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TROPPA SCELTA

DIFFICOLTÀ E FATICA DELL'ACQUISTARE

Gianpiero Lugli
ISBN: 9788838789656

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Damodaran, Valutazione delle aziende
Daft, Organizzazione aziendale, 4a edizione
De Baggis, World Wide We. Progettare la presenza online: le
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De Vito, Pietrobelli, Pugliese, Economia. Casi pratici e
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Elton, Gruber, Brown, Goetzmann, Teorie di portafoglio e
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Galeotti (a cura di), La finanza nel governo dell’azienda
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Giunta, Pisani, Il bilancio, 2a edizione
Hoffman, Bateson, Iasevoli, Marketing dei servizi
Kreitner, Kinicki, Comportamento organizzativo
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La Bella, Battistoni (a cura di), Economia e organizzazione
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Lieberman, Hall, Principi di economia, 2a edizione
Lieberman, Hall, Principi di microeconomia, 2a edizione
Lindstrom, Neuromarketing. Attività cerebrale e
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Luenberger, Finanza e investimenti. Fondamenti matematici
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Solomon, Stuart, Marketing
Waner, Costenoble, Strumenti quantitativi per la gestione
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Winer, Marketing management
Indice

Prefazione
Capitolo 1 Preferenze sociali e scelte individuali
1.1 I paradossi della scelta
1.2 Scelte di consumo e scelte di acquisto
1.3 Scelte d’acquisto
1.4 Le preferenze: una costruzione relazionale
1.5 L’euristica dell’imitazione
1.5 Il caso delle scelte alimentari: solo una questione di
gusto?
1.6 Qualche implicazione operativa
Capitolo 2 Conseguenze dell’estensione del campo di
scelta
2.1 Scelta, libertà e benessere
2.2 L’impatto psicologico di una scelta eccessiva
2.3 L’impatto economico di una scelta eccessiva
2.4 L’impatto relazionale di una scelta eccessiva
Capitolo 3 Determinanti dell’estensione del campo di
scelta
3.1 L’espansione della scelta declinata per formato di
punto vendita
3.2 Politica assortimentale ed eccesso di varietà
3.3 La possibile compensazione tra estensione e struttura
dell’assortimento
3.4 Euristica della scelta in un contesto assortimentale
esteso
Capitolo 4 Come scegliamo
4.1 Perfezionisti e minimalisti
4.2 Maschi e femmine
4.3 I bambini
4.4 Gli anziani
4.5 I volitivi
Capitolo 5 La gestione corrente dell’eccesso di varietà
5.1 “Razionalizzare” l’assortimento per ridurre la scelta
5.2 Reversibilità della scelta per vincere le resistenze
all’acquisto
5.3 Facilitare la scelta con il volantino promozionale
APPENDICE Le meccaniche per incentivare la
restituzione
a punto vendita del volantino
5.4 Soluzioni adottate nell’economia digitale per facilitare
la scelta
Capitolo 6 Le nuove frontiere di gestione dell’eccesso
di varietà
6.1 Creazione di filtri e di percorsi tecnologici per
navigare l’assortimento
6.2 Dissociare realtà e percezione per sostenere la
propensione all’acquisto
6.3 Soluzioni di merchandising per facilitare la lettura
dell’assortimento
e la scelta
6.4 Sfruttare la propensione a socializzare gli acquisti
imitando
le scelte altrui
6.5 Come utilizzare i social network per facilitare
l’acquisto
in un assortimento esteso
6.6 Verifica sperimentale della socializzazione degli
acquisti grocery
in un supermercato Migross di Verona
Appendice Soluzioni cognitive per fronteggiare, come
individui, l’eccesso di scelta
Bibliografia
Il libro si propone di analizzare un fenomeno che ha assunto
grande rilevanza in molti settori: l’espansione esponenziale
delle alternative di acquisto. In particolare, questo lavoro
enfatizza l’errore che si commette quando si attribuiscono
all’ampliamento della scelta connotati positivi di per sé. Le
espressioni utilizzate per qualificare la scelta dei prodotti da
acquistare sono numerose ma, accanto al piacere dello
shopping ed al coraggio di scegliere,1 gran parte dei nostri
acquisti richiedono fatica e il superamento di notevoli
difficoltà.
Il volume si inserisce nel solco tracciato dalla behavioural
economics in quanto, nell’economia tradizionale, il fenomeno
dell’eccesso di scelta non esiste per definizione. Secondo
l’economia neoclassica infatti, l’acquirente interrompe il
processo di valutazione delle diverse alternative quando
l’utilità marginale che si aspetta continuando la ricerca del
prodotto/servizio meglio in grado di rispondere alle sue
esigenze è inferiore all’utilità che ricaverà
dall’individuazione del prodotto più performante rispetto a
quelli già valutati. Sebbene sia controintuitivo affermare che
l’ampliamento del campo di scelta generi minor
soddisfazione nell’acquisto e nel consumo, le conoscenze
sviluppate dalla psicologia cognitiva e dalle neuroscienze ci
permettono oggi di comprendere come una cosa buona possa
diventare cattiva quando viene offerta in dosi eccessive. Vi
sono infatti limiti nella capacità elaborativa della mente
cognitiva di cui le aziende dovrebbero tener conto quando
impostano la loro strategia di marketing.
La soddisfazione che proviamo nell’acquisto e nel
consumo di un prodotto non è peraltro indipendente dal
contesto in cui lo abbiamo selezionato. La scelta implica
infatti sempre un costo di opportunità psicologico legato alle
alternative scartate. Siccome nessun prodotto è mai ottimale
in tutti i benefici ricercati dall’acquirente, la soddisfazione al
netto del costo di opportunità si riduce all’aumentare della
scelta. L’esperienza di acquisto sta inoltre diventando
sempre meno gratificante in quanto l’espansione della scelta
ha raggiunto livelli tali da provocare confusione, panico,
ansia, incertezza, paura di sbagliare per la crescita della
nostra responsabilità e, soprattutto, un aumento del costo di
opportunità psicologico generato dalle alternative scartate.
Vi è poi anche l’insoddisfazione psicologica nel consumo che
discende dal rammarico che proviamo quando ci viene il
dubbio di aver fatto la scelta sbagliata; anche il rammarico
cresce in funzione dell’estensione del campo di scelta.
A fronte dell’insoddisfazione generata con l’espansione
delle alternative di acquisto, la risposta più ovvia, ma meno
appropriata, sarebbe quella della cosiddetta
“razionalizzazione” degli assortimenti. Questa opzione,
infatti, ostacola l’innovazione e la differenziazione
industriale del prodotto alzando nuove barriere distributive
all’entrata, che si traducono in conseguenze negative per
l’insegna e per l’economia. Il libro, dunque, si propone di
individuare le possibili soluzioni per facilitare il processo di
acquisto dei prodotti di largo e generale consumo in un
contesto di progressivo ampliamento della scelta, che viene
considerato come derivato imprescindibile dell’economia di
mercato. Dimostreremo che l’eccesso di informazione e la
complessità della decisione di acquisto che ne consegue
possono essere gestite indirettamente, senza ridurre le
alternative, semplicemente intervenendo sulla
rappresentazione della scelta (choice architecture).
Esamineremo il comportamento di acquisto in un contesto
rappresentato da un progressivo eccesso di scelta, senza
approfondire per contro il tema del comportamento di
consumo. Tuttavia, siccome esiste un evidente rapporto tra
scelte di consumo e scelte di acquisto, solo comprendendo le
relazioni tra queste due facce del nostro comportamento è
possibile far avanzare la conoscenza del consumatore e
informare, di conseguenza, il marketing delle imprese. In
particolare, è importante sapere se:
› le scelte di consumo precedono le scelte di acquisto;
› i driver delle scelte di consumo sono gli stessi delle scelte
di acquisto;
› il peso dei driver delle scelte di consumo e di acquisto è lo
stesso;
› le scelte di consumo e di acquisto possono essere entrambe
assunte come target delle azioni marketing dalle imprese
industriali e commerciali.
Per illustrare i meccanismi sottesi alla nascita delle
preferenze e individuare le relazioni tra scelte di consumo e
scelte di acquisto, ho chiesto a Maura Franchi, una collega
che si occupa di sociologia dei consumi presso l’Università di
Parma, di contribuire a questo lavoro. Il primo capitolo, a
sua cura, ripercorre alcuni temi chiave trattati dalle teorie
culturali sui comportamenti di consumo per argomentare
come le preferenze siano l’esito di una costruzione sociale in
cui le relazioni hanno un ruolo importante. “Il valore che
assegniamo ai beni scaturisce dalla condivisione sociale di
significati, si costruisce in un contesto relazionale,
nell’intersezione tra desideri individuali e significati sociali
condivisi”.
Nel secondo capitolo iniziamo l’analisi del comportamento
di acquisto in un contesto di progressiva estensione del
campo di scelta, distinguendo in particolare l’impatto
psicologico da quello economico e relazionale. Le
conseguenze negative dell’eccesso di varietà sono infatti
ampie e interessano diverse prospettive analitiche che
convergono nell’evidenziare un calo della nostra
soddisfazione quando il processo di acquisto si complica.
Posto che il comportamento dell’uomo si adatta
all’ambiente in cui si trova, nel terzo capitolo evidenziamo la
differenziazione dello sforzo cerebrale richiesto dall’acquisto
a seconda del formato di punto vendita. In particolare,
cercheremo di comprendere il rapporto tra le euristiche di
acquisto e l’ambiente espresso dal formato di punto vendita.
Maggiore è la complessità dell’ambiente in relazione alla
dimensione del punto vendita ed al numero delle alternative
offerte per categoria di acquisto, più complesso sarà di
conseguenza il comportamento del consumatore che non può
permettersi di gestire la difficoltà della scelta semplicemente
allungando il tempo della spesa. Nel terzo capitolo
cercheremo inoltre di identificare le dimensioni dell’eccesso
di scelta e di qualificare il significato di questo eccesso
indicando la soddisfazione nell’acquisto come differenza tra
benefici e costi della scelta e richiamando, di conseguenza,
la letteratura che sostiene che i costi crescono più dei
benefici all’aumentare della scelta. In particolare,
sosterremo che l’origine dell’eccesso di scelta deve essere
ricercato al di fuori della competizione tra insegne e
inquadrato nel contesto dell’innovazione industriale.
Dimostreremo che la soddisfazione dell’acquirente è legata
anche al contesto e non solo alla presenza del prodotto che
risponde puntualmente alle sue esigenze; selezionare il
prodotto preferito in un assortimento molto esteso non
equivale a selezionare il prodotto preferito in un
assortimento composto da poche alternative.
Infine, nel terzo capitolo svilupperemo anche una
riflessione sulla possibilità che gli effetti negativi
dell’estensione dell’assortimento possano essere in qualche
misura compensati equilibrando la struttura
dell’assortimento, vale a dire agendo sulla entropia e sulla
densità dell’offerta.
Nel quarto capitolo, esamineremo l’impatto che
l’estensione del campo di scelta può avere su diversi
segmenti di domanda. Alcune insegne hanno cercato di
orientare la razionalizzazione dell’assortimento facendosi
guidare, oltre che dalla bassa rotazione, anche dal profilo dei
loro clienti; Tesco e Kroger sono i casi più citati. È ovvio che
se un prodotto ha una bassa rotazione, ma viene acquistato
dai clienti alto spendenti e più fedeli, occorre pensarci bene
prima di eliminarlo. La segmentazione della clientela ci può
aiutare dunque a decidere quali prodotti è possibile
eliminare senza compromettere la vendita di altri prodotti,
ma è utile anche per comprendere il profilo dei consumatori
maggiormente colpiti dal fenomeno dell’overchoice. Una
volta individuato il profilo e la consistenza del segmento di
consumatori più portati a rinviare l’acquisto o a rinunciare
alla spesa nel caso di un campo di scelta troppo esteso, sarà
anche possibile selezionare con maggior efficacia le soluzioni
più idonee a facilitare la lettura dell’assortimento.
Nel quinto capitolo presenteremo una rassegna delle
possibili soluzioni per fronteggiare l’eccesso di scelta nei
diversi contesti. Per quanto riguarda il contesto fisico,
sosterremo la tesi che la cosiddetta razionalizzazione
dell’assortimento non si è posta come obiettivo la
facilitazione del processo di acquisto, bensì la crescita in
quota della marca commerciale; inoltre, documenteremo che
i primi tentativi di razionalizzazione dell’assortimento non
hanno dato buoni risultati sia in Italia che negli altri paesi.
Nel caso invece del contesto digitale, le soluzioni offerte per
gestire l’eccesso di informazione sono numerose ed i risultati
sono molto incoraggianti; l’estensione dell’offerta non ha
infatti complicato il processo di acquisto online e si è
tradotta in un aumento delle vendite di categoria.
Evidenzieremo dunque come i venditori online vincano la
resistenza all’acquisto del consumatore riducendo la sua
paura di sbagliare ed il rammarico; d’altra parte, è lo stesso
consumatore che, socializzando l’acquisto online, finisce per
ridurre i freni cognitivi alla spesa. La propensione del
consumatore a socializzare gli acquisti e a collaborare con il
venditore nelle diverse fasi del processo di acquisto,
rappresentano risorse da sfruttare per sostenere il sell out
nel contesto digitale. L’estensione profittevole
dell’assortimento, dunque, ha un potenziale molto diverso
nei formati online e offline. Se si vuole aumentare la capacità
di sostenere le vendite estendendo gli assortimenti fisici,
occorre trovare il modo di applicare alcune soluzioni
tecnologiche del commercio online al commercio offline
avvicinando, così, il comportamento di acquisto nei due
contesti.
Sempre nel quinto capitolo, dimostreremo che la gestione
dell’eccesso di varietà può essere utilmente affrontata sul
piano tecnologico modificando le componenti della catena
del valore distributivo: il contesto, il contenuto e
l’infrastruttura. Per quanto riguarda in particolare il
contenuto della catena distributiva del valore, si dimostrerà
che, per contrastare il disincentivo all’acquisto che discende
dall’eccesso di scelta, si può agire sul costo psicologico della
scelta rendendo reversibile la decisione. Vedremo poi che,
analogamente alla reversibilità della scelta, si può adottare
la strategia di garantire la convenienza; se il consumatore
può dimostrare che un prodotto è più conveniente come
prezzo a scaffale in un’altra insegna, gli viene rimborsata la
differenza. Anche in quest’ultimo caso, il venditore agisce sul
costo psicologico della scelta facilitando il trade off sulla
convenienza delle diverse insegne.
Infine, sempre nel quinto capitolo, vedremo che le
circostanze che hanno portato ad una eccessiva estensione
dell’assortimento sono le stesse che hanno generato un
aumento delle pagine del volantino. Con l’estensione
dell’assortimento di categoria aumentano infatti le
opportunità di contributi promozionali dell’industria e,
dunque, le pagine del volantino. Posto che l’industria offre
contributi promozionali per le marche/referenze che soffrono
rispetto ai propri obiettivi di vendita, sosterremo che
l’aumento delle pagine del volantino non è contrassegnato
da un aumento della sua capacità di crear traffico al punto
vendita. Anche da un punto di vista psicologico e
neurologico, l’aumento delle pagine del volantino non è
contrassegnato da un aumento della sua efficacia. Infatti, la
mente cognitiva dell’acquirente ha una limitata capacità di
elaborazione della convenienza promozionale offerta col
volantino da diverse insegne che operano in sovrapposizione
spaziale e rappresentano quindi possibili alternative. Quando
il numero di pagine del volantino è maggiore di trenta, come
si verifica in alcuni paesi e in alcune insegne, il volantino
diventa una sorta di catalogo la cui missione di marketing
consiste nel facilitare il consumatore nella compilazione di
una lista della spesa con riferimento all’insegna abituale. In
questo caso, il volantino diventa uno strumento offerto
all’acquirente fedele per agevolare la compilazione della
lista della spesa superando il disservizio dell’eccessiva
estensione dell’assortimento. L’evoluzione del volantino da
strumento promozionale a catalogo volto a facilitare la spesa
non è riconducibile solo all’aumento delle pagine, ma anche
alla distribuzione del volantino all’entrata del punto vendita,
in modo da consentire ai clienti di utilizzarlo come lista della
spesa; anche l’aumento del numero di prodotti per pagina e
l’assenza di frame dello sconto sono indicatori eloquenti
della minor valenza promozionale del volantino e della sua
trasformazione in catalogo.
Nel sesto capitolo svilupperemo nuovi approcci per
contrastare gli effetti dell’eccesso di varietà.
Per affrontare il tema dell’eccesso di varietà sul piano
normativo, distingueremo per prima cosa il choice overload
dall’information overload. Un assortimento esteso, ma ben
organizzato sul piano espositivo, facilita il processo di
acquisto; di conseguenza, è possibile espandere il campo di
scelta contenendo gli effetti negativi sul piano informativo
attraverso la manovra delle leve del merchandising.
Dimostreremo che, per contrastare l’impatto negativo che
l’eccesso di scelta può avere sull’acquisto, occorre cambiare
la prospettiva del merchandising: da set di leve manovrate
per influenzare il comportamento di acquisto secondo la
convenienza dell’insegna a soluzioni per agevolare il
processo di acquisto. Si tratta in altri termini del passaggio
dal condizionamento stigmatizzato nel modello “Autogrill”,
dove l’acquirente è costretto ad un percorso obbligato, oltre
alla permanenza in punto vendita più del desiderato, ad un
approccio basato sulla flessibilità nei tempi di fruizione e
sulla libertà nel percorso di shopping.
Nel sesto capitolo, inoltre, verranno rivisitati gran parte
degli assunti del merchandising tradizionale. L’idea che si
possano convenientemente aumentare gli acquisti d’impulso
con soluzioni di merchandising che si traducono in un
allungamento della permanenza del consumatore nel punto
vendita e in un aumento della superficie visitata è infatti
improponibile in un contesto caratterizzato dall’eccesso di
scelta. Proporremo dunque che il merchandiser modifichi il
suo ruolo: da gestore dello spazio espositivo per
massimizzare il ROI nel breve periodo ad “architetto della
scelta” con la responsabilità di organizzare il contesto per
facilitare l’acquisto e soddisfare così il cliente in una
prospettiva di lungo periodo. Il consumatore apprende infatti
emotivamente ogni volta che fa la spesa ed i suoi acquisti
sono in gran parte automatici; la mente cognitiva viene
infatti attivata più per la scelta del punto vendita che per la
scelta dei prodotti da inserire nel carrello della spesa.
Dunque, il punto vendita può essere immaginato come il
contesto in cui il consumatore apprende, mentre le leve del
merchandising possono essere interpretate come gli
strumenti di questo apprendimento. L’esperienza di acquisto
permette al consumatore di memorizzare informazioni di cui
non ha ricordo, che orienteranno la successiva scelta.
Dimostreremo, infine, che gli effetti negativi dell’eccesso
di scelta possono essere bilanciati, oltre che con una
rivisitazione della cultura di merchandising, anche
proponendo le alternative in modo asimmetrico, vale a dire
con una etichetta a scaffale che specifica il numero di
acquirenti o le vendite del prodotto e, quindi, realizzando
una sorta di ranking delle preferenze rivelate. Le decisioni di
acquisto non vengono infatti assunte solo pensando al
consumo del bene e, quindi, simulando nella nostra mente la
soddisfazione che proveremo. Al contrario, quando
decidiamo di assumere un determinato comportamento di
acquisto, teniamo conto anche delle scelte effettuate dagli
altri. Dunque, se veniamo a conoscenza delle decisioni di
acquisto altrui, questa conoscenza influenza in maniera
rilevante il nostro comportamento di acquisto. L’imitazione
del comportamento degli altri è riconducibile all’euristica del
riconoscimento: possiamo ridurre il tempo impiegato
nell’analisi delle alternative e contenere l’ansia della scelta
decidendo di imitare il comportamento della maggioranza
degli acquirenti o delle persone che consideriamo nostri
referenti in termini di fiducia o di appartenenza ad un
gruppo sociale.
Per verificare la consistenza della nostra propensione ad
acquistare per imitazione e analizzare quindi la possibilità di
sfruttare questa circostanza attraverso la comunicazione in
store, abbiamo realizzato un esperimento di socializzazione
degli acquisti grocery in un supermercato Migross di
Verona. In particolare, la ricerca si proponeva di verificare la
consistenza e la significatività della variazione della quota
del prodotto presentato come il più venduto.
L’esperimento è stato proposto sottolineando che la sua
utilità non era limitata al piano scientifico e accademico.
Infatti, in caso di conferma della presenza di una rilevante
propensione alla socializzazione degli acquisti, l’insegna
avrebbe potuto da un lato aiutare il consumatore a navigare
assortimenti di categoria molto estesi e, dall’altro, proporre
all’industria il ranking di marca come una nuova forma di
promozione delle vendite che prescinde dall’abbattimento
del prezzo.
In appendice concludiamo con la proposta di alcune
soluzioni cognitive per fronteggiare, come individui,
l’eccesso di scelta. Posto che, nelle economie occidentali, la
scelta che sperimentiamo ogni giorno è sempre meno un
privilegio e sempre più un onere, abbiamo ritenuto utile
concludere questo lavoro con l’individuazione delle possibili
scorciatoie mentali che ciascuno di noi può sviluppare per
fronteggiare l’eccesso di scelta. Sostanzialmente, si possono
immaginare due strategie. Si tratta, da un lato, di riflettere
prima di iniziare il processo di acquisto su ciò che realmente
desideriamo, per utilizzare poi uno dei filtri offerti dal
venditore o da intermediari autonomi e, dall’altro, imporre
limiti alla nostra libertà di scelta al fine di velocizzare
l’acquisto e migliorare la nostra soddisfazione di acquirenti e
consumatori.
Gianpiero Lugli
Dipartimento di Economia dell’Università di Parma
1 Savater F. (2006), Il coraggio di scegliere, Roma-Bari, Laterza.
Preferenze sociali
e scelte individuali
Maura Franchi

