganizzazione: di classe
o interclassista? La tradizione socialista e comunista propendeva inevitabilmente per la prima soluzione. Certo, il riformismo di Buozzi, mutuato
dalle analisi di Turati e Treves, lo portava a prendere in considerazione
un ampliamento del campo, dellorizzonte di riferimento, in base al principio che una politica sociale non era per forza di cose, automaticamente
una politica socialista. Ci non toglie che la cultura di classe fosse alla
base del pensiero del segretario della CGdL. La scelta di Grandi (e di De
Gasperi) non poteva che essere interclassista: era ladesione a un concetto
religioso che imponeva il superamento delle barriere, era la Dottrina Sociale della Chiesa che aveva predicato, a partire da Leone XIII, certo il
riscatto del lavoratore, il suo affrancamento da condizioni di povert o
sfruttamento, una forma (per quanto solo abbozzata) di protezione del lavoro femminile e minorile, il riconoscimento di un giorno dedicato al riposo (purch santificato agli adempimenti liturgici), un salario adeguato
al soddisfacimento dei bisogni primari, ma aveva, altrettanto sicuramente,
escluso una visione antagonistica della battaglia sindacale, classe contro
classe. Insomma, sotto la volta celeste (semmai quella della Cappella Sistina affrescata da Michelangelo) ci si poteva ritrovare in armonia, lavoratori e datori di lavoro. Una concordia che, ad esempio, escludeva (in
Leone XIII) o limitava (nei sindacalisti) il ricorso a una forma di lotta
come lo sciopero, che puntava sullarbitrato come strumento di gestione
e governo delle situazioni conflittuali. Linterclassismo era la conseguenza della caduta di qualsiasi pregiudiziale religiosa, due elementi del
medesimo discorso.
Cerano le impostazioni ideali e cerano le diffidenze. Reciproche.
Di Vittorio che temeva un asse Buozzi-Grandi che lo condannava allisolamento; medesima preoccupazione la nutriva, a sua volta, Buozzi che non
voleva essere messo in un angolo da una sorta di compromesso storico ante509

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

litteram. I cattolici, a loro volta, che temevano di essere stritolati in questo


innaturale matrimonio a tre in cui due dei soggetti contraenti (cio la maggioranza) erano ideologicamente affini (seppur costantemente litigiosi e in
virt di questa litigiosit pronti ad allearsi con il diavolo, anzi con lacqua
santa pur di fare un dispetto al consanguineo riottoso e poco apprezzato).
Le diffidenze emergono schiettamente proprio nelle relazioni che Di Vittorio preparava per il vertice del suo partito (sollecitando una certa irritazione nel campo cattolico). La prima, dellinizio di febbraio del 1944 era,
di fatto, una lunga intervista di Achille Grandi al collega comunista. I
due si conoscevano poco (con Buozzi la frequentazione era stata pi assidua, per motivi geografici e per motivi anagrafici). Ma soprattutto il cattolico voleva capire le intenzioni di quella inconsueta controparte, voleva
avere chiarimenti su come il Pci intendeva il sindacato, almeno su quelli
che per i cattolici erano gli aspetti caratterizzanti. Vediamo in dettaglio questa chiacchierata.

22.1 Il capo cattolico intervista Di Vittorio

Domandava Grandi: Che pensate voi dello sciopero? Che si


debba poter scioperare quando lo si vuole, senza nessuna limitazione?
La questione, come abbiamo prima sottolineato, riguardava lessenza, il
cuore dellidea di organizzazione maturata, anche attraverso la lettura delle
encicliche che componevano la dottrina sociale (in quel momento, sostanzialmente due: la Rerum Novarum di Leone XIII e la Quadragesimo Anno
di Pio XI). Rispondeva Di Vittorio: La libert di sciopero una delle libert democratiche fondamentali per la classe operaia. Una limitazione di
tale diritto, oltre che contraria ai principi elementari di una vera democrazia... costituirebbe una condizione di inferiorit per la classe operaia. Incalzava Grandi: Siete per la libert nei servizi pubblici? Su questo
terreno, infatti, i cattolici erano ancora pi guardinghi e prudenti. Di Vittorio, per, non si nascondeva: Naturalmente giacch nessuno Stato veramente democratico pu avere dei cittadini di seconda zona. Ma essendo
un animale politico piuttosto accorto e volendo, comunque, conquistare alla
sua causa il cattolico, provvedeva a dare una lettura limitativa del principio
generale: Il che non vuol dire che lo sciopero nei servizi pubblici non costituisca un problema serio anche per noi, consapevoli come siamo che
510

LUI E GRANDI

danneggiati dallo sciopero non sarebbero gli enti pubblici... ma anche la


popolazione e la stessa classe operaia.
In realt, pi che una intervista, era un vero e proprio esame. Grandi
cercava di capire se quel matrimonio si poteva fare su basi bilanciate o
se, al contrario, si correva il rischio di imbarcarsi in una avventura che
avrebbe diviso il fronte cattolico (persino Giulio Pastore che si definiva un
allievo di Grandi, non che sprizzasse gioia da tutti i pori al pensiero di un
accordo unitario). Il cattolico, allora, spostava il discorso su un altro argomento sensibile: Credete che si possa subordinare lesercizio dello sciopero a forme di arbitrato opportunamente determinate. E qui, la risposta
del leader comunista appariva pi netta: Non lo crediamo. In circostanze
determinate, lorganizzazione pu accogliere, se lo crede, ed anche proporre, un arbitrato, per risolvere una data controversia... Ma qualsiasi
forma di arbitrato obbligatorio limiterebbe e di fatto annullerebbe il diritto di sciopero. Insisteva Grandi: E se tentassimo di creare una magistratura del lavoro, alla quale sarebbe demandata la soluzione delle
vertenze sulle quali non si raggiunto laccordo diretto tra le parti? Netta
ancora una volta la replica di Di Vittorio: Sarebbe peggio dellarbitrato
obbligatorio. Si creerebbe una burocrazia costosa e inconcludente. Lo
stesso fascismo lha tentata col solito fracasso, ma poi questa sua magistratura del lavoro fallita miseramente, prima ancora che crollasse il regime. Cercava, Grandi, di istillare qualche dubbio nella mente
dellinterlocutore e di aprire qualche varco: Per evitare gesti inconsulti di
sindacati locali, non credete sia bene stabilire che nessun sindacato locale
possa proclamare lo sciopero senza il benestare della rispettiva federazione
nazionale? Ancora una replica netta: Non lo crediamo... Sarebbe non gi
limitata ma addirittura annullata ogni possibilit di iniziativa del sindacato
locale il che costituisce una grave limitazione della libert dei singoli sindacati e per i loro membri; ci ch pure in contrasto con i sani principi
della democrazia.
Dalla filosofia allorganizzazione e alle questioni pi strettamente
giuridiche (sindacato soggetto pubblico o privato). E anche su questo terreno le diversit erano pi che evidenti. Daltro canto, era uno degli argomenti che maggiormente condizionava il raggiungimento dellaccordo
e sul quale, peraltro, pi sensibile era la vicinanza tra Grandi e Buozzi.
511

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Interrogava ancora il sindacalista cattolico: Siete voi favorevoli al riconoscimento giuridico del sindacato da parte dello Stato e quindi ad una
collaborazione con lo Stato stesso? Si trattava di un nervo particolarmente scoperto perch levocazione della collaborazione con lo Stato finiva per richiamare lesperienza dellorganizzazione sindacale fascista,
che seppur aspramente criticata dai cattolici, era, per, considerata, in alcuni suoi aspetti, utilizzabile anche nella nuova Italia, semmai per un periodo di tempo breve, in una fase di transizione e solo per alcuni aspetti.
Risposta: Noi siamo per lindipendenza completa dei sindacati dallo
Stato e anche dai singoli partiti politici, perch i sindacati possano adempiere in piena indipendenza e col massimo vigore gli interessi di tutti i
lavoratori, insomma i rapporti con lo Stato dovevano essere, per Di Vittorio, dindipendenza assoluta. Il che non significa che la classe operaia
organizzata debba essere agnostica o indifferente di fronte ai problemi
dello Stato e del governo, ma, continuava, ventanni di fascismo hanno
persuaso i lavoratori... che per essi non la stessa cosa che vi sia un governo democratico o reazionario. Ma nel colloquio, Grandi aveva sollevato anche la questione della obbligatoriet della iscrizione al sindacato.
Sul tema, Di Vittorio costatava delle assonanze tra la posizione cattolica
e quella socialista e raccontava ai suoi referenti politici: Ho dato la
stessa risposta fatta a Br (Buozzi, n.d.a.), sottolineando maggiormente
lodiosit della coazione, dopo 20 anni di dittatura fascista, il bisogno
della libert, il fatto che il sind. (sindacato, n.d.a.) deve cercare nella sua
iniziativa, nella sua azione di effettiva difesa degli interessi dei lavoratori
la sua forza e la sua autorit reali e nella coazione che copierebbe il fascismo.
Lesame di Grandi, inoltre, si incentrava anche su un altro argomento
che stava particolarmente a cuore ai cattolici, cio la costituzione di organizzazioni professionali collaterali. Tanto Grandi quanto De Gasperi, daltro
canto, pensavano gi alle Acli e alla Coldiretti, strutture che avrebbero consentito di attenuare il dissenso allinterno del variegato mondo dei sindacalisti bianchi e garantito, a fronte di situazioni di pericolo e imbarazzanti
divisioni, una utile via di fuga. E cos il cattolico sollecitava il comunista:
La nuova confederazione unica, permetterebbe la costituzione di associazioni laterali ai sindacati, le quali non avendo funzioni sindacali propria512

LUI E GRANDI

mente dette, potrebbero avere carattere di parte? Di Vittorio sapendo che


si trattava di un argomento sensibile da cui poteva anche dipendere lesito
della trattativa, replicava con una certa circospezione: In principio, nulla
in contrario, conformemente al principio della libert dorganizzazione.
Per, se queste associazioni si assumessero funzioni anche parzialmente
di carattere sindacale si rischierebbe di avere una unit fittizia e una scissione di fatto. Le associazioni stesse, quindi, dovrebbero aver compiti definiti, totalmente estranei a quelli dei partiti e quindi non potrebbero essere
definiti laterali2.
Qualche giorno dopo, sempre a febbraio, Grandi incontrava di
nuovo Di Vittorio. Questi contatti frequenti preoccupavano non poco
Buozzi che temeva di poter essere stritolato da un accordo diretto tra i
due partiti maggiori. In realt, per, le posizioni continuavano a rimanere
piuttosto distanti. E, per giunta, proprio sugli argomenti che maggiormente avvicinavano Grandi e Buozzi. Raccontava Nic nella sua seconda relazione a proposito dellorganizzazione del sindacato (i cattolici

Lunit antifascista regge: alla sinistra di De Gasperi, Scoccimarro, Nenni e Togliatti,


ministri del suo governo e protagonisti nelle trattative per la ricostituzione della Cgil

513

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

privilegiavano le federazioni, i comunisti la Confederazione): Egli ha


esposto il loro punto di vista con grande chiarezza. Per noi, egli ha detto,
lorganismo fondamentale la federazione di mestiere: questa stipula i
contratti di lavoro e dirige effettivamente i sindacati provinciali e locali.
La CGdL devessere un semplice organo di coordinamento delle varie federazioni. Naturalmente la stessa situazione si rifletterebbe alla base: il
sindacato provinciale di categoria o dindustria... dirige effettivamente i
sindacati, mentre la CDL (la Camera del Lavoro, n.d.a.) sarebbe un semplice organo di coordinamento. Io ho ribadito la nostra concezione che
diametralmente opposta... su questa questione si scontrano due concezioni sindacali diverse: la nostra, classista, che vede nel sindacato lorgano di unione di tutti gli operai duna stessa industria, e nella CDL e
nella CGdL lorgano di unione di tutta la classe operaia; organismi che
lottano per la difesa degli interessi quotidiani dei lavoratori ma anche
legati a questi per la difesa di interessi generali, della classe operaia;
e la vostra concezione, classista, o anti-classista, la quale vede nel sindacato solamente uno strumento di difesa di interessi di categoria e perci vorrebbe limitarne lazione esclusivamente sul terreno categoriale.
Sapeva bene Di Vittorio che su questo terreno la trattativa si sarebbe arenata e cos faceva una apertura, prospettando una mediazione: Siccome
vogliamo realizzare lunit sindacale malgrado le nostre differenti concezioni sindacali chiaro che dobbiamo realizzare un compromesso, sulla
base di mutue concessioni. Perci se non applicheremo al 100% la nostra
concezione, voi non potete esigere che venga applicata la vostra. Su questa base, e su quella che ci dar lesperienza che faremo in comune fino
al I congresso confederale, realizzeremo laccordo. Per intanto si tratta
di partire uniti, con la creazione di organismi provvisori.
Ma le spine per Di Vittorio non erano finite perch Grandi rilanciava
un tema che aveva affrontato nellincontro precedente sotto forma di semplice domanda e cio lobbligatoriet delliscrizione al sindacato (e quindi
del pagamento della quota) e il riconoscimento giuridico. Spiegava il leader
comunista: Su questo punto, il mio interlocutore disse che i suoi preferirebbero la continuazione almeno provvisoria della obbligatoriet della
iscrizione e della quota... Circa il riconoscimento giuridico, il nostro amico
disse che pur essendo daccordo con noi sulla indipendenza del sind. (sin514

LUI E GRANDI

dacato, n.d.a.) dallo Stato e dai partiti, i suoi amici preferiranno un riconoscimento giuridico, per dare forza legale ai contratti di lavoro stipulati
ed evitare che minoranze inorganizzate o dissidenti del sindacato unitario,
potessero fare dei contratti-trucchi con dei padroni, i quali potrebbero pretendere dimporli a tutti gli operai e creare confusioni e difficolt. Io feci
valere per la nostra tesi, due argomenti: a) che il nostro sindacato unitario
conter la quasi unanimit degli operai... b) che, in via subordinata si potrebbe promuovere una legge dello Stato.
Nella relazione, Di Vittorio dice anche altre due cose di un certo rilievo. Praticamente che cera lintesa sulla costruzione di una struttura autonoma dei contadini piccoli proprietari: cio la Coldiretti poteva nascere.
In secondo luogo, che si poteva trovare laccordo sul nome della nuova organizzazione sindacale: Proposi il nome di Confederazione Generale del
Lavoro unica o unitaria; ma i nostri amici pare che insistano nel volere sostituire la parola italiana, o nazionale a quella vecchia generale.
Non credo, per, che ci si debba impuntare su questa o quella parola, pur
non sottovalutandone il valore3. La questione, in effetti, era tuttaltro che
secondaria perch, anche in questo caso, era in ballo lidentit della nuova
organizzazione. Si trattava di rompere con il passato ma non nella maniera
in cui impostavano il problema i comunisti, cio un segnale di rottura rispetto alla CGdL a loro parere egemonizzata da quei Mandarini riformisti
contro cui Gramsci aveva puntato il dito. Il problema dei cattolici era diverso e da un lato riguardava il richiamo alle proprie origini, dallaltro la
collocazione del nuovo sindacato sulla scacchiera del mondo che sarebbe
uscito dalla guerra. Grandi e i cattolici volevano in particolare che il nuovo
nome contenesse una vocale: la i di italiana. Non era semplicemente una
fregola nazionalistica. Cera qualcosa di pi. La i richiamava la Cil, cio
la vecchia Confederazione Italiana del Lavoro, lorganizzazione bianca
da cui proveniva Grandi. Con quella vocale si puntava a stemperare leccesso di colore rosso contenuto nella precedente formulazione. Ma poi
cera anche unaltra questione. Sottolineando laspetto nazionale (italiana), si annacquava il riferimento internazionale, anzi, internazionalista.
Alla fine, non ci fu alcuna sostituzione ma solo una aggiunta e la Confederazione Generale del Lavoro si trasform nella Confederazione Generale
Italiana del Lavoro.
515

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

22.2 Il sindacato e la svolta di Salerno

In realt, ancora in quel mese di febbraio del 1944 le posizioni apparivano piuttosto inconciliabili e nulla faceva presagire che in poco pi di
tre mesi tutti i tasselli del puzzle, seppure con una buona dose di mediazione,
avrebbero trovato la giusta collocazione. Avvenne qualcosa che rese tutto
pi rapido, qualcosa legato anche al fatto che il 13 ottobre del 1943 lItalia,
con un ufficiale cambio di alleanze, era scesa in guerra contro i tedeschi che,
per, erano ancora saldamente acquartierati in una parte del paese che cos
si ritrovava con due governi, uno a Salerno e laltro a Sal, il primo pi legittimo, ancorch screditato del secondo, guidato da un duce ormai in
balia di una strana sindrome accertata dal suo medico tedesco in cui si combinava la tendenza a credere a tutto quello che gli veniva detto e lincapacit
a rispondere negativamente a chiunque gli chiedesse qualcosa, praticamente
immerso in un covo di vipere (peraltro da lui allevate) che si facevano vicendevolmente la guerra arrivando (come nel caso del ministro prima citato,
Buffarini Guidi) a intercettare le telefonate del capo.
Un paese prostrato e violato, piegato dalla brutalit delle forze di occupazione naziste comandate da Albert Kesserling che una volta libero per
motivi di salute, avrebbe anche sollecitato la costruzione di un monumento
in suo onore da parte degli italiani. Ebbe solo lepigrafe, realizzata da Piero
Calamandrei: Lo avrai/ camerata Kesserling/ il monumento che pretendi da
noi italiani/ ma con che pietra si costruir/ a deciderlo tocca a noi. Non coi
sassi affumicati/ dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio/ non colla terra
dei cimiteri/ dove i nostri compagni giovinetti/ riposano in serenit/ non colla
neve inviolata delle montagne/ che per due inverni ti sfidarono/ non colla primavera di queste valli/ che ti videro fuggire. Ma soltanto col silenzio dei torturati/ pi duro dogni macigno/ soltanto con la roccia di questo patto/ giurato
fra uomini liberi/ che volontari si adunarono/ per dignit e non per odio/ decisi
a riscattare/ la vergogna e il terrore del mondo/ Su queste strade se vorrai
tornare/ ai nostri posti ci ritroverai/ morti e vivi collo stesso impegno/ popolo
serrato intorno al monumento/ che si chiama/ ora e sempre/ Resistenza.
I cattolici stavano da tempo lavorando alla definizione del loro progetto di unit sindacale. Contemporaneamente allevoluzione della situazione. Dieci giorni prima della dichiarazione di guerra alla Germania, a
Roma si svolgeva una riunione in cui si cercava di riannodare le fila del di516

LUI E GRANDI

scorso unitario, provando a superare lo choc della fine prematura dellesperienza dei commissari. A parlare di sindacato si ritrovarono non solo
Buozzi, Di Vittorio e Grandi ma anche i rappresentanti dei partiti, Amendola per i comunisti, Nenni per i socialisti e Gronchi per i cattolici. Oreste
Lizzadri in unintervista all Avanti! rivelava che Gronchi favorevole
a una organizzazione sindacale unitaria ma non nasconde alcune riserve
e perplessit da parte di esponenti del suo partito4. Il 15 ottobre, poi, venivano anche definite le delegazioni che dovevano seguire (o avrebbero
dovuto seguire perch le vicende belliche scombussolarono i piani) tutto il
negoziato: Buozzi e Lizzadri per i socialisti, Roveda e Di Vittorio per i comunisti, Grandi e Gronchi per i democristiani. Avendo accumulato un po
di ritardo dal punto di vista dellelaborazione, i cattolici organizzavano un
convegno agli inizi del nuovo anno affidando a Gronchi il compito di leggere la relazione dapertura. In quella sede emersero le preoccupazioni che
poi furono al centro dei colloqui tra Grandi e Di Vittorio: il timore, soprattutto, che il sindacato venisse trasformato in uno strumento di organizzazione e propaganda politica. Le resistenze allunit pi che ai vertici del
partito cattolico, si ritrovavano nei cosiddetti quadri intermedi. Grandi e
De Gasperi dovettero sudare pi di sette camicie per convincere i perplessi
(ci riuscirono anche perch la benedizione allaccordo arriv in un incontro con il Papa, Pio XII).
Le perplessit, peraltro, non riguardavano lefficacia dello strumento unitario come arma di difesa degli interessi dei lavoratori che anzi,
proprio in quel convegno clandestino, era stata sottolineata. Cos pure i cattolici non facevano particolare fatica a riconoscere che lesistenza di un
solo sindacato rendeva pi agevole lestensione erga omnes dei contratti.
In quella sala cera anche chi sottolineava che non tutto quello che il fascismo ha fatto in tema sindacale deve essere rigettato per il solo motivo
che fu fatto dal fascismo5. Una posizione decisamente diversa da quella
dei comunisti che ritenevano, al contrario, che il nuovo sindacato non dovesse in alcuna maniera evocare quello del passato pi immediato. Queste
valutazioni i cattolici le facevano perch propendevano per la regolazione
del Sindacato come ente autarchico dello Stato vedendo in questa soluzione la maniera per impedire che il sindacato diventi mezzo diretto per
la conquista del potere o per esercitare pressioni sulla politica generale
517

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

dello Stato6. Gli amici di Grandi non volevano trasformare la confederazione in uno strumento di lotta comunista per lassalto al Palazzo dInverno del potere. In questa posizione fiancheggiati dalla DC e dagli stessi
Alleati che avevano liberato buona parte dellItalia.
E con maggiore chiarezza alcuni degli oratori affermavano: Alcune
correnti politiche tendono a ricostruire la Confederazione Generale del
Lavoro come unica organizzazione dei lavoratori e con scopi di politica
generale oltre che di politica sindacale. Questo appare molto pericoloso e
la tendenza pu essere contrastata con seria probabilit di riuscita da un
programma che prevede dei sindacati di categoria indipendenti, con scopi
nettamente limitati al campo sindacale. Grandi sarebbe stato mandato agli
incontri con Di Vittorio (pi che con Buozzi visto che sullobbligatoriet e
sulla strutturazione verticale il leader socialista e quello democristiano concordavano) in qualche maniera armato. Avrebbe, ad esempio, richiesto
che venisse concessa la libert di costruire organizzazioni professionali con
compiti di controllo, studio e elaborazione, cio le Acli. In sostanza (come
avrebbe perfettamente compreso Di Vittorio) una via duscita nel caso la
situazione non avesse avuto gli sviluppi sperati: Se non fosse possibile organizzare il sindacato obbligatorio con i compiti limitati che si propongono,
resta sempre la possibilit di riprendere la libert di azione e di tornare alla
politica dei sindacati liberi e indipendenti7. I cattolici, dunque, lavoravano
allunit ma pensando in anticipo alle condizioni che avrebbero portato ad
una nuova rottura. Il documento conclusivo di quella riunione apriva uno
spiraglio sulla libert di sciopero purch lazione di protesta fosse finalizzata soltanto alla chiusura delle vertenze contrattuali (quindi niente finalit
politiche) e che rispondesse a due condizioni: la proclamazione doveva essere effettuata dalla Federazione nazionale e non doveva essere utilizzato
nelle controversie interpretative e applicative del contratto. Come facile
notare, le domande che Grandi pose a Di Vittorio erano la diretta conseguenza del convegno che si era svolto solo pochi giorni prima dellincontro
tra i due avvenuto agli inizi di febbraio.
La riflessione intorno al sindacato unitario era cominciata un anno
e mezzo prima di quel convegno, pi o meno in coincidenza con gli incontri
torinesi di Buozzi e Grandi e, soprattutto, di una visita di De Gasperi a Milano nellestate del 1942. In quella occasione era stata anche creata una com518

LUI E GRANDI

missione che aveva predisposto un documento (reso pubblico nella notte fra
il 25 e il 26 luglio del 1943, in coincidenza con il siluramento di Mussolini
e la sua sostituzione con Badoglio) in cui si fissavano alcuni principi essenziali dellimpostazione ideologica democristiana: Sindacato di categoria
autonomo e obbligatorio libera organizzazione del lavoro e della produzione con rappresentanza proporzionale in seno al sindacato di categoria.
Contributo sindacale obbligatorio unico per entrambi i settori. Sciopero vietato nei servizi pubblici. Nelle altre categorie sciopero e serrata su delibera
del sindacato delle rispettive categorie, con votazione segreta degli iscritti,
dopo esaurimento di tutti i mezzi conciliativi. Tendenza allarbitrato obbligatorio8. Una posizione totalmente in contraddizione con quella comunista,
illustrata nei verbali firmati Nic. I cattolici, insomma, ritenevano che con
lobbligatoriet si annacquasse laspetto politico del sindacato, ci si iscriveva
a una organizzazione di servizio, una sorta di grande Caf, che non comportava alcuna adesione ideologica. Inoltre, una organizzazione che valorizzava le Federazioni sottolineava il suo ruolo sindacale, cio la sua attivit
contrattuale, al contrario lesaltazione del momento confederale e delle Camere del Lavoro valorizzava il momento del reclutamento legato a solidariet di altro tipo, non semplicemente lavorativa. Buozzi con il suo realismo
sapeva smussare gli angoli e si trasformava in una sorta di garante per Grandi
che allidea unitaria si era convertito definitivamente solo dopo una straordinaria opera di convincimento operata nei suoi confronti da De Gasperi
(Rapelli: Fu a Roma, dopo l8 settembre 1943, che le resistenze di Achille
Grandi vennero vinte dalla persuasione su di lui esercitata da amici autorevoli tra cui De Gasperi e Gronchi9).
In effetti il leader democristiano gioc un ruolo centrale nella vicenda. Tanto per cominciare, convinse i pi perplessi e nel gruppo cera
anche Giulio Pastore al quale invi una lettera (nel febbraio del 1944) per
indurlo a un atteggiamento pi aperto: Dopo aver ottenuto per la prima
volta nella storia italiana una solenne dichiarazione di rispetto e tolleranza
religiosa, il respingere questa mano senza gravi ed evidenti motivi sarebbe
pericoloso. Noi verremmo certo tagliati fuori da ogni influsso sullindustria
e anche nellagricoltura, se scoppiasse la lotta, reggeremmo a fatica. Se
in qualche parte il clero potr fare eccezioni contro lalleanza, in molte
altre ce le farebbe pi aspre contro la nostra intransigenza che avrebbe
519

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

provocato la lotta anti-clericale. Nelle Considerazioni sul progetto di


unit sindacale reso pubblico il 16 febbraio del 1944, De Gasperi confermava quel giudizio: Rappresenta anche se rimanesse parzialmente teoria,
una grande conquista. Anche limplicito riconoscimento dellequipollenza
e dellequiparazione morale e tecnica della corrente cattolica costituisce
un termine che una volta appariva lontanissimo. Non bisogna sottovalutarlo, n dal punto di vista religioso, n da quello politico. Lesperimento
pieno di rischi, ma val la pena di essere fatto. Se si pensa al danno che
ne verrebbe, rompendo, si comprende subito il valore della soluzione positiva10. De Gasperi, insomma, in vista della fine della guerra e del ritorno
alla libert, voleva coprirsi con i comunisti e i comunisti, a loro volta,
cercavano la legittimazione attraverso i democristiani.
Ed qui che entra in ballo la vicenda che ha probabilmente dato il
colpo di acceleratore finale alle trattative sul Patto di Roma che in realt
agli inizi di febbraio ancora ristagnavano. Il 18 febbraio del 1944, Palmiro
Togliatti, il Compagno Ercoli, partiva da Baku per un viaggio di cinque settimane. Andava a Teheran, poi al Cairo, quindi ad Algeri dove si imbarcava
sulla nave Ascania in direzione di Napoli dove arrivava il 27 marzo. Trovava la citt avvolta in una nuvola di fumo per via di una eruzione del Vesuvio. Convocava il Consiglio Nazionale del partito delle zone liberate il
31 marzo e lanciava la svolta di Salerno. La illustrava il 2 aprile con una
intervista a lUnit. Diceva: Noi non possiamo ispirarci oggi a un sedicente interesse ristretto di partito o a un sedicente interesse ristretto di classe.
Sono le esigenze immediate del nostro paese che noi dobbiamo oggi difendere
e possiamo difenderle efficacemente allargando e cementando sempre di pi
lunit di tutti quelli che sono disposti, qualunque sia la loro fede e la loro
tendenza politica, a battersi contro linvasore. il partito comunista, la
classe operaia che deve impugnare la bandiera degli interessi nazionali che
il fascismo e i gruppi che gli dettero il potere hanno tradito. Sono i lavoratori
italiani che oggi debbono difendere la nazione... Noi comunisti consideriamo
assolutamente necessario che lItalia oggi abbia un esercito, e un esercito
forte, numeroso, disciplinato, ben armato e penetrato da cima a fondo di fede
patriottica e di spirito democratico... Lessenziale oggi lunit delle forze
nazionali. La situazione presente in cui esiste da una parte un potere privo di
autorit reale, perch privo di appoggio popolare, e, dallaltra parte, un vasto
520

LUI E GRANDI

movimento popolare di massa organizzato, ma privo di potere, nuoce al nostro


paese perch lo divide e lo indebolisce, lo discredita... Abbiamo davanti a noi
un cammino duro e difficilissimo di lavoro e di lotta. Con una linea politica
chiara, esattamente rispondente ai bisogni del popolo, alle necessit urgenti
della nazione in lotta per la sua libert, uniti e disciplinati noi stessi, in accordo stretto con i nostri amici socialisti e in unione con tutte le forze antifasciste del paese, io sono convinto che riusciremo a percorrerlo11. Togliatti
tornava e collegava il potere senza popolo con il popolo senza potere, insomma, dava il suo sostegno a Badoglio, una scelta che Buozzi defin saggia, urtando la suscettibilit di Pertini. evidente che quel clima di unit
nazionale diede un impulso anche alle trattative sul Patto di Roma tanto
vero che i cattolici rinunciarono alla obbligatoriet sindacale e anche la
struttura imperniata sulle federazioni fu abbastanza annacquata.

Sergio Turone: Storia del sindacato Italiano. 1943/1980 Laterza 1981, pag. 35
Giorgio Benvenuto: Il Patto di Roma Quaderni della Fondazione Bruno Buozzi 2012,
pagg. 26-7-8-9-30-1
3
Giorgio Benvenuto, Ibidem pagg. 33-4-5
4
Sergio Turone, Ibidem pag. 39
5
Sergio Turone, Ibidem pag. 41
6
Sergio Turone, Ivi
7
Sergio Turone, Ibidem pagg. 41-2
8
Michele Pistillo: Giuseppe Di Vittorio 1924-1944 Editori Riuniti 1977, pag. 218
9
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista Franco Angeli 1984, pag183
10
Sergio Turone, Ibidem pagg. 45-46
11
Il Partito Comunista Italiano saluta il suo capo tornato finalmente in Italia lUnit
del 2 aprile 1944, edizione meridionale
2

521

Il movimento politico... dominato dagli estremisti non seppe


decidersi n per la rivoluzione n per la partecipazione
al potere e in ci... si trovano le spiegazioni della disfatta

Lui e Nenni

Pietro Nenni commemora Buozzi trentanni dopo leccidio de La Storta


Fra il leader sindacale e lallora segretario del Psi i rapporti furono
spesso dialettici. Per la liberazione di Buozzi si adoper anche Giuliana Nenni

Il Cinema Adriano era enorme e stipato di gente. Faceva caldo, il


caldo di un luglio romano, addolcito la sera dal ponentino, appesantito
dallumidit che saliva dal Tevere che scorre non lontano, immutabile e
quasi indifferente alle cose della vita: maltrattato dagli uomini che lo hanno
inquinato e imbrattato nel corso dei secoli, si prendeva gi allora la rivincita
mostrandosi indifferente ai loro affanni. La citt era la somma di disordinate
sensazioni: nuove attese portate dagli americani, finalmente arrivati, cattivi
ricordi troppo recenti per essere dimenticati, disperazione per i molti morti
seppelliti, le inquietudini per un futuro appena visibile attraverso le troppe
macerie ammassate sulle strade o lungo i marciapidi. Era trascorso un mese
(poco meno) da quando i contadini avevano segnalato quel mucchio di cadaveri in un fosso a La Storta, lultimo lascito della feroce insensatezza dei
precedenti occupanti, i nazisti. Avevano quasi voluto con quelleccidio dare
il senso compiuto a una storia che avevano alimentato con il terrore e la
crudelt, con il rifiuto di quel minimo di leggi che rendono gli uomini,
anche in tempi di guerra, ancora pi simili a soggetti raziocinanti e non a
delle bestie. Loro, invece, avevano scelto di annegare anche gli ultimi segnali di ragione nel sangue. Non si erano smentiti, nemmeno nellultima
notte di soggiorno nella capitale, nellultima fuga verso una salvezza impossibile, soprattutto dal punto di vista della condanna morale, inseguiti
pi che dalle armate che erano arrivate dallaltra parte dellOceano, da una
riprovazione storica che nessun tasto avrebbe mai potuto resettare.
Erano le 18 e il sole era ancora alto su piazza Cavour, riusciva a illuminare Castel SantAngelo. Era il 4 luglio 1944 quando Pietro Nenni, segretario del Psiup, prese la parola davanti a una folla di cittadini, di
militanti, di gente comune, tutti accorsi in quel cinema per ricordare quelluomo mite abbandonato senza vita, come un indumento vecchio e inser525

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

vibile allangolo di una delle grandi strade consolari che partivano (e partono) dalla Capitale per andare verso nord.
Disse, in un silenzio che avvolgeva come un sudario quella sala:
Una lunga consuetudine di battaglie comuni con Bruno Buozzi mi consente
questa sera, davanti alla popolazione romana, di evocare il suo ricordo in

Anni Venti del Novecento: la famiglia Nenni si rilassa al mare. Con il leader, la
moglie Carmen Emiliani, le figlie Eva, Giuliana, Luciana e la piccola Vittoria (in
braccio al padre) che parteciper alla resistenza francese e morir di tifo a Auschwitz

526

LUI E NENNI

una forma insolita cercando non tanto di parlare di lui, ma di evocare quello
che egli avrebbe detto se a lui fosse toccato lonore che meritava, di stabilire
il primo contatto politico fra il nostro partito e la classe lavoratrice1. Qui,
sulla parola lavoratrice, le cronache raccontano che scatt lapplauso.
Commosso, partecipato. Perch chi era in quella sala lo viveva ancora come
il capo sindacale di tante battaglie, a volte vittorioso, a volte sconfitto, ma
mai prostrato, mai messo in ginocchio, nemmeno quando i fascisti lo avevano costretto ad andare via dallItalia, a cercare allestero i modi per non
far tacere la voce del sindacato, la voce dei lavoratori. Con un cenno della
mano, Nenni faceva tacere la platea e ricominciava, dal punto in cui la sue
parole si erano interrotte nel rumoroso fluire delle emozioni collettive:
Consuetudine di battaglie comuni e una certa affinit di temperamento,
di formazione, una formazione fatta nella strada e non nelle scuole, una
tendenza alla osservazione della vita pi che allo studio astratto della vita,
che ci veniva ad entrambi dal fatto che fino dai giovanissimi anni ci tocc
risolvere da soli e subito il duro problema del pane quotidiano2.
Non era facile nemmeno per uno come lui, abituato a usare in maniera sapiente, a volte cauta a volte arrembante, larma delloratoria, parlare
di quel compagno scomparso da poco che avrebbe potuto dare tanto alla
nuova Italia che stava nascendo da quelle rovine confuse e fumanti. Lo
aveva scritto nel suo diario, il giorno in cui era stato confermato che quel
cadavere, immerso nel fogliame con altri tredici, era delluomo con cui
aveva condiviso la militanza, lesilio, le battaglie, con cui aveva anche
duellato dialetticamente, a volte in maniera decisamente ardente, dura;
lo aveva scritto nel suo diario che su di lui il partito faceva affidamento,
per il sindacato, per il governo; faceva affidamento per quella competenza
che, certo, aveva acquisito osservando la vita, ma aveva affinato, migliorato
studiando nel tempo libero, dopo una giornata di lavoro, semmai, come
aveva scritto un altro comune compagno, Gino Castagno, addormentandosi
sui libri. Faceva affidamento anche per un altro motivo. La struttura del
Partito Socialista era uscita dalla guerra disarticolata, ridotta ai minimi termini, come ha sottolineato Giorgio Galli. Ne aveva preso atto lo stesso
Bruno Buozzi quando Piccardi lo aveva nominato commissario delle disciolte corporazioni dei lavoratori e anche per questo aveva voluto accanto
a s i comunisti con la relativa dote organizzativa di quel partito. I socialisti
527

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

erano un organismo vitale ma anche rissoso; la rissosit era la conseguenza


di una mancanza di omogeneit ideologica; la disomogeneit era il prodotto
di un vertice espressione di una molteplicit di sensibilit culturali. Nenni
stesso, a volte, sbottava contro i suoi compagni, in particolare contro quelli
della razza di Buozzi: Aveva ragione Lenin a dire che i riformisti sono
dei curati. Eppure sempre Nenni che pensa a Saragat (che lo nominer
senatore a vita) come segretario del partito per superare le contrapposizioni.
Un organismo, dunque, troppo debole, tanto debole da aver alimentato la tesi che in quegli anni, tra il 43 e il 44, il Pci lo abbia infiltrato
con propri simpatizzanti dirottando il tesseramento verso quel partito per
creare, cos, una pi ampia e solida base favorevole alla politica del frontismo. In un altro saggio, sempre Galli ha ulteriormente precisato la sua
analisi utilizzando un aneddoto per descrivere la situazione al momento
della rinascita delle organizzazioni politiche. Scriveva: Il terzo partito che
sar di massa (il Psiup) dispone di una classe politica (sia pure meno omogenea), ma non di migliaia di quadri intermedi, per cui non potr stabilizzare il consenso potenziale di cui gode. La situazione di questo partito
sintetizzata nella descrizione fatta da Giuseppe Romita del suo primo incontro con Nenni, a Roma, il 6 agosto 1943: Come segretario di quel piccolo partito che era stato organizzato durante la cospirazione e la guerra,
gli consegnai il ruolino degli iscritti e Nenni rimase esterrefatto. Ma siamo
cos pochi, esclam, il partito non c, ci sono solo i comunisti. Gli risposi
che s, il partito non esisteva come organizzazione, ma esisteva nella coscienza di molti cittadini.
In quella sala, in ogni caso, per queste considerazioni non cera posto,
piena comera di sensazioni e tempestosi umori a cui dare uno sbocco razionale ancorch precario. Non era facile: perch il ricordo era troppo vivo
e la rabbia troppo forte. La rabbia per la tragica scomparsa di un esponente
politico e sindacale che era diventato leader con la sua storia personale,
grazie a quel processo di profonda identificazione con la classe (quella operaia) che rappresentava dopo esserne stato parte.
Un sindacalista con la tuta. Uno che conosceva il mestiere, che sapeva come si manovravano le leve e le manopole di un tornio perch lo
aveva appreso da ragazzino. No, lui non si era convertito alla causa della
classe operaia, non si era convertito perch della classe operaia faceva parte.
528

LUI E NENNI

E lo raccontava Nenni, commosso: Lo hanno definito, nei giorni seguiti al


suo barbaro assassinio, loperaio ideale, ed era davvero loperaio ideale,
non luomo uscito dalla sua classe per passare ad altra classe, ma luomo
che aveva abbandonato il lavoro manuale restando profondamente convinto
che nel lavoro manuale la pi squisita nobilt delluomo... Tutta la sua vita
Bruno Buozzi aveva serbato nella sua figura massiccia, nei suoi impeti, nelle
sue riflessioni, questo vivo legame con il popolo e con la classe lavoratrice,
e perch era legame vero non fu mai istrionico come nel ventennale carnevale
dei falsi amici del popolo3.
Erano le storie che accomunavano quegli uomini. Figlio di una famiglia modesta, Nenni, come Buozzi, daltro canto. Orfano di padre giovanissimo, accolto in un orfanotrofio dove manifest il suo carattere
politicamente esuberante scrivendo su un muro Viva Bresci, cio inneggiando allanarchico che aveva ucciso Umberto I, il re che aveva decorato
al demerito Bava Beccaris che a Milano aveva sparato sulla folla affamata
soddisfacendo con il piombo il bisogno di pane. Cos simili eppure cos diversi; nati a un centinaio di chilometri luno dallaltro, cio a Pontelagoscuro (Ferrara), Buozzi, a Faenza in provincia di Ravenna, Nenni; Emilia
da un lato, Romagna dallaltro. Socialista da sempre, Buozzi; convertito al
socialismo, Nenni, dopo un passato nel Partito Repubblicano. E se il leader
sindacale (insieme ai riformisti formatisi alla scuola di Turati) non mancava
di sottolineare gli aspetti deboli di un moto di protesta come la settimana
rossa, di criticare gli impulsi ai colpi di mano, a scavalcare lorganizzazione, luomo che in quel cinema rappresentava il vertice del Partito
Socialista a quel moto aveva partecipato, arringando la folla ad Ancona con
Enrico Malatesta, mentre la polizia sparava e uccideva. E poi scriveva: A
Napoli, a Firenze ed in altre citt scorse il sangue. Nelle Romagne, nelle
Marche, in Umbria i manifestanti occuparono i comuni ponendo in scacco
le forze di polizia e proclamarono perfino la repubblica. A Ravenna gli
scioperanti arrestarono un generale. Ad Ancona il governo, sopraffatto, ricorse alle armi da guerra. A Roma, un corteo di operai tent di protestare
davanti al palazzo reale. Gli insorti incendiarono qualche chiesa e gli uffici
del dazio4. Ma la mancanza di coordinamento non aveva prodotto i risultati
e poi era arrivata la decisione della CGdL di sospendere lo sciopero davanti
alla marea montante della repressione, sempre pi violenta e sempre pi san529

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

guinosa. No, politicamente non erano uguali e non lo sarebbero mai stati.
Semmai affini.
Buozzi non aveva pasticciato troppo con idee e convinzioni. A
Milano (anche prima di Milano) aveva trovato non solo il lavoro ma anche
una linea di pensiero: il riformismo. Aveva anche trovato un Maestro, Filippo Turati, che aveva accudito, nella sua casa parigina, a Boulevard Ornano, negli ultimi giorni, nelle ultime ore di vita. In Nenni il tratto un po
anarchico (esordio in piazza a sette anni), quella vena di follia che segno
anche di generosit e di passione forte e indomabile, era sempre rimasto.
Buozzi era nato riformista agli inizi del secolo ed era morto riformista, era
approdato al partito nel momento in cui Turati veniva messo in minoranza,
lo aveva visto riconquistare la maggioranza per poi soccombere di nuovo
a vantaggio dei massimalisti; lo aveva visto anche difendersi nel congresso
di Livorno, quello della scissione comunista, quello in cui il Maestro ci
arriv da imputato politico (uscendone, come gli aveva scritto Anna Kuliscioff, da trionfatore) perch Lenin da Mosca chiedeva che quelli della
sua razza venissero messi alla porta, la purificazione a suon di epurazioni
come condizione essenziale per essere accolti nellInternazionale Comunista (c sempre qualcuno pi puro che ti epura, avrebbe detto proprio
Nenni in altra occasione). Poi, insieme a Turati, a Treves, a Matteotti, a Saragat e a Pertini, lanno dopo era stato messo alla porta del Psi e aveva aderito al Psu. Mentre Nenni cresceva e conquistava, nel 1923 la
maggioranza, favorendo luscita di scena dei terzinternazionalisti di Serrati.
E probabilmente lo strappo dellanno prima sarebbe stato rammendato
se non fosse arrivato il delitto Matteotti e se la definitiva affermazione del
fascismo non avesse imposto altre priorit. Ma chiaro che quelle porte
girevoli che nel Psi facevano uscire ed entrare ora gli uni ora gli altri, finivano per depositare un po di ruggine nei rapporti.

23.1 Tra i due un rapporto dialettico

La diversit politica tra i due era chiara. Anche se poi Buozzi era
un riformista molto unitario e non solo nel sindacato (ne sapeva qualcosa
Nenni che dal leader della CGdL era stato difeso quando Modigliani ne
chiedeva lespulsione). Il rapporto con i comunisti, soprattutto nellesilio,
aveva provato a difenderlo o, comunque, a non interromperlo del tutto,
530

LUI E NENNI

nemmeno sotto la pressione della patto Molotov-Ribbentrop. Ma chiaro


che quella scelta del 1922, quando Nenni era rimasto nel Psi e Buozzi aveva
deciso di seguire i suoi vecchi compagni nel Psu, aveva finito per allontanarli anche se poi la distanza era stata colmata dalla solidariet che scattava
tra esiliati, tra uomini comunque accomunati da una idea e da un ideale,
costretti per luna e per laltro ad abbandonare il proprio Paese. Le vicende
contorte e drammatiche di quelle ultime fasi della guerra, soprattutto leccidio de La Storta hanno finito per alimentare congetture che i documenti
e le testimonianze non hanno mai confermato. Dopo l8 settembre, la vita
di Buozzi (e di tutti i dirigenti in clandestinit) era diventata pericolosa e
raminga visto che bisognava cambiare frequentemente abitazione. Il primo
a offrirgli ospitalit era stato Attilio Ferraris, meglio noto come Ferraris IV,
calciatore della Roma, mediano di ruolo, trionfatore con la nazionale di
Vittorio Pozzo al Mondiale del 1934 (quella obbligata a salutare fascisticamente). Poi era andato a via dei Legionari, quindi allEsquilino, in casa
del colonnello Longo la cui figlia, Fiammetta, avrebbe sposato il fratello
di Piero Boni, futuro segretario generale aggiunto della Cgil, quindi a via
Pompeo Magno. Per metterlo al sicuro, sarebbe stato immaginato un suo
attraversamento delle linee visto che il 28 e 29 gennaio del 1944 a Bari doveva tenersi il 1 congresso del Comitato di Liberazione Nazionale e che il
28 gennaio, sempre nel capoluogo pugliese era programmato un convegno
destinato a far rinascere la CGdL. In un primo momento, a quegli appuntamenti era prevista la partecipazione di Buozzi. E lo confermava anche
Nenni in un articolo pubblicato dallAvanti! per il decimo anniversario
della liberazione di Roma (4 giugno 1954): La direzione del Psiup mand
a Bari il compagno Lizzadri, dopo il rifiuto di Buozzi di uscire da Roma.
Si parlato, invece, di un cambio repentino, deciso allinsaputa dello stesso
leader sindacale che la mattina avrebbe atteso invano larrivo dellemissario
che lo avrebbe dovuto condurre a un porto della Maremma quasi al confine
con il Lazio per farlo imbarcare su un sottomarino. Quel viaggio era rischioso almeno quanto rimanere a Roma.
Si detto che la scelta di Lizzadri venne determinata dalla maggiore
affinit politica di questi con Nenni. In realt, si tratta di congetture che
tali rimangono. Non ci sono conferme, infatti, che ci sia stata una motivazione politica alla base del mutamento del delegato da mandare a Bari e
531

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

che, soprattutto, questo mutamento di rotta sia stato repentino e improvviso.


Al contrario il 27 giugno 1983 Mario Zamparo ha consegnato a Enzo Dalla
Chiesa, ex segretario confederale della Uil, una significativa testimonianza
giurata. Zamparo lavorava per lOffice Strategic Service che doveva occuparsi del trasferimento oltre le linee del dirigente politico scelto dal Psiup.
In quella dichiarazione affermava che nessuno mai gli aveva parlato di
Buozzi e che in Piazza Santi Apostoli il capo dellOss, Peter Tomkins, gli
aveva presentato solo Lizzadri. Vi , poi, il diario dello stesso Lizzadri che
al 5 novembre 1943, cio molto prima della partenza e dellappuntamento
in Piazza Santi Apostoli, annotava: Sono chiamato a far parte con Nenni
e Vassalli dellEsecutivo segreto del Psiup. Il 23 gennaio 1944 sar chiamato in missione al Sud e quindi non potr seguire le trattative sulla ricostituzione della CGdL. Insomma, lipotesi che si sia trattato di una sorta
di dispetto ordito da Nenni ai danni di Buozzi non regge; per quanto fra
i due la sintonia non fosse stata sempre completa, veramente poco immaginabile una ripicca di quel genere. Nenni soffriva sicuramente Buozzi
ma lo rispettava e, comunque, lo riteneva una risorsa fondamentale per il
partito. Semmai, sarebbe stato pi illogico allontanarlo da Roma nel momento in cui le trattative a cui faceva riferimento Lizzadri nel suo diario
erano entrate nel vivo e si decideva la nuova forma e la nuova struttura
della confederazione unitaria.
Peraltro, quel Congresso dei Comitati di Liberazione Nazionale,
pur pervaso da orgoglio patriottico e da un forte spirito di rinascita morale,
era in realt estremamente condizionato dalle posizioni dei settori politici
pi moderati dellantifascismo, piuttosto lontani dal quel vento del Nord
che tanto spesso avrebbe poi evocato Pietro Nenni. I lavori, ad esempio,
vennero aperti da Benedetto Croce che lesse un intervento sicuramente dai
toni forti ma che da un lato saltava a pi pari le responsabilit che pure la
classe dirigente liberale (e anche gli intellettuali che a quella classe facevano riferimento a cominciare da lui) avevano avuto per via della sottovalutazione del fenomeno Mussolini e dallaltro sembrava quasi mettere nelle
mani degli alleati la soluzione del problema dei problemi, il taglio netto
con una monarchia segnata e screditata da un incancellabile atto di vilt.
Rivolgendosi proprio agli alleati, Croce diceva: Noi ricercammo ansiosi
la formazione dellavvenire migliore dellItalia, non gi nei successi mili532

LUI E NENNI

tari del cosiddetto asse... ma nei progressi lenti e faticosi dellInghilterra


e poi della Russia e dellAmerica. Le potenze alleate ci promettevano quello
che l asse ci aveva tolto e ancor pi radicalmente ci avrebbe tolto nellavvenire: la libert e con essa la cosiddetta eliminazione del fascismo e
del nazismo. Parlava, Croce, di una politica deludente che persuadeva gli
alleati o persuade molti di loro, a negare o a ritardare ladempimento
pieno della loro promessa, che era la radicale estirpazione del fascismo,
operazione che impossibile eseguire se, anzitutto non si toglie il superstite
rappresentante del fascismo in Italia che voi tutti sapete, quale, sventura-

Nenni a Bari nel 1946 inaugura una sezione del Psi intitolata a Buozzi

533

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

tamente, sia. Dico sventuratamente perch per me e forse per altri di voi,
questa caduta di fiducia nella persona di un sovrano della dinastia che fece
propria la causa del risorgimento italiano e ci avevano governato nei primi
sessantanni dellunit nazionale, una sventura purtroppo irreparabile.
Cera ancora un residuo di nostalgia, di amarezza, di sentimenti di affetto
per una casa regnante che da molto, troppo tempo aveva dismesso i panni
a cui faceva riferimento Croce, da molto, troppo tempo aveva deciso di abbracciare una causa che non era pi quella del riscatto nazionale ma della
navigazione spicciola tra grandi errori, colossali mancanze e piccole furbizie. Quasi affranto, il filosofo concludeva: Fin tanto che rimane a capo
dello stato la persona del presente re, noi sentiamo che il fascismo non finito, che esso ci rimane attaccato addosso, che continua a corroderci e a
infiacchirci, che risorger pi o meno camuffato, e insomma che cos non
possiamo respirare. E non ci dato avere un governo serio. Il re non in
grado di formare un ministero, perch gli uomini che hanno esperienza e
reputazione si rifiutano di giurare fedelt... Gli alleati dovrebbero volere in
Italia un governo serio e lealmente e validamente appoggiarlo5.
Si chiedeva, insomma, agli alleati di fare quello che, al contrario, i
socialisti chiedevano agli italiani di fare: liberarsi dal fascismo e da chi gli
aveva consegnato il potere diventando complice di una lunga scia di lutti e
sciagure, creando le condizioni per una ventennale perdita di democrazia e
libert, annegando il paese in un insopportabile servilismo, trasformando
lobbedienza acritica e cieca in un elemento identificativo del codice genetico nazionale. In quella assemblea il messaggio del Cln romano non venne
accolto con entusiasmo e non fu un caso. Lizzadri, poi, venne accompagnato
dai fischi quando cominci a leggere la lettera che Pietro Nenni aveva elaborato insieme a Buozzi. I toni erano decisamente diversi da quelli, a dir il
vero per quanto nobili e autorevoli, comunque un po piagnoni di Croce:
lotta al nazismo per spedire i tedeschi oltre il Brennero; non bisognava
dare tregua al fascismo comunque mascherato; infine, forse il dettaglio
pi indigesto per quella platea, una azione politica che portasse alla Repubblica socialista dei lavoratori, che lobiettivo della rivoluzione popolare
in corso. Un programma che a un uditorio profondamente segnato dalle
elaborazioni crociane (che non a caso nel suo intervento aveva chiesto un
maggiore impegno agli alleati sul fronte del ricambio politico proprio per
534

LUI E NENNI

evitare una nuova rivolta anti-zarista, una nuova rivoluzione bolscevica) non
poteva che risultare indigesta. E poi i socialisti non si limitavano agli incitamenti, fissavano una road map verso la nuova Italia che prevedeva la decadenza della Monarchia, il rinvio a giudizio davanti a una Corte Speciale di
Vittorio Emanuele III e di Mussolini per alto tradimento e per abuso di potere
dal 28 ottobre 1922, giorno della marcia su Roma, al 24 luglio del 1943,
giorno della riunione del Gran Consiglio e della discussione sullordine del
giorno presentato da Dino Grandi; la socializzazione dei mezzi di produzione;
un piano quinquennale per traghettare lItalia verso il socialismo. Parole
troppo forti per quelle sensibili orecchie liberali, nonostante il messaggio di
Nenni si chiudesse dichiarando la disponibilit del Psi a partecipare a un governo di salute pubblica, che comprendesse tutti e che, soprattutto, fosse titolare di tutti i poteri della monarchia e del parlamento che andava sciolto.
Questa distanza, questa diversa impostazione, emerse anche nel discorso pronunciato la sera del 4 luglio al cinema Adriano: Il problema per
noi era questo: fare dellantifascismo un problema europeo e non soltanto
un problema nazionale ed italiano. Riprendere sulle orme dei patrioti italiani del 1848 e 1849 la funzione che fu quella di Manin e degli altri eroi
del 1849: perduta la battaglia allinterno, riprendere la medesima battaglia
sul piano europeo, dare allEuropa il sentimento che se la perdita della libert sempre una disgrazia e sovente una colpa, da questa disgrazia e da
questa colpa ci si pu per risollevare se si affronta la lotta con coraggio e
tenacia... Nel 1926, noi avevamo dunque perduto una battaglia politica, ma
avevamo posto le condizioni della rivincita immancabile, e la rivincita stava
nella frattura morale e politica del paese... Ci sono voluti anni di sforzi per
far capire che il problema fascista non era italiano ma internazionale e per
far intendere la seriet del monito lanciato da Filippo Turati al congresso
dellInternazionale Socialista a Bruxelles: Le fascisme cest la guerre,
il fascismo la guerra. Non era casuale il riferimento nel momento in cui
Nenni provava a parlare usando i concetti e le parole di Bruno Buozzi: era
levocazione del padre spirituale, era una orazione nel nome del padre.
Poco meno di un anno prima della sua morte, a Vienna (non a Bruxelles, n.d.a.), il 30 luglio 1931, Turati aveva pronunciato uno dei discorsi
pi chiari e veementi contro il fascismo. Attaccava: Torno a parlarvi del
fascismo, Perocch il fascismo la guerra. In questora della storia, la
535

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

guerra non che il fascismo. Non si parla seriamente di guerra e disarmo,


com scritto nellordine del giorno, se si lascia nellombra il fascismo. Il
fascismo mostruoso circolo vizioso insieme il padre e il figlio della
guerra; la quale poi, non che un fascismo tra le nazioni. Guerra internazionale e guerra civile, le quali si generano reciprocamente. Parimenti la
lotta operaia per la democrazia il secondo punto allordine del giorno
non , non pu essere altra cosa, che lotta al fascismo... Dodici anni dopo
la grande guerra... lEuropa vive ancora sotto lincubo angoscioso della
guerra. Il timore della guerra si libra sopra il mondo e arroventa la febbre
di armamenti. Se c un punto su cui lunit operaia completa cotesto.
E perci lInternazionale ha iscritto nel suo vessillo guerra alla guerra.
Ma, in questa lotta contro il flagello della guerra, vi luogo a una distinzione fondamentale, che De Brouckre6 scolp lapidariamente dicendoci:
O noi andremo al socialismo attraverso la pace, o noi andremo alla pace
attraverso il socialismo.
Aveva qualcosa di profetico, quel discorso, anche se a molti, anche
in quella platea socialista, sfuggiva. E, allora, Turati incalzava: Ah! Come
sar bello, o compagni, veder crollare la maschera pacifista del fascismo
italiano, quando gli si chieder di sottoporsi seriamente al controllo
serio della Societ delle Nazioni! Controllo, aggiungiamo noi, che lInternazionale la spinger ad estendere ben al di l della tecnica delle costruzioni e della contabilit delle spese. Ma vi un disarmo che di gran
lunga pi efficace e decisivo dello stesso disarmo materiale: ed il disarmo
morale. Che pensate voi di un paese, nel quale ogni propaganda pacifista,
col libro, colla stampa, col cinema, con la parola, severamente proscritta;
nel quale il film come niente di nuovo allOvest, o il romanzo di Remarque, o altre espressioni del genere, non sono ammesse alla circolazione, nel
quale solo consentita lesaltazione del nazionalismo cieco, brutale, sprezzante, di tutte le altre nazioni, di un paese in cui inoculato un irredentismo
fantastico che ora mira allAdriatico, ora al Mediterraneo Malta, la Corsica, Nizza senza neanche escludere il Canton Ticino? A quei compagni
ve n ancora purtroppo! - che si lasciano prendere dalleffimero machiavellismo di un Grandi (Dino, n.d.a.) o di un Mussolini, la cui parte in commedia si capovolge secondo che essi a Milano e a Firenze, parlano alle
camicie nere, oppure, in un giorno di penuria atroce, si rivolgano per mes536

LUI E NENNI

saggio radiografato, al paese dei dollari... a quei compagni, non di poca


ma di troppa fede, io vorrei domandare: che pensano essi di quella organizzazione militarista della giovent sin dallinfanzia (Balilla dai sette ai
dodici anni, Avanguardie dai dodici ai diciassette, in seguito corpi dassalto
studenteschi, scolarette armate di moschetto, e cos via) organizzazione contro la quale lo stesso Papa ha protestato, e il cui fine confessato di fare di
tutta la nazione fascistizzata un solo esercito uomini e donne al servizio
del duce e della pretesa rivoluzione, ossia involuzione, fascista?.

Nenni (tra Buozzi e Modigliani) a Parigi saluta i militanti a pugno chiuso

537

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Era durissima e senza appello, in quella sala, la conclusione che Filippo Turati traeva da tutti questi elementi distintivi del regime: Anche se
il fascismo sotto la pressione di una crisi economica spaventosa, non pensa
in questo momento a scatenare la guerra. La guerra esso la prepara fatalmente e sempre. La guerra lo sbocco finale di tutte le dittature... Ed perci... che non si pu essere veramente per la pace, per la democrazia, per
il socialismo, quando si risparmia il fascismo e gli si indulge, in vista di interessi particolari e transitori di Governi e Stati... Qualcuno, un giorno, pot
dire che il fascismo un affare interno allItalia. Quale accecamento!
Lesperienza tragica dellEuropa centrale ha fatto crollare cos puerile illusione. Ma spetta a noi, socialisti italiani, dispersi, che parliamo allInternazionale a nome di tutto il popolo italiano, di ripetere incessantemente, di
gridare a tutte le orecchie: Il socialismo, la democrazia, la pace, non hanno
nemico peggiore del fascismo. Se lInternazionale vuole la pace, la libert,
il socialismo, se essa vuole vivere ed agire; essa deve proporre a se stessa
di abbattere il fascismo: per lItalia per tutti i popoli per la vita stessa
dellInternazionale7.

23.2 LItalia riscattata dal lavoro

Quello di Nenni, tredici anni dopo, non era un semplice tributo al


fondatore del Partito, a un uomo le cui linee politiche non aveva condiviso;
era in qualche misura il riconoscimento di una capacit di preveggenza che
se fosse penetrata non solo nel gruppo dirigente socialista internazionale,
ma nellintera classe politica italiana, probabilmente numerosi drammi sarebbero stati risparmiati al Paese. E, allora, il leader socialista, dal palco
dellAdriano, usava parole decisamente pi forti di quelle di Croce nei confronti della Monarchia: Storicamente, la fuga a Pescara lequivalente
della Fuga di Varennes8 e da Varennes si va al Tempio, e dal Tempio alla
ghigliottina. Non si ritorna al trono. E, a proposito del riscatto italiano,
della partecipazione alla guerra, del rapporto con gli alleati, rivendicava
lautonomia del gesto e, quindi, armi non elemosine. Affermava: E ancora
una volta voglio cercare su questi problemi di ridare la parola a Bruno
Buozzi. Cosa avrebbe detto questa sera di fronte ai tre problemi della partecipazione del popolo alla guerra, della difesa del lavoro e delle classi lavoratrici, della Costituente? Sapeva bene, Nenni, cosa avrebbe detto
538

LUI E NENNI

perch insieme avevano scritto la lettera che al congresso di Bari era stata
accolta dai fischi: Io penso che avrebbe detto che la partecipazione del
nostro popolo alla guerra condiziona il nostro riscatto nazionale. Noi non
domandiamo agli alleati nessuna elemosina, ci risparmino le loro sigarette,
non ci neghino i fucili che decine di migliaia di giovani reclamano coscienti
come sono che col loro sacrificio che si pu rifare il paese9.
Sempre il 28 gennaio, poi, Lizzadri partecip, anche allassemblea
costitutiva della Confederazione. Era una iniziativa parziale, che riguardava
un pezzo dItalia ormai liberato, il Sud. Infatti vi parteciparono cinquecento
delegati meridionali. Liniziativa era stata presa da comunisti e socialisti
mentre era risultata sgradita a democristiani e azionisti. Poi, per, risult
indigesta anche ai dirigenti del Pci che stavano riorganizzando le fila del
partito a Roma e al Nord. Lelevato tasso di indigeribilit del congresso
venne determinato dal fatto che lassemblea si concluse con un voto e con
lelezione alla segreteria di Bruno Buozzi (vice erano risultati Roveda e
Achille Grandi). E mentre l Avanti! accoglieva con grande calore i risultati baresi (Riprendendo il suo posto alla testa della classe operaia la
Confederazione generale del lavoro ha quattro problemi fondamentali da
risolvere: prima di tutto organizzare la partecipazione dei lavoratori alla
lotta nazionale contro linvasore e i suoi alleati interni, preparando nelle
regioni occupate lo sciopero insurrezionale; in secondo luogo intervenire
energicamente nella lotta per lo smantellamento dello stato fascista e monarchico; assicurare la tutela dei lavoratori contro lingordigia del capitalismo privato; prepararsi, infine, ad indirizzare la ricostruzione nel senso
degli interessi generali degli operai, dei contadini, dei tecnici e delle professioni liberali, che sono poi gli interessi della societ italiana nel suo insieme10); i comunisti pronunciavano anatemi: Amendola e Scoccimarro
inviavano ai compagni del nord una lettera in cui si affermava che la
nomina avvenuta a Bari ha avuto il carattere di una manovra socialista, costoro allultimo momento hanno approfittato di unoccasione che stata loro
offerta a nostra insaputa per mandare a Bari un loro incaricato, amico politico di Buozzi.
Lizzadri di Buozzi era sicuramente compagno di partito. E anche
amico, a livello personale pi che strettamente politico: erano attestati su
posizioni diverse, piuttosto distanti. Nel suo diario, ad esempio, alla data
539

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

del 31 dicembre 1943 annotava: Passiamo lultima sera dellanno a casa


di mia sorella in via Padova con Buozzi e la moglie... Una serata piacevolissima ricordando i vecchi tempi per lavvenire. Quella casa era diventata
non solo un punto di incontro conviviale, ma anche un centro politico clandestino. Scriveva sempre Lizzadri il 29 settembre del 1943: In casa di mia
sorella in via Padova riunione di socialisti e comunisti. Sono presenti Di
Vittorio, Roveda, Amendola, Buozzi, Nenni, Lizzadri. Si concorda che il comune obiettivo il sindacato unitario e si decide di parlarne ufficialmente
ai rappresentanti della Democrazia Cristiana. Presa la decisione spetta a
Buozzi illustrare questi orientamenti agli esponenti politici cattolici. Il
giorno dopo: In casa di un amico che abita a piazza Esedra incontro tra i
rappresentanti socialisti e quelli democristiani. Buozzi parla anche a nome
dei comunisti e informa Grandi della decisione dei due partiti operai.
Grandi ci guarda mentre Bruno parla. Quando ha finito, Grandi tace un
po. commosso, gli brillano gli occhi, poi dice sottovoce: stato il sogno
di tutta la mia vita. Tre giorni dopo, il vertice di cui abbiamo parlato in un
precedente capitolo: Si inizia la fase conclusiva. Oltre ai sindacalisti questa
volta intervengono alla riunione anche i rappresentanti dei partiti, c Nenni
per i socialisti, Gronchi per i democristiani, Amendola per i comunisti.
Gronchi favorevole ad ununica organizzazione sindacale unitaria ma non
nasconde alcune riserve e perplessit da parte di alcuni rappresentanti del
suo partito.
Buozzi, insomma, aveva un ruolo centrale in queste trattative. Cos
centrale che il 27 ottobre del 1943 quando cominciarono le trasmissioni di
Radio Londra (Parola dordine: La vecchia chiave non funziona), tocc
al segretario della CGdL pronunciare un messaggio per Citrine, presidente
dei sindacati britannici, e a Pietro Nenni quello per il vice-primo ministro,
Attlee. Era anche il leader sindacale che gestiva la rete pi vasta di collegamenti internazionali, cosa che prov a far valere soprattutto nel negoziato
con Di Vittorio a proposito della sua naturale candidatura alla segreteria
generale del nuovo sindacato unitario. Significativo un telegramma inviato
tre mesi dopo sempre al capo delle Trade Unions. Era un messaggio di auguri per il nuovo anno e sintetizzava la personalit di Buozzi, ottimista e
determinata. Scriveva allinizio del nuovo anno, dopo lo sbarco degli alleati
ad Anzio (il messaggio venne letto anche a Radio Londra), a Citrine: La540

LUI E NENNI

voriamo tra rischi e difficolt enormi Punto Tuttavia coraggio non manca
et buone speranze ci sorreggono Alt Appena possibile occorrer incontrarci
in Italia o a Londra se mi sar concesso venirci stop Che nuovo anno porti
pace al mondo. La data quella del 13 gennaio 1944 e spiega come gli
interessi del segretario della CGdL fossero in quel momento proiettati pi
verso la costruzione di un panorama favorevole al nuovo sindacato ancora
in gestazione che a viaggi che gli avrebbero probabilmente consentito di
salvare la pelle ma che gli avrebbero fatto perdere un po di centralit.
Gli appuntamenti di Bari erano importanti ma non decisivi, nonostante lentusiasmo con cui Lizzadri in un articolo per l Avanti! del 14
febbraio (non firmato) annunciasse: Risorge la Confederazione generale
del Lavoro! Il 28 gennaio a Bari si riunito il primo congresso operaio
dallinfausto 1925 in cui i partiti e le organizzazioni sindacali furono
sciolti. Il congresso, al quale hanno partecipato cinquecento delegati venuti
dalle province meridionali e dalla Sicilia, ha deciso la ricostituzione della
gloriosa Confederazione generale del lavoro. Con questa decisione i lavoratori dellItalia meridionale hanno riaffermato il principio dellautonomia
del movimento operaio sia nei confronti dei padroni sia nei confronti dello
Stato borghese. Essi hanno inteso riallacciarsi per le battaglie di domani
alla tradizione del sindacalismo operaio il quale non ha niente in comune
con lo pseudo sindacalismo fascista... Il Congresso di Bari ha deciso che
la sede della Confederazione generale del lavoro sia trasferita a Roma non
appena possibile. Esso ha nominato segretario generale della Confederazione il nostro compagno Bruno Buozzi che resse questo ufficio nel 192126 (le date erano errate, errore forse dettato dalla retorica del momento
n.d.a.) e vice segretari il compagno Giovanni Roveda e il cattolico Achille
Grandi. Un esecutivo provvisorio con sede a Bari stato nominato nelle
persone dei compagni: Raffaele Pastore, segretario, Laricchiuta, Genco,
Populizio e Schirone.
E sempre nel suo diario, Lizzadri annotava il primo messaggio politico lanciato dal Psiup alla rinata Confederazione: La Direzione del Partito Socialista invia alla Confederazione generale del lavoro ricostituita a
Bari in un solenne congresso di liberi delegati operai il suo saluto. Essa invita i compagni socialisti ad essere in prima fila nella riorganizzazione delle
Leghe, delle Camere del Lavoro, dei Consigli, strumenti delle battaglie per
541

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

lemancipazione totale della classe lavoratrice. Il valore simbolico di quel


voto barese rimaneva, ma le conseguenze politiche venivano attenuate dalla
presa di posizione del Pci, che non tenne conto, come sottoline diciannove
anni dopo Lizzadri, che la proposta di nominare Buozzi segretario generale
era partita da un sindacalista comunista, il pugliese Raffaele Pastore11.
Inoltre, Amendola e Scoccimarro non tenevano presente che se a livello
personale i rapporti tra Buozzi e Lizzadri erano di grande familiarit, da un
punto di vista strettamente politico il secondo spingeva pi verso Nenni
che verso il leader sindacale.
La realt che in quel momento, i negoziatori del partito di Togliatti erano soprattutto impegnati a impedire che alla guida della rinascente
Confederazione potesse andarci un socialista, una posizione che si poggiava,
come abbiamo gi visto, sulla tesi che i rapporti di forza si erano rovesciati
e adesso premiavano i comunisti. Lobiettivo della conquista della segreteria
era chiarissimo nelle relazioni che Giuseppe Di Vittorio inviava ai vertici
del partito, pur accettando, per una fase transitoria, una gestione paritetica
che, per, veniva sempre considerata propedeutica al passo successivo (cosa
che effettivamente avvenne avendo delle ripercussioni anche sul conseguente smembramento dellorganizzazione unitaria). Da questo punto di
vista, probabilmente condizionati dal pregiudizio anti-riformista e dallidea
che spettasse ai comunisti, per diritto ideologico e divino, la guida del movimento operaio, il Pci fin per fare il gioco pi della disunione successiva
(che, comunque, difficilmente si sarebbe potuta evitare a causa delle condizioni politiche internazionali e nazionali, che ne erano la conseguenza) che
dellunione, sottovalutando quel ruolo di cerniera che un realista (prima ancora che riformista) come Bruno Buozzi poteva giocare in un esercizio di
grande equilibrismo. La Cgil riusc a conquistare la segreteria con Giuseppe
Di Vittorio (probabilmente alla conta del congresso del 1947, fu anche
forzato), ma fin per condannare alla divisione la creatura unitaria che in
quella casa di piazza Esedra aveva fatto versare qualche lacrima di commozione ad Achille Grandi (che, comunque, allunit non pensava da una vita
essendo stato in larga misura convinto a quel passo da De Gasperi).
Il riformismo era anche motivo di attrito tra Buozzi e Nenni. Lo era
stato, come abbiamo visto, negli anni in cui il secondo approdava al Psi
mentre il primo usciva, ma poi si erano ritrovati, in un partito abituato a
542

LUI E NENNI

sentirsi plurale (fin troppo abituato e fin troppo plurale), caratterizzato da


una dialettica politica molto vivace e per nulla silenziata dalle regole del
centralismo democratico. Era stata durissima la polemica tra Nenni e
Buozzi nellesilio parigino alla fine degli anni Venti. Era accaduto che in
uno studio di George Valois dal titolo il fallimento del sindacalismo fascista, pubblicato il 27 luglio del 1929 sul Cahiers Bleus, Pietro Nenni
avesse duramente attaccato anche il vertice della CGdL per via di quellincontro, nellagosto del 1923, con Mussolini. Il segretario generale diede
conto della visita a Mussolini. Sulla questione della collaborazione, egli afferm che non si trattava di collaborazione politica, ma tecnica cio sotto
forma di partecipazione ai corpi consultivi dello Stato ed a tutte le organizzazioni ove si discutevano i problemi del lavoro e della produzione... Questa
politica che fu da una parte e dallaltra di inganno, non diede alcun risultato
pratico. In effetti la logica superiore dei bassi intrighi trascina le cose e le
istituzioni verso il loro vero destino, che era la lotta aperta12. Per il leader
socialista quello era solo un momento della marcia di avvicinamento di alcuni sindacalisti confederali al fascismo, una bandiera bianca alzata seppur a mezzasta.
La stilettata di Nenni scaten la reazione di Buozzi che sottoline
come ai corpi tecnici (strutture simili allattuale Cnel che esistevano, sotto
altri nomi, gi allora) i sindacati avevano sempre partecipato; quindi, sarebbero stati colpevoli e complici se avessero deciso di farlo a partire dal
1923. Non basta, perch se il sindacato avesse dovuto prevedere il ritiro da
tutti gli organismi rappresentativi, analogamente i deputati di opposizione
avrebbero dovuto rinunciare in blocco allo scranno parlamentare. Anzi, aggiungeva Buozzi, la vera nomina dei rappresentanti sindacali nei corpi
tecnici e consultivi dello stato era fatta dai soci dei sindacati, cio da un
corpo elettorale assai pi omogeneo e classista di quello che eleggeva i
deputati. Conseguenza: Se nel 1923, in pieno regime fascista i partiti di
sinistra credevano utile rimanere in Parlamento ad esplicare la loro attivit
di oppositori, si pu sapere per quale ragione si doveva rinunciare a compiere la stessa funzione negli organi sussidiari e di emanazione del Parlamento?
Buozzi ricordava anche che quando era scattato lAventino, dopo
luccisione di Matteotti, contemporaneamente allabbandono dellaula da
543

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

parte delle opposizioni, i sindacalisti erano usciti da quelle strutture tecniche. Poi si arrivava al corpo a corpo: Nenni parla di politica di inganni e
bassi intrighi. Ebbene, ci permetta di dirgli che queste parole grosse sono
indegne di lui e indegne di quel periodo e di questo. Noi neghiamo categoricamente... che nel periodo che va dalla marcia su Roma allassassinio di
Matteotti la politica sindacale fascista sia stata dominata dalla ricerca di
un compromesso fra Mussolini e i capi della Confederazione... Insorgiamo
oggi, come insorgeremmo domani contro chiunque, specialmente se amico,
pigli a pretesto un episodio o la debolezza di qualche uomo per colpire in
solido la Confederazione Generale del Lavoro e i suoi capi. In sostanza, se
anche Mussolini cercava laccordo, alla fine aveva trovato orecchie sensibili solo in alcuni (situazione confermata dallo scioglimento decretato dal
gruppo Rigola il 4 gennaio del 1927). Nenni, in effetti, non aveva tutti i
torti: qualche sbandamento cera stato e Matteotti aveva pronunciato quel
discorso che lo aveva portato alla morte anche per bloccare quei sommovimenti che stavano facendo il gioco di Mussolini. Semmai era la generalizzazione che indeboliva la sua analisi. Poi, per, cerano le questioni
politiche che tiravano in ballo anche Turati. Nenni aveva accusato i riformisti e la destra del partito di non avere avuto adeguata sensibilit per le
dinamiche sociali, di aver negato lesistenza di un clima rivoluzionario
quasi a priori. Replicava Buozzi: E il centro Massimalista a cui aderiva
Nenni cosa pensava? Qualcuno dice che predicava la rivoluzione, ma che
poi quando capitava un episodio che poteva offrire loccasione per una
grande azione, diceva: adagio, lora della rivoluzione non ancora scoccata!13 Il riferimento era evidentemente alloccupazione delle fabbriche
quando il vertice socialista, pur in mano ai massimalisti decise di non decidere.
I due contendenti erano cos arcigni che continuarono a beccarsi.
Una ventina di giorni dopo, Nenni mandava una lettera a lOperaio Italiano in cui rincarava la dose: Ahim! Lintrigo aveva radici cos profonde,
che neppure luragano Matteotti baster a sradicarlo e nel 27 nel pieno
delle leggi eccezionali quando a frotte i nostri varcano le frontiere, taluni
uomini, che ti furono cari, dalla premessa della collaborazione tecnica del
23, arriveranno alla collaborazione tecnico-politica14. Una sottolineatura
ingenerosa visto che Buozzi era stato la prima vittima di quel tradimento.
544

LUI E NENNI

Non erano n luno n laltro uomini abituati a mangiarsi la lingua o, se


fossero stati calciatori, a tirare indietro la gamba sul terreno di gioco. E allora Buozzi rispondeva: Che Mussolini mirasse a ci che dice Nenni pu
essere vero; che sedicenti democratici e popolari coltivassero lintrigo pu
darsi; escludo, per, nel modo pi assoluto che DAragona o altri dirigenti
confederali fossero della partita. Sotto accusa un discorso di DAragona
alla Camera, considerato da Nenni come il segnale per fare le valigie e passare
dallaltra parte. Quindi, gli incontri. E, allora, Buozzi ricostruiva i fatti. Due
emissari di Mussolini (lonorevole Postiglione e lavvocato Terruzzi) avevano
fatto visita alla sede della Confederazione, quindi cera stato il colloquio col
duce che lo concluse: Ricordate che certe occasioni nella storia non si ripetono tanto facilmente15. Mussolini aveva blandito il sindacato e non
avendo avuto la risposta che si attendeva, aveva rilanciato con una minaccia.
Buozzi, a questo punto, aggiungeva: Noi ripetemmo per lennesima volta
che di collaborazione non era neppure il caso di discutere, e che la Confederazione non aveva nulla da chiedere salvo la cessazione delle violenze e delle
persecuzioni e la libert per tutti gli italiani16. Incalzava, il segretario generale della CGdL dicendo che se la collaborazione tecnica era una nefasta
tendenza al compromesso, allora anche la partecipazione ai lavori parlamentari dopo la marcia su Roma, esprimeva una nefasta tendenza al compromesso. E terminava, ancora una volta, con una stoccata ai vertici del
partito per la vicenda delloccupazione delle fabbriche: Nel suo campo, la
Confederazione, con unazione audace e meditata insieme, riusc a conquistare, al proletariato italiano, posizioni che ancora oggi, sono allo stato di
aspirazione in paesi economicamente pi ricchi ed evoluti dellItalia. Il movimento politico non pu dire altrettanto. Dominato dagli estremisti, non seppe
decidersi n per la rivoluzione, n per la partecipazione al potere17.
In quel cinema romano, per, di queste polemiche non cera pi
traccia e Nenni, che pure si era scontrato violentemente con il sindacalista,
adesso sentiva di poter parlare con la sua voce e con le sue idee: Di fronte
ai problemi della resurrezione economica del paese, Bruno Buozzi avrebbe
detto che tutto essendo fradicio della vecchia impalcatura borghese e fascista bisogna avere il coraggio di ricominciare da capo. Lepurazione che comincia con lusciere del ministero che prese la tessera del fascio per dare
da mangiare ai figli e che si arresta sulla soglia dei consigli di amministra545

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

zione, una commedia che non accetteremo. Lepurazione deve cominciare


dallalto: la gente da epurare nei consigli di amministrazione delle grandi
industrie e delle banche, nelle alte sfere dellesercito, nei consigli aulici
della Corona. Si cominci di l e ci si arresti l18. Il tempo e il continuismo
smentiranno Nenni-Buozzi: soprattutto le alte sfere si salveranno, in particolare nella macchina dello Stato. Ancora: Sulla Costituente, io credo
che Bruno Buozzi avrebbe detto che se ce la offrono come un diversivo elettorale, se ce la promettono come un espediente che calma e attenua le impazienze, si sbagliano. La Costituente sar una cosa seria e per essere seria
bisogna che attorno ad essa il popolo monti la guardia senza un minuto di
pausa; perch sia una cosa seria deve iscrivere nel suo programma tre rivendicazioni principali attorno alle quali il partito socialista chiama a raccolta tutti i cittadini dItalia. La repubblica prima di tutto, una repubblica
presidiata dal popolo in armi, che sia espressione dei lavoratori, non un
dono di classi dirigenti che vogliono salvarsi dietro il berretto frigio. Il processo dei responsabili dellabuso di potere che va dal 28 ottobre 1922 al 10
giugno 1940, al 25 luglio 43. La Costituente deve costituirsi come supremo
tribunale del popolo per giudicare Mussolini e il re. Infine noi attendiamo
dalla Costituente che dia una nuova assisi economica al paese basata sulla
democrazia dei consigli. La fonte della nostra salvezza nel lavoro19.
La Repubblica resta, per la Costituzione, fondata sul lavoro mentre
crescono i senza lavoro. Nenni concludeva quella sua serata con toni accorati: Ecco, io credo... di aver detto le cose che meglio di me avrebbe detto
stasera Bruno Buozzi se un mese fa i briganti nazi-fascisti in fuga non lo
avessero abbattuto come un cane... Avrebbe trovato... in mezzo alle ragioni
di angoscia che ci assalgono motivo di fiducia inalterabile nel prossimo
domani. E credo di essermi imbattuto anchio in questo motivo di fiducia
venendo ieri da Napoli... Mentre lautomobile correva sulla Casilina verso
altre rovine vidi un vecchio contadino curvo sotto il peso della solforatrice
e che nel sole infocato andava alla ricerca di qualche tralcio di vite scampata per miracolo alluragano. In quel contadino Bruno Buozzi avrebbe
celebrato il lavoro che fa rinascere la civilt20.