1.1 I paradossi della scelta


Abitiamo un tempo in cui aumentano, insieme, la libertà e
l’ampiezza delle alternative di scelta. Non rinunciamo a
scegliere e nello stesso tempo cerchiamo di mantenere
aperto il più gran numero di opzioni possibili. La questione
della scelta oscilla tra due polarità: l’attrazione per
l’abbondanza e l’incertezza derivata dalla stessa. L’eccesso
di scelta ci sottopone al rischio dell’errore e del rammarico,
induce fatica: come l’eccesso di dati riempie le memorie dei
nostri dispositivi elettronici rallentando l’elaborazione delle
informazioni, così l’eccesso di scelta appesantisce il
confronto tra le alternative e la ricerca della soluzione
ottimale.
Viviamo nell’era del cosiddetto paradosso della scelta:
preferiamo avere il maggiore numero possibile di opzioni,
perché ciò esalta e appaga il nostro sentimento di libertà e la
nostra convinzione di poter decidere cosa fa al nostro caso,
ma nel contempo l’eccesso di opzioni ci espone a dubbi e
conflitti.
L’idea della disfunzionalità dell’eccesso di alternative si è
articolata in una ricca letteratura (Schwartz, 2004, Iyengar,
2010 ecc.). In tempi di crisi economica e di risorse
decrescenti l’attrazione per l’abbondanza produce ulteriori
tensioni, introducendo vincoli più rigidi e imponendo
strategie di adattamento psicologicamente più gravose.
D’altra parte, la domanda circa i modi in cui le scelte
possono essere influenzate rappresenta una questione
chiave del marketing, sia in relazione all’aumento della
quantità di beni offerti sul mercato, sia in relazione alla loro
differenziazione e alla possibilità di indirizzare le preferenze
verso l’uno o l’altro prodotto.
Il contesto dell’eccesso della scelta non rappresenta
semplicemente lo scenario in cui il consumo oggi si svolge,
ma introduce uno sguardo diverso sul tema, obbligandoci a
fare i conti con i limiti della nostra razionalità. È questo il
filone di contributi che ha maggiormente interessato l’analisi
delle scelte di acquisto, mettendo in luce una serie di fattori
condizionanti e di trappole mentali: l’attrazione della
gratuità, l’importanza del frame, il vantaggio emotivo di
pagare con la carta di credito, il diverso valore attribuito a
sconti in percentuale o in valori assoluti, il meccanismo degli
sconti e così via (Slovic, Tversky, 1982).
Una serie ricca di contributi si è concentrata sui fattori di
influenza che intervengono nel momento in cui un
consumatore davanti allo scaffale di un supermercato, si
trova a decidere quale prodotto corrisponda meglio alle sue
esigenze. È evidente che un calcolo dei costi benefici delle
diverse alternative è impossibile, sia per i limitati della
nostra capacità di elaborazione (la working memory riesce a
processare circa sette informazioni per volta), sia per le
trappole che ci tende la nostra mente cognitiva inducendoci
ad apprezzare alcuni elementi simbolici (brand, nome, logo,
confezione, colore, ecc.) che hanno la capacità di sviluppare
investimenti più forti verso quel determinato prodotto, al di
là dei suoi attributi materiali. Sappiamo, anzi, che il ricorso a
scorciatoie (euristiche) come la marca, il prezzo, l’abitudine
è l’unica ancora di salvezza per poter effettuare in modo
ragionevole (vale a dire senza un eccessivo dispendio di
tempo) un acquisto (Gigerenzer, 2007). I marcatori somatici
agiscono, per contro, sul sistema limbico per svolgere lo
stesso compito (Damasio, 1994): indicarci velocemente la
scelta “giusta”, per poter indirizzare le nostre energie verso
altre scelte più impegnative di quelle abituali.1
Ma potremmo chiederci: in che misura, al momento
dell’acquisto, le nostre scelte sono già state orientate?
Ovviamente sappiamo che una serie di elementi di influenza
contribuiscono a indirizzare le nostre scelte: i messaggi
veicolati dalla pubblicità, il passaparola, le precedenti
esperienze di consumo, i valori e i sentimenti diffusi nel
contesto sociale in cui siamo inseriti. In sostanza, le nostre
scelte sono impregnate di cultura e di valori; in altri termini,
in esse intervengono variabili che non riguardano la sfera
economica e neppure solo la sfera psicologica e le peculiari
caratteristiche di ogni individuo, ma l’insieme di sentimenti e
rappresentazioni sociali che contribuiscono a dare valore a
ciò che consumiamo.
Su questa considerazione si innesta il secondo, ma ancora
più pregnante paradosso della scelta, che non è soltanto
legato alla disfunzionalità implicita nell’eccesso delle
alternative, quanto alla natura stessa delle preferenze.
Consideriamo i nostri gusti qualcosa di irriducibilmente
personale, ma nel contempo dobbiamo ammettere che essi
sono l’esito di una serie di influenze complesse che possiamo
ricondurre alla cultura e al tempo in cui siamo immersi.
Questa questione ci obbliga a fare i conti con un’altra
dimensione del problema della scelta di consumo: la
costruzione delle preferenze, anzi il carattere relazionale e
sociale delle preferenze stesse. L’idea che alla base della
scelta si collochino solo semplici preferenze individuali
appare insufficiente a spiegare le dinamiche delle scelte di
consumo, tanto più in una società esposta a rilevanti
influenze mediatiche e immersa nelle reti di comunicazione.
D’altra parte, un’ulteriore considerazione complica il
problema della scelta e rafforza l’idea che le preferenze non
siano la semplice valutazione sensoriale dei prodotti: la
nostra capacità di discernere e riconoscere i gusti che
riteniamo di apprezzare. Una serie consolidata di ricerche
sviluppate nell’ambito della psicologia cognitiva e di recente
riprese e rivisitate dalle neuroscienze sembra indicare che
pur dichiarandoci estimatori di determinati prodotti, non
sappiamo riconoscerli. Ciò vale per i vini (Morrot et al.,
2001), le marmellate (Hoyer, Brown, 1990), bevande come la
Coca Cola e la Pepsi (McClure et al., 2004). Non solo non
sappiamo distinguere i gusti neppure dopo averli dichiarati
migliori, ma la marca è in grado di agire persino
nell’influenzare gli effetti di certi prodotti. È uno dei tanti
casi di irrazionalità che intersecano la vita quotidiana.
Persino le prestazioni di studenti sottoposti a un test dopo
avere assunto bevande energetiche possono essere meno
brillanti se gli studenti ritengono di avere assunto bevande
di minore prezzo (Dan Ariely, 2010). Del resto esperti
violinisti non sono in grado di riconoscere uno Stradivari
originale e di distinguerlo da un violino moderno come
risulta da un recente blind test compiuto su violinisti
professionisti (Fritz et al., 2012).
Non siamo neppure completamente coscienti delle ragioni
per cui compiamo una certa scelta, la nostra memoria per
esempio non è perfetta, ma sempre soggetta a un processo
di manipolazione (Lehrer, 2009).
Non ci resta, dunque, che accettare il fatto che le nostre
preferenze dipendono dalle rappresentazioni che ci
formiamo e ammettere che i nostri gusti personali non sono
che interpretazioni, socialmente condizionate, del valore
attribuito ai beni che dichiariamo di apprezzare. Dal punto
del marketing ciò ridimensiona l’enfasi sulla dimensione
esperienziale delle scelte, mentre rafforza ulteriormente
l’attenzione ai processi sociali attraverso i quali i beni
assumono valore, sollecitando maggiore attenzione a tutto
ciò che plasma il contesto culturale del mercato.
Si può concludere, quindi, che la scelta fronteggia un
ulteriore paradosso, altrettanto denso di implicazioni di
quello dell’eccesso, ampiamente analizzato: il paradosso
delle preferenze. Le preferenze, per lo più considerate una
chiara espressione di gusti individuali, sono invece l’esito di
processi sociali e relazionali, a tal punto che ciò che
preferiamo può non essere riconosciuto, allorché viene meno
l’etichetta che lo identifica.

1.2 Scelte di consumo e scelte di acquisto


Possiamo considerare le scelte di consumo e le scelte di
acquisto solo due differenti fasi di un unico processo che ha
qualche punto di contatto, oppure i due termini alludono a
due sguardi diversi sul processo di consumo? Queste fasi e le
determinanti che le influenzano sono destinate a restare
distinte o, al contrario, è possibile immaginare che stiamo
andando verso una convergenza dei fattori che influenzano
le scelte di consumo e le decisioni d’acquisto?
Per rispondere a queste domande è necessario fare
qualche considerazione sulle scelte di consumo: si tratta di
un’espressione che, sia pure intuitivamente chiara, è assai
meno semplice da definire di quanto possa apparire.
Ogni ambito della vita si lega a scelte di consumo: in ogni
momento utilizziamo qualcosa che abbiamo acquistato,
pensiamo a un oggetto che ci piacerebbe avere, mettiamo in
programma di comprare questo o l’altro bene. Il consumo
attraversa la nostra vita, tanto da esserne lo sfondo naturale.
Proprio a partire dall’intreccio tra consumo, vita quotidiana
e identità, la letteratura sociologica si è dedicata ad
analizzare il consumo nel suo significato culturale,
allargando l’attenzione ai significati simbolici e valoriali del
consumare, individuabili ben oltre il piano economico
dell’utilità. Ogni scelta presuppone la ricerca di una risposta
a un bisogno di gratificazione, anche se tale bisogno può non
essere sempre consapevole, né completamente coincidente
con l’oggetto esplicito del desiderio. Per esempio, la scelta di
frequentare un ristorante di buona qualità, fondata sul
desiderio esplicito di gustare una buona cena, può
accompagnarsi al desiderio non dichiarato di essere
riconosciuti come parte di un gruppo socialmente
apprezzato. Possiamo definire le scelte di consumo come
catene di desideri, a cui diamo una veste razionale
verbalizzandoli. Le scelte implicano, in ogni caso, una
valutazione delle diverse alternative: mentre una decisione è
un atto che sanziona una scelta avvenuta, escludendo le
altre alternative. Anche questa distinzione terminologica
rinvia a una distinzione tra scelte di consumo (che
appartengono per natura all’area delle preferenze) e
decisioni di acquisto (che sanciscono l’esito di un processo di
scelta).
Una gran mole di elaborazioni ha costruito nel corso di un
secolo un corpus di teorie culturali sul consumo che hanno
un comune denominatore nel considerare il consumo ben più
che un semplice mezzo usato dalle persone per soddisfare i
bisogni quotidiani (Appadurai, 1986, Belk, Wollendorf e
Scherry, 1991, Arnould e Thompson, 2005).
Nonostante l’analogia terminologica, le ricerche sui
comportamenti di consumo propongono paradigmi assai
diversi. Per esempio, nell’approccio beahviorista, di matrice
psicologica, resta al centro l’individuo, con le proprie
motivazioni, percezioni, mentre le dimensioni sociali restano
lo sfondo che influenza i comportamenti individuali.2 In
questo contesto, il termine comportamento allude all’idea
che possa essere isolato un individuo in una funzione –
quella del consumare – come se l’individuo non fosse sempre
un intero in ogni ruolo ricoperto, in ogni atto e gesto in cui si
svolge la sua vita quotidiana.
Al contrario, in una chiave sociologica, il termine
“comportamenti di consumo” allude all’insieme di
orientamenti, aspirazioni, valori che si traducono
nell’orizzonte di desiderabilità di un bene o dell’altro. I
consumi riflettono i cambiamenti nei processi e luoghi in cui
l’identità si costruisce. Mentre nel passato l’identità era
determinata da un insieme di circostanze, come la
professione, la classe sociale, l’appartenenza religiosa, da
qualche decennio l’identità si lega alle scelte di consumo.
Così, come un individuo è ciò che mangia, più in generale, è
ciò che consuma: libri, musica, film, e una molteplicità di
altri oggetti materiali (McCracken, 1988). Partendo da una
tale premessa, l’interpretazione delle scelte di consumo
presuppone l’interpretazione dei significati attribuiti dagli
individui ai diversi beni nella loro vita quotidiana. Non a caso
i cambiamenti nei consumi sono considerati l’espressione
emergente di cambiamenti più profondi che caratterizzano
l’epoca definita postmoderna (Featherstone, 1991, Fabris,
2003).
Denominatore comune delle ricerche di matrice
sociologica e antropologica è l’enfasi sulla complessità dei
fattori culturali che improntano i comportamenti di consumo
e sul loro nesso con l’identità degli individui e dei gruppi
sociali. I beni, in questa chiave, sono in un certo senso
“materiali” con cui gli individui costruiscono i propri progetti
di vita, la propria posizione nel mondo e la propria identità. I
beni diventano parte delle strategie con cui il consumatore
definisce la sua identità e la sua posizione sociale (Douglas,
Isherwood, 1979, Appadurai, 1986, De Certeau, 1980).
L’approccio semiotico ha ulteriormente arricchito l’analisi
ponendo l’accento sulla comprensione simbolica e
comunicativa degli oggetti (Baudrillard, 1968, 1970). Così si
avvia lo studio degli aspetti visuali del messaggio (forme,
spazi, colori).
Non c’è prima il prodotto come tale dotato di alcune
qualità fattuali (gusto, colore, temperatura) e di alcune
funzioni specifiche (dissetare), dunque dei suoi valori
intrinseci, e dopo la sua semantizzazione, ovvero
l’eventuale attribuzione di senso quale belletto esteriore,
surplus di valore più o meno immaginario. (Marrone
2007, p. 55)
Lo sviluppo dei media ha contribuito a enfatizzare il
valore di un tale orizzonte interpretativo: basti pensare
all’analisi della marca e del suo sistema di significati. I
prodotti non si caratterizzano per i loro aspetti tangibili, per
le caratteristiche strutturali e per il loro valore d’uso, ma per
i significati simbolici e di comunicazione. Attraverso i
consumi si scambiano immagini, segni, messaggi e non
meramente prodotti. Così un prodotto può essere
desemantizzato e risemantizzato di continuo, perché il valore
di un bene travalica sempre quello funzionale, esprimendo
significati che permeano una certa epoca storica (Fabris,
2003). Il consumo appare, quindi, un agire sociale dotato di
senso, per richiamare un’espressione weberiana, e non solo
un mero confronto tra quantità e prezzi.
Lo studio sulle scelte di consumo, dunque, mette
l’accento sui significati dei consumi, sul loro intreccio con la
vita quotidiana, sulle abitudini a esse correlate. In questa
logica il consumo non riguarda solo il mercato, ma entra in
modo costitutivo nelle dinamiche sociali, negli stili di vita,
nei modelli valoriali e nella costruzione dell’identità. I
consumi sono un elemento base delle pratiche che regolano
la vita quotidiana, sono anche il luogo dell’autonomia dal
mercato, in cui gli individui utilizzano gli oggetti non solo in
termini funzionali, ma per costruire orizzonti di senso (De
Certeau, 1980, Appaduraj, 2000, Franchi, 2007).
Su questa linea interpretativa sono state interpretate le
diverse esperienze emergenti nell’area del consumo critico e
sono state coniate espressioni come “consumAttore” o
“consumAutore”, termini che indicano, appunto, il ruolo
attivo e interpretativo svolto dagli individui (Fabris, 2010). Si
consolida l’idea che i beni non siano solo gli status symbol di
cui parlava Veblen alla fine dell’ottocento, bensì mezzi
liberamente scelti e combinati per costruire e comunicare
identità. Assume una inedita centralità il riferimento
all’esperienza, termine su cui molti contributi hanno
richiamato l’attenzione, sottolineando una serie sempre più
ampia di attributi intangibili connessi al prodotto (Pine,
Gilmore, 1999).
Possiamo concludere che il riferimento alle scelte di
consumo rappresenta un orizzonte di comprensione
imprescindibile per il marketing strategico, che è chiamato a
cercare nuove strade per intercettare le trasformazioni
sociali e confrontarsi con un paradigma d’indagine più
ampio.

1.3 Scelte d’acquisto


Anche lo studio delle decisioni d’acquisto è andato
progressivamente caricandosi di valenze che sono andate
ben oltre la logica puramente strumentale della
soddisfazione di bisogni. Così i contesti di consumo sono
stati descritti come spazi di comunicazione e di
intrattenimento, densi di valenze ludiche e di stimoli
esperienziali, teatro di rappresentazioni sofisticate eseguite
su palcoscenici complessi (Codeluppi, 2000) e
spettacolarizzati come santuari (Rifkin, 2000). In particolare,
è stata posta l’enfasi sulle esperienze di acquisto, caricate di
emozioni, per effetto degli innumerevoli stimoli offerti
contestualmente ai prodotti servizi (Cova, 2003) e vissute
come occasioni volte a soddisfare bisogni personali ben più
ampi di quelli correlati ai beni.
Torniamo alla domanda da cui siamo partiti: che relazione
esiste tra scelte di consumo e scelte di acquisto?. In una
società che da tempo si posiziona oltre il bisogno e in cui,
quindi, non acquistiamo solo ciò che serve alla nostra
sopravvivenza quotidiana, sviluppiamo desideri ben prima
che le merci ci siano poste materialmente davanti agli
scaffali dei negozi. I nostri occhi sono impregnati di
immagini impresse, più o meno consapevolmente, nella
nostra memoria. Del resto, vi è una ragione in più per questa
“anticipazione del desiderio” di consumo: prima che i beni
diventino un nostro “progetto”, i modelli di consumo ci
vengono proposti dai media in termini di stili di vita.
I messaggi delle marche, inoltre, concorrono a caricare i
beni di valore facendo sì che questi assumano una
particolare salienza emozionale. La valutazione che il
consumatore fa delle diverse alternative, al momento
dell’acquisto, riflette la salienza assunta dai beni nel suo
immaginario, e la capacità degli stessi di rispondere a delle
immagini interiorizzate.
Nel momento in cui siamo in un contesto di acquisto,
abbiamo messo in memoria messaggi, modelli e valori.
Incontrando i beni nelle corsie e sugli scaffali, non
riconosciamo solo marche e prodotti, ma “modelli di
utilizzabilità”. Si tratta di una utilizzabilità che non si
riferisce solo alla dimensione funzionale e dell’uso, ma che
investe i riferimenti simbolici (Semprini, 2003).
Così l’euristica del riconoscimento dei prodotti3 è al
tempo stesso riconoscimento di molto di più che di semplici
beni: insieme a questi vengono riconosciuti comportamenti
di successo, relazioni gratificanti, modelli di vita e così via. Il
desiderio mimetico descritto da Girard (1999) esprime
proprio questo desiderio di raggiungere, attraverso il
possesso di un bene, la felicità a esso associata. Si può
quindi affermare che le scelte di acquisto trasformano un
insieme di preferenze e di attese di felicità in scelte di beni
“coerenti” con le attese stesse. È il valore che attribuiamo ai
beni il fattore decisivo per la loro desiderabilità. Questo
valore si forma nei contesti sociali e chiama in causa
l’identità come esito di processi relazionali e culturali e non
solo come tratto psicologico individuale.
La tipologia dei beni costituisce, ovviamente, una
variabile decisiva nel distinguere le esperienze di acquisto e
le determinanti che le sostengono, l’investimento di tempo
nella scelta, l’accuratezza nella ricerca di informazione e il
grado di gratificazione correlato all’acquisto. Senza dubbio i
beni di largo consumo appartengono al regno del bisogno e,
in parte più o meno rilevante, sono correlati ad abitudini e a
routine. Le abitudini sono un fondamentale meccanismo di
sopravvivenza in quanto ci permettono di svolgere una serie
di compiti e incombenze, tra cui la spesa, senza pensare
troppo. (Duhigg, 2012). Nel corso delle esperienze
sviluppiamo una serie di risposte condizionate che ci portano
a reagire in modo automatico nelle più diverse situazioni.
Così quando passiamo con il carrello davanti agli scaffali di
un supermercato mettiamo per lo più il pilota automatico. E
possibile per questo, elaborare vere e proprie mappe relative
ai percorsi seguiti nei supermercati per capire come e
quando un cliente decide di procedere all’acquisto e
studiare, per esempio, la posizione migliore di un prodotto
sullo scaffale.4
Per i beni di largo consumo, le abitudini sono un aspetto
rilevante, come lo sono la disponibilità dei beni, gli stimoli
offerti dal punto vendita, la convenienza sostenuta dalle
incentivazioni. Al contrario, negli acquisti legati a
consumidesideri, la rarità può incrementare il desiderio
stesso, stimolando la ricerca e la gratificazione connessa a
un esito positivo. In entrambi i casi entrano i gioco
atteggiamenti personali, come il grado di apertura al
cambiamento, la resistenza o l’attrazione per l’innovazione,
il piacere dell’esplorazione o la tendenza alla ripetizione.
Possiamo immaginare che nelle scelte di consumo tali
attitudini identifichino già precise tipologie di beni (per
esempio, nell’alimentare, l’attitudine all’esplorazione
distinguerà la ricerca di prodotti etnici o di attualità
culturale piuttosto che di prodotti tradizionali o locali). Ma
anche nell’acquisto le stesse variabili entrano in gioco in
relazione a fattori legati al cambiamento del packaging, al
gradimento dell’immagine utilizzata, ecc. Per restare ancora
nel campo del food, diversi orientamenti valoriali dei
consumatori potranno tradursi per un maggiore o minore
apprezzamento per un packaging che ricorda il passato o per
uno connotato da elementi innovativi. Così, la sorpresa e il
cambiamento sono per alcuni fattori altrettanto importanti di
quanto lo siano l’abitudine e la fiducia per altri.
È ipotizzabile che, quanto più ci si avvicina all’acquisto,
tanto più incidano anche influenze legate agli stimoli
contingenti (messaggi emozionali, cognitivi, sensoriali
proposti dal punto vendita). Al contrario, quanto più si resta
sull’apprezzamento della desiderabilità sociale dei beni,
tanto più agiranno influenze meno contingenti, di carattere
culturale. Ovviamente tra le due dimensioni non esiste
soluzioni di continuità. Possiamo ipotizzare, per esempio,
che il prezzo abbia un’influenza più forte al momento
dell’acquisto e, per questo, che le offerte, le promozioni e i
volantini, possano esercitare una più forte influenza nel
punto vendita. Ma il prezzo interviene anche in precedenza,
in modo ambivalente. Un prezzo alto contribuisce a rendere i
beni più desiderabili, tuttavia un prezzo molto più alto di
quello che potremmo consentirci agisce nel tenerci lontano
dai punti vendita e dai beni che appaiono fuori portata e che,
per questo, potrebbero indurre frustrazioni piuttosto che
gratificazioni. Al momento dell’acquisto, un prezzo basso può
rappresentare un fattore di gratificazione, inducendo
l’impressione di avere fatto un buon affare. È il meccanismo
di autocongratulazione, assimilabile al piacere di terminare
uno schema di parole crociate o un puzzle, di cui abbiamo
bisogno per rassicurarci che abbiamo agito per il meglio, per
allontanare i dubbi di errori e per chiudere la dissonanza
cognitiva.
Per lo più gli individui si fanno un’idea di ciò che è
desiderabile, in relazione a una pluralità di fattori e lo
traducono secondo i vincoli a cui sono sottoposti (in primo
luogo i vincoli economici, ma non solo, il tempo nel cibo, la
praticità in diversi prodotti domestici, ecc.). In sostanza si
può ipotizzare che le scelte di consumo, pure essendo
influenzate da variabili socio-economiche, lascino spazi di
interpretazione individuali. All'interno dei propri vincoli
ciascun individuo sceglie secondo le proprie aspirazioni e le
proprie regole di condotta, le proprie visioni del mondo e i
sistemi di relazione nei quali è inserito. Questo è
particolarmente vero per le scelte alimentari, come
cercheremo di esemplificare più avanti.
La questione di fondo è che le scelte di consumo
appartengono al mondo delle preferenze e sono sottoposte a
una serie svariata di sollecitazioni, mentre le scelte di
acquisto prendono corpo in un contesto locale, sottoposto a
incentivazioni e a propri specifici strumenti di influenza.5 Un
contesto locale che, tuttavia, si potrebbe dire con una
metafora, resta aperto alle influenze globali.