546

LUI E NENNI
1

Pietro Nenni: Cosa avrebbe detto Bruno Buozzi, discorso al Cinema Adriano di Roma,
il 4 luglio 1944, ristampa a cura della Fondazione Bruno Buozzi, pag. 3
2
Pietro Nenni: Cosa avrebbe detto Bruno Buozzi. Ivi
3
Pietro Nenni: Cosa avrebbe detto Bruno Buozzi. Ivi
4
Pietro Nenni: La lotta di classe in Italia Sugarco 1987, pagg. 125-6
5
Discorso di apertura di Benedetto Croce dagli atti del congresso di Bari, prima libera
assemblea dellItalia e dellEuropa liberata, 28-29 gennaio 1944
6

Louis de Brouckre, politico socialista belga, vissuto dal 1870 al 1951


Intervento di Filippo Turati al IV congresso dellInternazionale Operaia e Socialista, 30 luglio 1931
8
Varennes-en-Argonne un comune francese. La sera del 21 giugno del 1791, il re Luigi XVI
prov a fuggire con la sua famiglia per unirsi alle truppe fedeli acquartierate a Montmdy.
Fu, per, scoperto da un maitre de poste di Sainte-Menehould, Jean-Baptiste Drouet.
9
Pietro Nenni: Cosa avrebbe detto Bruno Buozzi. Ibidem pag. 13
10
Avanti! Edizione romana, Anno II, n.13
11
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi sindacalista riformista Franco Angeli 1984, pag. 150
12
Bruno Buozzi: A proposito di due scritti di Gaetano Salvemini e Pietro Nenni lOperaio Italiano 31 agosto 1929, in Bruno Buozzi scritti e discorsi Editrice Sindacale Italiana 1975, pagg. 257-8
13
Bruno Buozzi: A proposito di due scritti di Gaetano Salvemini e Pietro Nenni. Ibidem
pagg. 260-1-2-3
14
Bruno Buozzi: Ad ognuno le sue responsabilit lOperaio Italiano 21 settembre 1929,
in Bruno Buozzi scritti e discorsi. Ibidem pag. 265.
15
Bruno Buozzi: Ad ognuno le sue responsabilit lOperaio Italiano 21 settembre 1929,
in Bruno Buozzi scritti e discorsi. Ibidem pagg. 266-7
16
Bruno Buozzi: Ad ognuno le sue responsabilit lOperaio Italiano 21 settembre 1929,
in Bruno Buozzi scritti e discorsi. Ivi
17
Bruno Buozzi: Ad ognuno le sue responsabilit lOperaio Italiano 21 settembre 1929,
in Bruno Buozzi scritti e discorsi. Ibidem pag. 268
18
Pietro Nenni: Cosa avrebbe detto Bruno Buozzi, discorso al Cinema Adriano di
Roma, il 4 luglio 1944, ristampa a cura della Fondazione Bruno Buozzi, pag. 14
19
Pietro Nenni: Cosa avrebbe detto Bruno Buozzi, discorso al Cinema Adriano di
Roma, il 4 luglio 1944, ristampa a cura della Fondazione Bruno Buozzi, pagg. 14-5
20
Pietro Nenni: Cosa avrebbe detto Bruno Buozzi, discorso al Cinema Adriano di
Roma, il 4 luglio 1944, ristampa a cura della Fondazione Bruno Buozzi, pagg. 15-6
7

547

Il sindacato unico, giuridicamente riconosciuto


risolve un problema fondamentale per la classe
lavoratrice vale a dire quello dellunit proletaria

Il Patto di Roma

il 1947 e la CGIL ancora unitaria si prepara al congresso. La rottura dellunit


antifascista e i venti di Guerra Fredda stanno gi indebolendo le ragioni del
Patto di Roma: la scheda elettorale e larrivo a Firenze di Giuseppe Di Vittorio

Il 27 maggio 1944, cio quarantaquattro giorni dopo larresto di


Bruno Buozzi, Giuseppe Di Vittorio, redigeva una relazione (numero 7),
da cui limmagine di Emilio Canevari usciva a dir poco devastata: il profilo
di un dirigente sindacale che si piegava quasi senza opporre resistenza alloffensiva del collega comunista, manipolabile, debole. Conferma palpabile della gracilit di una leadership (quella del Psi) uscita provata dalla
guerra. Canevari a quel tavolo, davanti a Di Vittorio, vi era arrivato per
caso: perch Buozzi era stato arrestato e perch laltro negoziatore, Oreste
Lizzadri, non era ancora rientrato a Roma. Insomma, era come quelle riserve che nel calcio siedono in panchina per onor di firma ma che allimprovviso si ritrovano in campo perch tutti gli altri si sono infortunati
durante il riscaldamento. Scriveva Nic, cio Di Vittorio: Linconsistenza
di questi bravi amici veramente sconcertante. Dopo la comunicazione incoraggiante di cui sopra, il comp. Can. (il compagno Canevari, n.d.a.) mi
ha presentato il documento che qui accludo. Ho redatto questo progetto di
accordo egli mi disse come base della discussione a tre, in cui ho tenuto
conto dei punti di vista di tutti. Data una rapida lettura del documento, non
mi stato difficile demolirlo, punto per punto, col maggior garbo possibile.
Infatti, eccetto il lato positivo che non si parla pi di sindacato di Stato e
contributo obbligatorio, da tutto il pasticcio risulta ben chiaro che la delegazione socialista, senza rendersene conto, ha fatto proprie tutte o quasi tutte
le posizioni dei democr. (democristiani, n.d.a.) (Sindacato di categoria e non
di industria; lo sbloccamento gi fascista con le 4-5 federazioni gi confederazioni burocratiche di carattere confederale; allapice una Confederazione Italiana del Lavoro con puri scopi di studio e di rappresentanza negli
organismi dello Stato; la Camera del Lavoro ridotta a funzioni dufficio,
di studio e di propaganda; tutta lazione sindacale, basata in modo esclusivo
551

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

sulla categoria, azionata da criteri rigidamente gerarchici; il diritto di sciopero subordinato ad autorizzazioni superiori e alla votazione segreta)1. Oggettivamente, il comp.Can. si era piegato un po troppo verso le posizione
di Grandi e dei cattolici. Alla fine della riunione con Di Vittorio, per, abbracci le posizioni opposte. Il Patto di Roma stato accusato di essere
stato il prodotto di un accordo di vertice.
A parere dei pi, questo sarebbe stato il suo tallone dAchille. In realt,
la sua strutturale debolezza va probabilmente cercata altrove. In quel clima
di libert estremamente compresse, in cui era difficile anche scambiarsi un
saluto, riesce piuttosto complicato immaginare una consultazione di base,
un dibattito capillare nei luoghi di lavoro per definire un accordo che sorgesse direttamente dalle officine o dagli uffici o dalle campagne. In quelle
condizioni, laccordo non poteva che essere verticistico. La debolezza, semmai, nasceva dalle ambiguit che segnarono, soprattutto nelle fasi finali, la
trattativa; dalle diffidenze democristiane che avevano perso la sponda di
Bruno Buozzi e avevano pensato di far filtrare le proprie opinioni manovrando un negoziatore non proprio granitico come Canevari, finendo, cos,
per sollecitare le diffidenze uguali e contrarie dei comunisti. Nessuno poteva
poi immaginare che lunit antifascista a livello politico sarebbe durata soltanto sino al 31 maggio del 1947 e che la situazione internazionale avrebbe
preso la strada della Guerra Fredda, del confronto tra Blocchi contrapposti
che faceva conseguentemente nascere la famosa conventio ad excludendum,
cio limpossibilit del Pci (e in quel momento anche del Psi stretto con i
comunisti in un rapporto di ferrea alleanza) di restare nellarea di governo.
Condizioni che trasformarono il Patto di Roma in un documento scritto
sullacqua. Ma se anche non fossero intervenute quelle condizioni esterne,
difficilmente un accordo che aveva lasciato insoluti troppi interrogativi
avrebbe retto alla verifica della quotidianit. Il vero tallone dAchille era,
quindi, lambiguit, forse in quel momento inevitabile.
Ma c dellaltro: limpostazione culturale. Di fatto, comunisti e democristiani, come ha sottolineato Walter Tobagi, erano portatori di una idea
di sindacato piuttosto simile. Subordinata al partito, quella del Pci; collaterale al partito, quella della dc. Ma se limpostazione culturale poteva essere
in qualche maniera analoga, le finalit erano diverse. La subordinazione
comunista aveva lobiettivo di costruire le condizioni per consegnare nelle
552

I L PAT T O D I R O M A

mani del partito gli strumenti per realizzare la mediazione sociale (una storia che trover conferme puntuali nella seconda met degli anni Settanta e
nella prima met degli Ottanta); il collateralismo democristiano quello di
recuperare nuovi consensi in aree sociali sconosciute (quelle operaie) e
per ricostruire i rapporti con i vecchi ceti di riferimento (in particolare quelli
rurali). In questa identificazione-contrapposizione, Buozzi non era solo un
elemento di equilibrio, era anche il portatore del progetto pi schiettamente
sindacale. Lo ha sottolineato Tobagi: evidente limportanza della presenza del socialista riformista Buozzi, non solo come erede di una gloriosa
tradizione sindacale, ma ancor pi come esponente di punta di una concezione squisitamente riformista del sindacalismo2
Veniva narrato, soprattutto dai biografi di Grandi, un aneddoto che
in qualche maniera spiegava la debolezza cronica dellintesa. Il 5 giugno,
cio quattro giorni prima della firma del Patto (la data ufficiale del 3 venne
decisa per due motivi: onorare la memoria di Buozzi che aveva partecipato
sino allultimo alle trattative; far capire che a quel documento si era lavorato
nella Roma occupata dai nazisti, sotto i loro occhi, sostanzialmente sfidandoli), Achille Grandi faceva il suo ingresso nella sede della Cgil unitaria
(confiscata alla Confederazione fascista dellindustria), passando dal salone
della presidenza. L, dietro il tavolo, vedeva tre sedie, due pi basse e una
pi alta. A quel punto chiedeva a un usciere a chi fosse riservata quella pi
alta. La risposta fu: a Di Vittorio. Grandi, con atteggiamento gelido, rintuzz: Qui nessuno pi alto. Fate togliere subito quella sedia e mettetene
una uguale alle altre3. I comunisti , seppur attraverso un simbolo, stavano
lanciando la loro Opa sul vertice confederale ma lo stavano facendo in maniera troppo sfacciata. Forse convinti a questa arrembante offensiva dal
fatto che nessuno potesse ostacolarli, che la tragica uscita di scena di Buozzi
da un lato avesse tolto ai socialisti il punto di riferimento pi forte, dallaltro
avesse liberato il campo di Di Vittorio dalluomo che, per la sua storia e
lantico carisma, poteva con qualche efficacia contrastare i piani del Pci,
rinnovando in una versione originale ma non totalmente inedita il vecchio
scontro tra riformisti e massimalisti.
Condizioni oggettive che rendevano Grandi meno convinto nei suoi
aneliti unitari, sicuramente meno convinto rispetto al giorno in cui si era
commosso nellascoltare Buozzi annunciare che, finita la guerra, ci sarebbe
553

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

stato un solo sindacato. Il verticismo pu aver condizionato, ma la realt


che gli equilibri erano veramente precari. Sarebbe stato opportuno consolidarli ma per farlo ci sarebbe voluta una figura considerata quasi terza,
un casco blu capace di frapporsi fra i due grandi contendenti, comunisti
e democristiani. Anche perch questi ultimi, seppur convertiti alle ragioni
del sindacato unitario, comunque continuavano a subire il richiamo della
foresta della vecchia Cil, la Confederazione bianca. Era cos forte questa
nostalgia che un dirigente sindacale cattolico napoletano, Domenico Colasanto, aveva persino provato a far rivivere a Napoli, nel marzo del 1944, la
vecchia sigla venendo bersagliato da Oreste Lizzadri (Longobardi il suo

La tessera di Viglianesi, riconoscibili le firme di Di Vittorio, Rapelli e Lizzadri

cognome in clandestinit) che avvertiva come quella iniziativa potesse


creare disturbi alle trattative in corso a Roma. A Colasanto, daltro canto,
erano apparse indigeste anche le conclusioni del congresso barese che aveva
portato alla resurrezione della CGdL e allelezione al vertice di Buozzi.
Insieme al socialista, Nicola Di Bartolomeo, e allazionista, Antonio Armino, aveva firmato, ai primi di febbraio, cio pochi giorni dopo lappuntamento pugliese, un documento di critica e rifiuto delle decisioni adottate
dai famosi cinquecento delegati.
Peraltro, proprio quel che avvenne a Napoli in quei giorni svelava
in qualche maniera la debolezza di un accordo che, tra laltro, aveva come
unici punti di riferimento i tre grandi partiti, dimenticando tutti gli altri.
Non un caso che la durezza di Lizzadri (comunque, molto lontano politicamente da Buozzi coltivando tendenze politiche fusioniste e certo non
riformiste) nei confronti di Colasanto (che, peraltro, venne scomunicato
anche da Grandi che and personalmente a Napoli per fare piazza pulita di
554

I L PAT T O D I R O M A

quello che era ritenuto un esperimento inopportuno) finisse per coincidere


con la severit che Di Vittorio e il Pci manifestavano nei confronti di Enrico
Russo, un comunista dissidente, e di Dino Gentili che avevano provato a
far rinascere la vecchia sigla CGdL. In questa iniziativa un ruolo rilevante
lo gioc proprio Gentili. Faceva riferimento, da azionista, a un partito che
di fatto era stato escluso dalle trattative sul Patto di Roma. Di qui la spinta
ad alimentare un progetto che sulla carta avrebbe dovuto far nascere un sindacato affrancato dalla subalternit ai partiti, soprattutto a quelli maggiori
Forzature, diffidenze, mediazioni che si risolvevano nel semplice
accantonamento dei problemi. Un accordo che nasceva su quelle sabbie
mobili difficilmente avrebbe retto alla verifica dei tempi e delle cose. Anche
se il suo tratto caratterizzante non fosse stato verticistico. Probabilmente,
ci fu anche una fretta eccessiva nella chiusura dellintesa. Una fretta che
gioc evidentemente un brutto scherzo proprio a Canevari, chiamato a difendere le posizioni socialiste ma poi obbligato ad alzare bandiera bianca
davanti allarrembante determinazione di Di Vittorio, uomo di sicuro carisma in assoluto e ancor di pi in rapporto allo stinto rappresentante socialista. Perch stando alla famosa relazione numero 7, in quellincontro il
comunista non us particolari giri di parole. Per non irritarlo troppo, utilizz
un minimo di tatto, ma poi ottenne tutto quello che voleva. Scriveva: Alla
mia critica, il bravo comp. Can. (si nota, in quel bravo, una certa sottile
ironia, n.d.a.) rispose che non voleva dire affatto quel che io avevo letto,
chegli completamente daccordo con me, che avrebbe accettato tutte
le modifiche che avessi formulato. Dissi con molto garbo, che non si trattava di modificare qualche brano, ma di rivedere tutto il documento. Proposi, quindi, di ritirarlo, di non darlo soprattutto ai democr. (democristiani,
n.d.a.) che vi avrebbero scorto laccoglimento della loro posizione sul Sind.
(sindacato, n.d.a.) di categoria e sulla struttura, che invece non sarebbe
nelle intenzioni socialiste. Tanto lui che laltro delegato socialista accettarono la proposta di ritirare il documento (Ma poi ho saputo da Silverio
che lo hanno messo in circolazione lo stesso, e probabilmente dato anche
ai cattolici)4.
Canevari, insomma, aveva alzato bandiera bianca, quasi senza combattere. Con Buozzi le cose sarebbero andate diversamente. Il Patto di
Roma a quel punto poteva decollare. Ma si trattava di un decollo dimezzato
555

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

perch le rispettive diffidenze inducevano a mettere a punto una intesa di


carattere generale senza entrare troppo nel dettaglio, perch nel dettaglio
tutto poteva saltare. E Di Vittorio quella soluzione la proponeva a Canevari
che laccettava: Constatato come risultava dalla discussione; non dal
documento - che com. (comunisti, n.d.a.) e soc. (socialisti, n.d.a.) siamo
ormai daccordo su tutte le questioni essenziali concernenti lunit sindacale, feci la proposta (argomentandola) di proporre uniti ai democr. (democristiani, n.d.a.) di realizzare laccordo sulla base duna semplice
dichiarazione generale (necessit dellunit sindacale; indipendenza da tutti
i partiti; base democratica; rappresentanza proporzionale negli organi dirigenti; reciproco rispetto di opinioni e credenze religiose; ecc.), demandando alle organizzazioni stesse il diritto di fissarsi il proprio orientamento,
la propria struttura, ecc. La delegazione socialista approv la mia proposta
e nei prossimi giorni ci riuniremo a tre, per proporre assieme ai democristiani la soluzione adottata. Io spero che la prossima volta i bravi compagni
socialisti non se ne vengano con un altro progetto!!!5
Il tono era piuttosto sprezzante ed esprimeva la scarsa considerazione che Di Vittorio aveva nei confronti delluomo che si era trovato a
dover sostituire contemporaneamente Buozzi e Lizzadri, avendo avuto sino
a quel momento nelle trattative una parte abbastanza secondaria. In certe
storie meglio cominciare dalla fine per risalire allinizio, insomma, nuotare come fanno i salmoni. Bruno Buozzi veniva arrestato il 13 aprile del
1944 e a quel punto le trattative che dovevano portare alla nascita del sindacato unitario erano sicuramente ben incanalate ma ancora lontane dallesito finale. Cerano, infatti, molti nodi da sciogliere, a cominciare dalla
segreteria: collegiale e paritaria oppure con un primus inter pares o, addirittura, con un segretario generale e due vice cos come deciso (fra le proteste di Amendola e Scoccimarro) a Bari? Prima di scomparire nel buio
della prigione nazista di via Tasso, verso la fine di marzo, Bruno Buozzi
aveva consegnato a Di Vittorio uno schema di accordo in diciotto punti e
con un capitolo finale dal titolo semplice ma significativo: questioni da esaminare. Cinque in tutto e non si trattava di temi secondari nel quadro generale del dibattito. Soprattutto gli ultimi tre: il giornale dellorganizzazione
con relativa tipografia, gli enti assicurativi, assistenziali, di credito statali
e parastatali e i contributi sindacali (con il corollario della suddivisione). I
556

I L PAT T O D I R O M A

primi due punti, invece, riguardavano il rapporto con il recente passato:


lacquisizione dei beni (il fascismo, chiudendo i sindacati liberi, si era appropriato di tutto) e il licenziamento o lepurazione dei dipendenti.
La bozza che offriva al dibattito il segretario generale della CGdL
era decisamente articolata. Partiva dal nome (Confederazione Generale del
Lavoro Italiana: la i nella soluzione finale sarebbe stata anteposta alla
parola lavoro); la struttura della segreteria (tre membri), del comitato direttivo (quindici, cinque per ciascuna componente). Al termine di questo
secondo capitolo, per, Buozzi precisava: Punto da decidere: se uno dei
tre componenti debba essere segretario generale. Non veniva fissata la
data del congresso (appena possibile). Ma i nodi veri cominciavano ad
affiorare nel quarto capitolo, cio sulla forma del sindacato: Ente di diritto pubblico a contributi obbligatori, o libero. Il nodo, come abbiamo
visto, divideva verticalmente le componenti: perch lorganizzazione con
personalit giuridica e obbligatoria era gradita ai cattolici e a Buozzi, almeno in una fase transitoria; il sindacato libero dal punto di vista delladesione, era caldeggiato da Di Vittorio. Il segretario generale della CGdL era
favorevole alla prima soluzione perch riteneva che in quel modo i contratti
avrebbero avuto valore erga omnes. Con il sindacato libero, invece, questo
effetto non si sarebbe ottenuto. Perci precisava: Optando per il sindacato
libero, chiedere che una legge dia valore giuridico ed obbligatorio per tutta
la categoria, ai contratti di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali che
abbiamo una forte percentuale di aderenti alle categorie interessate nei contratti stessi.

24.1 Un sindacato aperto e plurale

Il quinto capitolo conteneva quel riconoscimento che aveva convinto De Gasperi ad appoggiare il processo unitario, cio la caduta delle
pregiudiziali religiose: la nuova Cgil doveva essere una organizzazione
plurale dal punto di vista delle idealit, di ogni tipo. Nel sesto capitolo,
il segretario della CGdL, aveva cercato e in buona parte trovato la quadratura del cerchio sulla questione complicata del ruolo della Confederazione
perch da quello dipendeva il tipo di sindacato che sarebbe sorto dal Patto.
I cattolici, infatti, premevano per una organizzazione che avesse il suo fulcro nelle strutture di categoria; i comunisti, al contrario, attribuivano alla
557

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Confederazione il ruolo centrale. Buozzi aveva cercato di mettere insieme


capra e cavoli con una formulazione che coniugava i due punti di vista: La
Conf. (Confederazione, n.d.a.) lorgano propulsore coordinatore e direttivo
di tutte le attivit sindacali delle organizzazioni aderenti. Essa promuove la
solidariet fra tutte le categorie professionali, ed il mutuo appoggio fra la
classe operaia e tutti gli altri strati di lavoratori manuali ed intellettuali, contadini, artigiani, tecnici, artisti, professionisti, studenti, ecc.. Una formulazione evidentemente diversa da quella che poi Canevari aveva sottoposto
alla valutazione di Di Vittorio (e molto pi appiattita sulle posizioni democristiane) rimediando una bocciatura senza appello. Lidea era quella di un
sindacato forte a livello confederale perch innestato su robuste fondamenta
federali. Una vera confederazione di federazioni. Non solo. Nel capitolo
successivo, Buozzi attribuiva compiti squisitamente politici alla Confederazione sottolineando che il suo ruolo era la difesa degli interessi professionali ed il miglioramento delle condizioni economiche, morali e
culturali dei lavoratori. Essa si propone, inoltre, di assecondare attivamente tutti gli sforzi diretti a consolidare e sviluppare le libert popolari,
ed a realizzare la pi profonda aspirazione di tutti i proletari: lemancipazione sociale del lavoro. In queste formulazioni, pur tenendo presente
lidea interclassista sostenuta dai democristiani, il vecchio leader sindacale
cercava di preservare quellaspetto classista a cui n i socialisti, n i comunisti potevano (e volevano) rinunciare. Il documento entrava nel dettaglio
e spiegava che la Confederazione era composta dalle Camere del Lavoro e
dalle federazioni nazionali; che ladesione alla prima avveniva attraverso
le seconde mentre liscrizione alle terze bisognava farla direttamente.
Gli aspetti pi interessanti, per, si potevano leggere nella parte relativa alla struttura delle organizzazioni confederali perch su questo terreno Buozzi mostrava la sua volont di includere, di ampliare i confini della
rappresentanza, di abbracciare tutti i lavoratori dipendenti, tutti i salariati,
andando oltre il concetto di classe operaia, come dire, nuda e cruda. Il suo,
insomma, era un sindacato che si apriva alle nuove figure, capendo perfettamente che il mondo era in piena evoluzione e che finita la guerra questa
evoluzione avrebbe assunto caratteri accelerati. Tanto per cominciare, diceva che a livello industriale, il sindacato doveva rappresentare tutti: operai,
impiegati, tecnici. Era la lezione del Parco Michelotti, quando in occasione
558

I L PAT T O D I R O M A

dello sciopero organizzato da quelli che pi tardi sarebbero stati definiti


quadri, dopo la prima fase caratterizzata da unampia solidariet, erano
sorti dei contrasti che erano stati sanati con una certa fatica. Ma capiva che
non si poteva frullare tutto in un magma indistinto e cos Buozzi prevedeva
la possibilit per tecnici e impiegati di creare allinterno del sindacato delle
sezioni proprie per lesame dei problemi particolari della categoria. Una
idea decisamente moderna, che invitava il sindacato a fare i conti con nuove
problematiche, anche con nuove rivendicazioni. Un tuffo, insomma, nel futuro. Lorganizzazione di Bruno Buozzi doveva essere generale ma non generica; doveva coltivare lambizione di rappresentare tutti ma sapendo che
ogni figura professionale era portatrice di specificit proprie. Il suo sforzo
era quello di mettere insieme il tutto e il particolare. Un problema, ad
esempio, che si poneva nellagricoltura dove a una pluralit di figure professionali corrispondeva una multiformit di problemi. Risultato: il sindacato e le federazioni dovevano aprire le porte a salariati, braccianti,
maestranze specializzate, agli impiegati e ai tecnici delle aziende agricole,
ai forestali, ai coloni e ai mezzadri. Ma non mescolandoli tutti nel medesimo calderone bens costituendo sezioni proprie per lesame dei loro particolari interessi. La medesima spinta alla espressione multiforme della
rappresentanza, Buozzi la proponeva anche per il commercio, per le aziende
di credito e assicurative, per i servizi pubblici, per i funzionari dello stato
e per i dipendenti delle amministrazioni dello Stato. Infine, nella bozza di
accordo preparata dal leader della CGdL le cariche erano tutte elettive con
meccanismi di garanzia a favore delle minoranze.
Quindi, la parte centrale di tutta la costruzione: le funzioni delle organizzazioni confederali. Alle Camere del Lavoro veniva attribuito il compito di stimolare, coordinare e dirigere tutta lattivit sindacale e
assistenziale della zona di competenza. Alla Confederazione, invece, spettava, lazione contrattuale sia nella parte negoziale che in quella di difesa
dellaccordo firmato. Buozzi concepiva un sindacato che in ogni sua articolazione potesse far ricorso allo sciopero. Ma in caso di rinnovi contrattuali o di vertenze a difesa delle intese raggiunte, il diritto di sciopero
doveva essere esercitato con il consenso delle Federazioni e della Camera
del Lavoro. Ma laspetto pi innovativo era quello relativo alle elezioni interne: al voto dovevano partecipare tanto gli iscritti quanto i non iscritti e,
559

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

da questo punto di vista, Buozzi finiva per anticipare lepoca dei consigli
di fabbrica, organismi ampiamente rappresentativi ma al servizio dei lavoratori e non di un partito o di una velleitaria rivoluzione, lontani, cio, dallimpostazione gramsciana e ordinovista. Cerano un altro paio di soluzioni
che davano al progetto una fisionomia compiuta. Si proponeva il distacco
dalla Confederazione degli agricoltori, dei piccoli proprietari e dei coltivatori diretti (una soluzione, anche questa, che trovava orecchie particolarmente attente nella Dc). Analogamente si sollecitava la scissione degli
artigiani dalla Confindustria. Con le nuove organizzazioni che sarebbero
nate, la Cgli avrebbe dovuto creare rapporti di alleanza. Lultimo capitolo,
il diciottesimo era dedicato agli obiettivi che la Confederazione avrebbe
dovuto perseguire subito dopo la liberazione di Roma: costituzione delle
camere del lavoro e delle federazioni nelle zone liberate; coordinamento
con i lavoratori sottoposti ancora alloccupazione nazista; rinnovo dei contratti per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori; sostegno e aiuto
alle forze impegnate nella lotta di liberazione; elaborazione di interventi
per agevolare la ricostruzione del paese.
Le proposte sintetizzate in quella bozza daccordo che teneva presente anche le indicazioni venute dalle altre componenti politiche, il vecchio
leader sindacale le aveva illustrate pubblicamente in due articoli apparsi
alla fine di febbraio e alla met di marzo di quellanno (1944). I due interventi pubblicati sull Avanti! clandestino erano anche loccasione per rispondere alle polemiche suscitate (in particolare dalla propaganda
comunista) dalla sua proposta sul sindacato (e sulle quote) obbligatorio. In
particolare, il secondo articolo che finiva per essere la prosecuzione e la
puntualizzazione del primo. Andiamo con ordine. Il 26 febbraio usciva la
prima presa di posizione. E sin dalle prime battute, Buozzi era chiarissimo:
Il sindacato unico, giuridicamente riconosciuto, risolve un problema fondamentale per la classe lavoratrice, vale a dire quello dellunit proletaria.
I lavoratori sentono istintivamente limportanza capitale di questa unit
che accomuna tutti i mestieri, tutte le professioni, in una parola tutti i rami
dellattivit soggetta allo sfruttamento della classi plutocratiche6.
Il vecchio leader sindacale usciva allo scoperto perch sapeva bene
(ne aveva parlato nei colloqui clandestini con Di Vittorio) che quella sua
proposta prestava il fianco alle critiche. Soprattutto a una critica: di dare alla
560

I L PAT T O D I R O M A

nuova organizzazione confederale il carattere di una prosecuzione del vecchio sindacalismo obbligatorio fascista. Insomma, per i comunisti, lipotesi
alimentava lidea di una continuit e non di una rottura con il recente passato.
E poi cera la questione del rapporto del sindacato unitario con i partiti politici. Buozzi sapeva bene che gli equilibri potevano essere molto precari e
che non si poteva correre il rischio di apparire pi schiacciati su un versante
rispetto a un altro. Il problema lo aveva gi vissuto, soprattutto nel biennio
delle scissioni, il 1921-22. Sapeva anche che la situazione era complicata
da un nuovo problema che veniva posto dalla confluenza nella struttura unitaria dei democristiani. Si aggiungeva un altro motivo di divisione: non solo
quello relativo al fiancheggiamento di questa o quella forza politica, ma
anche la questione del classismo e dellinterclassimo. Sullo sfondo, poi,
le diverse sensibilit religiose o il differente rapporto con la religione. Il sentiero diventava pi stretto ma non per questo impercorribile.
Argomentava: chiaro che si deve andare verso un governo operaio, senza altri aggettivi. Per, per raggiungere lo scopo, si dovr marciare
allinfuori e al di sopra di ogni schema dottrinario e politico. A tal proposito
bisogna insistere sulla relativit delle varie dottrine politiche nei confronti
della vita etica e sociale del sindacato, in quanto rigeneratore della societ.
Questo atteggiamento di indipendenza sindacale non significa agnosticismo
politico, ci vuol poco a capirlo. I partiti che hanno un programma aderente
alla politica della classe operaia se ne troveranno avvantaggiati come pre-

Unaltra tessera unitaria firmata da Grandi, Di Vittorio e Lizzadri

561

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

cursori e antesignani. Gli altri, se lo riterranno opportuno, cercheranno di


adeguarsi alle istituzioni che andranno maturandosi o prenderanno unaltra
strada. I rapporti fra partiti e organizzazione sindacale sono per fatalmente
destinati ad un capovolgimento perch il sindacalismo apolitico tramontato da un pezzo, come pure passato per sempre il tempo in cui ogni
partito aveva o tendeva a procurarsi il protettorato di un sindacato7. Riecheggiavano, in quelle parole di Buozzi, alcune delle teorie di Turati e Treves. Erano, per, gli strumenti per costruire un sindacato nuovo. Il
segretario sapeva bene che la riuscita dellesperimento unitario dipendeva
proprio dalla soluzione dellenigma relativo al rapporto con le forze politiche. Sapeva bene che sarebbe stata fragile lidea di una organizzazione
indifferente alle posizioni dei partiti. Ma allo stesso tempo considerava autolesionistica la forma di una organizzazione al servizio (anche elettorale)
di una sola forza politica. E, allora, ribaltava la questione: noi facciamo la
nostra strada e su quella strada ci ritroveremo accanto quelle forze politiche
che si sentiranno maggiormente predisposte a difendere, in Parlamento, gli
interessi dei lavoratori. Volendo, una sorta di cinghia di trasmissione al
contrario, in cui era la Confederazione a dettare ritmi e senso di marcia.
Spiegava molto meglio questi concetti poco dopo: La classe proletaria deve anchessa distruggere i rapporti economici borghesi e quindi
il dominio economico e politico dellalta borghesia. I partiti che consentono
nelle linee generali di questo programma hanno linteresse e, prima dellinteresse, hanno il dovere di assecondare gli sforzi del proletariato per la soluzione degli immani problemi del dopoguerra, per quella ricostruzione
sociale e nazionale che nessun partito isolatamente potrebbe tentare e che
solo la gente del lavoro pu affrontare col concorso attivo di tutti i partiti e
di tutti gli uomini di buona volont i quali sinceramente credono nella
grande causa degli umili e degli sfruttati, causa che si identifica con le pi
nobili aspirazioni nazionali e internazionali di tutto il popolo italiano8.
Alle forze politiche, Buozzi lanciava un messaggio: fate fare a noi. Scriveva: Prima di prendere una qualsiasi decisione che possa comunque pregiudicare i futuri ordinamenti sindacali, i partiti dovranno lasciare che si
possano esprimere sullargomento i diretti interessati, i quali hanno acquistato la maturit sufficiente per decidere delle loro sorti9. Insomma, niente
interferenze o pregiudiziali. Un messaggio al Pci, certo, ma anche alla Dc.
562

I L PAT T O D I R O M A

Lultima parte del suo articolo, Buozzi la dedicava al problema pi


controverso, la figura giuridica del sindacato, lobbligatoriet. E dopo aver
premesso che lunit proletaria trova la sua base pi solida nel sindacato
unitario, illustrava un codicillo tecnico: Il sindacato giuridico ha la
rappresentanza totalitaria della categoria professionale ed il diritto di stipulare contratti di lavoro i quali hanno forza obbligatoria per tutti gli appartenenti alla categoria per la quale il sindacato costituito. Su questa
enunciazione i lavoratori sono pressoch unanimi ed augurabile che nessuna voce discorde abbia a levarsi a questo proposito in seno ai partiti di
sinistra9. Sapendo che la formula usata prestava il fianco allaccusa di
continuismo con il passato, obiettava: Si potr osservare che la formula
poco dissimile da quella adoperata dal sindacalismo fascista che per ventanni costrinse i lavoratori in unorganizzazione coatta dove era inibita ogni
libert di pensiero e di movimento. Senonch noi pi che alla forma, guardiamo
alla sostanza che si traduce nella possibilit di sovvertire la posizione e la funzione del sindacato il quale da strumento di oppressione deve diventare strumento di emancipazione della classe lavoratrice... Che gli uomini della vecchia
destra liberale, per amore di tesi e per fare tabula rasa di ogni resto del cessato
regime reclamino la soppressione del sindacato unico non fa meraviglia; che
in questo atteggiamento i liberali siano per coincidenza fortuita o per partito
preso in perfetto accordo con le tendenze pi retrive del capitalismo e dei
partiti conservatori anche questo non stupisce. Sarebbe per sommamente ingenuo ed assurdo che i partiti di sinistra seguissero su questa strada i partiti
di destra facendo il giuoco della plutocrazia ai danni del proletariato. Il che
francamente non nei voti del popolo italiano11. Questi articoli Buozzi li
firmava con uno pseudonimo: Quidam, cio un certo, un tale, uno del popolo, uno della massa proletaria.

24.2 Il nodo dei contratti erga omnes

La sua insistenza sul sindacato unico, obbligatorio e dotato di personalit giuridica nasceva dalla necessit di dare ai contratti quella validit
generale che altrimenti non avrebbero avuto (a meno che non fosse stata
varata una legge che concedesse questo riconoscimento). Ma si incrociava
con le posizioni democristiane che in questa soluzione vedevano due conseguenze in linea con limpostazione cattolica: un sindacato unico e obbli563

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

gatorio avrebbe scolorito i caratteri politici dellorganizzazione che diventava solo uno strumento di difesa dei lavoratori, di tutti i lavoratori; una organizzazione di questo tipo, in qualche maniera istituzionalmente
inquadrata, avrebbe usato gli strumenti a disposizione, in particolare lo sciopero, solo per finalit economiche. I comunisti, figli della teoria della cinghia di trasmissione che sar messa in discussione da Di Vittorio solo a
met degli anni Cinquanta, intravedevano nel sindacato, al contrario, uno
strumento della lotta politica. In sostanza cos come Carl von Clausewitz
considerava la guerra la continuazione della politica con altri mezzi, allo
stesso modo il Pci intravedeva nel sindacato la prosecuzione su un altro
piano del confronto-scontro tra i partiti. Con questa contraddizione i comunisti faranno a lungo i conti, alcune volte risolvendo il problema brillantemente, altre volte rimanendo impigliati nei rigidi schemi che quel
postulato determinava (ad esempio, per fare riferimento a un avvenimento
pi vicino a noi che a Buozzi, in occasione della vicenda della scala mobile
e del decreto di San Valentino).
Quidam con il primo articolo aveva suscitato irrigidimenti nel
campo comunista, soprattutto aveva fornito argomenti alla propaganda che
era stata imbastita contro di lui. E cos intervenne nuovamente una ventina
di giorni dopo, sempre sull Avanti! per provare a precisare meglio i concetti. Scriveva: Sindacato unico non vuol dire sindacato obbligatorio. Il
principio della libert sindacale va considerato come un caso specifico della
libert di associazione. Come tale non si discute. Il sindacato deve essere pertanto costituito, amministrato e diretto con criteri democratici. E questo implica adesione volontaria12. Evidente il tentativo di fare piazza pulita delle
accuse di voler proseguire sulla strada illiberale del sindacalismo fascista.
Continuava: Sindacato unico significa ripudio dei sindacati plurimi, Lorganizzazione sindacale ha una sua ragione di essere in quanto si
sostituisce allindividuo isolato, nellinteresse dei singoli e della comunit...
Come esiste una sola amministrazione comunale, una sola amministrazione
provinciale, un solo Parlamento, cos deve esistere un solo sindacato che
rappresenta legalmente tutti gli appartenenti alla categoria per la quale
costituito13. La scelta del sindacato unico come scelta ispirata anche a criteri di efficienza nel lavoro di tutela e di difesa. E a questo punto, Quidam
affrontava la questione pi scottante: Organizzazione unitaria e ricono564

I L PAT T O D I R O M A

scimento giuridico. Il confine della disciplina positiva del problema sindacale sta nel riconoscimento delle associazioni professionali da parte dello
Stato. In effetti il riconoscimento delle associazioni professionali significa
che queste sono considerate dal legislatore, cio dallo stato, come rappresentanti legali degli interessi della corrispondente professione o mestiere.
I rapporti fra stato e sindacato qui cominciano e qui finiscono14. Tradotto
in soldoni: il rapporto si esauriva nel riconoscimento burocratico del sindacato; nessuna relazione malsana, nessuna subordinazione, nessun coinvolgimento. Solo un timbro, un certificato di nascita e di esistenza in vita.
Buozzi spiegava questa sua insistenza cercando soprattutto di dissipare i dubbi: Alcuni temono che lorganizzazione unitaria della classe
lavoratrice una volta ottenuto il riconoscimento giuridico possa diventare un organo burocratico indifferente ed estraneo alle comuni aspirazioni
dei lavoratori. Dissento in pieno da queste prevenzioni: 1 perch i dirigenti
ripeteranno il mandato non gi dai poteri dello Stato ma dalla volont della
massa... 2 perch linvestitura legale data al sindacato altro non sar che
il riconoscimento e la sanzione di uno stato di fatto... 3 perch tutte le correnti politiche potranno far sentire la loro voce attraverso gli esponenti sindacali affiliati ai rispettivi partiti i quali avranno modo di controllarsi a
vicenda... ed avranno la possibilit di conquistare adeguate rappresentanze
negli organismi dirigenti attraverso regolari elezioni15.
Ma poi cera unaltra questione che esponeva Buozzi alle critiche: le
quote obbligatorie. Anche quelle erano contestate dai comunisti perch ricordavano il passato fascista. Nella sua storia di sindacalista, spesso il segretario della CGdL si era ritrovato a teorizzare la necessit di una forte
autonomia economica del sindacato, il contributo finiva per essere, indirettamente, la conferma di una adesione convinta proprio perch comportava un piccolo sacrificio finanziario. Concludeva Quidam: I contributi
sindacali rappresentano il corrispettivo di determinati servizi che il sindacato presta a favore di tutti indistintamente gli appartenenti alla rispettiva
categoria e quindi anche a favore di coloro che di fatto non partecipano
alla vita dellorganizzazione sindacale. Perci chiaro che il sindacato investito della rappresentanza legale di tutta la categoria ha diritto di imporre
un contributo a tutti indistintamente gli appartenenti alla categoria stessa.
Si tratta di trovare la forma per non urtare la suscettibilit di alcune zone
565

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

ipersensibili; ma la sostanza rimane. E la sostanza questa: che sarebbe


ingiusto ed immorale di voler perpetuare uno stato di cose che consentirebbe
a molta gente di godere i frutti dellorganizzazione sindacale senza spendere
un soldo e senza rischiare un bel niente; mentre i pionieri e gli sgobboni
dovrebbero pensare a pagare per tutti, ivi compresi i crumiri e i disertori16.
Era un discorso che tra i comunisti non faceva breccia tanto vero
che Roveda, nel memoriale consegnato alla riflessione dei suoi compagni
allinizio di una trattativa che poi fu costretto ad abbandonare a causa dellarresto, definiva inevitabile, anche nelle pi favorevoli situazioni, lesistenza di un certo numero di parassiti. A Roveda, peraltro, era attribuito
anche il disegno che puntava a mettere in minoranza Buozzi allinterno del
partito socialista per vincere la partita.
La bozza di accordo Buozzi lha probabilmente messa a punto dopo
questo articolo. Purtroppo, per, le sue elaborazioni non lasciarono traccia
su Canevari che si present allincontro definitivo con Di Vittorio disarmato
venendo, perci, messo allangolo. Tredici giorni dopo quel vertice, il Patto
di Roma venne firmato. Anche sotto la spinta di fatti che maturavano nel
paese e che vedevano rinascere il protagonismo operaio nella lotta di liberazione. Il Patto di Roma stato accusato di verticismo ma venne alimentato da una combattivit in fabbrica che assunse connotati anche eroici visto
che la repressione tedesca, anche su ordine di Ribbentrop divenne veramente feroce. Semmai, laspetto pi debole del Patto che riduceva la costruzione del sindacato unitario a un accordo fra le tre grandi correnti di

La tessera provvisoria di Viglianesi firmata da Grandi, Di Vittorio e Lizzadri

566

I L PAT T O D I R O M A

pensiero politico e sindacale che si agitavano nel paese finendo per escludere realt nuove e minoritarie. In questa maniera, il Pci riusc a isolare alcuni gruppuscoli alla sua sinistra (come Bandiera Rossa). Ma in questo
processo di emarginazione fin impigliato anche il Partito dAzione. Il sindacato, in sostanza, rinunci al contributo ideale di una sinistra ricca di
voci, alcune in contraddizione tra di loro, ma potatrice di una robusta religione civile.
Il PdA pag anche gli errori compiuti in occasione della nomina dei
commissari, dellaccordo Piccardi - Buozzi. Rifiutandolo fin per isolarsi e
per offrire ai partiti maggiori loccasione per spingerlo sempre pi nellangolo essendo una presenza fastidiosa proprio per il fatto di presentarsi in
maniera molto laica, fuori dai dogmi e dagli schematismi, erede di elaborazioni culturali piuttosto eretiche come quella liberale di Gobetti o quella
socialista di Carlo Rosselli. Quando prov a recuperare il terreno perduto,
Buozzi, cio luomo pi disponibile alla mediazione e che nella sua bozza
di accordo aveva parlato di tutela delle minoranze allinterno dellorganizzazione sindacale, non cera gi pi, i nazisti lo avevano ucciso un paio di
mesi prima. Il PdA, infatti, prov nel congresso che si svolse dal 5 al 7
agosto a Cosenza a darsi una immagine pi operaista (nonostante non
avesse una grande presenza nelle fabbriche ed essendo una forza politica
figlia soprattutto di circoli intellettuali), venendo da un lato meno alle sue
radici culturali (che potevano contenere elementi operaisti ma attraversavano un panorama molto ampio di culture sociali) e finendo per non convincere i colossi che avevano firmato gi il patto e che si preparavano a
definire nei dettagli la struttura organizzativa. Quando Emilio Lussu chiese
un incontro con Togliatti, Di Vittorio, Lizzadri e Grandi , rimedi soltanto
una porta in faccia. E il motivo era semplice: la svolta operaista aveva finito
per accentuare le diffidenze da un lato dei comunisti dallaltro dei democristiani. Perch, se vero e meditato, loperaismo degli azionisti preoccupava Grandi; se tattico e strumentale, stimolava lirritazione di Togliatti e
Di Vittorio.
Sullazione politica (gli azionisti, giocando di sponda con i bordighiani avevano provato a costruirsi uno spazio sindacale al Sud, soprattutto
a Napoli: nel novembre del 1943 era stata ricostruita la Camera del Lavoro
ed era stato eletto un segretario) si innestavano le agitazioni che cominciavano
567

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

ad avere anche dei centri decisionali che le indirizzavano. Nella famosa


riunione del 29 settembre 1943 a casa della sorella di Lizzadri era stato anche
deciso di ricostituire dei punti di riferimento nelle fabbriche, i Comitati di
agitazione che riproponevano, dal punto di vista delle rappresentanze, esattamente le linee unitarie che si stavano definendo nel Patto.
Linsurrezione non era una prospettiva lontana, perci andava costruita coinvolgendo i lavoratori. I quali si sentivano ormai pronti a sfidare
gli invasori. La creazione della Repubblica sociale (laggettivo veniva usato
proprio per provare a recuperare consensi fra i lavoratori) venne accolto
dagli scioperi che scattarono tra novembre e dicembre del 1943. Cominci
la Breda, il 2 novembre a Milano, poi si ferm la Fiat il 18 novembre. Gli
industriali concessero immediatamente gli aumenti salariali ma gli operai
fecero sapere che volevano anche trattamenti migliori sul fronte degli approvvigionamenti alimentari. Il fatto che le rappresentanze trattassero direttamente con i tedeschi provoc non pochi mal di pancia nei Cln con
comunisti e azionisti che premevano sullacceleratore della vertenza e gli
altri partiti che invitavano a non precipitare la situazione, ad attendere situazioni pi favorevoli. Alla Fiat ci fu una terza fase di scioperi tra il 18 novembre e il 22 poi il generale delle SS, Otto Zimmermann, decise di risolvere
sbrigativamente la questione puntando le mitragliatrici sui lavoratori renitenti. Che, comunque, a livello rivendicativo ottennero piena soddisfazione.

24.3 La lotta accelera il negoziato

Il 1 dicembre partirono gli scioperi a Milano, soprattutto a Sesto San


Giovanni. Fabbriche ferme per quattro giorni poi cominciarono gli arresti.
Infine esplose Genova dove la situazione divenne subito drammatica anche
per lintervento di Ribbentrop che diede questo semplice ordine allambasciatore in Italia: Sono daccordo che voi portiate gli scioperanti davanti
alle corti marziali e arrestiate qua e l, per dare un esempio, un migliaio di
persone, inviandole come internati militari in Germania. Il Fuehrer vi d poteri per arrestare i caporioni e fucilarli subito come comunisti17. Detto fatto:
tre operai vennero arrestati e fucilati. Ciononostante, lo sciopero a Genova
continu, per gran parte di gennaio sino alla svolta drammatica, lultimatum
prefettizio di Carlo Emanuele Basile: Operai e impiegati, sta in voi salvare
la possibilit di vita vostre e delle vostre famiglie. Sciopero sabotaggio.
568

I L PAT T O D I R O M A

Se domani 14 gennaio alle ore 10 non riprenderete il lavoro, i vostri stabilimenti saranno chiusi a tempo indeterminato. Il 14 gennaio lultimatum
venne replicato e poi arrivarono le fucilazioni: sette operai.
Quelle agitazioni avevano spiegato con grande chiarezza a Mussolini (e ai suoi alleati nazisti) che il suo tentativo di recupero fra le masse
popolari del Nord era destinato allinsuccesso. C un elemento di cronaca
che Sergio Turone segnala nella sua storia: alla Innocenti, i fascisti provarono a eleggere le nuove rappresentanze aziendali. Risultato: 297 votanti
su cinquemila operai; 180 schede bianche, 103 con richieste di aumenti salariali o di insulti, in quattordici appena diedero il loro consenso alla commissione repubblichina. Il primo grande sciopero coordinato cominci,
invece, il 1 marzo. E, nonostante la repressione, nelle fabbriche torinesi si
fermarono 70 mila operai, 150 mila in tutto il Piemonte, un milione nellItalia occupata 18. Milano venne bloccata dai tramvieri (i casciavit), un
atto di coraggio pagato con la deportazione di sessanta lavoratori, trentotto
dei quali morirono in Germania nei campi di concentramento. Ma ladesione fu ugualmente massiccia. E la repressione durissima, confermata
dallarresto, il 13 aprile, di Bruno Buozzi e da quello del futuro segretario
della Cisl, Giulio Pastore che fin a Regina Coeli. Proprio per evitare rischi
inutili, l8 marzo il comitato di agitazione invit gli operai delle regioni del
triangolo industriale a tornare nelle fabbriche: I comitati segreti di agitazione che vi hanno chiamato allo sciopero, vi chiamano ora alla preparazione di questa lotta decisiva. Essi vi dicono: Rientrate nelle officine, negli
uffici; riprendete il lavoro, ma rientrate non per capitolare di fronte alla
prepotenza avversaria, ma per prepararci a rispondere alla forza con la
forza19. Una tregua per alzare il livello della lotta, interrotta solo dai braccianti, soprattutto della Bassa bolognese, che a maggio bloccarono le operazioni di trebbiatura al grido: Niente grano per i tedeschi.
Vale la pena, su questa ripresa della combattivit operaia, aprire una
parentesi relativamente al rapporto tra occupazione nazista e lavoro.
daiuto lanalisi di Gian Enrico Rusconi il quale ha parlato di guerra di
sfruttamento umano e socio-economico, sottolineando come dopo l8
settembre i tedeschi si trovano in Italia a dover combattere... la guerra multipla.. Se prioritaria per essi la guerra guerreggiata contro gli alleati
anglo-americani, non meno pressante e impegnativa la lotta per sfruttare
569

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

in modo ottimale le risorse materiali e di lavoro degli italiani direttamente


sul suolo nazionale o con il trasferimento di uomini in Germania... Questa
strategia porta alloccupante risultati positivi: si calcola che i lavoratori
italiani volontari e/o forzati tocchino dopo il settembre 1943 le 140.000
unit, da aggiungere ai 100.000 gi presenti sul territorio del Reich. Ad
essi vanno aggiunti i militari internati in Germania, 600.000 circa, usati
come mano dopera in condizioni praticamente di schiavit. Quegli scioperi furono un segnale forte, ma soprattutto un segnale. Perch da un punto
di vista pratico, i nazisti riuscirono ad attutirne le conseguenze. Lo evidenzia ancora Rusconi parlando di una strategia repressiva (come dimostrano
gli arresti di Buozzi e Pastore, le deportazioni, le fucilazioni) mitigata,
per quanto la parola possa apparire paradossale. Spiegava lo storico come
in questa maniera i tedeschi riescano senza gravi danni a superare i grandi
scioperi del marzo 1944. Rahn (Rudolf, era il plenipotenziario in Italia,
n.d.a.), infatti, anzich applicare la massiccia rappresaglia anti-operaia (arresto e deportazione del 20% delle maestranze) che a parte la sua difficile
praticabilit avrebbe paralizzato la gi ridotta produzione industriale,
adotta una tattica relativamente pi morbida... Cos Rahn potr dire che
a Torino, a Milano, a Genova si continua a lavorare per la Germania nonostante gli alleati siano sbarcati nella vicina Francia meridionale.
I lavoratori, comunque, rientrarono disciplinatamente in fabbrica e
questo convinse i leader sindacali che il loro seguito sui luoghi di lavoro
era forte, che il ricordo della vecchia e libera CGdL non era stato cancellato
dal ventennio. Una spinta decisiva, con cui il Patto di Roma si aliment.
Dovendo, per, fare a meno di un punto di equilibrio come Bruno Buozzi.
E quellassenza si manifest in maniera piuttosto evidente il 9 giugno,
quando Giuseppe Di Vittorio, Achille Grandi ed Emilio Canevari firmarono
effettivamente laccordo. Basta rileggere, dopo il documento firmato da
tutte e tre le componenti, la dichiarazione (datata 4 giugno) che i democristiani chiesero di allegare al Patto: l vi si ritrovano alcuni elementi della
proposta di mediazione di Buozzi che, per, nei meandri della fase finale
del negoziato a cui lui non aveva potuto partecipare, era andata dispersa.
Lintesa ufficialmente datata 3 giugno 1944, sottolineava la volont
delle tre componenti di realizzare, mediante la costituzione, per iniziativa
comune, di un solo organismo confederale per tutto il territorio nazionale,
570

I L PAT T O D I R O M A

denominato Confederazione Generale Italiana del Lavoro; duna sola Camera Confederale del Lavoro in ogni provincia, dun solo Sindacato locale
e provinciale per ogni ramo produttivo. I principi su cui si basava lunit
sindacale erano: la pi ampia democrazia interna e di conseguenza tutte
le cariche sociali... in ogni grado dellorganizzazione, debbono essere elette
dal basso; la massima libert di espressione; lindipendenza da tutti i
partiti politici. La struttura di vertice era composta da un Comitato direttivo di 15 membri (cinque per ogni componente, cos come indicato da
Buozzi) e una segreteria generale provvisoria di tre membri, cio i firmatari del Patto, Di Vittorio, Grandi e Canevari. Fin qui le parole e le ambizioni unitarie. Poi, per, cerano le posizioni dei cattolici che rimanevano
lontanissime da quelle dei comunisti e quella dichiarazione acclusa allintesa ufficiale da un lato indeboliva il documento comune, dallaltro apriva
una via di fuga.
I democristiani, ad esempio, parlavano di partecipazione del lavoro agli utili e al controllo delle aziende (qualcosa che rinviava allaccordo concluso da Buozzi dopo loccupazione delle fabbriche). La
diffidenza dei cattolici nei confronti dei comunisti emergeva in questo pas-

La guerra finita, lItalia libera: i partigiani festeggiano

571

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

saggio: Noi crediamo che le forze del lavoro debbano darsi subito un libero
inquadramento, il quale assicuri la loro unit al di fuori dei partiti, ma, con
il sistema democratico, garantisca ogni possibilit di lotta e di libera evoluzione; utilizzi per la causa comune dellelevazione sociale le capacit ricostruttive dei tecnici, dia voce e rappresentanza ai ceti impiegatizi e medi
divenuti, nella terribile crisi che attraversiamo, pi proletari degli stessi salariati; leghi alla stessa causa il lavoro intellettuale e la fatica produttiva
del piccolo proprietario contadino e dellartigiano, senza la cui solidariet
nessun profondo e reale svolgimento economico si presenta possibile in Italia. Due cose appaiono evidenti. Il sistema democratico doveva impedire
lo schiacciamento su un partito, il Pci, cio la trasformazione del sindacato
in unarma di lotta politica consegnata nelle mani di Palmiro Togliatti. Questo obiettivo, i cattolici lo perseguivano attraverso un allargamento dellorizzonte dei rappresentati, cercando di coinvolgere nella dinamica sociale
classi allinterno delle quali la presenza comunista era meno forte rispetto
a quella democristiana. Peraltro, abbiamo visto come lo stesso Buozzi non
volesse creare steccati ma prefigurasse un sindacato capace di dialogare
anche con figure professionali e semmai con ceti non totalmente in sintonia
con le dinamiche sindacali.
E poi restavano insoluti i nodi di sempre: personalit giuridica, obbligatoriet delliscrizione e del pagamento delle quote. Scrivevano ancora
i democristiani: Il sindacato promosso liberamente dalla volont ed iniziativa dei lavoratori e, poich deve possedere la capacit giuridica di rappresentare tutta la categoria, chiede allo stato di riconoscerlo come ente di
diritto pubblico. Il riconoscimento non comporta ingerenza dello Stato nella
attivit del sindacato, il quale resta libero entro la sfera di competenza fissata dalla legge sindacale. Lo Stato quindi pu unicamente esercitare, attraverso organi giudiziari competenti, un controllo di legittimit e non di
merito. evidente lassonanza con quello che Buozzi aveva scritto nellarticolo pubblicato sull Avanti! il 16 marzo del 1944: Linvestitura
legale data al sindacato altro non sar che il riconoscimento e la sanzione
di uno stato di fatto. Questo riconoscimento a parere dei democristiani
(ma evidentemente anche di Buozzi) dava al sindacato il diritto di rappresentare la categoria nei rapporti con i datori di lavoro e con gli organi
dello Stato, di stipulare contratti collettivi e sorvegliarne lesecuzione e
572

I L PAT T O D I R O M A

comportava liscrizione dufficio al sindacato di tutti gli appartenenti alla


categoria, col conseguente obbligo del contributo. Ma in gioco i cattolici
rimettevano anche la struttura stessa dellorganizzazione. E se Di Vittorio
vedeva il fulcro di tutto nella Confederazione e nelle Camere del Lavoro, i
democristiani sottolineavano: Lorgano di base il sindacato nazionale
di categoria. Insomma, prevalente doveva essere la struttura pi direttamente a contatto con i problemi dei lavoratori e quindi pi lontana dalle logiche politiche. Ancora: il diritto di sciopero che doveva essere riconosciuto
ma ledendo... interessi collettivi o di terzi obbliga il sindacato a cercare
preventivamente altre vie per la soluzione dei conflitti (conciliazioni, arbitrati). Infine le rappresentanze aziendali. Per i cattolici queste commissioni
interne saranno elette da tutti i lavoratori addetti allazienda. Concetto
analogo a quello formulato da Buozzi. Risultato: lipotesi di Patto messa a
punto dal segretario della CGdL riusciva a recuperare le diverse posizioni,
limitando i margini di ambiguit. Ma non fu quello il testo sottoscritto.
Il problema del Patto di Roma, dunque, non era il suo carattere verticistico ma il fatto che aveva lasciato insoluti i nodi fondamentali che ritornarono prepotentemente al pettine tre anni dopo, nel congresso
confederale che si svolse a Firenze dal 1 al 7 giugno 1947. E in quella sede
le diversit emersero. Tanto per cominciare le liste vennero definite su base
proporzionale cosa che evidentemente raffredd le tensioni unitarie accentuando risentimenti e paure. La corrente democristiana (che raccolse
610.104 voti, pari al 13,4 per cento) rilanci il riconoscimento giuridico, il
sindacato come organo dello Stato con registrazione conforme ai requisiti
previsti dalla legge, validit generale dei contratti collettivi. Quella comunista (2.631.129 voti, il 57,8 per cento, cio la maggioranza assoluta) confermava il principio del sindacato libero e volontario ma apriva al
riconoscimento giuridico senza vulnerarne lindipendenza e la libert.
Quella socialista (1.029.852 voti, il 22,6 per cento), scomparso Buozzi virava completamente: La Cgil e gli organismi aderenti devono mantenere
le loro caratteristiche di associazioni di fatto. La conta era stata una
prova di forza del Pci che in quel modo contribu a creare una parte delle
condizioni che portarono alla successiva dissoluzione dellunit. La Dc a
sua volta ne approfitt per alimentare pulsioni autonomiste che non erano
mai state sopite (Pastore) e che esplosero dopo la morte di Grandi avvenuta
573

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

nel 1946. Il Psi decise di accettare supinamente il ruolo di ruota di scorta


del Pci. La mozione conclusiva metteva pi o meno tutti daccordo con
qualche equilibrismo: sindacato libero e volontario ma validit generale dei
contratti collettivi, purch approvati a maggioranza, personalit giuridica
realizzata attraverso la registrazione.
Erano, per, gli ultimi fuochi dellunit. La realt che a quellintesa i democristiani erano andati poco convinti. Giuseppe Rapelli una decina danni dopo la firma del Patto, forn una interpretazione che non poteva
essere n confermata n smentita dal diretto interessato in quanto scomparso. Secondo Rapelli, Grandi era andato allaccordo con i comunisti per
prendersi una sorta di rivincita sullAzione Cattolica che aveva favorito,
allepoca del fascismo e di Palazzo Vidoni, la confluenza dei democristiani
nelle strutture corporative a danno della Cil che era stata sciolta. La Chiesa
aveva assecondato le trattative di Grandi, peraltro venendo quotidianamente informata degli sviluppi. Liniziativa di Colasanto (la ricostituzione
della Cil) venne lasciata cadere. Ci non toglie che quattro giorni dopo la
conclusione effettiva degli accordi e dieci dopo quella ufficiale, il Popolo,
lorgano della Dc, usciva con un intervento dai toni chiarissimi di Grandi:
Quel che possiamo fin dora assicurare col pieno e leale consenso di coloro
che hanno assunto la responsabilit di questo accordo che le questioni
importanti ancora controverse saranno trattate in sede paritetica e cio non
soggette a colpi di maggioranza. Ogni sforzo sar compiuto per trovare il
punto di congiunzione e di transazione. Ma se per deprecabile caso ed
evento laccordo non fosse raggiunto, ogni corrente sindacale riprender
la sua libert dazione senza che nessuna di esse possa essere imputata di
avere menomato lo sforzo compiuto per attuare lunit sindacale. E ad
ogni buon conto, la Chiesa aveva gi provveduto a far nascere nellagosto
del 1944, le Acli, ma il seme di quella fioritura venne messo in vaso l8
giugno, ventiquattro ore prima della firma definitiva del Patto di Roma.
Nacque probabilmente l, in quel momento particolare e tumultuoso, lanomalia italiana di un centrismo sindacale che ha condizionato la capacit
di manovra delle Confederazioni e impedito, nel momento in cui i condizionamenti politici internazionali e nazionali sono venuti meno, di ritrovare
lunit e di giocare senza timidezze la partita di un bipolarismo largamente
imperfetto.
574

I L PAT T O D I R O M A

Abbiamo voluto illustrare il titolo di questo capitolo con la scheda


utilizzata per eleggere i delegati al congresso di Firenze. Forse la debolezza
del Patto di Roma si pu ritrovare anche l, in quel foglio, rappresentativo
delle dinamiche e dei pesi politici (plasticamente illustrato dal differente numero di candidati, divisi in base alladesione partitica). Laver messo da
parte la pariteticit per andare alla conta ha finito per allarmare chi, quasi
preventivamente, veniva messo in minoranza. I democristiani, ad esempio,
che, gi scarsamente convinti (De Gasperi si era lamentato con Don Sturzo
della limitata chiarezza dei patti), davanti alle percentuali uscite da quel congresso cominciarono gi a pensare al dopo, cio a un sindacato proprio.
Come, peraltro, aveva detto pubblicamente Achille Grandi.
1

Giuseppe Di Vittorio (Nic): Relazione n. 7 in Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi, commenti, inediti Fondazione Brruno Buozzi 2004, pag.193
2
Walter Tobagi: Il sindacato riformista Sugarco 1979 pagg. 114-115
3
Sergio Turone: Storia del sindacato italiano 1943/1980 Laterza 1981, pag. 83
4
Giuseppe Di Vittorio (Nic): Relazione n. 7, Ibidem pag. 193
5
Giuseppe Di Vittorio (Nic): Relazione n. 7. Ivi
6
Bruno Buozzi: Il fronte unico del lavoro Avanti! clandestino del 26 febbraio 1944, in
Giorgio Benvenuto: Il Patto di Roma Quaderni della Fondazione Bruno Buozzi 2012,
pag. 57
7
Bruno Buozzi: Il fronte unico del lavoro. Ibidem pagg. 57-8
8
Bruno Buozzi: Il fronte unico del lavoro. Ivi
9
Bruno Buozzi: Il fronte unico del lavoro. Ibidem pagg. 58-9
10
Bruno Buozzi: Il fronte unico del lavoro. Ivi
11
Bruno Buozzi: Il fronte unico del lavoro. Ivi.
12
Bruno Buozzi: Precisazioni Avanti! clandestino del 16 marzo 1944 in Giorgio Benvenuto: Il Patto di Roma Quaderni della Fondazione Bruno Buozzi 2012, pag. 60
13
Bruno Buozzi: Precisazioni . Ivi.
14
Bruno Buozzi: Precisazioni . Ivi.
15
Bruno Buozzi: Precisazioni . Ibidem pagg. 60-61
16
Bruno Buozzi: Precisazioni . Ivi
17
Sergio Turone: Storia del sindacato in Italia 1943-1980 Laterza 1981, pag. 63
18
Sergio Turone, Ibidem pag. 52
19
Sergio Turone, Ibidem pag. 67

575

I lavoratori dItalia, quando si saranno liberati dal fascismo


sapranno recuperare in fretta gli anni perduti. E di questa
parentesi umiliante nella sua violenza avranno avuto solo un beneficio

Lultima notte

Nel luogo in cui Bruno Buozzi e altri tredici antifascisti vennero trucidati dalle SS
oggi c una pietra a forma di croce con i nomi dei martiri: la smemoratezza
storica e lincuria umana non rendono lonore dovuto a quei combattenti per la libert

Era buio, quel fienile. Un buio interrotto solo da qualche passeggero bagliore. La luce del sole filtrava appena mentre il silenzio era squarciato dai rumori lontani della strada battuti dalle colonne militari che
risalivano verso il nord, camion pieni di soldati, anime perdute immerse in
un girone infernale prive anche di un Caronte capace di guidarle da qualche
parte, sicuramente in un futuro senza gloria, in un giudizio senza assoluzione, privo di alibi, popolato solo di colpevoli. Dal fienile si levavano i
lamenti. Fantasmi di uomini offesi e umiliati, sommersi e che non sarebbero
stati salvati. Stanchi, feriti, gli abiti ormai diventati cenci luridi e lisi. I volti
sanguinanti per le percosse ricevute quel giorno e nei giorni precedenti.
Nellanima solo lincertezza del dopo, della fine. Di tanto in tanto, un comando urlato in quella lingua che era stata nobile strumento di grandi letterati e che era diventata lignobile lessico della prevaricazione. Duri e allo
stesso tempo inconsapevoli anchessi del loro destino. Ma armati, terribilmente armati, pronti, come le bestie feroci, a usarle in tutte le maniere pur
di salvare la propria pelle, senza alcuna piet, senza nemmeno il pi flebile
soffio di umanit. Accanto a loro, anche voci italiane, complici in quellultimo viaggio verso una libert impossibile e una dannazione sicura. I contadini della Tenuta Grazioli osservavano a distanza, attoniti e impauriti,
incerti su quel che sarebbe accaduto. Sapevano che quelle divise non annunciavano mai nulla di buono, che avevano e avrebbero ucciso, senza motivo, rispondendo solo a un impulso o a un ordine. Sentivano i lamenti e
vivevano la piet del momento.
Sentivano di voler fare qualcosa ma erano paralizzati dal terrore
delle conseguenze. Quegli uomini armati si muovevano con larroganza
degli usurpatori e il nervosismo delle bestie braccate. Agitando le armi sulla
faccia dei contadini, chiesero cibo. Per i prigionieri (gli ostaggi, gli scudi
579

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

umani) improvvisamente folgorati dai princpi evangelici: dar da bere agli


assetati, dar da mangiare agli affamati. Non era, ovviamente, cos. La piet
umana era lunico sentimento assente in quel caos di sensazioni. Portarono
del latte e del pane. Lultimo pasto forse anche per i condannati a morte
mentre albeggiava. Dead man walking. Ma in quel fienile non cera nemmeno lalibi di uno Stato che usava la sua forza terribile chiedendo la vita
e poi attribuendo a quella richiesta definitiva limprobabile nome di giustizia. No, l cera solo la violenza cieca, gi esercitata e ora solo da completare, con lultimo atto.
Hannah Arendt lavrebbe definita la banalit del male parlando del
processo a Otto Adolf Eichmann. Davanti agli occhi di quei contadini, impauriti e interdetti, si svolgeva una scena di quel tragico teatro del banale. Il
male diventava dominio pubblico, quasi patrimonio comune in un giorno di
giugno che nessuno avrebbe mai potuto definire come tanti. Per capire cosa
sia quella banalit vale la pena rileggere quello che scriveva la Arendt nel
capitolo dedicato allimputato: Robert Servatius, avvocato di Colonia, scelto
da Eichmann come suo patrono e pagato dal governo israeliano... dichiar
in unintervista concessa alla stampa: Eichmann si sente colpevole dinanzi
a Dio, non dinanzi alla legge... La difesa avrebbe preferito dichiararlo non
colpevole perch in base al sistema giuridico del periodo nazista non aveva
fatto niente di male; perch le cose di cui era accusato non erano crimini ma
azioni di Stato, azioni che nessuno stato straniero aveva il diritto di giudicare...; e perch egli aveva il dovere di obbedire e... aveva compiuto atti per
i quali si viene decorati se si vince e si va alla forca se si perde (gi Goebbels
aveva dichiarato nel 1943: Passeremo alla storia come i pi grandi statisti
di tutti i tempi o come i pi grandi criminali)... Latteggiamento di Eichmann
era diverso... A suo avviso laccusa di omicidio era infondata: Con la liquidazione degli ebrei io non ho mai avuto a che fare; io non ho mai ucciso n
un ebreo n un non ebreo, insomma non ho mai ucciso un essere umano; n
ho mai dato lordine di uccidere un ebreo o un non ebreo: proprio non lho
mai fatto. E pi tardi, precisando meglio questa affermazione, disse: andata cos... non lho mai dovuto fare - lasciando intendere chiaramente che
avrebbe ucciso anche suo padre se qualcuno glielo avesse ordinato... Ci che
aveva fatto, lo aveva fatto e non lo negava; anzi proponeva: Impiccatemi
pubblicamente come monito per tutti gli antisemiti di questa terra. Ma questo
580

L U LT I M A N O T T E

non significava che si pentisse di qualcosa: Il pentimento roba per bambini... Eichmann non recedette mai da questa posizione. Quando si venne a
parlare del baratto proposto da Himmler nel 1944, un milione di ebrei contro
diecimila camion, e della parte che egli aveva avuto in questo piano gli chiesero: Signor testimone, discutendo con i suoi superiori Lei espresse un qualche sentimento di piet per gli ebrei e disse che bisognava cercare di
aiutarli? Ed egli rispose: Io sono sotto giuramento e devo dire la verit.
Non fu per piet che lanciai quella transazione - il che suonava molto bene
ancorch non era stato lui a lanciarla. Ma poi aggiunse e in questo fu del
tutto sincero: Queste ragioni erano le seguenti: Himmler aveva mandato un
uomo di sua fiducia a Budapest perch si occupasse dellemigrazione degli
ebrei... Orbene, la cosa che indignava Eichmann era che della faccenda
dellemigrazione si occupasse un uomo che non apparteneva alle forze di
polizia: Io dovevo collaborare alla deportazione mentre le questioni dellemigrazione, in cui mi consideravo un esperto, erano assegnate a un uomo
che era nuovo nella nostra unit... Ero stufo... Decisi di fare qualcosa per
prendere nelle mie mani i problemi dellemigrazione1.
Si uccideva per noia, per affermare una competenza, per frustrazione professionale, per soddisfare una esigenza immediata. Eccola, la banalit. Era presente in quel fienile, ammorbava laria, molto pi degli umori
cattivi che erano propri di quel luogo di lavoro. Forse nemmeno loro, gli
aguzzini, sapevano cosa li avesse spinti sino l. Sicuramente sapevano cosa
li avrebbe spinti da l.
Restarono ancora per qualche ora, nella tenuta Grazioli, sospesi tra
linutilit e il nulla. Erano arrivati a notte fonda, facendo lo slalom tra le
bombe che gli alleati sganciavano su Roma. Erano stati bloccati prima a
Ponte Milvio e poi sulla Cassia. Il camion sbuffava, arrancava, tossiva come
un uomo con i bronchi appestati dal fumo delle sigarette. La tenuta era
ampia, si stendeva tutta intorno al Castello, il Castello della Spizzichina,
riferimento allo spizzico romano, al pranzo che si trasforma in una somma
di assaggini. Oggi le coppie appena sposate celebrano la loro contingente
felicit. Allora, i tedeschi lavevano trasformata nel quartier generale da
cui guidare le operazioni che avevano ormai un solo scopo: rallentare
lavanzata degli alleati. Il camion, un rudere di fabbricazione italiana, si
ferm poco lontano dal fienile e l i prigionieri vennero ammassati.
581

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Avvolti in una sola, grande coperta: la paura. Avevano capito, i quattordici disperati, che per loro non ci sarebbe stata unaltra alba o, nel migliore dei casi, non avrebbero visto un altro tramonto perch una cosa era
sicura: solo con le tenebre i tedeschi avrebbero potuto rimettersi in marcia
con la speranza di non diventare, per gli aerei alleati, i bersagli di un tragico
luna park. Dunque, non sarebbero partiti allalba o sotto il sole splendente
ma soltanto il pomeriggio del giorno dopo, 4 giugno, con le prime ombre
della sera. Da lontano arrivava leco di altri mezzi rombanti, quelli degli
americani. Si avvicinavano alla citt, ripulendola in qualche maniera dal
terrore. Ma il terrore era ancora l, in quel fienile, in carne e ossa, sudore e
sangue. Non era finita, ma stava per finire. Il rombo di una moto sempre
pi vicino. Un altro tedesco che frettolosamente comunicava ordini. Forse
la sentenza di morte, senza processo, senza condanna. Un ordine, come
tanti. Da eseguire, come aveva fatto Eichmann in tutta la sua vita, organizzando il trasporto di ebrei, mandandoli nelle camere a gas, distruggendo
un popolo. E come Eichmann anche loro, quelle SS che con le armi in
pugno sorvegliavano i prigionieri avrebbero rispettato gli ordini e non si
sarebbero sentiti colpevoli, non si sarebbero pentiti perch anche loro, come
Eichmann erano uomini, non bambini e solo i bambini si pentono. Loro no,
dovevano portare a termine la loro missione. Quale fosse, poi, nessuno
lo sapeva, nemmeno loro lo sapevano. Un atto di guerra. Atroce. E banale.
Erano da poco passate le 17,30 del 4 giugno 1944. Il motociclista
aveva invertito il senso di marcia ed era volato via, come Mercurio ma senza
i piedi alati. A quel punto la scena cambi. Ordinarono ai prigionieri di rimettersi in piedi. Legarono nuovamente le loro mani dietro la schiena. Ma
non avevano corda sufficiente: il male banale ma spesso disorganizzato. La
cercarono in quel fienile e la trovarono vicino a una trebbiatrice. Potevano
continuare lopera. Potevano affrettare i tempi del compimento dellopera.
Con quellultimo pezzo di corda legarono le mani ancora libere. Poi incolonnarono quei quattordici fantasmi. Urlando ordini in quella loro lingua dura
che sembrava cos poco rispettosa di quella usata da connazionali come Heinrich Heine o Thomas Mann. Tutto si svolgeva sotto gli occhi di testimoni nascosti nelle grotte che circondavano la zona, occultate da cespugli. Uomini,
donne, un ragazzino di sedici anni. Assistevano a quella dolente processione
sapendo che era ormai lultimo atto di un dramma cominciato poco prima
582

L U LT I M A N O T T E

dellalba e che sarebbe finito con il sole che cominciava a declinare.


Lultima marcia. Come sarebbe finita a quel punto lo sapevano tutti,
anche il pi noto di quei quattordici prigionieri, luomo che al momento
della partenza aveva ostentato ottimismo, per farsi coraggio e per fare coraggio. Il nostro Bruno era un ottimista giacch su di lui il dubbio non aveva
presa, a tal punto che quando lo caricarono sul camion che doveva diventare
la sua bara, al compagno Bonfigli, col quale scambi le ultime parole, disse:
Non succeder niente, tutto andr bene2. Era infondato quellottimismo
e, probabilmente, lo sapeva anche lui. Al congresso della Cgil dellItalia liberata che si svolse a Napoli dal 28 gennaio al 1 febbraio 1945, Giuseppe
Di Vittorio disse: Uno dei motivi per i quali la ferocia bestiale dei nazisti
e dei fascisti italiani si era accanita con odio particolare contro Bruno
Buozzi, quando egli caduto nelle loro mani, derivato dal fatto che fra le
sue carte sono stati trovati i primi progetti che avevamo abbozzato insieme
per la realizzazione dellunit sindacale. Una tesi probabilmente infondata,
costruita soltanto per dare un senso a una vicenda senza senso.
Perch di quelle carte non mai stata trovata traccia e perch per
qualche tempo la vera identit di Buozzi rimase ignota a coloro che lo prelevarono dalla casa di viale del Re (adesso viale Trastevere) la mattina del 13
aprile 1944 (ma che, comunque, sapevano cosa cercare e come cercare).
Cerano altre carte che non furono mai trovate, quaderni come quelli che un
tempo si usavano a scuola, con la copertina nera. Ma non in quel materiale
che va cercata la motivazione di quello che stava accadendo l, a La Storta,
sotto gli occhi dei contadini che lavoravano nella tenuta Grazioli, di un giovane droghiere e di un mondo inconsapevole che avrebbe saputo solo dopo.
Quella ferocia era lespressione di quella banalit di cui avrebbe parlato la
Arendt: unesecuzione collettiva non pianificata, nata l per l, come unesigenza improvvisa, un obbligo impellente, un appuntamento a cui non si pu
dare buca? Forse. O forse no. Li misero in fila mentre uno dei prigionieri
chiedeva: Dove ci portate. A fare una passeggiata, fu la risposta irridente
di una della SS italiana rimasta sul camion (laltra era riuscita a fuggire; altre
due, invece, erano rimaste a terra, a via Tasso perch sul mezzo non cera pi
posto) . Li fecero marciare verso un boschetto, verso lOrto Acqua Paola. Poi
li fecero inginocchiare. Un colpo alla nuca e una sventagliata di mitra sui
corpi ormai senza vita, per essere sicuri di aver compiuto al meglio la loro
583

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

opera, di aver somministrato sino alla fine quella banale dose di atrocit, pi
o meno come un medico pietoso somministra le giuste dosi di un medicamento. Esattamente come alle Fosse Ardeatine. Lo tenga a mente il lettore.

25.1 Il mio compagno, Bruno Buozzi

Poi salirono sul camion. Avevano fretta perch da tre ore gli americani erano a Roma e il generale Mark Clark guardava con occhi ammirati
il colonnato di San Pietro. Quasi nello stesso luogo, a distanza di quattordici
chilometri: larmonia delle forme del Bernini e quellinsopportabile immagine di dolore e morte, quei quattordici corpi quasi riuniti in un ultimo abbraccio a cercare conforto o una salvezza impossibile. Lautista tedesco,
nella fretta, aveva premuto con troppa foga il pedale dellacceleratore per
mettere in moto il camion. E i carburatori, allepoca, si ingolfavano facilmente. I contadini che avevano assistito li aiutarono, con una spinta a rimetterlo in moto: non vedevano lora che quella banda di macellai andasse
via, portandosi dietro quellolezzo di morte che lasciava al passaggio. Quel
vecchio camion non avrebbe percorso troppa strada. I contadini diedero
una sistemata a quei corpi. Erano le 18 e la sera avrebbe cominciato ad avvolgere con il suo lenzuolo nero, nero come il colore del lutto, la fotografia
desolante di quel massacro. Il giorno dopo a La Storta arrivarono gli americani. Troppo tardi. Videro anche loro, quella scena. Li portarono allospedale Santo Spirito per il riconoscimento.
Lumidit della notte, lesposizione alle intemperie, li aveva trasformati. I volti pi gonfi. Bruno Buozzi venne riconosciuto per il suo cappotto
scuro e per un dettaglio: un fagottello di biancheria infilato nella tasca
sinistra del soprabito al momento dellabbandono del carcere di via Tasso
per quel suo ultimo viaggio. In cinquantadue giorni si era consumato il suo
martirio, in quella campagna anonima, dove oggi sorgono villette a schiera.
rimasta una croce di pietra, oscurata dal disinteresse degli uomini,
troppo occupati a inseguire desideri e ambizioni, poco solleciti a preservare
la memoria. Quella frase, demmo la vita per la libert, a tanti deve apparire banale, esattamente come la violenza che tolse la vita a quattordici persone; banale perch quel che ci gira attorno finisce per apparire, nella sua
normalit, qualcosa che ci dato a prescindere dai nostri atti e dai nostri
comportamenti: non dobbiamo conquistarci nulla, non dobbiamo meritarci
584

L U LT I M A N O T T E

nulla; tutto ci dovuto, come laria che respiriamo. Ed esattamente come


laria che respiriamo, anche la libert l apprezzi pienamente soltanto
quando lhai perduta. Lo disse Pietro Calamandrei, vale ancora oggi. Il tutto
accentuato dal bisogno di dimenticare, di voltare pagina, semmai anche di
rassicurare e rassicurarci. Un modo per raccontarci: quella ferocia era di
altri, non ci apparteneva. Italiani, come sempre, brava gente. Eppure su
quel camion qualche connazionale cera e non come prigioniero, anzi come
ostaggio, ma in veste di carnefice, volenteroso carnefice.
Quella ferocia apparteneva anche a noi o a qualcuno di noi. Se cos
non fosse non si riuscirebbe a capire il senso di quel bigliettino anonimo
fatto pervenire a Marcella Monaco, nel palazzo di via Lucullo che oggi
ospita la Uil e che a quei tempi era la sede provvisoria del Psiup. Marcella
Monaco e il marito Alfredo svolsero un ruolo decisivo durante la guerra di
liberazione. Lei faceva la staffetta partigiana e organizzava il trasporto delle
armi. Ma aveva casa in via della Lungara, allinterno di Regina Coeli perch
Alfredo era il medico del carcere e l ospitavano i partigiani. Furono deter-

I corpi delle vittime de La Storta (in primo piano Buozzi) allospedale Santo Spirito

585

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

minanti nellevasione il 24 gennaio del 1944 di Sandro Pertini, Giuseppe


Saragat, Luigi Allori, Luigi Andreoni, Carlo Bracco, Ulisse Ducci e Torquato Lunedei, tutti condannati a morte. Il piano era stato messo a punto
da Giuliano Vassalli (anche lui ospite di via Tasso negli ultimi giorni di
occupazione nazista) e Peppino Gracceva. Furono aiutati da Massimo Severo Giannini e Ugo Gala che trovarono complici efficientissimi allinterno
del penitenziario nei coniugi Monaco e in Filippo Lupis.
Quel bigliettino anonimo venne consegnato trentanni fa da Marcella Monaco ad Aldo Forbice. A scriverlo, una SS italiana pentita. Diceva:
Sono stato al servizio delle SS e vi conobbi quando voi e parecchi altri,
compresi Buozzi, Bracco, Doddi, Baracco e molti altri, andando via i tedeschi da Roma, anchio partii con loro per potermi lavare di tutte le malefatte
ed in questa partenza conobbi altri disgraziati. Ma strada facendo, i tedeschi
parlavano che al pi presto volevano sbarazzarsi di tutti. Io non potei pi
sopportare questa carneficina ed al momento buono scappai. Iddio voglia
che i poveri deportati siano ancora salvi: cercate di perlustrare le zone
Storta-Daccamo-Campagnano-Monterosi-Nepi-Sutri e se caso mai qui
non trovate nulla, cercate nel Cimino. Andate armati, non fidatevi dei carabinieri e siate in molti. Fate subito... Ho saputo del vostro nome da un tale
che ha una sorella che si chiama Marcella. Caso mai arrivaste in tempo, io
mi far poi vedere. Il tale altri non era che il fratello di Marcella Monaco,
Luciano Ficca che, tra laltro, ebbe un ruolo nella liberazione di Pertini e
Saragat e che, ospite a via Tasso, venne fatto salire su un camion partito
prima di quello che accompagn Buozzi nellultimo viaggio. Via Tasso
oggi un museo e una strada stretta nel traffico caotico delle vie di maggiore scorrimento come via Merulana, via Labicana, viale Manzoni. Nei
giorni delloccupazione nazista, dall11 settembre del 1943 al 4 giugno
1944, fu la sede della fiera degli orrori, il carcere del Comando della Polizia di Sicurezza, il quartier generale della Gestapo. Bruno Buozzi era finito l, immediatamente dopo larresto. Cella numero 6 e poi, negli ultimi
giorni, il 2 giugno, era stato trasferito al piano terra.
Quella cella lha descritta un prigioniero, compagno di sventura di
Buozzi, calabrese di Tropea, arrestato perch renitente alla leva. Aveva redatto un diario che, in forma anonima, poi sped alla vedova del leader sindacale. Raccontava di una cella troppo piccola per alloggiare sette persone.
586

L U LT I M A N O T T E

Le sue dimensioni possono essere presso a poco di m. 3.30 per 2,30. In permanenza ci illumina una lampadina elettrica la cui luce dopo pochi giorni,
mi d, come del resto anche agli altri, molto disturbo alla vista. A disposizione
si ha una copertina con abbastanza insetti (pidocchi grossi in specie). Ci si
deve sdraiare sul duro pavimento, e quasi spesso a ridosso luno dellaltro.
Alla notte si soffre abbastanza per la poca aerazione della cella, tanto che al
mattino ognuno di noi nota del gonfiore alla gola... Bruno Buozzi Tra i miei
compagni di cella, uno in particolar modo aveva destato in me sin dal primo
giorno una certa attenzione per il suo modo di parlare e il suo atteggiamento
che sembrava nervosissimo ma che, invece, col tempo, notai che si trattava
di carattere abituale. Era questi un esemplare uomo, dallet di circa 62 anni,
alto, dallaspetto vigoroso e dal pensiero profondo in ogni discussione. Un
giorno, ricordo, vengo spinto dalla curiosit di domandargli la sua professione
nella vita civile. A tale domanda ricevo ampia soddisfazione con un riepilogo
della sua vita. Si trattava di un uomo veramente eccezionale, nato da umili
genitori e con un grande ideale per il quale, direi quasi senza che si fosse avveduto, la sua vita venne spezzata dalla rabbia teutonica, alimentata da quella
del nefasto fascismo. Questuomo, chio conoscevo dapprima sotto il nome
di Alberti (era il cognome annotato sui documenti falsi, consegnati anche alle
SS che si erano presentate alla sua porta linfausta mattina del 13 aprile
1944), non era altro che il grande Bruno Buozzi, tre volte deputato nella sua
carriera politica... Era per noi, suoi compagni di cella, come un padre, talch
lo chiamavamo pap. Fu, fino allultimo giorno, a noi di conforto e di incoraggiamento. Sempre allegro, indifferente ai maltrattamenti delle guardie tedesche, il suo pensiero di tanto in tanto alla sua diletta e desolata moglie,
nascosta anche lei sotto falso nome a Roma, quando alle sue due figlie in
Francia, quando a noi, cercando col racconto di interessanti episodi della
sua vita di rompere la monotonia e la tristezza che spesso ci assaliva4.
Via Tasso era un girone infernale, il nefasto regno delloberstumfuehrer, Herbert Kappler, capo della Gestapo e delle SS del Lazio. Un personaggio che nel museo degli orrori della storia europea occupa un posto
privilegiato. Subito dopo il 25 luglio, cattur Galeazzo Ciano, genero di
Mussolini, uno di quelli che vot a favore dellOrdine del Giorno presentato
da Dino Grandi nella seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943 e che
pag questa adesione con la vita (venne condannato a morte e fucilato).
587

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Quindi, su ordine di Himmler, pianific la liberazione di Mussolini, comunque dopo aver fatto sapere al suo superiore che il fascismo era ormai
un cadavere politico. Ai cadaveri veri, invece, provvide lui, intervallando
a questa attivit di aguzzino, quella da predone. Sped, ad esempio, in Germania tutte le riserve auree italiane, 120 tonnellate. Poi, domenica 26 settembre convoc il rabbino e il presidente delle comunit israelitiche di
Roma (Fo e Almansi) chiedendo la consegna di cinquanta chili doro per
non scatenare una tempesta repressiva sugli ebrei. Ottenne quel che aveva
chiesto ma poi il 16 ottobre ordin il rastrellamento di 1.259 membri della
comunit e 1023 vennero spediti ad Auschwitz. Solo in sedici tornarono
dal campo di sterminio, quindici uomini e una donna.
Quindi, in seguito allattentato di via Rasella, ordin leccidio delle
Fosse Ardeatine (335 morti). Infine, per piegare la resistenza che aveva la
sua roccaforte nelle periferie romane, pianific il rastrellamento del Quadraro: mille uomini furono mandati nei campi di concentramento tedeschi e
polacchi, solo la met di loro fece ritorno nella Capitale. Via Tasso era il suo
Regno del Male. La tortura era la pratica ordinaria per estorcere confessioni
e informazioni. Torture quotidiane e quando il prigioniero non era pi in
grado di sopportarle veniva spedito a Forte Bravetta per ricevere lultima
pallottola (il 3 giugno, come raccontano le cronache, alla vigilia dellarrivo
a Roma degli Alleati, il plotone di esecuzione fece gli straordinari). Quel
fortino nel centro di Roma, vicinissimo a San Giovanni in Laterano dove
Mussolini e il segretario di Stato, Pietro Gasparri, avevano firmato i famosi
Patti che sostituirono la legge delle Guarentigie, ma nemmeno troppo lontano dal Colosseo, doveva essere inviolabile. Soprattutto per chi veniva l
imprigionato. Finestre piccolissime, mura insuperabili. Per i prigionieri, ridotti al minimo tanto laria quanto il rancio (scriveva sempre lignoto calabrese: Ci veniva distribuito ogni 24 ore, verso le 12,30-13 di tutti i giorni,
e consisteva in una minestra, alquanto brodosa, di torsi di verdura con delle
risaglie molto cotte tanto da sembrare della vera colla, talmente era essa appiccicosa al palato. Aveva un odore caratteristico di cloro quella brodaglia.
Anche il pane, due pagnotte militari, quasi sempre raffermo e qualche volta
ammuffito, aveva una puzza di petrolio. Nello spazio di pochi minuti divoravamo come lupi famelici quel poco cibo che ci veniva somministrato... Buozzi,
ben osservando tale nostra insopportabile tortura, si privava della sua ra588

L U LT I M A N O T T E

zione di pane per dividerla in parte a noi, suoi compagni di cella5).


Di abbondante cerano solo le torture. Raccontava ancora il compagno di cella di Buozzi: Lincubo che era in noi tutti in quel cellulario
trovava la sua giustificazione negli orribili avvenimenti cui giornalmente ci
capitava di assistere, come prelevamenti di compagni per essere fucilati o
sottoposti alle pi tremende torture..., malattie di compagni, maltrattamenti
continui durante il giorno, ingiurie, ecc. Lincubo di cui sopra raggiungeva il massimo nella notte, quando cio si udiva il battito dei tasti della
macchina da scrivere. Era quello, infatti, per esperienza acquisita, il segno
della destinazione a morte di parecchi di noi. Avremmo tanto desiderato ci
fossimo trovati distante da quellinfame ufficio dove, alla sera, di solito si
usava registrare i nominativi gi destinati a morte per giudizio dei famosi
comandanti della Gestapo. Tra questi spiccavano per le loro infami azioni,
il col. (colonnello, n.d.a.) Kappler e il cap. (capitano, n.d.a.) Schulz. Inutile
immaginare di poter essere curati, anzi era meglio, molto meglio dar prova
di essere in buona salute perch i malati venivano aiutati a non soffrire
pi nel senso che veniva accelerata la loro dipartita (si legge sempre nel
diario del prigioniero calabrese a proposito di Buozzi: A rendere veramente
meritevole lappellativo di martire a questo insigne ed esemplare uomo, cito
il seguente particolare. Gli ultimi giorni della deportazione in Germania o
in chi sa quale altra localit, questo uomo soffr nel vero senso della parola
per disturbi dipendenti da un inconveniente a cui da tempo era soggetto e
gli causarono una forte emorragia di sangue. L dentro esisteva un medico,
un barese, ma questi era piuttosto per affrettare la fine dei pazienti che guarirli. Di ci il compianto Bruno Buozzi era pi che convinto; pertanto non
chiedeva che di andare a fare semplicemente un po di pulizia . Ma anche
questo gli veniva rifiutato. Solo al mattino, cos come del resto era concesso
a tutti, egli poteva soddisfare tale suo bisogno6).
Poi, con gli Alleati alle porte, via Tasso, con tutti i suoi lugubri e
inconfessabili segreti, doveva essere smantellato, evacuato, liberato da quei
fantasmi che potevano concludere la propria parabola solo a Forte Bravetta o in qualche campo di concentramento in Germania o in Polonia. Doveva essere liberato dalle carte compromettenti (una parte di quelle di Erich
Priebke viaggi su quellultimo camion). Il 3 giugno, per, bisognava fare
in fretta, non si potevano pianificare quei trasferimenti a cui, ad esempio,
589

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

si dedicava, per quanto riguardava gli ebrei, proprio Eichmann. Si cominci


sul far della sera, intorno alle 20, si fin a notte fonda. Dovevano partire in
centocinquanta ma non cerano mezzi sufficienti. Andarono via in centoventi (contabilit illustrata da Kappler nel corso del processo per leccidio
delle Fosse Ardeatine); meno di una ottantina, secondo altri. Quelle ore
convulse, in cui la paura prevaleva sulla speranza, lo racconta proprio lanonimo compagno di prigionia di Bruno Buozzi: Verso le ore 18 circa, irrompono nella nostra celle delle guardie le quali, con concitatissimo
parlare, ci prevengono di prepararci perch quella sera ci si doveva spostare
per altra localit. Lo schianto fu per noi indicibile, ma oramai si era rassegnati persino alla morte. Unora circa la nostra cella viene aperta e sento
gridare il nome mio e quello di Talusi. In fretta ci congediamo dai compagni
di cella che rimanevano, dandoci lultimo abbraccio. Usciti che fummo trovammo le scale ingombre di altri detenuti. A questi ci accodammo. Al piano
terreno sostammo circa unoretta, nel mentre le guardie tedesche provvedevano a consegnare ad ognuno di noi un sacchetto bianco con dentro
quanto ci era stato tolto. Nel sacchetto si notavano mancanti denaro, anello,
orologio e quanto altro poteva essere di valore. Erano circa le 20 e 30
quando fummo fatti uscire uno dietro laltro dal portone per salire su un autopullman dislocato di fronte alluscita centrale. Appena 22 fummo rinchiusi
su quellauto che gi si spostava in avanti per far largo allaltro automezzo
che avrebbe dovuto seguitare a compiere la medesima operazione. Complessivamente 4 autopullman con 80 detenuti. Eravamo scrupolosamente
scortati, almeno nella nostra auto: due tedeschi stavano con i mitra a portata di mano lungo il corridoio, due altri davanti al posto del conducente e
ancora altri due dietro. Le tendine stavano abbassate, solo si vedeva qualcosa dal davanti. Alluscita da quel lugubre palazzo, prima di salire sullauto, notai gente assiepata ai lati contenuta da staccionate. Contro quella
gente stavano in postazione delle mitragliatrici, nelleventualit del bisogno.
Ci fu qualche donna che, non riuscendo a rassegnarsi alla vista del proprio
marito o parente che partiva per chiss quale luogo, si lanci oltre la staccionata per riuscire ad abbracciare, forse per lultima volta, il proprio congiunto. Ci che fu loro consentito, sebbene dopo non lievi difficolt7.
Angoscia, paura, qualche barlume di speranza. Perch molti furono
portati via (meno di quanti i tedeschi avrebbero voluto) ma alcuni furono,
590

L U LT I M A N O T T E

alla fine, anche liberati (Vassalli ad esempio), dopo la partenza dei nazisti
da via Tasso. Alcuni di quegli uomini sfuggiti al peggio, li incontr Pietro
Nenni che annotava: Sono pallidi, sconvolti, alcuni a brandelli. Ho chiesto
subito di Bruno Buozzi. Un giovane mi assicura che partito ieri, con un
gruppo di settantacinque detenuti, di cui cinquanta avviati in Germania per il
servizio del lavoro e venticinque a Verona a disposizione del tribunale speciale.
Bruno fra questi ultimi. Cos lultima speranza di vederlo libero svanita.

25.2 La battaglia di Ornella, Iole e Gilles

Le quarantotto ore che precedono la morte del leader sindacale


sono caotiche, convulse. E molti interrogativi non troveranno mai soluzione. Chi decise lesecuzione? Quel motociclista che intercett il convoglio a La Storta portava quellordine? Perch furono uccisi? Era quello sin
dallinizio il loro destino? Non sembra reggere la tesi pure adombrata da
Di Vittorio di una esecuzione legata allattivit di Buozzi. La rivelazione
dellidentit, il leader sindacale la fece solo dopo essere stato interrogato.
Probabilmente, i nazisti immaginavano che si trattasse di una personalit
di spicco dellantifascismo e alla fine ebbero la conferma dal diretto interessato. Anche i compagni di cella conobbero successivamente lidentit
vera di Buozzi: provvide direttamente lui a comunicarla. Non serviva pi
a nulla, a quel punto, continuare a sostenere la parte dellingegner Mario
Alberti, sfollato salernitano. In quella cella numero 6, Buozzi si ritrov
accanto un altro combattente antifascista, quel Filippo Lupis che aveva collaborato alla liberazione di Pertini e Saragat da Regina Coeli. Dopo la Liberazione, raccont quellincontro in un articolo che apparve sull
Avanti!: Entr in prigione di notte. Langusta cella del secondo piano
dove eravamo rinchiusi in sette, senza pagliericci, nuda terra, con le finestre
murate, era rischiarata dalla tenue luce di una piccola lampada. Dai nostri
giacigli sul nudo pavimento sollevammo il capo per osservare il nostro nuovo
ospite. Egli ci apparve sorridente e ci venne incontro come un vecchio amico.
A me venne da esclamare: Questo buon uomo non sa davvero in quale infernale bolgia sceso!8 In realt sapeva benissimo dove era finito. Certo,
quel carattere pieno di ottimismo che gli attribuiva Nenni, lo convinceva
che alla fine tutto si sarebbe risolto per il meglio. Tra laltro, dalla bolgia
infernale di via Tasso in quei primi giorni di giugno si avvertivano i rumori
591

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

che precedono larrivo di unarmata. E la concitazione dei tedeschi era la


testimonianza che qualcosa, fuori, stava accadendo. Si era anche diffusa,
fra le celle di via Tasso, la voce di una azione dei partigiani per liberare i
prigionieri. Ma era soprattutto lavanzata degli americani che lasciava presagire una evoluzione positiva della guerra.
Certo, gli uomini reclusi a via Tasso non sapevano quanto fosse vicina larmata americana. Non sapevano che la sera del 2 giugno, Radio
Anzio aveva trasmesso la comunicazione pi attesa, evocando un animale
che certo non si incrocia per le vie di Roma: Elefante. Era quella la parola
dordine che annunciava larrivo a Roma degli Alleati. E poco prima era
arrivato un altro messaggio: Anna Maria est promossa, il segnale ai partigiani di tagliare le vie di fuga alle truppe di Kesserling. A quel punto, le
strade di Roma e le grandi vie consolari che portavano al Nord cominciarono a riempirsi di mezzi militari tedeschi. La grande fuga tanto attesa era
cominciata. AllOpera di Roma la sera del 3 giugno Beniamino Gigli interpretava il ballo in maschera. In platea anche il generale Maeltzer, obbligato da Kesserling a farsi vedere in giro per dare ai romani limpressione
che tutto procedeva come al solito. Ma non era cos.
Kappler preparava levacuazione del carcere di via Tasso. Coprendosi la fuga con un robusto carico di ostaggi. La paura allinterno della
prigione, si legava alle paure che allesterno attraversavano le menti e i
cuori delle mogli, dei figli, dei parenti, degli amici di chi era l dentro, alla
merc di un uomo spietato come il capo delle SS. Il 2 giugno, Nenni annotava sul suo diario: Passata la sera al L. (Laterano, n.d.a.) dove ero venuto
per vedere con B. (Bonomi, n.d.a.) quel che si pu fare per i nostri detenuti.
Ce ne sono novecento a Regina Coeli e duecentodieci in via Tasso. Sembra
che per otto soltanto ci sia lordine di partenza per il nord e fra questi figura,
Bruno Buozzi. Confesso che sono quasi pi inquieto per quelli che restano
che per quelli che partono. difficile immaginare un finale idilliaco, senza
lotta e senza eccidi, anzi coi detenuti abbandonati alla loro sorte, che sarebbe una lieta sorte. Daltra parte non si vede bene cosa si pu fare9.
Le previsioni di Nenni erano giuste a met. La limitata inquietudine
per quelli che partivano aveva il carattere di un convincimento ottimistico
visto il successivo epilogo. La profezia degli eccidi, invece, doveva trovare
una conferma puntuale a La Storta. I tedeschi avevano fretta e, soprattutto,
592

L U LT I M A N O T T E

paura perch loccupazione di Roma nascondeva inconfessabili segreti per


i quali la storia, come aveva detto lo stesso Goebbels, li avrebbe bollati con
lindelebile marchio di grandi criminali e non certo di grandi statisti.
Raccontava in quei giorni Il Messaggero: Se pure non si vuol
dare alla ritirata tedesca al di l del Tevere la fisionomia di una rotta certo
che la marcia di ripiegamento del nemico si sta svolgendo tra lincalzare delle
forze alleate allinseguimento, senza la protezione della Luftwaffe che si pu
dire ormai scomparsa dai cieli dellItalia Centrale tra i continui attacchi delle
formazioni aeree anglo-americane. Kesserling non ha larga possibilit di
scelta sulle direttive di ritirata. Perdute con la Casilina le vie che a questa si
innestavano per defluire verso la Tiburtina nella zona di Avezzano, le sconfitte
divisioni tedesche hanno soltanto tre strade che portano a nord verso eventuali
linee di attestamento e di resistenza. Esse sono: lAurelia, che si svolge lungo
la costa tirrena e che pertanto una via di ritirata assai malsicura, perch
soggetta anche agli attacchi di mare; la Cassia che porta verso Viterbo e infine
la Flaminia che risale verso Terni e che dopo questa citt offre una deviazione
in direzione dellAlta Umbria e della Toscana. Su queste tre strade si sono ingaggiate le forze di Kesserling, assumendo la forma di tre interminabili fila
di uomini e di mezzi che offrono facile e largo bersaglio ai bombardieri e alla
caccia aerea e che pertanto nei 50 o 60 chilometri fin qui percorsi oltre Roma
hanno gi subito e vanno subendo sensibilissime perdite10.
forse in questa cronaca una parte delle risposte ai tanti perch che
ancora oggi, a settantanni di distanza, circondano quellultimo viaggio di
Bruno Buozzi terminato a quattordici chilometri dal centro di Roma. Coprirsi la fuga, utilizzare i prigionieri come scudi umani, una tecnica vecchia che diventata consueta negli ultimi anni attraverso conflitti come
quello balcanico. Limpaccio di un carico troppo ingombrante e di un camion troppo inaffidabile. La sera del 3 giugno, davanti al carcere di via
Tasso, quattro automezzi vennero parcheggiati. Il piano prevedeva di portar
via centosessanta prigionieri, quasi tutti, cio, ma non tutti (in quelle celle
ve nerano oltre duecento, come annotava Nenni). In realt, per, quei quattro camion furono in grado di trasportarne non pi di centoventi (secondo
Kappler; ottanta secondo altri) e la famosa lista messa a punto dagli aguzzini nazisti venne ridimensionata. I primi tre partirono quasi senza particolari problemi. Nel terzo cera Luciano Ficca, fratello di Marcella e cognato
593

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

di Alfredo Monaco, e quella SS italiana che aveva deciso di chiudere (forse


per motivazioni utilitaristiche) con quella mattanza e aveva spedito il biglietto ai socialisti (nella speranza di poter ricavare qualche beneficio nel
momento del giudizio). Ficca avrebbe raccontato, molti anni pi tardi ad
Aldo Forbice: Quella sera a via Tasso ci fecero scendere al piano terreno
in fila indiana, e ci dissero che ci avrebbero trasferiti al nord. Noi pensavamo che intendessero inviarci a Verona per consegnarci ai repubblichini
per un processo sommario. Buozzi venne assegnato al quarto camion. E
nacquero i problemi perch i posti non erano sufficienti e in due si salvarono proprio per quellaffollamento eccessivo di passeggeri. I prigionieri
provarono ad approfittare di quella situazione ritardando il pi possibile le
operazioni di carico. Provarono anche a far scivolare nelle retrovie Bruno
Buozzi che, al contrario, anche per dare coraggio ai compagni, sal sullautomezzo e si and a sistemare sul fondo. E cos quando due passeggeri vennero fatti scendere per fare posto a due SS, lui risult troppo lontano per
approfittare delloccasione che il caso aveva concesso.
Il racconto di quei terribili minuti ce lo ha lasciato lavvocato Vittorio Bonfigli, uno di quelli che si salv proprio per la penuria di posti sul
camion delleccidio de La Storta. Ha scritto: La notte del 3-4 giugno 1944
non sar dimenticata in nessuno dei suoi istanti da chi la trascorse nel vasto
casamento di via Tasso, di cui le scatole novecentesche, le cucine e persino
i ripostigli, con le finestre murate, erano celle per sei, per otto prigionieri.
Le notizie vietate si erano insinuate giornalmente con i quotidiani arrivi...
Gli americani sono alle porte di Roma: i tedeschi si preparano a sgomberare. E noi? Un certo numero di prigionieri viene sottoposto a visita medica
e munito di documenti per lassegnazione al lavoro obbligatorio. Al buio
partono... Poi altri sono avvertiti di tenersi pronti a partire. Non per il lavoro; per dove? Impossibile precisare lora in cui si fa lappello dei nuovi
partenti, che si avviano verso la scala e vengono allineati lungo la ringhiera.
Bruno Buozzi fra loro... Ma intanto, dallalto un lurco (il termine, estremamente dotto, risale a Dante che lo utilizz per qualificare i tedeschi piuttosto beoni e pertanto dalle dimensioni fisiche abbondanti, n.d.a.) andava
scendendo lentamente con un mazzo di funicelle bianche e sottili accavallato
ad un braccio: ad uno ad uno legava strettamente ai prigionieri i polsi dietro
alla schiena. Bruno aveva in mano un fagottello di biancheria: si guard
594

L U LT I M A N O T T E

attorno per cercare dove posarlo; poi lo infil a forza nella tasca sinistra
del soprabito e incroci le braccia a tergo11.
Sar quel fagottello nella tasca sinistra che consentir lidentificazione del suo corpo. Continuava il racconto: Uscirono allaperto nel fondo
della notte. Un camion attendeva: ma uno solo, e troppo piccolo per 37 persone. Come la vita di un uomo a volte legata ad un filo! Il compagno intu
che una parte del gruppo sarebbe rimasta a terra. Un soldato altoatesino
gli conferm che non si avevano sul momento altre macchine. Con gli americani alle porte di Roma, ritardare la partenza poteva significare la salvezza: e si ferm, cominci ad arretrare piano piano, mentre alcuni salivano,
tenendo Buozzi dietro di s. Poi fu spinto avanti, caricato di peso e si accasci subito allangolo sinistro contro lo sportellone. Dopo di lui fu messo
dentro Bruno Buozzi che, invece, avanz nel fondo. Quando il camion fu sovraccarico e non pot trovarvi posto la scorta, sicch due prigionieri dovettero essere rimessi a terra, il compagno (vicino al portellone, n.d.a.) pot
trovare la via di scampo; Buozzi era troppo allinterno e rimase.
Prima di salire sul camion per quellultimo viaggio, alcuni lasciarono dei messaggi sui muri di via Tasso. Ad esempio, Alfio Brandimarte,
ingegnere elettronico, che a via Tasso era finito perch realizzava collegamenti radiotelegrafici per mettere in contatto i combattenti italiani e gli alleati. Scriveva nella cella numero 13: Pregasi avvertire la famiglia
Brandimarte, via Livorno 36, tel. 852214, che Alfio partito per il Nord il
3-VI-44, baci a Bianca, pap e mamma. Al capitano Enrico Sorrentino
erano legati un paio di messaggi sul muro della cella numero 2. Il primo di
denuncia: Mi risulta che alla sede centrale dellO.S.S. c un traditore collegato radio col nemico. E.. Laltro del suo compagno di detenzione, Arrigo Paladini: 3 giugno sera. Enrico partito per il nord salvo, per me vita
o morte. Non fu proprio cos perch la vita di Sorrentino si concluse, tra
cespugli e rovi, a La Storta. Quel camion, uno Spa 38 di fabbricazione italiana, piuttosto male in arnese, part da via Tasso a notte fonda. Risal da
via Labicana, costeggi il Colosseo, tir dritto per i Fori Imperiali (allepoca chiamata via dellImpero), pass per Piazza Venezia e imbocc
Corso Umberto cio via del Corso, attravers piazza del Popolo, piazzale
Flaminio, si avvi verso via Flaminia, tocc ponte Milvio dove si blocc
per i bombardamenti; si rimise in cammino a velocit sempre pi ridotta
595

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

per via del traffico causato dai tedeschi in fuga, imbocc la Cassia verso il
nord e qui venne bloccato di nuovo dalle bombe americane.
La Reuter, nel frattempo, diramava la notizia che Bruno Buozzi era
stato spedito al Nord. Con Buozzi, Brandimarte e Sorrentino cerano anche
il tenente Eugenio Arrighi, lingegnere Frejdrik Borian (i compagni partigiani socialisti lo conoscevano con il nome di battaglia di Raffaele, lo avevano preso dopo lattentato di via Rasella, Giuliano Vassalli lo defin pi
di un fratello), il professore Luigi Castellani, il ragioniere Vincenzo Conversi, il meccanico Libero De Angelis, appena ventiduenne, lingegnere
Edmondo Di Pillo, il generale Piero Dodi, lavvocato Lino Eramo, consulente legale del Messaggero che lo ricord come il nostro amico caro,
il nostro compagno fedele, il nostro collaboratore di tutti i momenti, il tipografo Alberto Pennacchi, linsegnante Saverio Tunetti e l inglese sconosciuto la cui identit stata svelata soltanto sette anni fa. Era lungherese
Gabor Adler, cio il capitano John Armstrong poich prestava servizio nel
Soe, il braccio operativo dei servizi segreti inglesi. Quel camion, arrancando
a passo lentissimo, arriv dalle parti de La Storta quasi allalba del 4 giugno. Abbandon improvvisamente la strada e si inerpic per 7-800 metri
in una stradina di campagna fermandosi davanti al fienile della tenuta Grazioli. Il dramma si sarebbe consumato l, in poco pi di dodici ore. Eppure,
sul caso Bruno Buozzi restano gli interrogativi che riguardano non tanto
quellepilogo, in qualche maniera prevedibile in quel clima da atto finale,
quanto il prima, cio larresto, e il durante, cio la permanenza a via Tasso
e i tentativi falliti per ottenerne la liberazione.
Riguardano anche lidentit di coloro che armarono le mani degli
assassini, ovviamente. Solo un misto di ferocia e casualit? Una precisa
volont? Il riflesso condizionato di chi considerava la morte lunica via di
fuga da lasciare al proprio nemico? Lindifferenza di chi aveva calpestato
in quella guerra spietata tutte le regole di umanit? Un dato storico appare
certo anche perch confermato da Kappler nel processo per leccidio delle
Fosse Ardeatine: Mussolini voleva Buozzi a Sal. Non si trattava di un
gesto di piet o di bont. Solo che ancora una volta voleva provare a coinvolgerlo nei suoi disperati progetti politici. Li aveva illustrati nella Carta
di Verona messa a punto il 14 novembre dellanno prima: In ogni azienda
(industriale, privata, parastatale e statale) le rappresentanze dei tecnici e
596

L U LT I M A N O T T E

degli operai coopereranno intimamente attraverso una conoscenza diretta


sulla gestione allequa formazione dei salari, nonch allequa ripartizione
degli utili tra il fondo di riserva e la partecipazione agli utili per parte dei
lavoratori. In alcune imprese ci potr avvenire con una estensione delle
prerogative delle attuali commissioni di fabbrica. In altre sostituendo i Consigli di amministrazione con i consigli di gestione composti da tecnici e da
operai con un rappresentante dello Stato. Le altre ancora in forma di cooperative parasindacali. Pensava, il duce, che in questa maniera avrebbe
recuperato il consenso tra gli operai; pensava che il leader della CGdL, seppur non convertendosi al suo progetto politico, avrebbe comunque accettato
di realizzare qualcosa di molto simile a quel controllo sulla produzione che
aveva caratterizzato la vertenza culminata con loccupazione delle fabbriche. Kappler stesso aveva dato lordine di mandare quei prigionieri al Nord,
facendo tappa a Firenze.
Iole Buozzi ha raccontato che apprese la notizia delluccisione del
padre a Parigi, ascoltando la radio Vaticana. A sua madre, che aveva trovato
nei mesi delloccupazione nazista, rifugio in un convento, gliela diedero i
compagni di partito, gli stessi che avevano, nei giorni immediatamente successivi allarresto, provato ad attutire il dolore della donna diluendolo con
una bugia (Bruno partito in missione per il Sud). Le sorelle Buozzi la
verit hanno continuato a cercarla, anche stimolate dalle dichiarazioni ambigue del maggiore delle SS, Karl Hass, uno dei responsabili della strage
delle Fosse Ardeatine. Anche in occasione del processo a Priebke, nel 1996.
La vicenda, insomma, ha assunto le caratteristiche di un giallo giudiziario
ed editoriale. Quello editoriale era legato al libro di Cesare De Simone
pubblicato da Mursia nel 1997: Roma citt prigioniera. Per lautore non
cerano dubbi: lordine era partito da Priebke. Una accusa, per, che non
trov conferme e lex capitano delle SS, sentendosi diffamato, denunci
De Simone ottenendo, nel 2003, addirittura il sequestro del libro e un risarcimento di venti milioni di lire, poi annullato dalle sentenze della Corte
dAppello del 2005 e, in maniera definitiva, nel 2010, della Cassazione.
Le ipotesi si sono intrecciate, chiamando in causa personaggi secondari diventati tristemente primari, come Hans Kahrau e Pustowka. Il
primo era il responsabile di quel viaggio verso la morte. Kahrau era un
signore sessantenne, dal fisico ormai malaticcio ma dalla spietatezza cri597

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

stallina. Alleccidio delle Fosse Ardeatine aveva partecipato in maniera


molto attiva, tanto attiva che poi replic la tecnica a La Storta. Lo stesso
maggiore Hass sembra il personaggio di un libro giallo: una specie di
fantasma sfuggito alla giustizia degli uomini mettendosi al servizio degli
americani contro il pericolo comunista, spacciandosi per morto attraverso una falsa documentazione, infine riemergendo alla vita anche per accusare Priebke (trasversalmente) delleccidio de La Storta (prima si
dichiar disponibile a confermare tutto in tribunale ma poi prefer dimenticare limpegno). Alcuni hanno sostenuto che il capitano delle Ss quel
giorno fosse proprio accanto a Kahrau e Pustowka nel momento in cui si
faceva fuoco contro i quattordici prigionieri. Luomo che stato accompagnato nella tomba dal marchio dinfamia delle Fosse Ardeatine, ha a sua
volta sostenuto che in quei giorni era a Dachau per interrogare il nipote di
Badoglio, Mario. Ma per decidere un eccidio non era necessario essere sul
posto tanto vero che stata affacciata unaltra ipotesi: quella, appunto, di
un ordine arrivato attraverso la staffetta che in moto aveva raggiunto il camion. I giudici hanno, per, creduto a Priebke tanto vero che il procuratore militare, Antonino Intelisano, chiese e ottenne nel 1998, dal Giudice
per le Indagini Preliminari, larchiviazione scatenando lira di Massimo Severo Giannini per il quale, invece, bisognava rinviare a giudizio il capitano
delle SS in quanto gli autori della denuncia avevano dimostrato che, al contrario, il 3 giugno del 1944 luomo era proprio a via Tasso.
Sulle rivelazioni di Hass fecero leva anche le figlie di Bruno Buozzi,
svelando al contempo nella denuncia che la somma pattuita e versata a Kappler (tramite la sua amante, la croata Ursula Burger) per ottenere la liberazione del padre fu di un milione di lire dellepoca (settantacinquemila euro
circa attuali), cio una vera e propria fortuna. E Gilles Martinet, il marito
di Iole, in un paio di interviste a la Repubblica a al Corriere della Sera
del 7 agosto del 1996 disse senza mezzi termini: Priebke si scaricato
delle sue responsabilit sulle Fosse Ardeatine dicendo di aver eseguito ordini superiori ma nel caso di Buozzi e di altri tredici prigionieri uccisi a La
Storta questa tesi non regge. Lordine emanato dallalto comando era di
trasferire i prigionieri nel Nord dellItalia e alcuni di loro erano gi partiti.
La sera del 3 giugno, gli alleati si stavano avvicinando a Roma, erano gi
nei sobborghi e ci sono stati momenti di panico tra le SS. Hanno atteso i
598

L U LT I M A N O T T E

camion per imbarcare i prigionieri e portarli via ma di camion ne arrivato


uno solo. Sono stati scelti quattordici prigionieri e sono stati messi sul camion che si fermato alla Storta dove hanno passato la notte. Lindomani
mattina stato dato lordine di fucilarli. Kappler, a sua volta, sempre al
processo per leccidio delle Fosse Ardeatine sostenne che a un certo punto
di Kahrau e del suo carico si persero le tracce. Luomo si fece vivo solo
cinque, sei giorni dopo, da Firenze. Disse al suo superiore che era arrivato
in automobile perch, evidentemente, il camion non aveva retto al viaggio.
Spieg anche che era stato costretto ad ammazzare i prigionieri.
Kappler si limit a chiedergli un verbale. La banalit del male risalta
ancora di pi su un foglio di carta bollata. Probabilmente non si sapr mai
con certezza chi diede quellordine. O, al contrario, tutto pu apparire chiarissimo: la feroce logica della guerra. E forse anche chi pensa di aver risolto
tutto, non ha risolto un bel niente. Di sicuro c soltanto che i tentativi per
liberare Buozzi andarono a vuoto, compreso quello che, secondo talune
ipotesi, prevedeva il coinvolgimento degli alleati che avrebbero dovuto prelevare con un motoscafo il dirigente sindacale in un porticciolo della costa
laziale per portarlo in salvo. Da via Tasso, Buozzi non usc libero ma con
le mani legate dietro la schiena.
1

Hannah Arendt: La banalit del male. Eichmann a Gerusalemme. Feltrinelli 2005,


pagg. 29-30-2-3
2
Pietro Nenni: Cosa avrebbe detto Bruno Buozzi, commemorazione al cinema Adriano
di Roma il 4 luglio 1944
3
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi sindacalista riformista Franco Angeli
1984, pagg. 169-170
4
Gino Castagno: Bruno Buozzi ristampa del volume Edizioni Avanti! 1955, pagg. 173-4-5
5
Gino Castagno, Ibidem pagg. 175-176
6
Gino Castagno, Ivi
7
Gino Castagno, Ibidem pagg. 179-180
8
Ivana Musiani: Il cammino della Libert: I Martiri a La Storta ANFIM (Associazione
Nazionale Famiglie Italiane Martiri Caduti per la Libert della Patria) 1994
9
Aldo Forbice, Ibidem pag. 164
10
Ivana Musiani, Ivi
11
Gino Castagno, Ibidem pag. 183

599

Solo in una societ in cui non vi saranno


n classi n antagonismi di classe le evoluzioni
cesseranno di essere delle rivoluzioni

Qualcuno trad?

La notizia dellassassinio di Bruno Buozzi nelle tre edizioni, listate a lutto


dell Avanti!: a sinistra il giornale distribuito a Napoli e nel sud, a destra quello
clandestino di Milano e al centro il quotidiano stampato a Roma

Nel tardo pomeriggio del 4 giugno, in quella campagna romana a


quattordici chilometri dalla citt, la vita di Bruno Buozzi era finita. Contemporaneamente cominciavano le celebrazioni post-mortem e la ricerca
di risposte agli interrogativi che avevano avvolto la vicenda, dalla sua nascita (larresto) alla sua conclusione (leccidio). La notizia della strage de
La Storta cadde su una citt che stava provando a immaginare il profumo
della libert. Ecco perch quei quattordici cadaveri scatenarono un tumulto
emotivo perch da un lato cera la felicit per una occupazione che era terminata, dallaltro langoscia per quegli uomini che avevano pagato lultimo
pedaggio alla ferocia nazista. Le guerre, daltro canto, sono spietate, mescolano la gioia dei sopravvissuti con il dolore dei parenti di chi non ce lha
fatta. E nel caso di Buozzi e dei suoi tredici compagni, il destino era stato
certamente crudele perch sarebbe bastato poco, quasi un niente per imporre alla storia un altro finale, pi bello e rassicurante. Invece fin l, tra i
cespugli, sotto gli occhi attoniti e impauriti di testimoni involontari. La notizia rimbalz nellItalia liberata e in quella ancora occupata con grande rapidit. Buozzi era un leader molto noto tra i lavoratori. Anche le ultime
lotte, gli scioperi che nel marzo precedente avevano rilanciato la combattivit operaia e messo in crisi gli occupanti nazisti, erano state dirette da
lui e dagli altri capi sindacali, organizzate attraverso quei comitati di agitazione che erano stati messi a punto nella casa della sorella di Lizzadri.
Una nota per il ministero dellinterno del 10 giugno 1944 in qualche maniera esprimeva questo stato danimo collettivo. Vi si leggeva: Negli ambienti operai ha sollevato enorme impressione la notizia secondo la quale
lorganizzatore socialista Buozzi sarebbe stato trovato cadavere non lontano
da Roma. Taluni hanno avanzato lipotesi che lavvenimento possa provocare reazioni nellambiente quali scioperi o manifestazioni del genere.
603

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Un grande manifesto apparve sui muri di una Capitale finalmente


libera. La firma era quella del Psiup, il partito del leader sindacale: Bruno
Buozzi, il nostro compagno di fede e di lotta, il socialista rimasto fedele durante tutta la sua vita allideale di elevazione della classe lavoratrice,
stato vilmente assassinato in Roma dai fascisti e dai nazisti. Proprio nella
ricorrenza del XX anniversario dellassassinio di Giacomo Matteotti, che
fece fremere di sdegno il mondo civile, un altro dei migliori andato ad accrescere lalbo del martirologio socialista italiano... Il nostro Bruno Buozzi,
luomo caro ai lavoratori italiani che soprattutto a lui devono le migliori
conquiste rivendicatrici, ha dovuto soccombere alla furia sanguinaria degli
oppressori. La sua fermezza di carattere, la sua dirittura morale, la sua capacit organizzativa ed i suoi modi di buona convivenza con tutti, amici ed
avversari, gli avevano attratto indiscutibilmente la generale stima e fiducia;
ma latrocit del suo assassinio lo fa assurgere ben pi in alto a bandiera
di combattimento dei lavoratori italiani e di quanti lottano per il ripristino
delle libert democratiche... La gravit del momento, non permette di onorare degnamente questo nostro martire. Egli ne siamo certi, se fosse ancora
con noi, pretenderebbe che, in questora nella quale si decidono le sorti del
mondo e della liberazione dellItalia, non si storni lattenzione e lattivit
dagli scopi principali per dedicarci a riverenti omaggi. Da valoroso e bravo
alfiere ci spingerebbe a continuare compatti ed ardimentosi nella battaglia
per la sconfitta decisiva dei nazifascisti e per la distruzione di tutto un
mondo di delitti e di barbarie che da venti anni domina ed insanguina lItalia e lEuropa. Lo spirito di Bruno Buozzi non si placher sino a quando
non gli verr resa giustizia con le altre innumerevoli vittime del fascismo
cadute per una causa santa e giusta. Dominiamo la nostra commozione,
asciughiamo le nostre ciglia e nel nome di Bruno Buozzi intensifichiamo la
nostra attivit, spronati ed illuminati dalla sua fede, per raggiungere quelle
mete alle quali egli dette tutto se stesso fino al supremo olocausto della
vita1.
Sulledizione dell Avanti! di mercoled 7 giugno, Giuseppe Saragat, che era stato giovane allievo politico e collaboratore in occasione
delle campagne elettorali, aveva scritto: Bruno Buozzi il capo della classe
operaia italiana, il Segretario della Confederazione del Lavoro stato assassinato dalle iene hitleriane alle porte di Roma. Abbiamo riconosciuto il
604

QUALCUNO TRAD?

suo cadavere tra quelli di altri compagni che come lui erano stati condotti
da via Tasso verso il Nord dai banditi della croce uncinata. A quindici chilometri da Roma i nostri compagni sono stati fatti scendere dallautocarro
che li trasportava e massacrati con colpi di rivoltella alla nuca. Bruno Buozzi
tra le vittime. Col cuore spezzato diamo questa terribile notizia ai lavoratori
italiani che lo ebbero capo e fratello. per noi questo il prezzo pi terribile
della Liberazione di Roma, Scriviamo con la mente che stenta a connettere
di fronte allatrocit del fatto, allimmensit della perdita2.
Il giornale della Democrazia Cristiana, Per il domani, non si limitava a dare notizia, ma sottolineava anche il fatto che a La Storta la nuova
Confederazione che sarebbe nata con il Patto di Roma aveva perso il suo leader naturale. Scriveva: Credevamo che Buozzi fosse in salvo (sapevamo che
si trovava a Roma) e fosse questione di ore a poter riassumere la direzione
del movimento confederale dei lavoratori dellindustria, quando la notizia
ci colp. Uno strazio: Bruno Buozzi ed altri tredici uomini, furono assassinati
in un boschetto a pochi chilometri da Roma. Un senso di smarrimento, un
abbattimento sconsolato ed inconsolabile; ci parve in quel momento che tutto
congiurasse contro gli Italiani. Man mano che aumentano le rovine, perdiamo i nostri migliori uomini, quelli destinati a ricostruire. Il suo viso,
franco, sorridente, dallocchio brillante, ci apparve contratto e deformato
dalla morte violenta; la sua persona piena di vita e di energia, stroncata inesorabilmente. Che cosa voglia dire per lItalia, questo nostro Paese tanto disgraziato e che tanto amiamo; cosa voglia dire la morte di Bruno Buozzi,
nessuno pu saperlo. Era luomo adatto a ricoprire la carica confederale,
carica che comporta un onere e una responsabilit che supera di gran lunga
ogni Dicastero. E noi avevamo in lui la fiducia che sarebbe stato allaltezza
del compito affidatogli: cio la riforma dellorganismo confederale dei lavoratori e la direzione del movimento operaio italiano nei momenti difficili
e certo dolorosissimi che ci attendono a guerra finita. In Italia, per otto decimi, il movimento operaio determinato dalla situazione dellindustria meccanica e metallurgica. Buozzi era luomo che pi di tutti conosceva, oltre la
tecnica organizzativa, la situazione di questo ambiente. Anche se nei ventanni della sua forzata assenza molte cose erano cambiate e molte andavano
valutate e viste con diversa visuale, la sua intelligenza e il suo buon senso
non avrebbero tardato a fargli prendere il contatto con le cose. Ed era uomo
605

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

da affrontare la lotta in alto ed in basso quando lo ritenesse necessario, con


tutto il suo coraggio, la sua abilit, la sua competenza. Occorreva la sua
opera per qualche anno, cio sino a quando dalle classi lavoratrici fossero
usciti altri uomini e tra questi qualcuno che lo avesse sostituito. Ora non
pi; e non v purtroppo uomo che lo eguagli. Pur essendo militanti in un
altro partito, pur essendo nostro avversario, lo ammiravamo per il suo valore
e la sua rettitudine. Nel dolore immenso eleviamo a Dio una preghiera. Vogliamo tutti ricordarci, quando preghiamo per i nostri morti, noti e poco noti
della Democrazia Cristiana e gi numerosi, di impetrare anche a lui, perch
buono, convinto e leale, la misericordia divina3.
Finito il lutto, cominci il dibattito: Bruno Buozzi poteva essere
salvato? Si poteva evitare quel soggiorno a Via Tasso che lo avrebbe poi
avviato sulla strada de La Storta? Insomma, in questa storia ci sono stati
tradimenti? E questi tradimenti come si sono materializzati, in scelte che
non sono state compiute o in atti che, al contrario, sono stati compiuti? Chi
mise, insomma, Buozzi moralmente (e semmai anche praticamente) su quel
vecchio camion ansimante? Solo la sorte o la sorte venne guidata da qualche machiavellico tessitore umano? A settantanni di distanza a queste domande non ci sono risposte, almeno non ci sono risposte affidabili.
Congetture, certo. Ipotesi, anche. Insinuazioni, molte. Ma pi ci si allontana
da quei tempi e pi diventa difficile ricomporre il mosaico.
Si parlato molto del famoso trasferimento al Sud, nellItalia liberata. Pietro Nenni, in una delle ultime testimonianze, afferm che a escludere quella ipotesi era stato Buozzi in persona, ritenendo quel viaggio
troppo pericoloso. Sulla questione, per, le testimonianze sono contraddittorie e, nel frattempo, i testimoni non ci sono pi ed eventuali segreti non
confessati se li sono definitivamente portati nelle loro tombe. Oreste Lizzadri, il Longobardi che poi part alla volta di Bari, sul tema ha fornito
anche lui versioni multiformi. Certo, Lizzadri era politicamente pi vicino
a Nenni e avrebbe interpretato meglio la linea del partito al congresso dei
Comitati Nazionali di Liberazione che si svolse a Bari. Ma non si ritrov
in una posizione comodissima visto che quella riunione venne sostanzialmente egemonizzata, soprattutto dal punto di vista culturale, dai settori pi
moderati dellantifascismo che manifestarono in maniera sonora e rumorosa
la loro lontananza dalle posizioni di Nenni e dei socialisti. Insomma, per
606

QUALCUNO TRAD?

Lizzadri non fu una giornata trionfale e la posizione del Psiup non ebbe
sulluditorio alcuna presa, pertanto la sua difesa si rivel totalmente inutile
perch non cera a quel punto proprio nulla da difendere. possibile, semmai, che la scelta finale sia stata prodotta da due valutazioni: la pericolosit
del viaggio e il fatto che a Roma le trattative per la ricostruzione del sindacato unitario erano entrate decisamente nel vivo. I sospetti sono stati fatti
cadere anche su Nenni. Operazione a dir poco odiosa. Lipotesi che sia stato
il segretario socialista allultimo momento a preferire Lizzadri a Buozzi
che aveva dato il suo assenso al viaggio alla volta di Bari, pi che fondata.
Ma il ripensamento nacque dalla necessit di evitare a un uomo di sessantanni un trasferimento oltre le linee piuttosto complesso e pericoloso. Una
lettura simile la diede, ad esempio, Piero Boni. E non fu un cambio di programma troppo improvviso se vero come vero che luomo incaricato
del trasbordo, lagente dellOffice Strategic Service (il servizio segreto
americano, antesignano della Cia), Mario Zamparo ha confermato che per
quanto lo riguardava non cera stato alcun cambio di programma visto che
a lui sin dallinizio avevano parlato di Lizzadri come luomo da portare
oltre le linee. Il viaggio per Bari era particolarmente tortuoso. Nenni immaginava un trasferimento meno complicato e pi sicuro, passando per
lAquila e la partenza sarebbe dovuta avvenire dopo Pasqua (nel 1944 la
festivit cadde il 9 di aprile; il 13 Buozzi venne arrestato). In questo senso,
anche Giulio Andreotti forn delle conferme. Non solo. Il segretario aveva
trovato un posto a Buozzi in Laterano dove gi si nascondevano Bonomi,
Saragat, Franco Calamandrei e lo stesso Nenni ma il leader sindacale si
sentiva sicuro della casa in cui viveva in quel momento, a via San Valentino,
ai Parioli.
Le risposte agli interrogativi, dunque, vanno cercate non tanto in
ci che venne deciso a proposito delle missioni oltre le linee, in territori
pi tranquilli (una volta raggiunti, per), ma nelle modalit in cui si giunse
allarresto di Buozzi. E su questo terreno i dubbi restano. A cominciare
dalla decisione di abbandonare la casa ai Parioli, in via San Valentino (oggi
via Gramsci) che Buozzi aveva occupato proprio dopo aver abbandonato
quella di De Ritis (in questa abitazione di propriet di Luciano Pertica, fratello della madre di Fiammetta Longo Boni, il leader sindacale era riuscito
persino a rivedere la moglie dopo l8 settembre). Cos come restano i dubbi
607

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

sulla scelta dellabitazione di viale del Re, adesso viale Trastevere, che si
riveler decisamente meno sicura della prima, pi espugnabile da parte
delle polizie naziste e fasciste. E torna inevitabilmente in ballo il ruolo giocato da un personaggio che sempre rimasto sullo sfondo, come unombra:
il ragionier Domenico De Ritis, da Paglietto in provincia di Chieti, alto funzionario della Banca Nazionale del Lavoro e prima di approdare alla Bnl,
al Credito Italiano.
Il suo nome spunt nellelenco degli informatori dellOvra (in codice: Tisde 311), acronimo nella sua essenza mai ben definito perch stato
letto in svariati modi: Organo di Vigilanza dei Reati Antistatali oppure Organizzazione di Vigilanza e Repressione dellantifascismo o ancora Opera
Volontaria per la Repressione dellAntifascismo. La soluzione pi accreditata lultima per via dellaggettivo: volontaria, una attivit, cio basata
sulla delazione. Luomo aveva grande familiarit con gli ambienti socialisti
e una certa facilit di accesso al cuore dei leader. Daltro canto, aveva accreditato limmagine di persona politicamente darea. In un mondo cos
opaco come fu quello dellItalia fascista (non solo dellItalia fascista), in
cui la delazione trovava ufficiale legittimazione in un servizio di polizia
statale (lOvra, appunto) non deve certo stupire il fatto che qualcuno si potesse muovere sfruttando le zone dombra. De Ritis, peraltro, di Buozzi si
era occupato, soprattutto a partire dall8 settembre 1943. Dopo quella data,
infatti, aveva ospitato il leader sindacale per circa quattro mesi in casa sua
(questo emerge da una relazione dell8 marzo del 1945 redatta dal Nucleo
di Polizia Giudiziaria e inviata allAlto Commissario Aggiunto per la punizione dei Delitti del Fascismo: linchiesta era stata avviata sulla base di
una denuncia anonima) in via Principe Amedeo, non molto distante dalla
pensione Oltremare, casa degli orrori della banda Koch; e il 10 aprile,
cio tre giorni prima che i nazisti bussassero alla porta della nuova abitazione in viale del Re, aveva fatto sapere che la casa in cui Buozzi sino a
quel momento aveva abitato in via Pompeo Magno, a Prati, era ormai bruciata (labitazione era di propriet di un partigiano cattolico, Ivo Coccia,
che era stato catturato il 17 marzo). Fu lui a convincere il leader sindacale
che era decisamente meglio cambiare aria.
Erano, daltro canto, giorni particolarissimi e, soprattutto, pericolosissimi. Lattentato di Via Rasella, del 23 marzo 1944 contro il battaglione
608

QUALCUNO TRAD?