1.4 Le preferenze: una costruzione relazionale


Torniamo ora al tema delle preferenze, che possiamo
definire come i criteri su cui le scelte di consumo prendono
forma. Se resta vera una verità consolidata, che “il valore
delle cose dipende dalla valutazione che ne dà il soggetto”
(Simmel, 1907), tuttavia, tale valore è plasmato dal contesto
sociale ed è una costruzione che intreccia – di continuo e
inscindibilmente – dimensione materiale e dimensione
simbolica. Le nostre preferenze sono influenzate dalla
cultura e dal sistema di valori di una società e, come per
ogni altra norma, sono l’esito di una costruzione sociale
(Berger e Luckman, 1967). Senza categorie di giudizio e
criteri della scelta, nessuna scelta è possibile. Tale
argomentazione trova nelle recenti acquisizioni delle
neuroscienze nuove conferme.
Questo punto di vista contrasta con un’interpretazione
dell’informazione come insieme di stimoli che gli individui
processerebbero in modo più o meno razionale. Non esiste
un’informazione elaborata dalla mente indipendentemente
dal contesto di significati in cui viene proposta.
L’interpretazione dei messaggi è un processo ben più
complesso di quanto indichino la psicologia cognitiva e
l’economia comportamentale (Kanheman, Tversky, 1973)
secondo cui gli errori di elaborazione altro non sarebbero
che incidenti dovuti alla scarsa correttezza del soggetto
nell’applicare le regole della logica (Franchi, Schianchi,
2009). Anche studi condotti con tecniche di fRMI indicano
che il confronto sociale determina la natura della nostra
risposta emozionale agli eventi a cui si assiste (Bault et al.
2008).
Del resto, se usciamo da una condizione da laboratorio,
verifichiamo che tutto il processo di ricerca delle
informazione e l’elaborazione delle risposte adeguate è
influenzato dalle immagini che ci formiamo a proposito di un
tema o di una certa situazione. Occorre, allora, fare ricorso a
un altro costrutto mutuandolo dalla psicologia sociale: il
concetto di “rappresentazione sociale”, che possiamo
definire come l’insieme degli schemi interpretativi che gli
individui utilizzano nella vita quotidiana per attribuire un
significato ai diversi aspetti dell’esistenza e, quindi, per
operare le più disparate scelte (Moscovici, 1984). Le
rappresentazioni sono molto più forti delle informazioni, lo
sono talmente che gli individui, come è noto anche
nell’esperienza corrente, tendono ad accogliere le
informazioni che le confermano e a respingere quelle che le
smentiscono.
La questione della scelta, quindi, non può essere
ricondotta ai modi in cui i singoli elaborano, per via
cognitiva o emozionale, le informazioni che provengono dal
mondo esterno. Le informazioni sono in gran parte modellate
da teorie implicite utilizzate nell’interpretazione. Così,
mentre percepiamo i nostri pensieri come punti di vista
personali, elaboriamo le nostre valutazioni, come ha messo
in luce Bourdieu (1983) nella sua celebre cartografia dei
gusti, anche sulla base di molte influenze a partire da quelle
esercitate dal gruppo a cui apparteniamo.
Per questa ragione le scelte di consumo (e non solo)
investono la nostra identità, proprio in quanto le idee a
proposito di noi stessi e del mondo influenzano ciò che
riteniamo desiderabile, possibile, conveniente, opportuno.
L’identità è presupposto ed esito al tempo stesso del
processo di scelta: attraverso i beni di cui ci circondiamo,
cerchiamo di offrire, a noi stessi prima ancora che ad altri,
un’immagine coerente di ciò che siamo o vorremmo essere. I
nostri gusti rappresentano, quindi, un veicolo per la
costruzione della nostra identità; per contro, gli oggetti
hanno un’identità di cui ci serviamo per costruire e ad
alimentare la nostra.
Possiamo concludere che ciò che scegliamo non ha a che
fare solo con le qualità “oggettive” di un bene, verificate
direttamente o apprese attraverso le esperienze e le
informazioni, per esempio nel volantino ricevuto all’atto di
acquisto. Piuttosto, il valore che assegniamo ai beni
scaturisce dalla condivisione sociale di significati, si
costruisce in contesti relazionali, si colloca nell’intersezione
tra i nostri peculiari desideri e gli orientamenti condivisi nel
contesto in cui viviamo.
Si potrebbe concludere che le norme sociali
rappresentano euristiche della scelta, scorciatoie decisionali
che indirizzano i comportamenti e le attese verso direzioni
condivise, minimizzando così il rischio di errore e
massimizzando il grado di adeguatezza dei beni ai contesti
d’uso.
La valutazione dell’adeguatezza sociale delle scelte
investe sia dimensioni cognitive, in quanto presuppone una
conoscenza delle preferenze altrui, sia emotive, in quanto
anticipa la gratificazione derivante dall’approvazione e il
disagio per un comportamento inadeguato.
Le ricerche sul versante neuroscientifico confermano
numerose acquisizioni della letteratura socio-antropologica:
in particolare l’idea che le norme sociali costituiscano un
filtro dei comportamenti e dei sentimenti legati a premi e
ricompense, rimpianto o empatia.

1.5 L’euristica dell’imitazione


Quanto incide l’imitazione nelle scelte di consumo? La
domanda riveste un’importanza primaria in un tempo in cui
si moltiplicano i messaggi e si ampliano i tempi di
esposizione agli stessi. Il tema meriterebbe di ricevere
maggiore attenzione, soprattutto in rapporto alle nuove
condizioni delle rete. Ci limitiamo qui ad alcuni sintetici
accenni. Anche in questo caso interpretazioni emerse in
ambiti sociologici o psicologici trovano conferma in studi
condotti con tecniche di neroimaging. L’imitazione è
intrinsecamente correlata alla scelta, in quanto è alla base
della stessa desiderabilità dei beni. Desideriamo ciò che
piace ad altri, desideriamo interpretare i modelli che altri,
anche non intenzionalmente, ci propongono. Le neuroscienze
hanno aggiunto interessanti evidenze a tale acquisizione:
l’osservazione di comportamenti altrui produce attivazioni
neurali simili a quelle associate all’esecuzione degli atti
motori osservati. Per esempio, l’osservazione della mimica
facciale degli altri rappresenta una potente fonte di
informazione. In sostanza l’informazione che deriva dalle
espressioni del viso di altri, è in grado di indurre stati
d’animo simili a quelli mostrati e osservati. Ciò è effetto di
dinamiche specchio, la cui importanza travalica l’ambito di
sperimentazione su cui sono state originariamente rilevate
(Rizzolati, Sinigaglia, 2006).
Nel tempo delle reti i modelli di consumo si diffondono
attraverso un’imitazione diffusa di immagini in cui ognuno fa
da specchio agli altri, riflettendo una gamma ampia di
modelli e di suggestioni mediatiche.
Il nostro comportamento è sempre imitativo, tuttavia
nessuno vorrebbe agire in conformità ai gusti altrui, anzi
ognuno tende a utilizzare le scelte di consumo per marcare
una peculiarità. La moda rappresenta emblematicamente la
dialettica tra imitazione e capacità di adattamento creativo
che rende possibili interpretazioni, personalizzazioni e
mescolanze ibride.6
Ogni nostra scelta, come la nostra identità si muove
sempre su un doppio binario: implica un processo di
distinzione (essere diversi dagli altri per sentirsi unici) e un
processo di imitazione (l’assunzione di modelli a cui
assomigliare). Senza modelli non possiamo riconoscere
neppure i nostri tratti distintivi. Quindi la tendenza a imitare
gli altri, costitutiva della fase di crescita, resta permanente
negli individui che sono animali sociali.
I fenomeni imitativi nella società odierna si dispongono
per via orizzontale assai più che verticale. Anche per effetto
della maggiore “libertà di identità”, siamo lontani dal
processo di diffusione dei modelli di consumo “per
gocciolamento”, dall’alto al basso, descritto dai classici al
sorgere dell’era del consumo (Veblen, 1899, Simmel, 1907).
L’esplosione dei social network produce un’intensa
amplificazione delle dinamiche imitative e una straordinaria
mescolanza di fonti attraverso le quali le preferenze
prendono corpo. Non vi è dubbio che i social network
incrementano i processi imitativi, accentuando il carattere
relazionale delle nostre scelte. Si amplia la cerchia delle
persone che imitiamo (e da cui siamo imitati): in un certo
senso siamo tutti soggetti attivi e passivi nel processo di
imitazione.
La peculiare natura dei processi imitativi che si
producono in rete, meriterebbe specifiche azioni di ricerca,
intrecciando le acquisizione emergenti sul versante delle
neuroscienze, con categorie sociologiche e psicologiche.
Possiamo ipotizzare che le immagini suscitino dinamiche di
empatia e di identificazione particolarmente intense,
supportate anche dal linguaggio emozionale delle
conversazioni. Cresce la quantità di immagini scambiate.
Soprattutto, il fatto che queste siano associate a momenti
della vita quotidiana, aumenta la loro forza di attrazione.
Per più di una ragione, quindi, le reti enfatizzano il ruolo
del passaparola, una pratica antica di trasmissione dei
suggerimenti di consumo. Il ruolo delle conversazioni
diventa un elemento costitutivo nella formazione delle
preferenze: gli individui costruiscono le loro scelte,
argomentandole a loro stessi e condividendole con gli altri
con cui sono in contatto. La natura intrinsecamente
relazionale delle scelte non è mai stata così evidente
(Franchi e Schianchi, 2011).
Le analisi delle conversazioni nei social network indicano
come tra preferenze, identità e relazioni non via siano
soluzioni di continuità: nelle conversazioni vengono espressi
orientamenti, visioni del mondo, aspirazioni, apprezzamenti
dei beni ed esperienze degli stessi. Ogni profilo diviene un
contenitore in cui vengono inserite, senza grandi esigenze di
selezionarne la coerenza, preferenze per i più disparati
“oggetti”: musica, film, libri, materiali pubblicitari, articoli
scientifici, messaggi, prodotti. Attraverso l’aggregazione dei
diversi materiali in un profilo, gli individui “confezionano” e
rappresentano i loro gusti.7
I profili costituiscono un veicolo potente di diffusione di
messaggi e, ovviamente, un enorme bacino di preferenze che
può essere analizzato e interpretato dai brand. Non a caso si
sono rapidamente sviluppati software e sistemi di analisi dei
contenuti e si sono avviate ricerche per correlare, per
esempio, tratti di personalità individuale con le modalità di
relazione in rete (Pagani, Hofacker, Goldsmith, 2011).
L’analisi è solo agli inizi.
Non vi è dubbio che le reti cambiano nel profondo i modi
con cui formuliamo le nostre scelte. Un numero crescente di
beni viene valutata in rete, prima dell’acquisto, da una
quantità crescente di persone, al di là del luogo in cui
l’acquisto verrà effettuato. Tutto ciò aumenta la trasparenza
dell’informazione e la concorrenza tra le offerte e,
soprattutto, enfatizza l’influenza delle scelte degli altri
consumatori sulle preferenze di ognuno. La partica dei
punteggi dati ad alberghi, ristoranti, servizi costituisce già
un riferimento quotidiano ed è destinata ad ampliarsi.
Si afferma un cambiamento radicale nel modo in cui gli
individui acquisiscono informazioni e formulano categorie di
giudizio: cresce la propensione alla comparazione di prezzi e
qualità attraverso i giudizi espressi dagli altri consumatori.
Si può, quindi, vedere che mentre le reti ampliano a
dismisura gli stimoli a cui siamo sottoposti, nel contempo
offrono una strategia di tipo relazionale per rispondere
all’eccesso di scelta.
Scegliere quello che scelgono gli altri si configura come
una potente euristica che presenta diversi vantaggi: abbassa
il rischio di compiere scelte sbagliate e offre, al contrario, la
possibilità di contare su esperienze e valutazioni compiute
da altri. L’imitazione ci rassicura, offrendoci modelli efficaci
in un tempo in cui la sovrabbondanza di informazioni, di
opportunità e di esperienze (sia dirette che indirette) impone
un continuo adattamento dei parametri su cui effettuare le
scelta e un aggiornamento continuo delle nostre aspettative.
Imitare gli altri significa, in un certo senso, semplificare le
scelte, soprattutto di fronte all’incertezza di una valutazione
che si svolge sulla base di parametri permanentemente
mutevoli come quelli proposti dal contesto della rete.
L’euristica dell’imitazione ha implicazioni assai rilevanti
per il marketing non solo per influenzare le scelte di
consumo, come è noto da tempo, ma anche per orientare le
decisioni di acquisto, come argomenta questo libro.

Il caso delle scelte alimentari: solo una


1.5
questione di gusto?
Vediamo ora come le categorie che abbiamo cercato di
mettere a fuoco per delineare le dinamiche della scelta, si
esprimano in un ambito specifico di scelta: quello
alimentare. Si tratta di uno degli ambiti di maggiore
interesse per la distribuzione, per ovvie ragioni.
Sulle determinanti delle scelte alimentari la letteratura ha
progressivamente ampliato l’attenzione sia verso i fattori
socio-culturali (la destrutturazione dei pasti, la ricerca di un
elevato contenuto di servizio time-saving, l’attenzione al
prezzo, la sensibilità a fattori etici e ambientali), sia verso i
fattori psicologici e soggettivi (gli atteggiamenti verso il
cibo, i modelli parentali e l’educazione, le fasi del ciclo di
vita8, le esperienze, i valori).
Di fronte alla varietà di fattori di influenza, alcuni
contributi hanno tentato di ricondurre la complessità delle
determinanti a un unico modello esplicativo. Su questo
torneremo più avanti. Rileva qui motivare come le scelte
alimentari consentano di riflettere sulla dimensione culturale
delle preferenze. Il termine gusto, nella scelta alimentare,
ingloba una duplice valenza rinviando sia a una dimensione
sensoriale e percettiva, sia a una soggettiva capacità di
valutazione (Franchi, 2011). Numerose ricerche, condotte
nell’ambito delle neuroscienze hanno messo in luce la
complessità dei circuiti neurali coinvolti nell’apprezzamento
del gusto (Hofley, 2008) e l’incidenza delle attese sulla
percezione. A tale proposito, il famoso esperimento sulle
preferenze delle bevande Coca-Cola e Pepsi, che ha indicato
il ruolo della marca nel condizionare i processi cognitivi alla
base della percezione e della valutazione, è eloquente
(McClure, 2004, Montague, 2008).9
Del resto, da tempo l’antropologia e la sociologia
dell’alimentazione hanno messo in luce che il cibo è un fatto
di cultura e che il gusto mescola sapore, conoscenza,
abitudini, apprendimento, emozione, memoria (Fischler,
1992, Sassatelli, 2004, Franchi, 2009). Per questo le scelte
alimentari non sono ascrivibili solo a un esercizio cognitivo
(e, quindi, a una scelta razionale) ma investono, nel
contempo, una dimensione emozionale (che si intreccia con
la memoria, affondando le radici nella storia di ogni
individuo) e relazionale (per la natura intrinsecamente
relazionale del cibo).10 Per questo insieme di ragioni, la sola
valutazione delle qualità sensoriale degli alimenti induce a
sottovalutare il peso di dimensioni simboliche ed
extrasensoriali nell’apprezzamento dei prodotti alimentari
(Franchi, 2011).
Per lo più la letteratura ha classificato i fattori di
influenza delle scelte alimentari in tre macro categorie:
fisiche, personali e sociali (Shephered, 1985). Sobal e
Bisogni (2009) hanno tentato di introdurre una maggiore
complessità, comprendendo corsi di vita, esperienze, idee,
situazioni, e sistemi personali di scelta come i copioni
familiari, le abitudini, le strategie personali e i valori, nella
consapevolezza che gli atteggiamenti verso il cibo
riguardano sentimenti personali, identità e credenze Asp
(1999), Birch (1999), Bellisle (2005).
Il gusto percepito è solo uno dei fattori valutati dai
consumatori per classificare i diversi tipi di alimenti.
Un’espressione come “cibi buoni” e “cibi cattivi”, utilizzata
sinteticamente per connotare diversi alimenti, riflette una
enorme varietà di attributi che travalicano il gusto per
investire freschezza, impatto calorico, salubrità, impatto
ambientale ecc. Non sempre scegliamo ciò che ci piace di
più in termini sensoriali.
Inoltre, nella scelta alimentare entrano diversi tipi di
influenze: vincoli (economici e di tempo), risorse (istruzione,
conoscenze), modelli parentali (i regimi alimentari appresi
nell’infanzia), influenze dei media e messaggi della marca e,
non da ultimo, relazioni. Il ruolo del consumo alimentare
nella vita quotidiana lo rende un oggetto privilegiato di
conversazioni, per cui sui prodotti alimentari l’influenza del
passaparola è particolarmente rilevante.
La letteratura psicologica sottolinea la relativa stabilità
delle scelte e, quindi, delle abitudini: le persone apportano
aggiustamenti alle loro scelte alimentari per adattarsi ai
nuovi scenari che accompagnano i passaggi di vita, ma sono
relativamente pochi gli adulti che riportano rilevanti punti di
svolta nelle scelte alimentari, se non posti di fronte a
importanti mutamenti di contesto. In sintesi, le scelte
alimentari sono cumulative, si sviluppano nel corso della vita
incorporando le esperienze significative: le esperienze
tendono a trasformare le scelte in abitudini.11
Più di quanto avvenga per altri consumi, alla base delle
condotte alimentari vi sono veri e propri copioni (script) che
gli individui elaborano (Blake, 2008, 2011), utilizzando le
informazioni ricevute (Cardello, 1994, Corney et al., 1994) e
interpretando di continuo cosa è appropriato e cosa non lo è
(Povery et al. 1998).
I gusti possono essere considerati abitudini socialmente
condizionate vale a dire influenzate dal contesto.12 In
sostanza, le preferenze alimentari non sono solo
l’espressione di opzioni individuali, ma l’esito di influenze di
pratiche quotidiane che convergono nel rendere alcuni cibi
più desiderabili di altri. Il contatto sensoriale è solo uno
degli elementi in gioco, come indicano diversi esperimenti di
neuroimaging. Il contatto con le sostanze ingerite genera
impulsi differenti che raggiungono il cervello, dove vengono
percepiti e riconosciuti i sapori, ma un’etichetta può alterare
la percezione. L’insieme delle esperienze passate è
altrettanto importante del cibo che abbiamo messo in bocca,
così etichette e prezzi influenzano la qualità percepita.
Molta letteratura è ormai disponibile per argomentare un
tale punto di vista. Per esempio, alcuni esperimenti sui vini
indicano che il colore è in grado di produrre un’illusione
olfattiva13 e che il prezzo evoca diverse attese di qualità.14
Quando gustiamo un sorso di vino, gustiamo tutto insieme: i
nostri sensi analizzano le suggestioni in base a tutte le
informazioni che riusciamo a raccogliere, compreso il prezzo
(Plassman, 2008). Si può concludere che non vi è una
sensazione oggettiva che prescinde dall’insieme di idee,
ricordi e attese che un determinato alimento porta con sé. In
sostanza, si delineano due influenze rilevanti nell’orientare i
gusti: da un lato il peso delle abitudini, dall’altro il peso di
influenze esterne al prodotto, come i significati della marca e
i valori simbolici assunti dal prodotto.
Queste considerazioni hanno rilevanti implicazioni, in
quanto superano l’idea secondo cui le preferenze sarebbero
riconducibili alla chimica degli alimenti e a una percezione
oggettiva degli stimoli ricevuti da un dato alimento. Al
contrario, la dimensione sensoriale non è l’unico fattore in
grado di orientare le scelte, come indica il fatto che i cibi più
graditi in termini sensoriali, non sono sempre i più scelti.
Le preferenze si formano in contesti relazionali in cui si
sviluppano narrazioni (per esempio su ciò che fa bene),
visioni condivise circa ciò che è appropriato ai diversi
contesti e adeguato a soddisfare le nostre personali esigenze
alimentari. Il comportamento alimentare, quindi, è
influenzato dal contesto sociale in diversi modi. Non solo la
scelta degli alimenti è influenzata dal desiderio di
trasmettere una certa impressione o aderire alle norme
sociali (Herman et al., 2003), ma le nostre scelte sono
influenzate da coloro che ci circondano nel momento in cui
siamo di fronte a cibi. Esperimenti con fRMI hanno messo in
luce che osservare le espressioni facciali degli altri evoca
un’imitazione motoria automatica. Osservare gli altri
esprimere disgusto ci procura la sensazione di disgusto
(Wicker et al. 2003). Per contro, vedere l’immagine di un
individuo che esprime un’emozione positiva per un cibo
aumenta il desiderio per il cibo stesso. Questo effetto è
maggiore quando il cibo non è familiare, vale a dire quando
non disponiamo di una informazione diretta sullo stesso. In
assenza di esperienza diretta di un cibo, l’espressione
facciale ci informa rispetto alla sua appetibilità (Rousset et
al. 2008).
La simulazione motoria/emozionale mediata dal
meccanismo specchio (Rizzolati, Siligaglia, 2006) e veicolata
dall’interazione sociale influenza una vasta gamma di
processi comprese le nostre preferenze alimentari. Le
ricerche indicano che mangiare in gruppo influenza la scelta
di cibo (Zajonc, 1965; De Castro et al., 1990) e che la
quantità di cibo assunta è influenzata da quanto cibo altri
individui dichiarano di assumere (Pliner e Mann, 2004). In
altri termini, si verifica una sorta di imitazione sia diretta (in
presenza di altri soggetti che agiscono determinati
comportamenti) sia indiretta (attraverso le conversazioni che
a tali comportamenti si riferiscono).
In sintesi, se la scelta alimentare è l’esito di più fattori (la
chimica dell’alimento, la psicologia individuale, la cultura),
essa può essere considerata, come per ogni altra scelta,
l’esito di una costruzione sociale.
L’interpretazione delle scelte si complica ulteriormente
nel contesto odierno di fronte all’ambivalenza dei messaggi
comunicativi che investono gli orientamenti alimentari. Da
un lato il paradigma tecnologico introduce
un’interpretazione medicalizzata, basata su una concezione
funzionale del cibo, potenziato di ingredienti; dall’altro il
paradigma naturale colloca l’alimentazione all’interno di una
visione olistica della salute umana e ambientale. La
scommessa del marketing alimentare nella fase attuale
sembra orientata a conciliare tale ambivalenza.
La comunicazione dei messaggi alimentari non è per nulla
semplice, da un lato per la natura di bene incorporato del
cibo e, dall’altro, per il carattere riflessivo dell’individuo nel
tempo presente. Nella società riflessiva il cibo, in quanto
elemento primario di salute e di benessere, diventa un
costante oggetto di interrogazione (Shifferstein, Onde
Ouphis, 1998). Gustiamo il cibo con la mente, prima che con
il palato e l’olfatto. L’accentuazione salutista
dell’alimentazione si accompagna, però, alla riduzione del
tempo impiegato per la preparazione e il consumo del pasto.
L’eccedenza informativa e la cacofonia dei messaggi
producono incertezza e dissonanza cognitiva, soprattutto
quando entrano in conflitto con la spinta edonica che
costituisce un’ineliminabile e intrinseca componente della
scelta alimentare (Franchi, 2009). La scelta alimentare si
carica di responsabilità e, con ciò, di ansia, in quanto mette
in capo all’individuo la colpa di una scelta sbagliata.
Le strategie individuali ruotano attorno a un perenne
pendolarismo: con l’intento di evitare la dissonanza cognitiva
(Festinger, 1956) potenzialmente implicita nelle scelte, gli
individui considerano, interpretano e negoziano differenti
orientamenti nelle diverse circostanze di vita.
Di fronte all’ambivalenza di immagini potenzialmente
dissonanti – salubrità, gratificazione sensoriale, praticità – la
natura funge da fattore di ricomposizione e conciliazione dei
conflitti. Ne è un esempio la crescita del consumo di prodotti
biologici e la forte attrazione esercitata dai cibi naturali. Per
un insieme di fattori la natura diviene l’elemento
catalizzatore di valori di salubrità e sicurezza.15
Il caso del cibo biologico indica efficacemente la relazione
tra preferenze alimentari e immagini sociali. La scelta del
cibo biologico non si colloca, prevalentemente sul piano della
percezione di qualità dei prodotti, bensì sul piano culturale e
precisamente sul versante della difesa della salute (Arvola et
al. 2008).
Il cibo biologico assume il significato di cibo naturale, così
i consumatori sono disposti a pagare di più per questi
prodotti, anche se, dal punto di vista sensoriale i prodotti
non sono distinguibili (Yiridoe et al. 2005). La maggior parte
dei consumatori considera questi prodotti più sicuri, più sani
e più nutrienti dei prodotti convenzionali (Lea, Worsley,
2005); inoltre, dichiara fattori come il minor impatto
ambientale attribuito alle coltivazioni biologiche (Zanoli,
Naspetti, 2002), motivazioni etiche come il sostegno ai
sistemi locali o il commercio solidale (Padel, Foster, 2005),
l’apprezzamento della responsabilità dei produttori di cibi
biologici verso l’ambiente (Magnussom, 2004, Finch, 2005).
Anche se non esistono evidenze circa la relazione tra
protezione della salute e cibi biologici, tuttavia questi
prodotti hanno assunto qualità che precedono e orientano la
valutazione.
L’esempio del cibo biologico indica come le scelte
alimentari siano il frutto di una costruzione sociale in cui si
intrecciano narrazioni, esperienze, memorie, obiettivi pratici
e identità. Si tratta di motivazioni che non si collocano
soltanto sul piano dell’esperienza empirica, ma sul versante
valoriale.
In conclusione, per quanto riguarda i consumi alimentari:
1. intervengono nella scelta credenze che accrescono in
senso emozionale la salienza del prodotto, orientandone la
stessa percezione sensoriale;
2. le credenze fanno sì che i benefici attesi vadano oltre
l’atto alimentare, intrecciandosi con l’identità individuale;
3. una grande parte delle scelte alimentari si forma assai
prima che gli individui si trovino nel punto vendita.
Più in generale, questo esempio mette in luce che
tendiamo a giustificare in termini etici ciò che facciamo,
anche se la dimensione etica non è direttamente implicata
nell’atto di acquisto.

1.6 Qualche implicazione operativa


Quali sono le implicazioni operative dell’assunzione del
doppio paradosso della scelta? Quanto le relazioni
influenzano le scelte individuali, in un contesto di eccesso di
beni e di informazioni? La ricerca è aperta. La
consapevolezza che i processi di scelta sono connotati da
una pluralità di fattori di influenza segnala l’esigenza di un
approccio multidisciplinare. Gli studi sulle scelte di consumo
si dispongono su una varietà di discipline che spaziano dalla
sociologia alla semiotica, dalla psicologia alle neuroscienze.
Alcuni risultati di ricerca costituiscono punti di approdo
acquisiti. In particolare richiamiamo sinteticamente i
seguenti.
L’analisi delle scelte (di acquisto come di consumo) non
può essere ricondotta solo all’effetto di stimoli percettivi, né
alla dimensione delle esperienze dirette del singolo
consumatore. Le percezioni, come le esperienze, sono
filtrate dalle categorie di giudizio e queste, d’altra parte,
sono influenzate dal sistema di relazioni nel quale siamo
inseriti. Assumiamo decisioni sulla base delle esperienze
compiute e, in primo luogo, sulla base delle attese relative a
ciò che una certa esperienza sarà in grado di produrre per
noi. In sostanza, non possiamo sovrastimare gli effetti di una
specifica esperienza senza comprendere le attese che la
precedono, i valori e gli orientamenti degli individui.
L’attenzione alle scelte di consumo implica un
ampliamento dei paradigmi; in altri termini, non si tratta
solo di considerare (in una logica sequenziale) ciò che si
colloca a monte delle scelte di acquisto, ma di porre
l’attenzione alla costruzione sociale delle preferenze,
superando un approccio meramente cognitivo
all’elaborazione delle informazioni.
La vita quotidiana appare la scena più ampia nella quale
le scelte di consumo prendono corpo e forma, riflettendo
l’identità e contribuendo a plasmarla. Ciò propone una
parziale rivisitazione dell’oggetto di analisi: non solo il
consumatore, pure ritratto nella complessità dei processi
psicologici, cognitivi, emotivi che influenzano i suoi
comportamenti, ma l’individuo con il suo bagaglio di
orientamenti, immagini mentali, desideri, aspirazioni,
esperienze, relazioni. L’esempio delle scelte alimentari
indica come gli aspetti valoriali assumano un crescente peso.
È possibile che l’importanza delle reti di conversazioni e
le nuove modalità di comparazione dei prodotti nelle reti sia
destinata a influenzare sempre di più anche le scelte di
acquisto. Amiamo identificarci con gli altri, sentirci parte di
un gruppo, scegliere in sintonia con ciò che gli altri hanno
apprezzato ci rassicura.
Il riferimento alle scelte di consumo è stato storicamente
più importante per il marketing strategico che per il
marketing distributivo. L’attenzione a significati,
orientamenti valoriali, bisogni latenti è imprescindibile nel
momento in cui un nuovo prodotto viene progettato e
immesso sul mercato.
In riferimento alla grande distribuzione sono stati
considerati più rilevanti fattori locali contingenti, legati per
esempio alle offerte, al lay out del punto vendita, agli stimoli
offerti dal volantino, assumendo per lo più che la
convenienza rappresentasse l’unico criterio competitivo e
che i messaggi del brand si costruissero prima, venissero
diffusi dai media e fossero, al più, interpretati nel modo in
cui i prodotti vengono posti sugli scaffali.
L’idea che siano possibili domini diversi delle scelte – il
primo affidato a una logica emozionale e valoriale e il
secondo a una solo razionale ed economica – dovrebbe
essere riconsiderata. In larga parte il libro si propone di
offrire a chi opera nella grande distribuzione un
ampliamento di paradigmi in grado di comprendere e
valorizzare il peso della dimensione relazionale nella scelta.
Peraltro, nel momento in cui l’impresa commerciale
diventa un brand, la distinzione tra scelte d’acquisto e di
consumo si fa più labile e le insegne si trovano a
fronteggiare tematiche proprie del brand e devono cercare
strumenti di fidelizzazione più complessi di quelli agiti fino a
ora.
Viviamo nell’eccedenza delle informazioni e non solo dei
beni. Il giudizio degli altri diventa, perciò, una delle più
potenti euristiche di cui possiamo disporre per semplificare
le nostre scelte e ridurre il rischio del rimpianto di avere
investito male le nostre risorse, peraltro, sempre più scarse.
1 Con il termine marcatori somatici Damasio intende configurare risposte
emotive veloci in grado di orientare la scelta, senza soppesarne vantaggi e
svantaggi con procedure logiche. Ciò accade in quanto il circuito emotivo è
tarato, per ragioni evolutive, a reagire rapidamente a stimoli e pericoli.
2 Per citare solo uno dei tanti manuali, cfr. Mittal B. et. al. (2010)
3 Le euristiche possono essere considerate scorciatoie informative che
rispondono all’esigenza di effettuare scelte rapide in numerosi contesti di vita
quotidiana. La marca rappresenta una delle euristiche più potenti, proprio per
i valori che essa evoca Gigerenzer (2009).
4 Con il diffondersi dei mezzi di pagamento on line e le carte fedeltà, il
moltiplicarsi delle offerte, il marketing ha a disposizione dati complessi che
possono dare luogo a vere e proprie mappe. La tecnologia consentono
addirittura sistemi di riconoscimento facciale in grado di costruire tipologie di
consumatori per proporre loro beni di interesse.
5 Locale significa delimitato, indica un ambito intenzionalmente definito e, in
questa accezione, comprende anche l’acquisto online.
6 Può apparire sorprendente che il tema fosse già presente nei primi del
novecento nelle analisi di un sociologo come Simmel (1907).
7 Uno studio condotto su Myspace sostiene che i profili funzionano come
un’arena in cui si manifestano e si mettono in scena i gusti (Hugo Liu, 2008).
8 Con ciò non ci si riferisce solo all’età, ma alle condizioni, ad esempio: vivere da
soli o in famiglia, avere figli e responsabilità familiari e così via.
9 Nell’esperimento, i soggetti preferivano le bevande con marca espressa,
nonostante nei bicchieri anonimi fosse presente la stessa bevanda. Con la sua
funzione identificativa, valutativa e fiduciaria, la marca modifica la
distribuzione della dopamina fra le varie regioni dell’encefalo, agendo sul
circuito della ricompensa e degli stimoli di gratificazione. La presenza della
marca stimola aree cerebrali legate alla memoria e all’emotività, soprattutto la
corteccia prefrontale dorso-laterale e l’ippocampo.
10 La sottovalutazione delle dimensioni emozionali e relazionali è il limite della
teoria dell’azione pianificata (Ajzen, 1991) che ha rappresentato per lungo
tempo un diffuso modello di riferimento.
11 Le abitudini trasformano comportamenti ripetuti in atti automatici che operano
largamente al di fuori dalla consapevolezza degli individui (Verplanken, Faess,
1999).
12 Sulla formazione delle abitudini alimentari in relazione al contesto sociale di
appartenenza, cfr. il contributo, ormai classico di Bourdieu (1979).
13 Di fronte allo stesso vino, un Sauvignon che in un caso era stato tinto con un
colorante per alimenti, gli esperti, all’assaggio del bianco sentenziavano le
qualità tipiche associate ai bianchi, come miele, pompelmo, burro. Nel rosso
invece notavano la violetta, il cacao, il tabacco. Il vino rosso rimanda sempre a
metafore scure, mentre il bianco, sempre a metafore chiare.
14 Di fronte ad un Bordeaux di media qualità diviso in bottiglie diverse, una
etichettata Gran Cru e l’altra come un normale vino da tavola, gli esperti
davano valutazioni opposte. Nel primo caso il vino era gradevole, legnoso,
complesso, equilibrato, rotondo, mentre nel secondo era fiacco, corto, leggero,
piatto.
15Tra i fattori che spingono in tale direzione i consumatori, intervengono anche
le esperienze di frodi alimentari, le ricerche nel campo della nutrizione,
sentimenti di nostalgia per il passato.
Conseguenze
dell’estensione
del campo di scelta

2.1 Scelta, libertà e benessere


La scelta è connaturata all’essere umano. Già Aristotele,
distinguendo tra praxis e poiesis, evidenziava che l’azione (la
scelta) non è fabbricazione di oggetti o di strumenti, ma
creazione di umanità. L’idea secondo cui l’essere umano si fa
da sé con le sue scelte è al centro della Oratio pro hominis
dignitate di Giovanni Pico della Mirandola, che rappresenta
una sorta di manifesto dell’umanesimo rinascimentale.
Diversamente dagli animali che sono specializzati
(programmati) per vivere in un dato ambiente, l’uomo non ha
ricevuto da Dio un posto suo proprio in quanto, attraverso
l’agire (la scelta) è capace tanto di ascendere verso l’alto
quanto di scendere fino al livello più basso.1 Con la scelta,
l’uomo dà forma a se stesso e si auto inventa. Per scegliere,
ci vuole coraggio. Questo coraggio caratterizza tutte le
scelte, quelle importanti e quelle meno importanti come la
spesa al supermercato. Attraverso il coraggio della scelta
esprimiamo quella sorta di libertà e autonomia che è propria
degli esseri umani. Se poi si riconosce che libertà e
autonomia sono valori essenziali per il nostro benessere,
bisogna allora prendere atto che la possibilità di scelta tra
diverse opzioni nell’acquisto di un bene contribuisce in
maniera sostanziale alla felicità dell’individuo. Più di 200
anni fa, Adam Smith osservava che la libertà di scelta negli
acquisti è la via per assicurare la più efficiente produzione e
distribuzione della ricchezza. La possibilità di scegliere tra
diversi prodotti/servizi è infatti l’elemento centrale che
connota un mercato competitivo. La varietà dell’offerta, e la
connessa possibilità di soddisfare meglio le esigenze di
diversi segmenti di domanda, infatti, è oggi universalmente
riconosciuta come uno dei principali benefici dell’economia
di mercato.2
Siccome ogni individuo è nella miglior posizione per
valutare il proprio benessere, fornire un’ampia scelta e
permettere a ciascuno di selezionare ciò che è
soggettivamente migliore può essere considerata la
soluzione ottimale anche dal punto di vista sociale.
Quest’idea è stata il dogma centrale dell’economia
neoclassica fin dalla sua nascita. Per migliorare il
benessere si deve aumentare la libertà di scelta.
L’espansione della scelta non è positiva di per sé stessa,
quanto piuttosto per il fatto che è solo espandendo la
scelta che aumenta la probabilità di trovare il prodotto
e/o il servizio che soddisfa le esigenze di ciascuno. In
breve, se un po’ di scelta è positivo, una scelta più ampia
è meglio. Aumentare le opzioni è infatti un ottimo di
Pareto: non si peggiora la posizione di alcuno, perché
coloro che sono già soddisfatti con le alternative
disponibili possono ignorare le nuove, mentre si migliora
la soddisfazione di coloro che non gradiscono le soluzioni
proposte.3
In realtà, l’ottimizzazione paretiana non si applica nel
nostro caso. Affinché l’ottimo di Pareto possa verificarsi è
infatti indispensabile che si verifichino due condizioni.
a. I clienti devono avere un’idea precisa di ciò che
desiderano acquistare prima di entrare nel punto vendita
perché, solo in questo caso, la probabilità di trovare il
prodotto più adatto a soddisfare le proprie esigenze
aumenta in sintonia con l’estensione della scelta. Se
invece il consumatore ha un’idea vaga di ciò che desidera
al momento dell’entrata nel punto vendita e, quindi,
deciderà i suoi acquisti anche e soprattutto in funzione
delle alternative e delle opportunità offerte dall’insegna,
l’estensione della scelta non aumenta la probabilità di
trovare il prodotto che meglio soddisfa le esigenze dei
singoli consumatori per il semplice fatto che questi non
riescono a passare in rassegna tutte le alternative.4
b. L’aggiunta di nuove alternative è indifferente per gli
acquirenti già soddisfatti dall’offerta esistente in quanto
non incide sul processo di acquisto e sul consumo. In
realtà, l’espansione della scelta rende più complesso e
costoso il processo di acquisto per tutti i clienti; inoltre,
vedremo che anche la soddisfazione nel consumo è
inversamente legata alla espansione della scelta.
In definitiva dunque, il tradizionale approccio “razionale”
dell’economia neoclassica non può essere utilizzato per
comprendere le problematiche della scelta e per orientare il
comportamento delle imprese. Per una piena comprensione
della realtà è necessario un approccio interdisciplinare che
unisca i saperi delle diverse discipline che si occupano del
comportamento umano.
Tra i paesi occidentali che hanno sposato l’economia di
mercato, vi sono tuttavia profonde differenze
nell’orientamento liberale; queste differenze finiscono per
influenzare in maniera rilevante l’offerta e la domanda del
diritto di scegliere. Negli USA, il modestissimo intervento
dello stato nel fornire gratuitamente l’assistenza sanitaria, la
previdenza e l’educazione, sono riconducibili a un bias
culturale del partito repubblicano che interpreta il social
welfare in termini di offerta del diritto di scelta.5 Negli USA,
garantire un’ampia scelta anche in materia di beni e servizi
pubblici è considerata da molti come la via per migliorare
l’efficienza.6 Ed è sempre la possibilità di scelta che ci
permette di comunicare agli altri chi siamo e ciò che
consideriamo importante; questi elementi assumono una
particolare rilevanza nei paesi dove la cultura
dell’individuale prevale sulla cultura del collettivo.
Massimizzare le opzioni tra cui scegliere sembrerebbe
dunque essere la via per ottenere il massimo beneficio nei
paesi di cultura liberale in quanto si può supporre che
ognuno di noi abbia diverse preferenze per quanto attiene i
benefici ricercati; la possibilità di scegliere e la rivalità tra le
imprese per crescere in quota anche attraverso la manovra
del prodotto dovrebbero infatti garantire la miglior
corrispondenza tra struttura della domanda e struttura
dell’offerta. Tutto ciò si basa a sua volta sull’assunto che
ciascuno di noi effettui scelte informate e coerenti coi propri
interessi; si ipotizza cioè un comportamento razionale.
Dall’ipotesi della razionalità delle scelte discendono due
conseguenze importanti.
La prima conseguenza è che le persone non dovrebbero
essere protette contro le loro scelte; non vi è cioè la
necessità da parte dello Stato di incoraggiare i cittadini a
risparmiare, ovvero a non assumere comportamenti che
mettono a rischio la loro salute e il loro benessere.7
La seconda conseguenza dell’assunto di razionalità delle
scelte è che le persone non devono essere protette dalle
imprese con cui interagiscono, in quanto tali imprese hanno
interesse a informare i consumatori e sono in competizione
per conquistare le loro preferenze. In realtà le imprese non
informano come dovrebbero i consumatori, anche quando è
previsto dalla legge. Quanti di noi hanno letto per intero il
contratto di apertura di un conto corrente o di un mutuo,
oppure il contratto di assicurazione o di accesso ai servizi di
un operatore telefonico?
Secondo i sostenitori della scelta razionale, che hanno
come riferimento teorico la scuola di Chicago, le persone
hanno preferenze stabili, ordinabili per importanza e
insensibili al contesto in cui si valutano le alternative;8 cosa
che non risponde affatto alla realtà.9
Scelta e società liberale sono dunque due facce della
stessa medaglia ed è su questi presupposti che è costruita
l’economia neoclassica, per la quale non importa il numero
di alternative e il contesto in cui esse vengono
rappresentate, ma ciò che conta è solo la possibilità di
scegliere liberamente e “rivelare” in questo modo le
preferenze individuali. A noi interessa, invece, comprendere
come si formano le preferenze e come si possa intervenire
per orientarle.
Se la ricerca della massima gratificazione orienta in modo
universale i comportamenti, il significato di tale ricerca è
soggettivamente fondato. Il significato che ognuno
attribuisce agli oggetti della scelta e alle alternative in
questione non è un dato oggettivo… Le scelte si svolgono
in uno scenario di relazioni e di fitte influenze reciproche
che plasmano le nostre immagini mentali e rendono
preferibile ai nostri occhi un’alternativa all’altra. Si
tratta, insomma, di guardare dentro la scatola delle
preferenze, senza considerarla solo dominio inspiegabile
della soggettività.10
Non sono solo gli economisti neoclassici a supportare
l’idea che l’espansione della scelta aumenta il benessere;
anche gli psicologi arrivano alle stesse conclusioni, con
diverse argomentazioni e metodologie di ricerca. Secondo gli
psicologi, gli individui preferiscono scegliere tra diverse
alternative perché la scelta aumenta la percezione di
autodeterminazione, la motivazione e il sentimento di
controllo del proprio destino; la possibilità di scegliere
migliora inoltre la valutazione soggettiva dei risultati e il
benessere psicologico.11
Le cose buone possono tuttavia diventare cattive quando
si eccede nella misura.12 Lo sviluppo economico è stato
accompagnato da un progressivo e continuo ampliamento
del campo di scelta nei punti vendita, nell’offerta televisiva13
e nella pubblicità, oltre che in molti altri ambiti dove si è
sviluppata l’economia di mercato (trasporti,
telecomunicazioni, public utilities, assicurazioni, assistenza
sanitaria, previdenza). Addirittura, esiste oggi una scelta
anche in campo terapeutico. Negli USA, il medico esegue le
istruzioni del paziente sia negli esami clinici che nelle
terapie. Una conferma di questo orientamento può essere
trovata nella pubblicità dei farmaci soggetti a prescrizione;
se negli USA il paziente non avesse alcun peso nella scelta
della terapia, le imprese non investirebbero così tanto in
pubblicità!14 Anche in Italia stiamo andando nella stessa
direzione degli USA per quanto riguarda la scelta della
terapia. Il Corriere Salute del 18 settembre 2011 titolava:
“Medicina condivisa: il dottore propone, il paziente decide.”
È questo un modo per trasferire parte della responsabilità
terapeutica sul paziente, che è sempre più cliente dal
momento che oggi anche i medici possono usare lo
strumento della pubblicità per sostenere la vendita delle loro
prestazioni. Resta da vedere se il paziente/cliente gradisce
questo coinvolgimento!15
L’eccesso di scelta non riguarda poi solo l’acquirente
finale, ma anche l’acquirente intermedio che deve scegliere
per esempio come allocare il budget pubblicitario tra i
diversi spazi internet.16 Siamo dunque di fronte a un
pervasivo eccesso di scelta (choice overload), che ha
profonde conseguenze sul piano psicologico, economico e
relazionale.

2.2 L’impatto psicologico di una scelta eccessiva


Sul piano psicologico si riscontra una sorta di paradosso
perché tutti noi desideriamo poter scegliere, ma nello stesso
tempo vorremmo anche una vita semplice. La nostra
passione per la possibilità di scegliere deriva dal profondo
bisogno di libertà che caratterizza tutti gli individui. La
scelta comporta tuttavia anche l’onere della raccolta delle
informazioni e della loro valutazione, mentre la decisione
implica stress e responsabilità verso noi stessi e gli altri. Con
l’estensione del campo di scelta, il ruolo della mente
cognitiva si riduce progressivamente proprio per
compensare la crescente onerosità del processo decisionale.
Una valutazione razionale delle alternative richiede infatti:
› la preventiva definizione degli obiettivi che ci proponiamo
di realizzare con l’acquisto;
› la valutazione dell’importanza dei diversi obiettivi;
› l’individuazione delle diverse alternative con cui possiamo
soddisfare i nostri obiettivi;
› la valutazione delle alternative rispetto agli obiettivi da
soddisfare e la scelta del prodotto/servizio che a priori
riteniamo migliore;
› la valutazione dei risultati della nostra scelta confrontando
la perfomance attesa con la performance sperimentata al
fine di modificare/confermare il nostro comportamento di
acquisto in futuro.
È ovvio che con l’espansione della scelta, e tenuto conto
dei limiti di capacità elaborativa della mente cognitiva, le
decisioni di acquisto vengano sempre più assunte attivando
la mente emotiva. Nello schema seguente sono indicati i
principali caratteri che distinguono le decisioni cognitive
(razionali) dalle decisioni emotive (a-razionali).17

Le decisioni emotive Le decisioni cognitive


automatiche controllate
senza sforzo con sforzo
associative deduttive
veloci lente
inconsce consapevoli
basate su abilità basate su regole e metodologie