Bozen, con trentatr morti tra i tedeschi, aveva scatenato la rabbia dei nazisti che si era immediatamente sfogata nella rappresaglia delle Fosse Ardeatine: trecentotrentacinque civili uccisi a sangue freddo (la maggior parte
vennero prelevati a casaccio a Regina Coeli e a via Tasso). Ma il giro di
vite non si era fermato a quellorrenda strage. Nessuna casa era pi sicura
e gli antifascisti erano tutti in pericolo. Bisognava alzare il livello di attenzione e di prudenza. Nel giro di quarantotto ore, De Ritis organizz il trasferimento. Il 12 aprile Buozzi entr nellabitazione di viale del Re.
Lappartamento era di propriet dellavvocato Guido Rossi. Almeno questo
era quello che disse De Ritis ( un mio amico democristiano) a Fiammetta Longo (che poi avrebbe sposato il fratello di Piero Boni, Mario), figlia del colonnello Longo, antifascista, che per un certo periodo di tempo
aveva ospitato il leader sindacale.
Buozzi in quel momento era titolare di una carta didentit rilasciata
dal comune di Benevento che lo qualificava con il nome di Mario Alberti,
ingegnere, sfollato salernitano. Nella nuova abitazione, il sindacalista
dorm soltanto una notte. Alle 7,30 la Gestapo buss alla porta dellappartamento di viale del Re. Si pu dire: a colpo sicuro. Cercavano lavvocato
Rossi (accusato di possedere un apparecchio radio clandestino) che non era
in casa. A quel punto chiesero i documenti alluomo sulla soglia di ingresso.
Buozzi consegn la sua carta di identit ma i poliziotti sapevano benissimo
che a Benevento era stato sottratto un notevole quantitativo di carte di identit e, a quel punto, portarono il sindacalista a via Tasso. Qui sorgono gi i
primi dubbi. Benevento faceva parte dellItalia liberata, come mai gli uomini della Gestapo erano al corrente delle carte di identit rubate in quellufficio comunale? De Ritis non restava con le mani in mano tanto vero
che era lui il primo a venire a conoscenza dellarresto ed era sempre lui che
provvedeva a comunicare la notizia a Fiammetta Longo Boni la quale veniva colta da qualche dubbio. Ha raccontato: Venni avvertita (dellarresto,
n.d.a.) il giorno dopo da De Ritis. Mi sorse subito un dubbio. Come aveva
fatto, questuomo, a sapere cos tempestivamente dellarresto di Buozzi?
E poi mi sono chiesta come mai Bruno, diventato cos prudente in quelle
settimane, fosse andato ad aprire la porta? E ancora come mai il misterioso
avvocato Rossi era sparito allalba, insieme alla donna delle pulizie che
viveva in quella casa? A queste domande nessuno ha potuto dare risposte
609

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

esaurienti, anche perch ci fidavamo completamente di quel De Ritis.


Spesso andavo da lui, per incarico di Buozzi, a ritirare delle somme alla
Banca Nazionale del Lavoro (era vicedirettore della filiale di via Veneto);
erano somme consistenti che io smistavo sempre su indicazione di Buozzi
ad antifascisti per sostenere le attivit e le iniziative di lotta clandestina4.
Sembra che dalle mani di De Ritis, per conto di Buozzi, Fiammetta Longo
Boni abbia ricevuto complessivamente qualcosa come due milioni dellepoca, centocinquantamila euro attuali; servivano per finanziare lattivit
clandestina.
La figura del De Ritis oggettivamente sfuggente, incomprensibile.
A dicembre del 1944, mentre si cominciavano a istruire i primi processi
contro gli uomini che avevano tenuto comportamenti piuttosto disonorevoli
o si erano macchiati di crimini durante il regime (si stava organizzando
quello al generale Mario Roatta, accusato di non aver difeso Roma l8 settembre e poi anche coinvolto nellomicidio dei fratelli Rosselli e in un massacro di civili a Lubiana: riusc a uscire indenne in appello dopo essere stato
condannato in primo grado allergastolo, ma evit di ascoltare questultima
sentenza fuggendo in Spagna dove lo attendeva la moglie, al riparo dellombrello franchista, per rientrare in Italia soltanto nel 1966), al Commissariato per le sanzioni contro il fascismo arrivava una denuncia anonima.
A volte queste denunce nascondevano solo risentimenti personali e anche
quella contro De Ritis appare animata da un livore che affonda le radici in
questioni di carriera (Dalle risultanze di cui sopra da ritenersi che lanonimo sia destituito di ogni fondamento di veridicit e sia stato determinato
da bassi rancori: cos si chiude lindagine). Per, per quanto i risentimenti
fossero personali, taluni fatti trovarono successivamente dei riscontri.
Lanonimo, infatti, parlava di un viaggio di De Ritis a Parigi nellaprile del
1932, del fatto che la tessera del Pnf presa nel 1933 era stata retrodatata al
1921, che il ragioniere di Paglietto in provincia di Chieti aveva potuto contare sulla protezione di Giacomo Acerbo (quello della legge elettorale),
abruzzese come lui (per la precisione, di Loreto Aprutino in provincia di
Pescara).
Lindagine fu svolta dal nucleo di polizia giudiziaria al servizio
dellAlto Commissariato e l8 marzo 1945 il comandante chiudeva la questione con una breve relazione (un paio di cartelle) in cui si spiegava che
610

QUALCUNO TRAD?

De Ritis, direttore della Banca Nazionale del Lavoro, era stato iscritto
effettivamente al partito socialista e che era stato uno dei collaboratori di
Giacomo Matteotti, per la precisione, il segretario (un dato da tenere in considerazione e che avr un risvolto non secondario in questa storia). La relazione continuava sostenendo che dopo la morte del parlamentare
socialista, il ragioniere aveva continuato a frequentare la famiglia, diventando il protutore dei figli e amministratore del patrimonio familiare. Scriveva il comandante: Per tali ragioni egli, come del resto la vedova
Matteotti, ha dovuto tenere contatti con il capo della polizia Bocchini il
quale si interessava della famiglia Matteotti cui concesse una sovvenzione
di un milione di lire. La vedova, avendone stretto bisogno, accett tale denaro ma a condizione di restituirlo. A tale uopo la vedova preg il capo della
Polizia di intercedere presso il Credito Italiano perch inviasse in missione
a Parigi il rag. De Ritis allo scopo di prendere contatti con persone di sua
conoscenza, legate da vincoli di amicizia e di fede con il defunto marito,
per tentare di ottenere aiuti finanziari per poter restituire la somma che lei
aveva accettato a titolo di prestito. Difatti la Banca, premurata da Bocchini,
invi a Parigi per ispezioni alle filiali allestero, il rag. De Ritis il quale in
ossequio al volere della vedova Matteotti, chiese aiuti finanziari allon. Modigliani, al Prof. Salvemini e ad altri antifascisti col residenti.

26.1 Una storia di soldi e viaggi misteriosi

Le cose stavano proprio cos? Quel viaggio era servito solo a sollecitare sostegni per la vedova di Matteotti alla quale il Regime, dopo averle
tolto il marito, cercava comunque di offrire un qualche sostegno anche per
evitare che eventuali difficolt economiche aggiungessero allomicidio del
parlamentare anche il carattere di un martirio familiare, non solo personale?
Due anni dopo, il 19 aprile del 1947, unaltra indagine offriva una versione
dei fatti un po diversa. Erano spuntati gli elenchi dellOvra e il nome di
De Ritis faceva bella mostra di s. La scoperta aveva delle conseguenze e
il ragioniere faceva ricorso per ottenere la restituzione dellonore perduto.
Insomma, non voleva essere considerato un confidente dellorganizzazione:
a quellepoca non faceva certo curriculum. La Commissione per lesame
dei ricorsi dei confidenti dellOvra (presso lufficio sanzioni contro il fascismo insediato alla Presidenza del Consiglio) chiedeva un accertamento
611

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

agli organi inquirenti. Questa volta, per, la risposta era molto pi ampia e
articolata, sette cartelle da cui emergeva che chi aveva indagato non la pensava esattamente come i testimoni presentati da De Ritis a sostegno delle
sue tesi.
Perch il ragioniere si era dato da fare. Si era rivolto a Rina Buozzi
che in data 15 maggio 1945 dichiarava che il Sig. Domenico De Ritis ha
ospitato in casa propria, nellautunno-inverno 1943-1944 (i famosi quattro
mesi circa, n.d.a.), il di lei marito prodigandogli affettuosa e cordiale assistenza... Il De Ritis ha pure raccolto fondi notevoli per tentare di ottenere
la liberazione del defunto Bruno Buozzi. Quindi a Emilio Canevari che in
data 18 settembre 1945 rivelava che durante il periodo clandestino partecipai a due sedute del Comitato Socialista Romano, di cui facevo parte,
in casa De Ritis in via Regina Giovanna di Bulgaria in Roma. Il De Ritis,
per quanto mi risulta, diede per qualche tempo ospitalit anche a Bruno
Buozzi. E ancora a Federico Comandini, uno dei fondatori del Partito
dAzione, che il 17 settembre del 1945 dichiarava: Da molti anni conosco
il dottor Domenico De Ritis, il quale ha sempre professato idee anti-fasciste... Nel 1938, per mandato del tutore, avvocato Casimiro Wronowski, ho
assunto lassistenza legale relativa al patrimonio dei minori figli di Giacomo
Matteotti; ho saputo allora che le mansioni di protutore affidate al De Ritis
erano state attribuite per designazione unanime dei parenti. Infine, testimoniava a favore di De Ritis anche Oreste Lizzadri che il 17 settembre del
1945 sosteneva: Nellottobre del 1943 il sig. Carlo Matteotti (il figlio di
Giacomo, n.d.a.), con il quale ero in relazione per ragione di lavoro di Partito, mi comunic che il sig. De Ritis desiderava vedermi. Ne segu un colloquio nel quale il De Ritis si mise a disposizione del Partito Socialista
perch lo utilizzasse nella lotta che i partiti antifascisti conducevano contro
il regime fascista e i nazisti. Dal periodo dellottobre 1943 al gennaio 1944,
vidi spesso il De Ritis, il quale si occup della vendita dei bollini emessi
dal Partito Socialista, vers delle cifre cospicue per la lotta clandestina e
si occup del giornale Avanti!... Mi risulta, inoltre, che durante la mia
assenza a Roma il De Ritis si procur la somma di L. 300.000 perch fosse
versata per la liberazione di Bruno Buozzi che era in carcere.
Un dossier, insomma, molto corposo che non doveva lasciare adito
a dubbi: De Ritis era un socialista ed era finito negli elenchi dellOvra sol612

QUALCUNO TRAD?

tanto per le funzioni di protutore dei figli di Matteotti. Infatti, in tale veste
doveva per forza di cosa avere rapporti con il capo della polizia. Ma chi
indagava sulla vicenda redigendo la relazione finale in data 19 aprile 1947
(quindi molto dopo le dichiarazioni di Rina Buozzi, Emilio Canevari, Federico Comandini e Oreste Lizzadri) sembrava avere unaltra idea. La premessa era chiarissima: Risulta dagli atti che il ricorrente mantenne rapporti
diretti con la Direzione Generale di Polizia sotto lo pseudonimo di Tisde
dal gennaio 1930 (v.f. del bis) allottobre del 1943 (v.f. 0002 del bis) e che
percep nei primi anni un compenso mensile di L. 1800 e successivamente di
L. 2000 fino al gennaio del 1944 (v.f 0312 del bis e 2 e 14 del ter). La tesi
difensiva del De Ritis era piuttosto semplice. Non contestava il fatto di risultare iscritto negli elenchi dellOvra ma vi era finito semplicemente perch protutore dei figli di Matteotti nei confronti dei quali lorganismo
svolgeva funzioni amministrative e non di polizia politica. Per quanto riguardava i compensi, De Ritis ribadiva le risultanze a livello penale (perch
cera stato anche un giudizio di quel tipo) in base alle quali il magistrato
concluse che le somme corrisposte al De Ritis furono devolute a parziale

Linglese sconosciuto in realt era ungherese e combatteva per gli Alleati

613

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

compenso dei danni subiti dalla famiglia Matteotti dopo luccisione del
loro congiunto. Insomma, la qualifica di confidente non centrava nulla
con la presenza del nome del ragioniere negli elenchi dellOvra che era, in
pratica, una conseguenza del suo rapporto con la famiglia Matteotti.
Ma gli accusatori contestavano: Ora facile obiettare che i rapporti
intercorsi tra la Direzione Generale di Polizia e lavvocato Wronowski (il
tutore dei figli di Matteotti) furono puramente di ordine amministrativo, altrimenti nei suoi confronti si sarebbero adottate le stesse cautele di copertura
con ladozione del pseudonimo (come nelloriginale, n.d.a.) e lapertura di
un fascicolo segreto; se invece queste misure di segretezza furono adottate
nei rapporti tra la polizia e il De Ritis perch essi si svolgevano su un piano
diverso e avevano un contenuto confidenziale, della cui vera essenza e finalit
i membri della famiglia Matteotti dovevano rimanere e restarono alloscuro.
Gli accusatori erano convinti che quel rapporto con la famiglia del parlamentare ucciso dai fascisti fosse figlio di un disegno che aveva come obiettivo da un lato quello di tenere sotto controllo i Matteotti (comunque,
sempre pericolosi per il regime, anche con la semplice evocazione del
nome), dallaltro quello di creare relazioni allinterno dellambiente socialista per carpire segreti e informazioni.
Si legge, infatti, nella relazione: La Direzione Generale di Polizia
gi da tempo aveva intrapreso lopera di assistenza alla famiglia del martire per il tramite dellamministratore Trevisan e del tutore, Wronowski, allorquando entra in scena il De Ritis, il quale esordisce con una lettera del
18 febbraio 1930, con la quale d certezza dei risultati della sua prima visita, non sollecitata, e fatta dopo una lunga assenza alla vedova Matteotti,
riferendone il colloquio sui contatti che essa manteneva con Salvemini e
Rosselli a Parigi e sulle difficolt finanziarie della famiglia e conclude con
lavvertenza che non ha ritenuto opportuno insistere in una prima visita
a parlare di cose politiche, delle relazioni che la signora coltiva allestero.
Spiegava ancora lestensore della relazione a proposito dei motivi alla base
di quella generosit del fascismo: Lassistenza prestata dal regime fascista attraverso la polizia alla famiglia non era ispirata a sentimenti di beneficenza o a propositi di riparazione, ma era stata escogitata come
lespediente pi idoneo per attuare il fine politico che il regime si proponeva
di raggiungere nei confronti di detta famiglia senza ricorrere a pressioni o a
614

QUALCUNO TRAD?

versazioni (probabilmente vessazioni, n.d.a.) di carattere poliziesco che


avrebbero aggravato il discredito del regime, gi abbastanza scarso (probabilmente il credito e non il discredito, n.d.a.) dalla uccisione di Matteotti.
Per la realizzazione di questo piano non certo, ma molto probabile che
la Direzione di Polizia si avvalesse in un primo momento dei servizi dellamministratore Trevisan; ma questi soprattutto a causa della sua incapacit
amministrativa si rivel elemento non adatto allo scopo e allora fu prescelto
il De Ritis, che per essere stato fedele collaboratore del martire e ritenuto
un convinto e irriducibile antifascista, appariva come la persona meglio qualificata perch insospettabile e suscettibile dispirare la fiducia e il credito
necessario nei membri della famiglia.

26.2 Tra delatori, spie e strani sacerdoti

Gli estensori della relazione, peraltro, aggiungevano che le lettere


speditegli dalla vedova (di Matteotti, n.d.a.) a Parigi erano da lui passate
in visione alla Direzione generale di polizia. A questo punto, gli inquirenti
ritenevano di aver proposto materiale sufficiente per respingere il ricorso
di De Ritis (Questo quanto basta per concretizzare lipotesi negativa per
la cancellazione, dellattivit informativa nellinteresse del regime fascista...
E su questo punto non pu cadere dubbio una volta dimostrato che la polizia
fascista aveva interesse a tenere una persona di sua fiducia nella intimit
della famiglia Matteotti e che il De Ritis assolse fedelmente questo compito).
Ma nella relazione cera spazio anche per una analisi del famoso
viaggio a Parigi e il quadro che gli inquirenti prospettavano era diverso da
quello un paio di anni prima definito dallinchiesta scattata in seguito alla
denuncia anonima. Spiegava la relazione: Listruttoria penale avrebbe accertato che anche questo viaggio, sotto lapparenza di un incarico di ordine
bancario per conto del Credito Italiano, fu compiuto dal De Ritis dintesa
con la polizia fascista allo scopo di condurre un prestito nellinteresse della
famiglia Matteotti, non essendosi potuto trovar credito in Italia. Ma dal coordinamento di tutti gli elementi di giudizio che si evincono al riguardo dagli
atti del fascicolo bis si trae il convincimento che anche in questo caso linteressamento in favore della famiglia Matteotti fu ancora una volta letichetta adottata a copertura di un segreto scopo politico, che era quello di
avvicinare i maggiori esponenti politici tra i fuorusciti di Parigi carpendone
615

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

la loro buona fede come emissario della Matteotti e quindi raccogliere tutte
le notizie di evidente importanza politica che potessero interessare la polizia
fascista.
De Ritis, inoltre, si era difeso dicendo che le somme da lui percepite
venivano girate alla famiglia Matteotti. Gli inquirenti obiettavano ancora:
In merito infine alla devoluzione del compenso delle 2.000 lire a favore
della famiglia Matteotti, basta appena rilevare che lassistenza finanziaria
alla famiglia fu compiuta con somme erogate in ben diversa misura e forma
e cess molto tempo prima che avessero termine i rapporti con il De Ritis, il
quale per automatismo burocratico benefici del compenso anche dopo l8
settembre cos come avvenuto anche nei confronti di molti altri informatori
che a quella data cessarono i loro rapporti con la Direzione Generale di P.S.,
il che sta a dimostrare allevidenza che la somma era corrisposta soltanto a
titolo di compenso per le prestazioni di natura fiduciaria rese dal De Ritis.
Chi era, allora, il ragioniere della Banca Nazionale del Lavoro?
Quale ruolo ebbe in questa vicenda? Oltre a quello ufficiale e visibile, ne

4 giugno 1944: Roma libera, un carro armato americano davanti a Castel SantAngelo

616

QUALCUNO TRAD?

ebbe uno anche invisibile? Era una sorta di dottor Jekyll e mister Hyde?
Era solo Jekyll o era solo Hyde? La Gazzetta Ufficiale di gennaio 1946
diede notizia del suo ruolo di confidente indicando anche il compenso: 1862
lire non era una paga di poco conto visto che Gilberto Mazzi nel 1939 cantava se potessi avere mille lire al mese (De Ritis, stando alle relazioni
qui illustrate, alla fine della sua esperienza ne guadagnava duemila). Le
ombre che avvolgono la personalit delluomo (che poi alla fine usc indenne, come molti altri) non sono mai state diradate ma certo non sono sufficienti per individuare in lui lanello debole della catena. Il
doppiogiochismo in anni come quelli era possibile e preventivabile. Il
fatto che tanti autorevoli personaggi dellantifascismo si siano mossi in sua
difesa (a cominciare dalla vedova Buozzi) induce a pensare che o ci si trova
davanti al genio della truffa oppure che la sua attivit avesse risvolti ambivalenti ma che, alla resa dei conti, non fu diretta a danneggiare Buozzi
che aveva pure accolto a casa sua.
Lenigma pu essere risolto solo dagli esperti della materia. Ad
esempio lo storico Mauro Canali che nel 2004 realizz un corposo studio
sulla rete di spie che garantivano al regime il controllo del Paese e la repressione delle attivit antifasciste. Lo studioso a De Ritis e ai suoi rapporti
con il mondo socialista e, in particolare, con la famiglia Matteotti dedica
un breve ma significativo passaggio. Per chiarezza lo citiamo per intero:
De Ritis riusc a convincere i magistrati (lo indagarono, come abbiamo gi
visto, perch caduto il fascismo il suo nome era stato ritrovato nellelenco
degli agenti dellOvra, n.d.a.) che, in tutti gli anni che aveva frequentato la
famiglia Matteotti, aveva fatto gli interessi dei figli di Giacomo. Venne sostenuto dagli stessi figli, in particolare da Matteo, che, caduto il fascismo,
ignorando gli inviti alla prudenza di Nenni, si rec pi volte a testimoniare
davanti allAlto commissario (per lepurazione n.d.a.) la buonafede di De
Ritis. In realt il contenuto delle relazioni che Tisde inviava alla Polpol
(la polizia politica n.d.a.), era assai chiaro: egli controllava le eventuali
trame antifasciste che potevano svilupparsi attorno alla vedova e, soprattutto,
vegliava e riferiva su eventuali contatti tra essa e i fuorusciti antifascisti. Sul
ruolo di De Ritis fu assai chiara una dichiarazione di Assirelli, il cassiereeconomo della Polpol, il quale rifer sulla base di testimonianza direttamente
raccolte che il De Ritis non curava gli interessi della famiglia Matteotti; o
617

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

meglio non veniva pagato per tale scopo ma veniva pagato perch intimo
della famiglia Matteotti, informava la Direzione Generale di polizia sulla attivit dei membri di essa e specialmente dei due figli.
La storia ha aspetti decisamente oscuri (considerando i tempi, non
potrebbe essere altrimenti). Con troppi personaggi che si muovevano nellombra. Erich Priebke, ad esempio, nella sua autobiografia ha lasciato intendere che Buozzi sarebbe stato tradito da un uomo a lui vicino, un
sindacalista insospettabile che faceva il doppio-gioco. Poi arrivarono anche
le illazioni americane a intorbidare le acque chiamando in causa i comunisti e lo stesso Di Vittorio (una accusa strumentale e poco credibile anche
perch proveniva da ambienti interessati a gettare discredito su quellarea
politica). Un ruolo poco chiaro gioc anche Ulisse Ducci, antifascista ma
con una certa familiarit con gli ambienti dellOvra tanto da dichiararsi disponibile a consegnare Nenni e Buozzi dietro pagamento di una ricompensa
(che sarebbe stata effettivamente liquidata alla moglie). Infine, c Franz
Muller, staffetta molto attiva a Trastevere che una volta arrestato, redige
la lista dei leader socialisti presenti a Roma.
Fiammetta Longo Boni inform la figlia di Nenni, Giuliana, dellarresto di Buozzi, e tutte e due decisero di non dire nulla alla moglie Rina,
per non allarmarla. Le dicemmo che il marito era partito per il Sud improvvisamente, ha raccontato tempo dopo Fiammetta. Il bluff dur circa
una settimana poi anche Rina scopr. Nenni, invece, venne immediatamente
informato dalla figlia tanto vero che al 15 aprile, nel suo diario annotava:
Uscendo da una lunga riunione con i comunisti e gli azionisti (sulla crisi
di Napoli) ho appreso larresto di Buozzi e di Canini (Giovanni, n.d.a.), il
secondo risale a marted , quello di Buozzi a gioved sera (in realt, era
mattina quando la Gestapo si present a casa dellavvocato Rossi, n.d.a.).
ancora un durissimo colpo per noi, non per il lavoro organizzativo al
quale Bruno partecipava poco per nostra volont, ma perch ci priva di uno
degli uomini pi popolari per funzioni di governo o per la segreteria generale della Confederazione del Lavoro. Stavo proprio organizzando la partenza di Bruno per lAquila da dove avrebbe dovuto raggiungere Bari
attraverso le linee sonnecchianti dellottava armata5.
E strane coincidenze ci furono anche successivamente, durante la
prigionia di Buozzi a via Tasso. Perch i molti tentativi per farlo uscire da
618

QUALCUNO TRAD?

quella terribile prigione andarono a vuoto. Uno dei quali, per giunta, in maniera piuttosto paradossale. La strada era quella di una trattativa con tanto
di riscatto. Ma bisognava trovare un canale di collegamento che consentisse
di arrivare al padrone di quella prigione, cio il colonnello Kappler8
(lamante Ursula Burger), diceva sconsolata molto pi tardi Fiammetta che
aveva conosciuto Buozzi meno di sei mesi prima dellarresto. Avrebbe ricordato anni dopo: Verso la fine di novembre 1943 venne a casa nostra
presentato da mio padre un suo vecchio amico, ling. Alberti che per pochi
giorni dopo mi spieg di essere Bruno Buozzi. Dopo poco pi di una settimana, essendo mio padre alla macchia e vivendo nel nostro palazzo una
spia dellOvra (il dottor Rosati, un giornalista del Messaggero) gli fu consigliato di andare via e and ad abitare a Prati, in via Pompeo Magno9
(forse la memoria inganna la testimone perch in quella abitazione il leader
sindacale ci and successivamente n.d.a.). Quel vecchio amico dal carcere di via Tasso sarebbe uscito solo per lultimo viaggio. Ci provarono ancora, ma senza successo. Fu pattuito un nuovo riscatto: duecentomila lire,
ulteriormente aumentato, cinquecentomila lire. La transazione venne
chiusa (i quattrini li procur De Ritis e vennero consegnati alla Burger) ma
dal carcere non usc Buozzi ma il vero Mario Alberti, per giunta da Regina
Coeli e non da via Tasso. Un atroce scherzo del destino o una mefistofelica
intuizione del colonnello Kappler al quale era stato ordinato di portare
Buozzi da Mussolini a Verona? I contatti vennero ripresi ma non portarono
a nulla. Nel frattempo, la famiglia di Buozzi cercava altre strade: una lettera
al Papa, PioXII. Raccontava sempre Fiammetta Longo: Non riuscimmo a
consegnarla personalmente. Avevamo saputo, per, di un frate, Pancrazio
Pfeiffer, che aveva libero accesso a via Tasso: era lo stesso che ogni tanto
ci dava notizie di Bruno. E fu a lui che consegnammo la lettera per Pio XII
ma non ricevemmo mai alcuna risposta.
Il frate era unaltra figura piuttosto ambigua, una sorta di ufficiale
di collegamento tra Kesserling e il Vaticano, uno su cui, insomma, non si
poteva fare grande affidamento. Lultima spiaggia fu lorganizzazione di
un blitz armato. Ecco ancora i ricordi di Fiammetta: I giorni passavano e
vedendo che non si riusciva ad ottenere un ordine di scarcerazione, mio
padre, Peppino Gracceva (che comandava nel Lazio le Brigate Matteotti,
n.d.a.), Carlo Spinelli, Henry Molinari e mi sembra anche Peppino Saragat
619

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

si riunirono a casa mia per tentare di organizzare un colpo armato. Prima


logicamente si cercarono le armi10. Ma non fu sufficiente quella ricerca e
alla fine lipotesi del blitz venne scartata: Ci ritrovammo in via Lucullo,
nellallora sede del partito, e Gracceva rifer che le armi le aveva trovate
ma gli uomini no. E probabilmente stato un bene perch quellassalto sarebbe stato sicuramente un suicidio11, spiegava ancora Fiammetta. Mentre
Nenni nel suo diario, al 30 maggio scriveva: Da Via Tasso nulla di nuovo,
se non che i nostri compagni sono ancora l. Il tentativo di liberare Buozzi
non riuscito. Disposizione per avviarli verso il nord non ci sarebbe ancora12. Riletta oggi, quella di Buozzi sembra una tragica commedia degli
inganni. Una commedia che pu ispirare unampia variet di finali. La storia fatta di congetture, piegata alle convinzioni o alle convenienze personali
serve a poco e non utile. stato detto che leliminazione di Bruno Buozzi
poteva creare vantaggi a qualcuno, si sono lanciati sospetti inutili su persone
che non lo meritavano (ad esempio, su Giuseppe Di Vittorio o su Pietro
Nenni); si cercato di leggere questa vicenda come un nuovo capitolo di
quel libro sulle faide allinterno dellantifascismo e della guerra civile che
a qualche autore ha anche regalato discreti successi editoriali. La realt,
alla fine, semplice: se qualcuno trad, considerati gli anni trascorsi, sar
stato condannato solo nel foro della sua coscienza (ammesso e non concesso che ne avesse una); se al contrario lordito di questa tela stato tessuto
solo dal caso, allora al sindacato non resta che maledirlo sino alla fine dei
suoi giorni.

620

QUALCUNO TRAD?
1

Bruno Buozzi: Scritti dellesilio Opere Nuove 1959, pagg. 159-160


Giuseppe Saragat: Il testamento di un martire Avanti! 7 giugno 1944, edizione meridionale
3
Bruno Buozzi, Ibidem pagg. 160-1
4
Aldo Forbice: La forza tranquilla. Bruno Buozzi sindacalista riformista Franco Angeli
1984, pagg. 154-5
2

Aldo Forbice, Ivi


Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi, il riformista. Ricordi, commenti, inediti a cura di
Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pag. 55
7
Giorgio Benvenuto, Ibidem pag. 53
8
Aldo Forbice, Ibidem, pag. 162
9
Giorgio Benvenuto, Ibidem pag. 54
10
Giorgio Benvenuto, Ivi
11
Aldo Forbice, Ibidem pag. 162
12
Aldo Forbice, Ivi
6

621

Una cosa per il momento certa: che il principio della


propriet privata sottoposto a un attacco che per
limportanza del paese in cui si svolge non ha precedenti

Lui e noi

Nel trentesimo anniversario della sua fondazione, la Uil, nellambito della conferenza
nazionale di organizzazione realizz un convegno per rilanciare la modernit
del messaggio di Buozzi: relatori furono Leo Valiani, Piero Craveri e Sergio Turone

Alla fine di questo lungo racconto, una domanda va inevitabilmente posta: si pu trarre una lezione dalla vita e, soprattutto, dalle opere
di Bruno Buozzi? Si pu trarre un insegnamento che valga per il presente
e che, soprattutto, possa essere utile come strumento per affrontare i dilemmi del futuro? C una modernit nel suo messaggio, nelle sue scelte
che pu essere sfruttata anche oggi, in un mondo che ai pi sembra navigare
senza una bussola ma che, al contrario, segue una rotta molto chiara ma
conosciuta solo a minoranze esigue e privilegiate? Se la storia maestra di
vita, questa vicenda cosa insegna? Gli aspetti umani appaiono abbastanza
chiari. La coerenza un valore, per quanto Buozzi abbia pagato questo valore con un prezzo altissimo, la sua vita. Molti anni fa, nel corso di un convegno, Giuliano Vassalli, luomo che organizz levasione di Sandro Pertini
e Giuseppe Saragat da Regina Coeli durante loccupazione nazista, ha ricordato a proposito delle ultime ore di vita del leader sindacale: C un
dipinto nella Direzione del Partito Socialista che ne rievoca la figura in
mezzo agli sgherri nazisti con il busto eretto, in maniche di camicia, in quella
mattina di giugno: ebbene, per chi lo ha conosciuto, egli era proprio cos,
fiero e dignitoso, tra quegli sgherri nazisti che nulla capivano di ci che spontaneamente o per comando erano indotti a fare, e nulla sapevano di quanto
stavano facendo perdere al movimento socialista in Italia ed a tutti i lavoratori1. Non cedette, Buozzi, davanti ai nazisti come non aveva ceduto nella
sua vita da sindacalista quando lincalzare di idee nuove e rivoluzionarie
quasi lo spingevano ad abiurare la sua linea che era quella riformista, rivalutata nel tempo, rivalutata dalla storia che ha fatto piazza pulita di certe illusioni man mano che la spinta propulsiva della Rivoluzione di Ottobre
veniva meno, cancellando anche quegli anatemi, figli legittimi del dogmatismo, che avevano indotto Lenin e i suoi a chiedere lesclusione dal Partito
625

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Socialista di Filippo Turati, cio di colui che lo aveva fatto nascere.


Per anni la sinistra italiana si portata dietro queste contraddizioni,
lidea che qualsiasi deragliamento rispetto a una presunta linea rivoluzionaria
rappresentasse un cedimento ai nemici di classe. Bruno Buozzi era ritenuto,
allora, un nemico di classe e questo ha impedito di dargli la giusta collocazione nella storia politica italiana e la meritata dimensione in quella sindacale.
Ora, al contrario, c una corsa alla riscoperta: siamo un popolo di centometristi. Il suo riformismo stato vissuto come una sorta di peccato originale
che poteva essere mondato soltanto in due maniere: o dimenticando luomo
o definendo le stesse cose che luomo diceva con altre parole. Da questo
punto di vista significativo un intervento di Piero Boni che stato uno tra i
pi grandi e appassionati studiosi di Bruno Buozzi, che ha affrancato il leader
ferrarese dalloblio a cui sembrava destinato. Eppure, quando nel 1975 la
Cgil decise di mettere insieme gli scritti e i discorsi del vecchio segretario
confederale, cedeva anche lui alla necessit (molto avvertita in quei tempi)
di aggiornare le parole per evitare la scomunica. A proposito delladesione
di Buozzi alla scuola turatiana, scriveva: La scelta riformista la scelta
della gradualit delle conquiste che consente di sviluppare di pari passo il
processo di auto-emancipazione della classe operaia ed il processo di trasformazione delle strutture, nella consapevolezza che il socialismo, lungi dal
potersi costruire per via di decreti, rimane segnato da un processo storico in
divenire che esige un impegno permanente, e non improvvisato, da parte di
tutto il movimento di classe. Pertanto, ripensando oggi allazione di Buozzi
ed alle lotte dei lavoratori condotte in quei decenni, e considerando quanto
lungo sia stato il cammino compiuto da tutto il movimento operaio italiano,
pi giusto parlare, dal punto di vista sindacale, di un Buozzi riformatore2.
Si tratta, evidentemente, di una forma di ossequio allo spirito di quei
tempi, quando, come agli albori degli anni Venti del secolo scorso, la parola
riformista appariva quasi come il sintomo indicatore di una malattia contagiosa e, pertanto, pericolosa. Buozzi queste sottigliezze, evidentemente,
non le avrebbe capite. Lui non avvertiva il bisogno di presentarsi allora attraverso altre definizioni che non fossero quelle classiche, quelle che lui
aveva conosciuto arrivando a Milano e avvicinandosi al sindacato e alla
politica. Quando polemizzava con Gramsci a proposito della rivoluzione
bolscevica, rivendicava la sua collocazione in unaltra posizione, non si
626

LUI E NOI

sentiva subalterno rispetto a quella che stava diventando una cultura dominante, non si piegava allidea che ci fosse un modo pi efficace rispetto al
suo di realizzare il socialismo. Non aveva freni dogmatici. Le durezze della
vita che aveva conosciuto da ragazzo, labbandono della scuola con la conseguente ricerca di un mestiere e di un lavoro per contribuire al mantenimento economico suo e della famiglia, lo induceva a coniugare le idee con
il pragmatismo, lobiettivo lontano con le realizzazioni immediate che possono, per, introdurre elementi di equit laddove c straordinaria iniquit.
Non consentiva ad altri di impossessarsi abusivamente del brevetto di
una parola: riformismo. Di Turati diceva: Non era un dottrinario nel senso
rigido della parola: leggete le stesse prime annate di Critica Sociale,
anche quando il pensiero vigorosamente socialista nei suoi scritti si tratta
quasi sempre di problemi concreti e si indica una azione concreta. Ed era
probabilmente questa visione non anti-ideologica ma a-ideologica che lo
induceva a creare ponti non a edificare steccati. La sua visione dellunit
sindacale, il suo tentativo di tenere sempre insieme le diverse anime di una
organizzazione che faceva riferimento a una matrice politica estremamente
litigiosa e votata alla pratica quasi quotidiana dello scissionismo, era il
prodotto di una concretezza che lo portava a vedere i problemi del lavoro
come problemi comuni, che andavano al di l delle questioni ideologiche,
per la discussione delle quali cerano altre sedi.
La fabbrica era il luogo in cui si doveva per forza di cose parlare una
lingua condivisa che era quella del confronto quotidiano con la soluzione
dei problemi. E se Turati, il suo maestro, non era un dottrinario, ancor meno
dottrinario poteva essere lui che sapeva quanto fosse dura la strada verso
laffrancamento dai bisogni, obiettivo che non si poteva proiettare in un orizzonte lontano, ma che bisognava raggiungere ogni giorno, un passo dopo
laltro, con il metodo del gradualismo che fatto di avanzate, consolidamenti, anche arretramenti strategici per riprendere la marcia. Non rifiutava
la lotta di classe ma non accettava, come lui stesso aveva detto, la zuffa di
classe, il ribellismo perenne e proprio perch tale inconcludente, lestetica
del gesto forte, esemplare ma, alla resa dei conti inutile, lantagonismo senza
fine e finalit, elevato a essenza filosofica dellattivit sindacale.
Ha trasmesso al sindacato la coscienza che lorganizzazione non
un orpello inutile, ma un bisogno essenziale, tanto essenziale che precede
627

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

la lotta non la segue. Lui tutto questo lo affermava in un momento in cui


nascevano formule che si esaltavano nello spontaneismo o consideravano
il sindacato strumento non tanto al servizio del soddisfacimento dei bisogni
dei lavoratori ma della rivoluzione che avrebbe dovuto portare alla realizzazione in un solo colpo (immediato e senza ripensamenti) della societ
socialista. Si ritrovava a fare i conti con il sindacalismo rivoluzionario e
con le teorie gramsciane sui Consigli di Fabbrica. Eppure quel suo messaggio che faceva dellorganizzazione la premessa fondamentale per una
azione efficace, ha attraversato gli anni e i decenni ed arrivato sino ai
giorni nostri perch anche nelle grandi battaglie degli anni Sessanta e nelle
conquiste dellAutunno Caldo, lorganizzazione resta un elemento fondamentale. Organizzazione che non disciplina militare acritica, adesione silenziosa e acquiescente alle decisioni della maggioranza, ma
consapevolezza che una volta individuato un obiettivo, una scala di bisogni
e di valori, a tutto ci bisogna adeguarsi, frenando gli impulsi individuali,
cercando il bene comune attraverso lazione collettiva.
Lorganizzazione una orchestra che suona in maniera intonata, un
coro che canta seguendo uno spartito, luomo che mette se stesso al servizio degli altri nella consapevolezza che insieme si possa ottenere di meglio e di pi anche se questo meglio e questo di pi corrisponde a qualche
rinuncia personale. la traduzione sui luoghi di lavoro di quel concetto di
bene comune che lessenza stessa di una convivenza che si svolge secondo principi di democrazia e di libert. , insomma, la condizione essenziale per la sopravvivenza di quegli organismi di rappresentanza che
puntano a dare risposte alle domande che la vita pone quotidianamente. E
il rifiuto di quegli istinti animali che sono propri del liberismo pi sfrenato e piratesco. Non un caso che uno come Buozzi sindacalmente nasca
in un periodo come quello, linizio del Novecento, nel momento in cui lindustria comincia ad assumere in un Paese come lItalia, agricolo e largamente arretrato, diffusamente analfabeta, un ruolo decisivo. Un industria
che, a sua volta, cerca di aumentare la produttivit proprio attraverso forme
di organizzazione collegate alle trasformazioni tecnologiche. Unorganizzazione che ha come obiettivo lo sfruttamento migliore in termini di profitto
del progresso delle macchine.
Lo ha scritto con efficacia Piero Boni: Di questa capacit dellorga628

LUI E NOI

nizzazione, della necessit e dellefficacia di essa come strumento per questi


obiettivi, stata certamente espressione significativa e valida lopera di Bruno
Buozzi, che compare sulla scena sindacale nel momento in cui il sindacato e
la lotta di classe escono dallinfantilismo, ed il proletariato industriale entra
nella fase della sua organizzazione in sintonia con il decollo della struttura
economica ed industriale del Paese. Di questo passaggio protagonista la
classe operaia e soprattutto i lavoratori metallurgici. In questi primi anni del
900, infatti, se nelle campagne del Mezzogiorno il sindacato resta prevalentemente alla fase, pur significativa ed importante, della protesta, nei centri
industriali del Nord esso compie questo progresso qualitativo. Tale progresso
non pu e non deve essere valutato oggi come unazione parziale o riformista
nellaccezione deteriore..., quanto invece come acquisizione crescente della
consapevolezza che, senza lintervento costante e concreto del sindacato sui
problemi della condizione di vita dei lavoratori e dellorganizzazione del lavoro, non si sarebbero potute creare in quello stadio di sviluppo industriale
le condizioni per un pi ampio ed incisivo sviluppo della lotta di classe3.

Benvenuto e Viglianesi hanno coltivato nella Uil il messaggio di Buozzi

629

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

27.1 Nella societ della frammentazione

In qualche maniera quella trasformazione dellinizio del secolo


scorso, finisce per ricordare le trasformazioni in atto allinizio di questo
millennio. Non nei modi, nelle forme, nemmeno nei contenuti. Ma nella
tumultuosit e anche in una certa culturale inafferrabilit, qualche elemento
di identit (pi che di identificazione) possibile cogliere. chiaro che la
situazione oggi enormemente diversa. Buozzi sapeva bene a chi parlava,
a chi si rivolgeva. Lo sapeva a tal punto che aveva maturato la consapevolezza che una qualsiasi lotta sindacale si doveva basare sulla conoscenza
della realt, soprattutto sulla conoscenza dei problemi per poter trattare al
tavolo dei padroni non solo con competenza ma anche con cognizione
di causa. Non si trattava di sapere solo una parola in pi della controparte.
Ma di saperla anche utilizzare al momento giusto e nel contesto appropriato.
La lotta non poteva essere condotta a tentoni: gli occhi dovevano essere
bene aperti e insieme agli occhi dovevano essere aperte le menti, allenate
al progresso e alle trasformazioni che dal progresso derivavano. E questo
per prevedere i problemi e definire in anticipo le rivendicazioni e le contropartite. Scriveva ancora Piero Boni: Allesigenza dellorganizzazione
corrispondeva fin dallora lesigenza da parte del sindacato di una adeguata conoscenza delle reali condizioni di lavoro, al fine di elaborare e
sviluppare una azione efficace per il loro miglioramento. Questo non era,
allora come oggi, tecnicismo: un sindacato preparato condizione per il
successo, giacch non si realizzano conquista e avanzamento partendo da
rivendicazioni sbagliate o demagogiche, e peggio ancora astratte.
Cercare elementi di contatto tra quel che accade oggi e quel che accadeva un secolo fa , ovviamente, impossibile. Eppure ci sono degli insegnamenti da trarre. Il lavoro di Buozzi era pi semplice. Lui operava in una
societ che stava uscendo dallindividualismo del lavoro agricolo per proiettarsi in quella concezione collettiva, aggregata che legata allindustrialismo. Nascevano le grandi fabbriche, luoghi che riunivano prima decine,
poi centinaia, quindi migliaia di lavoratori. Non erano microcosmi frammentati, ma veri e propri piccoli mondi a parte che sommandosi costruivano
un mondo grande. Cera, insomma, un luogo fisico in cui si produceva e ci
si ritrovava. In quel luogo, si riducevano quasi si annullavano, le differenze;
le culture si confondevano, le origini territoriali perdevano valore, persino
630

LUI E NOI

i dialetti finivano per fondersi in un linguaggio comune che aveva una sua
grammatica e una sua sintassi che si modellava sui problemi e sui bisogni
condivisi. Un universo umano ampio, ricco, sicuramente complesso ma che
si poteva organizzare piuttosto agevolmente perch gi riunificato dalle
condizioni materiali del processo produttivo.
Nel nuovo millennio si prodotto un processo inverso: dai grandi
luoghi collettivi si tornati alle individualit. Le grandi fabbriche sono diventate sempre pi piccole e disperse non pi su un territorio che si identificava coi confini nazionali, ma allinterno di un pianeta estremamente
vasto (seppur ormai inadeguato a soddisfare le esigenze dei suoi abitanti
come le statistiche sulla povert confermano quasi quotidianamente), in cui
le regole differiscono da un posto a un altro, i linguaggi hanno alfabeti profondamente diversi e le culture sono figlie di una evoluzione cos variegata
da suscitare paure (agevolmente manovrate da forze politiche che considerano la diversit un rischio e non una ricchezza), il colore della pelle un
segno identitario insormontabile, una sorta di nuovo confine che si aggiunge a quelli geografici del passato che, nel frattempo, si sono allentati
producendo per forza di cose un mondo pi aperto (pi negli affari che nelle
dinamiche sociali). Quella umanit che nel mondo di Buozzi cercava occasioni per diventare collettivit, oggi va alla ricerca di indizi, anche piccoli,
per restringere lorizzonte, esaltandosi nella logica del noi contrapposto
al voi.
Probabilmente conoscere non basta pi perch la conoscenza deve
essere valorizzata attraverso luso di un altro strumento: la comprensione.
Non basta pi sapere di cosa si parla, bisogna anche sapere a chi si parla e
con chi si parla. Oggi Buozzi probabilmente avrebbe molte occasioni per
polemizzare con gli esteti della protesta, con i funamboli dellurlo continuo, con la pochezza di coloro che faticano a pensare con la propria testa
ma, in compenso, si ritengono capaci di pensare con quella di tutti gli altri.
Farebbe fatica a comprendere un Paese, una societ che produce quotidianamente rivendicazioni disperdendole, per, in mille rivoli, cronicamente
impossibilitata a dare alle richieste i caratteri della compiutezza. Eppure,
cos come Buozzi seppe trovare allora le forme nuove per rappresentare
una umanit che veniva aggregata dai nuovi sistemi di produzione, allo
stesso modo la sfida del sindacato oggi consiste proprio nel compiere lope631

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

razione inversa: dare un significato unitario alla multiformit, consegnare


un fiume a questa massa enorme di affluenti, garantire un luogo in cui
lanarchismo dei bisogni diffusi e insoddisfatti si trasforma in una forma
di lotta non pi di una sola classe ma di tante classi, tutte, comunque, accomunate, anche a loro insaputa, da un destino.
Le difficolt del sindacato nascono alla met degli anni Ottanta
quando non riesce a cogliere la trasformazione sociale in corso nel paese,
quando gli sfugge la scomposizione delle classi: continua a parlare a un operaio-massa che non esiste pi, che gi vittima della polverizzazione dellapparato produttivo e che sta per diventare vittima anche della
delocalizzazione. Erano anche gli anni in cui nascevano le teorie sulla scomparsa del lavoro. Ma il lavoro non scomparso, semplicemente diventato
diverso. Al pari di Buozzi, il sindacato si ritrova oggi a fare i conti con questa
diversit, a rimettere insieme i pezzi di un mosaico che tanto vasto quanto
frantumato. Lorganizzazione che Buozzi aveva messo al servizio della
classe operaia nascente oggi non funziona pi e corre contemporaneamente
due rischi: il burocratismo e lirrilevanza politica. sintomatico il fatto che
in un Paese come lItalia, attraversato da fenomeni ampi e diffusi di disagio,
il rivendicazionismo si sia manifestato (peraltro in forme a volte inaccettabili, altre volte democraticamente preoccupanti) nelle modalit pi svariate
ma solo di rado sia riuscito a incrociarsi con quella sindacale che, da questo
punto di vista, dovrebbe vantare quasi il monopolio. Ed stata forse questa
scarsa presenza che ha indotto i partiti, anche quelli amici, a ritenere secondario il rapporto con il sindacato. Tutto ci ha prodotto un paradosso: da un
lato le forze politiche hanno dichiarato la loro indifferenza nei confronti
delle organizzazioni sindacali, dallaltro nellimmaginario collettivo, proprio
per leccesso di burocratismo, per il loro barricarsi nel vecchio Palazzo pasoliniano, i sindacati hanno finito per essere associati proprio a quel sistema
di partiti. Probabilmente se Buozzi ora fosse vivo, non si porrebbe solo il
problema della conoscenza: porrebbe la questione dellascolto e proverebbe
a immaginare una organizzazione pi diffusa sul territorio, con meno palazzi
e pi gazebo, meno vertici a palazzo Chigi e pi incontri alle Vele o a Tor
Bella Monaca o ai Tamburi, con meno passerelle televisive e pi passeggiate
sui marciapiedi dove si pu ritrovare la vita di quelle persone che altrimenti
con il sindacato non riuscirebbero ad avere alcun momento di contatto.
632

LUI E NOI

Quanto tutto questo sia complicato lo ha spiegato Guy Standing illustrando lattuale divisione in classi: In linea di massima, tenendo conto
che in alcune parti del mondo permane il sistema di classe tradizionale,
possiamo distinguere sette gruppi. Al vertice vi una lite composta da un
ristretto numero di super-ricchi, di cui possibile leggere i nomi sulle liste
di Forbes, che costituiscono la crme de la crme in grado di influenzare,
grazie ai miliardi che posseggono, le scelte politiche di qualsiasi governo,
per quanto non siano alieni dal fare talvolta gesti munifici e filantropici. Al
secondo posto, abbiamo la classe dei salariati, i detentori cio di lavori stabili a tempo pieno e indeterminato, pochi sperano di ascendere alla superlite, mentre altri, la maggioranza, si accontentano di godere dei vantaggi
della propria condizione, dalla previdenza sociale alle ferie retribuite, ai
benefit aziendali, spesso sovvenzionati dallo Stato. I salariati sono presenti
soprattutto nelle grandi imprese e nella pubblica amministrazione. A loro
vicini, in pi sensi, vi un gruppo minore di proficians o tecnoprofessionisti;
lespressione nasce dallunione dei due termini pi tradizionali, technicians
e professionals, e designa coloro che, dotati di competenze spendibili sul
mercato, ne ricavano, lavorando a termine, alti guadagni in veste di consulenti o lavoratori autonomi. Ricordano un po i cavalieri di ventura del Medioevo: a guidarli sono laspettativa e il desiderio di spostarsi di continuo
senza il minimo interesse per un lavoro a tempo pieno e indeterminato, al
servizio di ununica azienda. Un rapporto di lavoro regolare non fa per
loro. A un livello inferiore di costoro, sul piano del reddito, figura poi un
nocciolo in declino costante di lavoratori manuali, la vecchia guardia della
classe operaia. I sistemi di welfare state erano nati per loro, cos come i
sistemi di regolazione dei rapporti di lavoro. Le masse dei lavoratori dellindustria che formavano i movimenti operai, tuttavia, si sono al giorno
doggi ridotte di molto e hanno perduto il senso di solidariet sociale che
faceva loro da collante. Al di sotto dei quattro gruppi appena menzionati,
abbiamo finalmente il precariato in piena crescita e, al suo fianco, lesercito dei disoccupati, seguiti a distanza da emarginati e disagiati a cui restano gli avanzi4. evidente che alla gran parte di queste classi (ma non
escluso che nel frattempo se ne siano aggiunte altre) il sindacato pu parlare. Ma rispetto allepoca di Buozzi ha due problemi: come raggiungerle
e con quale lingua dialogare. evidente che se il sindacato si accontenta
633

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

di rappresentare gli occupati, si condanna oggi a limitare la sua azione in


un recinto estremamente ristretto. Buozzi fu capace di uscire dal recinto
del sindacato di mestiere per provare a costruire il sindacato di industria.
Ora, probabilmente, ci vuole un sindacato di societ, agile e capace di rincorrere quelle varie classi nei luoghi in cui lavora e vive o, non avendo lavoro, sopravvive, spesso in maniera isolata, in piccole monadi
apparentemente chiuse. Apparentemente perch, poi, il disagio colpisce
tutti e la risposta di tipo individualistico non funziona o, almeno, fino ad
ora non ha funzionato.

27.2 Da Roosevelt ai giorni nostri

Poi si tratta di vedere il come. Buozzi usava un linguaggio unico;


poi arrivato il linguaggio delle categorie; la societ polverizzata oggi obbliga a moltiplicare ancora di pi i linguaggi. Basta fermarsi un attimo sulla
proliferazione delle tipologie contrattuali: ogni formula produce una sottocategoria, ogni sottocategoria portatrice di bisogni propri, ogni bisogno
aggregandosi si esprime con una lingua diversa. Ricomporre non agevole
ma un sindacato ha un senso se riesce ad alimentare un vincolo di solidariet. Negli anni, questo vincolo, si , come dice Standing, profondamente
allentato. La societ del consumo ha fatto prevalere le spinte individuali su
quelle solidaristiche, la soddisfazione del bisogno immediato attraverso
lacquisto (spesso inutile) sullidea di un progresso sociale continuo, equilibrato e per tutti vantaggioso.
Quel bisogno di apertura che ispir Buozzi, oggi pu essere fonte
di ispirazione: solo parlando con tutti in tutte le lingue del mondo si pu
immaginare di recuperare quella logica solidaristica che nei momenti pi
bui stata anche per la societ italiana una ciambella di salvataggio. Il sindacato italiano oggi su una linea di confine simile a quella su cui si ritrov
Buozzi quando assunse la guida della Fiom. Una condizione descritta in
maniera molto efficace, quarantanni fa, da Piero Boni: Egli rappresenta
di questa storia un momento di riferimento essenziale, situata come la sua
azione al centro del processo di transizione che vede il sindacato muoversi
dalla fase confusa delle origini alla fase della sua cosciente organizzazione.
Con questo processo la lega sindacale, nelle citt e nelle campagne, lasciava
dietro di s lormai superato mazzinianesimo e il barricadiero infecondo
anarchismo, per ritrovarsi nel nascente ed affermantesi socialismo marxista,
634

LUI E NOI

passando dalla protesta rivendicativa valida quanto generica ed indiscriminata allazione sindacale concreta e feconda.
In qualche misura la societ italiana si ritrova nella stessa condizione:
la replica continua di una protesta rivendicativa fondata, per le condizioni di
vita reali delle persone, e inconcludente perch incapace di definire un progetto organico di societ nuova, pi libera perch pi equa; una protesta rivendicativa che si sviluppa caoticamente in quel vuoto di rappresentanza

Buozzi analizza il New Deal di Roosevelt in un articolo de lOperaio Italiano

635

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

creato dalla crisi dei corpi intermedi, gli unici che (al di l di certi frettolosi
becchini delle antiche articolazioni democratiche) possono rivestire la nuda
rivendicazione con labito di una visione. Il guaio, semmai, costituito dal
fatto che al crollo delle ideologie non ha fatto seguito il risorgere di idealit
e se ai tempi di Buozzi il marxismo proponeva una speranza, ora nel nulla
galleggiano i sacerdoti del populismo, del nuovo un tanto al chilo, dellindifferenza tra destra e sinistra che in questo paese, vale la pena ricordarlo,
stata predicata in altri tempi producendo risultati infausti. Per un Ventennio.
La modernit di Buozzi consisteva, allora, nella capacit di guardare
con interesse e attenzione ai fenomeni nuovi, anche a quelli che non venivano partoriti nel suo campo politico. Su lOperaio Italiano il 29 luglio
del 1933 pubblicava un commento sulle scelte del New Deal che sono la
conferma di questa sua elasticit di analisi. Scriveva: La repubblica del
dollaro sta tentando un esperimento di ricostruzione economica che i lavoratori hanno il dovere di seguire colla massima attenzione... I due rami del
Parlamento hanno votato una Legge per la ricostruzione nazionale (National Industrial Recovery Act - per abbreviazione Nira) e poi concesso
a Roosevelt i pieni poteri sia per lapplicazione di questa Legge, sia per la
applicazione della Farm Act, vecchia legge per la organizzazione della
produzione agricola... Le aziende di ogni industria sono invitate a stabilire
un codice di concorrenza leale. Questo codice, una volta approvato dallautorit federale cio da Roosevelt e dai suoi dodici consiglieri diventer Legge per tutte le aziende. Qualora le aziende non riescano a mettersi
daccordo, il codice potr essere imposto dallautorit federale. I trasgressori del codice potranno essere puniti con forti ammende e persino col carcere... Il codice non deve soltanto fissare le condizioni della concorrenza
fra le aziende di ogni industria. I contingentamenti della produzione e la
fissazione dei prezzi normali. Esso deve obbligatoriamente determinare i
salari minimi e il massimo delle ore di lavoro. La Nira prevede inoltre
delle larghe garanzie per gli operai. Riconosce la libert di organizzazione
e garantisce alle unioni sindacali il diritto di negoziare collettivamente le
condizioni di lavoro... La sera del 21 luglio, servendosi della radio, ha rivolto (Roosevelt, n.d.a.) un discorso al popolo americano nel quale ha affermato che il patto da lui proposto agli imprenditori, per ridurre le ore di
lavoro ed aumentare i salari, una necessit nazionale e un dovere patriot636

LUI E NOI

tico... Una cosa per il momento certa: che il principio della propriet privata, inteso nel senso classico, sottoposto a un attacco che per limportanza del paese in cui si verifica, e per lampiezza e la vigoria con cui si
svolge, non ha precedenti, anche se determinato da fini di conservazione.
Lesperimento di Roosevelt quindi straordinariamente interessante e merita di essere seguito dai lavoratori colla massima attenzione5. Mentre
Roosevelt cercava di redistribuire la ricchezza per rilanciare la domanda
interna, in quegli stessi anni in Italia accadeva lesatto contrario. Qualche
giorno dopo larticolo di Buozzi, esattamente l8 agosto del 1933, sui Quaderni di Giustizia e Libert, veniva pubblicata una analisi di Vittorio Foa
sulla politica economica del regime (lo scritto stato riproposto dalla Fondazione Giacomo Brodolini in un quaderno di Economia e Lavoro nel
2011). Foa sottolineava come il fascismo avesse spostato il peso dellimposizione da quella diretta a quella indiretta che finisce normalmente per
gravare sui redditi pi bassi: Nel bilancio preventivo 1932/33 il gettito delle
imposte indirette supera il 54% della entrata complessiva, percentuale veramente spaventosa che si avvicina a quella di certi ordinamenti tributari della
met del secolo scorso, che riempivano di orrore e di sdegno tutti gli economisti
e gli uomini politici del mondo civile. Rispetto al 1913 le imposte indirette sono
decuplicate mentre quelle dirette sono solo sestuplicate. Il suo lascito proprio questa disponibilit non semplicemente a guardare avanti, ma anche a
guardarsi attorno, a non farsi condizionare dai paraocchi del dogmatismo,
cercando di capire quel che di nuovo e di buono si agita in altri contesti.
Forse in questo lo aiutava quellanima riformista (un riformista
nellanimo, aveva scritto Di Vittorio, nel contesto di un discorso che, per,
non era elogiativo) molto particolare che lo portava ad avere un dialogo
con tutti, senza rinunciare alle sue posizioni di principio (da questo punto
di vista, la lettera a Villani contenente il no a Mussolini che lo voleva in
qualche maniera cooptare, anzi circuire nella nuova forma sindacale corporativa rappresenta uno straordinario esempio di coerenza), ma anche
senza precludersi la possibilit di arricchire e aggiornate la sua strumentazione di dirigente politico. Aveva il coraggio dei pionieri, non lincoscienza
degli idioti, quel coraggio che induceva proprio Roosevelt in quegli anni
ad affermare, davanti al deserto economico prodotto dalla crisi del 1929,
dal crollo di Wall Street: Non c nulla di cui aver paura se non della paura
637

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

stessa. O ancora: La felicit non consiste esclusivamente nel possesso del


denaro; essa si concreta nella gioia del raggiungimento di uno scopo, nellemozione data da ogni sforzo di creazione. Nella folle rincorsa dietro profitti evanescenti non si deve mai dimenticare la gioia e lo stimolo morale
prodotti dal lavoro... Noi affrontiamo i difficili giorni che ci attendono, col
vivo coraggio derivante dalla nostra unit nazionale, con la chiara coscienza
di voler perseguire e ritrovare gli antichi e preziosi valori morali, con la netta
soddisfazione proveniente dal compimento del proprio dovere da parte dei
giovani e dei vecchi6.
la stessa elasticit di elaborazione che ha consentito ai socialdemocratici tedeschi di diventare pienamente partito di governo attraverso il
programma di Bad Godesberg. Quando venne adottato, Buozzi non cera
pi ma probabilmente si sarebbe ritrovato in affermazioni come queste: Il
socialismo democratico, che in Europa affonda le proprie radici nelletica
cristiana, nellumanesimo e nella filosofia classica, non ha la pretesa di annunciare verit supreme e ci non per mancanza di comprensione, n per
indifferenza riguardo alle diverse concezioni della vita o verit religiose,
bens per rispetto delle scelte dellindividuo in materia di fede, scelte sul
cui contenuto non devono arrogarsi il diritto di decidere n un partito politico, n lo Stato. Il Partito Socialdemocratico tedesco il partito della libert dello spirito. Esso composto di uomini provenienti da diversi indirizzi
religiosi ed ideologici, uomini la cui intesa si fonda sulla comunanza dei
valori etici fondamentali e sulla identit degli obiettivi politici. Daltro
canto, Turati, il maestro di Buozzi, dal revisionismo marxista tedesco
(Eduard Bernstein) era stato contagiato. E, in larga misura, nello stesso
Patto di Roma (a cominciare dalla bozza messa a punto proprio dal segretario della CGdL) quei riferimenti allabbattimento di qualsiasi pregiudiziale religiosa sono chiari e lucidamente affermati. Senza sforzo alcuno
avrebbe anche sottoscritto questo secondo passaggio del programma di Bad
Godesberg: I sindacati lottano per una giusta partecipazione dei lavoratori
al prodotto sociale e per il diritto ad intervenire nella determinazione del
processo economico e sociale. Essi lottano per una maggiore libert e trattano in qualit di rappresentanti di tutti i lavoratori. Essi hanno perci una
importante funzione nel continuo processo di democratizzazione. Un grande
compito dei sindacati quello di far s che ogni lavoratore possa diventare
638

LUI E NOI

un efficiente collaboratore e che egli possa utilizzare tale capacit. Gli operai
e gli impiegati, che apportano un contributo decisivo alleconomia, sono stati
finora esclusi da una efficace cogestione. La democrazia postula per tale
partecipazione nelle imprese e nelleconomia in generale. La cogestione
dellindustria siderurgica e carboniera linizio di un rinnovamento dellordinamento economico e dovr svilupparsi ulteriormente per sfociare in
unorganizzazione democratica della grande industria. Si dovr garantire la
cogestione dei lavoratori, su un piano di eguaglianza, negli organi di amministrazione autonoma delleconomia. La politica sociale deve stabilire le premesse essenziali perch il singolo possa affermarsi liberamente nella societ
e impostare in autonoma responsabilit la propria vita. Situazioni sociali che
conducono a difficolt individuali e collettive non devono essere considerate
inevitabili e immutabili. Il sistema di sicurezza sociale deve essere commisurato alla dignit delluomo consapevole delle proprie responsabilit7.
Giovanni Spadolini dopo aver definito Buozzi appassionato e coerente
apostolo per la nascita di un movimento sindacale volto alla difesa ed allampliamento della democrazia, sottolineava: Prampoliniano nel cuore,
egli fu turatiano nel progetto politico... convinto che solo attraverso la via
delle riforme la sinistra politica e la sinistra sindacale potessero trasformare
profondamente lo stato liberale, al di fuori di ogni massimalismo, senza
quella fuga nellutopia che egli durante lesperienza delloccupazione delle
fabbriche intravide nel mito dei Consigli di Fabbrica, come organi di completo autogoverno degli operai, anche se non manc di porsi in una via di
equidistanza tra DAragona e Gramsci8. Probabilmente la lettura di un
personaggio solo apparentemente semplice, non si pu esaurire nel suo riformismo che, comunque, fu anche caratterizzato da elementi di atipicit.
Alla lettura bisogna aggiungere quello che sottoline sempre nello
stesso convegno a cui intervennero Spadolini e Vassalli, Luciano Lama:
Io credo che Bruno Buozzi sia stato un sindacalista che aveva lambizione
di fare politica restando sindacalista. Questa una delle caratteristiche
peculiari del movimento sindacale italiano che Buozzi ha contribuito a valorizzare. Un sindacato, cio, che non si appaga di fare contratti, di trattare
dei salari, che cerca di esprimere le esigenze di quella parte fondamentale
della societ civile, che lui stesso chiamava proletariato, e che tuttavia non
si limita ad esprimere singolarmente, specificamente queste rivendicazioni,
639

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

si sforza di stabilire una connessione fra queste esigenze primordiali ed i


problemi della crescita della societ9. Ma offriva, il segretario della Cgil
anche una chiave interpretativa postuma della dialettica tra Buozzi e Di
Vittorio: C stato certamente un dibattito tra lui e Di Vittorio, fra una concezione strutturata essenzialmente sulle categorie organizzate e quella pi
tipica di Di Vittorio, che considerava il sindacato unorganizzazione di lavoratori. Questa discussione ha prodotto una soluzione di compromesso
nella prima Confederazione generale italiana del lavoro, che voleva essere
una sorta di sintesi ma che lo era solo in parte. Credo, per, che tutte e due
le posizioni si giustificano, hanno una loro radice nella storia degli stessi dirigenti che erano portatori di queste due diverse concezioni della struttura
del sindacato. Bruno Buozzi era un dirigente di operai occupati, metallurgici,
come si diceva allora, e considerava che il problema fondamentale del movimento sindacale fosse quello di occuparsi anche daltro che dei problemi
dei contratti e dei salari e degli orari di lavoro... Di Vittorio veniva da unaltra esperienza. Il suo mondo era il mondo dei braccianti, dei disoccupati,
della gente senza lavoro, ed era difficile per lui persino concepire un sindacato che non fosse espressione della moltitudine della povera gente. Era questa lesperienza di Di Vittorio, dalla quale lui trasse questa concezione nella
quale, naturalmente, si dava pi peso alle strutture territoriali, pi facile
espressione appunto dellinsieme di questi lavoratori, mescolati tra di loro,
un po occupati, un po disoccupati, sempre alla ricerca di una soluzione per
la giornata, rispetto allesperienza ed alla tradizione da cui veniva Bruno
Buozzi, che era espressione di un altro proletariato10.
Ma poi Lama si interrogava su cosa sarebbe potuto avvenire se
Buozzi non fosse stato ucciso dai nazisti: avrebbe retto, con lui al timone,
la Confederazione unitaria? Rispondeva: Io sono portato a pensare che la
fragilit dellunit sindacale, realizzata nel 1944, fosse talmente grande da
rendere forse impossibile a qualsiasi uomo, per quanto capace, dotato ed
autorevole e convinto, una difesa con successo dellunit sindacale, perch
in realt il Patto di Roma fu figlio di unepoca, di un momento storico, di un
momento di alleanze politiche tra i partiti antifascisti. Essendo il Patto di
Roma figlio di quella alleanza, forse nessuna forza umana avrebbe potuto
difenderlo con successo11. Lama parlava in una fase di crisi dellunit sindacale e, partendo da Buozzi, provava a lanciare una proposta per il futuro:
640

LUI E NOI

Oggi siamo in un momento difficile, c stato qualcuno che ha detto: La


Federazione (unitaria Cgil, Cisl, Uil, n.d.a.) morta. S, morta, ma qui si
tratta di sapere se non possibile far nascere una cosa vitale, cio che corrisponda al tempo di oggi, alla situazione di oggi, e che rappresenti lunit
vera, reale, partendo da un ruolo del sindacato che a me pare non stato
messo in discussione da nessuno, e che grosso modo pu richiamarsi... senza
tradire la verit storica ad indicazioni concrete che sono state fornite dallo
stesso Buozzi nel modo di definire il sindacato ed il suo ruolo nella societ12.
Lama, in realt, per sensibilit politiche era decisamente vicino a
Buozzi, rappresentava quel filo rosso del riformismo che allinterno della
Confederazione era sopravvissuto, che non coinvolgeva solo la minoranza
socialista ma che riguardava anche altri pur non potendo essere ancora negli
anni Ottanta apertamente evocato. Cos come lanelito unitario finiva per
renderli, seppur in epoche diverse, decisamente affini. Buozzi non ha potuto
vedere lalba del Patto di Roma, unalba che lui aveva preparato in quella
parentesi che va dal 25 luglio all8 settembre del 1944. Ha scritto un altro
grande esponente sindacale, Vittorio Foa: Il giudizio prevalente su questi
quarantacinque giorni negativo soprattutto per limperizia con la
quale fu trattato larmistizio con i vincitori anglo-americani. Invece giusto riconoscere che in politica interna furono poste premesse significative
per il futuro del paese. Le Confederazioni sindacali fasciste furono lasciate
in vita ma date da amministrare a esponenti sindacali antifascisti e proprio,
singolare preveggenza, a un socialista (Bruno Buozzi), a un comunista
(Giovanni Roveda) e a un democristiano (Achille Grandi); il personale fascista fu congedato e sostituito, i commissari diedero subito alle organizzazioni unimpronta di unit sindacale antifascista13. In realt non si tratt
di preveggenza cos come la distribuzione degli incarichi a esponenti delle
tre grandi correnti politiche che avrebbero dato vita al Patto di Roma non
fu frutto del caso ma della scelta che venne compiuta da Buozzi che riusc
a imporla a Leopoldo Piccardi e, soprattutto, a Badoglio e al re.
In un momento come questo, in cui tante certezze sembrano essere
cadute, vale la pena interrogarsi sulleredit che al sindacato ha lasciato
Buozzi. Sono probabilmente ancora validissime alcune analisi che trentaquattro anni fa, in un convegno organizzato dalla Uil, svilupparono Leo
Valiani e Sergio Turone. Per Valiani, Buozzi era luomo del sindacato in641

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

dustriale in un paese in cui il sindacato per anni era stato artigiano o soprattutto agricolo, luomo che conciliava la forte organizzazione... con la
consultazione della base, con la democrazia sindacale. E luomo dellunit,
ma non dellunit indistinta, ma lunit con degli ideali di democrazia e di
progresso sociale, ideali che se fossero infranti lunit stessa non avrebbe
ragion dessere. E Turone, a sua volta, nel sottolineare latipicit di Buozzi
come leader riformista, capace, pur non avendo mai avuto cedimenti nei
confronti dei comunisti, di contrapporsi a Modigliani che chiedeva lespulsione di Nenni dopo il Patto Molotov-Ribbentrop per la sua eccessiva accondiscendenza nei confronti del PCdI, indicava nellanelito unitario il
lascito ereditario del leader: Unit nelle differenze, unit magari nel dissenso, ma unit il pi possibile.