La mente emotiva effettua scelte di cui non siamo


consapevoli, associando elementi di contesto con la nostra
esperienza. Le decisioni emotive, in quanto automatiche e
rapide, non vengono assunte valutando diverse alternative.
Al contrario, la mente cognitiva decide lentamente, sulla
base di un’attenta valutazione delle diverse alternative di cui
conserva un ricordo; ciò che genera incertezza e dubbi
anche dopo la decisione.
Un processo di acquisto essenzialmente razionale non è
possibile quando facciamo la spesa al
supermercato/ipermercato, oppure quando scegliamo il
canale televisivo da guardare dopo cena. Valutare tutte le
alternative in ogni categoria acquistata, realizzando un trade
off dei benefici ricercati, richiederebbe troppo tempo e alla
fine le nostre decisioni potrebbero non essere quelle più
soddisfacenti. Numerosi esperimenti hanno infatti messo in
discussione la comune credenza secondo cui le migliori
decisioni sono quelle prese razionalmente, a valle di una
riflessione in cui valutiamo tutti i pro e i contro oltre alle
diverse associazioni.18
Utilizzando regole, presupposti e standard, per limitare la
nostra scelta e facilitare così il processo di acquisto,
riusciamo a gestire meglio la nostra vita liberando tempo
da dedicare agli altri e alle decisioni che non possiamo o
vogliamo evitare.19
Bisogna inoltre tener conto del fatto che le aree del
cervello che governano desideri e soddisfazione non sono le
stesse e non lavorano necessariamente in sintonia. Così,
desideriamo poter scegliere tra diverse opzioni, ma non è
detto che poi apprezzeremo il processo che ci porta a
scartare molte alternative per scegliere la “migliore”. La
scelta implica infatti di norma un difficile trade off tra
benefici ricercati di diversa importanza, distribuiti con
diversi pesi nelle varie opzioni disponibili. Confrontare
diverse opzioni caratterizzate da una diversa performance in
termini di benefici ricercati è particolarmente complesso.
Non esiste infatti quasi mai un’alternativa migliore di tutte le
altre in tutti i caratteri rilevanti. Quando una alternativa si
caratterizza per un vantaggio in alcuni benefici ricercati e
uno svantaggio in altri benefici ricercati, si pone il problema
del peso da assegnare ai diversi caratteri considerati per la
scelta.
Una decisione cognitiva basata sul peso dei benefici
ricercati e sulla loro importanza per l’acquirente è
particolarmente complessa sia per la qualità delle
informazioni necessarie che per il calcolo in sé. Non è facile
infatti quantificare i benefici ricercati e offerti dalle diverse
alternative senza aver sperimentato il consumo del prodotto
e, certamente, le affermazioni del venditore circa i vantaggi
offerti dal suo prodotto non possono essere considerate
come veritiere al 100% (bias di interesse). Anche ammesso
di disporre di tutte le informazioni necessarie per comparare
i benefici offerti dai diversi prodotti, non riusciamo
facilmente ad attribuire un peso perché tutto ci sembra
importante e, dunque, non riusciamo a calcolare una media
ponderata come sarebbe richiesto se il nostro
comportamento fosse perfettamente razionale. Infine, non
basta confrontare singoli attributi, ma occorrerebbe
confrontare anche l’insieme, vale a dire come i singoli
attributi si combinano tra loro. La medesima caratteristica
può avere infatti diversi effetti a seconda di come si combina
con gli altri attributi nella percezione dell’acquirente.
Aumentare le alternative significa dunque aumentare i trade
off e, quindi, la difficoltà e l’insoddisfazione psicologica della
scelta che discende dalla “perdita” dei benefici delle opzioni
scartate. La radice etimologica della parola “decidere” è
caedere, che in latino significa tagliare. Vi è dunque un costo
di opportunità di natura psicologica, che può essere
associato ai benefici cui si deve necessariamente rinunziare
quando scegliamo l’opzione A rispetto all’opzione B o C. Se
misuriamo la soddisfazione di una scelta al netto del costo di
opportunità per le opzioni scartate, l’aumento delle
alternative riduce la soddisfazione psicologica che proviamo
con la scelta effettuata.
L’estensione del campo di scelta implica una minor
soddisfazione psicologica, anche perché la nostra mente
cognitiva ci fa sospettare di non aver effettuato la scelta
migliore generando così l’emozione del rammarico; il
rammarico diventa tanto più forte quanto più esteso è il
campo di scelta. Inoltre, con l’estensione del campo di scelta
crescono anche le nostre aspettative di trovare il prodotto
che si adatta perfettamente alle nostre esigenze; ciò incide
negativamente sulla soddisfazione che proveremo nel
consumo. Infatti, la soddisfazione che percepiamo nel
consumo non è un portato oggettivo dei nostri sensi, ma
dipende dalle aspettative generate dalla mente cognitiva. Le
aspettative sono una sorta di asticella che possiamo
posizionare a diverse altezze per misurare, in termini
relativi, la nostra soddisfazione. L’estensione del campo di
scelta non si traduce solo in un aumento della nostra
responsabilità di decisori e in una crescita del costo di
opportunità per le opzioni scartate, ma anche la
soddisfazione che proveremo successivamente nel consumo
è negativamente legata all’aumento della varietà, ampiezza e
profondità degli assortimenti commerciali. Con l’estensione
dell’assortimento cresce infatti anche il rammarico che
proveremo dopo l’acquisto, perché la mente cognitiva ci farà
dubitare di aver fatto la scelta giusta. Con l’estensione
dell’assortimento crescono inoltre anche le nostre
aspettative sulla soddisfazione che proveremo consumando il
prodotto acquistato. Siccome le nostre percezioni sono
legate alle aspettative, la soddisfazione che proviamo nel
consumo di un prodotto non ha una misura oggettiva, ma è
direttamente legata a ciò che ci aspettavamo nel momento
dell’acquisto. Ora, siccome l’ampliamento dell’assortimento
e il connesso aumento delle opzioni implica che un numero
crescente di consumatori può trovare il prodotto più
coerente con le proprie esigenze, le nostre aspettative
crescono in sintonia con l’estensione dell’assortimento.
Questo significa anche che la nostra soddisfazione e il nostro
benessere finiscono per essere negativamente influenzati
dall’ampliamento della scelta. In altri termini, se possiamo
scegliere tra un numero molto alto di opzioni, la nostra
mente cognitiva elabora un’ aspettativa di soddisfazione
molto alta che raramente sarà in linea con l’esperienza reale
del consumo. Assortimenti troppo estesi implicano dunque
anche minor soddisfazione nel consumo per la nostra
propensione a spostare sempre più in alto l’asticella delle
nostre aspettative.
Il costo psicologico del trade off associato a una
estensione del campo di scelta non riguarda solo le singole
insegne, ma interessa anche l’insieme di insegne che
operano nel mercato in cui si muove il consumatore per
effettuare i suoi acquisti. Prima di scegliere i prodotti da
acquistare, il consumatore deve selezionare infatti il formato
di punto vendita e l’insegna;20 anche a questo livello
esistono trade off che suscitano un costo psicologico.
L’eccesso di informazione che ostacola le nostre scelte non
riguarda solo l’assortimento, ma coinvolge anche altri
importanti aspetti dell’offerta commerciale; quando
scegliamo il punto vendita dove fare la spesa, non possiamo
infatti non prendere in considerazione anche le offerte
promozionali delle diverse insegne. Nel corso degli ultimi
anni le opportunità promozionali sono continuamente
aumentate in termini di tipologia di prodotti, marche,
profondità e framing21 degli sconti; scegliere l’insegna
significa dunque affrontare anche un trade off tra offerte
promozionali difficilmente comparabili e numericamente in
forte crescita. Il costo psicologico di questo trade off può
crescere al punto da indurre il potenziale acquirente a
rinviare la visita all’insegna.
La nostra esperienza di acquisto ci porta infatti a
preferire alcuni formati/insegne per alcuni benefici ricercati
e altri formati/insegne per altri benefici ricercati. Per quanto
riguarda, in particolare, l’ampiezza del campo di scelta sia in
termini di categorie che di marche, non vi è dubbio che
esiste una forte differenza tra ipermercati, supermercati,
convenience store e discount. Analogamente, vi è una
rilevante differenziazione dell’assortimento anche all’interno
di uno stesso formato di punto vendita a seconda del gruppo
strategico di appartenenza dell’insegna e, più in generale,
della politica commerciale dell’insegna.22 Per esempio, le
insegne della Grande Distribuzione hanno un assortimento di
categoria più ampio e meno profondo rispetto alle insegne
della Distribuzione Organizzata; analogamente, la copertura
e l’estensione di categoria della marca commerciale possono
variare notevolmente tra le insegne che appartengono ai
diversi gruppi strategici.
La diversa estensione dell’assortimento a livello di
formato di punto vendita e di insegna commerciale incide
sulla nostra scelta; a parità di altre condizioni, scegliamo
infatti di fare la spesa nel punto vendita con l’assortimento
più esteso in quanto la nostra mente cognitiva genera
un’aspettativa del tutto razionale di maggior probabilità di
trovare il prodotto ricercato.
Quando ci troviamo all’interno di un punto vendita con un
assortimento di categoria molto esteso, incontriamo
maggiore difficoltà a scegliere e spesso rinunciamo
semplicemente ad acquistare, ovvero, se decidiamo di
acquistare, proviamo meno soddisfazione nella nostra scelta.
Esistono infatti limiti cognitivi ed emotivi che frenano
progressivamente la nostra decisione di acquistare in
ragione dell’estensione del campo di scelta. La
comprensione della psicologia degli acquisti è dunque molto
importante per le imprese commerciali, che devono decidere
fino a che punto conviene soddisfare nicchie di domanda
estendendo l’assortimento, dal momento che per soddisfare
pochi consumatori si finisce per scontentarne molti altri
imponendo un processo di acquisto molto più complesso.
[…] quando decidiamo dove fare la spesa, preferiamo di
norma i formati e le insigne che offrono assortimenti
estesi. Tuttavia, quando scegliamo cosa acquistare
all’interno di uno specifico assortimento, incontriamo
maggiori difficoltà negli assortimenti estesi, siamo meno
sicuri e soddisfatti delle scelte effettuate,ed è più
probabile che rinunciamo all’acquisto.23
Kahneman ha osservato che, quando la nostra mente
cognitiva è impegnata in un’attività elaborativa, per esempio
aggiungere 1 o 3 a una serie più o meno lunga di numeri da
memorizzare, la pupilla si dilata e la dilatazione è
direttamente proporzionale alla difficoltà del compito.
Quando il compito diventa troppo difficile, rinunciamo al
lavoro assegnato e l’osservatore se ne accorge per il fatto
che la pupilla si restringe. L’eccitazione emotiva non ha lo
stesso effetto sulla pupilla che, appunto, non si restringe.24
Dagli esperimenti di Kahneman è inoltre emersa la nostra
capacità di utilizzare in maniera selettiva l’energia mentale.
Se ai soggetti impegnati in un compito elaborativo assegnato
come prioritario viene chiesto di riferire la comparsa nel loro
campo visivo di un oggetto estraneo al compito (la lettera K),
si è constatato che il corpo estraneo non viene notato
quando lo sforzo mentale è massimo, mentre viene
frequentemente notato all’inizio o alla fine del compito
assegnato, quando lo sforzo mentale è minimo. La difficoltà
del compito richiede quindi concentrazione dell’energia
mentale, cosa che si realizza automaticamente rinunciando a
prestare attenzione a tutto ciò che succede nell’ambiente se
non è strettamente rilevante per il compito che abbiamo
scelto di svolgere prioritariamente. Come impattano queste
scoperte psicologiche sul comportamento di acquisto in una
condizione di eccesso di scelta?
Ora sappiamo che l’eccesso di informazione-scelta non
solo riduce l’attenzione (Simon, 1955), ma porta l’individuo a
rifiutare il compito; nel nostro caso, il soggetto
semplicemente rinuncia a scegliere. Questa affermazione
deve tuttavia essere ridimensionata nel caso in cui il compito
sia l’acquisto. Vi sono infatti acquisti non rinviabili come gli
alimentari e in genere tutti i prodotti grocery, e prodotti il
cui acquisto può essere rinviato in caso di eccesso di scelta.
Questa osservazione ci porta a una prima conclusione:
l’eccesso di scelta ha un impatto diverso sull’acquisto a
seconda della rinviabilità della spesa. Nel caso dei prodotti
ad acquisto non rinviabile che interessano in particolare
questo lavoro, quale potrebbe essere l’impatto dell’eccesso
di scelta? Se il compito è troppo difficile rispetto alle
capacità elaborative della mente cognitiva, ma è necessario
procedere all’acquisto, il soggetto opera la sua scelta
utilizzando la mente emotiva.25 Ciò significa per esempio:
› rinunziare ad acquistare la categoria proposta con un
eccesso di scelta e, di conseguenza, orientare la scelta
verso una categoria sostituibile nella funzione d’uso –
occasione di consumo, ma proposta con assortimento meno
esteso;
› acquistare la categoria rinunziando a valutare le diverse
alternative scegliendo di restare fedeli alla marca;
› minimizzare il rammarico potenziale imitando le scelte
della maggioranza, selezionando i prodotti ai quali è stato
attribuito maggior spazio espositivo a fronte della maggior
rotazione;
› socializzare gli acquisti scegliendo i prodotti presentati dal
distributore come i più venduti della categoria.
Nel caso in cui la difficoltà del compito non porta al
rifiuto e il soggetto arriva dunque alla decisione di acquisto,
vi sono conseguenze egualmente rilevanti per il marketing
distributivo. Il soggetto si concentra infatti sul compito della
scelta della marca nella categoria ad assortimento esteso
togliendo ogni attenzione a tutto il resto. Gli stimoli e la
comunicazione promozionale in store ricevono dunque meno
attenzione. Inoltre, l’energia mentale non è illimitata. Non
possiamo assimilare l’energia mentale all’energia elettrica.
Se utilizziamo molta energia mentale per scegliere una
marca all’interno di una categoria ad assortimento molto
esteso, poi rimarrà meno energia per scegliere
cognitivamente nelle categorie successive nel percorso della
spesa. Ciò implica che il layout merceologico, vale a dire la
localizzazione delle categorie nel punto vendita, incide sul
processo di acquisto. Le categorie esposte prima nel
percorso della spesa vengono analizzate dall’acquirente
impiegando maggiormente la mente cognitiva, mentre le
categorie incontrate alla fine del percorso di acquisto sono
valutate impiegando essenzialmente l’intelligenza emotiva.
Infine, è appena il caso di sottolineare che un’eccessiva
scelta crea una sofferenza psicologica maggiormente
accentuata nelle fasi di congiuntura negativa. Nelle fasi
recessive, specie se contrassegnate anche da una crescita
dei prezzi (stagflation), cambia il comportamento di acquisto
del consumatore nel senso della riduzione degli sprechi
diminuendo le quantità acquistate, della rinuncia ad
anticipare l’acquisto dei prodotti in promozione, del maggior
utilizzo della mente cognitiva per valutare i trade off prezzo-
qualità. Questa “sobrietà” nell’acquisto non riguarda solo i
consumatori che devono risparmiare per far fronte a un calo
del loro reddito, ma coinvolge anche i consumatori che
hanno aspettative negative di medio – lungo periodo e anche
coloro che pur disponendo di redditi sicuri, sono condizionati
da un contesto che richiede minor ostentazione e maggior
essenzialità. Eloquente in proposito è il fatto che il 54% degli
italiani dichiari di cercare il risparmio comprando solo
l’essenziale e tagliando il superfluo (Figura 2.1). La distonia
tra l’orientamento psicologico alla scelta e l’estensione degli
assortimenti proposti dalle insegne cresce dunque nelle fasi
recessive. Non è un caso pertanto se i tentativi di
razionalizzazione dell’assortimento si concentrano proprio
nei periodi di congiuntura negativa e maggior orientamento
alla sobrietà dei consumatori.
L’analisi dell’eccesso di varietà nell’acquisto non può
essere fatta in assoluto, ma deve tener conto del contesto;
ciò si può comprendere anche confrontando l’estensione
dell’offerta di categoria in diversi formati di punto vendita.
Non si può infatti affermare che l’assortimento di una data
categoria è troppo esteso nell’ipermercato rispetto al
supermercato perché la domanda di varietà è differenziata
per formato di punto vendita in relazione alla diversa
frequenza di acquisto dei clienti. Quando acquistiamo per un
consumo più o meno immediato, scegliamo la marca
preferita sulla base dell’utilità sperimentata e ricordata.
Quando invece acquistiamo per un consumo più distribuito
nel tempo, non scegliamo più confezioni della marca
preferita ma più marche in quanto prevediamo,
erroneamente, che ci stancheremo del solito prodotto e
desidereremo cambiare. I formati di punto vendita che si
rivolgono a clienti con bassa frequenza di acquisto devono
quindi avere un assortimento di categoria più esteso in
ampiezza e profondità perché la domanda di varietà è una
funzione inversa della frequenza di acquisto. Sulla base di
questo assunto, ci aspettiamo anche che la quota di mercato
della marca leader sia più alta nei formati più piccoli che si
rivolgono a consumatori con maggiore frequenza di acquisto.
Le persone che fanno la spesa una volta la settimana
incorrono nella stessa errata previsione. Invece di
comprare numerose confezioni della marca preferita,
acquistano più marche sbagliando la previsione sulle
future preferenze. In un esperimento di laboratorio, ai
partecipanti è stata offerta la possibilità di acquistare per
la necessità di una sola giornata selezionato un prodotto
in ciascuna delle otto categorie alimentari disponibili. A
un altro gruppo è stato chiesto di scegliere tre prodotti in
ciascuna delle otto categorie alimentari disponibili, in
quanto l’acquisto doveva servire per tre giorni. Il secondo
gruppo effettuò una scelta più variata all’interno di
ciascuna categoria rispetto al primo gruppo, prevedendo,
erroneamente, che avrebbero desiderato qualcosa di
diverso nel secondo giorno rispetto a ciò che avevano
mangiato il primo giorno.26
Figura 2.1: Le strategie di risparmio sul largo consumo
Fonte: Shopper Trends Italia 2012

Figura 2.2: Le strategie di risparmio sul largo consumo (totale grocery, super,
iper, discount, specializzati, tradizionale

Se osserviamo i dati di mercato con riferimento a due


categorie molto estese, la pasta e lo yogurt, costatiamo che
(Tabella 2.1):
› la quota della marca leader non è significativamente più
alta nei formati più piccoli;
› la quota della marca commerciale è spesso più bassa nei
formati più grandi.
Questa evidenza empirica contrastante con le ipotesi
teoriche formulate più sopra può essere spiegata con la
convergenza dei due formati, iper e super, e la connessa
convergenza del comportamento di acquisto dei clienti
(Figura 2.3). I due formati vengono percepiti come
sostituibili nel soddisfacimento dei bisogni di spesa. La
sostituibilità non si traduce necessariamente in una
maggiore mobilità poiché il consumatore è in grado di
soddisfare i suoi bisogni nel formato/punto vendita abituale.
Tabella Estensione dell’assortimento e quota di vendite della marca
2.1 leader e della marca commerciale
Numero
Quota di vendite Quota di vendite
Numerica Referenze con
nel supermercato nell’ipermercato
vendita zero
Marca Marca Marca Marca
Marche referenze Iper Super
leader commerciale leader commerciale
Pasta 36,7%
secca val 12,7% val 36,9% val 13,6% val
372 6844 2096 270
di 34,9% 17,1% vol 36,3% vol 16,9% vol
semola vol
23,0%val 10,5% val 23,77%val 7,8% val
Yogurt 200 2877 611 117
21,0%vol 13,7% vol 22,4%vol 9,9% vol

Fonte: Nielsen 2011

La domanda di varietà è spiegata dalla frequenza di


acquisto anche per un’altra motivazione di ordine
psicologico: la nostra propensione ad acquistare più
categorie nei punti vendita che visitiamo meno
frequentemente. La propensione a concentrare gli acquisti
delle categorie di beni banali nel minor numero di shop
expeditions non è solo una scelta razionale riconducibile alla
minimizzazione della risorsa più scarsa di cui disponiamo: il
tempo. La concentrazione degli acquisti può essere infatti
spiegata anche con riferimento a fattori a-razionali come la
propensione a cumulare le perdite. Posto che l’acquisto
implica la “perdita” di denaro,27 il consumatore preferisce
cumulare le perdite piuttosto che diluirle parcellizzando gli
acquisti in più shop expeditions. La somma delle perdite di
denaro realizzata con la concentrazione degli acquisti
suscita infatti un’emozione negativa inferiore a quella che
avremmo avvertito diluendo gli acquisti; si potrebbe anche
affermare che le emozioni negative associate alla perdita di
denaro hanno rendimenti decrescenti. Per il consumatore, la
concentrazione degli acquisti equivale alla riduzione
“dell’effetto dotazione” e della connessa avversione per la
perdita di denaro in quanto si effettua un solo pagamento e
la sofferenza viene limitata a un solo momento. Per sfruttare
l’asimmetria della contabilità mentale illustrata
dall’economia comportamentale (Thaler, 1985), le insegne
dovrebbero investire più risorse nella manovra delle leve di
up selling rispetto alle leve della creazione del traffico e
della fidelizzazione della clientela.

2.3 L’impatto economico di una scelta eccessiva


Per comprendere l’impatto economico di una scelta
eccessiva, bisogna prima chiarire il rapporto tra preferenze
e scelte. L’idea che le scelte dei consumatori esprimano le
loro preferenze è il fondamento su cui si regge l’economia
tradizionale; del resto le preferenze sono difficilmente
osservabili mentre le scelte sono per contro facilmente
osservabili e, di conseguenza, sono le uniche che “contano”
per l’analisi economica. La psicologia cognitiva, le
neuroscienze e l’economia comportamentale contestano
tuttavia l’assioma delle “preferenze rivelate”, vale a dire
l’idea che i consumatori esprimano puntualmente le loro
preferenze con le scelte di acquisto, sulla base di una triplice
costatazione supportata sperimentalmente:
Figura 2.3: Il grado di somiglianza di iper e super (calcolato in base all’indice di
dissomiglianza di Gini)
Fonte: Cardinali 2011

› la soddisfazione nell’acquisto e nel consumo non è


riconducibile solo alla scelta che effettuiamo, ma dipende
anche dall’ampiezza del campo di scelta e dalle opzioni che
abbiamo scartato;
› le preferenze dichiarate dai consumatori per le marche
offerte in una data categoria orientano le loro scelte, ma
non si può per questo affermare che il piacere che proviamo
nel consumo e, dunque, l’utilità percepita, sia coerente con
il nostro comportamento;28
› le buone decisioni di acquisto non sono solo il frutto di una
attenta analisi delle diverse alternative e, quindi,
dell’attivazione della mente cognitiva, ma anche e
soprattutto delle emozioni generate dalla mente emotiva.29
L’estensione del campo di scelta non impatta solo sulla
psicologia dell’acquisto, ma ha rilevanti conseguenze anche
sul benessere collettivo (welfare). Sul piano economico
infatti, la possibilità di un eccesso di varietà dell’offerta è
stata in un primo momento teorizzata dagli economisti
neoclassici ricorrendo alla struttura del mercato come
fattore esplicativo. Applicando infatti il modello struttura-
condotta-performance, la proliferazione dei prodotti poteva
essere associata a una particolare forma di mercato: la
concorrenza monopolistica. Stante la varietà dei gusti dei
consumatori, le imprese competono anche in termini di
prodotto, variando la loro offerta in modo da migliorare la
soddisfazione del segmento di domanda scelto come target.
Uno dei vantaggi dell’economia di mercato rispetto
all’economia pianificata è proprio la possibilità di rispondere
alla varietà della domanda con la varietà dell’offerta.
Tuttavia, anche ai tempi di Chamberlain, la varietà
dell’offerta non era considerata necessariamente positiva; si
riconosceva infatti che la proliferazione delle alternative
implica la rinuncia alle economie di scala nella produzione e
nel marketing, mentre il controllo sul prezzo che discende
dall’offerta di prodotti “unici” può creare distorsioni nella
allocazione delle risorse. Gli economisti si sono sempre posti
il problema di quale sia il miglior compromesso tra varietà
dell’offerta, costi e prezzi, nelle diverse forme di mercato. La
concorrenza monopolistica non è peraltro l’unica forma di
mercato da cui gli economisti hanno derivato uno sviluppo
“eccessivo” della varietà nell’offerta; anche l’oligopolio in
presenza di un eccesso di capacità e saturazione della
domanda favorisce la proliferazione della varietà dell’offerta.
Basti pensare a questo proposito all’industria
dell’automobile, dove, per indurre i consumatori che
possiedono già un’auto a sostituirla, si è dovuto innovare
continuamente il prodotto. Nel 1982 l’offerta di autovetture
nel mercato italiano si articolava in 170 modelli e 696
versioni; nel 2010, il numero dei modelli è salito a 282 e le
versioni ammontano a 3271.30 Se lo sviluppo della varietà
dell’offerta non è specifico di una forma di mercato, è
soprattutto nella concorrenza monopolistica che gli
economisti hanno derivato la possibilità di una varietà
“eccessiva” in termini di benessere collettivo (welfare).
L’introduzione di una nuova variante ha ovviamente come
motivazione la presenza di un segmento di domanda
insoddisfatto dalle alternative esistenti e, di conseguenza, le
imprese ricercano la possibilità di aumentare la
penetrazione e le vendite del prodotto semplicemente
migliorando la soddisfazione della domanda scelta come
target. Questo risultato positivo è tuttavia condizionato da
una serie di elementi:
› la dimensione della domanda potenziale del nuovo
prodotto;
› i costi incrementali da sostenere per la produzione della
nuova variante;
› il premium price31 che si può praticare migliorando la
soddisfazione del segmento di domanda scelto come target;
› la struttura del mercato.
Se immaginiamo un mercato con forti barriere all’entrata
e, quindi, una struttura oligopolistica o monopolistica, è
perfettamente concepibile che la nuova variante non venga
prodotta se l’aumento di profitto realizzato alzando il prezzo
e aumentando le vendite (surplus del produttore) non è
sufficiente a coprire l’incremento dei costi. Viceversa, se
immaginiamo una situazione in cui non esistono barriere
all’entrata come nella concorrenza monopolistica, la nuova
variante potrebbe essere più facilmente immessa sul
mercato da una nuova impresa in quanto il rapporto costi-
prezzi non tiene conto in questo caso solo delle vendite
incrementali della categoria, ma anche della erosione delle
vendite delle alternative esistenti proposte dalle imprese che
già operano nel mercato. In altri termini, la nuova variante
non si limita ad attirare consumatori che altrimenti non
avrebbero comprato la categoria, ma sposta anche un certo
numero di consumatori che in precedenza si accontentavano
di un prodotto non perfettamente rispondente alle loro
esigenze. Questo ragionamento è stato oggetto di numerose
verifiche empiriche, a seguito delle quali si è potuto
sostenere che la concorrenza monopolistica, vale a dire la
forma di mercato dove gli offerenti sono numerosi e le
barriere all’entrata sono basse, si traduce in una varietà di
prodotti maggiore rispetto al monopolio e all’oligopolio.32 In
condizioni di concorrenza monopolistica, la nuova variante
può essere inoltre proposta anche dalle imprese già presenti
nella categoria nel caso in cui vogliano così anticipare
l’entrata di nuovi concorrenti; questa strategia di
scoraggiamento dell’entrata (preemptive strategy) è
giustificata dal fatto che è preferibile ridurre il surplus
mantenendo il cannibalismo della nuova variante all’interno
di un fatturato che aumenta rispetto alla perdita secca di
fatturato a favore del nuovo entrante. Ciò che conta è che in
concorrenza monopolistica, la proliferazione delle
alternative a opera delle imprese già presenti nella categoria
e di nuove imprese è tale che i costi incrementali sostenuti
per produrre la nuova varietà superano facilmente il surplus
totale, vale a dire il surplus dei venditori e dei compratori; in
questo caso, la varietà è “eccessiva” rispetto al livello che
massimizza il benessere sociale.33 Quanti siano e che
importanza abbiano in termini di perdita di welfare i casi di
eccesso di varietà è difficile da stabilire per chiunque.34
Il nostro obiettivo è portare avanti l’analisi degli
economisti sull’eccesso di varietà in due direzioni:
› riconsiderare la domanda di varietà, che non è un dato
immutabile per le imprese, ma può essere stimolata con
l’innovazione e la differenziazione di prodotto;
› riconfigurare l’analisi dell’eccesso di varietà passando dal
consumo all’acquisto.
È ovvio che, riconoscendo la bidirezionalità del rapporto
domanda-offerta e, quindi, la possibilità per l’industria di
creare nuova domanda attraverso l’innovazione e la
differenziazione del prodotto, il fenomeno dell’eccesso di
varietà non può più essere così strettamente legato alla
forma di mercato. Per esempio, nel settore
dell’abbigliamento, i bisogni soddisfatti non sono solo quelli
legati al vestire fisico; l’acquisto di un capo non risponde
cioè al solo bisogno ancestrale di coprirsi, ma anche di
abbellirsi, piacersi e piacere nei rapporti interpersonali e
relazionali. La domanda di abbigliamento viene, in altri
termini, continuamente creata attraverso il cambiamento del
prodotto e la conseguente insoddisfazione generata nel
consumatore dal divario tra il proprio look e le ultime
tendenze della moda. Nelle società avanzate, la dimensione
funzionale ha perso importanza nel processo d’innovazione;
mentre quella estetica, comunicativa, semiotica, relativa
all’originalità della forma, dello stile e dell’immagine visiva
del prodotto stesso, hanno assunto un rilievo sempre
maggiore.
Dal momento che l’economia industriale non tiene conto
della bi-direzionalità del rapporto domanda-offerta, ovvero
del fatto che i bisogni possono essere creati dalle imprese
con l’innovazione di prodotto, le conclusioni sulla varietà
eccessiva in termini di welfare devono essere
ridimensionate. Tuttavia, definendo l’innovazione nell’unica
maniera condivisa tra gli stakeholder (industria,
distribuzione, consumatore), vale a dire la nascita di una
nuova categoria o lo sviluppo di un nuovo prodotto che
genera un aumento delle vendite di una categoria esistente,
la frequenza è veramente minima. Secondo uno studio
condotto da Nielsen nel 2011 (Nielsen Wire), su 300 lanci in
100 diverse categorie, solo nel 6% dei casi si è verificato un
aumento delle vendite di categoria con la crescita della
penetrazione (2%) e l’aumento dell’acquisto dei trattanti
(+4%).
Un altro limite dell’economia industriale
nell’interpretazione dell’eccesso di varietà è la mancata
considerazione del filtro esercitato dall’intermediazione
commerciale nell’accesso al mercato. Le imprese
commerciali (insegne) intermediano infatti le imprese
industriali in maniera non neutrale; il nuovo prodotto deve in
altri termini superare una barriera distributiva all’entrata e
raggiungere un’adeguata rotazione per mantenere nel tempo
la sua presenza in un punto vendita. Secondo Nielsen, le
nuove referenze di successo non superano il 3% di quelle
immesse annualmente nel mercato (Tabella 2.2).
Tabella Performance dei nuovi prodotti lanciati nel primo semestre del
2.2 2011 in Italia
Totale Grocery - 10 Semestre 2011
Incidenza Incidenza Velocità d'ingresso
I nuovi prodotti N° Referenze
Numerica Valore (var punti ponderata per settimana)
In/Out 2.045 22,46% 4,18% -0,046
Maginali - Insuccessi 5.868 64,43% 15,47% 0,034
Discreti 924 10,15% 29,18% 0,512
Successi 270 2,96% 51,17% 1,708
Totale 9.107 100,00% 100,00% 0,114

In/Out: referenze non più presenti nell'ultima settimana dell’anno


Marginali - Insuccessi: referenze con ponderata<=10% e con vendite medie
settimanali<=5.000 €
Discreti: referenze con ponderata<=30% e con vendite medie settimanali<=
30.000 €
Successi: referenze con ponderata> 30% o con vendite medie settimanali>
30.0000
Fonte: Nielsen Trade*Mis - Iper + Super+ Libero Servizio

La non neutralità della distribuzione nel processo


innovativo si può documentare sia considerando l’incidenza
delle nuove referenze che non raggiungono un adeguato
livello di distribuzione ponderata sia analizzando la rotazione
media. Nella Tabella 2.3 si può infatti costatare che solo un
numero modesto di nuovi prodotti raggiunge un adeguato
livello di distribuzione ponderata.35 Questa rinuncia a
trattare un gran numero di nuovi prodotti sembrerebbe
giustificata dalla bassa rotazione dei prodotti inseriti. “In
realtà, volendo approfondire l’analisi attraverso uno studio
specifico dei 7.887 codici EAN a bassa rotazione e bassa
ponderata trattanti, è possibile ricavare l’indicazione che
esistono 721 referenze (9,1%) caratterizzate da una
rotazione media superiore a 8.283 euro, ovvero il livello di
riferimento per i 24 codici prodotto eccellenti.36 Queste
referenze non hanno tuttavia potuto esprimere al massimo le
proprie potenzialità di vendita a causa di una ridotta
diffusione distributiva, poiché sono state frettolosamente
catalogate dalle insegne più diffidenti e ostili verso
l’innovazione come poco performanti.”37 Secondo questa
indagine, i distributori sbagliano decidendo di non inserire
nuovi prodotti nel 9% dei casi.
Tabella 2.3 Le performance dei nuovi prodotti lanciati nel 2010 in Italia
Tasso di rotazione medio
Numero di nuovi prodotti Livello massimo di distribuzione
(valore vendite per punto
(codici EAN) ponderata raggiunta (%)
di ponderata in euro)
24 >80 8.283
269 40-80 4.021
409 20-40 2.418
7.887 2.794
<20
(9% alto performanti) (CV: 600 – 8500)

Fonte: Symphony IRI Group (D. Fornari, op. cit, p. 84).

Accertato che la distribuzione non svolge un ruolo


neutrale per quanto riguarda l’accesso al mercato dei nuovi
prodotti, il passo successivo è prendere atto che questo
ruolo viene svolto in maniera discriminata, a danno delle
piccole imprese che non sono presenti o hanno una presenza
marginale nell’assortimento. Non vi è dubbio infatti che il
costo distributivo di entrata dei nuovi prodotti è più basso
per le imprese leader, che possono vantare una reputazione
positiva con riferimento ai precedenti lanci e sostenere la
penetrazione con una politica di portafoglio. Queste
circostanze non mettono tuttavia in discussione la teoria
economica secondo cui sono soprattutto le nuove imprese
che sostengono la proliferazione dei prodotti con
l’innovazione e la differenziazione. Il concetto di “nuova
impresa” deve essere infatti relativizzato al presidio della
categoria: quando Barilla è entrata nel campo di succhi di
frutta estendendo la linea Mulino Bianco o quando ha
sviluppato una nuova linea di prodotti funzionali lanciando il
brand Alixir, dal punto di vista economico era un nuovo
entrante.
In particolare, occorre poi prendere atto che l’eccesso di
varietà nel consumo e nell’acquisto sono concetti diversi. Se
ritardiamo l’acquisto, o rinunciamo all’acquisto quando la
scelta proposta è eccessiva, il surplus del consumatore
generato con il lancio di un nuovo prodotto è per definizione
più contenuto di quello realizzabile in un contesto
caratterizzato da un minor numero di alternative. Questo
significa che il surplus del lancio di un nuovo prodotto è una
funzione inversa del contesto, più o meno affollato, in cui si
inserisce. La rilevanza del processo di acquisto nel
determinare il surplus del nuovo prodotto non è considerata
dall’economia industriale. Non esiste tuttavia alcun dubbio
che il rendimento del lancio di un nuovo prodotto in termini
di surplus del consumatore e del produttore sia una funzione
inversa del numero di alternative che popolano la categoria.
In questo libro, ci occupiamo essenzialmente dell’eccesso di
offerta sul piano del processo di acquisto.

2.4 L’impatto relazionale di una scelta eccessiva


La presenza di una componente relazionale nella scelta può
essere ben rappresentata nell’espressione: “scelgo ciò che
sono e sono ciò che scelgo”.38 Questa analisi introduttiva al
fenomeno dell’eccesso di scelta non sarebbe dunque
completa se all’impatto sulla psicologia di acquisto e sul
benessere collettivo non si aggiungesse anche la
componente relazionale. L’eccesso di scelta ha profonde
conseguenze anche sul piano relazionale in quanto riduce il
tempo che dedichiamo ai rapporti umani. La felicità non è
riconducibile solo alla ricchezza, ma discende anche e
soprattutto dalle relazioni sociali.39 Siccome dedichiamo
sempre più tempo a scegliere tra diverse opzioni nei diversi
campi, abbiamo meno tempo per le relazioni; con
l’espansione della scelta, siamo quindi più soli e infelici.
Il tempo dedicato alla scelta è sottratto agli amici, al
coniuge, ai genitori...40
Il principale responsabile della riduzione del tempo
dedicato alle relazioni interpersonali è senz’altro lo sviluppo
di un overload informativo da parte di vecchi e nuovi media.
Negli ultimi anni si è verificata un’esplosione dell’offerta
televisiva. Si pensi che la britannica BSkyB offre 505 canali;
a questi si devono poi aggiungere i film e gli show a
pagamento nella modalità abbonamento o à la carte. Nel
nostro paese, il passaggio dall’analogico al digitale si è
tradotto in un aumento esponenziale dei canali che,
escludendo quelli a pagamento, sono ora 250 e continuano
ad aumentare di settimana in settimana. Infine, i contenuti
sono aumentati anche per effetto dello sviluppo della
videoregistrazione e della visualizzazione in streaming da
internet.
Quando la televisione si collegherà a internet, sia
direttamente che attraverso decoder o console di giochi,
la quantità di contenuti esploderà. Hulu, un sito per
scaricare in streaming, è già accessibile agli americani
attraverso il nuovo televisore Samsung [...]. Entro l’anno
è previsto che BSkyB lancerà il servizio Anytime+service,
che utilizzerà la banda larga per trasmettere migliaia di
ore di programmi on demand.41
L’espansione dei contenuti televisivi è tale che Google ha
sviluppato un motore di ricerca da inserire nei televisori
americani a partire dal 2010. A prescindere dalla minaccia
che uno strumento di navigazione può rappresentare per i
produttori di contenuti, dal momento che può orientare la
scelta e di conseguenza gli investimenti pubblicitari, ciò che
interessa in questa sede è il venir meno della televisione
come forma di intrattenimento. Già ora spendiamo molto
tempo cercando di evitare la pubblicità cambiando
continuamente canale con il telecomando; domani dovremo
utilizzare un motore di ricerca per accedere ai contenuti che
ci interessano. Tutto questo in barba alle preferenze degli
utenti che non vogliono troppa scelta. Se, nel caso dei punti
vendita grocery, la propensione a espandere l’offerta oltre le
esigenze degli acquirenti è limitata dallo sviluppo del
discount, nel caso dell’offerta televisiva non esistono
calmieri e il mercato sembra essere privo di meccanismi di
autoregolazione.
Un altro campo in cui si è verificato un eccesso di
informazione e una conseguente povertà di attenzione da
parte del target è la pubblicità. Herbert Simon, premio
Nobel per l’economia, scriveva nel 1971: “L’informazione
consuma attenzione. Quindi l’abbondanza di informazione
genera una povertà di attenzione e induce il bisogno di
allocare quell’attenzione efficientemente tra le molte fonti di
informazione che la possono consumare”.42 Le persone
hanno imparato a difendersi dalla pressione pubblicitaria
eccessiva con una serie di strategie come, per esempio:
› svolgere compiti domestici che possono essere distribuiti
nel tempo (sparecchiare la tavola, caricare la lavastoviglie,
apparecchiare per la colazione, fare la lista della spesa…);
› utilizzare altri mezzi di comunicazione e intrattenimento
(sfogliare il giornale, leggere la posta, telefonare e
ascoltare la segreteria telefonica, utilizzare laptop e tablet).
Possiamo dunque sottrarci all’invasione di una pubblicità
eccessiva non solo con una reazione automatica riducendo il
nostro livello di attenzione, ma anche con una reazione
controllata scegliendo di fare altro per impiegare il tempo,
sempre più lungo, delle interruzioni pubblicitarie. Questi
comportanti sono diventati necessari dal momento che
sembrerebbe esistere una collusione tra le reti per
posizionare i messaggi pubblicitari negli stessi spazi
temporali, in modo da rendere inefficace lo zapping.
Cambiando canale, non è possibile sottrarsi alla pubblicità,
proprio per la contemporaneità della messa in onda di questi
messaggi da parte delle diverse reti. Ecco allora che gli
individui ricorrono al multitasking per sottrarsi all’eccesso di
informazione pubblicitaria.43 Oggi esiste peraltro uno
strumento che aiuta il telespettatore a personalizzare i
contenuti televisivi eliminando la pubblicità. Si tratta del
Digital Video Reconder (DVR); grazie a questo dispositivo è
possibile registrare i programmi televisivi preferiti senza
contenuti pubblicitari per rivedere poi i programmi che
interessano successivamente alla loro messa in onda. Il 35%
delle famiglie americane possiede già un DVR.44 Non si può
escludere che nel prossimo futuro il DVR consenta al
telespettatore di selezionare a priori i messaggi pubblicitari,
per esempio scegliendo le categorie merceologiche che
interessano da un database fornito dalla emittente. Ancora,
non si può escludere che, se il DVR si diffonderà in modo
tale da compromettere la possibilità di raggiungere il target,
le aziende si rendano disponibili a ricompensare i
telespettatori che scelgono di vedere i loro messaggi
pubblicitari. Questi futuri sviluppi contribuiranno a risolvere
il problema dell’eccesso di informazione sostenendo al
contempo l’attenzione del telespettatore che sceglie di
vedere la pubblicità.
Naturalmente, le imprese si sono accorte che l’eccesso di
informazione pubblicitaria ha ridotto il livello di attenzione
del consumatore target; vi è infatti un generale consenso su
una sostanziale riduzione del potere della pubblicità di
definire il senso del consumo. Per ridurre gli effetti
dell’overload informativo, le imprese hanno dunque ibridato
la pubblicità veicolando messaggi attraverso articoli,
redazionali, product placement e programmi radio-televisivi
il cui intento promozionale è nascosto. In una società
postmoderna, i brand diventano partner dei media classici
nella produzione di forme di intrattenimento che sono anche
un veicolo di comunicazione con i propri clienti.
Il fenomeno dell’eccesso della comunicazione pubblicitaria
non riguarda solo i media classici, ma interessa anche i
canali online.
Dieci anni orsono, la pubblicità online sotto forma di
banner cresceva a ritmi molto sostenuti. Le imprese
pagavano somme enormi per comparire nei siti delle
notizie. Ma, man mano che queste comunicazioni
aumentavano di numero, si riduceva l’attenzione del
target. Ora, su 100 messaggi che appaiono sotto forma di
banner, meno di due sono cliccati. I prezzi di questa
forma di comunicazione sono di conseguenza crollati.
Alcune imprese di comunicazione sono ora convinte che
la pubblicità online non genererà mai abbastanza entrate
da supportare un quotidiano.45
Dato che la competizione per l’attenzione pubblicitaria
del consumatore è enorme e in crescita, non è il contenuto
che conta per superare il firing wall del target, ma la
conoscenza dei clienti e la selezione dell’accesso. Non
stupisce dunque il successo della cosiddetta search
advertising, che propone contenuti pubblicitari in funzione
dell’interesse espresso dall’internauta con le sue ricerche. Il
principale attore di questa forma di comunicazione
pubblicitaria è senz’altro Google;46 la quota del mercato
pubblicitario online conquistata negli USA dai motori di
ricerca è passata dall’1% del 2000 al 50% del 2010.
Posto che ciascuno di noi quando visita un sito lascia una
traccia digitale delle preferenze espresse perché un marker
viene inserito a nostra insaputa nel computer,47 questa
conoscenza viene poi riutilizzata attraverso un processo di
retargeting. Il venditore, che conosce il nostro interesse al
suo prodotto per il fatto che abbiamo visitato il sito, compete
con altre imprese per comunicare con noi quando visitiamo,
per esempio, la home page di un quotidiano. Questa nuova
forma di comunicazione viene chiamata “real time bidding” e
consiste nella possibilità per i marketer di acquistare
l’accesso a audience, che hanno espresso in passato un
interesse per il prodotto, attraverso un’asta a cui
partecipano i venditori interessati al nostro profilo. Per
comunicare su Google non è necessario essere grandi
inserzionisti, ma è sufficiente acquistare una parola chiave in
un’asta online in cui l’offerta minima è 0,05$ per clic.48
Cliccate per aprire una pagina web e un’asta automatica
si attiva. Le imprese competono per inserire un proprio
messaggio pubblicitario, sapendo dove apparirà e quale
sarà il profilo dei visitatori dedotto dalle loro tracce
digitali. Il vincitore dell’asta potrà inserire il suo
messaggio, spesso adattandolo al contesto; per esempio
mostrando più auto decappottabili in una giornata di sole.
L’intero processo si svolge in 150 millisecondi, vale a dire
meno della metà di un battito di ciglia.49
Due quinti della pubblicità online è ancora venduta
direttamente con una trattativa bilaterale off line tra
l’editore e l’inserzionista, ma il resto è venduto attraverso un
intermediario digitale, di solito un motore di ricerca, che
gestisce grandi volumi di messaggi a basso costo attraverso
la tecnica del real time bidding. Ciò che interessa
sottolineare del real time bidding è l’efficienza con cui è
stato risolto il problema dell’eccesso di informazione nella
pubblicità online. L’analisi delle tracce digitali dei visitatori
permette di sviluppare una conoscenza dei clienti potenziali
degli inserzionisti, che a loro volta competono per
conquistare il limitato spazio a disposizione nella pagina web
visitata. In questo modo, si riducono da un lato gli sprechi
connessi all’eccesso di informazione e, dall’altro, si può
aumentare il prezzo dello spazio pubblicitario perché cresce
la rilevanza del messaggio per l’utente target. Secondo
Google, che vende spazi pubblicitari attraverso il suo
Doubleclick ad exchange, il retargeting aumenta il click-
through di 5-10 volte.