27.3 Riformismo, marxismo e socialismo

Infine, come direbbero gli inglesi, last but not least, ultimo ma non
per questo meno importante: oggi un uomo schiettamente di sinistra come
Buozzi si dichiarerebbe ancora riformista e marxista allo stesso tempo? E
quali connotati avrebbe il suo marxismo o, di converso, il suo riformismo
in una societ che ha visto i gulag, lImpero Sovietico, Budapest, Praga,
Nagy, Dubceck, il tradimento delle speranze prodotte dalla Rivoluzione di
Ottobre? Forse la risposta in alcuni scritti di Norberto Bobbio. Si chiedeva
il filosofo: Marx morto? Rispondeva: Vivo, certo, per il fatto che nessuno oggi pu prescindere da Marx. Ma, aggiungeva, vivo non pu dire
valido(14). Anni prima, parlando di Carlo Rosselli, Bobbio aveva spiegato
la differenza tra la sinistra non marxista e quella marxista: Luna e laltra,
sia quella democratica, sia quella totalitaria, derivano sostanzialmente da
Marx... Dal punto di vista ideologico... entrambe le correnti... pongono
come fine dellazione politica, sia democratica sia totalitaria, lattuazione
di una societ socialista... la meta finale di una societ senza classi... e siccome non ci saranno pi classi non ci sar neppure pi bisogno di quello
strumento fondamentale di un dominio di una classe sullaltra, che lo
Stato. Ma, continuava Bobbio, le classi non potranno mai essere abolite
e quindi non potr essere abolito neppure lo Stato. Conclusione: Noi
dunque diciamo socialismo, ma il socialismo in funzione di una maggiore
libert. Dunque, socialismo non come meta finale, ma socialismo come
642

LUI E NOI

strumento, come un possibile strumento di maggiore libert umana... Questo il nostro socialismo: il socialismo dei lavoratori che lottano per la libert... Il nostro socialismo un socialismo che va al di l del socialismo
marxista: comprende i presupposti del socialismo marxista, ma li integra
con quella esigenza fondamentale di cui luomo non pu non tener conto
ed lesigenza della libert(15). Questa elaborazione teorica avrebbe potuto
combinarsi perfettamente con lidea di trasformazione sociale che coltivava
il leader della CGdL.
E di tutto ci, la conferma, per vie traverse, arriva dallautorevole
voce di un contemporaneo di Buozzi, Carlo Rosselli (a cui si ispirava Bobbio), il quale parlando delle varie fasi del marxismo e delle timidezze del
riformismo, sottolineava: Nel sistema marxista la sfera di azione utile assegnata al sindacato ristrettissima. In tutta Europa, esclusa lInghilterra
dove il partito sorse come espressione politica delle Trade-Unions, si verific sin dagli inizi un contrasto tra i partiti e i sindacati, a spese apparentemente del moto sindacale che si volle subordinare al partito, ma in realt
a tutto danno dei partiti che si videro costretti a conciliare linconciliabile:

Carlo Rosselli (foto in basso col


fratello Nello alla sua destra) e
Norberto Bobbio (foto in alto)
fornivano interpretazioni del
socialismo coniugabili con lidea di
attivit sindacale che coltivava
Bruno Buozzi

643

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

cio il momento pratico col teoretico, il semplicismo messianico del loro


programma finalistico e la pratica intransigente della lotta di classe, con i
quotidiani fenomeni di transazione e di collaborazione... In sostanza il movimento sindacale non ha mai aderito al programma e, pi che al programma, allo spirito e alla forma mentis marxistica. Di tutte le tesi
marxistiche non ha salvato coi dovuti temperamenti che il principio della
lotta di classe e dellautoemancipazione proletaria. Lanalisi di Rosselli
finiva per sintetizzarsi in un identikit dell organizzatore che richiamava
alla mente proprio Bruno Buozzi. Scriveva: Al posto dei piccoli rivoluzionari, vegetanti nellombra in attesa della crisi finale (del capitalismo,
n.d.a.), sono subentrate le possenti organizzazioni sindacali muoventesi alla
luce del sole, dirette da uomini dal cervello quadro e dalle capacit realizzatrici, che hanno dato il colpo di grazia alle figure romantiche del cospiratore e del rivoluzionario: uomini che, provenendo dalle stesse fila operaie,
si rifiutano ad ogni astratta contemplazione del moto sociale, ad ogni eccessiva idealizzazione delle virt proletarie. Perch il proletariato, dopo
il sorgere del moto sindacale e cooperativo e la conquista delle libert politiche, sente sempre pi chiaramente che non pi vero che abbia tutto da
guadagnare e nulla da perdere da una catastrofe sociale... , in una parola,
il capovolgimento della posizione marxista, ci che gli estremisti chiamano
la degenerazione riformistica dei sindacati(16).
Il sindacalismo italiano ha contratto un debito enorme con Bruno
Buozzi. Lui a tutti gli effetti il Padre del sindacalismo moderno che non
significa che le organizzazioni da lui plasmate allora oggi funzionerebbero
tranquillamente. Significa solo che stato luomo che per primo ha adeguato
il sindacato allItalia che stava nascendo. Lo ha fatto attraversando due
guerre. E dallultima delle due la sua figura fiera, come la defin Vassalli,
non riemersa viva. Perci abbiamo voluto aprire questo libro con i versi
di una canzone (lautore anonimo) che era parte del repertorio di lotta del
sindacato prima di Buozzi, quello delle leghe. Un canto diffuso soprattutto
nelle campagne intorno a Padova, normalmente intonato dalle mondine. Lo
ha reso famoso Bernardo Bertolucci utilizzandolo in un suo film, Novecento.
Un tributo al passato remoto, pensando al futuro, non solo prossimo.

644

LUI E NOI
1

Giuliano Vassalli: Bruno Buozzi, lamicizia, la stima ed il rimpianto di uno straordinario


sindacalista in Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi, commenti, inediti, a cura di Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pag. 214
2
Piero Boni prefazione al libro: Bruno Buozzi, scritti e discorsi Editrice Sindacale Italiana, 1975, pag. 4
3
Piero Boni, Idem pag. 6
4

Guy Standing: Precari. La nuova classe esplosiva Il Mulino 2012, pag. 22-3
Bruno Buozzi: Audace tentativo di ricostruzione economica negli Stati Uniti dAmerica
lOperaio Italiano, 29 luglio 1933 in Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista. Ricordi, commenti, inediti a cura di Angelo Coco, Fondazione Bruno Buozzi 2004, pagg.
105-6-7-8
6
Franklin Delano Roosevelt, discorso di insediamento del 4 marzo 1933 in Giorgio Benvenuto e Antonio Maglie: Il lavoratore ritrovato. La Crisi, il Sindacato, la Classe in cerca
di identit Fondazione Bruno Buozzi terza edizione 2013, pagg. 329-333
7
Programma di Bad Godesberg del 1959 in Giorgio Benvenuto e Antonio Maglie: Il lavoratore ritrovato. La Crisi, il Sindacato, la Classe in cerca di identit Fondazione Bruno
Buozzi, Prima edizione 2013 pagg. 244-5-254
8
Giovanni Spadolini: Bruno Buozzi, indimenticabile leader del sindacalismo riformista
in Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista, Ibidem pag. 203
9
Luciano Lama: Bruno Buozzi, il sindacalista che aveva lambizione di fare politica restando sindacalista in Giorgio Benvenuto: Bruno Buozzi il riformista, Ibidem pag. 207
10
Luciano Lama, Ibidem pag. 207-8
11
Luciano Lama, Ibidem pag. 209
12
Luciano Lama, Ivi
13
Vittorio Foa: Questo Novecento Einaudi 1996, pag. 164
14
Norberto Bobbio: Marx vivo in Scritti su Marx Donzelli 2014, pag. 119
15
Norberto Bobbio: Marxismo e liberalsocialismo. Ibidem pagg. 11-2-3
16
Carlo Rosselli: Socialismo liberale Einaudi 1979
5

645

In questa casa trascorse pensoso ma fidente


il suo confino... I compagni montefalchesi memori
nel primo anniversario del suo eroico sacrificio
(dalla targa a Montefalco)

Immagini di un leader

Limmagine di Bruno Buozzi ha avuto momenti di appannamento ma anche di


grande riscoperta. Nelle foto che abbiamo pubblicato due diverse percezioni
una espressa attraverso un notissimo dipinto, laltra con una creazione giovanile

uesto libro stato costruito con parole e immagini che, alla fine,
rappresentano la testimonianza pi diretta e credibile di chi non c pi,
perch, poi, i giudizi se sono dei contemporanei finiscono per essere condizionati dalla qualit dei rapporti di familiarit, di amicizia o anche di inimicizia; le analisi storiche, per quanto scientifiche, risentono sempre delle
passioni personali di chi le sviluppa, dei punti di vista anche politici che finiscono inevitabilmente per condizionare lobiettivit, senza con questo
mettere in dubbio la buona fede. Il fatto che solo i bambini sono delle lavagne vuote sui cui lesperienza, la vita, scriver nel tempo delle frasi, dei
concetti; chi ha vissuto, al contrario, titolare di una lavagna gi piuttosto
affollata di pensieri e parole (per usare il titolo di una canzone di Lucio
Battisti), non asettico ed anche giusto che tale sia. Lobiettivo era quello
di costruire una storia che riuscisse a lasciare immediatamente delle tracce
in chi sfoglia questo libro e le tracce sono i concetti che ognuno di noi produce nel corso del tempo: nella maggior parte dei casi (quando si anonimi)
restano allinterno della cerchia familiare, alimentando, semmai allinterno
di quella cerchia antichi e mai superati risentimenti personali; in altri casi,
quando si diventa non semplicemente personaggi pubblici, ma protagonisti
della storia collettiva, si trasformano in messaggi che vengono consegnati
ai posteri che mazonianamente saranno chiamati a esprimere lardua sentenza, lasciando a tutti gli altri il pi semplice compito di chinar la fronte
al Massimo Fattor che volle in lui del creator suo spirito pi vasta orma
stampar. Valeva per Napoleone Bonaparte, ma pu valere anche per Bruno
Buozzi.
Ecco perch insieme a Marco Zeppieri abbiamo voluto realizzare
questo libro in una maniera un po diversa rispetto alle altre opere pubblicate dalla Fondazione Bruno Buozzi. Volevamo provare a consegnare im649

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

mediatamente una suggestione al lettore, mettergli a disposizione qualcosa


che potesse aiutarlo a districarsi meglio in questo fiume di parole che abbiamo usato per ricostruire la vicenda umana di quello che sempre stato
uno dei grandi Padri del sindacato anche se in taluni momenti ha corso il
rischio delloblio. Ora che vecchie passioni legate anche a situazioni contingenti e a polemiche del momento, si sono placate, Buozzi ha ritrovato il
suo posto in virt di un consenso unanime. Non stato sempre cos ma,
come diceva il maestro Manzi, rivalutato a furor di fiction televisive, non
mai troppo tardi. E non lo in particolare quando si tratta di restituire a un
personaggio che ha caratterizzato una vicenda storica, il posto che merita,
superando amnesie, ritrosie e, soprattutto, reticenze. La riscoperta di Buozzi
e del ruolo che svolse nel sindacato degli albori e poi in quello che rinacque
dopo il fascismo con il Patto di Roma, pian piano diventato patrimonio di
tutti, dopo essere stato per molti anni patrimonio di aree di minoranza che,
ad esempio attraverso Giorgio Benvenuto, la Uil e questa Fondazione, hanno
tenuto viva la fiamma di un ricordo che non poteva essere disperso.
Volevamo, attraverso questo libro, disegnare un percorso, provare
a ricostruire la strada che ha portato il sindacato sin qui, attraverso le vicende di un uomo protagonista di una grande vita e di una grande tragedia:
ucciso dai nazisti proprio mentre ritornava a sorgere sullItalia lalba della
libert. Abbiamo provato a fare come il bambino della fiaba di Charles Perrault, Pollicino: non abbiamo disseminato il cammino con molliche di pane
pur sapendo di trovare alla fine degli orchi (le SS di Kappler che ammaz-

Nell84 la Uil ricord con la sua tessera i quarantanni dellassassinio di Buozzi

650

IMMAGINI DI UN LEADER

zarono quattordici antifascisti a La Storta), ma di piccole frasi del protagonista (solo in questo ultimo capitolo abbiamo preferito un testo scritto da
altri su di lui, una targa alla sua memoria), che unite al titolo, potessero
dare il senso immediato di quel che avremmo provato a raccontare: abbiamo utilizzato, insomma, le parole di Buozzi per sintetizzare quello che
poi abbiamo sviluppato pi ampiamente. Ma abbiamo voluto aggiungere
anche le immagini confidando nella pazienza di Mariangela Panno, vera

I ringraziamenti di Iole Buozzi alla Uil per la tessera dedicata al padre

651

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

sacerdotessa dellarchivio della Fondazione che ci ha aiutato nella raccolta e nella selezione. E dopo esserci lasciati alle spalle tante molliche di
pane sotto forma di pagine, ora siamo arrivati al traguardo finale.
Lantifascismo e la Resistenza sono state fasi storiche che hanno restituito lonore a un Paese che non sempre si comportato onorevolmente:
siamo figli di troppe storie ma non di una narrazione collettiva; abbiamo
avuto prima di molti altri una lingua e una cultura condivisa e dopo tanti
altri uno stato unitario. Lantifascismo e la Resistenza restano (con il Risorgimento) il momento pi alto di una pratica civile (figlia di una religione civile) che ci regala ancora oggi lorgoglio di essere italiani (insieme
a Dante, Petrarca, Michelangelo, Manzoni, Pasolini, Claudio Abbado e chi
pi ne ha pi ne metta). Bruno Buozzi stato, allo stesso tempo, Padre della
Patria e Padre del Sindacato, ha incarnato, con il sacrificio due ruoli decisamente scomodi, faticosi e anche pericolosi. Pagando con la vita. Lo ha
fatto nella piena consapevolezza delle sue scelte e dei rischi che ne conseguivano, lo ha fatto semplicemente perch ritenne opportuno farlo. Avrebbe
potuto piegarsi come altri (tanti altri in quellItalia in gran parte fascista,
riscopertasi improvvisamente, alla fine, in massima parte antifascista),
avrebbe potuto ispirarsi allitalianit di certi personaggi furbi e cialtroni di
Alberto Sordi (in realt allepoca Albertone era molto giovane, non era un
divo e sbarcava il lunario facendo la comparsa in film storici come Scipione lAfricano e dando la voce a Oliver Hardy), ma rifiut le proposte
di Mussolini, rimase in esilio, and al confino, si dette alla clandestinit

Nell84 un francobollo con Buozzi, Di Vittorio e Grandi ricord il Patto di Roma

652

IMMAGINI DI UN LEADER

venendo prima catturato e poi ucciso. Di molti protagonisti della Resistenza


ci sono giunte le immagini filmate e questo in qualche maniera ce li ha resi
anche pi familiari e accessibili. Ma essendosi chiusa a La Storta la vicenda
terrena di Buozzi, queste immagini scarseggiano. Possiamo solo provare a
immaginarne il carattere e la personalit attraverso le foto che ci sono state
tramandate.
Giuliano Vassalli, come abbiamo scritto nel precedente capitolo, riteneva che limmagine pi significativa, quella che illustrava pienamente la
personalit di Buozzi, fosse in realt un dipinto, ospitato nella vecchia sede
del Psi e che ritrae il dirigente sindacale, tra due SS, uno dei quali intento a
legargli le mani mentre laltro osserva loperazione. In mezzo il dirigente sindacale: busto eretto e sguardo fieramente rivolto in avanti, a un domani che
non sar suo ma che lui, comunque, con il suo sacrificio consegner ai suoi
connazionali. Quel dipinto rappresenta la personalit di Buozzi, la sua coerenza e la sua inflessibilit, quella che traspare, ad esempio, dalla lettera a
Villani ma anche dal discorso contro i pieni poteri a Mussolini. Ma un parto
di fantasia, che non esprime la drammaticit del momento, langoscia di quel
passaggio ultimativo. Ecco perch, forse, appare pi significativo un acquerello dai tratti infantili che riproduce il momento delleccidio mentre nella
mente di Buozzi scorrono come in un film i ricordi della sua vita di sindacalista: il saldatore, la donna dedita alla raccolta del grano. Una immagine semplice e infantile che, per, alla fine raccoglie lessenza vera delluomo.
Come appariva ai suoi avversari, invece, emerge dai documenti
contenuti nellarchivio centrale dello stato, provenienti dal famoso casellario in cui Buozzi era schedato come un pericoloso sovversivo e come
tale spesso sbrigativamente definito comunista (scelta politica pienamente legittima ma che non era quella delluomo che la polizia fascista
stava provando a catturare). , da questo punto di vista, molto istruttiva
una scheda biografica redatta dalla Prefettura di Ferrara il 16 febbraio del
1937 (correva lanno XV dellera fascista). Come era, fisicamente, Bruno
Buozzi? Per lepoca, ad esempio, un uomo piuttosto alto. Infatti, con il suo
metro e settanta si collocava al di sopra della media italiana che, censita
nel 1936 e stabilita sulla base degli iscritti alla leva, si era attestata sul metro
e sessantasei (appena il 2,1 per cento della popolazione superava il metro
e ottanta; Silvio Piola che nel 1938 vinse con la nazionale di calcio il mon653

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

diale era considerato un colosso e non andava oltre il metro e settantotto).


I poliziotti mussoliniani annotavano tutto: dai capelli (castani, lisci, estremamente folti), al viso (rosso, tondo, grosso), dalla fronte (regolare e
retta) alle sopracciglia (castane), dagli occhi (ovali grossi, castani) al
naso (schiacciato e grosso), dallorecchio (regolare e grosso) ai baffi
(rasi folti, castani). Sappiamo anche che la mandibola era sporgente,
le spalle rettangolari e le gambe lunghe. Ma i poliziotti si addentravano
anche nella valutazione dellespressione definita franca e giudicavano
labbigliamento (civile). La descrizione, poi, riguardava dettagli che non
avevano nulla a che vedere con laspetto esteriore. E cos si apprende che
aveva terminato il servizio militare nel 1906 e che diventato sindacalista
si dimostr oratore efficace ed esperto organizzatore, godendo... di incontrastato ascendente nella massa. Di carattere mite, per segu a preferenza
le idee socialiste riformiste, rifuggendo sempre dalle violenze. Il per
esprime una certa sorpresa dei solerti poliziotti: evidentemente una persona
dal carattere mite, a quei tempi, doveva per forza di cose essere allineata al
pensiero dominante, la mitezza appariva non coniugabile con la disponibilit a lottare per un principio.
Poi cera la fierezza, quella che traspare dalle foto che ritraggono
un leader pi studiato nella posa. Sono le immagini che negli anni pi recenti sono apparse sulle tessere di partito e di sindacato. Perch lo volle ricordare il Psi. E nel quarantesimo anniversario della morte, lo volle onorare
la Uil che poi ripropose limmagine anche otto anni dopo nel 1992 . C
una lettera molto bella scritta da Iole. Porta la data del 15 febbraio 1984. In

Nasce la Cisl: dietro


la presidenza le foto
di Buozzi e Grandi

654

IMMAGINI DI UN LEADER

quel periodo Iole viveva in Italia: suo marito, Gilles Martinet, era lambasciatore francese a Roma. Si era ritrovata tra le mani quella tessera con la
foto del padre e cos ringraziava Giorgio Benvenuto: Gentile Segretario
Generale sono stata veramente commossa nellapprendere liniziativa della
Uil di aver riportato limmagine di mio padre sulla tessera del 1984, il quarantesimo anniversario del suo assassinio. La prego di trasmettere a tutti i
compagni di questa organizzazione la mia pi sincera gratitudine. Seguiva
la firma: Iole Buozzi Martinet. Il tutto su carta intestata del palazzo di
Piazza Farnese, quello che ospita lambasciata francese.
Agli inizi degli anni Cinquanta, il ricordo di Buozzi venne coltivato
soprattutto nella Cisl, forse, come dice Emilio Gabaglio, con finalit polemiche nel momento in cui il panorama sindacale italiano tornava a essere
occupato da una pluralit di sigle e quella cattolica puntava a sottolineare
la sua diversit rispetto a quella socialcomunista (o, considerata lepoca,
Frontista). Una cosa, in ogni caso certa: nel 1950 in occasione della nascita della Confederazione al cinema Adriano di Roma (lo stesso in cui
Nenni sei anni prima aveva ricordato il leader sindacale ucciso a La Storta),
dietro il tavolo della presidenza campeggiavano due immagini: quella di
Bruno Buozzi e quella di Achille Grandi. Va anche detto che in quel momento, allinterno della Cisl aveva trovato sistemazione anche unarea socialdemocratica (tre anni prima cera stata la scissione di Palazzo Barberini
guidata da Giuseppe Saragat, allievo e amico del segretario della CGdL)

La busta del 1 maggio col francobollo e lannullo dedicati a Buozzi, Grandi e Di Vittorio

655

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

che reclamava anche un riferimento ideale. Il riferimento, poi, scomparve


col tempo anche perch quellarea politica tra il 1956 e il 1958 abbandon
progressivamente la Confederazione cattolica per trovare accoglienza nella
Uil, organizzazione laica e socialista, quindi oggettivamente pi prossima
al comune sentire di quei sindacalisti.
Comunque sia, anche nella percezione degli avversari, Buozzi appariva una persona equilibrata, poco incline, come lui stesso diceva, ai colpi di
mano improvvisi, alle proteste senza costrutto e senza possibilit di successo.
Poi, oltre allimmagine pubblica, cera quella privata. Un uomo calmo, tranquillo. E tenero. Nel rapporto con le figlie. Con la moglie Rina, come
emerge dalle lettere che abbiamo pubblicato. Come emerge dalla battaglia
che la signora Buozzi ingaggi con lamministrazione comunale di Roma,

La Uil dedic a Buozzi anche la tessera del 92: ecco il manifesto

656

IMMAGINI DI UN LEADER

per poter riposare accanto al suo Bruno al Verano. In maniera anonima,


cio senza una lapide, quasi senza una croce. Perch in quel rettangolo di
terra che ha accolto Buozzi per lultima volta, cera posto anche per lei.
Glielo avevano promesso. In forma anonima ma a lei andava bene anche
cos. Scriveva l8 ottobre del 1957 al sindaco di Roma, Umberto Tupini:
Memore delle sue cortesi parole rivolte a me e alla memoria di mio marito,
Bruno Buozzi, in occasione della recente cerimonia avvenuta al Riq. 5 ( il
posto che accoglie la tomba e il monumento del leader, n.d.a.) del Verano, nel
rinnovarle i miei ringraziamenti, mi permetto di chiederle un grande favore,
che mi darebbe tranquillit nella mia triste solitudine. Vorrei che ella mi facesse rilasciare, sin da ora, lautorizzazione ad essere sepolta nella stessa
tomba ove riposano le spoglie del mio povero Bruno e dove vi il posto.
Una richiesta che Rina Gaggianesi ribadiva due anni dopo, al sindaco
Urbano Cioccetti: Quando nel 1945, lAmministrazione Comunale di allora
decret la concessione dellarea nel riquadro 5 del Verano, per la tomba di
Bruno Buozzi, che fu costruita dalla Confederazione del Lavoro, autorizz
che nella stessa tomba, avrei potuto essere collocata anchio, senza indicare
il mio nome sulla tomba stessa. Questo mi fu detto dai consiglieri di allora,
On.le Canini e Vasco Cesari, ma non ho nessuna autorizzazione scritta. In

Riunione alla Uilm di Taranto nel 1966: la foto di Buozzi alla spalle di Sergio Cesare,
Ruggero Ravenna, Italo Viglianesi, Giorgio Benvenuto e Pasquale Paddeu

657

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

un primo momento, lassessore ai servizi funerari, Borromeo, replic negativamente alla richiesta (Non pu essere suscettibile di accoglimento in
quanto, come risulta dallunita copia di deliberazione, larea di mq. 2,50...
fu concessa esclusivamente per la tumulazione della salma di Bruno
Buozzi). Ma poi il sindaco cap che la questione non si poteva risolvere
con le carte da bollo e fece sapere, il 12 novembre del 1959, che sarebbe
stata estesa la concessione per la sepoltura della salma di Bruno Buozzi
nel senso che sia consentita sin dora la tumulazione nella stessa tomba
della consorte dello scomparso. Un impegno che lamministrazione comunale di Roma mantenne quando il 21 ottobre del 1969 Rina Gaggianesi
mor. Anche se ci vollero due deliberazioni, una della giunta e una del consiglio comunale. Per diverso tempo, la signora rimasta l anonima, accanto
a suo marito. Poi qualche anno fa la Fondazione Bruno Buozzi e la Uil Fpl
del Lazio ottennero dal sindaco Alemanno che quella donna, coraggiosa e
sfortunata, venisse onorata con la segnalazione del nome, con una lapide.
Davanti a quel palazzo di via Lucullo che ebbe una parte rilevante
nella storia delloccupazione tedesca, nei giorni convulsi del Patto di Roma,
della rinascita del Partito Socialista e della prigionia di Bruno Buozzi, la
Uil il 5 marzo del 1987 realizz una sorta di oasi della memoria: un mo-

25 aprile 1987: la Uil ha inaugurato il monumento alla Resistenza di Attardi


Sandro Pertini invia un messaggio che ha il sapore di una dedica

658

IMMAGINI DI UN LEADER

numento di Ugo Attardi per ricordare le vittime del fascismo e del nazismo
che in quello stabile aveva sistemato il tribunale militare che con le sue feroci condanne avrebbe voluto piegare la resistenza romana. Cinquanta
giorni dopo linaugurazione, significativamente il 25 aprile, il pi amato
Presidente della Repubblica, Sandro Pertini (luomo che aveva fatto fuggire
Filippo Turati), inviava al segretario della Uil, Giorgio Benvenuto, un messaggio che aveva il sapore di una dedica: Quando la libert perduta,
tutto perduto, perch essa un bene essenziale come laria.
Il pubblico si incrocia con il privato, come inevitabile quando si
parla di persone che hanno partecipato alla costruzione del nostro collettivo
passato. Dal punto di vista del ricordo, della memoria significativa una lettera di Giuseppe Saragat allallora segretario della Uil, Giorgio Benvenuto.
La Confederazione aveva deciso di celebrare il trentesimo anniversario della
fondazione con un convegno su Bruno Buozzi. Un appuntamento che il vecchio amico degli anni torinesi e dellesilio fu costretto a saltare perch ammalato. Scriveva, scusandosi per la forzata assenza, in quellappunto datato

5 marzo 1987: la Uil inaugura il monumento alla Resistenza

659

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

In questa lettera a Benvenuto, Giuseppe Saragat ricorda commosso lamico Bruno

19 febbraio 1980: Bruno fin dal 1924 stato per me come un fratello e la
sua morte alla Storta fucilato dalle SS ha amareggiato la liberazione di
Roma, almeno per me. Alla fine di questa storia, limmagine che resta impressa quella drammatica scattata nellospedale Santo Spirito a Roma. I
corpi dei quattordici trucidati a La Storta ammassati in uno stanzone disordinatamente, in attesa del riconoscimento ufficiale. In primo piano, su una
brandina, Bruno Buozzi. lultimo atto, quello che canceller le immagini
di vita familiare, con la moglie Rina e i compagni dellesilio come Filippo
Turati, nella casa parigina di Boulevard Ornano, o in quella del confino di
Montefalco. Su quello sguardo franco le intemperie avevano completato
lopera feroce dei nazisti, sfigurandolo. Ma anche consegnandolo alla storia
dei Grandi Italiani.
660

Oggi Rina e Bruno riposano insieme al cimitero del Verano a Roma

661

Quando lInternazionale terr uno dei suoi congressi


al Palazzo dei Dogi o in Campidoglio, Matteotti sar
vendicato, Turati sar vendicato e con essi tutti i martiri
(Lon Blum)

Personaggi e interpreti

Buozzi ha attraversato gli anni pi caldi della nostra storia, ha visto tramontare
un secolo e sorgerne un altro: al titolo si accompagnano un disegno a lui dedicato
e la foto di alcuni protagonisti (Parri, Nenni, Saragat, Malagodi e La Malfa)

I SINDACALISTI
Argentina Altobelli
Nata a Imola il 2 luglio 1866, una delle figure storiche del sindacalismo italiano
e del riformismo socialista. Partecip alla Fondazione della Federazione nazionale dei lavoratori della terra nel 1901 conquistandone la leadership nel 1906.
Abbandon la segreteria quando Mussolini decret lo scioglimento delle organizzazioni sindacali. Mor a Roma il 26 settembre del 1942.
Nullo Baldini
Ebbe un ruolo decisivo nel finanziamento delle attivit dei fuorusciti, comprese
quelle organizzate, a livello sindacale, da Bruno Buozzi. Grande organizzatore
(aveva creato lassociazione dei braccianti agricoli di Ravenna, la citt in cui era
nato nel 1862), era diventato poi una delle anime del movimento delle cooperative. Politicamente riformista, aveva seguito Turati al momento della formazione
del Psu. Mor a Ravenna il 6 marzo del 1945.

Giovanni Bensi
Estremamente legato a Bruno Buozzi, partecip alla rinascita della CGdL allestero. Nato a Milano il 26 maggio del 1892, guid la Camera del Lavoro del
capoluogo lombardo in anni turbolenti e quando nel 1925 i fascisti lanciarono
lultimo decisivo attacco alla sede sindacale, lui si rifiut di consegnare lelenco
degli iscritti e fu picchiato selvaggiamente. Fu costretto a riparare a Parigi con
la moglie e il figlio di tre anni e per mantenere la famiglia si dedic allattivit di
cappellaio. La selvaggia aggressione fascista lo aveva minato nel fisico e il 26
aprile del 1928 mor a Parigi. Venne sepolto nel cimitero Pre Lachaise. Nel novembre 1949 la sua salma stata portata a Milano e tumulata al Cimitero Monumentale.
Giorgio Benvenuto
Ha scritto Walter Tobagi, poco prima di essere ucciso dai terroristi: Fu il castello di una nuova ideologia che indusse Benvenuto a riscoprire vecchi padri
putativi come Bruno Buozzi. Prima segretario dei metalmeccanici (dal 1969 al
1976), poi leader della Uil (dal 1976 al 1992): Benvenuto ha rianimato il mito di
Buozzi sia dal punto di vista del recupero di alcuni concetti sindacali (la compartecipazione alla tedesca interpretata come levoluzione di quellaccordo sul
controllo della produzione che concluse il Biennio Rosso ma che non ebbe realizzazioni pratiche), sia da quello delle immagini (molte tessere dellorganizzazione
riproponevano il volto del vecchio leader come una forma di memento culturale). Il tutto in una logica di continuit politica: dal riformismo turatiano a
quello riscoperto a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta quando il Psi prov a
rinnovare il suo armamentario ideologico riscoprendo non solo Proudhon ma
anche Carlo Rosselli e il suo socialismo liberale, Gaetano Salvemini e la sua pre-

665

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

dicazione meridionalista non piagnona e, ovviamente, il Padre Milanese finito nel dimenticatoio a causa di improbabili furori rivoluzionari.
Piero Boni
Socialista, stato uno dei pi appassionati studiosi di Bruno Buozzi (il fratello,
tra laltro, spos Fiammetta, partigiana, figlia del colonnello Longo nella cui
casa lallora segretario della CGdL, si nascose per qualche tempo dopo l8 settembre). Lunga carriera sindacale alle spalle, prima segretario generale aggiunto dei chimici della Cgil nel 1952, poi nella Fiom accanto a Lama e, poi, a
Bruno Trentin, dal 60 al 69 quando venne eletto segretario generale aggiunto
della Confederazione. Poi, dal 1977, presidente della Fondazione Brodolini.
nato a Reggio Emilia il 19 ottobre 1920 ed morto a Roma il 28 giugno del 2009.
Emilio Canevari
La morte di Bruno Buozzi e la missione al Sud di Oreste Lizzadri, gli diedero lopportunit di concludere le trattative per il Patto di Roma che firm insieme a Di
Vittorio e Grandi. Dopo la guerra ader al Psli (Partito socialista dei lavoratori
italiani) e fu tre volte sottosegretario. Era nato a Pieve di Porto Marone il 21
gennaio del 1880, mor al Roma il 20 aprile del 1964.
Gino Castagno
Politico e sindacalista, legatissimo a Bruno Buozzi con il quale condivise il processo di rinnovamento della Fiom. Nato a Torino l11 luglio del 1893, ha scritto
la prima biografia sul leader sindacale attingendo a ricordi ed esperienze personali. Nel 1912, infatti, Castagno era nel Comitato Centrale della Fiom. Giovane
operaio anche lui (a tredici anni apprendista meccanico), pur lavorando aveva
proseguito gli studi in disegno tecnico cosa che gli consent di trovare impiego
come quadro dopo un incidente sul lavoro che lo aveva privato delle dita di
una mano. Costretto a emigrare in Francia per motivi economici (fece il progettista alla Citroen), ladesione alle idee socialiste lo obblig successivamente allesilio (a Liegi) durante il fascismo. Allontanatosi temporaneamente dalla
politica, rientr in Italia e guid il servizio progettazioni dellAlfa Romeo dal
1939 al 1943. Senatore socialista nel 48 e deputato nel 58, ha fatto parte dei comitati centrali del Psi e della Fiom rispettivamente dal 50 al 54 e dal 49 al 55.
La sua esperienza lavorativa lo spinse a creare agli inizi del secolo scorso, allinterno del sindacato, una struttura riservata ai tecnici sensibilizzando e condizionando su questo tema in maniera decisiva Bruno Buozzi. Nel 1965 la scelta
del Psi a favore del centro-sinistra lo indusse ad aderire al Psiup. morto a Torino nel 1971.
Emilio Colombino
Gli scritti, soprattutto le lettere di Bruno Buozzi indicano in lui una delle anime
di quel tradimento che port prima alla delibera di scioglimento della CGdL e

666

PERSONAGGI E INTERPRETI

poi alla nascita dellAssociazione di Studio Problemi del Lavoro, sostanzialmente


fiancheggiatrice del sindacalismo fascista. Eletto segretario provinciale della
Fiom torinese nel 1908, era considerato un ottimo negoziatore. Alcune delle sue
attivit imprenditoriali furono al centro delle critiche di Buozzi. Nato a Torino il
30 gennaio 1884, mor a Roma l8 novembre 1933.
Enzo Dalla Chiesa
A lui lagente dellOss, Mario Zamparo, ha affidato la dichiarazione giurata nella
quale nega che, per quanto lo riguardava, ci sia stato un cambio di passeggero
per il viaggio a Bari in occasione del congresso del Cln: a lui avevano parlato
solo di Lizzadri e non di Buozzi. Enzo Dalla Chiesa, stato uno dei fondatori della
Uil, insieme a Italo Viglianesi. Socialista, dirigente della Cgil, usc tanto dal partito quanto dallorganizzazione sindacale non condividendo la politica del Fronte
Popolare. Nato a Pellegrino Parmense l8 dicembre 1908, si spento a Roma l11
febbraio 1991
Ludovico DAragona
Coinvolto insieme a Rigola nella nascita dellAssociazione di Studio Problemi
del Lavoro, riusc, per, a limitare i danni politici di quella scelta ottenendo incarichi ministeriali dopo la caduta del fascismo (fu ministro del lavoro, delle
poste e dei trasporti nei governi presieduti tra il 1946 e il 1947 e poi fra il 1950 e
il 1951, da Alcide De Gasperi). Era nato a Cernusco sul Naviglio il 23 maggio del
1876, da famiglia agiata. Tra i fondatori della Fiom, fu segretario generale della
CGdL dal 1918 al 1925. Le sue relazioni pericolose con il fascismo sollevarono
proteste e contestazioni che lo obbligarono alle dimissioni. Gli subentr Buozzi.
morto a Roma il 17 giugno del 1961.
Alceste De Ambris
Esponente di spicco di quel sindacalismo rivoluzionario con cui spesso entr in
polemica Bruno Buozzi. Oratore veemente, assunse una posizione interventista
in occasione della Prima Guerra Mondiale considerandola una occasione per eliminare imperi decrepiti. Poi segu DAnnunzio nellavventura fiumana. Ma
chiusa quellesperienza, pass su posizioni decisamente antifasciste e quando il
22 dicembre del 1922 venne insultato da un gruppo di fascisti a Genova, decise
di andare via dallItalia. E Mussolini si vendic togliendogli la cittadinanza e i
beni. A Parigi organizz cooperative per sostenere gli italiani in esilio e divenne
presidente della Lega Italiana per i diritti dellUomo. Nato a Licciana Nardi il
15 settembre 1874, mor in esilio a Brive-la-Gaillarde il 9 dicembre 1934.
Guido De Ruggiero
Storico della filosofia, aveva pagato la firma del manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce con la perdita della cattedra. Di formazione liberale, fu uno dei protagonisti di quellesperienza effimera (per la durata) che fu

667

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

il Partito dAzione. Ma allinterno di quel gruppo, rappresentava una corrente di


pensiero in qualche modo minoritaria tanto vero che quando Buozzi gli attribu
le funzioni di vice-commissario in quello che doveva essere il seme del sindacato
unitario, lui ader contro il parere del PdA che era contrario allaccordo con Piccardi. Nato a Napoli il 23 marzo del 1888, morto a Roma il 29 dicembre 1948.
Giuseppe Di Vittorio
La sua una biografia sindacale tipica degli anni a cavallo tra la fine dellOttocento e gli inizi del Novecento. Era nato a Cerignola, nel foggiano, l11 agosto del
1892. Zona di grandi proprietari terrieri e di braccianti. E a dieci anni, a causa
della morte del padre, in campagna ci and anche lui, dopo aver imparato sommariamente a leggere e a scrivere. La durezza del lavoro, le condizioni di sfruttamento lo avvicinarono prestissimo allattivit politica e sindacale. Sui giovani
e i giovanissimi di quel periodo, le idee anarchiche avevano un grande fascino.
Le ebbero anche su di lui. Al sindacato ci arriv attraverso la porta dei sindacalisti
rivoluzionari cio attraverso lUsi, lUnione Sindacale Italiana. Poi, si avvicin ai
socialisti, conobbe Bruno Buozzi (glielo present Giuseppe Di Vagno) e con quel
partito venne candidato ed eletto nelle elezioni del 1921 mentre era detenuto nelle
carceri di Lucera. Condannato dal tribunale speciale fascista a dodici anni, ripar
in esilio e visse dal 1928 al 1930 a Mosca (dove rappresent la CGdL clandestina
nellInternazionale Rossa). Trasferitosi a Parigi, ritrov nelle carceri della Sant
Bruno Buozzi con il quale, poi, lavor alla definizione del Patto di Roma. Eletto
alla Costituente, segretario della Cgil dal 1945, con lui la Confederazione elabor
il Piano del Lavoro e assunse una posizione critica nei confronti dei fatti dUngheria, in disaccordo con il Pci. Mor a Lecco il 3 novembre del 1957.
Achille Grandi
stato uno dei tre grandi protagonisti del Patto di Roma, scomparso purtroppo
prematuramente a soli sessantatr anni, con il processo unitario ancora in via
di consolidamento. Nato a Como il 24 agosto 1883 (era sostanzialmente coetaneo
di Bruno Buozzi), si avvicin giovanissimo al mondo del lavoro, appena dodicenne, come apprendista tipografo. Cattolico e antifascista, non apprezz i cedimenti dellAzione Cattolica al fascismo e pur di non farsi ingabbiare nelle nome
liberticide mussoliniane in materia sindacale sciolse la Cil, la confederazione cattolica. Era solido il suo rapporto con Buozzi e la morte del segretario della CGdL
fin per condizionare probabilmente anche le sue scelte. Mor a Desio il 28 settembre del 1946.
Mario Guarnieri
Al suo fianco, al vertice della Fiom lo volle Bruno Buozzi che lo aveva conosciuto
a Biella dove dirigeva il periodico, Il Corriere biellese. A lui, nel 1912 venne affidato dalla federazione lincarico di segretario amministrativo quando questa
funzione venne scissa dalla carica di segretario generale. Dopo la scissione di

668

PERSONAGGI E INTERPRETI

Livorno e lespulsione dei riformisti dal Psi nel 1922, ader al Partito Socialista
Unitario. Antifascista non particolarmente agguerrito, condizione che gli consent di rimanere in Italia. morto a Torino nel 1974.
Luciano Lama
Ha in qualche maniera rappresentato in epoca moderna il filo rosso riformista
che lega la Cgil a Bruno Buozzi. Nato a Gambettola, una frazione di Cesena (provincia di Forl) il 14 ottobre del 1921, stato segretario generale della Confederazione dal 1970 (succedendo ad Agostino Novella) al 1986 (lasci il posto ad
Antonio Pizzinato). Scomparso il 30 maggio del 1996, aderiva nel Pci alla corrente dei miglioristi (in pratica i riformisti) di Giorgio Amendola e Giorgio Napolitano.
Oreste Lizzadri
In clandestinit era conosciuto come Oreste Longobardi. Cooptato da Bruno
Buozzi come vice-commissario delle vecchie corporazioni fasciste dopo il 25 luglio del 1943, faceva parte della delegazione che per conto dei socialisti partecip
alle trattative per il Patto di Roma. Quando, per, si giunse alla conclusione dei
negoziati, lui era lontano da Roma e la firma sullaccordo la mise Emilio Canevari. Di tendenze fusioniste, fin per schiacciare tanto la componente socialista
della Cgil su quella comunista che alla fine venne sostituito da Fernando Santi,
nel 1947. Nato a Gragnano il 17 maggio del 1896, rientr in Confederazione solo
nel 1952. morto a Roma il 30 luglio del 1976.
Giulio Pastore
Lidea di un sindacato unitario non lo affascin in maniera particolare tanto
vero che De Gasperi fu costretto a convincerlo con una lettera nella quale spiegava le ragioni della scelta. Nato a Genova il 17 agosto del 1902, presidente per
sette anni, a partire dal 1935, dei gruppi giovanili dellazione cattolica, si leg
alla Dc e fu arrestato dalla polizia fascista venendo liberato solo dopo l8 settembre. Ha fondato la Cisl e lha guidata sino al 1958. morto a Roma il 14 ottobre
del 1969.
Leopoldo Piccardi
Personaggio-chiave nelle vicende che illustriamo in questo libro, soprattutto in
quelle che fecero seguito alla caduta di Mussolini. Nominato da Badoglio Ministro
delle Corporazioni, fu lui che ebbe lidea di attribuire a Buozzi il ruolo di commissario delle vecchie organizzazioni sindacali fasciste. Nato a Ventimiglia il 12 giugno del 1899, fu un esponente di spicco del Partito Radicale ma incorse in una
disavventura a causa di Renzo De Felice: lo storico aveva scoperto che Piccardi
aveva partecipato a un convegno in cui erano state gettate le basi della legislazione razziale fascista. Conseguenza: nel 1961 Mario Pannunzio ne chiese le dimissioni. Piccardi prov a far confluire i radicali nel Psi ma le polemiche furono

669

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

talmente accese che fu costretto a farsi da parte. Mor a Roma il 18 aprile del 1974.
Felice Quaglino
Uno dei pi fidati collaboratori di Bruno Buozzi. Fu tra quelli che lo accompagnarono nella rifondazione a Parigi della Confederazione Generale del Lavoro.
Quaglino era nato a Biella, il 21 agosto del 1870. Aveva dovuto abbandonare la
scuola a dieci anni per trasferirsi a Torino e trovare occupazione come apprendista muratore. Nel 1895 cre e assunse la guida della Lega degli operai delledilizia; quindi partecip alla fondazione della CGdL. morto nel 1935.
Giuseppe Rapelli
Con lui, Bruno Buozzi intrattenne ottimi rapporti, tanto vero che nel momento
in cui le squadracce fasciste devastarono la sede torinese della Fiom, lui offr al
sindacalista socialista ospitalit nella sede della Cil, la confederazione cattolica.
Subentr a Grandi nella carica di segretario della Cgil unitaria nel 1946. Entr
in conflitto con De Gasperi sullimpostazione ideologica della Dc che a suo parere
doveva essere un partito a forti connotazioni sociali e neutrale rispetto al patto
Altantico. Era nato a Castelnuovo Don Bosco, in provincia di Asti, il 21 ottobre
del 1905. Mor a Roma il 17 giugno del 1977.
Paolo Ravazzoli
La riunione che in una fabbrica milanese port alla nascita della CGdL clandestina sotto legida comunista, era presieduta da lui che poi divenne il segretario
dellorganizzazione e riavvi le pubblicazioni del giornale storico Battaglie Sindacali. Verso la fine del 1929 assunse una posizione critica nei confronti della
svolta staliniana del PCdI e delle tesi sui socialfascisti. Su questa posizione raccolse la solidariet di Pietro Tresso, Francesco Leonetti e Teresa Recchia che nel
giugno del 1930 vennero espulsi dal partito. Nato a Stradella nel 1894, termin
la sua parabola politica aderendo a Giustizia e Libert. Mor piuttosto giovane
a Parigi, il 27 febbraio del 1940 a causa di una infezione contratta in seguito a
un incidente sul lavoro (era operaio alla Renault).
Rinaldo Rigola
Una storia in chiaroscuro, la sua. Bruno Buozzi, sia in pubblico che in privato,
gli attribu un ruolo se non secondario, comunque minore nella vicenda dello
smantellamento della CGdL e della nascita dellAssociazione di Studio Problemi
del Lavoro che convogli verso il sindacalismo corporativo fascista, alcuni dirigenti della vecchia organizzazione. Pensava, Buozzi, che Rigola fosse stato in
qualche maniera usato. Certo che non fu una scelta felice per quello che era
stato il primo segretario della CGdL. Nato a Biella il 2 febbraio 1868, operaio
tessile a sedici anni, diventato cieco per un incidente sul lavoro, quella scelta
compiuta il 4 gennaio del 1927 la pag, a guerra finita con lemarginazione. Mor
a Milano il 10 gennaio del 1954.

670

PERSONAGGI E INTERPRETI

Edmondo Rossoni
Nei confronti del tentativo di Mussolini di riportare Bruno Buozzi in Italia, Edmondo Rossoni oppose una certa resistenza. Il capo della Confederazione nazionale delle Corporazioni sindacali fasciste, daltro canto, conosceva bene il
segretario della CGdL per essersi scontrato con lui in alcune vertenze. Rossoni
era stato un esponente di quel sindacalismo rivoluzionario con cui Buozzi era
stato costretto a fare i conti appena arrivato a Torino. Il leader allepoca della
Fiom non apprezzava (e non apprezz mai) quello spontaneismo dai connotati
interamente politici che ispiravano proteste poco organizzate, poco preparate.
Il momento di massimo fulgore, Rossoni lo raggiunse con il patto di Palazzo Vidoni (il monopolio della rappresentanza) e con la Carta del Lavoro. Poi cominciarono le sue difficolt. Nato a Tresigallo il 6 maggio del 1884, mor a Roma l8
giugno del 1965.
Giovanni Roveda
Bruno Buozzi lo impose a Piccardi, a Badoglio e a Vittorio Emanuele III come
vice-commissario alle confederazioni fasciste, prefigurando cos la riorganizzazione del sindacato unitario. A Roveda il Pci attribu il compito di gestire le trattative per la definizione del Patto di Roma. Ma poi fu arrestato e al suo posto
segu il negoziato Giuseppe Di Vittorio. Nato a Mortara il 4 giugno del 1894,partecip alle cinque giornate di Torino che portarono alla liberazione del capoluogo
piemontese. Fu il primo sindaco dopo la liberazione. morto il 17 novembre 1962
per una flebite prodotta dalle ferite rimediate in occasione di una fuga dal carcere veronese degli Scalzi.
Pallante Rugginenti
Con Bensi e Quaglino, sostenne Bruno Buozzi nellattivit di riorganizzazione
della CGdL a Parigi. Rugginenti aveva retto la Camera del Lavoro di Busto Arsizio dal 1915 al 1923, anno in cui era stata chiusa dai fascisti. Fu costretto allesilio a Parigi dopo il varo delle leggi liberticide da parte di Mussolini.
Fernando Santi
Socialista, partigiano (nel 1944 raggiunse la Val dOssola dove era nata la Repubblica, ma dopo la rioccupazione della zona da parte dei tedeschi, si trasfer
a Milano dove continu lattivit clandestina). Divenne, nel 1947, segretario della
Cgil accanto al comunista Di Vittorio e al cattolico Giulio Pastore. Dopo la rottura politica e sindacale, rimase nella Cgil come segretario generale aggiunto
sino al 1965 quando, al congresso di Bologna, si dimise per motivi di salute.
Tenne vivo il ricordo di Buozzi in un periodo in cui nella Cgil limmagine del vecchio leader ucciso a La Storta era stata dimenticata. Scrisse lui la prefazione alla
biografia di Gino Castagno e ispir la sua azione sindacale a principi unitari.
Nacque a Parma il 13 novembre del 1902 e si spense sempre nella citt natale allet di sessantasette anni, il 15 settembre del 1969.

671

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Giuseppe Sardelli
Era sostanzialmente coetaneo di Bruno Buozzi essendo nato a Brindisi nel 1880
e al fianco del segretario generale della CGdL in esilio ha svolto un ruolo fondamentale. Socialista, ha svolto attivit sindacale soprattutto nellambito dei trasporti e negli anni francesi ebbe da Buozzi lincarico di ricostruire in esilio la
federazione dei lavoratori del settore. morto a Roma nel 1970.
Ernesto Verzi
stato il primo segretario della Federazione Italiana Operai Metallurgici. Era
un incisore di metalli ed era nato a Firenze nel 1872 ma per motivi di lavoro si
era trasferito a Roma. E, infatti, nel congresso di costituzione della Fiom che si
svolse il 16 giugno del 1901 venne deciso di scegliere Roma come sede dellorganizzazione. Ha ricoperto lincarico di segretario nazionale (condiviso per qualche
tempo con Cleobulo Rossi) sino alla fine del 1907 quando venne sostituito da Silla
Coccia.
Italo Viglianesi
Fu uno tra i grandi protagonisti della nascita della Uil il 5 marzo del 1950 nella
sala dellAviatore. Con lui, quel giorno, cerano 253 delegati che erano lespressione di culture politiche socialiste e laiche, da Enzo Dalla Chiesa e Renato Bulleri
che venivano dal Psu a Raffaele Vanni e Amedeo Sommovigo che venivano dal
Pri. Politicamente prossimo a Nenni (e al suo autonomismo), fu un viaggio a
Mosca che lo convinse a costruire un sindacato che fosse libero dai forti condizionamenti del Pcus. Bruno Buozzi divenne, inevitabilmente, per la Uil che Viglianesi guid in qualit di segretario generale sino al 1969, un punto di
riferimento essenziale, con il suo forte messaggio sullautonomia. Nato a Caltagirone il 1 gennaio del 1916, morto a Roma il 19 gennaio del 1995.

I POLITICI
Giorgio Amendola
Era il figlio di Giovanni Amendola, liberale anti-fascista. nato a Roma il 21 novembre 1907 ed morto sempre nella Capitale il 5 giugno del 1980. Comunista,
partecip alla Resistenza con le Brigate Garibaldi e sostenne la nomina di Bruno
Buozzi come commissario dei vecchi sindacati fascisti dopo il 25 luglio 43 e la caduta di Mussolini. Allinterno del Pci stato il leader della corrente migliorista.
Giovanni Amendola
Fu uno dei leader della cosiddetta secessione dellAventino esplosa dopo lomicidio Matteotti, cio il rifiuto a partecipare ai lavori parlamentari sino al ripristino
della legalit. Nato a Napoli il 15 aprile del 1882, morto a Cannes il 7 aprile del
1926: il suo fisico era stato minato dalla violenta aggressione subita lanno prima

672

PERSONAGGI E INTERPRETI

a Roma ad opera delle squadracce fasciste. Giornalista, nellatteggiamento nei


confronti di Mussolini, si dissoci in maniera netta da altri leader liberali come
Giovanni Giolitti e Antonio Salandra, schierandosi decisamente allopposizione.
Angelica Balabanoff
Negli anni dellesilio parigino fin con il litigare con Nenni sul tema della rappresentanza dei socialisti italiani. Personaggio ricco e inquieto, era nata a Cernihiv in Ucraina il 7 maggio del 1878. Approd a Roma nel 1900 e divenne allieva
di Antonio Labriola. Affianc Benito Mussolini nella direzione dell Avanti!.
Folgorata sulla via del partito Bolscevico e della Rivoluzione di Ottobre, divenne
segretaria della Terza Internazionale. Ma dopo la rivolta di Kronstadt entr in
conflitto con Lenin, Trotsky e Zinoviev. Rientr in Italia nel 1922 ma con lavvento del fascismo and in esilio. Dopo la guerra, nel 1947 segu Saragat nella
scissione di Palazzo Barberini. morta a Roma il 25 novembre del 1965.
Gino Baldesi
Figura in qualche maniera mediana fra i capitolardi (come li chiamava
Buozzi) dellAssociazione di Studio Problemi del Lavoro e gli oppositori al regime fascista. Socialista riformista, segu Buozzi nel Psu quando quellala venne
espulsa dal Psi. Venne ipotizzato un suo ingresso nel governo di Mussolini, poi,
per, Baldesi assunse una posizione pi critica nei confronti del duce. Pag
questa scelta con la decadenza dalla carica parlamentare (9 novembre 1926).
Nato a Firenze il 22 settembre del 1879, prefer dopo la decadenza ritirarsi a vita
privata pur continuando a collaborare con il Lavoro diretto da Giuseppe Canepa che era considerato una sorta di quotidiano dellAssociazione di Studio Problemi del Lavoro. Mor a Roma il 12 febbraio 1934.
Cesare Battisti
Era nato a Trento il 4 febbraio del 1875. Socialista e irredentista, pur essendo
formalmente cittadino austriaco, allo scoppio della prima guerra mondiale decise di combattere sotto la bandiera italiana. Catturato, venne condannato a
morte e la condanna fu eseguita il 12 luglio del 1916. Suo fratello organizzer la
fuga dallItalia della moglie di Bruno Buozzi, Rina Gaggianesi, e delle figlie, Ornella e Iole.
Leonida Bissolati
Insieme a Ivanoe Bonomi, fond il Partito Socialista Riformista Italiano dopo essere stato
espulso nel 1912 dal Psi a causa del consenso allavventura libica. Nato a Cremona il 20
febbraio del 1857, resta una figura piuttosto controversa. In particolare, suscitava diffidenze la simpatia che lo legava a Benito Mussolini che nelle elezioni del 1919 diede indicazione ai fascisti cremonesi di votare per Bissolati. Mor a Roma il 6 maggio 1920 a causa
di una infezione post-operatoria.

673

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Lon Blum
Luomo che pi degli altri ha segnato la politica francese tra le due guerre e che
con la sua presenza al potere garant agli esuli italiani una ambiente favorevole.
Nato il 9 aprile del 1872 a Parigi, stato presidente del consiglio dal 4 giugno
del 1920 al 22 giugno 1936 e dal 13 marzo al 10 aprile del 1938. Da leader della
Sfio (Sezione Francese dellInternazionale Operaia) decise di non aderire allInternazionale Comunista e critic latteggiamento del Pcf (Partito Comunista
Francese) nei confronti del patto Molotov-Ribbentrop che determin lemarginazione di molti militanti che aderirono alla Sfio. Guid il Fronte Popolare alla
vittoria elettorale nellaprile del 1936. Fu anche il premier provvisorio dal 16 dicembre 1946 al 22 gennaio 1947. Mor a Jouy-en-Josas il 30 marzo 1950.
Ivanoe Bonomi
Figura-chiave nella fase finale della guerra di Liberazione e nella transizione
verso la democrazia. Infatti, il 9 giugno del 1944, dopo la caduta del secondo governo Badoglio, ottenne lincarico di formare il nuovo esecutivo che effettivamente nacque il 18 giugno. Ma il 26 novembre si dimise per i forti dissidi che
contrapponevano i vari partiti ma, anche per i veti posti dagli alleati, venne obbligato a costituire un altro governo che rest in carica sino al 19 giugno del 1945
quando si dimise, dopo la liberazione del Nord, per favorire la nascita di un governo democratico. Nato a Mantova il 18 ottobre del 1873, ader al Partito Socialista venendo espulso nel 1912 a causa del suo appoggio alla guerra libica. A
quel punto con Leonida Bissolati fond il Partito Socialista Riformista Italiano.
Dopo la seconda guerra mondiale divenne presidente del Psdi. morto a Roma
il 20 aprile del 1951
Giuseppe Bottai
Vot a favore dellordine del giorno presentato da Dino Grandi e che port alla
caduta di Benito Mussolini. Per quel voto, venne condannato a morte in contumacia al processo di Verona. Nato a Roma il 3 settembre del 1895, morto sempre nella Capitale il 9 gennaio del 1959 essendo riuscito a evitare il plotone di
esecuzione. Ministro delle Corporazioni, per espiare le sue colpe, nel 1944 si arruol nella Legione Straniera. Partecip il 28 ottobre del 1922 alla Marcia su
Roma ma lanno precedente era stato uno tra i pi convinti sostenitori del patto
di pacificazione con il Psi.
Nikolaj Ivanovic Bucharin
La sua firma compare nella lettera del Comintern (di cui fu poi il presidente a
partire dal 1926) con la quale si chiedeva lespulsione dei riformisti dal Psi. Favorevole a continuare la prima guerra mondiale per esportare la rivoluzione,
fin poi, dopo la morte di Lenin (che lo defin il figlio prediletto del partito) per
allerarsi con il centro rappresentato da Stalin. Come Zinoviev, fin impigliato
anche lui in una purga staliniana e mandato a morte a Mosca (citt nella quale

674

PERSONAGGI E INTERPRETI

era nato il 9 ottobre 1888) il 13 marzo del 1938 alla fine di un processo in cui
venne accusato di aver cospirato contro lo stato sovietico. Gorbaciov negli anni
della Glasnost riabilit tanto lui quanto Zinoviev.
Eugenio Colorni
Era presente alla riunione che port alla nascita, in clandestinit, del Psiup.
uno dei padri delleuropeismo italiano avendo partecipato con Altiero Spinelli
ed Ernesto Rossi alla redazione del Manifesto di Ventotene che provvide a pubblicare subito dopo la fuga dal confino dove era stato spedito in quanto di origini
ebree. Nato a Milano il 22 aprile del 1909, mor a Roma il 30 maggio del 1944,
due giorni dopo la violenta aggressione della famigerata banda Koch (venne ferito con tre colpi di pistola e spir allOspedale San Giovanni).
Andrea Costa
Fu questa cenere/ viva fiamma che soppressa e battuta/ divamp sempre pi
bella al vento/ noi la chiamammo/ Andrea Costa. Sulla sua lapide, nel cimitero
monumentale di Imola spicca una lunga epigrafe composta dal poeta Giovanni
Pascoli, uno degli intellettuali folgorati nellOttocento dal socialismo. Anarchico
inizialmente, alleato (ma spesso su posizioni critiche) di Turati, compagno di attivit politica e di vita (per un certo periodo) di Anna Kuliscioff, partecip alla
fondazione del Psi e fu il primo socialista a trovar posto su uno scranno parlamentare. Tra i capi della protesta milanese che Bava Beccaris pieg nel sangue
nel 1898. nato (nel 1851) e morto (nel 1910) ad Imola dopo aver ricoperto anche
lincarico di vice-presidente della Camera dei deputati.
Benedetto Croce
Lintellettuale che forse ha segnato pi profondamente la cultura, soprattutto la
filosofia, italiana nella prima met del secolo scorso. Nato a Pescasseroli il 25
febbraio del 1866, perse i genitori e la sorella a soli diciassette anni, nel terremoto
di Casamicciola del 1883 (era con la famiglia in vacanza ad Ischia). Ministro
della pubblica istruzione con Giolitti, in una prima fase sostenne il fascismo.
Lomicidio di Matteotti lo convinse ad abbandonare quelle posizioni. Presidente
del partito liberale, nel congresso dei Comitati di Liberazione che si svolse a Bari
il 28 e 29 gennaio del 1944 chiese a gran voce labdicazione di Vittorio Emanuele
III. morto a Napoli il 20 novembre del 1952.
Alcide De Gasperi
Coetaneo di Bruno Buozzi (era nato a Pieve Tesino il 3 aprile del 1881, morto a
Roma il 19 agosto del 1954), era il leader della Democrazia Cristiana che port
alla grande affermazione elettorale del 18 aprile del 1948. Segu con grande attenzione le trattative che si conclusero con il Patto di Roma appoggiando le tesi
unitarie. Fu lultimo presidente del consiglio nominato dal Re (dopo Ivanoe Bonomi) e il primo della neonata Repubblica Italiana.

675

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Giuseppe De Michelis
Era luomo del regime in seno al Bureau International du Travail e fu lui che organizz loffensiva italiana per ottenere il riconoscimento dei sindacati corporativi. Di formazione liberale, sarebbe stato folgorato dal fascismo (per sua
stessa ammissione) nel 1924, dopo lomicidio Matteotti. Nato a Pistoia il 6 aprile
del 1872, stato anche nominato senatore del Regno nel 1928. morto a Roma
il 12 ottobre 1951.
Egidio Gennari
Segretario del Partito Socialista fra il 1918 e il 1919, partecip alla famosa riunione
nella quale bisognava decidere se dare alloccupazione delle fabbriche il senso di
una vera e propria rivoluzione. Alla fine fu proprio lui a escludere che vi fossero le
condizioni per assumere la guida politica della vertenza lasciandola, cos, nelle
mani dei sindacati. Nel congresso di Livorno segu la corrente comunista che diede
vita al PCdI. Vicino alle posizioni gramsciane, dopo lo scioglimento dei partiti decretato da Mussolini, prese la via dellesilio. Nato ad Albano Laziale il 20 aprile
del 1876, mor a Gorkji in Unione Sovietica il 12 aprile del 1942 dopo essere stato
colpito nel 1940 da una grave malattia che lo aveva portato alla paralisi.
Giovanni Giolitti
La sua tendenza a condizionare con metodi decisamente poco democratici gli
esiti elettorali, gli valsero il soprannome di ministro della malavita (glielo affibbi Gaetano Salvemini). Guidava il governo in occasione delloccupazione
delle fabbriche e fu lui che mise daccordo i sindacati e gli industriali con un decreto che prevedeva lapertura a forme di controllo operaio sulla produzione. Il
provvedimento, per, rimase lettera morta. Nato a Mondov il 27 ottobre del
1842, mor a Cavour il 17 luglio del 1928. Dopo la marcia su Roma, vot a favore
del primo governo di Mussolini, poi non fece mancare il suo sostegno nemmeno
alla legge Acerbo. Critic lAventino ma si allontan dal fascismo nel momento
in cui il consiglio provinciale di Cuneo gli chiese di aderire al Pnf.
Antonio Gramsci
Nato ad Ales il 22 gennaio del 1891, Gramsci fu uno degli intellettuali pi attenti
alla realt delle fabbriche e del mondo del lavoro. Entr in polemica con Bruno
Buozzi (lo accus di essere uno dei Mandarini riformisti che guidavano il sindacato in maniera burocratica) sulla proposta dei Consigli di Fabbrica: il segretario della Fiom alla fine la fece propria senza grande convinzione e uno sciopero
terminato in maniera catastrofica fin per mandarla in archivio. Condannato
(nello stesso processo erano imputati anche Giovanni Roveda e Umberto Terracini) a oltre ventanni di carcere (in quello di Turi cominci a scrivere i Quaderni), il regime non gli diede per tempo la libert nemmeno di fronte alle gravi
condizioni di salute in cui versava. Finalmente libero il 21 aprile del 1937, sei
giorni dopo, allalba mor a Roma per una emorragia cerebrale.

676

PERSONAGGI E INTERPRETI

Dino Grandi
Il suo nome indissolubilmente legato al famoso Ordine del Giorno approvato dal
Gran Consiglio il 25 luglio del 1944, il documento che diede a Vittorio Emanuele
III la motivazione politica per allontanare Benito Mussolini dal governo (e per
farlo arrestare). Ma Grandi, nato a Mordano il 4 giugno del 1895, sempre stato
il grande antagonista (pi che oppositore) del duce che avrebbe voluto sostituire
con Gabriele DAnnunzio alla guida del movimento fascista prima della Marcia
su Roma. Condannato a morte nel processo di Verona, riusc a sfuggire al plotone
di esecuzione e si spense a Bologna, il 21 maggio del 1988, a novantatr anni.
Giovanni Gronchi
Insieme ad Achille Grandi, segu i negoziati che portarono al Patto di Roma e
alla nascita della Cgil unitaria. Sottosegretario allindustria nel governo Mussolini, si dimise dopo luscita del Ppi dalla maggioranza. Insieme a Giuseppe Spataro e Giulio Rodin, resse il partito nel 1924 dopo le dimissioni di Luigi Sturzo.
Nato a Pontedera il 10 settembre del 1887, partecip alla fondazione della Dc.
Su posizioni di sinistra allinterno del partito, fu tra i primi sostenitori del superamento del centrismo degasperiano attraverso una alleanza con i socialisti. Divenne presidente della Repubblica il 29 aprile del 1955 al quarto scrutinio, dopo
che al terzo i voti dellopposizione di sinistra erano confluiti sul suo nome bruciando definitivamente la candidatura (sostenuta da Amintore Fanfani) di Cesare Merzagora. Si spento il 17 ottobre del 1978.
Aleksandr Federovic Kerensky
Il suo nome ricorre in una delle polemiche che contrapposero Bruno Buozzi ad
Antonio Gramsci. Kerensky fu capo del governo della Russia subito dopo la caduta dello zar e prima della rivoluzione bolscevica guidata da Lenin, dal 21 luglio
1917 al 7 novembre dello stesso anno. Prov, fuggendo a Paskov, a resistere alloffensiva bolscevica ma le sue truppe furono costrette alla resa. Si sistem
prima a Parigi ma dopo la caduta della Francia nelle mani dei nazisti, attravers
lAtlantico ed emigr a New York dove mor il 2 maggio 1970 (era nato a Simbirsk il 22 aprile del 1881).
Anna Kuliscioff
Nata in una ricca famiglia ebrea a Sinferopoli, in Crimea il 9 gennaio 1855, ha
avuto una vita estremamente avventurosa. Lultimo suo legame sentimentale,
quello con Turati, addolc le sue posizioni politiche, inizialmente piuttosto prossime alle predicazioni anarchiche. Il suo vero nome era Anna Moiseevna Rozenstejn. Lo cambi (Kuliscioff significa in russo manovale) per evitare di essere
rintracciata dallo zar quando ripar in Svizzera dopo le repressioni ordinate in
patria per stroncare lattivit degli anarchici (il primo marito, Petr Makarevic
aderiva alle idee di Michail Bakunin). In Svizzera, la Kuliscioff conobbe Andrea
Costa dal quale ebbe una figlia, Andreina. La relazione termin nel 1881 convin-

677

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

cendola a tornare in Svizzera dove si laure in medicina; successivamente si specializz in ginecologia (a Torino e a Padova). A Milano, dove conobbe Turati, si
stabil proprio per esercitare lattivit di medico nei quartieri pi disagiati (le
milanesi la chiamavano la dottora dei poveri). Arrestata pi volte, nel suo
primo soggiorno in prigione contrasse la tubercolosi. Fu tra i fondatori del Partito Socialista. Mor a Milano il 29 dicembre 1925.
Lon Jouhaux
Nella vicenda di Bruno Buozzi riveste un ruolo fondamentale perch consent al
collega italiano non solo di lavorare per la Cgt nella difesa dei diritti dei lavoratori immigrati, ma lo aiut a mantenere in vita la CGdL in esilio sostenendo le
battaglie al Bit contro il riconoscimento delle organizzazioni fasciste. Nato a Pantin il 1 luglio del 1879, Jouhaux era un libertario. stato segretario della Cgt
(Confdration gnrale du Travail) dal 1909 al 1947. Dal 1947 fino alla morte
(avvenuta a Parigi il 28 aprile del 1954) stato il leader dellorganizzazione che
aveva fondato uscendo dalla Cgt (Force Ouvrire, nata dal distacco dellarea non
comunista della confederazione). Fu internato a Buchenwald durante loccupazione nazista e sotto il regime di Vichy.
Ugo La Malfa
Anche lui politicamente cresciuto nel Partito dAzione ma di cultura schiettamente liberale, influenzato in giovent dagli insegnamenti di Giustino Fortunato,
Gaetano Salvemini e Benedetto Croce, aveva aderito allUnione Nazionale Democratica fondata da Giovanni Amendola. Ministro dei trasporti nel governo
Parri, stato il leader storico del Pri nella prima Repubblica. Nato a Palermo il
16 maggio del 1903, morto a Roma il 26 marzo 1979. Poco prima di morire,
Sandro Pertini gli aveva assegnato lincarico di formare il nuovo governo ed era
la prima volta che questo impegno toccava a un laico dalla caduta, nel dicembre
del 45, del governo Parri.
Vladimir Ilic Uljanov Lenin
Era concittadino e coetaneo di Kerensky essendo nato a Simbirsk il 22 aprile
1870 e con la Rivoluzione di Ottobre lo sostitu alla guida del paese. Capo dei bolscevichi, ebbe un ruolo non secondario nelle vicende della sinistra italiana. Pose
al Psi guidato da Giacinto Menotti Serrati come condizione per entrare nella
Terza Internazionale il cambio del nome del partito con la sostituzione di un aggettivo (comunista invece di socialista), ma soprattutto la cacciata dei socialtraditori, cio i riformisti guidati da Turati. Mor a cinquantatr anni (il 21
gennaio del 1924) a Gorki Leninskie.
Girolamo Li Causi
Anche lui coinvolto, seppur in maniera indiretta, nelle trattative per il Patto di
Roma, fu uno tra i sostenitori della tesi che la segreteria della nuova Cgil doveva

678

PERSONAGGI E INTERPRETI

andare ai comunisti. Nato in Sicilia, a Termini Imerese il 1 gennaio del 1896,


ebbe un ruolo centrale nella denuncia dei torbidi retroscena della strage di Portella della Ginestra (lesecutore materiale fu Giuliano). Fu lui a puntare il dito
contro il ministro dellInterno di allora, Mario Scelba in quanto responsabile
delle forze di polizia accusate di intrattenere rapporti con i boss mafiosi e con i
separatisti. morto il 14 aprile del 1977.
Luigi Longo
Nelle trattative per il Patto di Roma, compare anche lui. Nato a Fubine il 15
marzo del 1900, partecip alla guerra di liberazione, vice-comandante nel corpo
volontari per la libert e stretto collaboratore di Ferruccio Parri. Alla morte di
Togliatti, divenne segretario del Pci dando il suo sostegno a Dubcek e alla Primavera di Praga. Cerc anche un contatto con i ragazzi del Sessantotto creando
malumori allinterno del partito. morto a Roma il 16 ottobre del 1980.
Gilles Martinet
stato uno degli esponenti di spicco del Psf e del Mitterrandismo. Martinet che
era nato a Parigi l8 agosto del 1916, ha sposato la figlia minore di Bruno Buozzi,
Iole, dalla quale ha avuto due figli. Politicamente era nato comunista ma poi i
processi staliniani lo indussero a rivedere le sue posizioni facendolo avvicinare
ai socialisti. Impegnato nella Resistenza, fu proprio negli anni della guerra che
scopr la sua passione per il giornalismo. Terminato il conflitto divenne prima
redattore capo di quella che sarebbe diventata lagenzia Afp, quindi fond il giornale lObservateur che, attraverso un paio di cambi di nomi della testata e di
propriet, sarebbe diventato Le Nouvel Observateur. Dal 1981 al 1984 stato
ambasciatore di Francia in Italia. morto a Parigi il 29 marzo del 2006.
Giuseppe Massarenti
Il suo nome si identifica con Molinella e con linterpretazione turatiana del socialismo. Il movimento cooperativistico gli deve tantissimo: fu a lui che il Psi, nel
congresso della fondazione, a Genova, affid il compito di organizzare una rete
di cooperative agricole che diedero un impulso notevole allo sviluppo economico
delle valli emiliane. Nato a Molinella l8 aprile del 1867, orfano giovanissimo, fu
grazie a uno zio che riusc a ultimare gli studi in farmacia. Nel 1892 fond nel
suo paese la sezione del Psi e le leghe di resistenza che riunivano i lavoratori della
terra, stimolato in questa attivit anche da Andrea Costa. Sindaco di Molinella
venne perseguitato dal regime fascista che lo condann due volte (in un caso al
confino di due anni e mezzo prolungato a cinque anni, nel secondo, nel 1937, allinternamento nellospedale psichiatrico romano di Santa Maria della Piet).
Dopo la guerra, segu Giuseppe Saragat nella scissione di Palazzo Barberini.
morto a Molinella il 31 marzo del 1950.