1 Savater S. (2010), Il coraggio di scegliere, Roma-Bari, Laterza, pp. 12-13.


2 Quando l’economia di mercato cessa di funzionare per effetto di una crisi
macroeconomica, anche la varietà dell’offerta può essere ridotta dalle autorità
politiche. Per evitare il fallimento dello stato, i governi possono infatti
intraprendere la strada del contingentamento del denaro di cui possono
disporre i cittadini, come è successo in Argentina nel 2001 e più recentemente
in Islanda, oppure, possono ricorrere al razionamento dei beni e quindi alla
riduzione della varietà dell’offerta. Anche in assenza di interventi di
razionamento dei beni che sono propri dei tempi di guerra e del dopo guerra,
la riduzione degli stipendi, imposta ai cittadini per fronteggiare la crisi
(Irlanda, Spagna, Grecia), finisce per impattare sulla varietà dell’offerta
perché la domanda si concentra sui prodotti della fascia intermedia e sui primi
prezzi.
3 Schwartz B. (2007), Can there ever be too many flowers blooming?, in
Engaging art: the next great transformation of America’s cultural life, (a cura
di) Tepper S. J. IVey W., New York, Routledge.
4 La dimostrazione di questo assunto verrà fatta più avanti.
5 Franklin Delano Roosevelt sosteneva che “la scelta è il clima morale
dell’America”.
6 “In the United States, public policy trends seem to underscore the conviction
that social welfare can be pursued through the provision and exercise of
choice… policy makers have been granting greater numbers of options in
public good and services under the presumption that with more choice comes
an increasing chance for a better outcome.” Botti S., Iyengar S.S. (2006), “The
dark side of choice: when choice impairs social welfare”, Journal of Pubblic
Policy & Marketing, vol. 25 (1), p. 24.
7 “Although Humans are not irrational, they often need help to make more
accurate judgments and better decisions, and in some cases policies and
institutions can provide that help. These claims may seem innocuous, but they
are in fact quite controversial. As interpreted by the important Chicago School
of Economics, faith in human rationality is closely linked to an ideology in
which it is unnecessary and even immoral to protect people against their
choices. Rational people should be free, and they should be responsible for
take care of themselves. Milton Friedman, the leading figure in that school,
express this view in the title of one of his popular books: Free to Choose. The
assumption that agents are rational provides the intellectual foundation for the
libertarian approach to public policy: do not interfere with the individual’s
right to choose, unless the choices harm others. Libertarian policies are
further bolstered by admiration for the efficiency of markets in allocating
goods to the people who are willing to pay the most for them. […] Freedom is
not a contested value […] For behavioural economist, however, freedom has a
cost, which is borne by individuals who make bad choices, and by a society
that feel obligated to help them.” Kahneman D. (2011), Thinking, fast and
slow, New York, Farrar, Straus and Giroux, Kindle location 7467-71/7486-89.
8 Payne J.J, Bettman J.R., Johnson E. (1993), The adaptive decision maker,
Cambridge, Cambridge University Press.
9 “An Econ would not be susceptible to priming, narrow framing, the inside view
or preference reversals, which humans cannot consistently avoid”, Kahneman
D. (2011), op. cit., Kindle Location 7458-61.
10 Franchi M., Schianchi A. (2011), Scegliere nel tempo di Facebook, Roma,
Carocci editore, pp. 33-48.
11 Cialdini R., Trost M.R., Newsom, J.T. (1995), “Preference for consistency: the
development of a valid measure and the discovery of surprising behavioural
implications”, Journal of personality an Social Psycology, 69 (2), pp. 318-328.
12 Il prezzemolo esalta e valorizza i sapori, ma in dosi massicce diventa velenoso.
13 Con lo sviluppo del digitale, possiamo ora scegliere nel nostro paese tra 260
canali televisivi; ogni settimana, l’entrata di nuovi canali ci costringe a una
nuova ricerca e memorizzazione automatica delle emittenti.
14 Le imprese farmaceutiche americane investono in pubblicità il doppio di
quanto investono in ricerca e sviluppo di nuovi prodotti. Gagnon M.A., Lexchin
J. (2008), “The cost of pushing pills: a new estimate of pharmaceutical
promotion expenditure in the United State”, PLoS Medicine, 3 gennaio.
15 “Dal dottore che, perentorio, diceva: questa è la malattia e questa è la cura,
allo specialista che suggerisce: data questa diagnosi, le propongo due strategie
terapeutiche e le illustro vantaggi e svantaggi di ognuna. Così si può
sintetizzare il passaggio dalla medicina paternalistica a quella di condivisione.
Ma davvero può esistere un rapporto paritetico tra medico e paziente? E
davvero vogliamo sentirci dire che le decisioni toccano a noi?” Corriere della
sera, 18 settembre 2011, p. 56.
16 “Seeking to milk the huge growth in online advertising, a rush of technology
firms have emerge in recent years pitching an array of techniques for buying,
targeting and measuring digital ads. But the raft of newcomers has create a
complex landscape that has left marketers confused. Nearly a dozen
companies, for example, offer an easier way to buy ads on Facebook. La Quinta,
a unit of LQ Management LLC, devotes about half its marketing budget to
digital media and is working with Ignition One to figure out how to measure the
impact, allocate spending and tailor ad messages on search, display, Facebook
and La Quinta’s website. Simplifying the process is likely to spur growth in
digital ad spending, a executives say. Marketers spent $25.8 billion on Internet
ads last year, up 15% from the previous year. The Internet ad market is
expected to grow 11% this year to $28.5 billion, according to research firm
eMarketer.” The Wall Street Journal, Media & Marketing Edition, 6 giugno
2011.
17 Thaler R.H., Sustain C., (2008), Nudge: improving decision about health,
wealth and happiness, New Haven, Yale University Press, Amazon Kindle
location 368-70.
18 “Un’occhiata agli scaffali può inspirare tutta una serie di domande. È meglio la
marmellata con una consistenza più morbida o quella con meno zucchero? La
più cara è anche la più buona? E la marmellata biologica? (Un classico
ipermercato statunitense contiene più di 200 varietà di marmellate e
composte.) I modelli razionali di decision making suggeriscono che, per trovare
il prodotto migliore, dobbiamo tenere conto di tutte queste informazioni e
analizzare con cura le varie marche. In altre parole, una persona dovrebbe
scegliere una marmellata con la sua corteccia prefrontale. Ma questo metodo
può essere controproducente… Se al supermercato pensiamo troppo, possiamo
ingannare noi stessi e scegliere le cose sbagliate per ragioni sbagliate.” Lehrer
J. (2009), Come decidiamo, Torino, Codice Edizioni, pag. 124.
19 Schwartz B. (2009), The Paradox of choice, New York Harper Collins e-books,
Kindle location 1528-33.
20 Per “formato di punto vendita” si intende il prodotto delle imprese
commerciali, che è differenziato in molti aspetti e, in particolare , per
l’estensione dell’assortimento. Per “insegna”, si intende invece la
denominazione con cui la singola impresa commerciale presenta i propri punti
vendita.
21 Per framing si intende la rappresentazione dell’offerta promozionale in termini
di tipologia di sconto.
22 Lugli G. (2009), Marketing distributivo, Torino, UTET, Capitolo 4.
23 Chernev A. (2011), “When More is Less and Less is More: the Psychology of
managing Product Assortments”, GFK Marketing Intelligence, Vol. 3, No.1,
2011.
24 Kahneman, preferisce parlare di sistema 1 e sistema 2, al posto di mente
emotiva e mente cognitiva che è un linguaggio proprio dei neuro scienziati; la
semantica non cambia tuttavia il significato. “System 1 operates automatically
and quickly, with little or no effort and no sense of voluntary control. System 2
allocates attention to the effortful mental activities that demand it, including
complex computations. The operations of System 2 are often associated with
the subjective experience of agency, choice, and concentration.” Kahneman D.
(2011), op. cit., Kindle location 356-60.
25 “System 2 is the only one that can follow rules, compare objects on several
attributes, and make deliberate choices between options. The automatic system
1 does not have these capabilities.” Kahneman D. (2011), op. cit., Kindle
location 644-47.
26 Schwartz B. (2009), op.cit., location 700-705.
27 “Il denaro non è semplicemente un mezzo. È un bene e un fine in sé. O almeno
è trattato così dal nostro cervello. Questo fatto biologico è, come ogni fatto
biologico, il risultato dell’evoluzione, anche se, rispetto agli altri risultati
dell’evoluzione , esso è piuttosto recente nella storia dell’umanità.” Gironde S.
(2010), La neuro economia: come il cervello fa i nostri interessi, Bologna, Il
Mulino, p. 61.
28 Nell’esperimento effettuato da Samuel McClure su Coca Cola – Pepsy Cola, le
preferenze espresse nella degustazione blind non hanno corrisposto alle
preferenze espresse nella degustazione in chiaro; Pepsy è risultata più gradita
nella modalità blind rispetto alla modalità in chiaro. La fMRI ha inoltre
evidenziato l’attivazione di diverse aree del cervello, a seconda della modalità
di degustazione. Nella modalità blind, Pepsy determina una maggior attivazione
delle aree del circuito della ricompensa. Nella modalità in chiaro, Coca Cola
attiva la corteccia prefrontale laterale e l’ippocampo, vale a dire le aree legate
alla mobilitazione dei ricordi e alla evocazione della propria immagine. L’utilità
percepita non dipende dunque solo dall’esperienza sensoriale, ma anche e
soprattutto dal vissuto di marca. McClure S., Li J., Tomlin D., Cypert K.S.,
Montague L.M., Montague P.R., (2004), “Neural correlates of behavioral
preferences for culturally familiar drinks”, Neuron, 44, pp. 379-387.
29 “Damasio mostra che i segnali corporei, somatici, risalgono dalle profondità
del sistema limbico alle regioni della corteccia prefrontale dove si situano le
basi neuronali delle nostre capacità di riflettere e di decidere. In Damasio c’è
dunque , per così dire, l’idea di un contributo dal basso verso l’alto delle
emozioni, che influenzano i processi cognitivi superiori e l’efficacia della presa
di decisione. […] le attività neuronali della corteccia orbito frontale sono ben
differenziate, a seconda che i soggetti provino rammarico o delusione. Solo
l’emozione del rammarico provoca un’attività significativa in quest’area
cerebrale. Ma, fatto ancora più importante, l’attività neuronale legata al
rammarico dipende proprio dallo scarto tra vincita ottenuta ( nella ruota della
fortuna scelta) e vincita non ottenuta ( nella ruota della fortuna scartata). Ci si
può sentire autorizzati ad affermare, come fanno Coricelli e Sirigu, che i
confronti che il soggetto effettua lo portano a regolare i propri stati emozionali.
Gli stati emozionali dipendono qui dall’esercizio delle nostre capacità cognitive.
Da questo elegante esperimento si possono trarre alcune conclusioni filosofiche
e alcuni insegnamenti pratici. Innanzitutto, il rammarico è spesso un’emozione
razionale. Ci permette di migliorare. Ciò in fondo non è scontato.. Dopotutto,
quando abbiamo fatto una cattiva scelta, subiamo le conseguenze di questa
cattiva scelta.” Gironde S. (2010), op. cit., pp. 84-85.
30 Cfr. Lugli G. (2007), Marketing Channel, Torino, UTET, p. 37.
31 Per “premium price” si intende l’incremento del prezzo di vendita rispetto al
costo di produzione e distribuzione , che si può realizzare migliorando la
soddisfazione della clientela manovrando la leva della differenziazione e
dell’innovazione di prodotto.
32 Lovell M. C., (1970), “Product differentiation and market structure”, Western
Economic Journal, n. 8, pp. 137-139. Lancaster K., (1975), “Socially optimal
product differentiation”, American Economic Review, n. 65, pp. 580-585.
Meade J.E., (1974) “The optimal balance between economies of scale and
variety of products: an illustrative model”, Economica, n. 41, pp. 359-367.
White L.J. (1977), “Market structure and product varieties”, American
Economic Review, n. 67, pp. 179-187. Leland H.E. (1977), “Quality choices and
competition”, American Economic Review, n. 67, pp. 135-136.
33 Per dimostrare formalmente questa teoria, si utilizza di solito il grafico a tenda
riportato qui di sotto, dove la linea tratteggiata indica il surplus del produttore
e la linea continua indica il surplus totale, del consumatore e del produttore.

La decisione di produrre la variante C che si colloca a un livello intermedio


rispetto al tipo A e B dipende dai costi incrementali rispetto al profitto
incrementale . In presenza di barriere all’entrata, il produttore di A e B
potrebbero ritenere conveniente introdurre la nuova variante solo se i costi
incrementali sono inferiori al previsto surplus rappresentato da Ta+Tb. Nel
caso invece di assenza di barriere all’entrata, la variante C viene prodotta se i
costi incrementali sono inferiori a Ka+Kb+Ta+Tb in quanto il nuovo entrante
sottrae vendite ai produttori esistenti e in più beneficia anche dell’incremento
delle vendite della categoria. In una situazione di concorrenza monopolistica, è
possibile dunque che si determini una varietà eccessiva in termini di welfare in
quanto il costo della nuova variante resta al di sotto del surplus del produttore
(Ta+Tb) e del cannibalismo (Ka+Kb) , ma supera il surplus totale (∆CSa+
∆CSb). Sherer F.M., (1985), Economia industriale, Milano, Edizioni Unicopli, p.
430-431.
34 Utilizzando un modello di simulazione parziale, Spence ha dimostrato che in
concorrenza monopolistica, l’eccesso di varietà rispetto all’ottimo sociale si
verifica in tutti i casi in cui alti costi fissi sostenuti nel lancio del nuovo prodotto
si combinano con una modesta sostituibilità ( bassa elasticità incrociata della
domanda). Spence M., (1976), “Product differentiation and Welfare”, American
Economic Review, n. 66, p. 407-414.
35 Per distribuzione ponderata si intende la quota di mercato delle insegne
commerciali che hanno deciso di inserire il prodotto nel loro assortimento.
36 Secondo le ultime rilevazioni di SymphonyIRI, nel 2011 sono stati introdotti
1.500 nuovi prodotti di largo consumo, ma solo 291 hanno raggiunto un
fatturato di 50.000 € nel primo anno del lancio. Nel periodo 2002-2011 sono
stati introdotti complessivamente 15.000 nuovi prodotti grocery, ma solo il 2%
ha realizzato più di 50.000€ di vendite nel primo anno del lancio.
37 Fornari D. (2011), Le discontinuità del marketing di filiera, Milano, EGEA, p.
85.
38 “Attraverso le nostre scelte cerchiamo di offrire un’immagine coerente di ciò
che siamo, prima di tutto a noi stessi e poi agli altri. Per questo il tema della
scelta è così intrecciato con quello dell’identità Troviamo noi stessi nell’atto di
scegliere e non solo nel risultato finale della scelta. Scegliamo per scoprire chi
siamo”. Franchi M. , Schianchi A. (2011), op. cit., pp. 68-69.
39 De Biase L., Economia della felicità, Milano, Feltrinelli, 2007; Bartolini S.,
Manifesto per la felicità, Roma, Donzelli, 2010.
40 Schwartz B. (2009), op. cit., location 1476-80.
41 The Economist, 17 giugno 2010, p.57.
42 Simon, H.A. (1971), Informationssysteme fur management-entsheidungen,
Bauwelt 51/52, 32, 301-305.
43 Secondo una ricerca Nielsen, il 40% dei telespettatori usa il tablet o il cellulare
durante la pubblicità.

Fonte: Nielsenwire, ottobre 2011.


44 Fonte: Advertising Age.
45 The economist, 7 maggio 2011, p. 59.
46 La capitalizzazione 2010 di Google ha raggiunto 172 miliardi di dollari.
47 “A Wall Street Journal investigation into online tracking last year found that its
own website dropped 60 digital markers onto a visiting computer” The
Economist, 7 maggio 2011, p. 60.
48 “Oggi, su Google ci sono migliaia di piccoli inserzionisti che non avevano mai
fatto pubblicità prima. Grazie al modello self service, al rendimento misurabile,
al basso costo d’accesso e alla possibilità di cambiare e migliorare
costantemente la pubblicità, gli inserzionisti si stanno lanciando a frotte in quel
mercato. […] Le dieci parole più digitate corrispondono al 3% di tutte le
ricerche. Il resto è ripartito tra decine di milioni di altri termini. Google ha
capito che ognuno di questi termini unici equivale a un’opportunità
pubblicitaria altrettanto unica: decine di milioni di espressioni di interessi e
intenzioni, ciascuna delle quali poteva diventare un’opportunità pubblicitaria
estremamente mirata.” Anderson C. (2007), op. cit., p. 214.
49 The economist, 7 maggio 2011, p. 59.
Determinanti
dell’estensione
del campo di scelta

L’espansione della scelta declinata per


3.1
formato di punto vendita
Occorre innanzitutto premettere che il fenomeno
dell’eccesso di scelta non riguarda le categorie, ma le
marche e le referenze in cui si articola l’offerta delle singole
categorie merceologiche. Mentre l’aumento delle categorie
merceologiche trattate dal punto vendita è sempre positivo
perché contribuisce a sostenere il sell out e la marginalità
del distributore soddisfacendo la domanda di concentrazione
degli acquisti del consumatore, l’espansione della scelta
all’interno della categoria merceologica può avere
conseguenze negative sia per il venditore che per
l’acquirente.
L’analisi dell’eccesso di varietà nell’acquisto non può
essere fatta in assoluto, ma deve tener conto del contesto
della scelta; cosa che si può comprendere anche
confrontando l’estensione dell’offerta di categoria in diversi
formati di punto vendita. Non si può infatti affermare che
l’assortimento di una data categoria è troppo esteso
nell’ipermercato rispetto al supermercato perché la
domanda di varietà è differenziata per formato di punto
vendita in relazione alla diversa frequenza di acquisto dei
clienti. Quando acquistiamo per un consumo più o meno
immediato, scegliamo la marca preferita sulla base
dell’utilità sperimentata e ricordata. Quando invece
acquistiamo per un consumo più distribuito nel tempo, non
scegliamo più confezioni della marca preferita ma più
marche in quanto prevediamo, erroneamente, che ci
stancheremo del solito prodotto e desidereremo cambiare. I
formati di punto vendita che si rivolgono a clienti con bassa
frequenza di acquisto devono quindi avere un assortimento
di categoria più esteso in ampiezza e profondità perché la
domanda di varietà è una funzione inversa della frequenza di
acquisto.
La presenza di un choice oveload effect nel grocery
sembrerebbe inoltre in contraddizione con la realtà
operativa; lo scontrino medio di un ipermercato è infatti
molto più alto dello scontrino medio di un supermercato
(30,50 € contro 19,17 €).1 Posto che l’ipermercato offre
molta più scelta del supermercato, si potrebbe dedurre
infatti che non è vero che l’ampiezza e la profondità della
scelta sono inversamente legate alla propensione all’acquisto
dal momento che vi è una rilevante differenza di scontrino
tra i due formati di punto vendita. Bisogna tuttavia
respingere queste valutazioni semplicistiche perché la realtà
del nostro comportamento è molto più complessa e spesso
contro intuitiva. Il cognitive load, vale a dire lo sforzo
cerebrale richiesto dall’acquisto, varia a seconda del formato
di punto vendita. È noto che il comportamento dell’uomo si
adatta all’ambiente in cui si trova. Secondo il premio Nobel
per l'economia Herbert Simon, la complessità del
comportamento umano è un riflesso della complessità
dell’ambiente in cui l’uomo stesso vive. Questa idea
innovativa ci può aiutare a comprendere meglio il
comportamento di acquisto, per esempio individuando il
rapporto tra le euristiche di acquisto e l’ambiente espresso
dal formato di punto vendita. Ci aspettiamo innanzitutto che
il processo di scelta del consumatore che si trova all’interno
di un ipermercato di un supermercato o di un discount, sia
sostanzialmente differente. La cosa è tanto più rilevante dal
momento che i consumatori che scelgono di fare la spesa
all’ipermercato non sono necessariamente diversi da quelli
che acquistano al supermercato o al discount. L’incidenza
dei consumatori che acquistano presso diversi formati per
sfruttare le opportunità promozionali, ovvero per soddisfare
diverse esigenze di acquisto in relazione a prodotti più o
meno stoccabili, implica un adattamento del processo di
acquisto di uno stesso individuo al diverso contesto della
scelta nei vari formati di punto vendita.
Maggiore è la complessità dell’ambiente in relazione alla
dimensione del punto vendita e al numero delle alternative
offerte per categoria di acquisto, più complesso sarà di
conseguenza il comportamento del consumatore. In
letteratura si dà per scontato che l’aumento della
dimensione dell’assortimento, così come la presenza di
alternative caratterizzate da attributi negativamente
correlati, aumentino la complessità della scelta e per ciò
stesso il tempo richiesto per completare il processo di
acquisto. Sul piano empirico, l’unica relazione fino a ora
individuata tra complessità della scelta e comportamento di
acquisto è tuttavia solo la percezione del tempo impiegato,
che si riduce in relazione all’aumento della dimensione
dell’assortimento.2 Noi formuliamo invece l’ipotesi che il
tempo effettivo impiegato per l’acquisto non sia
direttamente e proporzionalmente legato alla dimensione
dell’assortimento. Infatti, se rapportassimo il tempo
impiegato nel fare la spesa al numero di referenze acquistate
nei tre formati citati e a parità di categorie trattate,
riscontreremmo probabilmente che non esiste una
sostanziale differenza o, quantomeno, che il tempo medio
per referenza acquistata non aumenta in sintonia con
l’aumentare della dimensione dell’assortimento.3 Questo
risultato sarebbe un segno evidente dell’adattamento del
processo di acquisto al formato di punto vendita;
all’aumentare della complessità dell’ambiente, il
consumatore elabora delle euristiche di acquisto che gli
consentono di migliorare l’efficienza nell’uso del tempo.
Quali siano queste euristiche e come possano essere
sfruttate in chiave di marketing dalle imprese industriali e
commerciali è un tema di ricerca ancora da esplorare. È
inoltre presumibile che l’adattamento all’ambiente non
riguardi solo la mente cognitiva, ma coinvolga anche e
soprattutto la mente emotiva. Il consumatore multichannel4
matura infatti un’esperienza di acquisto associata al formato
di punto vendita, che si traduce in comportamenti automatici
attivati dalla mente emotiva. Quali siano questi
comportamenti automatici e come possano essere sfruttati in
chiave di marketing dalle imprese industriali e commerciali è
un’altra area di ricerca ancora da dissodare.
La complessità del contesto è in aumento non solo per
effetto della continua estensione dell’assortimento e del
connesso choice oveload, ma anche per la crescita dei
compiti svolti dal consumatore nel punto vendita. Alcuni
esempi serviranno a chiarire meglio questo concetto. Il fatto
che il consumatore non si limiti a comprare quando si trova
nel punto vendita, ma sostituisca il personale dipendente in
alcuni aspetti della produzione del servizio e assuma quindi
il ruolo di working shopper, si ripercuote sul suo processo di
scelta. Il consumatore che usa il mobile self scanning,
sostituendo così il personale dell’insegna nella funzione di
price look up, ha un ritorno nel minor tempo che impiega per
fare la spesa. Il consumatore che riceve promozioni mirate
sul self scanner, risponde al telefono e ai messaggi della
radio di punto vendita, deve svolgere più compiti che
finiscono per condizionarsi a vicenda. Lo stesso si può dire
per il consumatore che, invece di acquistare l’ortofrutta a
libero servizio, sceglie direttamente i prodotti, che poi pesa e
prezza per governare meglio la selezione della quantità e
della qualità. Infine, l’accesso interattivo alle informazioni di
prodotto in punto vendita,5 che può essere considerato come
una nuova frontiera del multitasking nello shopping,
rappresenta l’ultimo esempio di sottovalutazione
dell’overload cognitivo e delle implicazioni di questo eccesso
di informazioni sul processo di scelta. Lo shopper
multitasker acquista in modo sostanzialmente diverso dal
consumatore focalizzato sul solo acquisto. Il multitasking
riduce la produttività nella valutazione cognitiva delle
alternative disponibili. La nostra corteccia prefrontale è
infatti disegnata per affrontare un problema alla volta e,
quando ci poniamo un problema aggiuntivo prima di aver
risolto il precedente, la nostra mente deve decidere lo
spostamento di focus; il che implica maggior tempo e una
minor efficacia nello svolgimento dei singoli compiti.
I pubblicitari parlano continuamente di ingaggiare i
consumatori e, quindi, sono molto interessati al
potenziale di interattività offerto dalle tecnologie digitali.
JCDecaux, per esempio, offre gratuitamente
un’applicazione i-Phone chiamata U snap: quando un
consumatore vede un manifesto o qualcosa che attrae la
sua attenzione e lo fotografa, l’applicazione fornisce
informazioni oltre a buoni sconto e l’indicazione del
distributore più vicino alla sua attuale posizione.6
Il signor Duke afferma che la sua impresa vuole diventare
leader nel commercio online ed è interessata a tutte le
nuove tecnologie che impattano sul comportamento di
acquisto. Egli aggiunge poi che i consumatori usano il
cellulare nei suoi punti vendita per confrontare i prezzi di
diversi negozi; ciò che favorisce l’approccio low-cost di
Wal-Mart.7
In un recente studio neurologico, i soggetti a cui è stato
chiesto di svolgere compiti in parallelo hanno impiegato il
30% di tempo in più rispetto ai soggetti a cui è stato chiesto
di svolgere gli stessi compiti in serie.8 Ciò premesso,
possiamo suggerire l’ipotesi che lo sviluppo del
prosumerismo negli acquisti, vale a dire il coinvolgimento
del consumatore nella produzione del servizio commerciale,
finisca per ridurre la componente cognitiva a vantaggio della
componente emotiva nelle nostre scelte. Il rinforzo emotivo e
la riduzione della produttività nel processo di acquisto che
discendono dal multitasking, ovvero dallo sviluppo del
prosumerismo nell’acquisto, sono circostanze che possono
essere opportunamente sfruttate nel marketing distributivo.
Abbiamo parlato della possibilità che il comportamento di
acquisto si adatti al contesto, ma oggi è possibile anche la
personalizzazione dell’ambiente di vendita rispetto alle
caratteristiche dello shopper, vale a dire un adattamento
inverso rispetto a quello immaginato dalla psicologia e dalla
economia comportamentale. Le nuove tecnologie permettono
infatti di riconoscere lo shopper e di adattare la
comunicazione in punto vendita al genere, all’età e perfino
allo stato emotivo dell’individuo.
Ci sarà dunque una pubblicità felice e una pubblicità
triste; un’idea che ha un suono sinistro e che consiste
nell’incorporare una telecamera nei manifesti. La
telecamera è collegata a un software capace di leggere le
espressioni facciali dei passanti e di cambiare di
conseguenza il messaggio pubblicitario. Questa
tecnologia accoppia i movimenti degli occhi e della bocca
a sei modelli espressivi: felicità, rabbia, tristezza, paura,
sorpresa e disgusto. Una persona che sembra infelice
viene ricompensata con una pubblicità che mostra una
spiaggia assolata o una gustosa barretta di cioccolato,
mentre coloro che mostrano un aspetto ansioso
potrebbero essere tranquillizzati (si potrebbe anche dire
sfruttati) con la pubblicità di una assicurazione.9

3.2 Politica assortimentale ed eccesso di varietà


Delle due possibili fonti dell’eccesso di scelta, vale a dire le
imprese esistenti che applicano una preemptive strategy10 e
i nuovi entranti che puntano sulla differenziazione per
conquistarsi un posto nel mercato, è difficile individuare chi
abbia un ruolo preponderante. Infatti, se consideriamo le
barriere distributive all’entrata e il costo dell’entrata, il
leader di categoria è favorito nel lancio di nuovi prodotti.
D’altra parte, però, se consideriamo la propensione delle
insegne a ridurre la loro dipendenza dal fornitore leader di
categoria e, nello stesso tempo, se confrontiamo il peso in
numerica col peso in ponderata delle marche leader e
follower, ci accorgiamo che queste ultime si caratterizzano
per un maggior affollamento di referenze e rappresentano
quindi il driver dell’eccesso di scelta (si veda la Tabella 3.1).
Non è un caso dunque che l’eccesso di varietà raggiunga
livelli più consistenti proprio in USA, dove le barriere
all’entrata sono minori e il turnover delle imprese è più
consistente rispetto al contesto europeo. Non possiamo
parimenti escludere che in quel Paese l’eccesso di varietà sia
riconducibile in qualche misura anche alle caratteristiche del
consumatore americano, più orientato alla profondità
dell’assortimento di categoria rispetto al consumatore
europeo. Le componenti di offerta e di domanda si
combinano infatti in modo tale che un punto vendita
americano tratta il doppio di referenze rispetto a un punto
vendita europeo, a parità di superficie.11 Il maggior numero
di referenze si traduce in una minor rotazione e, quindi, in
maggiori costi; i punti vendita americani operano infatti con
un margine medio di punto vendita che supera di 5 punti il
margine medio dei punti vendita europei di analoga
superficie.
Se confrontiamo poi il peso in numerica col peso in
ponderata delle marche commerciali, riscontriamo una
“carenza” di referenze in quest’ultime. Che il fenomeno del
choice overload non riguardi il branding distributivo è del
tutto normale visto che il fattore prevalente della
differenziazione del branding distributivo è la convenienza di
prezzo; questo carattere può essere declinato infatti in un
minor numero di varianti rispetto agli altri benefici ricercati
dal consumatore. In genere, la marca commerciale viene
sviluppata nei segmenti di consumo più richiesti e si
confronta col leader industriale di categoria proponendo gli
stessi benefici ricercati dal consumatore, ma a un minor
prezzo. Se infine si tiene conto che i distributori non
investono di norma in ricerca e sviluppo (R&D) e, quindi, non
innovano il prodotto, si può ben capire il minor numero di
referenze con cui viene proposta la marca commerciale.
Tabella 3.1 Quota in numerica e in valore di 32 categorie negli USA
Quota referenze Quota di vendita a valore
Marche industriali leader di categoria 50,1 49,4
Marche industriali follower di categoria 29,7 21,3
Marche commerciali 10 21,8

Fonte: Nielsen, 2009.