679

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Giacomo Matteotti
La sua uccisione (a Roma, in un agguato, il 10 giugno 1924) svel lanima profonda del fascismo, quella pi violenta e autoritaria. Le elezioni del 1924, daltro
canto, erano state caratterizzate da agguati e assassinii e la denuncia che lui fece
nel suo discorso alla Camera chiedendo di non convalidare risultati cos chiaramente segnati da intimidazioni e agguati mise in crisi Mussolini e scaten gli
istinti pi animaleschi del movimento, quelli che facevano capo a Roberto Farinacci (che difese gli autori dellomicidio). Matteotti era legato a Turati, lo aveva
seguito al momento della fondazione del Partito Socialista Unitario di cui fu
anche il primo segretario e dopo il successo di Nenni sui terzinternazionalisti di
Serrati avrebbe voluto ricomporre quella frattura. Era nato a Fratta Polesine il
22 maggio del 1885.
Giuseppe Mazzini
Omonimo delleroe risorgimentale, anche lui stato una figura chiave nella rinascita dei sindacati liberi dopo il ventennio fascista. Sarebbe stato lui a porre come
condizione a Piccardi lattribuzione a Buozzi del ruolo di commissario delle vecchie
organizzazioni sindacali. A lui il ministro aveva chiesto di guidare le strutture
imprenditoriali. Daltro canto era stato presidente della Lega Industriale e pur
non assumendo un atteggiamento di netta opposizione, aveva comunque tenuto
una posizione piuttosto tiepida verso il fascismo. Era legato a Buozzi da sincera
stima. Come ha riportato Grabriele Mammarella nella biografia sul leader sindacale, dellavversario lindustriale diceva: la sua lealt era tale e cos alta la
sua comprensione che egli ha fatto sempre del bene a tutti, a quelli che rappresentava e a quelli che combatteva perch, soprattutto ha fatto del bene allItalia.
Nato a Livorno il 7 aprile 1887, morto a Torino il 7 maggio del 1961.
Emanuele Modigliani
Politico e avvocato. In questa seconda veste professionale partecip al processo
contro gli assassini di Giacomo Matteotti in rappresentanza delle parti civili. Riformista, ebbe con Turati un rapporto complicato mentre intrattenne relazioni
pi intense e affettuose con Gaetano Salvemini. Rampollo della buona borghesia
ebraica romana, fratello del famoso pittore e scultore, Amedeo, era nato a Livorno il 28 ottobre 1872. Nella diatriba tra riformisti e massimalisti lavor per
evitare la rottura. Poi, per, in occasione del Patto Molotov-Ribbentrop, assunse
una posizione intransigente chiedendo lespulsione di Nenni accusato di aver un
atteggiamento troppo morbido nei confronti dei comunisti. Al rientro in Italia,
dopo la caduta del fascismo, partecip alla scissione di Palazzo Barberini, seguendo Saragat. Eletto alla Costituente ma minato dallesilio e dalla lunga lotta
al fascismo, mor a Roma il 5 ottobre del 1947.
Vjaceslav Michajlovic Molotov
Il suo nome legato non solo alla famosa bomba usata nelle operazioni di guer-

680

PERSONAGGI E INTERPRETI

riglia (in realt, lui con laggeggio non centra nulla essendo stato perfezionato
dai militari franchisti), ma soprattutto al patto di non aggressione firmato con
il suo omologo nazista, Joachim von Ribbentrop. Nato a Kukarka il 9 marzo
1890, stato lunico dei rivoluzionari bolscevichi che hanno avuto una vita lunga
e non sono finiti davanti a un plotone di esecuzione nel corso delle purghe degli
anni Trenta, morto infatti a novantasei anni, l8 novembre del 1986, a Mosca.
Quando firm il Patto era anche capo del governo (Presidente del Consiglio dei
commissari del popolo) ma a guerra con la Germania cominciata, lasci la carica, restando ministro degli esteri (6 maggio 1941) e Stalin lo sostitu.
Pietro Nenni
Era nato a Faenza il 9 febbraio del 1891 e di quella terra, la Romagna, aveva
tutti gli aspetti sanguigni, compreso quello che, giovanissimo, lo port a scrivere
sul muro dellorfanotrofio che lo ospitava, una frase inneggiante nei confronti
dellanarchico Bresci, luomo che aveva ucciso Umberto I. Repubblicano, insieme
a Mario Bergamo aveva fondato nel 1919 a Bologna il primo Fascio di Combattimento. Lesperienza dur poco. Nel 1921 abbandon i repubblicani ed entr nel
Psi vincendo, nel 1923, il congresso e mettendo in minoranza Serrati che sognava
la confluenza con il PCdI. Con Bruno Buozzi il rapporto non stato sempre idilliaco anche se poi quando in esilio i socialisti si riunificarono, erano tutti e due
al medesimo tavolo. Ma il riformismo di Turati non scorreva nelle vene di Nenni.
morto a Roma il 1 gennaio 1980.
Francesco Saverio Nitti
Fu sotto il suo governo che venne approvata la legge elettorale che introdusse il
sistema proporzionale e che consent al Psi una grande affermazione nelle elezioni del novembre 1919. Nato a Melfi il 19 luglio 1868, fu il primo presidente del
consiglio proveniente dal Partito Radicale. Meridionalista, fu un aperto oppositore del regime fascista e fu costretto allesilio. Il figlio, Vincenzo, scrisse anche
un libro con Bruno Buozzi, Sindacalismo e fascismo. Al ritorno in Italia fu
membro della Costituente. Mor a Roma il 20 febbraio del 1953.
Gino Olivetti
Nulla a che vedere con Adriano Olivetti. Nato a Urbino il 5 settembre del 1880,
industriale, stato prima segretario della Lega Industriale (a partire dal 1906)
e poi della Confindustria (sino al 1934). Dirigente sportivo ( stato presidente
della Juventus, lultimo prima dellacquisto del club da parte di Edoardo Agnelli),
ader al fascismo (pur essendo un liberale conservatore) in maniera cos entusiastica che il regime lo coopt nel Gran Consiglio. Deputato per quattro legislature. Di origini ebraiche, venne progressivamente isolato dal regime tanto da
convincerlo ad abbandonare lItalia. morto, infatti, in Argentina nel 1942.

681

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Ferruccio Parri
Indro Montanelli sosteneva che se in Italia cera un politico che si meritava la
qualifica di galantuomo, questo politico era Ferruccio Parri. stato il primo presidente del Consiglio laico del dopoguerra (dal 21 giugno del 1945 all8 dicembre
dello stesso anno): bisogner attendere trentasei anni per avere il secondo (Giovanni Spadolini). Nato a Pinerolo il 19 gennaio 1890 fu uno dei leader di quel
Partito dAzione che si oppose al fascismo senza contraddizioni o cedimenti. Fu
lui che organizz con i fratelli Rosselli, Sandro Pertini e Italo Oxilia la fuga di
Filippo Turati in Francia. Noto nella resistenza come il comandante Maurizio,
morto a Roma l8 dicembre del 1981.
Sandro Pertini
stato il presidente della Repubblica pi amato, per il suo modo schietto e decisamente combattivo di affrontare i problemi (famoso il suo jaccuse contro il
governo e, in particolare, contro il ministro dellinterno, in occasione del terremoto dellIrpinia quando la macchina dei soccorsi si dimostr palesemente inefficiente). Nato a San Giovanni Stella il 25 settembre del 1896, era uno tra i pi
giovani del gruppo che si aggregava intorno a Turati (lo aiut a fuggire in Francia, a bordo di un motoscafo), che segu anche nel Psu. Antifascista adamantino,
partecip alla battaglia di Porta San Paolo, a Roma, dopo l8 settembre. Venne
catturato dai nazisti e condannato a morte: la condanna non venne mai eseguita
perch le Brigate Matteotti guidate da Giuliano Vassali (ideatore del piano), di
cui facevano parte Giuseppe Gracceva, Massimo Severo Giannini, Filippo Lupis,
Ugo Gala e con laiuto del medico del carcere, Alfredo Monaco, lo fecero fuggire,
insieme a Giuseppe Saragat da Regina Coeli.
Camillo Prampolini
Bruno Buozzi aveva come punto di riferimento politico Turati ma era, probabilmente, pi affine a Prampolini che interpretava meglio quel carattere didattico
che la militanza socialista assumeva in un periodo in cui lItalia era un paese con
una percentuale altissima di analfabeti. Prampolini era nato a Reggio Emilia il
27 aprile del del 1859. Era figlio di un ambiente medio-alto borghese che, chiaramente, non accettava felicemente la sua conversione al socialismo. Era gi
parlamentare quando il 14 agosto del 1892 si present a Genova al congresso
del Partito Operaio dei Lavoratori e il suo discorso fu decisivo ai fini della separazione dagli anarchici e della fondazione del Psi (venne anche colto da malore).
Il suo giornale, la Giustizia fu un punto di riferimento per i socialisti dellepoca.
Mor a Milano il 30 luglio del 1930, qualche anno prima gli era stato diagnosticato un cancro.
Gioacchino Quarello
Nella tripartizione politica del vertice delle vecchie organizzazioni sindacali fasciste, lui rappresentava la corrente cattolica (Roveda quella comunista). Alle

682

PERSONAGGI E INTERPRETI

spalle un passato da operaio (era tornitore, esattamente come Buozzi), fu eletto


alla Costituente nel 1946. Nato il 4 aprile 1892 a Cardona di Villadeati in provincia di Alessandria, dedic al consiglio comunale torinese lultima parte della
sua carriera politica. morto a Torino il 20 giugno del 1966
Camilla Ravera
stata la prima donna, nella storia della Repubblica, ad essere insignita con il
titolo di senatore a vita. Ad attribuirglielo provvide nel 1982 il presidente della
Repubblica, Sandro Pertini, che volle onorare quella donna combattiva. Aveva
novantatr anni essendo nata ad Acqui Terme il 18 giugno 1889. Sei anni dopo
quella nomina, il 14 aprile 1988, il suo cuore si sarebbe fermato. Antifascista, fu
inviata al confino a San Giorgio Lucano, in provincia di Matera. La sua presa
di posizione fu decisiva per la nascita della CGdL clandestina.
Carlo Rosselli
Con Pertini e Parri organizz alla fine del 1926 lespatrio di Filippo Turati. Su
quel motoscafo, oltre al padre nobile del socialismo italiano, cera pure Italo
Oxilia (al timone). Ma dopo aver sbarcato Turati e Pertini a Nizza, lui torn in
Italia insieme a Ferruccio Parri e venne arrestato a Marina di Carrara. Lo tennero in prigione con laccusa di aver aiutato non solo Turati ma anche Claudio
Treves e Giuseppe Saragat a riparare in Francia. Detenuto a Como, venne spedito al confino a Lipari. Carlo Rosselli era nato a Roma, il 16 novembre 1899 in
una famiglia estremamente impegnata in politica, nel Risorgimento, repubblicana tanto vero che Giuseppe Mazzini era morto nella casa pisana dei Rosselli.
A lui si deve lelaborazione delle idee di un socialismo liberale ispirate al Labour
Party. I sicari fascisti lo assassinarono il 9 giugno 1937 a Bagnoles-de-lOrne.
Nello Rosselli
Di un anno pi giovane del fratello Carlo (era nato a Roma il 29 novembre del
1900), venne ucciso anche lui a Bagnoles-de-lOrne il 9 giugno del 1937 da una
banda di Cagoulards, cio appartenenti al gruppo di estrema destra francese
Cagoule. Ma la mano dei sicari venne armata dallItalia, dai servizi segreti e, in
particolare, da Galeazzo Ciano (diventato lanno prima ministro degli esteri),
genero di Mussolini che poi avrebbe votato a favore dellOrdine del Giorno
Grandi, condannato a morte dal tribunale di Verona e giustiziato. Nello con Piero
Calamandrei fond il Circolo di Cultura, chiuso dai fascisti. Cre anche il primo
giornale clandestino, Non Mollare. Fin al confino a Ustica e, infine, espatri
in Francia dove i sicari armati dai fascisti lo ammazzarono.
Antonio Salandra
Fu uno di quegli esponenti della vecchia classe politica liberale che esalt la
sua crisi finendo per dare appoggio (nel suo caso anche abbastanza entusiastico)
a un regime illiberale come quello di Mussolini. Fu lui che dichiar lentrata in

683

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

guerra dellItalia nel 1915 in forme non propriamente corrette dal punto di vista
costituzionale, aiutato in questo anche dal re, Vittorio Emanuele III. Nacque a
Troia il 13 agosto del 1853, mor a Roma il 9 dicembre 1931.
Gaetano Salvemini
Figura di spicco di quello che venne definito socialismo meridionale. Nato a Molfetta l8 settembre del 1873, entr in polemica spesso con Filippo Turati (argomento principale delle dispute, il rapporto con Giovanni Giolitti da lui definito il
ministro della malavita) e, in alcuni casi, anche con Buozzi essendo la sua linea
politica diversa da quella dei riformisti. Usc dal partito socialista nel momento
in cui non venne organizzata una manifestazione contro la guerra italo-turca.
Antifascista della prima ora, si schier anche contro lAventino. Nonostante i dissidi con Turati, fu un assiduo collaboratore della Critica Sociale e fond insieme
ai fratelli Rosselli il giornale clandestino antifascista Non Mollare. Mor a Sorrento il 6 settembre del 1957.
Giuseppe Saragat
stato probabilmente il pi grande amico di Bruno Buozzi. Molto pi giovane
del leader sindacale, aveva collaborato alle sue campagne elettorali creando un
legame solido che avrebbe coinvolto anche le mogli e le famiglie. Significativo
da questo punto di vista lepistolario che intrattennero quando Saragat era in
Austria e Buozzi gi in Francia. Nato a Torino nel 1898, Saragat ader al socialismo e, in particolare, alla corrente riformista e segu Turati, Treves e Buozzi
nelle vicissitudini di unarea politica votata alle scissioni. E a una scissione legato anche il suo nome: quella di Palazzo Barberini, nel 1947. Anche lui condannato a morte, riusc a evadere insieme a Pertini da Regina Coeli grazie a un
piano elaborato da Giuliano Vassalli. Eletto presidente della Repubblica il 28 dicembre 1964, provvide a nominare senatore a vita Pietro Nenni nel 1970. scomparso a Roma l11 giugno del 1988.
Mauro Scoccimarro
Il suo nome ricorre nelle cronache che hanno riguardato le trattative del Patto
di Roma per la costituzione del sindacato unitario. Nato a Udine il 30 ottobre
del 1895, dopo essersi iscritto nel 1917 al Psi, segu nel 21 i comunisti, al momento
della formazione del PCdI. Nel governo Parri, a guerra finita, ricopr lincarico
di ministro delle Finanze. morto a Rona il 2 gennaio del 1972.
Pietro Secchia
Nelle vicende sindacali del primo dopoguerra e in quelle che hanno preceduto la
nascita della Cgil unitaria, Secchia ha avuto un ruolo. Operaio in una industria
laniera, durante il Biennio Rosso a Torino svolgeva una importante attivit sindacale e partecip agli scioperi che si svolsero in quel periodo. Nato a Occhieppo
Superiore il 19 dicembre del 1903, rappresentava lala dura, rivoluzionaria del

684

PERSONAGGI E INTERPRETI

Pci, non indifferente rispetto allidea della lotta armata come strumento di lotta
politica. Mor a Roma il 7 luglio del 1973.
Giacinto Menotti Serrati
Ha un ruolo non secondario nei travagli politici che accompagnarono le vicende
relative alloccupazione delle fabbriche. Massimalista, non insensibile al fascino
di Lenin e della Terza Internazionale, respinse, comunque, nel congresso del 1921,
quello che port alla scissione comunista, il diktat proveniente da Mosca che chiedeva lespulsione dal partito dei riformisti. Un passo, comunque, che venne compiuto lanno successivo e che port Turati, Treves e Matteotti a fondare il Partito
Socialista Unitario. Nel 1923, poi, tocc a lui: battuto da Nenni, venne messo alla
porta e nel 1924 ader al PCdI. Arrestato durante i moti torinesi per il pane, sub
nel centro di Milano una pesante aggressione fascista dopo un articolo contro
Mussolini pubblicato sull Avanti!. Nato a Spotorno il 25 novembre del 1876,
morto il 10 maggio del 1926 ad Asso.
Palmiro Togliatti
In clandestinit era conosciuto come il compagno Ercoli e con questo nome lo
accolse, al rientro in Italia, il quotidiano del partito, lUnit. Appena sbarcato
in Italia realizz quella che alla storia passer come la svolta di Salerno (ci sar
anche una seconda svolta di Salerno, a produrla provvide Enrico Berlinguer,
annunciando laccantonamento del compromesso storico e lassunzione dellalternativa democratica come linea politica del partito), in pratica il Pci metteva
momentaneamente da parte la questione dellallontanamento della monarchia
dal vertice dello Stato, per concentrare tutte le forze sulla guerra di liberazione.
E questa scelta lo port, dopo la liberazione di Roma, a ricoprire lincarico di
sottosegretario senza portafoglio nel governo Bonomi. Poi fu ministro della giustizia con Parri e De Gasperi e con il leader democristiano a capo dellesecutivo,
firm la famosa amnistia nei confronti di coloro che si erano macchiati di reati
politici dopo l8 settembre. Era nato a Genova il 26 marzo del 1893. Al Partito
Socialista si iscrisse nel 1914, poi, a Torino, con Gramsci, Tasca e Terracini fond
il giornale LOrdine Nuovo (il primo numero usc il 1 maggio 1919). Partecip
alla nascita a Livorno, nel 1921, del PCdI. Era segretario del Pci quando mor a
Jalta il 21 agosto del 1964.
Claudio Treves
A volte la morte definisce una scenografia perfetta: Claudio Treves spir a Parigi, nella sua casa a Rue de la Tour dAuvergne, un anno dopo la scomparsa di
Turati, l11 giugno del 1933; mor nella notte, nel sonno, dopo aver commemorato, al mattino, Giacomo Matteotti, altro grande esponente della corrente riformista. Treves stato direttore dell Avanti! ed stato soprattutto il braccio
di Turati nella Critica Sociale (spesso si firmava il Vice). Il suo giornalismo
era decisamente moderno: chiaro e diretto, poco o nulla a che vedere con la ri-

685

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

dondanza retorica di quei tempi. Il trionfo del fascismo, lo obblig nel 1926 a
prendere la via dellesilio. Fu uno dei grandi animatori della Concentrazione Antifascista e soprattutto la mente dellorgano di stampa, il settimanale La Libert. Non un caso che la Concentrazione sia andata in crisi proprio dopo la
sua morte. Negli ultimi anni della sua vita sostenne la necessit di riunificare gli
spezzoni del socialismo. Di origini ebraiche, era nato a Torino il 24 marzo del
1869.
Filippo Turati
il padre del partito socialista, riformista, ispirato profondamente nelle sue
idee da Bernstein e dalle teorie revisionistiche del marxismo. Nato a Canzo, il 26
novembre del 1857, si leg sentimentalmente per tutta la vita a Anna Kulisciof,
che si era separata dal precedente compagno, Andrea Costa. Scrisse Ornella
Buozzi, figlia primogenita di Bruno, sullAlmanacco socialista del 1932 che fu interamente dedicato alla morte di Turati: Ed il risveglio di tutti, lo trovava gi
al lavoro, nel disordine dello studio invaso dalle carte e di plichi, in compagnia
del grande ritratto di Anna che dal vano di una porta gli sorrideva. La scomparsa della compagna, avvenuta nel 1925, lo prov in maniera particolare. Critica Sociale, il giornale che aveva fondato a Milano nel 1891, prima ancora della
nascita del Psi, fu un centro estremamente vivace di elaborazione culturale. Lultima parte della sua vita la trascorse in esilio a Parigi, nella casa di Bruno Buozzi
e l, in Boulevard Ornano 8, si spense alle 22,43 del 29 marzo 1932. Su quellAlmanacco, Ornella Buozzi raccont cos quel momento finale: Una bimba che
vede per la prima volta la morte piange sulla spalla della sua sorellina. Ed impressionante vedere gli uomini che furono i suoi figlioli spirituali col viso bagnato di lacrime e voce interrotta a preparare i comunicati ai giornali:
morto Filippo Turati. Tra i figlioli spirituali, ovviamente, cera Bruno Buozzi.
Umberto I
Era nato a Torino il 14 marzo 1844 e il suo nome completo era Umberto Rainerio
Carlo Emanuele Maria Ferdinando Eugenio di Savoia. Sal al trono il 9 gennaio
del 1878, dopo la morte del padre Vittorio Emanuele II, il re dellunit. Ma la sua
vicenda storica e umana terminata tragicamente con le pistolettate dellanarchico Gaetano Bresci, caratterizzata da luci e ombre. Si guadagn la definizione
di Re Buono a Napoli, nel 1884 per il modo in cui si impegn durante lepidemia
di colera. Ma quella definizione provvide a smentirla con scelte estremamente
repressive e reazionarie come lonorificenza a Bava Beccaris che se la guadagn
sparando a Milano sulla folla affamata. Mor a Monza, il luogo dellattentato, il
29 luglio 1900.
Josif Vissarionovic Dzugasvili Stalin
Per conoscere i connotati decisamente sanguinari della sua dittatura, fu necessario attendere la sua morte avvenuta a Mosca il 5 marzo del 1953. Stalin, origini

686

PERSONAGGI E INTERPRETI

georgiane (era nato a Gori il 18 dicembre 1878) molto umili alle spalle, nella storia che abbiamo raccontato in questo libro ha un ruolo decisivo, soprattutto per
quanto riguarda i rapporti alterni tra comunisti e socialisti, segnati dal Patto
Ribbentrop-Molotov e da quella politica fortemente polemica (ma si tratta di un
eufemismo) che si sintetizzava in una semplice definizione: socialfascisti.
Giuliano Vassalli
suo il piano che port alla liberazione di Saragat e Pertini da Regina Coeli.
Poi, nelle maglie della repressione nazista rimase impigliato anche lui: venne
arrestato e rinchiuso a via Tasso dove venne torturato. Fu risparmiato dai tedeschi per intercessione di Pio XII e rilasciato il 4 giugno mentre gli americani
arrivavano a Roma. Nato a Perugia il 25 aprile del 1915, socialista, era legato a
Bruno Buozzi. Docente di diritto e procedura penale, stato presidente della
Corte Costituzionale e ministro della Giustizia. morto a Roma il 21 ottobre
2009.
Vittorio Emanuele III
Quando il padre, Umberto I, venne assassinato da Bresci, lui era in crociera nel
Mediterraneo con la moglie Elena. Torn precipitosamente e il 2 agosto 1900
sbarc a Reggio Calabria. Con lui (quella di Umberto II fu una brevissima parentesi, una rapida transizione) la storia della monarchia sabauda si concluse,
venendo alla fine condannata anche da lealisti come Benedetto Croce che lo accus di aver gettato la dinastia nel discredito e ne chiese lallontanamento. Di
carattere piuttosto chiuso, si concesse speso delle licenze interpretative nellattuazione delle regole costituzionali. La dichiarazione di guerra in occasione del
primo conflitto mondiale, tenendo praticamente alloscuro i partiti e con la Camera chiusa fu, in buona sostanza, il preludio allaltra forzatura, ancor pi funesta: lattribuzione a Mussolini dellincarico di formare il governo. La fuga al
Sud dopo l8 settembre e la mancata difesa della Capitale dai tedeschi furono il
momento finale di una parabola ingloriosa. Era nato a Napoli l11 novembre
1869 e mor in esilio ad Alessandria dEgitto, il 28 dicembre del 1947.
Joachim von Ribbentrop
La cialtroneria pu avere anche origini tedesche. Ribbentrop, infatti, avrebbe
aggiunto quel von al nome per attribuirsi ascendenze aristocratiche che non
aveva (esibiva il titolo di barone). Era sicuramente nato in una famiglia molto
agiata. Le conoscenze internazionali lo portarono alla guida della diplomazia e
il 1939 fu per lui un anno denso di successi, come ministro degli esteri: firm con
Mussolini il Patto dAcciaio e con Molotov il 23 agosto laccordo di non aggressione che apr a Hitler la strada dellinvasione della Polonia (cominciata il 1 settembre, data ufficiale di avvio della seconda guerra mondiale). Caduto Hitler,
prov a fuggire in Sud America, come molti altri suoi camerati ma fu bloccato
il 14 giugno 1945 dalle parti di Amburgo, processato e condannato a morte a No-

687

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

rimberga (la condanna venne eseguita il 16 ottobre del 1946). Era nato a Wesel
il 30 aprile del 1893.
Grigory Evseevic Zinoviev
La sua firma compare in calce alla lettera con la quale il Comintern chiese lespulsione dei riformisti dal Psi nei giorni in cui cominciava loccupazione delle fabbriche. Nato a Kirovohrad, il 23 settembre del 1883, fu uno tra i dirigenti
bolscevichi pi potenti tra il 1918 e il 1925 quando fu chiamato a ricoprire lincarico di capo del Soviet di Pietrogrado e di presidente della Terza Internazionale.
Nella polemica tra Stalin e Trotsky diede man forte al primo. Alla morte di Lenin,
partecip al cosiddetto triumvirato con Stalin e Kamenev. Ma poi il primo lo
sped davanti al plotone di esecuzione: mor a Mosca il 25 agosto 1936.

PARTIGIANI E GENERALI
Pietro Badoglio
Luci e ombre caratterizzano la sua storia militare e politica. Quando Mussolini
fece scattare la Marcia su Roma, interpellato dal re sulla reale minaccia costituita da quella iniziativa sul piano dellordine pubblico, rispose senza mezzi termini che al primo colpo di cannone tutta quella gente (male armata e anche con
scarsi approvvigionamenti alimentari) sarebbe stata messa in fuga. Chiese i pieni
poteri ma Vittorio Emanuele III non glieli diede. A lui, per, ricorse nel momento
in cui il Gran Consiglio sfiduci Mussolini. Nei famosi 45 giorni qualcosa di buono
sul piano politico riusc a combinare (ad esempio, la nomina di Piccardi e quella
di Buozzi a commissario delle vecchie corporazioni fasciste) ma la gestione delle
vicende che portarono allarmistizio fu contraddittoria e la mancata difesa di
Roma non contribu a migliorare limmagine del suo governo. Nato a Grazzano
Monferrato il 28 settembre del 1871, mor sempre a Grazzano il 1 novembre del
1956.
Luigi Cadorna
Il suo nome rimarr indissolubilmente legato alla disfatta di Caporetto. Figlio
darte (suo padre era il generale Raffaele Cadorna), si ritrov Capo di Stato Maggiore quasi per caso nel momento pi turbolento. Il 28 giugno 1914 Gavrilo Princip aveva assassinato Francesco Ferdinando, il 1 luglio il generale Alberto Pollio
era morto per infarto; a fine mese, il 27 luglio, era gi Capo di Stato Maggiore su
indicazione del re, Vittorio Emanuele III. La disfatta di Caporetto interruppe questa sua folgorante carriera militare: il nuovo capo del governo, Vittorio Emanuele
Orlando come primo atto ne chiese la rimozione ma poi furono soprattutto gli alleati a reclamare e ottenere la sua testa. Tre volte senatore, pur non aderendo al
fascismo, venne nominato da Mussolini Maresciallo dItalia. Nato a Pallanza il 4
settembre 1850, morto a Bordighera il 21 dicembre 1928.

688

PERSONAGGI E INTERPRETI

Armando Diaz
La sfortuna di Cadorna, stata la sua fortuna visto che a prima guerra mondiale terminata venne nominato Duca della vittoria. Cos come il nome del suo
predecessore legato a Caporetto, il suo legato a Vittorio Veneto, cio alloffensiva finale che si concluse con larrivo il 3 novembre del 1918 delle truppe italiane
a Trento e delle nostre navi a Trieste. Il giorno successivo, lAustria chiese larmistizio. Nato a Napoli il 5 dicembre 1861, morto a Roma il 29 febbraio 1928.
Mark Clark
Fu lui che al comando delle truppe americane entr a Roma il 4 giugno 1944 affrancandola dalloccupazione nazista. Nato a Madison Barraks, base della marina degli Stati Uniti, a Sackets Harbor nello stato di New York, il 1 maggio 1896,
durante la seconda guerra mondiale fu il principale collaboratore di Dwight Eisenhower. Fu lui a guidare gli sbarchi a Salerno e ad Anzio, a dirigere la battaglia di Montecassino e, infine, ad entrare nella capitale. morto a Charleston il
17 aprile 1984.
Giuseppe Gracceva
Figura centrale della guerra partigiana. La sua azione pi clamorosa fu quella
che port alla liberazione di Sandro Pertini e Giuseppe Saragat da Regina Coeli.
Mise in cantiere anche una operazione per favorire levasione di Buozzi da via
Tasso ma fu costretto a rinunciarvi per mancanza di uomini. Era noto come il
Maresciallo Rosso. Deluso dal patto Molotov-Ribbentrop e dalla politica staliniana, abbandon il Pci per aderire al Psiup. Nato a Roma il 13 febbraio del 1906,
mor nella citt natale nel 1978.
Herbert Kappler
Al suo nome sono legati diversi eccidi e anche le dimissioni di un ministro della
difesa: Vito Lattanzio. Nato a Stoccarda (la citt della Mercedes che sarebbe diventata nel secondo dopoguerra una delle mete preferite dellemigrazione italiana) il 23 settembre del 1907, Kappler era il re di via Tasso. Da quel
fortino-prigione organizzava la sua feroce repressione: la strage delle fosse Ardeatine, leccidio de La Storta, il rastrellamento del Quadraro, la persecuzione
di monsignor Hugh OFlaherty, il sacerdote irlandese che operando dal Vaticano
aveva salvato almeno quattromila persone. Condannato e imprigionato in Italia
per i suoi reati, riusc a fuggire dallospedale del Celio in maniera rocambolesca,
in qualche misura anche ridicola che Lattanzio pag presentando le dimissioni
da ministro della difesa (ma venne immediatamente reintegrato al dicastero
della Marina Mercantile). Malato, per la sua liberazione si era mosso anche Helmut Schmidt, allepoca cancelliere tedesco. Un altro ministro della difesa, Forlani, per farlo ricoverare in una struttura ospedaliera, il Celio, appunto, mut il
suo status da detenuto a prigioniero di guerra, cosa piuttosto incomprensibile
visto che in quel momento non vi era alcuna guerra tra Italia e Germania.

689

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Quando le sue condizioni si aggravarono, gli venne concessa la libert vigilata,


concessione bloccata dalle proteste dei familiari delle sue vittime. Ma il 15 agosto
del 1977, aiutato dalla moglie, riusc a fuggire dal Celio sotto gli occhi dei carabinieri che lo sorvegliavano, e a riparare a Soltau. Riusc a godersi limmeritata
libert per sei mesi, mor, infatti, il 9 febbraio del 1978.
Albert Kesserling
A lui Pietro Calamandrei dedic la famosa epigrafe che avrebbe dovuto accompagnare il monumento che a parere del generale tedesco gli italiani avrebbero
dovuto erigere in suo onore. Ma se come stratega militare, Kesserling si guadagn la stima anche dei colleghi avversari, come capo delle forze di occupazione
in Italia si macchi le mani di crimini che lo hanno fatto passare alla storia come
uno tra gli esponenti pi spietati del regime nazista. Nato a Bayreuth il 30 novembre del 1885, ha avuto la possibilit di morire nel suo letto, a Bad Nauheim,
il 16 luglio del 1960 nonostante la condanna a morte decretata dagli alleati per
i crimini commessi nel corso della guerra. A volerne la grazia furono i britannici.
Trascorse in totale libert gli ultimi otto anni di vita senza mai rinnegare il suo
passato nazista.
Pietro Koch
Il suo nome evoca omicidi efferati, agguati e torture. Nato a Benevento il 18 agosto del 1918, era un ufficiale della polizia politica fascista e durante la Repubblica
Sociale divenne il capo di un reparto speciale che venne chiamato Banda Koch
per via dei comportamenti essenzialmente banditeschi. Tra le sue vittime, Eugenio Colorni. Catturato nel 1945, il suo processo dur poche ore e si svolse nella
giornata del 4 giugno. Il 5 giugno venne fucilato a Forte Bravetta, a Roma, nello
stesso luogo in cui sino allanno prima i plotoni di esecuzione nazisti avevano lavorato a pieno regime contro gli antifascisti.
Italo Oxilia
In questa storia merita un posto donore. stato uno di quegli eroi dellantifascismo rimasti nellombra. Nato a Savona il 3 agosto del 1987, tanti leader antifascisti devono alla sua dedizione politica e alla sua abilit di marinaio la vita.
Era lui alla guida del motoscafo che il 12 dicembre 1926 salp da Savona per
portare in salvo a Nizza e, quindi, a Parigi, Filippo Turati. Tre anni dopo, il 27
luglio del 1929, replic limpresa: questa volta a bordo cerano Francesco Saverio
Nitti, i fratelli Rosselli ed Emilio Lussu. morto il 17 giugno del 1971 nellospizio
del Santuario a Savona.
Erich Priebke
Capitano delle SS, nella ricerca delluomo che diede lordine di uccidere Buozzi e
i suoi tredici sfortunati compagni, fu fatto anche il suo nome. La sua salma
stata tumulata in un luogo sconosciuto perch luomo che realizz leccidio delle

690

PERSONAGGI E INTERPRETI

Fosse Ardeatine ha sino alla fine agitato i sonni dei familiari delle sue vittime.
Ha vissuto cento anni, essendo nato a Hennigsdorf il 29 luglio 1913 ed essendo
morto a Rona l11 ottobre del 2013. Per i crimini commessi non ha mai chiesto
perdono, n manifestato un reale pentimento. Al contrario, si difeso come Heichmann a Gerusalemme: aveva solo obbedito agli ordini. Due delle 335 vittime
delle Fosse Ardeatine le fredd personalmente. Protagonista di polemiche e di
grandi fughe. Come quella che gli consent di aggirare il controllo dei suoi guardiani inglesi e polacchi nel campo di concentramento di Rimini il 31 dicembre
del 1946. Nel 1949 riusc a raggiungere San Carlos de Bariloche in Argentina e,
sotto falso nome, si dedic anche al turismo tornando in Germania e in Italia
(Roma, Sorrento, Rapallo). Poi alla sua porta buss un giornalista americano
dellemittente Abc. Il nostro governo chiese lestradizione e alla fine ritorn sulla
nostra penisola da imputato e con la sua vera identit. Condannato dopo una
lunga vicenda processuale allergastolo, morto, comunque, agli arresti domiciliari. Ha vissuto sicuramente di pi dei due innocenti che alle Fosse Ardeatine
uccise con la sua pistola e degli altri 333 per i quali non ebbe alcuna piet (n
mostr mai piet).

691

Solo gli operai sanno quanto vale il tempo;


se lo fanno sempre pagare
(Voltaire)

Le date, i fatti

Il 4 giugno 1944 mentre il camion dei nazisti si fermava a La Storta e le SS


si macchiavano dellennesima, orrenda strage, le forze alleate entravano
a Roma liberando la citt non solo dallinvasore ma anche da un sanguinoso incubo
694

1881-1890
LItalia a caccia di colonie
31 gennaio 1881 Nasce a Pontelagoscuro, vicino Ferrara, Bruno Buozzi.
9 Febbraio 1881 Muore a San Pietroburgo, Fyodor Dostoyevsky, uno dei
padri nobili della letteratura russa, autore di Delitto e Castigo, Lidiota, I
demoni, i Fratelli Karamazov.
4 Marzo 1881 Primo terremoto di Casamicciola. La localit ischitana viene colpita da un sisma del IX grado della scala Mercalli. La scossa provoca 126 morti.
13 Marzo 1881 Lo zar Alessandro II Romanov viene ucciso a San Pietroburgo
nello stesso giorno in cui si dichiara disposto ad accettare una serie di riforme
sociali tra le quali la progressiva abolizione della servit della gleba. Lagguato,
guidato da Sofia Perovskaja, scatta nel momento in cui lo zar abbandona la
scuola di equitazione per tornare al Palazzo di Inverno. Nikolaj Rysakov lancia
una prima bomba che costringe Alessandro II a fermarsi. Sceso per controllare
i danni, viene investito da una seconda esplosione provocata da Ignatij Grinevickij.
30 aprile 1881 Andrea Costa fonda il settimanale Avanti!
27-28 giugno 1881 I contadini scendono in sciopero per ottenere miglioramenti salariali e negli orari di lavoro. Lagitazione riesce nel mantovano e nel
milanese.
7 luglio 1881 Dalla creativit di Carlo Lorenzini, meglio noto come Collodi, nascono le prime storie di Pinocchio. I racconti sono indissolubilmente legati allenorme diffusione dellanalfabetismo nellItalia da poco unita, con una media
di analfabeti che oscilla intorno al 78 per cento con punte che in Sardegna arrivavano al 91 per cento.
13 luglio 1881 Intorno alla salma di Pio IX trasportata dal Vaticano alla tomba
di San Lorenzo fuori le mura, si scatena una battaglia tra clericali e anti-clericali.
Leone XIII accusa lo Stato italiano di essere intervenuto in ritardo; repubblicani
e liberali chiedono, invece, labolizione della legge delle guarentigie.
25-26 settembre 1881 Nasce a Milano la Confederazione operaia lombarda,
vi aderiscono 86 associazioni operaie
1881 Leditore milanese Treves pubblica I Malavoglia, il romanzo dello scrittore siciliano Giovanni Verga. Ispirer due film, La terra trema di Luchino Vi-

695

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

sconti e Malavoglia di Pasquale Scimecca ma ambientato in unepoca diversa


da quella scelta da Verga (1863-1878).
25 gennaio 1882 Nasce a Londra Adeline Virginia Wolf, scrittrice straordinaria ma dallesistenza segnata da eventi tragici che le creeranno gravi problemi
depressivi, conducendola al suicidio.
10 marzo 1882 LItalia acquista i diritti sul porto di Assab in Eritrea dalla societ di navigazione Rubattino. la prima pietra della nostra politica coloniale.
28 marzo 1882 Le mondine di Moglia scioperano e su di loro si abbatte la repressione: tante finiscono in galera. La protesta dilaga e coinvolge anche centri
come Bondeno, Suzzara, Bagnolo. Alla fine i lavoratori delle risaie ottengono aumenti pari al 50 per cento dei vecchi salari.
17 maggio 1882 Nasce a Milano, su iniziativa del giornale La Plebe, il Partito
Operaio Italiano.
20 maggio 1882 Germania, Austria e Regno dItalia firmano a Vienna quel
patto militare che va sotto il nome di Triplice Alleanza e che regger sino alla
prima guerra mondiale quando lItalia si smarcher dichiarando prima la sua
neutralit e poi entrando in guerra a fianco di Francia e Gran Bretagna.
21 maggio 1882 Il traforo del Gottardo viene di fatto inaugurato con lapertura
della linea ferroviaria.
2 giugno 1882 Scompare lultimo, grandissimo protagonista del Risorgimento
e dellUnit dItalia, Giuseppe Garibaldi. Aveva deciso di partecipare alle celebrazioni per il sesto centenario dei Vespri. Palermo aveva assistito in deferente
silenzio al suo passaggio, il 28 marzo. Poi, una volta a Caprera, una bronchite
che si trascinava da tempo, peggiora. Alle 18,22 del 2 giugno, allet di 75 anni,
si spegne per una paralisi della faringe. Chiuse per lutto scuole, teatri, negozi e
attivit parlamentare sospesa per dieci giorni.
24 settembre 1882 La nuova legge elettorale italiana che triplica gli aventi diritto (da seicentomila a due milioni) assume i suoi contorni definitivi con lapprovazione del Testo Unico che ingloba la legge del 22 gennaio (requisiti per
lelettorato attivo: ammessi solo gli uomini di et superiore ai ventuno anni, che
paghino un censo di 19,80 lire), la normativa del 7 maggio (viene introdotto lo
scrutinio di lista) e il regio decreto del 23 giugno (nuova mappa dei collegi). il
meccanismo elettorale che accompagner la trasformazione politica dellItalia
con il passaggio del timone del governo dalle mani della destra a quelle della si-

696

L E D AT E , I FAT T I

nistra liberale (nelle elezioni di ottobre viene eletto anche il primo deputato socialista: Andrea Costa).
20 dicembre 1882 A Trieste viene impiccato Guglielmo Oberdan: diventa il
simbolo dellIrredentismo italiano.
8 marzo 1883 A via Santa Redegonda, a Milano, comincia a operare la prima
centrale termoelettrica italiana e dellEuropa Continentale. Sistemata a poca distanza dal Duomo, viene ospitata nellarea in cui sorgeva un teatro in disuso da
qualche anno.
14 Marzo 1883 Si spegne a Londra Karl Heinrich Marx, filosofo, economista,
storico e sociologo. Un anno e mezzo prima, il 2 dicembre del 1881, aveva perduto
la moglie Jenny. Da questo dolore il filosofo non si era ripreso. Indebolito da una
bronchite cronica e dalla morte della primogenita (Jenny), aveva subito un ulteriore peggioramento delle condizioni di salute a causa di una ulcera polmonare. Verr sepolto nel cimitero londinese di Highgate ed Engels (lamico di una
vita, col quale aveva redatto il Manifesto del Partito Comunista) legger lorazione funebre. In quello stesso anno in Russia ad opera di Plechanov nasceva la
prima organizzazione politica di tendenza schiettamente marxista.
24 maggio 1883 Viene aperto al traffico il ponte di Brooklyn. Primo ad essere
costruito interamente in acciaio, collega Manhattan a Brooklyn. Per lungo tempo
sar il pi grande ponte sospeso al mondo ma per la sua realizzazione perderanno la vita ben ventisette operai.
28 luglio 1883 La terra trema alle 21,30 di nuovo a Casamicciola. La citt viene
praticamente rasa al suolo, come se fosse stata sottoposta a un lungo bombardamento. La potenza viene fissata al decimo grado della scala Mercalli (5,8 di
magnitudo). Levento drammatico provoca 2.313 vittime, la maggior parte
estratte dalle macerie di Casamicciola (1784). Benedetto Croce perde i genitori
e la sorella; il filosofo, a Ischia in vacanza, viene estratto vivo dalle macerie. Riesce ad uscire indenne dal disastro anche il meridionalista Giustino Fortunato.
4 ottobre 1883 Primo viaggio dellOrient Express, un treno che nel tempo ha
acquisito caratteri leggendari, ispirando anche opere letterarie. Lo crea la Compagnie Internationale des Wagon-Lits: parte da Parigi, precisamente da la Gare
de lEst e arriva a Costantinopoli, cio a Istanbul.
6 gennaio 1884 Con tre milioni di lire di capitale nasce la Edison. Nel settore
dellenergia elettrica diventer in breve la pi grande azienda italiana.
1 marzo 1884 Viene creata la Societ altiforni fonderie e acciaierie di Terni. La

697

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

produzione di acciaio subir unimpennata passando in quattro anni, dal 1885


al 1889 da 3-4000 tonnellate a 157 mila.
21 marzo 1884 In Francia viene riconosciuta la libert di associazione sindacale.
25 aprile 1884 A Fabriano gli operai anarchici scioperano e danno luogo a
scontri nel corso dei quali viene ferito lindustriale Giambattista Milani che per
tutta risposta chiude la fabbrica, licenzia tutti e si trasferisce a Firenze. Ma alla
fine, dopo sedici giorni di scioperi, la cartiera riapre seppur con un sistema di
sicurezza rafforzato attraverso lassunzione di ex carabinieri.
17 gennaio 1885 Acquistato il porto di Assab, comincia lavventura militare
che passer alla storia come la guerra di Eritrea e che durer un decennio. Il 17
gennaio parte il primo corpo di spedizione, 1500 uomini guidati dal colonnello
Tancredi Saletta, con lordine di occupare Assab.
5 febbraio 1885 Lesercito italiano occupa Massaua senza incontrare resistenze.
12 febbraio 1885 Parte la seconda spedizione italiana alla volta di Massaua.
Dodici giorni dopo ne partir anche una terza. Siamo in piena escalation coloniale.
22 maggio 1885 Si spegne a Parigi Victor Hugo. Era nato a Becanson agli inizi
del secolo (il 26 febbraio 1802). Lautore de I Miserabili era ritenuto il caposcuola del romanticismo francese.
2 dicembre 1885 Massaua viene annessa al Regno dItalia
26 gennaio 1886 Camillo Prampolini fa uscire a Reggio Emilia il primo numero del giornale La Giustizia
11 febbraio 1886 Per legge viene vietato in Italia il lavoro ai minori di 9 anni
e viene interdetta lutilizzazione negli orari notturni dei minori di 12.
11 giugno 1886 Ottanta morti nel crollo di una solfara tra Naro e Campobello
in provincia di Agrigento.
1886 Leditore milanese Treves pubblica Cuore di Edmondo De Amicis. Lo
scrittore, amico di Turati, condizioner in maniera decisiva levoluzione del socialismo in Italia.
26 gennaio 1887 Lavventura coloniale italiana conosce il primo, grande ro-

698

L E D AT E , I FAT T I

vescio. Cinquecento soldati al comando del colonnello De Cristoforis vengono


sterminati a Dogali dalle forze abissine fedeli al ras Alula.
2 febbraio 1887 Parte per Massaua un altro contingente di 800 uomini. Nel
frattempo, diventa pi ampia lopposizione politica alla guerra coloniale. Andrea
Costa lancia la campagna: N un uomo n un soldo.
1 maggio 1887 Il 1 maggio assume un carattere simbolico attraverso un fatto
di sangue. Dopo un comizio a sostegno della battaglia per la giornata di otto ore,
a Chicago, i manifestanti si dirigono verso la fabbrica per far cessare il lavoro.
Ma squadracce organizzate dal detective Nat Pinkerton sparano sulla folla. Nel
1889 il congresso fondativo della Seconda Internazionale indicher la data del
1 maggio 1890 per organizzare una giornata di lotta mondiale per le 8 ore.
2 maggio 1889 Viene firmato il trattato di Ucciali, tra Italia e Abissinia. il
prologo alla fondazione della colonia Eritrea che avverr sette mesi dopo, il 1
gennaio 1890.
1 luglio 1889 Filippo Turati e Anna Kuliscioff fondano la Lega Socialista Milanese.
14-20 luglio 1889 In occasione del centesimo anniversario della Rivoluzione
Francese, a Parigi viene fondata la Seconda Internazionale. Per lItalia sono presenti Andrea Costa (partito socialista rivoluzionario), Amilcare Cipriani (movimento anarchico) e Giuseppe Croce (Partito operaio italiano). La prima
battaglia trasformata in bandiera sar la rivendicazione delle otto ore di lavoro. Verr proclamata nel documento conclusivo: Una grande manifestazione
sar organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i
paesi e in tutte le citt nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle pubbliche
autorit di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore.
3 agosto 1889 Gli italiani occupano Asmara
1 gennaio 1890 Entra in vigore il nuovo codice di Zanardelli. La pena di morte
viene sostituita con lergastolo e non essendoci norme che ne limitino luso, lo
sciopero finisce per essere legalizzato.
20 marzo 1890 In Germania termina lera di Otto von Bismarck. Limperatore
Guglielmo II lo licenzia dalla carica di primo ministro invocando una insanabile
differenza di vedute sui temi di politica estera.
1 maggio 1890 Per la prima volta, si celebra la festa del lavoro. E dando seguito
alla deliberazione della Seconda Internazionale, i lavoratori vanno in piazza urlando lo slogan: otto ore di lavoro, otto di riposo, otto marchi di paga.

699

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

21 maggio 1890 Finisce nel sangue a Conselice, in provincia di Ravenna, la


manifestazione delle mondine che chiedono aumenti salariali e la limitazione
della giornata lavorativa a dodici ore. La polizia spara e muoiono due lavoratrici
e un lavoratore.

1891-1900
Nascono le Camere del Lavoro e il Psi
15 gennaio 1891 Appare il primo numero del giornale Critica Sociale per iniziativa di Filippo Turati e Anna Kuliscioff.
20 aprile 1891 Critica Sociale pubblica il programma della Lega Socialista
Milanese elaborato da Turati e dalla Kuliscioff.
1 maggio 1891 I divieti non fermano i lavoratori che festeggiano comunque il
Primo Maggio. A Roma, per, lepilogo sar sanguinoso: alla fine del comizio in
via Santa Croce in Gerusalemme, gli anarchici risponderanno alle provocazioni
della polizia. Seguir la proclamazione di uno sciopero generale.
15 maggio 1891 Leone XIII promulga lenciclica Rerum Novarum. il punto
davvio della dottrina sociale della Chiesa.
2-3 agosto 1891 Congresso operaio a Milano. la prima pietra del Partito Socialista che nascer lanno successivo. Turati fa approvare una mozione con la
quale si chiede una nuova legislazione sociale sul lavoro.
16-22 agosto 1891 A Bruxelles si svolge il secondo congresso della Seconda Internazionale: viene deciso di rendere permanente la Festa del Lavoro nella data
del Primo Maggio.
1 maggio 1892 Il congresso operaio di Palermo avvia la costituzione dei fasci
dei lavoratori a indirizzo socialista. Metter insieme artigiani, piccoli commerciati, contadini e braccianti.
18 luglio 1892 Muore lanarchico Carlo Cafiero.
30 luglio 1892 Compare Lotta di Classe giornale dei lavoratori italiani. A
fondarlo provvedono Filippo Turati e Anna Kuliscioff che affidano la direzione
a Camillo Prampolini.
14 agosto 1892 Nasce a Genova, nella sala Sivori, il Partito dei Lavoratori Italiani, in pratica il nuovo partito socialista, prodotto dalla separazione dellanima

700

L E D AT E , I FAT T I

socialista da quella anarchica (che abbandoner i lavori e creer un proprio partito che avr vita breve; andranno a vuoto i tentativi di mediazione di Andrea
Costa). Tra i fondatori Turati, Claudio Treves, Camillo Prampolini, Leonida Bissolati.
6 Novembre 1892 Alle elezioni (vi partecipa solo il 56 per cento del corpo elettorale, poco pi di 1,6 milioni di elettori su quasi 3 milioni) vince Giovanni Giolitti
che viene accusato di brogli e intimidazioni.
20 dicembre 1892 Crolla la Banca Romana. Nello scandalo vengono coinvolti
Crispi e Giolitti.
19 gennaio 1893 Esplode lo scandalo della Banca Romana. Arrestati governatore e tesoriere. Accertato un ammanco di cassa di venti milioni e la duplicazione di banconote per 40 milioni.
20 gennaio 1893 A Calvavaturo vicino Palermo finisce con una strage loccupazione di un terreno incolto: la polizia e lesercito sparano sui contadini. Tredici
vittime
6 marzo 1893 Di nuovo pallottole sui contadini siciliani a Serradifalco vicino
Caltanissetta. Due morti.
20 marzo 1893 Giovanni Giolitti presenta alla Camera una proposta per la
creazione della Banca dItalia.
29 giugno 1893 Al congresso di Parma viene costituita la Federazione delle
Camere del lavoro.
22 luglio 1893 Passa la legge che consente la nascita della Banca dItalia
17 agosto 1893 In Francia, ad Aigue-Mortes, si scatena una guerra tra poveri.
I lavoratori francesi si scagliano contro quelli italiani che accettano paghe pi
basse e ne uccidono trenta. La vicenda alimenta dimostrazioni anti-francesi in
Italia.
24 novembre 1893 Lo scandalo della Banca Romana travolge Giovanni Giolitti obbligandolo alle dimissioni.
2 dicembre 1893 In Sicilia cominciano le agitazioni popolari. lalba dei fasci
siciliani.
9-25 dicembre 1893 A Palermo le manifestazioni contro il dazio di consumo e

701

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

le tasse comunali vengono represse con straordinaria violenza e provocano decine di morti.
23 dicembre 1893 Crispi che ha sostituito Giolitti alla guida del governo chiede
e ottiene lautorizzazione a usare la forza in Sicilia in caso di necessit.
3 gennaio 1894 Crispi d il via a una violenta repressione. Dichiara contro i
moti popolari lo stato dassedio (cesser il 19 agosto) in Sicilia e scioglie i Fasci.
6 gennaio 1894 Scorre in piazza, a Carrara, il sangue. Gli anarchici organizzano una manifestazione di solidariet a favore dei siciliani. La polizia spara e
uccide nove lavoratori. Scatta anche in Lunigiana lo stato dassedio. Ma le manifestazioni continuano: a Massa altri due morti, il 17 gennaio a Carrara vengono uccise altre 15 persone, una vittima a Saravezza in provincia di Lucca.
Nonostante lo sdegno, Crispi tira dritto e con una legge scioglie le organizzazioni
anarchiche. Lo stato dassedio cesser in Lunigiana il 21 giugno.
1 febbraio 1894 Engels risponde ad Anna Kuliscioff: i socialisti possono creare
una coalizione con repubblicani e radicali per costruire uno stato democratico.
7 aprile 1894 Processo ai capi dei fasci siciliani a Palermo. De Felice-Giuffrida
viene condannato a 18 anni di cercare.
26 aprile 1894 Nasce la Lega dei ferrovieri.
16 giugno 1894 Paolo Lega attenta a Roma alla vita di Crispi che esce illeso.
15 ottobre 1894 Viene arrestato in Francia, Alfred Dreyfuss, ufficiale di artiglieria ebreo accusato ingiustamente di spionaggio a favore dellImpero Tedesco.
A suo favore si mobiliter anche Emile Zola con quellatto pubblico di accusa
(Jaccuse) che rester nella storia politica.
22 ottobre 1894 Crispi scioglie il Partito socialista dei lavoratori italiani.
13 gennaio 1895 Si svolge a Parma in clandestinit (avendo Crispi deciso lo
scioglimento) il congresso del Partito socialista dei lavoratori italiani che assume
definitivamente il nome di Partito Socialista Italiano (Psi). Ladesione al partito
diventa individuale e non pi attraverso le societ operaie.
24 marzo 1895 Il Psi vara il programma minimo. Tra gli obiettivi: suffragio
universale, uguaglianza dei due sessi, prolungamento della scuola dellobbligo,
tassa progressiva sui redditi e le successioni, statalizzazione di miniere, ferrovie
e mezzi di navigazione, giornata di otto ore lavorative, distribuzione delle terre

702

L E D AT E , I FAT T I

incolte ai contadini, piena libert di stampa.


21 aprile 1895 Nasce il Partito Repubblicano Italiano (Pri). Ledera viene scelta
come simbolo.
2 giugno 1895 Alle elezioni indette dopo lo scioglimento anticipato delle camere
deciso l8 maggio precedente, il partito di governo ottiene 334 seggi. I socialisti
mandano alla Camera 12 parlamentari tra i quali alcuni capi dei fasci siciliani
condannati a pene detentive (De Felice-Giuffrida, Nicola Barbato, Garibaldi
Bosco).
23 settembre 1895 Viene fondata a Limoges la Confederation Gnrale du Travail (Cgt).
29 ottobre 1895 Viene piantato il seme che porter nel 1896 alla creazione della
Federazione dei pastai al congresso delle Leghe che si svolge a Venezia
7 dicembre 1895 Nellambito della Guerra dAbissinia, lItalia subisce il rovescio dellAmba Alagi. I 2.300 uomini al comando del maggiore Pietro Toselli vengono aggrediti e sterminati da trentamila abissini. Socialisti e radicali
protesteranno alla camera contro la politica coloniale.
28 dicembre 1895 I fratelli Lumire realizzano la prima proiezione pubblica
cinematografica.
1 marzo 1896 la disfatta di Adua. Lesercito italiano guidato dal generale
Oreste Baratieri viene sconfitto da quello abissino ai comandi del negus Menelik.
1 maggio 1896 Nonostante la repressione a Torre Annunziata i lavoratori provano a celebrare il Primo Maggio. Lesercito a quel punto invade e incendia la
Camera del Lavoro: quindici giorni di stato dassedio.
2 giugno 1896 Dopo aver compiuto in gennaio una trasmissione sulla distanza
di tre chilometri, Guglielmo Marconi ottiene il brevetto per la radiotelegrafia
senza fili. Lanno prima, l8 agosto aveva realizzato un primo positivo esperimento e offerto al governo italiano gratuitamente il brevetto. Ricevendo un rifiuto.
26 ottobre 1896 La prima guerra italo-etiope si chiude con il trattato di Addis
Abeba. LItalia mantiene Eritrea e Somalia ma perde il protettorato sullEtiopia.
25 dicembre 1896 Esce il primo numero dell Avanti! Giornale del Psi. Vi collabora anche Edmondo De Amicis.

703

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

21 marzo 1897 LItalia va ancora anticipatamente alle urne e vota la met degli
aventi diritto (un milione e 241 mila). La destra non riesce a sfondare mentre
lestrema sinistra porter alla Camera ottanta deputati, tra i quali sedici socialisti.
18-20 settembre 1897 Al V congresso del Partito Socialista, il giornale
Avanti! viene proclamato organo ufficiale del partito. Una mozione presentata
da Anna Kuliscioff ed Ettore Reina impegna il partito a partecipare alle battaglie
sindacali per il miglioramento della legislazione sul lavoro.
1 gennaio 1898 Nasce Cultura Sociale. Il giornale, fondato dal sacerdote Romolo Murri, diventer lorgano della Democrazia Cristiana.
23 gennaio 1898 Diminuisce il dazio sulle farine ma nel frattempo vengono
richiamati alle armi 40 mila uomini per far fronte a eventuali tumulti legati al
prezzo del pane.
23 febbraio 1898 A Modica per disperdere un corteo la polizia uccide due dimostranti.
6 marzo 1898 Ferruccio Macola deputato di destra uccide in duello Felice Cavallotti. Carducci lo commemora a Bologna e la polemica tra destra e sinistra si
fa pi cruenta.
17 marzo 1898 Lassicurazione contro gli infortuni sul lavoro diventa obbligatoria.
26 aprile 1898 Cominciano i tumulti contro il caro-pane. Prima esplodono in
Romagna, poi in Puglia, Marche, Campania, Toscana, Piemonte, Lombardia.
Parma viene messa in stato dassedio il 30 aprile. A Faenza le proteste diventano
tumulti e tra i manifestanti in piazza c un ragazzo di sette anni: Pietro Nenni.
A Bagnocavallo (Ravenna) il 3 maggio vengono uccisi tre dimostranti. Un morto
a Piacenza e Figline Valdarno, due a Soresina. A Pavia viene ucciso il 5 maggio
Muzio Romussi, figlio del direttore del Secolo, il quotidiano di Cavallotti . Il governo decide che, se necessario, si pu proclamare lo stato dassedio. Salvemini
scrive a Turati chiedendogli di prendere, come leader del Psi, la guida del movimento. Ma Turati risponde negativamente perch le condizioni tra Nord e Sud
sono diseguali.
6-9 Maggio 1898 La strage di Bava Beccaris a Milano. Tutto comincia con la
repressione di una manifestazione proclamata dagli operai della Pirelli e della
Stigler per larresto di un loro compagno scoperto ad affiggere manifesti socialisti. Ma pian piano la protesta si allarga al prezzo del pane e si trasforma anche
nella risposta alluccisione di Romussi. Bava Beccaris proclama lo stato dassedio

704

L E D AT E , I FAT T I

e ordina di sparare sulla folla. Sar una carneficina. Che si estender a tutta
lItalia: sette morti a Monza, due a Genzano vicino Roma, sette a Firenze, tre a
Sesto Fiorentino, due a Napoli. Bava Beccaris ricever una decorazione dal re,
Umberto I che non avvertir la vergogna di quella strage.
14 giugno 1898 I muratori di Trento scioperano per 18 giorni. Ottengono la
riduzione a dieci ore dellorario di lavoro.
10 settembre 1898 Lanarchico Luigi Lucheni uccide limperatrice Elisabetta
dAustria a Genova.
1 gennaio 1899 Filippo Turati e Luigi De Andreis vengono dichiarati decaduti
dalla carica di parlamentare essendo stati condannati per i tumulti del maggio
1898.
1 giugno 1899 Rinasce a Milano la Federazione operai edili. E con il Riscatto
ferroviario vengono poste le premesse del sindacato unitario.
3 giugno 1899 Grazie allindulto, Filippo Turati pu lasciare il carcere.
11 giugno 1899 La coalizione composta da socialisti, repubblicani e radicali
batte nelle elezioni amministrative la lista clerico-moderata. Aperture di Turati
e Treves nei confronti di Giolitti.
22 giugno 1899 Per decreto la libert di stampa viene pesantemente condizionata. La scelta del provvedimento durgenza viene compiuta per aggirare lostruzionismo parlamentare.
11 luglio 1899 Nasce la Fiat, Fabbrica Italiana Automobili Torino.
20 febbraio 1900 La Cassazione dichiara nullo il decreto sullordine pubblico
che limita la libert di stampa.
3-10 giugno 1900 Nuove elezioni. Aumenta laffluenza (58,3 per cento), avanza
la sinistra che ottiene 96 deputati.
7 luglio 1900 La Camera autorizza la partecipazione italiana al corpo di spedizione internazionale che in Cina avrebbe sedato la ribellione dei Boxer (Pugili
della Giustizia e della Concordia) che si opponevano a un colonialismo soprattutto economico che per le popolazioni indigene si trasformava in alti tassi di disoccupazione. Alla coalizione partecipano, oltre allItalia, gli Stati Uniti, il
Giappone, la Russia, il Regno Unito, la Germania e lAustria-Ungheria. La rivolta sarebbe finita il 7 settembre del 1901.

705

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

29 luglio 1900 Lanarchico Bresci (sar condannato allergastolo) uccide a


Monza il re, Umberto I. Gli succede il figlio, Vittorio Emanuele III.

1901-1910
Ecco la Confederazione e le Federazioni
27 gennaio 1901 Muore a Milano Giuseppe Verdi
22 maggio 1901 Viene ucciso in carcere dalle guardie carcerarie Gaetano Bresci, lanarchico che aveva assassinato Umberto I. Inizialmente la morte era stata
fatta passare per un suicidio.
16-18 giugno 1901 Nasce a Livorno la Federazione Italiana Operai Metallurgici (Fiom). Viene nominato segretario loperaio Ernesto Verzi. La sede viene fissata a Roma.
27 giugno 1901 A Berra Ferrarese in provincia di Ferrara la polizia spara sui
braccianti in sciopero: tre morti e ventitr feriti.
30 ottobre 1901 Nasce la Federazione Nazionale dei Lavoratori Chimici.
24-25 novembre 1901 Nasce a Bologna la Federazione Nazionale dei Lavoratori della Terra (Federterra). Tra i fondatori, Argentina Altobelli che qualche
anno pi tardi (1906) ne assumer la guida.
2 agosto 1902 Una decina di giorni di sciopero allIlva di Savona contro i licenziamenti minacciati dalla direzione aziendale. Le minacce rientrano.
5 agosto 1902 La polizia spara contro i contadini che reclamano meno tasse e
pi salario: un morto e 4 feriti.
6-9 settembre 1902 Al congresso del Psi duro scontro tra Turati e Arturo Labriola che sollecita una linea pi rivoluzionaria, di attacco allo stato. Prevale la
tesi riformista con il conseguente appoggio al governo.
8 settembre 1902 A Candela, in provincia di Foggia, viene repressa una manifestazione in cui si chiedono aumenti salariali: cinque morti e dieci feriti.
13 ottobre 1902 A Giarratana (Ragusa) una manifestazione di braccianti termina nel sangue: due morti (tra cui un bambino di quattro anni).
23 febbraio 1903 La repressione colpisce a Petaccio in provincia di Campo-

706

L E D AT E , I FAT T I

basso (tre morti) e, il 14 marzo, a Putignano vicino Bari (otto feriti).


24 marzo 1903 I parlamentari socialisti escono dal governo sotto la pressione
dellala rivoluzionaria di Arturo Labriola che nel frattempo avanza anche allinterno delle organizzazioni sindacali (tra i metallurgici piemontesi e liguri e tra i
braccianti mantovani).
24 aprile 1903 La polizia a Galatina spara durante una manifestazione e uccide un bracciante e un bambino di cinque anni.
17-20 maggio 1903 A Milano il II congresso della Fiom indica nei salari, negli
orari di lavoro e nella lotta alla disoccupazione i temi centrali dellazione sindacale.
21 maggio 1903 La polizia spara a Pieve di Coriano, in provincia di Mantova:
tre morti.
20 luglio 1903 Muore Leone XIII, Papa dal 3 marzo 1878. Gli succede Giuseppe
Melchiorre Sarto col nome di Pio X.
Luglio-Agosto 1903 Si svolge a Bruxelles e a Londra il II congresso del Partito
Socialdemocratico Russo che si conclude con la spaccatura tra Bolscevichi e Menscevichi.
31 agosto 1903 Sciopero generale a Torre Annunziata, in provincia di Napoli:
i manifestanti chiedono pi salario, vengono dispersi a fucilate: otto morti.
8-11 aprile 1904 Al congresso di Bologna emerge la spaccatura verticale del
Psi, da un lato i rivoluzionari di Arturo Labriola, dallaltro i riformisti di Bissolati
che puntano a partecipare al governo. Enrico Ferri riesce a far approvare una
mozione in cui si sottolinea limportanza dellunit e, al tempo stesso, il carattere
rivoluzionario del partito.
17 maggio 1904 Ancora morti in Puglia, a Cerignola, il paese di Di Vittorio. I
manifestanti chiedono un fisco pi leggero e la fine del malgoverno: tre vittime
della repressione.
8 luglio 1904 Portato a dodici anni lobbligo scolastico.
4 settembre 1904 A Buggerru vicino Cagliari, spari sui minatori in sciopero:
tre morti.
14 settembre 1904 Il comitato esecutivo discute la proposta di uno sciopero
generale contro la violenta repressione nei confronti della Camera del Lavoro

707

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

di Milano. Lo stesso giorno a Castelluzzo (Trapani) altri due morti tra i contadini
in sciopero.
15 settembre 1904 Scatta lo sciopero generale. il primo in Italia. Si estender
in tutto il Paese. A Milano sar ucciso lanarchico Galli. Ai funerali parteciper
il pittore Carr che a quellevento nel 1911 si ispirer per un suo famoso dipinto
futurista. Complessivamente lo sciopero durer tre giorni e per lastensione dal
lavoro dei gasisti, Bologna rester al buio.
18 settembre 1904 Il Parlamento viene sciolto e vengono indette elezioni per
il 6 novembre.
6 novembre 1904 Alle elezioni vincono soprattutto i socialisti riformisti: lala
rivoluzionaria riesce a mandare in Parlamento solo un rappresentante, Enrico
Dugoni.
1 febbraio 1905 Nasce lIlva, colosso della siderurgia, che mette insieme le societ Savona, Ligure e Terni a cui poi si aggrega anche lElba.
10 marzo 1905 A San Marco in Lamis, in provincia di Foggia, la polizia carica
un corteo pacifico di braccianti provocando morti e feriti. La scena si ripeter il
16 aprile a Torre Santa Susanna (un morto) e a Cerignola, il 16 maggio, sempre
nel foggiano (tre vittime).
18 agosto 1905 Strage a Grammichele, in provincia di Catania: i contadini minacciano lassalto al Municipio e la forza pubblica la ferma a fucilate, lasciando
per terra quattordici corpi senza vita.
3-6 settembre 1905 Sciopero dei minatori di Buggerru (Cagliari) contro le
condizioni disumane di lavoro. La polizia interviene e ne ammazza tre.
8 settembre 1905 Un violento terremoto, con epicentro a Nicastro (attuale Lametia Terme) provoca 557 morti in Calabria, nella zona tirrenica, tra Cosenza e
Nicotera.
16 settembre 1905 Manifestazione di contadini a Castelluzzo vicino Trapani:
due morti. Il 18 dicembre unaltra vittima a Francavilla Fontana, vicino Brindisi.
24 dicembre 1905 Don Luigi Sturzo pur ritenendo utile la creazione di un partito cattolico aconfessionale e autonomo rispetto alle gerarchie ecclesiastiche,
proietta nel futuro il raggiungimento di questo obiettivo cos differenziandosi da
Romolo Murri.

708

L E D AT E , I FAT T I

19 maggio 1906 Viene inaugurato il traforo del Sempione.


1 luglio 1906 Nasce la Lega industriale torinese su iniziativa dellimprenditore
di origini francesi Louis Bonnefon Crappone.
26 settembre 1906 Lidea lanciata allinizio dellanno dal segretario della
Fiom, Ernesto Verzi, vede la luce al VI congresso nazionale delle organizzazioni
di resistenza: nasce la Confederazione Generale del Lavoro.
3 dicembre 1906 Primo contratto collettivo firmato tra la Fiom e la societ automobilistica torinese Itala.
23-28 settembre 1907 Il III congresso della Fiom sancisce il trasferimento
della sede da Roma a Milano.
7-9 ottobre 1907 Psi e CGdL sottoscrivono il patto di alleanza.
11 ottobre 1907 I carabinieri uccidono un operaio intervenendo in uno scontro
tra manifestanti e crumiri nel corso dello sciopero dei gasisti. La Camera del lavoro proclamer lo sciopero generale di protesta che verr prolungato di 48 ore.
Poi CGdL e Psi decidono di sospenderlo ma a Torino molti operai continuano a
scioperare. Serrata degli industriali aderenti alla Lega di Craponne.
3 novembre 1907 I sindacalisti rivoluzionari decidono di creare una struttura
autonoma che, per, avr vita stentata.
30 maggio 1908 Sciopero dei metallurgici torinesi ai quali erano stati revocati
tutti i benefici concessi con laccordo del 1906. Dopo quindici giorni di astensione
dal lavoro, parte delle richieste verranno esaudite.
20 giugno 1908 La forza pubblica occupa la sede della Camera del Lavoro di
Parma per reprimere lo sciopero dei braccianti che era stato indetto il 30 aprile
dai sindacalisti rivoluzionari capeggiati nella citt emiliana da Alceste De Ambris che sfuggir allarresto. Comincia con il fallimento di questa agitazione il
declino del sindacalismo rivoluzionario.
19-22 settembre 1908 Al X congresso del Psi che si svolge a Firenze, i riformisti
riprendono la guida del partito.
28 dicembre 1908 Terremoto e tsunami si abbattono su Messina e Reggio Calabria distruggendole. Si conteranno 150 mila morti.
7-14 marzo 1909 Alle elezioni politiche cresce laffluenza: vota il 65 per cento

709

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

degli aventi diritto. I socialisti conquistano 42 seggi. Romolo Murri, il sacerdote


che avrebbe voluto creare un partito cattolico, viene eletto nelle liste radicali.
14 marzo 1909 Il giornale Avanti! pubblica lopuscolo di Gaetano Salvemini
dal titolo estremamente significativo: Il Ministro della malavita, pesante atto
daccusa contro Giolitti e i metodi intimidatori da lui usati per conquistare voti.
25 luglio 1909 In una riunione a Milano, la Fiom, in crisi finanziaria e di credibilit, decide di affidare il rilancio a un giovane operaio tornitore e aggiustatore di origine ferrarese, Bruno Buozzi (che prende il posto dei precedenti leader
Cleobulo Rossi e Silla Coccia) e di spostare la sede della Federazione a Torino
dove il settore metallurgico sta crescendo sotto la spinta di una nuova industria,
quella dellauto.
19 gennaio 1910 Muore Andrea Costa: era stato il primo parlamentare socialista.
16 aprile 1910 Polemica in famiglia. La Kuliscioff accusa Filippo Turati sulla
Critica Sociale di scarsa sensibilit sulla questione del voto alle donne.
5 giugno 1910 La direzione del Psi approva il voto favorevole del gruppo parlamentare socialista al governo di Luzzatti. Qualche giorno prima la Kuliscioff
era stata estremamente critica con gli atteggiamenti del partito.
17 luglio 1910 Viene introdotta lassicurazione sulla maternit.
21-25 ottobre 1910 AllXI congresso del Psi prevale la linea riformista di Turati, pur tra divisioni e contestazioni e si discute la proposta di creare un partito
operaio lanciata da Rinaldo Rigola, segretario della CGdL.
13-17 novembre 1910 Il IV congresso della Fiom conferma la leadership di
Bruno Buozzi. Nel 1909 lorganizzazione aveva raggiunto il punto pi basso con
appena ottomila iscritti. Buozzi prima del congresso, aveva lavorato alla riorganizzazione della struttura e nella relazione rende conto dei risultati ottenuti
sia in termini di nuove iscrizioni che di risanamento della situazione debitoria.
20 dicembre 1910 I socialisti passano allopposizione: alla base della scelta, il
contrasto con il capo del governo Luzzatti sul progetto di riforma elettorale.

1911-1920
Tra guerra, Biennio Rosso e fascismo
14 gennaio 1911 La CGdL apre la vertenza contro il caro-vita e per il suffragio

710

L E D AT E , I FAT T I

universale.
20 marzo 1911 Si dimette il presidente del Consiglio Luzzatti. Lincarico viene
attribuito a Giolitti che prova ad aprire ai socialisti offrendo a Leonida Bissolati
il ministero dellagricoltura, industria e commercio. Bissolati rifiuta ma partecipa, il 23 marzo, alle consultazioni del re (primo socialista ad entrare al Quirinale). lavvio di una china che porter allespulsione dal Psi, nel 1912, della
componente di destra dellarea riformista.
6 aprile 1911 Giolitti illustra alla Camera il suo programma: riforma elettorale
con ampliamento del suffragio e indennit per i parlamentari in maniera tale
che possano far politica anche i meno agiati. Ottiene la fiducia due giorni dopo
con 340 voti a favore e 88 contrari.
24-28 maggio 1911 Terzo congresso della CGdL a Modena. Vince la mozione
che chiede alla Confederazione di essere autonoma da tutti i partiti.
21 agosto 1911 Vincenzo Perugia, decoratore in attivit al Louvre, ruba la Gioconda di Leonardo da Vinci. Il furto verr scoperto solo il giorno dopo. Perugia
proporr lacquisto del quadro allantiquario fiorentino Alfredo Geri nellautunno del 1913. L11 dicembre lantiquario incontra Perugia in un albergo fiorentino. Constatata lautenticit lo consegna ai carabinieri e il giorno dopo Perugia
viene arrestato.
29 settembre 1911 I venti di guerra diventano tempesta. Scoppia il conflitto
fra il Regno dItalia e lImpero Ottomano per la conquista della Tripolitania e
della Cirenaica. Sarebbe durato un anno e avrebbe visto lesordio di nuovi mezzi
militari: gli aerei, le automobili (Fiat tipo 2) e le motociclette (Siamit). Lavvio
delle operazioni belliche era stato deciso due settimane prima, il 15 settembre,
da Giolitti che temeva un tentativo di mediazione da parte di Austria e Germania,
in quel momento ancora potenze alleate. Lo sciopero contro la guerra proclamato per il 25 settembre dalla CGdL ottiene un grande successo soprattutto in
Emilia. In Romagna le agitazioni vengono capeggiate da Benito Mussolini e da
Pietro Nenni assumendo anche forme violente.
15-18 ottobre 1911 La guerra divide il Psi. Al XII congresso che si svolge a Modena lala riformista di sinistra guidata da Turati e Modigliani si schiera contro
la guerra ed entra in polemica con quella di destra capeggiata da Bissolati e Bonomi.
23 ottobre 1911 A Sciara Sciat loffensiva turca provoca quattrocento morti tra
i bersaglieri italiani. La rappresaglia italiana sar feroce e coinvolger anche
le popolazioni civili delloasi libica scatenando le proteste internazionali.

711

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

30 ottobre 1911 Augusto Masetti, soldato ventitreenne, spara contro un gruppo


di ufficiali alla caserma Cialdini di Bologna urlando: Vendichiamo i fratelli operai che cadono in Libia.
14 dicembre 1911 Roald Engelbregt Gravning Amundsen, esploratrore norvegese, raggiunge il Polo Sud, con quattordici giorni di anticipo rispetto a Robert
Falcon Scott.
17 gennaio 1912 Gli operai torinesi respingono laccordo firmato a dicembre
dellanno prima dalla Fiom in cui si precedeva la riduzione di tre ore settimanali
dellorario di lavoro, il riconoscimento delle commissioni interne, la trasformazione del concordato in contratto collettivo. I lavoratori vengono convinti al rifiuto dai sindacalisti rivoluzionari. Resteranno fuori dalle fabbriche per
sessantacinque giorni, prima per lo sciopero poi per la serrata. Rientreranno a
met aprile perdendo tutto quello che era stato conquistato con la convenzione
rifiutata. Un anno dopo, Bruno Buozzi si prender la rivincita, sui sindacalisti
rivoluzionari e sulle controparti padronali.
23 febbraio 1912 La Libia spacca ancora pi profondamente il Psi. La legge
per lannessione del paese africano, viene votata anche da tredici deputati socialisti, franchi tiratori. La cosa accentuer il dissidio e i sospetti tra Turati da
una parte e Bissolati e Bonomi dallaltra.
14 marzo 1912 Antonio DAlba, muratore anarchico, spara contro Vittorio
Emanuele III , mancandolo. Bissolati, Bonomi e Cabrini si recano al Quirinale
per congratularsi con il re uscito illeso dallattentato. La scelta accentua le divisioni nel Psi inducendo lala rivoluzionaria a chiedere lespulsione dal partito di
quel gruppo di parlamentari.
15 aprile 1912 Affonda il Titanic. Partito da Southampton il 10 aprile alle 12
per raggiungere New York, il transatlantico definito linaffondabile il 14 aprile
alle 23,40 and a schiantarsi contro un iceberg. Alle 2,20, cio meno di tre ore
dopo limpatto, la tragedia si concludeva con laffondamento della nave e un bilancio di vite umane pesantissimo: 1.518 vittime su 2.223 passeggeri, compresi
ottocento uomini di equipaggio.
25 maggio 1912 Viene approvata la nuova legge elettorale voluta da Giolitti.
Alla Camera passa con 284 voti a favore e 62 contrari, al Senato con 131 voti a
favore e 49 contrari. Sar emanata il 30 giugno. Il corpo elettorale passa dal 9,5
per cento della popolazione al 24 per cento. Ai deputati viene assegnata una indennit di seimila lire allanno.
7-10 luglio 1912 A Reggio Emilia si celebra un tredicesimo congresso del Psi,

712

L E D AT E , I FAT T I

molto movimentato. Una mozione presentata da Benito Mussolini chiede lespulsione di Bonomi, Bissolati e Cabrini per lomaggio al re. La corrente rivoluzionaria conquista la guida del partito con Costantino Lazzari che va alla segreteria
e Giovanni Bacci alla direzione dell Avanti! fino al 1 dicembre quando lo sostituir Mussolini. Lespulsione di Bissolati, Bonomi e Cabrini verr proclamata
lultimo giorno del congresso. I tre, insieme ad altri nove parlamentari, fonderanno il Partito Socialista Riformista Italiano (Psri). Turati lo definir il partito
dei candidati.
18 ottobre 1912 Finisce la guerra con la Turchia per la Tripolitania e la Cirenaica. I turchi vengono obbligati dal trattato di Losanna a ritirare le truppe. Ma
quella spedizione dal punto di vista della perdita di vite umane presenter al
Regno un conto altissimo: 3.431 morti di cui 1.483 in combattimento e 1.948 per
malattie.
5 dicembre 1912 La Triplice Intesa viene rinnovata per altri due anni, sino
all8 luglio del 1914. AllItalia viene riconosciuto il possesso dei territori libici.
8-9 dicembre 1912 La Fiom riunisce ad Alessandria il congresso straordinario.
Il bilancio che Bruno Buozzi presenta contiene luci ed ombre, ad esempio la vicenda torinese. Da un lato le situazioni esterne difficili (la depressione economica
conseguente alle guerre), dallaltro le polemiche alimentate allinterno dai sindacalisti rivoluzionari. Infine, questioni spinose come quella della sezione Aggiustatori e Tornitori di Milano che non pagavano le quote e contemporaneamente
criticavano ferocemente i vertici federali venendo aizzati dai sindacalisti rivoluzionari. Alla fine, la sezione viene espulsa ma solo per le quote non pagate. Bruno
Buozzi viene proclamato Segretario Generale.
13 febbraio 1913 La Fiom di Bruno Buozzi rilancia loffensiva sindacale. Gli
operai danno mandato alla Fiom di preparare un memoriale (cio una piattaforma rivendicativa) che prevede la riduzione di sei ore settimanali dellorario
di lavoro, un aumento salariale del 12 per cento, minimi di paga, riconoscimento
delle commissioni interne, lattribuzione allaccordo finale del valore di contratto
collettivo. La conferma del mandato alla Fiom viene ribadita con un referendum
nelle fabbriche torinesi che si svolge tra il 22 e il 28 febbraio. I datori di lavoro
provano ad evitare il confronto con la Fiom che il 15 marzo proclama uno sciopero che durer 93 giorni finendo, per, molto meglio di quello dellanno precedente.
19 marzo 1913 Entrano in sciopero i lavoratori delle fabbriche di auto di Milano
(Isotta Fraschini, Eduardo Bianchi e Alfa): chiedono aumenti salariali e riduzioni
orarie. Guida lo sciopero Filippo Corridoni, leader dellUsi, lorganizzazione sindacale che fa capo ai sindacalisti rivoluzionari. La CGdL non appogger lagi-

713

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

tazione ritenendola imprudente in un periodo di congiuntura negativa per il settore siderurgico. Atteggiamento che non sar condiviso dal direttore dell
Avanti!, Benito Mussolini che attaccher violentemente il segretario generale
della Confederazione, Rinaldo Rigola.
27-28 maggio 1913 Aderiscono allagitazione dei metallurgici anche i tramvieri milanesi. La vertenza finir soltanto in estate con una sconfitta.
19 giugno 1913 Rinaldo Rigola si dimette da segretario della CGdL dopo gli attacchi di Mussolini.
23 giugno 1913 Gli operai torinesi tornano al lavoro dopo novantatr giorni
di sciopero. La Fiom strappa un accordo che prevede una riduzione di tre ore
dellorario di lavoro, un massimo di otto ore settimanali di straordinario, medie
di paga garantite.
22 settembre 1913 Il consiglio nazionale della CGdL approva la condotta di
Rinaldo Rigola che resta al suo posto.
26 ottobre 2 novembre 1913 Alle elezioni con la nuova legge elettorale, le
diverse liste socialiste raddoppiano i seggi: 52 se li aggiudica il Psi, 19 il Psri e 8
i sindacalisti rivoluzionari (tra gli eletti Alceste De Ambris e Arturo Labriola). I
cattolici eleggono venti deputati ma soprattutto attraverso il Patto sottoscritto
dallUnione Elettorale Cattolica Italiana presieduta da Vincenzo Ottorino Gentiloni, condizioneranno la composizione del pattuglione (304 eletti) liberale che
approder alla Camera.
16 dicembre 1913 Il governo di Giovanni Giolitti ottiene la fiducia con 362 voti
a favore.
10 marzo 1914 Cade il governo Giolitti per luscita dei radicali dalla maggioranza.
5 aprile 1914 Il governo guidato da Antonio Salandra ottiene la fiducia (303
voti)
5-9 maggio 1914 Al quarto congresso della CGdL che si svolge a Mantova,
vince la componente riformista guidata da Rinaldo Rigola.
7 giugno 1914 Scatta la settimana rossa. Ad Ancona, a un comizio anti-militarista, vengono uccisi tre manifestanti. Da l comincer una settimana di agitazioni. Scioperi spontanei vengono proclamati in varie zone del paese. Alla fine,
il 10 giugno, danno ladesione alle manifestazioni anche il Psi e la CGdL. Ma la

714

L E D AT E , I FAT T I

repressione violenta, consiglier Rinaldo Rigola a ordinare la cessazione delle


agitazioni entro la mezzanotte dell11 giugno. Tra il 12 e il 14 lo sciopero terminer in maniera spontanea.
28 giugno 1914 Il detonatore della prima guerra mondiale viene innescato a
Sarajevo, in Bosnia. Gavrilo Princip, studente bosniaco, uccide lerede al trono
austriaco, Francesco Ferdinando, e la moglie. Larrivo di Princip dalla Serbia
era stato agevolato dalle autorit di quel paese.
23 luglio 1914 LAustria pone lultimatum alla Serbia. LItalia, pur facendo
parte della Triplice, non sar informata in anticipo. La cosa indurr il governo
italiano a comunicare alle altre potenze che di fronte a una attuazione dellultimatum che avesse comportato un intervento della Russia al fianco della Serbia,
lItalia non avrebbe avuto alcun obbligo a sostenere lo sforzo bellico austriaco
avendo lalleanza un carattere difensivo.
27 luglio 1914 Il Psi si schiera per la neutralit.
28 luglio 1914 Comincia la prima guerra mondiale.
1-2 agosto 1914 Il governo italiano, dopo due giorni di riunioni, dichiara la
sua neutralit.
5 agosto 1914 Patto dazione tra CGdL e Psi per sostenere la posizione favorevole alla neutralit.
20 agosto 1914 Muore papa Pio X per una cardiopatia.
5 settembre 1914 Giacomo Della Chiesa viene eletto Papa con il nome di Benedetto XV.
18 ottobre 1914 Prima capriola di Benito Mussolini che pubblica un articolo
sull Avanti! in cui invita a passare dalla neutralit assoluta a quella attiva e
operante.
20 ottobre 1914 Mussolini lascia la direzione dell Avanti! dopo che il partito
approva un manifesto contro la guerra.
1 novembre 1914 Benedetto XV condanna la guerra nellenciclica Ad beatissimi
principis cathedram.
15 novembre 1914 Cominciano le pubblicazioni del nuovo quotidiano di Benito
Mussolini, Il Popolo dItalia. Lo finanzia il liberale antisocialista Filippo Naldi

715

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

e un gruppo di industriali zuccherieri.


24 novembre 1914 Benito Mussolini viene espulso dal Psi.
5 dicembre 1914 Nasce il governo Salandra (414 voti a favore).
13 gennaio 1915 Trema la terra alle 7,48 nella Conca del Fucino. il terremoto
della Marsica che provocher trentamila vittime e una valanga di polemiche a
causa delle inefficienze nei soccorsi. I neutralisti utilizzeranno levento proprio
per sottolineare limpreparazione bellica dellItalia.
31 gennaio 1915 Aboliti i dazi su cereali e farine. La decisione viene adottata
per impedire che laumento del costo della vita provochi tumulti.
25 febbraio 1915 A una manifestazione socialista a Reggio Emilia a cui partecipa Cesare Battisti, la polizia spara e uccide un dimostrante.
26 aprile 1915 Il Regno dItalia cambia alleati: a Londra viene firmato laccordo con Regno Unito, Francia e Russia.
12 maggio 1915 Trecentoventi parlamentari e un centinaio di senatori lasciano
a casa di Giovanni Giolitti, notoriamente favorevole alla neutralit, il proprio
biglietto da visita per sottolineare ladesione alla linea del leader liberale.
16 maggio 1915 Psi e CGdL confermano la propria linea a favore della neutralit. Costantino Lazzari chiude il convegno con la famosa frase n aderire n
sabotare.
23 maggio 1915 LItalia dichiara la guerra allAustria-Ungheria ma non alla
Germania (verr dichiarata un anno dopo, il 28 agosto 1916)
5-8 settembre 1915 A Zimmerwald in Svizzera si svolge la prima conferenza
internazionale socialista contro la guerra.
14 febbraio 1916 Milano subisce il primo bombardamento austriaco.
24-29 aprile 1916 Seconda conferenza internazionale socialista per la pace a
Kienthal.
20 maggio 1916 Salandra dichiara la sua disponibilit a un governo di unit
nazionale chiedendo a Bissolati di farne parte. Bissolati, dopo una visita al
fronte, dichiarer la sua disponibilit personale senza, per, garantire il consenso di tutto il gruppo.

716

L E D AT E , I FAT T I

10 giugno 1916 Cade il governo Salandra che non ottiene la fiducia.


18 giugno 1916 nasce il governo Borselli di unit nazionale.
25 giugno 1916 Si svolge a Torino il congresso straordinario della Fiom. La
segreteria di Buozzi ha rilanciato lorganizzazione anche dal punto di vista degli
iscritti, passati in un solo anno da poco meno di quattordicimila a quasi 22.500.
12 luglio 1916 Nel castello del Buonconsiglio Cesare Battisti e Fabio Filzi vengono impiccati. Erano stati accusati di diserzione avendo rifiutato il richiamo
alla leva dellAustria ed essendosi successivamente arruolati nellesercito italiano.
9 agosto 1916 Le truppe italiane entrano a Gorizia.
21 novembre 1916 Muore limperatore Francesco Giuseppe.
23-25 gennaio 1917 La guerra si prolunga e aumenta il malcontento per le
perdite di vite umane e per la difficile situazione economica caratterizzata da
aumenti dei prezzi e penuria di cibo. A Genova entrano in sciopero prima gli operai dellallestimento navi, poi quelli dellAnsaldo. Alla fine il governo emana un
provvedimento in cui Genova viene dichiarata zona di guerra e gli scioperi vengono cos stroncati.
8-12 marzo 1917 Scoppia la rivoluzione in Russia. Lo Zar Nicola II abdica e
nasce una repubblica parlamentare.
6 aprile 1917 Gli Stati Uniti dichiarano guerra alla Germania.
Maggio 1917 Contro il carovita scoppiano tumulti a Milano.
Maggio- giugno 1917 Scendono in sciopero le mondine della provincia di Novara.
15 giugno 1917 Turati chiede di avviare trattative di pace.
1 agosto 1917 Benedetto XV chiede lapertura di trattative di pace per fermare
linutile strage.
22 agosto 1917 La mancanza di farina e di pane scatena i Moti di Torino. Sar
una sommossa spontanea e mancher di una vera direzione politica. Molti dirigenti socialisti, tra i quali Bruno Buozzi, verranno arrestati e processati. Le proteste proseguiranno sino a domenica 26 agosto.

717

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

24 ottobre 1917 Limpreparazione italiana e la mediocrit di Cadorna emergono drammaticamente a Caporetto. Lesercito italiano verr obbligato ad arretrare di centocinquanta chilometri.
30 ottobre 1917 I francesi si impegnano a mandare rinforzi agli italiani. Nel
frattempo a Roma nasce il governo Orlando.
2-3 novembre 1917 Gli austriaci avanzano ancora e Cadorna ordina la ritirata
sulla linea del Piave. La battaglia di Caporetto finita. Il bilancio appare disastroso.
5-6 novembre 1917 Il convegno interalleato che si tiene vicino Genova, a Rapallo, chiede allItalia di sollevare Cadorna. La richiesta sar esaudita tre
giorni dopo con la nomina di Armando Diaz.
6-7 novembre 1917 I bolscevichi assaltano a Pietroburgo il Palazzo dInverno.
la rivoluzione di ottobre (24-25 ottobre secondo il calendario ortodosso).
15 dicembre 1917 Il nuovo governo, bolscevico, russo chiude larmistizio con
Austria e Germania a Brest-Litvosk in Bielorussia.
22 dicembre 1917 Il governo Orlando ottiene la fiducia
12 gennaio 1918 Viene istituita una commissione di inchiesta parlamentare
sulla disfatta di Caporetto.
8 giugno 1918 Le mondine a Novara stipulano un contratto che fissa la giornata lavorativa a otto ore.
21 giugno 1918 Gli italiani sul Piave respingono definitivamente gli austriaci.
Il bilancio pesantissimo: ottomila morti tra gli italiani e 11.600 tra gli austriaci.
1-5 settembre 1918 Al XV congresso del Psi vince lala intransigente che propugna il programma massimo, cio labbattimento del capitalismo.
11 settembre 1918 Ludovico DAragona, riformista, subentra nella carica di
segretario della CGdL a Rinaldo Rigola che si era dimesso in polemica con l
Avanti!. Nel frattempo nasce la Cil, lorganizzazione sindacale cattolica.
Ottobre 1918 LItalia viene flagellata dalla spagnola, linfluenza che provocher seicentomila morti.
24 ottobre 1918 Armando Diaz sferra sul Grappa loffensiva finale.

718

L E D AT E , I FAT T I

29 ottobre 1918 Gli austriaci chiedono larmistizio allItalia.


30 ottobre 1918 Il Consiglio nazionale italiano di Fiume dichiara lunione allItalia.
1-4 novembre 1918 La notizia della vittoria italiana nella sanguinosa guerra
mondiale arriva nel pomeriggio dellultimo giorno del congresso della Fiom.
Lassemblea si svolge a Roma, in un clima di grande entusiasmo. Bruno Buozzi
chiuder la sua relazione al grido: Viva il socialismo, viva lInternazionale.
18 gennaio 1919 A Parigi si apre la conferenza di pace a cui partecipano trentadue paesi.
7 febbraio 1919 Gli operai del settore navalmeccanico danno vita a Taranto al
Sindacato Operai Metallurgici aderente alla CGdL: avr un ruolo decisivo nel
corso del Biennio Rosso nellarea jonica.
20 febbraio 1919 Prima intesa per la Fiom di Bruno Buozzi dopo la guerra:
viene firmato dai metalmeccanici laccordo per la riduzione dellorario (otto ore
giornaliere, 48 settimanali, senza diminuzione di paga).
23 marzo 1919 Benito Mussolini nella sala riunioni del Circolo dellalleanza industriale, in Piazza San Sepolcro a Milano, fonda i fasci di combattimento.
1 maggio 1919 Esce lOrdine Nuovo, il giornale fondato a Torino da Antonio
Gramsci, Angelo Tasca, Palmiro Togliatti e Umberto Terracini.
29 maggio 1919 La conferenza di Parigi stabilisce i confini italiani nella maniera in cui erano stati disegnati con laccordo di Londra del 1915.
15 giugno 1919 Il congresso della Federterra a Bologna si chiude con la richiesta di assegnare ai braccianti le terre incolte.
19 giugno 1919 Si dimette Vittorio Emanuele Orlando. Viene dato a Francesco
Saverio Nitti lincarico di formare il nuovo governo.
12 luglio 1919 Nitti ottiene la fiducia.
27 luglio 1919 Pietro Badoglio nega lappoggio dellItalia alla cospirazione per
favorire lannessione di Fiume.
15 agosto 1919 Viene approvata la nuova legge elettorale che estende il diritto
di voto (per ai soli cittadini maschi) e introduce il sistema proporzionale al posto

719

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

di quello maggioritario a doppio turno.


1 settembre 1919 Viene eletto alla Fiat Centro il primo consiglio di fabbrica.
10 settembre 1919 Italia e Austria firmano il trattato di pace. LItalia ottiene
la Venezia Giulia e lAlto Adige.
12 settembre 1919 Gabriele DAnnunzio occupa Fiume. Mussolini lo appoggia
e lo raggiunge. Nel frattempo Nitti nomina Badoglio commissario.
5-8 ottobre 1919 Al XVI congresso del Psi vincono i massimalisti che, attraverso Serrati, dichiarano superato il riformismo.
13-14 novembre 1919 Gabriele DAnnunzio occupa anche Zara.
16 novembre 1919 Alle elezioni il Psi diventa il primo partito italiano con il
32,4 per cento dei consensi e 156 deputati, tra gli altri risulta eletto anche Bruno
Buozzi, alla sua prima legislatura; il Ppi di don Luigi Sturzo il secondo con il
20,6 per cento e 100 deputati. A Milano i fascisti aggrediscono i socialisti che festeggiavano la vittoria. Mussolini e Marinetti vengo fermati: durante la perquisizione delle loro abitazioni vengono trovate delle armi.
1 dicembre 1919 I socialisti, inneggiando alla Repubblica socialista, abbandonano laula parlamentare in occasione del tradizionale discorso di apertura della
legislatura pronunciato dal re. Vengono aggrediti dai nazionalisti.
16 dicembre 1919 Si svolge a Fiume il referendum voluto da DAnnunzio e con
il quale la popolazione chiamata a esprimersi sulle soluzioni proposte dal governo italiano (un territorio libero e, comunque, nessuna annessione al nascente
stato jugoslavo). Le proposte del governo messe a punto da Badoglio escono vittoriose dalle urne. Ma DAnnunzio dichiara nulla la consultazione e conferma il
controllo di Fiume.
8 marzo 1920 A Novara, dopo la rottura delle trattative per il rinnovo del contratto dei lavoratori agricoli, la guardia regia spara sulla folla e causa tre morti.
14 marzo 1920 Nitti provvede al rimpasto di governo escludendo i Popolari.
22 marzo 1920 lo sciopero delle lancette e scatta alla Fiat. Lazienda cerca
di continuare nellapplicazione dellora legale come ai tempi della guerra. Un
operaio riporta le lancette allora solare e lazienda lo licenzia. Il Consiglio di
Fabbrica, senza avviare una vertenza attraverso la commissione interna, invita
gli operai ad abbandonare il lavoro. Lazienda risponde con la serrata. La con-

720

L E D AT E , I FAT T I

tro-risposta operaia si materializza in due giorni di sciopero bianco, al terzo


scatta la serrata padronale. Per undici giorni le fabbriche torinesi e di tutta la
provincia restano paralizzate.
29 marzo 1920 Lo sciopero generale viene proclamato a Torino ma non ottiene
n il sostegno del Psi n quello della CGdL.
11 maggio 1920 A Iglesias i carabinieri sparano a una manifestazione sindacale dei minatori: sette morti.
9 giugno 1920 Nitti non riesce a formare il governo: viene affidato nuovamente a Giolitti lincarico.
18 giugno 1920 Comincia la vertenza che porter alloccupazione delle fabbriche. La Fiom presenta agli industriali il memoriale nel quale si chiedono aumenti
salariali, le ferie pagate, listituzionalizzazione dellindennit di licenziamento,
un contratto nazionale capace di uniformare la normativa contrattuale. Il 21
giugno gli industriali rispondono picche.
23 luglio 1920 LInternazionale comunista impone ai partiti socialisti la rottura con i riformisti. I comunisti italiani (ancora nel Psi) accettano la decisione,
quelli che fanno riferimento a Serrati la rifiutano.
26 luglio 1920 La Fiom, di fronte alla chiusura degli imprenditori, ordina agli
operai di astenersi dal lavoro straordinario.
29 luglio 1920 Incontro tra la Fiom e le organizzazioni industriali che il 12 agosto confermano, per, la loro chiusura.
21 agosto 1920 La Fiom passa dal rifiuto del lavoro in straordinario, allostruzionismo, cio allapplicazione precisa e puntuale dei regolamenti lavorativi.
30 agosto 1920 LAlfa Romeo allostruzionismo decide di rispondere con la serrata.
1 settembre 1920 Le organizzazioni imprenditoriali danno disposizione agli
iscritti di seguire lesempio dellAlfa Romeo. La Fiom, per, gioca danticipo e occupa le fabbriche.
10-11 settembre 1920 Il cuore politico delloccupazione delle fabbriche. Si
riuniscono i vertici del Psi e della CGdL per decidere se la vertenza ha sempre un
carattere economico (e come tale deve essere gestita dal sindacato) o ha assunto
una dimensione politica, cio rivoluzionaria (e quindi deve essere guidata dal

721

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

partito in base al patto dalleanza). Nella votazione Buozzi e la Fiom si astengono.


Ma il Psi che decide di rinunciare alla guida del movimento non essendo ancora
maturi i tempi di una azione rivoluzionaria.
19 settembre 1920 Anche per lintervento del governo Giolitti si chiude la vertenza dei metallurgici. Il capo del governo con un decreto annuncia che sar
adottato un provvedimento che garantir ai sindacati il controllo della produzione (non vedr mai la luce, per). Gli industriali riconosceranno (e pagheranno) il valore della produzione realizzata nei giorni di occupazione delle
fabbriche, garantiranno una settimana di ferie pagate, un aumento salariale del
10-12 per cento e lindennit di licenziamento.
29 settembre 1920 La direzione del Psi si spacca sulla questione dei riformisti:
Terracini si dichiara favorevole allespulsione, Serrati si schiera per lunit del
partito.
12 novembre 1920 Si chiude il trattato di Rapallo. I confini italiani sono allargati sino al monte Nevoso e alle isole dalmate di Cherso e Lusino. Fiume viene
dichiarata citt libera.
16-26 settembre 1920 Sciopero generale dei lavoratori tessili.
21 novembre 1920 Comincia a Bologna lescalation della violenza fascista. Le
squadracce si scagliano contro la folla che festeggia linsediamento della giunta
socialista e del sindaco Ennio Gnudi. Sparando e lanciando bombe a mano, uccidono nove persone e ne feriscono cinquanta.
6 dicembre 1920 I fascisti assaltano la sede delle Leghe e il municipio di Castel
San Pietro in provincia di Bologna.
20 dicembre 1920 A Ferrara comizio di protesta dopo il pestaggio del deputato
socialista Adelmo Niccolai. Scontri violentissimi, muoiono tre fascisti e un socialista.
24 dicembre 1920 Finisce nel sangue lavventura fiumana. Le truppe italiane
guidate dal generale Enrico Caviglia danno lassalto alla citt dopo il rifiuto al
trattato di Rapallo opposto da DAnnunzio. Gli scontri tra i militari e i legionari
di DAnnunzio andranno avanti per quattro giorni. Il poeta parler di Natale
di sangue. Il 18 gennaio, comunque, abbandoner la citt.
31 dicembre 1920 la capitolazione di DAnnunzio. In virt del Patto dAbbazia accetta di sgomberare Fiume. Molti dei suoi legionari entreranno nei fasci
di combattimento

722

L E D AT E , I FAT T I

1921-1930
La lunga notte della libert
14 gennaio 1921 Mussolini si riconcilia con il capitalismo con un articolo sul
Popolo dItalia
15-21 gennaio 1921 Al congresso socialista di Livorno il partito si spacca e il
21 gennaio i comunisti fondano il PCdI aderendo alla Terza Internazionale ed
eleggono segretario il napoletano Amadeo Bordiga.
24 gennaio 1921 A Bologna i fascisti assaltano la Camera del lavoro, distruggono la tipografia e gli uffici delle leghe. Il giorno successivo i lavoratori scioperano e i fascisti tentano di imporre la ripresa del lavoro assistiti dalla polizia.
26 gennaio 1921 Assaltate a Bologna la Societ operaia e la sede della Federterra.
9 febbraio 1921 A Trieste incendiata la sede del quotidiano Il Lavoratore.
16 febbraio 1921 Bastonato il sindaco di Castelmaggiore (Bologna) davanti ai
poliziotti indifferenti.
26 febbraio 1921 Al congresso della CGdL prevale la linea riformista e viene
sollecitato al governo un programma di lavori pubblici.
27 febbraio 1921 La provincia di Firenze assediata dalle squadracce fasciste:
20 morti, 150 feriti, 1.500 arrestati.
28 febbraio 1921 A Trieste e nellIstria devastate le Camere del Lavoro. Anche
a Milano e a Carpi.
16 marzo 1921 La Fiat licenzia 1500 operai. Poi, in risposta agli scioperi, procede alla serrata. Le proteste termineranno solo il 6 maggio.
21 marzo 1921 A Milano attentato al teatro Diana. Ventuno morti, riconosciuti
come responsabili gli anarchici Giuseppe Mariani e Giuseppe Boldrini. Ma sulla
ricostruzione restano zone dombra e non si mai capito in quale misura alla
progettazione dellattentato abbiano contribuito gruppi di fascisti.
31 marzo 1921 Le squadracce seminano il terrore in provincia di Ferrara.
1 aprile 1921 Arrestato il sindaco socialista di Castel San Pietro in provincia di
Bologna. Alla base dellarresto il ruolo avuto da segretario della Camera del la-

723

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

voro nelle agitazioni contadine dellanno precedente.


3 aprile 1921 Mussolini esalta le gesta delle squadracce in un discorso a Bologna.
7 aprile 1921 Sciolte le Camere e indette le elezioni.
16 aprile 1921 A Torino i fascisti e i poliziotti assaltano e distruggono la camera
del lavoro.
20-21 aprile 1921 A Mantova devastata insieme alla Camera del Lavoro anche
la casa del deputato socialista Eugenio Dugoni.
28 aprile 1921 A Crevalcore in provincia di Bologna, i fascisti assaltano il comune mentre in corso il consiglio; qualche giorno dopo la giunta si dimetter
per le continue minacce delle squadracce. Il giorno dopo assaltano la Casa del
popolo di un altro paese del bolognese, Bentivoglio. Devastano anche la sede
della Lega dei Coloni uccidendo un lavoratore. Stessa scena a Finale Emilia (Modena).

15 maggio 1921 I socialisti ottengono alle elezioni 123 deputati (Bruno Buozzi
viene confermato), i comunisti quindici, 108 i Popolari. Ai fascisti vanno trentacinque seggi.
24 maggio 1921 A Castelguelfo (Bologna) picchiato a morte Enrico Bonoli.
1 luglio 1921 Cade il governo Giolitti e al suo posto si insedia quello presieduto
da Ivanoe Bonomi.
21 luglio 1921 A Sarzana i fascisti attaccano la stazione, vengono fermati dalla
popolazione e dai carabinieri. Ventuno morti. Mussolini, intanto, tratta con i socialisti un patto di pace.
3 agosto 1921 Il patto di pacificazione viene firmato ma al congresso regionale
di Bologna gli emiliani lo respingono. Mussolini per protesta annuncia le dimissioni dalla Commissione esecutiva. Le dimissioni vengono respinte dal Consiglio
Nazionale che si svolge a Firenze il 26 dello stesso mese.
29 agosto 1921 Socialisti aggrediti a Castiglion dei Pepoli (Bologna): muore
negli scontri la madre di un fascista.
10-15 ottobre 1921 Al congresso socialista che si svolge a Milano prevalgono i
massimalisti.

724

L E D AT E , I FAT T I

20-23 ottobre 1921 A Venezia i Popolari a congresso propongono un governo


con socialisti e democratici in funzione anti-fascista.
9 novembre 1921 Nasce il Partito Nazionale Fascista (Pnf) e muore il patto
di pacificazione con i socialisti.
6 dicembre 1921 Fiducia al governo Bonomi. Contrari socialisti e comunisti.
29 gennaio 1922 Muore Giacomo Paolo Giovanni Battista Della Chiesa, cio
Papa Benedetto XV.
24 gennaio 1922 Nasce a Bologna la Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali, cio il sindacato fascista.
6 febbraio 1922 Achille Ratti vescovo di Milano viene eletto Papa. Assume il
nome di Pio XI
12 febbraio 1922 Esce il primo numero di Rivoluzione liberale il giornale di
Piero Gobetti.
25 febbraio 1922 Cade il governo Bonomi, al suo posto arriva Luigi Facta
18 marzo 1922 I fascisti votano la fiducia al governo Facta.
2 giugno 1922 Filippo Turati si dichiara pronto insieme a un gruppo di parlamentari socialisti a sostenere un governo che ripristini le libert democratiche.
La CGdL si allinea alle sue posizioni.
3 luglio 1922 I fascisti assaltano il municipio di Andria.
12 luglio 1922 Ancora violenza fascista a Viterbo (assaltate sedi socialiste),
Cremona (devastate le case dei deputati Meglioli e Garibotti), Novara (occupato
il municipio) e Tolentino (presa la citt).
19 luglio 1922 Cade il I Governo Facta.
31 luglio 1922 LAlleanza del Lavoro (a cui aderivano la CGdL, lUsi e la UIdL)
proclama uno sciopero contro la violenza fascista.
1 agosto 1922 Il Partito Fascista mobilita tutti gli squadristi contro lo sciopero.
2 agosto 1922 LAlleanza del Lavoro costretta a sospende lo sciopero.

725

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

13 agosto 1922 Il partito fascista in una riunione annuncia la marcia su


Roma.
1 ottobre 1922 Al congresso socialista di Roma si dividono massimalisti e riformisti, questi ultimi vengono espulsi e danno vita al Partito Socialista Unitario
a cui aderisce anche Bruno Buozzi. Tra i fondatori Turati, Treves, Matteotti e
Saragat. Segretario viene eletto Matteotti.
6 ottobre 1922 Con il sostegno della Fiom di Buozzi, dopo lultima scissione socialista, la CGdL annulla il patto di alleanza con il Psi.
16 ottobre 1922 Riunione per preparare la marcia su Roma. Ci sono anche i
cosiddetti quadrumviri: Balbo, Bianchi, De Bono e De Vecchi.
27 ottobre 1922 Si dimette il II governo Facta in seguito alla decisione di Vittorio Emanuele III di negare la firma alla proclamazione dello stato dassedio
proposta dal Presidente del Consiglio per fermare la marcia su Roma.
28 ottobre 1922 il giorno della marcia su Roma. Le milizie fasciste arrivano
nella Capitale.
29 ottobre 1922 Incarico a Mussolini.
31 ottobre 1922 Mussolini presenta la lista dei ministri. Anche Giolitti gli vota
la fiducia.
16 novembre 1922 Mussolini si presenta alla Camera: Potevo fare di questa
aula sorda e grigia un bivacco di manipoli.
25 novembre 1922 Bruno Buozzi interviene a nome dei socialisti unitari per
rifiutare la concessione dei pieni poteri al governo Mussolini.
15 dicembre 1922 Prima riunione del Gran Consiglio del Fascismo.
18 dicembre 1922 I fascisti festeggiano mettendo Torino a ferro e fuoco; il loro
capo, Piero Brandimarte si vanta di aver ucciso ventidue persone.
11 gennaio 1923 Istituito ufficialmente il Gran Consiglio del Fascismo: serve a
collegare partito e governo.
14 gennaio 1923 Nasce la milizia volontaria: le squadracce diventano strumento dello Stato, anzi del capo del governo.

726

L E D AT E , I FAT T I

25 gennaio 1923 Mussolini cancella la festa del Primo Maggio e il ministero


del lavoro.
10 marzo 1923 Lenin grave e a Mosca il potere viene consegnato nelle mani
di Stalin.
12 aprile 1923 A Torino i popolari riuniti a congresso danno al governo Mussolini lappoggio condizionato. Il presidente del Consiglio impone a ministri e
sottosegretari di dimettersi sino a quando il partito non avr chiarito e il 23
aprile i cattolici rassegneranno le dimissioni.
27 aprile 1923 Approvata la riforma della scuola elaborata dal filosofo Giovanni Gentile.
23 maggio 1923 La Fiat inaugura a Torino lo stabilimento del Lingotto.
24 luglio 1923 Una delegazione della CGdL composta da Ludovico DAragona,
Angiolo Cabrini, Emilio Colombino, Carlo Azimonti e Bruno Buozzi incontra
Mussolini che prova a recuperare il sindacato confederale.
24 agosto 1923 I fascisti ammazzano Don Minzoni ad Argenta in provincia di
Ferrara.
26 ottobre 1923 A Castelmaggiore in provincia di Bologna quattro fascisti assassinano il fabbro comunista Carlo Gasperini.
13 novembre 1923 Approvata la nuova legge elettorale maggioritaria elaborata da Giacomo Acerbo.
31 dicembre 1923 I tipografi scendono in sciopero per rinnovare il contratto.
Scontro durissimo: i datori di lavoro spediscono le lettere di licenziamento a
molti scioperanti; Mussolini avaller questa scelta.
21 gennaio 1924 Muore Lenin.
12 febbraio 1924 Esce il primo numero del quotidiano comunista lUnit.
27 febbraio 1924 Nei locali confederali a Torino i fascisti aggrediscono Bruno
Buozzi che per le ferite viene ricoverato allospedale San Giovanni
16 marzo 1924 Fiume annessa allItalia.
6 aprile 1924 Elezioni bagnate di sangue. I fascisti ottengono la maggioranza

727

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

assoluta, 374 seggi, ammazzano a Imola Luigi Cervellati, comunista, e Angelo


Gaiani, socialista. Le violenze continueranno e saranno contrassegnate dagli assassini di Raffele Egisto Cavallini, Giovanni Goldoni, Enrico Bonoli, Angelo Frazioni.
27-28 aprile 1924 lultimo congresso libero della Fiom. Si svolge a Milano.
Bruno Buozzi (che nel frattempo stato rieletto alla Camera) dice nella sua relazione: Quandanche le nostre conquiste venissero materialmente distrutte baster un attimo di libert per farle rifiorire meglio di una volta.
11 maggio 1924 La sinistra trionfa nelle elezioni francesi.
10 giugno 1924 Giacomo Matteotti dopo aver denunciato la responsabilit di
Mussolini per le violenze durante le elezioni, viene rapito e assassinato. Il 16 agosto il suo corpo verr ritrovato nel bosco della Quartarella.
27 giugno 1924 Lopposizione si ritira nella sala dellAventino e annuncia che
non parteciper pi ai lavori parlamentari sino a quando non verranno ristabilite le libert democratiche.
8 luglio 1924 Mussolini vara un decreto con cui viene disposta una rigida censura sulla stampa.
9 settembre 1924 La Confindustria chiede a Mussolini la normalizzazione della
situazione, il ripristino della libert di organizzazione sindacale e dellordine democratico.
25 ottobre 1924 Don Luigi Sturzo sceglie lesilio e lascia lItalia.
8 novembre 1924 Giovanni Amendola crea lUnione Nazionale delle forze liberali. Carlo Rosselli tra i firmatari.
27 dicembre 1924 Lex capo dellufficio stampa di Mussolini accusa il duce di
essere il mandante dellomicidio Matteotti.
3 gennaio 1925 Mussolini rivendica la responsabilit morale di quanto e successo prima e durante lomicidio Matteotti e con una serie di provvedimenti ordina un giro di vite e una limitazione ulteriore delle libert.
11 gennaio 1925 Fascisti in azione. Ammazzano a Malcantone vicino Bologna
Augusto Pullega, il 5 marzo a Sesto Imolese Attilio Vannini, il 7 aprile a Bologna
Rosalino Morini e il 25 giugno Oliviero Zanardi.

728

L E D AT E , I FAT T I

8 giugno 1925 Salvemini viene arrestato e accusato di collaborare al giornale


Non Mollare (il primo numero uscito a gennaio). Ottiene la libert provvisoria, trova riparo a casa Rosselli che viene devastata dalle squadracce. Decide di
espatriare e il 4 agosto in Francia.
20 luglio 1925 Selvaggia aggressione a Giovanni Amendola.
2 ottobre 1925 Accordo di Palazzo Vidoni tra gli industriali e sindacati fascisti.
Questi ultimi diventano gli unici rappresentati dei lavoratori. La libert sindacale di organizzazione abolita.
2 ottobre 1925 In conseguenza del Patto di Palazzo Vidoni e delle polemiche
esplose in seguito allassunzione di posizioni troppo morbide nei confronti di
Mussolini, Ludovico DAragona si dimette dalla carica di segretario della CGdL.
3 ottobre 1925 A Firenze la strage di San Bartolomeo: uccisi gli antifascisti
Pilati, Consolo e Becciolini.
6 ottobre 1925 Alla guida della CGdL viene insediato in sostituzione di DAragona un comitato di fiducia composto da Buozzi, Reina, Bensi, Azimonti e Maglione.
4 novembre 1925 Lex deputato socialista Tito Zaniboni attenta alla vita di
Mussolini il quale risponde sciogliendo il Psu che subito si ricostituisce con altro
nome, Psli (Partito Socialista dei lavoratori italiani).
12 novembre 1925 Gli industriali Antonio Stefano Benni e Gino Olivetti vengono cooptati nel Gran Consiglio del fascismo.
27 novembre 1925 Nelle amministrazioni pubbliche obbligatorio il saluto romano fascista.
28 novembre 1925 Mussolini riesce grazie alle forti pressioni ad allontanare
dalla direzione del Corriere della Sera il direttore Luigi Albertini.
17 dicembre 1925 Buozzi accetta la carica di Segretario Generale della CGdL.
I suoi vice sono Azimonti e Maglione.
29 dicembre 1925 Muore nella sua casa milanese Anna Kuliscioff. I fascisti
strappano i drappi neri dalle carrozze che seguono il corteo funebre sino al Cimitero Monumentale.
4 febbraio 1926 Il governo abolisce le amministrazioni locali elettive.

729

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

15 febbraio 1926 Muore esule in Francia Piero Gobetti.


27 marzo 1926 Esce a Milano la rivista Quarto Stato fondata da Pietro Nenni
e Carlo Rosselli.
3 aprile 1926 Nasce lOpera nazionale Balilla: inquadra i ragazzi tra i 6 e i 18
anni.
7 aprile 1926 Muore esule in Francia, in seguito allaggressione subita lanno
prima ad opera dei fascisti, Giovanni Amendola
7 aprile 1926 Lirlandese Violet Gibson spara contro Mussolini: leggera ferita
al naso.
1 Maggio 1926 Esce a Parigi il primo numero del lOperaio Italiano: sar
lorgano della CGdL in esilio.
11 settembre 1926 Nuovo attentato al duce. Lanarchico Gino Lancetti lancia
una bomba verso lauto di Mussolini ma rimbalza sul tetto ed esplode sulla
strada.
21 ottobre 1926 Congresso a Milano del Psli. Confermati alla guida del partito
Carlo Rosselli, Giuseppe Saragat e Claudio Treves.
26 ottobre 1926 Buozzi lascia lItalia per partecipare a un convegno internazionale: comincia il suo esilio
31 ottobre 1926 Ci prova a Bologna Anteo Zamboni ad ammazzare Mussolini.
I fascisti lo linciano sul posto.
5 novembre 1926 Arrivano le leggi fascistissime: sciolti i partiti di opposizione,
istituito il famigerato Tribunale speciale e creata lOvra, polizia segreta per la
repressione dellantifascismo.
8 novembre 1926 Arrestato Antonio Gramsci. Sar condannato a venti anni
di carcere.
9 novembre 1926 I deputati aventiniani vengono dichiarati decaduti.
20 novembre 1926 Sciolti partiti e sindacati, pena di morte per chi soltanto
programma attentati contro Mussolini. Buozzi, a Zurigo per una riunione internazionale, decide di non rientrare in Italia. Rosselli, Bauer e Parri preparano la
fuga di Giuseppe Saragat, Claudio Treves e Pietro Nenni.

730

L E D AT E , I FAT T I

11 dicembre 1926 Filippo Turati lascia lItalia a bordo del motoscafo guidato
da Italo Oxilia.
4 gennaio 1927 Rigola, DAragona, Calda, Colombino, Maglione, Reina e Azimonti sciolgono la CGdL e preparano la nascita della Rivista Problemi del Lavoro.
30 gennaio 1927 Bruno Buozzi a Parigi dichiara che la CGdL stata trasferita
allestero (ufficialmente sotto le insegne dellInternazionale di Amsterdam).
20 febbraio 1927 In una fabbrica di specchi a Milano, lala comunista fa rinascere in clandestinit la CGdL e decide la riapertura del giornale Battaglie sindacali.
15 marzo 1927 Esce il primo numero clandestino di Battaglie sindacali.
19 marzo 1927 Arrestato Alcide De Gasperi per tentato espatrio: si far sedici
mesi di carcere.
9 aprile 1927 A Boston viene confermata la condanna a morte degli anarchici
italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.
21 aprile 1927 Tito Zaniboni e Luigi Capello sono condannati a trentanni di
carcere per lattentato a Mussolini.
22 aprile 1927 Il Gran Consiglio del Fascismo emana la Carta del Lavoro.
1 giugno 1927 Arrestato Carlo Rosselli.
2 giugno 1927 Nonostante limpegno di Bruno Buozzi e della Cgt, il Bureau International du Travail con il voto compatto dei rappresentanti dei governi e dei
datori di lavoro riconosce i sindacati fascisti al posto della CGdL.
12 aprile 1928 Attentato al re. Muoiono venti persone.
17 maggio 1928 Promulgata una nuova riforma elettorale. Prevede il voto su
ununica lista. il plebiscito.
18 ottobre 1928 Fucilato Michele Della Maggiora condannato per aver ucciso
due fascisti. la prima esecuzione dopo la reintroduzione della pena di morte.
21 ottobre 1928 Aggredito ferocemente dai fascisti Pasquale Bulzamini a Viareggio: in un bar aveva criticato lesecuzione di Della Maggiora. Muore in ospe-

731

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

dale dopo tre giorni dagonia.


15 novembre 1928 Il Gran Consiglio organo dello Stato.
1 gennaio 1929 I maestri elementari devono giurare fedelt al regime.
11 febbraio 1929 Firma dei Patti lateranensi.
26 febbraio 1929 Bruno Buozzi scrive la famosa lettera a Ezio Villani nella
quale rifiuta la proposta di Mussolini di rientrare in Italia.
24 marzo 1929 Si vota per il plebiscito.
27 luglio 1929 Carlo Rosselli, Emilio Lusu e Francesco Saverio Nitti fuggono
dal confino di Lipari ancora una volta a bordo di un motoscafo guidato da Italo
Oxilia.
31 luglio 1929 Marion e Nello Rosselli sono arrestati con laccusa di aver favorito la fuga di Carlo.
29 ottobre 1929 il venerd nero (in realt a New York ancora gioved):
crolla la Borsa a Wall Street e comincia la Grande Depressione. Far sentire i
suoi effetti per una decina danni in tutto il mondo.
5 novembre 1929 Liberato Nello Rosselli
10 gennaio 1930 Il Partito Comunista riporta in Italia la direzione politica.
1 marzo 1930 Amadeo Bordiga espulso dal PCdI
16 marzo 1930 Nel congresso di Grenoble i fusionisti del Psi guidati da Pietro
Nenni favorevoli allunificazione con i riformisti di Turati, Treves e Buozzi e con
gli antifusionisti guidati dalla Balabanoff.
24 aprile 1930 Galeazzo Ciano sposa Edda Mussolini.
10 luglio 1930 Arrestata Camilla Ravera. A tradirla Eros Vecchi, informatore
della polizia.
11 luglio 1930 Gioacchino Dolci e Giovanni Bassanesi sorvolano Milano e lanciano volantini antifascisti.
20 luglio 1930 Psi e socialisti riformisti si riunificano a Parigi nel Partito So-

732

L E D AT E , I FAT T I

cialista Italiano.
25 luglio 1930 La terra trema in Irpinia: 2.500 morti.
14 settembre 1930 In Germania il partito nazista ottiene un notevole successo
elettorale conquistando 107 deputati.
28 novembre 1930 In seguito alla crisi economica, industriali e sindacati fascisti si accordano per una riduzione dei salari dell8 per cento. Quelli degli statali
vengono ridotti del 12 ma nella realt il taglio sar tra il 15 e il 25 per cento.

1931-1940
LEuropa diventa un mattatoio
14 febbraio 1931 Congresso clandestino in Germania del PCdI. Viene proposta
la trasformazione dellItalia in uno stato federale.
3 aprile 1931 Arrestato Pietro Secchia.
12 aprile 1931 Netta vittoria dei repubblicani in Spagna. Alfonso XIII fugge allestero (morir allHotel Excelsior di Roma)
14 maggio 1931 Arturo Toscanini si rifiuta di eseguire a Bologna la marcia
reale e Giovinezza. Schiaffeggiato da alcuni fascisti, andr in esilio negli Usa
e torner in Italia solo nel 1946.
15 maggio 1931 Secondo atto della Dottrina sociale della Chiesa: Pio XI pubblica lenciclica Quadragesimo Anno, nel quarantesimo anniversario della
Rerum Novarum di Leone XIII.
28 maggio 1931 Il tribunale speciale condanna a morte lanarchico sardo Michele Schirru tornato dagli Usa in Italia per uccidere Mussolini. Lesecuzione avverr il giorno dopo.
15-17 giugno 1931 A Medicina, nei pressi di Bologna, le mondine entrano in
sciopero dopo che i sindacati fascisti avevano accettato una nuova riduzione del
salario.
1 luglio 1931 Ecco il nuovo codice penale di Alfredo Rocco. Per i reati politici
prevista la pena di morte.
3 ottobre 1931 Lauro De Bosis sorvola Roma e lancia volantini antifascisti. Si

733

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

inabisser col suo aereo tornando in Francia.


29 marzo 1932 Muore in esilio a Parigi, nella casa di Bruno Buozzi, il fondatore
del Psi e leader riformista, Filippo Turati.
9 aprile 1932 La Fiat presenta la Balilla, auto di media cilindrata inaccessibile
per le tasche della stragrande maggioranza degli italiani.
30 maggio 1932 Avanzano Hitler e il nazismo. In Germania si dimette il cancelliere Heinrich Bruning, lo sostituisce Franz von Papen che aprir la strada al
Fuehrer.
20 giugno 1932 Nasce Littoria, lattuale Latina.
5 luglio 1932 La reazione avanza in tutta Europa. In Portogallo Antonio de Oliveira Salazar viene nominato primo ministro.
31 luglio 1932 I nazisti ottengono un nuovo successo elettorale in Germania
ma non la maggioranza assoluta. E Hitler rifiuta la creazione di un governo di
coalizione.
4 ottobre 1932 Il fascismo dilaga: in Ungheria nasce il governo di Gyula Gombos.
8 novembre 1932 Franklin Delano Roosevelt viene eletto trentaduesimo presidente degli Stati Uniti.
23 gennaio 1933 Viene creato lIri, lIstituto per la Ricostruzione Industriale.
30 gennaio 1933 Lalba del Terzo Reich, la notte dellEuropa: Paul von Hindenburgh nomina Hitler cancelliere.
1 febbraio 1933 Hitler scioglie il Parlamento tedesco.
27 febbraio 1933 I nazisti incendiano il Reichstag (il parlamento) e attribuiscono la responsabilit ai comunisti.
5 marzo 1933 Plebiscito elettorale per Hitler che ottiene il 44 per cento dei voti.
19 marzo 1933 Stalin nellUnione Sovietica avvia la fase delle Grandi Purghe.
23 marzo 1933 Concessi a Hitler i pieni poteri.

734

L E D AT E , I FAT T I

27 marzo 1933 Il Giappone esce dalla societ delle nazioni.


1 aprile 1933 In Germania giornata di boicottaggio contro gli ebrei.
16 aprile 1933 Negli Usa Roosevelt con il National Recovery Act avvia il New
Deal.
11 giugno 1933 Muore nella sua casa parigina, Claudio Treves.
22 giugno 1933 Hitler dopo aver sciolto sindacati e partito comunista, mette
al bando i socialdemocratici.
14 luglio 1933 Il partito nazista il partito unico della Germania.
23 luglio 1933 Emulando Mussolini, Hitler firma il Concordato con la Santa
Sede.
12 novembre 1933 Nelle elezioni tedesche la lista unica ottiene il 92 per cento
dei voti; il controllo del Parlamento da parte dei nazisti totale.
5 gennaio 1934 Approvata la legge costitutiva delle corporazioni.
20 gennaio 1934 Anche Hitler vara la sua carta del lavoro.
1 febbraio 1934 Guerra civile in Austria: il reazionario Engelbert Dolfuss, aiutato dai nazisti, sconfigge i socialisti e subito dopo scioglie tutti i partiti ad eccezione del Fronte Patriottico.
3 marzo 1934 Il fascismo abolisce le autonomie locali.
25 marzo 1934 Secondo plebiscito elettorale per Mussolini: i contrari scendono
allo 0,15 per cento.
30 aprile 1934 In Austria Dolfuss ufficialmente investito dei poteri dittatoriali.
6 maggio 1934 I contrasti tra Psi e Giustizia e Libert portano allo scioglimento
della Concentrazione Antifascista.
27 maggio 1934 I dipendenti statali e parastatali devono essere obbligatoriamente iscritti al Pnf.
12 giugno 1934 Incontro tra Mussolini e Hitler a Venezia.

735

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

29 giugno 1934 la notte dei lunghi coltelli. Hitler fa fuori tutte le opposizioni
allinterno del suo partito.
25 luglio 1934 I nazisti in Austria tentano il colpo di stato. Dolfuss viene assassinato e Mussolini, alleato dellAustria schiera le truppe al confine convincendo Hitler a rinunciare momentaneamente allannessione.
17 agosto 1934 Dopo contrasti e polemiche violente, PCdI e Psi firmano il Patto
dUnit dazione in funzione antifascista.
9 ottobre 1934 Gli ustascia croati uccidono Alessandro I, re di Jugoslavia.
16 ottobre 1934 Mao guida in Cina la Lunga Marcia.
5 novembre 1934 Contro la disoccupazione, il fascismo riduce a 40 ore la settimana lavorativa.
13 gennaio 1935 Accordandosi con la Francia, lItalia ottiene la possibilit di
andare alla ricerca del posto al sole in Etiopia.
9 marzo 1935 Hitler comincia a prepararsi alla guerra e Goering, in contrasto
con il trattato di pace di Versailles, annuncia la creazione dellaeronautica tedesca.
16 marzo 1935 Hitler denuncia il trattato di Versailles e avvia una politica di
riarmo.
16 giugno 1935 Nasce il sabato fascista: la mezza giornata libera, per, bisogna dedicarla alladdestramento militare, politico, sportivo.
11 settembre 1935 Comincia a Parigi il primo congresso di Giustizia e Libert.
15 settembre 1935 La Germania emana le leggi razziali.
2 ottobre 1935 Comincia lavventura italiana in Etiopia.
6 ottobre 1935 Le truppe italiane occupano Adua e Adigrat.
2 novembre 1935 La Societ delle Nazioni, dopo aver censurato il comportamento italiano in Etiopia, decide di colpirla con le sanzioni. Mussolini prima le
definir inique e poi adotter la politica dellautarchia.
8 novembre 1935 Le truppe italiane conquistano Axum e Macall.

736

L E D AT E , I FAT T I

18 novembre 1935 Oro alla Patria: il regime ha bisogno di soldi per finanziare la campagna etiope e si appella alla generosit degli italiani. Trovando
ascolto anche in intellettuali illustri come Benedetto Croce che dona la sua medaglia da senatore e Luigi Pirandello che si priva di quella del Nobel.
20 gennaio 1936 Il generale Graziani conquista Neghelli.
15 febbraio 1936 Badoglio conquista lAmba Aradam.
16 febbraio 1936 In Spagna le sinistre vincono le elezioni.
7 marzo 1936 Hitler comincia a muoversi. Dopo aver riconquistato la Saar con
un referendum, si impossessa della zona smilitarizzata della Renania.
30 marzo 1936 Accordo tra le polizie fascista e nazista per reprimere le opposizioni ai regimi.
1 maggio 1936 Si chiude la polemica tra la CGdL in esilio e quella clandestina.
Bruno Buozzi, dopo brevi trattative, sana la frattura e il sindacato ritrova lunit
dazione. La chiusura della diatriba favorita anche dal nuovo clima che caratterizza i rapporti tra comunisti e socialisti.
5 maggio 1936 Le truppe italiane entrano ad Adis Abbeba.
9 maggio 1936 LItalia fascista si stordisce con il sogno imperiale: lEtiopia
viene unita alla Somalia e allEritrea.
30 giugno 1936 Il Negus Haill Selassi alla Societ delle Nazioni chiede di non
riconoscere la conquista italiana ma lassemblea non gli d ascolto e cancella le
inique sanzioni.
18 luglio 1936 Comincia la guerra civile spagnola. Una cospirazione militare
sostenuta dai monarchici e dalla Falange tenta il colpo di Stato. Le truppe di
stanza in Marocco agli ordini di Francisco Franco invadono la Spagna meridionale. Hitler e Mussolini corrono in soccorso dei golpisti.
24 luglio 1936 Hitler e Mussolini decidono lintervento diretto nella guerra spagnola.
17 agosto 1936 Parte la Colonna Italiana organizzata dagli antifascisti, a sostegno del legittimo governo spagnolo.
19 agosto 1936 I franchisti fucilano il poeta Federico Garcia Lorca.

737

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

29 settembre 1936 La giunta militare spagnola elegge Francisco Franco capo


dello stato.
24 ottobre 1936 Nasce lasse Roma-Berlino.
5 novembre 1936 Roosevelt rieletto Presidente degli Stati Uniti.
26 aprile 1937 Laviazione tedesca bombarda la cittadina spagnola di Guernica. Le vittime sono solo cittadini inermi. Picasso illustrer quel massacro in
un quadro straordinario.
27 aprile 1937 Per le sofferenze patite in carcere, muore Antonio Gramsci.
27 maggio 1937 Nasce il Ministero della Cultura Popolare, in pratica una struttura censoria pi occhiuta.
9 giugno 1937 A Bagnoles sur lOrne vengono uccisi dai caugoulards i fratelli
Rosselli, Carlo e Nello.
28 giugno 1937 Congresso del partito socialista che conferma lunit dazione
con i comunisti nella prospettiva di un allargamento a Massimalisti e Giellisti.
1 luglio 1937 La Chiesa spagnola si schiera al fianco di Franco.
26 luglio 1937 Comunisti e socialisti confermano il patto di unit di azione siglato nel 1934.
27 luglio 1937 Comincia la guerra cino-giapponese.
25 settembre 1937 Mussolini e Hitler si incontrano a Monaco. Termineranno
i colloqui il 29 settembre a Berlino. Verranno applauditi da un milione di persone
nello stadio Olimpico.
5 novembre 1937 Hitler riunisce lo stato maggiore per mettere a punto i piani
di attacco contro lAustria e la Cecoslovacchia.
11 novembre 1937 LItalia esce dalla Societ delle Nazioni.
12 marzo 1938 Lesercito tedesco invade lAustria e lannette al Reich.
3 maggio 1938 Nuova visita in Italia di Hitler. Durer sei giorni.
25 luglio 1938 Il segretario del Pnf, Achille Starace, riceve gli estensori del Ma-

738

L E D AT E , I FAT T I

nifesto sulla razza (che era stato pubblicato dal Giornale dItalia). Si dichiarano
razzisti personaggi come Badoglio, lo scrittore Ardengo Soffici, gli illustratori
Boccasile e Molino, e un giovanotto che far strada, Giorgio Almirante.
5 agosto 1938 Esce il primo numero de La difesa della Razza. Tra i redattori
c Giorgio Almirante.
1 settembre 1938 Primi provvedimenti razziali: espulsione degli ebrei stranieri, revoca della cittadinanza agli ebrei che lhanno ottenuta dopo il 1918, esclusione dallinsegnamento, divieto di iscrizione alle scuole secondarie e
raggruppamento in sezioni speciali in quelle primarie.
25 ottobre 1938 Anche la Libia entra a far parte del territorio italiano.
9 novembre 1938 Scatta la notte dei cristalli in Germania: la caccia alluomo contro gli ebrei. Saranno distrutte duecento sinagoghe, 7.500 negozi, ventiseimila persone saranno arrestate, una ventina uccise.
10 novembre 1938 Mussolini si allinea a Hitler ed emana nuove norme razziste: vietati i matrimoni tra italiani e persone di altre razze, ebrei esclusi dal servizio militare, dalle cariche pubbliche e nellesercizio delle attivit economiche
devono sottomettersi ad alcune limitazioni.
30 novembre 1938 Con una manifestazione alla Camera, lItalia avanza pretese su Tunisi, Corsica, Nizza e Savoia.
14 dicembre 1938 Muore il Parlamento anche da un punto di vista ufficiale
(in realt, da quello politico era deceduto gi da tempo). Con linizio del nuovo
anno entrer in funzione la Camera dei fasci.
10 febbraio 1939 Muore Pio XI
2 marzo 1939 Viene eletto Papa Eugenio Pacelli. Si chiamer Pio XII.
28 marzo 1939 Le truppe franchiste entrano a Madrid. La guerra civile finita.
7 aprile 1939 LItalia invade lAlbania.
16 aprile 1939 Papa Pio XII benedice il successo franchista in una Spagna
definita baluardo inespugnabile della chiesa cattolica.
15 maggio 1939 La Fiat inaugura lo stabilimento di Mirafiori.
22 maggio 1939 Ciano e von Ribbentrop firmano a Berlino il Patto dAcciaio.

739

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

30 maggio 1939 Con un memoriale Mussolini fa sapere a Hitler che prima di


tre anni non in grado di entrare in guerra.
23 agosto 1939 Firmato il patto di non aggressione russo-tedesco, meglio noto
come Patto Molotov-Ribbentrop. Avr delle conseguenze nei rapporti tra socialisti e comunisti italiani.
1 settembre 1939 Hitler invade la Polonia senza dichiarare la guerra. lavvio
del secondo conflitto Mondiale.
1 novembre 1939 LUrss annette Bielorussia e Ucraina.
30 novembre 1939 LUrss invade la Finlandia.
10 marzo 1940 Hitler chiede a Mussolini di entrare in guerra.
18 marzo 1940 Hitler e Mussolini si incontrano al passo del Brennero per discutere dellentrata in guerra dellItalia.
9 aprile 1940 La Germania invade la Danimarca che si arrende senza colpo
ferire.
10 maggio 1940 Si dimette dalla carica di primo ministro britannico Neville
Chamberlain. Lo sostituisce Winston Churchill.
30 maggio 1940 Mussolini informa Hitler che lItalia sta per entrare in guerra.
1 giugno 1940 Il capo di stato maggiore, Badoglio, chiede a Mussolini di ritardare la guerra almeno di un mese.
10 giugno 1940 LItalia dichiara guerra alla Francia e alla Gran Bretagna:
Unora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria, dir Mussolini
dal balcone di Palazzo Venezia.
14 giugno 1940 Dopo aver aggirato la linea Maginot, lesercito tedesco sfila in
parata sotto lArco di Trionfo a Parigi.
24 giugno 1940 Armistizio tra Francia e Italia che ottiene solo Mentone.
4 luglio 1940 Le truppe italiane entrano in Sudan.
27 settembre 1940 Italia, Germania e Giappone a Berlino firmano il Patto Tri-

740

L E D AT E , I FAT T I

partito.
28 ottobre 1940 Mussolini comincia lavventura greca: sar un disastro.
5 novembre 1940 Roosevelt eletto per la terza volta presidente degli Stati
Uniti.
12 novembre 1940 Gli inglesi lanciano nella notte tra l11 e il 12 novembre un
pesantissimo attacco contro le navi della marina italiana ancorate nella rada di
Taranto. Gli aerei si alzano in volo alle 20,30 dell11 novembre; in due ondate
successive riescono a danneggiare seriamente la Conte di Cavour, lincrociatore
Trento e altre unit navali, approfittando della scarsa protezione antiaerea e
antisiluro. Per lapparato militare italiano i danni si riveleranno irrimediabili.
20 novembre 1940 Dura reprimenda di Hitler nei confronti di Mussolini per
la decisione di invadere la Grecia.
4 dicembre 1940 Badoglio la prima vittima del disastro greco: si dimette e
lascia il posto a Ugo Cavallero.
8 dicembre 1940 La controffensiva inglese in Africa obbliga gli italiani a una
rovinosa ritirata.

1941-1944
Lultimo eccidio, poi Roma libera
19 gennaio 1941 Mussolini incontra Hitler e lo convince a dargli aiuto in Africa
e nei Balcani
14 febbraio 1941 Rommel arriva a Tripoli.
1 marzo 1941 Bruno Buozzi viene arrestato a Parigi dalla Gestapo in Rue de la
Tour dAuvergne.
24 marzo 1941 Comincia loffensiva italo-tedesca sotto il comando di Rommel.
6 aprile 1941 Dopo la firma del patto di amicizia tra Jugoslavia e Russia, la
Germania invade la Jugoslavia e in dodici giorni la costringe alla capitolazione.
17 aprile 1941 Il duca dAosta si arrende agli inglesi sullAmba Alagi. Il regime
fascista ha perso tutta lAfrica orientale passata in mano agli inglesi.

741

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

20 aprile 1941 La Grecia capitola e Atene viene sottoposta a una amministrazione italo-tedesca.
3 maggio 1941 La Slovenia annessa allItalia.
5 maggio 1941 Il Negus Hail Sellasi torna ad Adis Abbeba accolto trionfalmente.
22 giugno 1941 La Germania lancia lassalto allUrss senza dichiarare guerra.
lOperazione Barbarossa
26 giugno 1941 Mussolini decide di mandare un corpo di spedizione (62 mila
soldati) in Unione Sovietica. Sar un altro disastro.
1 luglio 1941 Le truppe tedesche spazzano via la linea Stalin.
7 luglio 1941 Nel Montenegro comincia linsurrezione jugoslava agli ordini di
Tito.
7 luglio 1941 Dopo essere stato spedito in Germania, Bruno Buozzi viene consegnato a Vipiteno alla polizia italiana.
13 luglio 1941 Bruno Buozzi viene trasferito nelle carceri di Ferrara dove sar
sottoposto a interrogatorio.
9 agosto 1941 Il ministero dellinterno, su richiesta del prefetto di Ferrara, Villa
Santa, dispone il confino per Bruno Buozzi.
17 agosto 1941 Con foglio di via obbligatorio, Bruno Buozzi viene spedito a
Montefalco, vicino Perugia, luogo del suo confino.
2 ottobre 8 dicembre 1941 la battaglia di Mosca. I tedeschi vengono inchiodati dalla resistenza militare e partigiana e dai rigori dellinverno.
16 ottobre 1941 A Parma per protestare contro il razionamento del pane (duecento grammi giornalieri) un gruppo di donne assalta un furgone della Barilla.
7 dicembre 1941 I giapponesi attaccano la flotta americana a Pearl Harbor.
8 dicembre 1941 Gli Stati Uniti entrano in guerra.
11 dicembre 1941 Germania e Italia dichiarano guerra agli Stati Uniti.

742

L E D AT E , I FAT T I

13 marzo 1942 Le condizioni di vita degli italiani si fanno sempre pi dure: la


razione di pane ridotta a 150 grammi giornalieri.
30 giugno 1942 Lavanzata italo-tedesca in Africa settentrionale si ferma a El
Alamein.
30 agosto 1942 La Germania annette il Lussemburgo.
18 dicembre 1942 Ciano propone a Hitler di chiedere un armistizio allUrss. Il
Fuehrer respinge lidea.
18 gennaio 1943 I sovietici spezzano lassedio di Leningrado. A febbraio larmata tedesca si arrender a Stalingrado.
23 gennaio 1943 Gli inglesi entrano a Tripoli e mettono in fuga lesercito italiano.
3 marzo 1943 Amendola, Dozza, Saragat e Lussu firmano un accordo a Lione
con il quale confermano lunit dazione contro il fascismo.
5 marzo 1943 Scendono in sciopero gli operai della Fiat chiedendo pace e
pane. Gli scioperi si estendono a tutta lItalia. Fino al 16 marzo sar un fiorire
di manifestazioni. Poi, il 24 marzo, le proteste coinvolgeranno gli stabilimenti
milanesi.
14 aprile 1943 Il capo della polizia, Carmine Senise, per non aver represso con
forza gli scioperi di marzo, viene sostituito da Renzo Chierici. Lo richiamer Badoglio dopo il 25 luglio.
9 maggio 1943 Il colonnello Eugene Dollmann informa lalto comando tedesco
di un possibile colpo di stato in Italia guidato dal re per allontanare Mussolini
dal governo.
15 maggio 1943 Vittorio Emanuele III prospetta a Mussolini la possibilit di
sganciare i destini dellItalia da quelli della Germania.
11 giugno 1943 Gli anglo-americani occupano Pantelleria e Lampedusa.
10 luglio 1943 Gli alleati sbarcano in Sicilia.
15 luglio 1943 Vittorio Emanuele incontra Badoglio per verificare la sua disponibilit a prendere il posto di Mussolini.

743

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

19 luglio 1943 Gli alleati bombardano per la prima volta Roma.


22 luglio 1943 Dino Grandi incontra Mussolini e gli anticipa il contenuto del suo
ordine del giorno chiedendogli di dimettersi. Ma il duce respinge la richiesta.
23 luglio 1943 Gli americani entrano a Palermo.
24-25 luglio 1943 Alle ore 17 a Palazzo Venezia si riunisce il Gran Consiglio:
sar un vertice drammatico. La riunione termina praticamente allalba del 25
luglio, alle 2,40. Passa lordine del giorno elaborato da Dino Grandi che dar al
re la motivazione politica per rimuovere Mussolini. Nel pomeriggio dal re si reca
il duce che alluscita viene arrestato. A tarda sera la comunicazione ufficiale:
Badoglio il nuovo capo del governo, con pieni poteri.
27 luglio 1943 Prima riunione del governo Badoglio.
28 luglio 1943 Bruno Buozzi si allontana dal confino di Montefalco e torna a
Torino.
30 luglio 1943 Venuti meno i motivi del confino Bruno Buozzi viene liberato.
Il ministro Leopoldo Piccardi lo nominer commissario dei vecchi sindacati fascisti e lui coglier al volo loccasione per nominare suoi vice un comunista, Roveda, e un cattolico, Quarello, ponendo cos le basi per la ricostituzione del
sindacato unitario. Nel frattempo cominciano le agitazioni operaie.
13 agosto 1943 I commissari sindacali accettano lincarico sottolineando, comunque, che la scelta non comporta adesione alle politiche del governo.
19 agosto 1943 Nel nord vengono proclamati gli scioperi. A Torino ladesione
totale.
22 agosto 1943 Nasce il Psiup dalla confluenza del Psi, del Mup e dellUpi.
27 agosto 1943 Mussolini viene trasferito a Campo Imperatore.
28 agosto 1943 Il governo scioglie il Gran Consiglio, la Camera delle Corporazioni, il Partito nazionale fascista.
2 settembre 1943 Bruno Buozzi e Giuseppe Mazzini che guida la Confindustria
firmano laccordo per la ricostituzione delle commissioni interne.
8 settembre 1943 Nel pomeriggio lItalia firma larmistizio con le forze alleate.
Al mattino Vittorio Emanuele III aveva comunicato ai tedeschi: LItalia non ca-

744

L E D AT E , I FAT T I

pitoler mai.
9 settembre 1943 Il re e Badoglio, alle prime luci dellalba abbandonano Roma
in direzione del Sud.
12 settembre 1943 Un gruppo di SS libera Mussolini. il primo passo verso la
costituzione della Repubblica sociale. Nel frattempo, a Brindisi il re fa nascere il
Regno del Sud.
16 settembre 1943 Sulle panchine di piazza Mazzini si incontrano Buozzi e Roveda per decidere come muoversi nella clandestinit e avviare le trattative per
il Patto di Roma.
23 settembre 1943 Nasce la Repubblica Sociale Italiana.
29 settembre 1943 Nella casa della sorella di Oreste Lizzadri, Buozzi, Roveda,
Amendola e Nenni concordano la nascita di un sindacato unitario
30 settembre 1943 Bruno Buozzi comunica a Grandi lintenzione di realizzare
un sindacato unitario.
15 ottobre 1943 Vengono definite le delegazioni che lavoreranno al Patto di
Roma.
22 gennaio 1944 Le truppe americane sbarcano ad Anzio.
28 gennaio 1944 A Bari si svolge il congresso dei Comitati di liberazione nazionale.
28 gennaio 1944 Un convegno di delegati sindacali del Sud decide a Bari la
ricostituzione della CGdL, nomina Bruno Buozzi segretario generale e vice-segretari Roveda e Grandi.
31 gennaio 1944 Nasce a Milano il Comitato di Liberazione dellAlta Italia.
5 febbraio 1944 Muore nel carcere di Regina Coeli per le torture subite Leone
Gizburg.
15 febbraio 1944 Labbazia di Montecassino viene rasa completamente al suolo
nonostante non avesse alcun rilievo militare.
23 marzo 1944 Attacco partigiano a via Rasella contro una colonna di militari
tedeschi. Muoiono in trentatr. Herbert Kappler, capo delle SS a Roma ordina

745

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

la rappresaglia delle Fosse Ardeatine: 335 civili verranno uccisi a sangue freddo.
Del lavoro si occuper Erich Priebke che ne uccider personalmente due.
13 aprile 1944 In una casa a viale del Re (lattuale viale Trastevere) viene arrestato Bruno Buozzi. Tradotto nella prigione di via Tasso, ne uscir solo per
lultimo viaggio che si concluder a La Storta.
28 maggio 1944 La famigerata banda Koch organizza un agguato ai danni di
Eugenio Colorni, uno degli autori del Manifesto di Ventotene. Sar gravemente
ferito e morir due giorni dopo nellospedale romano di San Giovanni.
3 giugno 1944 la data ufficiale del Patto di Roma: gi definito nella sostanza
in realt verr effettivamente firmato sei giorni dopo.
4 giugno 1944 Mentre le truppe americane entrano a Roma, da via Tasso partono quattro camion pieni di prigionieri antifascisti. Sullultimo trova posto
Bruno Buozzi insieme ad altri tredici sfortunati compagni di viaggio. Il mezzo si
fermer a quattordici chilometri dal centro di Roma, nella tenuta Grazioli. I prigionieri saranno fatti scendere, tenuti in un fienile e poi ammazzati a sangue
freddo. leccidio de La Storta.
9 giugno 1944 Giuseppe Di Vittorio, Achille Grandi ed Emilio Canevari firmano
il Patto di Roma, latto con il quale rinasce la Confederazione unitaria. In calce
al documento verr inserita la data ufficiale del 3 giugno per onorare la memoria di Bruno Buozzi che era stato il motore delliniziativa e per sottolineare
che laccordo era stato negoziato sotto loccupazione nazista di Roma, nella clandestinit.

746

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Glossario
Alleanza del Lavoro Nacque per iniziativa del Sindacato dei Ferrovieri e
realizz lunione delle diverse sigle sindacali (CGdL, Usi, UIdL, Federazione
Italiana del Mare) per creare un argine al dilagare della violenza fascista.
Amma Associazione Metallurgici Meccanici Affini.
Associazione nazionalista italiana Anche Partito Nazionalista. Conflu
nel Pnf. Tra gli aderenti DAnnunzio e Verga.
Bit Bureau International du Travail Struttura dellOrganizzazione Internazionale del Lavoro, agenzia dellOnu fondata, per, nel 1919 e gi inserita
nella vecchia Societ delle Nazioni.
Blocchi Nazionali Cartello elettorale che nel 1921 aggreg Fasci di Combattimento, Associazione Nazionalista Italiana e spezzoni del giolittismo.
Bolscevichi Corrente del Partito Operaio Socialdemocratico Russo. Rappresentava lala (maggioritaria comunista) che vedeva nella rivoluzione lo strumento per giungere alla societ senza classi.
Brigate Garibaldi Erano le organizzazioni partigiane prevalentemente legate ai comunisti che combatterono durante la Resistenza.
Brigate Giustizia e Libert Pur avendo nel PdA la forza politica di riferimento, erano aperte alla partecipazione di combattenti che si ispiravano ad
altri filoni politici antifascisti.
Brigate Matteotti Erano le organizzazioni armate legate al Psiup che combatterono durante la Resistenza.
Censo Il censo a cui si fa riferimento in questo libro quello che dava diritto
al voto prima dellintroduzione del suffragio universale, cio il limite minimo
di tributi pagati per partecipare alle consultazioni elettorali.
CGdL Confederazione Generale del Lavoro.
Cgil Confederazione Generale Italiana del Lavoro, lorganizzazione nata con il
Patto di Roma.
Cgt Confderation gnrale du Travail, lorganizzazione sindacale francese a

748

GLOSSARIO

cui si appoggi Bruno Buozzi a Parigi.


Cil Confederazione Italiana del lavoro: era lorganizzazione sindacale cattolica prima dellavvento del fascismo.
Cisl Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori.
Cln Comitato di Liberazione Nazionale. Era una organizzazione interpartitica
(Pci, Dc, PdA, Pli, Psiup e Democrazia del Lavoro) che coordin e diresse la
Resistenza italiana.
Concentrazione dazione antifascista Fu costituita a Parigi dai partiti
antifascisti. Non vi ader il Pci.
Conciliatori Corrente socialista cui aderivano Buozzi e Saragat che pur criticando il patto Molotov-Ribbentrop, lavorava per evitare la rottura dellunit
antifascista con il Pci.
Concordato Erano cos definiti gli accordi tra sindacati e datori di lavoro.
Confederazione nazionale delle Corporazioni sindacali In sostanza, il
sindacato fascista. Caduto il regime, verr assegnato a Bruno Buozzi la carica
di commissario.
Confindustria Confederazione Generale dellIndustria Italiana Fondata nel 1910, fu la filiazione della Lega Industriale.
Consorzio delle fabbriche di automobili Nacque nel 1911 per iniziativa
delle sette principali aziende che a Torino costruivano autovetture.
Cottimo Retribuzione proporzionale al prodotto lavorato.
Estrema Erano i candidati di sinistra (non liberali) nelle elezioni del 1882, del
1886, del 1890 e del 1892.
Fasci siciliani dei lavoratori Movimento di protesta di ispirazione socialista ma a vocazione secessionista che si svilupp in Sicilia tra il 1891 e il 1894.
Federazioni Raggruppavano i lavoratori di una stessa categoria.
Fiom Federazione italiana operai metallurgici. Lacronimo sarebbe stato trasformato in: Federazione impiegati e operai metallurgici.

749

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Fism Federazione internazionale sindacati metalmeccanici.


Flm Federazione lavoratori metalmeccanici.
Fsi Federazione Internazionale sindacale di Amsterdam. Lorganizzazione che
riuniva le organizzazioni sindacali non comuniste, nata nel 1901.
Fusionisti Corrente socialista che auspicava la confluenza col Partito Comunista.
Gestapo Polizia segreta del regime nazista. Il nome per intero Geheime Staatspolizei.
Giustizia e Libert Era il partito liberal-socialista fondato da Carlo Rosselli
in esilio a Parigi nel 1929.
Guardie Rosse Organizzazioni armate di difesa attive durante loccupazione
delle fabbriche.
Intransigenti Corrente socialista guidata da Modigliani che dopo il patto
Moltov-Ribbentrop si dichiarava indisponibile a qualsiasi collaborazione col
Pci.
Ios Internazionale operaia e socialista. Fu attiva tra il 1923 e il 1940.
Internazionale Sindacale Rossa Nota anche come Profintern. Aveva il
compito di coordinare il lavoro dei comunisti allinterno dei sindacati. Nata nel
1921, si sciolse nel 1937.
Labour Party il partito socialista inglese.
Lega industriale Organizzazione degli imprenditori che nasce a Torino nel
1906.
Legge Acerbo La prima delle due riforme elettorali (la seconda fu quella che
apr la strada al Plebiscito) volute da Mussolini. I due-terzi dei seggi venivano
attribuiti alla lista che superava il venticinque per cento dei consensi.
Leghe Il primo nucleo di organizzazione sindacale. Organizzavano i lavoratori per mestieri.
Liberali, Democratici, Radicali Cartello elettorale che partecip alla consultazione del 1919.

750

GLOSSARIO

Listone O anche Lista Nazionale. Aggregazione elettorale che alle elezioni del
1924 ruotava intorno al Pnf. Oltre ai nazionalisti (incorporati nel Pnf lanno
prima), vi aderirono liberali come Salandra e Vittorio Emanuele Orlando.
Massimalisti La corrente venne fondata da Giacinto Menotti Serrati e puntava al conseguimento dei traguardi massimi, in contrapposizione alle indicazioni del Programma Minimo sostenuto dai riformisti.
Memoriale Era il documento con il quale i sindacati presentavano ai datori
di lavoro le richieste contrattuali.
Menscevichi Corrente del Partito Operaio Socialdemocratico Russo che immaginava la trasformazione della societ attraverso riforme graduali.
Ministeriali Erano i candidati di governo nelle elezioni del 1882, del 1886,
del 1890 e del 1892.
Mobilitazione industriale Si realizza quando lapparato produttivo, con
una serie di provvedimenti, viene messo al servizio dellimpegno bellico.
Opposizione I candidati di opposizione nelle elezioni del 1882, del 1886, del
1890 e del 1892.
Oss Office of Strategic Services. Era il servizio segreto statunitense operante
durante la seconda guerra mondiale, cio lantesignano della Cia.
Ovra Polizia segreta del regime fascista e della Repubblica di Sal, passata
alla storia soprattutto per la sua attivit di repressione nei confronti degli antifascisti. Lacronimo metterebbe insieme sette parole: Opera volontaria per la
Repressione dellAntifascismo.
Partito Operaio Lantenato del Psi. Nacque nel 1882 a Milano per iniziativa
del giornale la Plebe.
Partito Radicale Fa la sua comparsa alle elezioni del 1895. il partito della
sinistra liberale.
Patto di Palazzo Vidoni Laccordo tra la Confederazione delle corporazioni
fasciste e la Confindustria con il quale la prima veniva riconosciuta come
lunica rappresentante dei lavoratori.
Patto di Roma Latto costitutivo del sindacato unitario.

751

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Patto Gentiloni Laccordo che segn lingresso in politica dei cattolici, a rimorchio di Giolitti, nelle elezioni del 1913. Sino a quel momento era prevalsa la
linea dettata da Pio IX sintetizzata nella formula non expedit, cio la non
convenienza dei fedeli a una partecipazione diretta alla contesa politica.
PCdI Partito Comunista dItalia (Sezione dellInternazionale Comunista). Questo il primo nome del partito comunista nato dalla scissione di Livorno del
1921.
Pci Partito Comunista Italiano il nome che il partito comunista assume nel
1943 dopo lo scioglimento dellInternazionale Comunista.
PdA Partito dazione. Nacque a Roma nel giugno del 1942. Metteva insieme
vari filoni di pensiero (socialista, radicale, repubblicano, liberale, socialdemocratico).
Pdc Partito democratico costituzionale. Nasce da una costola del gruppone
giolittiano nel 1913.
Plebiscito In pratica le elezioni del 1929 e del 1934 nelle quali gli elettori venivano chiamati a esprimersi con un s o con un no su una lista di candidati
preparata dal Gran Consiglio del Fascismo.
Pli Partito Liberale Italiano. Nasce poco prima della marcia su Roma, l8 ottobre 1922. Benedetto Croce il segretario nel 1944.
Pnf Partito nazionale fascista. Fondato da Benito Mussolini nel 1921, filiazione
dei Fasci di Combattimento.
Ppi Partito Popolare Italiano. Fu fondato da Luigi Sturzo nel 1919.
Pri Partito Repubblicano Italiano. Nasce ufficialmente il 21 aprile del 1895. Si
presenta per la prima volta alle elezioni nel 1897.
Programma Minimo Venne elaborato dal Psi nel 1895, in vista delle elezioni. Tra gli obiettivi: suffragio universale, uguaglianza di genere, statalizzazione di miniere e ferrovie, tassazione progressiva su redditi e successioni,
distribuzione delle terre incolte, giornata lavorativa di otto ore e allungamento
della scuola dellobbligo.
Psi Partito Socialista Italiano. Si presenta per la prima volta alle elezioni del
1892.

752

GLOSSARIO

Psiup Partito socialista italiano di Unit proletaria. Il partito che nasce a


Roma il 22 agosto del 1943 dalla confluenza di Psi, Mup (Movimento di unit
proletaria) e Upi (Unit Popolare Italiana).
Psri Partito socialista riformista Italiano. Lo costituiscono Ivanoe Bonomi e
Leonida Bissolati dopo lespulsione decisa in seguito alla posizione assunta nei
confronti della guerra italo-turca.
Psu Partito socialista unitario. Lo costituisce lala riformista espulsa dal Psi
nel 1922.
Psli Partito socialista dei lavoratori italiani. Venne costituito da Turati e Treves dopo lo scioglimento dei partiti decretato da Mussolini nel 1926. La sigla
venne ripresa da Giuseppe Saragat nel 1947 dopo la scissione di Palazzo Barberini.
Purghe (o grandi Purghe) La feroce repressione ordinata da Stalin nella
seconda met degli anni Trenta.
Riformisti Erano definiti cos coloro che allinterno del Psi ritenevano che bisognasse giungere alla trasformazione dello stato in senso socialista attraverso conquiste graduali, senza far ricorso alla violenza. La corrente di
pensiero era stata in larga misura ispirata dal tedesco Eduard Bernstein.
Sabato inglese Per sabato inglese si intendeva sostanzialmente la mezza
giornata lavorativa.
Seconda Internazionale Riun i partiti socialisti dal 1889 sino alla prima
guerra mondiale.
Sindacalismo rivoluzionario Uno dei principali ideologi fu Georges Eugne Sorel. Tra gli elementi caratterizzanti, ldea dello sciopero a fini rivoluzionari.
Spd Lacronimo sta per Sozialdemokratische Partei Deutschlands, cio partito
socialdemocratico.
SS Si tratta dellabbreviazione di Schutzstaffen, squadre di protezione, struttura paramilitare del Partito Nazista.
Staliniani Era la corrente socialista (capeggiata da Nenni) che anche dopo
laccordo Molotov-Ribbentrop era contraria alla rottura con i comunisti.

753

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Terza Internazionale Riun i partiti comunisti dal 1919 al 1943. Pi nota


come Comintern o Komintern acronimo di Kommunistische Internationale.
Terzinternazionalisti Altra corrente socialista che puntava allingresso
nella Terza Internazionale.
Trade Unions la Confederazione dei sindacati britannici. Da una costola
dellorganizzazione nacque il partito laburista.
Tribunale speciale La qualifica intera era Tribunale speciale per la sicurezza dello Stato, in sostanza lo strumento per perseguitare lopposizione antifascista.
UIdL Unione Italiana del Lavoro. Si costitu nel giugno del 1918 dopo lespulsione degli interventisti dallUsi. Fu attiva sino al 1925.
Uil Unione Italiana del Lavoro. lorganizzazione nata il 5 marzo 1950 nella
Casa dellAviatore a Roma dove si riunirono 253 delegati.
Unione Democratica Nazionale il partito di ispirazione liberale e antifascista creato da Giovanni Amendola dopo lassassinio di Giacomo Matteotti.
Upi Unione Popolare Italiana, lalleanza promossa dai comunisti aperta alle
altre sigle.
Usi Unione Sindacale Italiana. Nacque per impulso dei sindacalisti rivoluzionari.

754

BIBLIOGRAFIA

Bibliografia
Aa. Vv. Bruno Buozzi e lorganizzazione sindacale italiana Editrice Sindacale Italiana 1982
Aa. Vv. Sindacato e classe operaia nella II Internazionale Sansoni 1983
Aa. Vv. I sindacati in Italia Laterza 1955
Abrate M. La lotta sindacale nellindustrializzazione in Italia 1906-1926 Limpresa 1968
Agosti A. Marrucco D. Appunti sullidea di unit nella storia del movimento sindacale
italiano Quaderni di Rassegna Sindacale n. 29 marzo-aprile 1971
Amendola G. Lettere a Milano Editori Riuniti 1973
Antoniazzi S., La Valle D. (a cura di) Achille Grandi: sindacalismo cattolico 1906-1946
Fondazione P. Seveso 1976
Antonioli M., Bezza B. (a cura di) La Fiom dalle origini al fascismo (1901-1924)
De Donato 1978
Archivio centrale dello Stato Casellario politico centrale (1922-1943)
Archivio Fondazione Bruno Buozzi
Archivio Fondazione Nenni
Arendt H. La banalit del male. Eichmann a Gerusalemme Feltrinelli 2005
Atti del congresso di Bari del Cln Prima libera assemblea dellEuropa Liberata 28-29
gennaio 1944
Barbadoro I. Storia del sindacalismo La Nuova Italia 1973
Beccalli B. La ricostruzione del sindacalismo italiano (1943-1950) in Wolf S.J. Italia
1943-1950. La ricostruzione Laterza 1975
Bellotti L. Achille Grandi Cinque Lune 1966
Bellotti L. Achille Grandi e il movimento sindacale cristiano Cinque lune 1977
Benevento C. Storia della Uil fino al 1990 Uil 1990
Benvenuto G. Bruno Buozzi il riformista. Ricordi, commenti inediti A cura di Angelo
Coco Fondazione Bruno Buozzi 2004

755

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
Benvenuto G. Viglianesi e la storia del sindacato riformista Fondazione Bruno Buozzi 2010
Benvenuto G. Il Patto di Roma Quaderni della Fondazione Bruno Buozzi 2012
Benvenuto G. Maglie A. Il lavoratore ritrovato. La Crisi, il Sindacato la Classe in cerca
di identit Fondazione Bruno Buozzi 2013
Benvenuto G. Maglie A. Il divorzio di San Valentino. Cos la scala mobile divise lItalia
Fondazione Bruno Buozzi 2014
Berta G. Lavoro, solidariet, conflitti Ed. Officina 1983
Bianchi G., Lauzi G. (a cura di) I metalmeccanici De Donato 1981
Bignami L. Unit sindacale cronaca e documenti Esi 1974
Bobbio N. Scritti su Marx. Dialettica, stato, societ civile Donzelli 2014
Bolaffi A. Cuore tedesco. Il modello Germania, lItalia e la crisi europea Donzelli 2013
Boni P. I socialisti e lunit sindacale Marsilio 1981
Boni P. 1944 Bruno Buozzi e il Patto di Roma. Cronaca e storia dellunit sindacale
Ediesse Fondazione Brodolini 1984
Boni P. Cento anni di sindacato industriale Ediesse 1993
Bonifazi A. Salvarani G. Dalla parte dei lavoratori Storia del movimento sindacale
italiano vol. 1, 2, 3, 4 Franco Angeli 1976
Bonomi I. Diario di un anno Garzanti 1947
Borgognone G. Come nasce una dittatura. LItalia del delitto Matteotti Laterza 2012
Bpm Alinari 24Ore Italia al lavoro. Dagli archivi storici dei fratelli Alinari 2014
Buozzi I. Ripensando a quei giorni con Turati, Nenni, Pertini e mio padre Bruno
Intervista a la Repubblica 31 maggio 1984
Buozzi B. Scritti dellesilio Opere Nuove 1958
Buozzi B. Le condizioni della classe lavoratrice in Italia 1922-1943 Annali dellIstituto
Giangiacomo Feltrinelli 1972
Buozzi B. Nitti V. Fascismo e sindacalismo Quaderni della Fondazione G. Brodolini Marsilio 1988
Canali M. Le spie del regime Il Mulino 2004

756

BIBLIOGRAFIA
Canini G. Lo zibaldone di zio Giovanni. Ricordi di un vecchio sindacalista (1911-1967)
Morara 1964
Cannarsa S. Il socialismo e i XXVIII congressi nazionali Edizioni Avanti! 1950
Castagno G. Bruno Buozzi Ristampa edizioni Avanti! 1955
Colarizi S. La percezione del totalitarismo nellantifascismo italiano in Gentile E.
Modernit totalitaria il fascismo italiano Laterza 2008
Cordero F. Morbo italico Laterza 2013
Craveri P. Sindacati e istituzioni nel dopoguerra Il Mulino 1977
Craveri P. La democrazia incompiuta. Figure del 900 italiano Marsilio 2002
Craveri P. De Gasperi Il Mulino 2006
Cronologia Universale Bur 1997
Cuoco V. La politica del Regno Italico Einaudi 1944
De Cataldo G. Il maestro, il terrorista, il terrone Laterza 2011
De Simone C. Roma, citt prigioniera Mursia 1994
Epifani G. Il sindacato nella resistenza Esi 1975
Epifani G. (a cura di) Bruno Buozzi scritti e discorsi Esi 1975
Faravelli G. Giacomo Matteotti e Bruno Buozzi in Aa. Vv. Figure del primo socialismo
italiano Einaudi 1951
Federazione Cgil, Cisl, Uil Unit e autonomia del sindacato nel pensiero di Giuseppe
Di Vittorio Seusi 1978
Foa V. Sindacato e lotte operaie 1943-1973 Loescher 1975
Foa V. Questo Novecento Einaudi 1996
Foa V. La politica economica del fascismo Quaderni di Giustizia e libert 6 agosto 1933
in Economia e Lavoro Fondazione Giacomo Brodolini Anno XLV n. 1 Gennaio-aprile 2011
Fondazione Allori Dalla liberazione alla dolce vita. Scatti dautore Italia/Usa: frammenti di storia, costume, moda e cinema dal dopoguerra alla fine degli anni 70 2014
Fondazione Bruno Buozzi Giacomo Matteotti. La vita, lopera, il martirio 2003

757

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
Fondazione Bruno Buozzi Turati ai lavoratori di braccio e di tavolino Fondazione Bruno
Buozzi 2004
Fondazione Giacomo Brodolini, Fiom Milano Centroricerche e studi sindacali Bruno
Buozzi e lorganizzazione sindacale in Italia Editrice sindacale italiana 1982
Fondazione Giuseppe Di Vittorio Sito Web
Fontana S. I cattolici e lunit sindacale (1943-1947) Il Mulino 1978
Forbice A. I socialisti e il sindacato Palazzi 1968
Forbice A. La forza tranquilla. Bruno Buozzi, sindacalista riformista Franco Angeli 1985
Forbice A. (a cura di) Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi scritti e discorsi (1910-1943)
Franco Angeli 1994
Frappani A. Achille Grandi Edizioni Paoline 1960
Galli G. I cattolici e il sindacato Palazzi 1969
Galli G. Storia del socialismo italiano Laterza 1980
Galli G. Storia del socialismo italiano. Da Turati al dopo Craxi Baldini e Castoldi 2007
Galli G. I partiti politici italiani (1943-2004) Rcs 2010
Ginsborg P. Storia dItalia dal dopoguerra a oggi. Societ e politica 1943-1988
Einaudi 1989
Giovanangeli V. Storia degli operai metallurgici. Introduzione di Pierre Carniti Edizioni
Dibattito Sindacale 1968
Giovannini C. LItalia da Vittorio Veneto allAventino Il Mulino 1972
Gramsci A. Scritti politici Editori Riuniti 1973
Gramsci A. La questione meridionale Editori Riuniti 1974
Grandilone A. Storia del sindacalismo Giuffr 1959
Horovitz D.L. Storia del movimento sindacale in Italia Il Mulino 1972
I congressi della Cgil Esi 1949
Il Piccolo edizione di Luned e Marted 26/29 luglio 1943
Il Piccolo edizione di Venerd e sabato 10/11 settembre 1943

758

BIBLIOGRAFIA
Isnenghi M. Storia dItalia. I fatti e le percezioni dal Risorgimento alla societ dello
spettacolo Laterza 2011
Lauzi G. Per lunit sindacale. Dal Patto di Roma ad oggi Coines 1974
Livorsi F. Turati Rizzoli 1984
Lizzadri O. Quel dannato marzo 1943 Edizioni Avanti 1962
Lizzadri O. Il Regno di Badoglio Edizioni Avanti 1963
Lizzadri O. Il socialismo italiano dal frontismo al centro-sinistra Lerici 1969
Lizzadri O. Bruno Buozzi in Critica Sociale n. 22, 30 novembre 1971
Lizzadri O. Il potere ai sindacati? Napoleone 1972
Longo L. I centri dirigenti del Pci nella Resistenza Editori Riuniti 1973
Mack Smith D. Storia dItalia dal 1861 al 1997 Laterza 1998
Malfatti M. Tortora R. Il cammino dellunit sindacale 1943-1969 De Donato 1976
Mammarella G. Bruno Buozzi (1881-1944). Una storia operaia di lotte, conquiste e
sacrifici Ediesse 2014
Marchetti L. La Confederazione Generale del Lavoro negli atti, nei documenti, nei
congressi Edizioni Avanti! 1962
Martinet G. Ma un filmato lo inchioda per Buozzi Intervista al Corriere della Sera del 6
agosto 1996
Mastrangeli A. Tat A. Giuseppe Di Vittorio per lunit dei lavoratori e la rinascita
dellItalia Lavoro 1952
Matteotti G. Buozzi B. Il riformismo socialista italiano Marsilio 1981
Mattina E. Fiat e sindacati negli anni 80 Rizzoli 1981
Merli G. De Gasperi e il sindacato Cinque Lune 1977
Messia A. Storia e storie dei metalmeccanici Franco Angeli 1990
Nenni P. Cosa avrebbe detto Bruno Buozzi Edizioni Avanti 1944
Nenni P. Tempo di Guerra fredda (1943-1956) Diari Sugarco 1982
Nenni P. La Lotta di classe in Italia Sugarco 1987

759

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
Pastore G. Achille Grandi e il movimento sindacale nel primo dopoguerra Cinque Lune 1960
Pepe A. Il sindacato fascista in Del Boca, Legnani, Rossi (a cura di) Il regime fascista
Laterza 1995
Del Boca, Legnani, Rossi (a cura di) Il regime fascista Laterza 1995
Piccardi L. I 45 giorni del governo Badoglio in Trentanni di storia italiana Einaudi 1961
Pillon C. I comunisti e il sindacato Palazzi 1972
Pischel G. Antologia della Critica Sociale 1891-1926 Lacaita 1992
Pistillo M. Giuseppe Di Vittorio 1924-1944 Editori Riuniti 1977
Pozzar V. La corrente sindacale cristiana (1944-1948) Cinque Lune 1977
Quazza G. Resistenza e storia dItalia Feltrinelli 1976
Ramella S. Vecchio e nuovo sindacalismo negli episodi di un vecchio sindacalista
socialista (1898-1957) Tip. Riva 1958
Rapelli G. Unit sindacale e non politica in Studi Sociali n. 1972
Repaci A. Navone C. Dio e popolo. Antologia del Risorgimento e della Resistenza
Einaudi 1961
Riosa A. Lesperienza italiana in Sindacato e Classe operaia della II Internazionale
Sansoni 1983

Rosselli C. Socialismo liberale Einaudi 1979


Rosselli C. Scritti politici Guida 1988
Rusconi G.E. Resistenza e post fascismo Il Mulino 1995
Saba V. Il periodo della preparazione in Conquiste del Lavoro 1979
Saba V. Giulio Pastore sindacalista Edizioni Lavoro 1983
Sabbatucci G. Storia del socialismo italiano Vol. 1,2,3,4,5 Poligono 1981
Salvadori M.L. La sinistra nella storia italiana Laterza 1999
Salvemini G. Le origini del fascismo. Lezioni di Harvard Feltrinelli 1975
Sassoon D. Cento anni di socialismo Editori Riuniti 1998
Secchia P. Il partito comunista e la guerra di liberazione Feltrinelli 1966

760

BIBLIOGRAFIA

Secchia P. Le armi del fascismo Feltrinelli 1971


Senti le rane che cantano Sito Web
Simoncini F. Dallinterno della Uil (1950-1985) Franco Angeli 1986
Sircana G. (a cura di) Le carte del lavoro. Un secolo di lotte sociali, sindacato e politica
Ediesse 2014
Spataro G. I democristiani dalla dittatura alla Repubblica Mondadori 1968
Spini G. Bruno Buozzi in Sindacato e classe operaia nellet della II Internazionale
Sansoni 1983
Spriano P. Loccupazione delle fabbriche Einaudi 1964
Spriano P. Storia di Torino operaia e socialista. Da De Amicis a Gramsci Einaudi 1972
Spriano P. Storia del Partito Comunista Italiano. La Resistenza Togliatti e il partito
nuovo Einaudi 1975
Standing G. Precari. La nuova classe esplosiva Il Mulino 2011
Tobagi W. (a cura di) Achille Grandi. I cattolici e lunit sindacale. Scritti e discorsi
Esi 1976
Tobagi W. Il sindacato riformista Sugarco 1979
Tobagi W. Che cosa contano i sindacati? Rizzoli 1980
Turone S. Storia del sindacato in Italia Laterza 1981
Valiani L. Dallantifascismo alla resistenza Feltrinelli 1960
Valiani, Bianchi, Ragionieri Azionisti, cattolici e comunisti nella resistenza
Franco Angeli 1971
Villari R. Mille anni di storia. Dalla citt medievale allunit dellEuropa Laterza 2005
Zibordi G. I socialisti e il duello relazione allXI congresso del Partito Socialista Italiano 1910

761

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Indice dei nomi


Abate Tosti 69
Acerbo, Giacomo 206, 230, 278
Adler, Fritz 369, 596
Adami Rossi 477
Albertini, Luigi 271, 729
Alessandro I 736
Alessandro II 44, 695
Alfonso XIII 733
Almirante, Giorgio 739
Altobelli, Argentina 8, 46, 47, 48, 62, 63, 74,
75, 77, 665, 706, 745
Amendola, Giorgio 472, 473, 479, 488, 490,
496, 517, 539, 540, 542, 556, 669, 672, 743,
745
Amendola, Giovanni 17, 18, 201, 206, 278,
282, 363, 672, 678, 728,729, 730, 754,
Amundsen, Gravning 712
Antonioli, Maurizio 87, 90, 91,100, 101
Arendt, Hannah 580, 583, 599
Armino, Antonio 554
Arpinati, Leandro 212
Arrighi, Eugenio 39, 596
Badoglio, Pietro 232, 469, 470, 471, 472, 473,
474, 476, 478, 486, 494, 496, 498, 519, 521,
598, 641, 669, 671, 674, 688, 719, 720, 737,
739, 740, 741, 743, 744, 745
Balabanoff, Angelica 63, 364, 366, 673, 732
Balbo, Italo 272, 726
Baldini, Nullo 303, 350, 353, 354, 444, 454,
665
Baran, Frederick 38
Baratieri, Oreste 703
Barbadoro, Idomeneo 336, 345
Barbato, Nicola 703
Barberis, Francesco 129
Basile, Emanuele 568
Battistini, Angelo 435, 436, 439, 441, 442
Bauer, Otto 255, 730
Bebel, August 62
Belli, Valentino 381, 382, 383
Benni, Antonio Stefano 729
Benvenuto, Giorgio 20, 27, 27, 29, 101, 172,
193, 194, 195, 218, 261, 263, 311, 327, 371,
413, 501, 521, 575, 621, 629, 645, 650, 655,
657, 659, 660, 665, 780
Bianchi, Enzo 425

762

Bianchi, Michele 165, 272, 306, 726


Bianco, Raffaele 213, 421, 422
Bianco, Vincenzo 162, 163
Bissolati, Leonida 46, 52, 84, 85, 108, 227,
237, 333, 345, 673, 674, 701, 707, 711, 712,
713, 716, 753
Blum, Lon 360, 662, 674
Bobbio, Norberto 642, 643, 645
Boccasile, Gino 739
Boldrini, Giuseppe 723
Bonfigli, Vittorio 583, 594
Boni, Piero 30, 162, 315, 323, 324, 327, 342,
345, 488, 490, 501, 531, 607, 609, 610, 618,
626, 628, 630, 634, 645, 666
Bonoli, Enrico 724, 728
Bordiga, Amadeo 154, 190, 723, 732
Borgognone, Giovanni 268, 273, 289, 756
Bosco, Garibaldi 703
Bottai, Giuseppe 385, 389, 390, 391, 466, 674
Brandimarte Alfio 37, 595, 596
Brandimarte, Piero 726
Brecht, Bertold 201
Bresci, Gaetano 52, 529, 681, 686, 687, 706
Brielli, Battista 439, 440, 442
Bruning, Heinrich 734
Bucharin, Nikolaj Ivanov 192, 674
Buffarini Guidi, Guido 469, 505, 516
Bulzamini, Pasquale 731
Buozzi, Adolfo 429, 456
Buozzi, Antonio 213, 306, 417, 419, 420, 421,
425, 426, 427, 431, 435, 437, 438, 440, 448,
459, 462, 463
Buozzi, Iole 94, 242, 254, 314, 349, 428, 429,
435, 436, 440, 442, 443, 447, 448, 455, 456,
458, 461, 479, 591, 597, 598, 654, 651, 655,
673, 679
Buozzi Orlando 48, 213, 421, 428
Buozzi, Ornella 94, 242, 349, 368, 369, 428,
429, 430, 435, 436, 439, 440, 442, 447, 448,
454, 455, 456, 460, 461, 479, 591, 673, 686
Burgassi, Siro 366
Burger, Ursula 598, 619
Busti, Maria Maddalena 48, 213, 421
Cabrini, Angiolo 206, 214, 712, 713, 727
Cadorna, Luigi 126, 688, 689, 718
Cadorna, Raffaele 688
Caffaratti, Luigi 441
Cafiero, Carlo 700

INDICE DEI NOMI


Campolonghi, Luigi 354
Camusso, Susanna 30
Canali, Mauro 617
Canevari, Emilio 22, 38, 57, 353, 497, 551,
552, 555, 556, 558, 566, 570, 571, 612, 613,
666, 669, 746
Capello, Luigi 731
Carducci, Giosu 704
Carr, Carlo 708
Castagno, Gino 9, 48, 57, 66, 67, 77, 81, 82,
83, 94, 95, 96, 98, 100, 101, 150, 172, 194,
204, 218, 219, 225, 239, 311, 354, 371, 392,
425, 437, 458, 462, 479, 488, 527, 599, 666,
671
Castellani, Luigi 596
Cavallini, Raffaele Egisto 728
Cavallotti, Felice 704
Caviglia, Enrico 469, 722
Cavour, Camillo Benso 42, 201
Cervellati, Luigi 728
Chamberlain, Neville 740
Chierici, Renzo 743
Churchill, Winston 115, 740
Cianca, Alberto 349, 364
Ciano, Galeazzo 466, 468, 587, 683, 732, 739,
743
Cianetti, Tullio 468
Cioccetti, Urbano 657
Cipriani, Amilcare 699
Clark, Mark Wayne 584, 689
Coccia, Silla 86, 212, 672, 710
Coccia, Ivo 608
Colasanto, Domenico 554, 574
Colarizi, Simona 200, 201
Collodi, Carlo Lorenzini 695
Colorni, Eugenio 24, 39, 475, 675, 690, 746
Comandini, Federico 612, 613,
Corradini, Corrado 56
Corridoni, Filippo 153, 713
Costa, Andrea 13, 46, 47, 48, 52, 675, 677,
679, 686, 695, 697, 699, 701, 710
Craponne, Bonnefon Luis Maurice 99, 100
Crispi, Francesco 51, 53, 67, 83, 84, 201, 701,
702
Croce, Benedetto 53, 73, 147, 248, 271, 274,
532, 533, 534, 538, 547, 667, 675, 678, 687,
697, 737, 752
Croce, Giuseppe 699

Cuoco, Vincenzo 486, 501


Daladier, Edouard 361
DAlberto, Saverio 135
Dalla Chiesa, Enzo 532, 667, 673
DAnnunzio, Gabriele 113, 185, 205, 214, 667,
677, 720, 722
DAragona, Ludovico 148, 154, 161, 162, 163,
165, 166, 179, 190, 191, 200, 202, 204, 205,
206, 209, 210, 236, 238, 251, 252, 253, 285,
295, 298, 332, 348, 382, 388, 397, 399, 402,
405, 406, 408, 410, 411, 418, 419, 446, 505,
545, 639, 667, 718, 727, 729, 731
De Angelis, Libero 38, 596
De Ambris, Alceste 153, 282, 364, 667, 79,
714
De Amicis, Edmondo 48, 100, 101, 121, 141,
234, 235, 698, 703
De Andreis, Luigi 705
De Bono, Emilio 272, 466, 468, 726
De Bosis, Lauro 363, 364, 365, 733
De Brouckre, Louis 536
De Felice-Giuffrida, Giuseppe 702, 703
De Felice, Renzo 282, 470, 669
De Gasperi, Alcide 184, 201, 472, 486, 505,
506, 507, 509, 512, 513, 517, 518, 519, 520,
542, 557, 575, 667, 669, 670, 675, 685, 731
Della Maggiora, Michele 731
Della Torre, Luigi 354
De Michelis, Giuseppe 385, 386, 387, 388,
389, 390, 391, 392, 676
Depretis, Agostino 42, 51, 53
De Ritis, Domenico 607, 608, 609, 610, 611,
612, 613, 614, 615, 616, 617, 619
De Rosa, Fernando 352, 354, 355, 369, 381
De Ruggiero, Guido 472, 485, 667
De Stefani, Alberto 467
De Vecchi, Cesare Maria 272, 466, 726
Diaz, Armando 271, 689, 718
Di Bartolomeo, Nicola 554
di Rudin, Antonio 52
di San Marzano, Enrico 435
Disraeli, Benjamin 53
Di Vittorio, Giuseppe 8, 15, 20, 21, 22, 30,
188, 397, 399, 400, 403, 405,410, 411, 412,
413, 428, 455, 456, 471, 482, 486, 487, 488,
490, 491, 492, 493, 494, 495, 497, 498, 499,
500, 501, 504, 507, 509, 510, 511, 512, 513,
514, 515, 517, 518, 521, 540, 542, 550, 551,

763

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
552, 553, 555, 556, 557, 558, 560, 564, 566,
567, 570, 571, 573, 575, 561, 583, 591, 618,
620, 637, 640, 652, 655, 666, 668, 671, 707,
746
Dolci, Gioacchino 732
Dollman, Eugene 743
Don Brizio, Casciola 461, 462
Don Minzoni, Giovanni 727
Don Sturzo, Luigi 326, 423, 575
Dozza, Giuseppe 743
Dreyfus, Alfred 62, 702
Duca dAosta 271
Dugoni, Enrico 190, 300, 708
Dugoni, Eugenio 724
Dumini, Amerigo 279, 280, 281
Eichmann, Otto Adolf 581, 581, 582, 590, 599,
755
Engels, Friedrich 61, 192, 244, 697, 702
Epifani, Guglielmo 30
Facta, Luigi 271, 725, 726
Fanfani, Amintore 677
Farinacci, Roberto 185, 207, 269, 280, 284,
286, 469, 680
Federzoni, Luigi 466
Ferraris (IV), Attilio 531
Ferri, Enrico 707
Filzi, Fabio 717
Foa, Vittorio 637, 641, 645
Fortunato, Giustino 126, 278, 678, 697
Francesco Ferdinando 105, 688, 715
Francesco Giuseppe 717
Franchetti, Leopoldo 53, 126
Franco, Ciccio 487
Franco, Francisco 369, 381,737, 738,
Frassati, Alfredo 99, 100
Frazioni, Angelo 728
Gaggianesi, Carmela 439
Gaggianesi, Rina 57, 67,94, 349, 427, 428,
429, 433, 434, 435, 436, 438, 439, 440, 442,
443, 444, 445, 447, 448, 449, 460, 612, 613,
618, 656, 657, 658, 660, 661, 673
Gaiani, Angelo 728
Galletti, Carlo 66
Galli, Angelo 708
Galli, Giorgio 527, 528
Ganna, Luigi 66
Gatti, Tommaso 169
Garcia Lorca, Federico 737

764

Garibaldi, Giuseppe 40, 41, 46, 47, 696


Gasperini, Carlo 727
Gentile, Emilio 293, 311
Gentile, Giovanni 284, 727
Gentili, Dino 555
Gentiloni, Vincenzo Ottorino 109, 714
Geri, Alfredo 711
Giannini, Alberto 279, 354, 430, 431
Giannini, Massimo Severo 586, 598, 682
Giannini, Guglielmo 259
Giannitelli, Lamberto 488, 496
Gibson, Violet Albina 293, 730
Giovanni Paolo II 70
Giudice, Maria 134
Gizburg, Leone 745
Gobetti, Piero 18, 252, 351, 567, 725, 730
Goebbels, Joseph 580, 593
Goja, Maria 63
Goldoni, Giovanni 728
Gombos, Gyala 734
Gottardi, Luciano 468
Gracceva, Giuseppe 586, 619, 620, 682, 689
Gramsci, Antonio 12, 41, 57, 100, 101, 109,
115, 116, 117, 121, 135, 136, 137, 141, 152,
153, 154, 155, 160, 161, 163, 172, 178, 179,
181, 187, 188, 189, 191, 192, 194, 238, 271,
293, 317, 327, 407, 492, 515, 607, 626, 639,
676, 677, 685, 719, 730, 738
Grandi, Achille 14, 184, 463, 471, 485, 486,
487, 504, 508, 509, 510, 511, 512, 513, 514,
515, 517, 518, 519, 539, 540, 541, 542, 552,
553, 554, 561, 566, 567, 570, 571, 573, 574,
575, 652, 654, 655, 666, 668, 670, 674, 677,
683, 744, 745, 746
Grandi, Dino 466, 469, 535, 536, 587, 674,
677, 683, 744
Grandinetti, Vincenzo 462
Graziadei, Antonio 319, 320, 327
Graziani, Rodolfo 737
Grillo, Beppe 487
Grinevickij, Ignatij 45, 695
Gronchi, Giovanni 271, 487, 488, 506, 517,
519, 540, 677
Imbriani, Matteo Renato 44
Jaurs, Jean 114
Jouhaux, Lon 374, 387, 391, 678
Kahrau, Hans 597, 598, 599
Kappler, Herbert 587, 588, 590, 592, 593, 596,

INDICE DEI NOMI


597, 598, 599, 619, 650, 689, 745
Kautsky, Karl 55, 62, 63
Kesserling, Albert 516, 592, 593, 619, 690
Kraus, Karl 7, 27
Krugman, Paul 68
Kuliscioff, Anna 46, 47, 52, 63, 72, 73, 74,77,
282, 293, 351, 530, 675, 677, 699, 700, 702,
704, 710, 729
Haill Selassi 737
Hass, Karl 597, 598
Hegel, Friedrich 55
Heine, Heinrich 582
Hertz, Heinrich R. 50
Himmler, Heinrich 581, 588
Hitler, Adolf 107, 249, 277, 350, 381, 384,
400, 478, 483, 484, 687, 734, 735, 736, 737,
738, 739, 740, 741, 743
Intelisano, Antonino 598
Isnenghi, Mario 149, 172, 178, 193, 269, 289
Labriola, Antonio 55, 56, 673
Labriola Arturo 73, 93, 95, 147, 153, 423, 706,
707, 714
Lama, Luciano 20, 21, 30, 188, 639, 640, 641,
645, 666, 669
La Malfa, Ugo 678, 664
Lancetti, Gino 730
Lanfranco, Leo 464
Latouche, Serge 65
Laval, Pierre 358, 359, 368
Lazzari, Costantino 111, 713, 716
Lega, Paolo 702
Lenin, Vladimir Ilic Ulianov 20, 30, 108, 125,
134, 136, 137, 138, 139, 165, 157, 178, 182,
189, 190, 191, 192, 244, 284, 317, 528, 530,
625, 673, 674, 677, 678, 685, 688, 727
Lenoir, Raoul 362
Leone XIII 68, 70, 71, 85, 59, 510, 695,
700,707, 733
Leonetti, Alfonso 410, 670
Li Causi, Girolamo 493, 494, 678
Lizzadri, Oreste 465, 469, 471, 474, 475, 479,
482, 485, 488, 493, 497, 505, 507, 508, 509,
517, 531, 532, 534, 539, 540, 541, 542, 551,
554, 555, 556, 561, 566, 567, 568, 603, 606,
607, 612, 613, 666, 667, 669, 745
Lombroso, Cesare 56
Longo, Fiammetta 607, 609, 610, 618, 619
Longo, Luigi 493, 494, 531, 679

Lorenzi, Lorenzo 430, 431


Lupis, Filippo 38, 586, 591, 682
Luzzatti, Luigi 710, 711
Mack Smith, Denis 41, 69, 77, 194, 269
Macola, Ferruccio 704
Mainati, Linda 63
Malacria, Augusto 281
Malagodi, Giovanni 664
Malatesta, Enrico 110, 529
Mammarella, Gabriele 199, 680
Mann, Thomas 108, 582
Mancini, Federico 209
Mao Tse-Tung 736
Marconi, Guglielmo 50, 703
Mariani, Giuseppe 723
Marinelli, Giovanni 468
Marinetti, Filippo Tommaso 720
Marx, Karl 61, 67,192, 195, 244, 261, 323,
377, 642, 645, 697
Matteotti, Carlo 612
Matteotti, Giacomo 8, 13, 18, 19, 24, 45, 186,
187, 198, 200, 201, 205, 208, 218, 229, 230,
238, 239, 241, 243, 244, 258, 279, 280, 281,
282, 283, 284, 285, 286, 289, 293, 303, 307,
316, 349, 385, 530, 543, 544, 604, 611, 612,
613, 614, 615, 616, 617, 618, 662, 672, 676,
680, 685, 726, 728
Masaniello 487
Masetti, Augusto 712
Massarenti, Giuseppe 8, 45, 46, 48, 679
Massola, Umberto 463, 464
Mazzini, Giuseppe 12, 13, 40, 46, 47, 683
Mazzini, Giuseppe 227, 231, 232, 233, 234,
283, 284, 404,462, 476, 480, 744
Meda, Filippo 69, 224
Menelik 703
Merker, Nicolao 192, 195, 244,261
Mignogna, Nicola 41
Milani, Giambattista 698
Minsky, Hyman P. 107
Modigliani, Amedeo 349, 351, 680
Modigliani, Giuseppe Emanuele 184,190, 191,
198, 249, 253, 271, 283, 303, 364, 370, 412,
428, 429, 459, 530, 537, 611, 642, 680, 711,
750
Molinari, Henry 619
Molino, Walter 739
Molotov, Vjaceslav Michajlovic 20, 369, 379,

765

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
400, 463, 531, 642, 674, 680, 687, 689, 740
Montesquieu 146
Morgagni, Manlio 165, 470
Morgari, Oddino 147, 428
Morini, Rosalino 728
Muller, Franz 618
Murri, Romolo 69, 704, 708, 710
Mussolini, Benito 15, 47, 51, 93, 94, 111, 113,
114, 115, 116, 117, 125, 165, 166, 167, 177,
178, 179, 181, 182, 183, 184, 192, 198, 200,
201, 202, 205, 206, 207, 208, 210, 212, 218,
228, 230, 231, 232, 234, 236, 243, 253, 267,
268, 269, 270, 271, 272, 273, 274, 276, 278,
279, 280, 281, 282, 283, 284, 285, 286, 293,
295, 296, 297, 298, 303, 304, 305, 306, 307,
308, 315, 324, 335, 350, 357, 359, 363, 364,
368, 369, 375, 376, 381, 385, 386, 388, 389,
391, 392, 397, 402, 403, 418, 424, 425, 440,
462, 465, 466, 467, 468, 469, 470, 483, 484,
485, 491, 519, 532, 535, 536, 543, 544, 545,
546, 569, 587, 588, 596, 619, 637, 652, 653,
665, 667, 669, 670, 671, 672, 673, 674, 676,
677, 680, 683, 685, 687, 688, 711, 713, 714,
715, 716, 719, 720, 723, 724, 726, 727, 727,
728, 729, 730, 731, 732, 733, 735, 736, 737,
738, 739, 740, 741, 742, 743, 744, 745, 750
Mussolini, Edda 732
Naldi, Filippo 715
Negri, Ada 56
Nenni Giuliana 524, 526, 618
Nenni, Luciana 434, 526
Nenni, Pietro 13, 38, 44, 53, 56, 57, 110, 121,
155, 172, 180, 181, 182, 185, 193, 194, 218,
229, 238, 249, 252, 255, 283, 303, 314, 349,
351, 364, 366, 368, 369, 370, 375, 379, 381,
386, 387, 392, 400, 412, 459, 471, 473, 475,
488, 497, 505, 513, 517, 523, 524, 525, 526,
527, 528, 529, 530, 531, 532, 533, 534, 535,
537, 538, 540, 542, 543, 544, 545, 546, 547,
591, 592, 593, 599, 606, 607, 617, 618, 620,
642, 655, 664, 672, 673, 680, 681, 684, 685,
704, 711, 730, 732, 745
Nicola II 717
Niccolai, Adelmo 722
Nissi, Leonardo 410
Nitti, Francesco Saverio 223, 225, 278, 681,
690, 719, 720, 721, 732
Nitti, Vincenzo 170, 173, 345

766

Oberdan, Guglielmo 697


Olivetti, Adriano 681
Olivetti, Gino 231, 234, 391, 392, 393, 681,
476, 729
Orano, Paolo 95, 153, 232
Orlando, Vittorio Emanuele 688, 719, 751
Oxilia, Italo 682, 683, 691, 731, 732
Padre Curci 69
Pagani, Luigi 407
Pajetta, Giancarlo 492
Panebianco, Sante 460
Pareschi, Carluccio 468
Parri, Ferruccio 664, 678, 679, 682, 683, 684,
685, 730
Pascoli, Giovanni 56, 675
Passoni, Pier Luigi 354, 355, 369
Pastore, Raffaele 541, 542
Pastore, Giulio 511, 519, 569, 570, 573, 669,
671
Pepe, Adolfo 47, 206, 209, 216, 219, 331
Perovskaja, Sofia 695
Pertini, Sandro 191, 218, 229, 244, 255, 349,
471, 475, 490, 521, 530, 586, 591, 625, 658,
659, 678, 682, 683, 684, 687, 689
Perugia, Vincenzo 711
Petain, Philippe 359
Pfeiffer, Pancrazio 619
Piccardi, Leopoldo 404, 470, 471, 473, 474,
476, 477, 484, 486, 488, 493, 527, 567, 641,
668, 669, 671, 680, 688, 744
Pilsudski, Josef Klemens 389, 391
Pinkerton, Nat 699
Pinochet, Augusto 378
Pio IV 31
Pio IX 695, 752
Pio X 69, 707, 715
Pio XI 70, 510, 595, 733, 739
Pio XII 517, 619, 687, 739
Piola, Silvio 653
Pirandello, Luigi 737
Pistacchi, Mario 364
Pistillo, Michele 495, 521
Plechanov, Georgij Valentinovic 697
Poveromo, Amleto 281
Prampolini, Camillo 8, 13, 19, 47, 48, 63, 64,
65, 74, 77, 114, 190, 238, 316, 639, 683, 698,
700, 701
Princip, Gavrilo 105, 688, 715

INDICE DEI NOMI


Pullega, Augusto 729
Puppini, Umberto 212
Quaglino, Felice 251, 252, 303, 350, 353, 354,
365, 382, 670, 671
Rapelli, Giuseppe 185, 204, 508, 519, 554,
574, 670
Ravera, Camilla 406, 683, 732
Razza, Luigi 389, 390, 391
Regazzi, Augusto 388
Reina, Ettore 200, 251, 296, 300, 704, 729,
731
Ribbentrop, Joachim 20, 369, 379, 400, 463,
531, 566, 568, 642, 674, 680, 681, 689, 739,
740, 749, 750
Riosa, Alceo 321, 326, 327
Rocco, Alfredo 210, 234, 733
Romita, Giuseppe 528
Romussi, Carlo 52
Romussi, Muzio 704
Roosevelt, Franklin Delano 634, 635, 636,
637, 645, 734, 735, 738, 741
Rosselli, Carlo 12, 13, 24, 218, 246, 293, 349,
355, 366, 367, 369, 610, 614, 642, 643, 644,
665, 682, 683, 684, 690, 728, 730, 731, 732,
738, 750
Rosselli, Marion 732
Rosselli, Nello 13, 24, 293, 349, 610, 643, 682,
683, 684, 690, 732, 738
Rossi, Adani 477
Rossi, Cleobulo 86, 212, 672, 710
Rossi, Ernesto 475, 675
Rossi, Guido 609, 618
Rossi, Romualdo 306, 425, 426
Rotigliano, Edoardo 159
Roveda, Giovanni 8, 285, 335, 463, 464, 471,
472, 473, 477, 478, 485, 493, 494, 495, 496,
497, 498, 517, 539, 540, 541, 566, 641, 671,
676, 682, 744, 745
Rugginenti, Pallante 459, 671
Ruini, Meuccio 472
Rusconi, Gian Enrico 569, 570
Russo, Enrico 555
Russo, Vincenzo 486
Rysakov, Nicolaj 44, 695
Salandra, Antonio 108, 109, 113, 125, 126,
230, 278, 673, 683, 714, 716, 717, 751
Salazar, Antonio de Oliveira 734
Saletta, Tancredi 698

Salvatorelli, Luigi 742


Salvadori, Massimo L. 154
Salvemini, Gaetano 13, 84, 109, 169, 170, 201,
287, 288, 293, 611, 614, 665, 676, 678, 680,
684, 704, 710, 729
Santi, Fernando 30, 84, 255, 669, 671
Saragat, Giuseppe 46, 243, 244, 248, 249,
250, 252, 253, 254, 255, 256, 258, 259, 261,
295, 297, 349, 369, 408, 447, 475, 492, 493,
528, 530, 586, 591, 604, 607, 619, 625, 655,
659, 660, 664, 673, 679, 680, 682, 683, 684,
687, 689, 726, 730, 743, 749, 753
Sardelli, Giuseppe 303, 350, 382, 672
Sarfatti, Margherita 63
Sassoon, Donald 55, 178
Schiavetti, Ferdinando 364
Schirru, Michele 733
Scimecca, Pasquale 696
Scimula, Pasquale 169
Scoccimarro, Mauro 493, 495, 513, 539, 542,
556, 684
Scorza, Carlo 464
Secchia, Pietro 162, 163, 493, 684, 733
Senise, Carmine 465, 470, 474, 743
Serrati, Giacinto Menotti 20, 125, 134, 164,
179, 184, 187, 189, 190, 225, 231, 243, 244,
335, 385, 530, 678, 680, 681, 685, 720, 721,
722, 751
Servatius, Robert 580
Soffici, Ardengo 739
Sonnino, Sidney 53
Sonzini, Mario 169
Sorel, George Eugene 72, 93, 95, 753
Spadolini, Giovanni 8, 639, 682
Spinelli, Altiero 475, 675
Spinelli, Carlo 619
Stalin, Joseph 30, 182, 400, 674, 681, 686,
688, 727, 734, 742, 753
Standing, Guy 633, 634
Starace, Achille 738
Tasca, Angelo 116, 338, 407, 408, 410, 485,
719
Taylor, Frederik W. 50
Terracini, Umberto 163, 179, 187, 676, 685,
719, 722
Terruzzi, Attilio 206
Thaon di Revel 462
Tito, Josip Broz 742

767

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O
Tobagi, Walter 29, 552, 553, 665
Tomkins, Peter 532
Toniolo, Giuseppe 69
Toscanini, Arturo 733
Toselli, Pietro 703
Trentin, Bruno 20, 21, 30, 31, 162, 337, 381,
666
Trentin, Silvio 287, 428
Tresso, Pietro 410, 670
Treves, Claudio 19, 28, 48, 73, 74, 75, 76, 110,
111, 114, 115, 135, 136, 137, 138, 186, 187,
190, 208, 237, 238, 243, 244, 245, 246, 247,
253, 257, 258, 259, 260, 303, 316, 318, 320,
321, 343, 349, 355, 363, 364, 365, 366, 420,
459, 509, 530, 562, 683, 684, 685, 695, 698,
701, 705, 726, 730, 732, 735, 753
Trotsky, Lev 178, 182, 673, 688
Tupini, Umberto 657
Turati, Augusto 207
Turati, Filippo 13, 15, 19, 28, 45, 46, 48, 52,
55, 64, 72, 73, 74, 75, 76, 84, 86, 138, 155,
157, 161, 182, 184, 186, 187, 190, 191, 198,
201, 223, 224, 225, 226, 227, 228, 230, 231,
234, 237, 238, 242, 243, 244, 245, 248, 249,
258, 259, 260, 274, 278, 282, 303, 308, 316,
318, 320, 321,322, 335, 349, 351, 355, 364,
367, 368, 376, 408, 409, 410, 459, 507, 509,
529, 530, 535, 536, 538, 544, 562, 626, 627,
638, 659, 660, 662, 665, 675, 677, 678, 680,
681, 682, 683, 684, 685, 686, 690, 698, 699,
700, 701, 704, 705, 706, 710, 711, 712, 713,
717, 725, 726, 731, 732, 734, 753
Umberto I 51, 52, 529, 681, 686, 687, 705, 706
Umberto II 355, 687
Valera, Paolo 52, 111
Valiani, Leo 12, 184, 624, 641
Vandich, Raffaele 169
Vannini, Attilio 728
Vecchi, Eros 732
Verdi, Giuseppe 706
Verga, Giovanni 695, 696, 748
Verzi, Ernesto 83, 672, 706, 709
Viglianesi, Italo 554, 566, 629, 657, 667, 672
Villain, Raoul 42, 44, 53, 54
Villani, Ezio 301, 305, 306, 307, 417, 425,
426, 427, 462, 463, 637, 653, 732
Villari, Rosario 42, 44, 53, 54
Viola, Giuseppe 281

768

Visconti, Luchino 695


Volpi, Albino 281
von Bismarck, Otto 53, 699
von Ketteler, Wilhelm Emmanuel 68
von Hindenburg, Paul 734
von Vogelsag, Karl 68
Winkler, Heinrich August 108
Wolf, Virginia 696
Wronowski, Casimiro 613, 614
Zamboni, Anteo 212, 213, 293, 424, 730
Zamparo, Mario 532, 533, 607, 667
Zaniboni, Tito 729, 731
Zeretelli, Irakli 137
Zibordi, Giovanni 64, 65, 114
Zinoviev, Evseevic Grigorij 190,191,192, 673,
674, 675, 688
Zocca, Elvira 129
Zola, Emile 702
Zocchi, Fulvio 9, 96, 97, 100

CAPITOLO

769

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

Indice

4>

La nostra storia di Giorgio Benvenuto

27 >

Introduzione

34 >

La sua Italia
1.1 Quando nasce un bambino operaio p. 42
1.2 Nelle campagne crescono i capannoni p. 49

58 >

Gli anni milanesi


2.1 Timido, studioso e intraprendente p. 66
2.2 Le scomuniche di Turati e Treves p. 73

78 >

Alla guida dei metallurgici


3.1 La Fiom prima di lui in caduta libera p. 86
3.2 La prima sconfitta a Torino p. 90
3.3 Dalla riorganizzazione alla rivincita p. 97

102 >

Verso la guerra
4.1 Lanatema contro lo spontaneismo p. 110
4.2 In piazza per fermare il conflitto p. 116

122 >

Tra rivolte e pace


5.1 Le officine diventano caserme p. 130
5.2 Torino come Pietrogrado? p. 136

142 >

Loccupazione delle fabbriche


6.1 Sindacato al culmine del suo potere p. 150
6.2 La resa dei conti politica p. 155
6.3 La rivoluzione messa ai voti p. 161

174 >

Rivoluzione e polemiche

7.1 Le giravolte di Benito Mussolini p. 183


7.2 Lo scontro con Gramsci e lOrdine Nuovo p. 187

196 >

Al vertice confederale

8.1 Il corteggiamento fascista p. 205


8.2 Il trasferimento della CGdL in Francia p. 211

220 >

Sindacato e partito
9.1 Arriva la legge Acerbo p. 228
9.2 Mazzini e le polemiche parlamentari p. 232

770

INDICE

Turati, Treves, Matteotti, Saragat

< 240

p. 251 Lettere, confessioni, tradimenti 10.1


p. 256 Quei teneri rapporti familiari 10.2

Lantifascista

< 264

p. 272 I pieni poteri usateli sui fascisti 11.1


p. 279 Ora preparate il mio discorso funebre 11.2

Il no al duce

< 290

p. 299 Latto daccusa contro i traditori 12.1


p. 305 Carissimo Villani, Platone diceva... 12.2

Lautonomia sindacale

< 312

p. 320 Per unorganizzazione senza confini 13.1

Lunit sindacale

< 328

p. 337 Un obiettivo e un ideale 14.1

In esilio

< 346

p. 355 La tutela degli emigrati 15.1


p. 363 Il volo senza ritorno di De Bosis, la morte di Turati 15.2

Lattivit internazionale

< 372

p. 380 I rapporti con gli altri sindacati 16.1


p. 385 La guerra del Bureau 16.2

Laltra CGdL

< 394

p. 402 Un sindacato senza barriere religiose 17.1


p. 408 Quella lite tra Turati e Buozzi 17.2

Braccato e spiato

< 414

p. 422 Il sovversivo mite e tollerante 18.1


p. 427 Le spie che agivano nellombra 18.2

Rina, mia cara...

< 432

p. 440 In Austria sotto il naso dei carabinieri 19.1


p. 445 Turbamenti e paure di una moglie in attesa 19.2

Larresto, il ritorno

< 450

p. 459 Non ho abiure da fare 20.1


p. 467 Dal 25 luglio all8 settembre 20.2
p. 473 Rinascono le commissioni interne 20.3

771

B R U N O B U O Z Z I I L PA D R E D E L S I N D A C AT O

480 >

Lui e Di Vittorio

21.1 Lincontro in carcere davanti ai nazisti p. 490


21.2 Il ricordo, dieci anni dopo p. 497

502 >

Lui e Grandi

22.1 Il capo cattolico intervista Di Vittorio p. 510


22.2 Il sindacato e la svolta di Salerno p. 516

522 >

Lui e Nenni
23.1 Tra i due un rapporto dialettico p. 530
23.2 LItalia riscattata dal lavoro p. 538

548 >

Il Patto di Roma
24.1 Un sindacato aperto e plurale p. 557
24.2 Il nodo dei contratti erga omnes p. 563
24.3 La lotta accelera il negoziato p. 568

576 >

Lultima notte
25.1 Il mio compagno, Bruno Buozzi p. 584
25.2 La battaglia di Ornella, Iole e Gilles p. 591

600 >

Qualcuno trad?

26.1 Una storia di soldi e viaggi misteriosi p. 611


26.2 Tra delatori, spie e strani sacerdoti p. 615

622 >

Lui e noi
27.1 Nella societ della frammentazione p. 630
27.2 Da Roosevelt ai giorni nostri p. 634
27.3 Riformismo, marxismo e socialismo p. 642

646 >

Immagini di un leader

662 >

Personaggi e interpreti
I sindacalisti p. 665
I politici p. 672
Partigiani e generali p. 688

772

692 >

Le date, i fatti

748 >

Glossario

755 >

Bibliografia

762 >

Indice dei nomi

Antonio Maglie, giornalista, ha collaborato negli anni Ottanta


con lufficio stampa della Uil. Con Giorgio Benvenuto
ha scritto Il lavoratore ritrovato e Il divorzio di San Valentino.

Ringraziamo tutti coloro che hanno permesso la realizzazione di questo libro. Un


grazie speciale a Maria Angela Panno che si e occupata della redazione, a Carlo
Zeppieri per il prezioso con- tributo digitale e per i documenti e foto allarchivio
della Fondazione Allori a Umberto Cicconi e alla Fondazione Nenni.

Con la dichiarazione dei redditi, e possibile destinare il 5 per mille dellIRPEF


alla Fondazione Bruno Buozzi per contribuire al finanziamento delle sue attivita
di ricerca e di studio. E sufficiente mettere la propria firma, nellapposito riquadro,
indicando il nostro codice fiscale: 97290040589
Chi ha solo il CUD potra consegnare in posta il modello compilato nella parte recante lindicazione scelta per la destinazione del 5 per mille del- l IRPEF.
A chi volesse invece inviare contributi il bonifico deve essere effettuato a favore
della Fondazione Bruno Buozzi con la causale liberalita al seguente Iban: Iban:
IT52Q0623005065000043232627

FONDAZIONE BRUNO BUOZZI


via Sistina, 57 - 00187 Roma
tel. 066798547 fax 066798845
sito: www.fondazionebrunobuozzi.it
e-mail: fbb@fondazionebrunobuozzi.it
twitter: @FondBrunoBuozzi - twitter: @giorgiobenvenut

Potrebbero piacerti anche