La maggior responsabilità dell’eccesso di varietà può


essere attribuita ai nuovi entranti non solo per la maggior
incidenza in numerica rispetto alla ponderata delle marche
follower (Tabella 3.1), ma anche per il disincentivo antitrust
alle marche leader in posizione di dominanza che volessero
sostenere la penetrazione delle nuove varianti con politiche
di portafoglio. Gli sconti assortimento concessi da un
fornitore in posizione di dominanza sono infatti considerati
un abuso di potere e per questo sanzionati dalla
Commissione Europea.12 Soprattutto, bisogna tener presente
che nuovo entrante non significa nuova impresa. Un’impresa
market leader in una o più categorie può infatti sfruttare la
sua posizione per entrare in nuove categorie capitalizzando
la relazione coi distributori e applicando politiche di
portafoglio cross category.
L’effetto negativo dell’aumento della scelta sui costi è poi
potenziato dall’ampia fascia oraria di apertura dei punti
vendita. L’ampliamento della fascia oraria rappresenta un
altro modo in cui si esprime l’eccesso di scelta, in questo
caso del tempo in cui è possibile fare la spesa.13 La maggior
scelta è dunque pagata dal consumatore con un maggior
prezzo del servizio. Se poi si considera che i contributi di
trade marketing offerti dall’industria per entrare in
assortimento sono almeno in parte trasferiti sul listino, il
consumatore finisce per pagare due volte la maggior scelta;
il prezzo al consumo contiene infatti sia i maggiori costi
distributivi suscitati dall’abbassamento della rotazione
media che l’aumento del listino generato dagli sconti
assortimento e dai premi di referenziamento.
Qualunque sia l’origine della proliferazione delle
alternative, non bisogna dimenticare che la libertà di scelta è
il fondamento su cui si regge l’economia di mercato e il
funzionamento della concorrenza; l’innovazione di prodotto
che alimenta la varietà dell’offerta è infatti considerata una
delle componenti più importanti della crescita e del
benessere. Dunque, parlare di “eccesso di varietà” non
significa mettere in discussione gli automatismi
dell’economia di mercato, ma solo prendere atto che una
cosa buona può diventare cattiva se offerta in quantità
troppo elevate.
Nei punti vendita GDO, l’estensione dell’assortimento di
categoria è eccessiva in tutte e tre le dimensioni in cui la
possiamo declinare, vale a dire:
› il numero dei segmenti in cui si articola la differenziazione
industriale del prodotto;14
› il numero delle marche trattate, che esprime l’ampiezza
dell’assortimento di categoria;
› il numero di referenze per marca trattata, che esprime la
profondità dell’assortimento di categoria.
L’estensione della scelta equivale all’aumento delle
opzioni di acquisto. L’opzione ha un valore economico
fintanto che non viene esercitata; ne consegue che, sul piano
cognitivo, il beneficio dell’acquisto deve essere nettizzato
togliendo il valore delle opzioni perse. In altri termini, più
ampia è la scelta e più numerose sono le opzioni che si
perdono nel momento in cui si decide l’acquisto. Il rinvio
dell’acquisto può essere dunque frutto di un intervento della
mente cognitiva volto a massimizzare il valore delle opzioni;
detto in altri termini, occorre ridurre le opzioni per
sostenere l’orientamento cognitivo all’ acquisto. La teoria
della massimizzazione delle opzioni reali per spiegare la
riluttanza all’acquisto15 si basa tuttavia sul presupposto che
l’acquisto possa essere rinviato in quanto non urgente; può
riguardare dunque la sostituzione di beni durevoli, ma non i
prodotti grocery e i prodotti di moda. Sempre sul piano
cognitivo, secondo Schwartz et al.16 l’aumento delle
alternative di acquisto genera insoddisfazione perché:
› il consumatore deve impegnare maggiormente la mente
consapevole per ricercare informazioni atte a valutare le
diverse alternative;
› si innalza la soglia oltre la quale una scelta è considerata
accettabile;
› aumenta la percezione di responsabilità personale per gli
errori di scelta.
Sul piano emotivo poi, l’ampliamento della scelta crea
insoddisfazione perché aumenta il potenziale di rammarico.
Il rammarico è una emozione negativa indotta dalla mente
consapevole che si interroga sulla maggior soddisfazione che
avremmo provato se avessimo fatto una scelta diversa. Il
rammarico è la sensazione negativa che proviamo quando ci
viene il dubbio di aver fatto la scelta sbagliata. Questa
“euristica della simulazione”17 non è necessariamente legata
ai risultati negativi dell’alternativa scelta, in quanto la nostra
mente consapevole si aspetta che un miglioramento sia
sempre possibile. La propensione alla minimizzazione del
rammarico è un’altra chiave di lettura importante del
comportamento di acquisto. Molti soggetti tendono infatti a
scegliere prodotti che si posizionano al centro della scala
prezzi proprio per minimizzare il rammarico associato alle
scelte estreme, che implicano una rinuncia sul piano dei
benefici ricercati o della convenienza di prezzo.
Analogamente, il rinvio dell’acquisto o il non acquisto
possono essere motivati dalla propensione a minimizzare il
rammarico potenziale, che aumenta in rapporto
all’ampliamento del campo di scelta. Con l’estensione
dell’assortimento aumenta la responsabilità dell’acquirente e
la connessa possibilità di provare rammarico per le
alternative scartate senza disporre di adeguati elementi di
valutazione.18 La minimizzazione del rammarico può essere
dunque il driver sia dell’acquisto che del non acquisto, in
diversi contesti espressi dalla rinviabilità/urgenza della
scelta.
Con il continuo aumento del numero di opzioni, è
pressoché impossibile fare un’analisi esaustiva delle
alternative disponibili. La consapevolezza che ci possa
essere un’alternativa migliore di quella eventualmente
selezionata ci può portare ad anticipare il rammarico che
avvertiremo successivamente, quando tale opzione sarà
scoperta, scoraggiando di conseguenza l’acquisto.
Quando la scelta è complessa, in quanto non esiste
un’alternativa migliore in tutti i benefici ricercati, le
persone sono indotte a considerare i costi di opportunità
associati all’alternativa scelta. Maggiore è il numero di
opzioni e più probabile sarà la presenza di trade off. I
costi di opportunità crescono dunque in sintonia con
l’aumento del numero delle opzioni e così pure il
rammarico.19
Se identifichiamo la soddisfazione nell’acquisto come la
differenza tra benefici e costi della scelta, è concepibile che i
costi crescano di più dei benefici all’aumentare della scelta
e, di conseguenza, l’assortimento ottimale si potrebbe
collocare in una posizione intermedia rispetto a una campo
di variazione molto alto come quello che separa
l’assortimento dell’hard discount e l’assortimento
dell’ipermercato.20
Fino a ora abbiamo parlato della responsabilità delle
aziende industriali nel determinare l’espansione della scelta
attraverso le politiche di innovazione e differenziazione dei
prodotti. L’eccesso di scelta non potrebbe tuttavia
manifestarsi se i distributori svolgessero con maggior
incisività il loro ruolo di selezione dell’offerta industriale per
conto del consumatore. Come mai le insegne grocery
accettano di inserire nei loro assortimenti nuove referenze in
numero sensibilmente maggiore rispetto alle referenze che
estromettono per non aver raggiunto la rotazione minima
fissata come obiettivo?
Le motivazioni che hanno indotto i distributori a
estendere continuamente il loro assortimento di categoria
non sono riconducibili a una richiesta di maggior scelta da
parte del consumatore e, del pari, non sono neanche
inquadrabili nelle azioni di marketing volte a conquistare
nuovi clienti e fidelizzare i clienti abituali. Questa
affermazione può sembrare singolare dal momento che se si
chiede ai consumatori cosa preferiscono, maggiore o minor
scelta, la risposta è cognitivamente orientata verso la
maggior scelta. Analogamente, tutte le insegne considerano
la politica assortimentale come una leva di marketing da
manovrare per attrarre e fidelizzare la clientela. Tuttavia,
esistono numerose evidenze empiriche che supportano la
nostra tesi. Dal panel consumer che realizziamo per conto di
COOP Estense è emerso infatti che le migrazioni della
clientela generate dalla differenziazione assortimentale sono
modeste e, comunque, interessano solo il commercio
tradizionale che riesce a offrire e a far percepire un più alto
livello qualitativo nelle categorie del fresco e del
freschissimo.
Solo il 19,3% dei soci COOP non frequenta i formati
tradizionali. L’80,7% dei soci COOP che integrano i loro
acquisti visitando formati tradizionali (Figura 3.1), lo fanno
principalmente per motivi di assortimento (47,9%) o di
comodità (37,3%).
Viceversa, l’infedeltà verso altre insegne di ipermercati e
supermercati non è attribuibile a differenze assortimentali,
ma ad altri elementi del retail mix. Ne deriva che
l’assortimento svolge un ruolo importante come leva del
marketing distributivo solo nella competizione con i formati
tradizionali (intertype competition) e il discount. Se il 20,6%
(Figura 3.2) dei soci alto-medio spendenti21 non effettua
acquisti presso insegne rivali della COOP ed è quindi
pienamente fedele all’insegna; dei consumatori restanti:

Figura 3.1 Formati tradizionali – Driver delle migrazioni (% soci)


Fonte: “La coop come vuoi tu”, panel 2011 di COOP Estense
Figura 3.2 Insegne – Driver delle migrazioni (% soci)
Fonte: “La coop come vuoi tu”, panel 2011 di COOP Estense

› il 31,1 % si rivolge anche ad altre insegne per ragioni di


comodità;
› il 46,1% è occasionalmente attratto dai prezzi promozionali
delle altre insegne;
› il 20,9% migra occasionalmente verso altre insegne a causa
di carenze ravvisate nell’assortimento COOP.
In conclusione, la leva assortimentale non sembra
svolgere un ruolo importante nell’attrazione della clientela.
Ad analoghe conclusioni si può arrivare per il mercato
americano dove, secondo una ricerca McKinsey, solo il 12%
dei consumatori considera l’assortimento per decidere dove
fare la spesa (Figura 3.3).
Non solo l’assortimento non può essere manovrato in
maniera aggressiva per creare traffico al punto vendita, ma
anche l’obiettivo della fidelizzazione della clientela è
difficilmente perseguibile con questa leva. In una recente
ricerca sulle determinanti della fedeltà alle insegne grocery,
è stato infatti riscontrato che l’assortimento si posiziona al
terzo posto dopo la qualità del servizio e il pricing.22 Nella
stessa ricerca si sostiene poi, in apparente contraddizione
con il citato ranking della leva, che la differenziazione
dell’assortimento, realizzato offrendo prodotti non reperibili
presso i competitor, servirebbe a sostenere la fiducia e
quindi la fedeltà della clientela.

Figura 3.3 Survey of 6,000 US consumer of >1,100 items across 20 retailers


Fonte: McKinsey Quarterly, n. 4, 2010, pag. 7.

La nostra valutazione della realtà di mercato è


sostanzialmente diversa. Delle tre leve manovrabili per
differenziare l’assortimento, solo la prima, l’offerta di
prodotti freschi e tipici di qualità superiore, non reperibili
presso altre insegne, può essere un driver di fiducia e
fedeltà. La seconda leva, vale a dire l’offerta di prodotti di
marca commerciale con un rapporto prezzo-qualità
attraente, può infatti contribuire alla fidelizzazione della
clientela, ma si tratta solo di uno dei tanti obiettivi del
branding distributivo e, peraltro, di un obiettivo che assume
diversa consistenza nelle diverse categorie merceologiche.
Infine, la terza leva di differenziazione dell’assortimento,
l’offerta di marche in esclusiva territoriale, non contribuisce
per nulla alla fidelizzazione della clientela. Trattasi infatti di
prodotti a bassissima penetrazione che l’insegna inserisce in
assortimento per beneficiare dei contributi dei fornitori e
ridurre la trasparenza dell’offerta rispetto ai competitor, con
la conseguente possibilità di aumentare i gradi di libertà nel
pricing. Minore è la sovrapposizione dell’offerta e minore è
infatti la trasparenza del prezzo medio dell’assortimento.
Posto che il primo 10% delle referenze trattate rappresenta
l’85,7% delle vendite (Figura 3.4), non si può certo pensare
che sul restante 14,3% delle vendite si possa costruire un
vantaggio competitivo per l’insegna.
Consideriamo che il consumatore acquista solo una
piccolissima parte dell’assortimento e che decide gran parte
dei suoi acquisti all’interno del punto vendita, dove scopre le
diverse alternative e risponde alle offerte dell’insegna.
Possiamo dedurre che la differenziazione dell’assortimento
che incide eventualmente sulla fedeltà all’insegna riguarda i
prodotti ad acquisto programmato. Siccome l’acquisto
programmato concerne di norma i prodotti di marca leader
che l’insegna non può non trattare, di nuovo la
differenziazione dell’assortimento appare come una leva che
impatta poco sulla fidelizzazione della clientela. Ma,
ammettiamo pure per ipotesi che un consumatore trovi i
prodotti che cerca in maggior misura, con maggior
frequenza e continuità, nell’insegna A rispetto all’insegna B;
questo significa che il consumatore sarà, ceteris paribus,
portato a fidelizzarsi all’insegna A? Secondo numerosi
esperimenti psicologici, le nostre decisioni sono influenzate
dalla memoria che, a sua volta, non dipende dalla continuità
dell’esperienza positiva/negativa, ma dal singolo episodio in
cui abbiamo raggiunto la massima
soddisfazione/insoddisfazione. È l’intensità, non la durata,
che determina la salienza dell’esperienza al fine della sua
memorizzazione.
I gusti e le decisioni sono influenzati dalle memorie, e le
memorie possono sbagliare. L’evidenza sperimentale ha
falsificato l’ipotesi secondo cui le persone hanno
preferenze coerenti e sanno come orientare di
conseguenza il loro comportamento; ciò che rappresenta
una pietra miliare del modello dell’agente razionale.
L’incoerenza è costruita dentro la nostra mente. Abbiamo
forti preferenze sulla durata delle nostre esperienze di
piacere e sofferenza. Vogliamo che la pena duri poco e il
piaceri duri molto. Ma la nostra memoria, che è una
funzione della mente emotiva, si è evoluta per
rappresentare il momento di maggior intensità di un
episodio di piacere o dolore, che è quello che viene
ricordato quando l’esperienza cessa. Una memoria che
trascura la durata dell’esperienza non ci aiuta a
realizzare la nostra preferenza per un piacere prolungato
e una sofferenza breve.23
Il tempo non conta nei nostri giudizi e scelte, che
discendono dal remembering self piuttosto che dallo
experiencing self.24
Sebbene in letteratura si sostenga la maggior attrattività
degli assortimenti estesi rispetto agli assortimenti asciutti,25
la nostra esperienza di ricerca ci suggerisce cautela anche a
questo proposito. Nessuna insegna può infatti pensare di
aumentare l’ampiezza e la profondità dell’assortimento di
categoria unicamente per sottrarre clienti al competitor di
riferimento. L’eccessiva estensione dell’assortimento può
essere un buon motivo per scegliere di fare la spesa presso
insegne che si orientano in direzione opposta; non conviene
dunque offrire prodotti di nicchia per soddisfare pochi se con
questo comportamento si finisce per scontentare molti. La
teoria della maggior attrattività degli assortimenti
relativamente estesi, e la connessa valenza competitiva di
questa leva di marketing, può essere opportunamente
rivisitata in quanto:
Figura 3.4 La concentrazione delle referenze
Fonte: Nielsen Trade'Mis – Iper + SUper+ Libero Servizio Anno 2010

› per azzerare l’impatto degli altri elementi della


differenziazione del prodotto commerciale, l’analisi
dovrebbe essere fatta all’interno di uno stesso formato di
punto vendita;
› per considerare la rilevanza dell’assortimento ai fini della
scelta del punto vendita, non si dovrebbero considerare
singole categorie, ma l’insieme delle categorie offerte dai
punti vendita di uno stesso formato distributivo, perché in
questo caso la maggior estensione dell’assortimento di una
categoria può essere compensata dalla minor estensione
dell’assortimento di un’altra categoria;
› per valutare infine l’importanza dell’estensione
dell’assortimento come leva di marketing, si dovrebbe
considerare la capacità del consumatore di comparare le
diverse insegne sotto questo profilo e, nello stesso tempo,
occorrerebbe posizionare l’assortimento tra le diverse
variabili che il consumatore considera quando decide il
punto vendita dove fare la spesa.
L’ampiezza e la profondità degli assortimenti è in
rilevante aumento sia negli ipermercati che nei
supermercati. Questo fenomeno, che non è solo italiano,26 è
sorprendente anche perché si manifesta in un periodo di
forte riduzione della propensione al consumo, di aumento
della sensibilità al prezzo e di aumento del costo di
opportunità del tempo dedicato agli acquisti banali. Per
comprendere queste apparenti contraddizioni, occorre tener
presente che, ampliando e approfondendo l’assortimento di
categoria, è possibile da un lato massimizzare i contributi dei
fornitori (listing fees) e, dall’altro, trasferire sul consumatore
l’onere dell’analisi e della selezione dell’offerta. In più,
questo comportamento, se uniforme, finisce per sterilizzare
sul piano competitivo una leva del marketing distributivo;
infatti, se tutti i retailer offrono tutto, l’assortimento non è
più un elemento discriminante per la scelta dell’insegna e
del punto vendita da parte del consumatore. Questo
comportamento è singolare perché dura da molti anni ed
esprime in sostanza una rinuncia del distributore grocery a
svolgere un compito fondamentale: la preselezione
dell’offerta per conto del consumatore, per facilitare e
velocizzare la sua scelta. In un mercato che funziona bene,
queste devianze vengono prima o poi corrette dai
meccanismi competitivi, come si sta puntualmente
verificando sia negli USA che in Europa. L’espansione
dell’assortimento si traduce in una riduzione del tasso di
rotazione e, quindi, in maggiori costi che devono essere
trasferiti nel prezzo; del pari, l’espansione degli assortimenti
è contrassegnata da un aumento dei prezzi di listino per
coprire almeno in parte i listing fee che i produttori pagano
per inserire nuove referenze: ciò spinge ulteriormente al
rialzo il prezzo al consumo. Se a questo si aggiunge che
l’espansione dell’assortimento aumenta la difficoltà della
scelta e il tempo di acquisto per un consumatore che, al
contrario, vuole dedicare sempre meno tempo agli acquisti
di routine, si può comprendere uno dei motivi fondamentali
della crescita del discount a scapito degli altri formati
distributivi e, in particolare, dell’ipermercato dove i
fenomeni qui discussi hanno una particolare ampiezza.
Prezzi bassi, ma anche velocità di spesa e contenimento
dello scontrino per la eliminazione degli acquisti d’impulso,
sono i fattori che stanno sostenendo la crescita del discount
in tutto il mondo (Tabella 3.2). Posto che le conseguenze
dell’eccesso di scelta non sono uniformi, ma interessano
maggiormente alcuni segmenti di clientela, è questa
componente della domanda che viene maggiormente attratta
dal discount.
Tabella 3.2 Il peso numerico del discount in alcuni paesi
MQ Numero Media
FRANCIA
Cash & Carry market 814.633 233 3.496
Discount 3.477.318 4.740 734
Drugstore 53.532 348 154
Hypermarket 10.249.790 1.894 5.412
Supermercato 7.366.668 5.668 1.300
Superette 1.202.766 5.901 204
TOT 23.164.707 18.784 1.233
MQ Numero Media
ITALIA
Cash&Carry 1.665.895 435 3.830
Discount 2.579.661 4.394 587
Ipermercato 4.173.039 841 4.962
Libero Servizio 3.107.012 15.430 201
Supermercato 7.174.961 8.346 860
TOT 18.700.568 29.446 635
MQ Numero Media
GERMANIA
Cash & Carry market 2.306.061 395 5.838
Discount 12.339.391 16.371 754
Drugstore 81.870 939 87
Hypermarket 5.205.602 709 7.342
Drugstore market 3.819.884 11.105 344
Superette 1.056.344 7.027 150
Supermarket 2.044.040 3.496 585
Supermarket large 8.445.154 3.556 2.375
Supermarket middle 5.059.002 4.566 1.108
TOT 40.357.348 48.164 838

Fonte: Nielsen 2011.


Se da un lato l’estensione dell’assortimento non può
essere adeguatamente spiegata nel quadro della
competizione tra insegne di ipermercati e supermercati,
dall’altro, può trovare una buona spiegazione nelle politiche
di penetrazione distributiva dei produttori industriali. Posto
che le insegne competono su due fronti, per la conquista e la
fidelizzazione del consumatore così come per la
massimizzazione dei contributi di trade marketing
dell’industria, le scelte assortimentali sono sostanzialmente
influenzate dal rapporto di canale. Ora, se il vantaggio
competitivo conseguito sul mercato intermedio fosse
indipendente dal vantaggio competitivo sul mercato finale,
non sorgerebbero problemi. Ma così non è. Aumentare
l’estensione dell’assortimento per massimizzare i contributi
di trade marketing dell’industria può avere infatti riflessi
negativi sul mercato finale. I contributi offerti dall’industria
per inserire marche poco richieste, ovvero per estendere la
copertura in termini di segmenti di consumo e formati di una
marca già trattata, dovrebbero essere infatti confrontati con
gli oneri generati dall’eccesso di scelta. Si deve in altri
termini respingere la tradizionale idea secondo cui, quanto
maggiore è la scelta tanto più ampia è la soddisfazione
potenziale del consumatore, dal momento che ciascuno può
trovare un prodotto specifico per le sue esigenze
indipendentemente dalla consistenza del segmento di
appartenenza. Questa idea si fonda a sua volta sull’assunto
di razionalità nelle scelte di acquisto.27 Infatti, se prima di
decidere analizzassimo tutte le alternative sulla base delle
informazioni disponibili e di processi logici, aumentando il
numero delle alternative crescerebbe anche la probabilità
che nell’insieme compaia il prodotto in grado di soddisfare
maggiormente le aspettative dell’acquirente. Anche
ammettendo per ipotesi un comportamento prettamente
razionale dell’acquirente, non esiste tuttavia una relazione
diretta e monotona tra ampliamento della scelta e benessere.
La nostra mente cognitiva ha infatti limiti di capacità
elaborativa. Man mano che aumentano le alternative di
acquisto, ci si avvicina al punto in cui lo sforzo cognitivo di
elaborazione dell’informazione supera il beneficio
dell’ampliamento del campo di scelta.28
La soddisfazione dell’acquirente dipende dunque anche
dal contesto e non solo dalla presenza del prodotto che
soddisfa puntualmente le sue esigenze; selezionare il
prodotto preferito in un assortimento molto esteso non è la
stessa cosa che selezionare il prodotto preferito in un
assortimento composto da poche alternative. Si può dunque
contestare la visione tradizionale del marketing distributivo
secondo cui l’insegna, estendendo l’assortimento di
categoria, migliora di conseguenza anche la soddisfazione
del consumatore potenziale.29 L’estensione del campo di
scelta non si traduce infatti in un aumento delle informazioni
rilevanti per effettuare una decisione razionale, ma il
contrario. Più esteso è l’assortimento di categoria e più
difficile è effettuare una comparazione delle alternative sul
piano cognitivo. Bisogna poi tener presente che
all’aumentare del cognitive load cresce anche l’incertezza e
la connessa paura di sbagliare; circostanze queste che
disorientano e trattengono il consumatore fino al rinvio o
alla rinuncia dell’acquisto.
L’eccesso di scelta ha effetti maggiormente negativi per i
prodotti non food il cui acquisto è rinviabile in quanto si
tratta di norma di sostituire prodotti che non hanno ancora
esaurito la propria vita fisica, ma interessa anche i prodotti
grocery ad acquisto frequente e non rinviabile di cui ci
occupiamo prevalentemente in questo lavoro. Nel grocery,
un assortimento di categoria troppo esteso può infatti
indurre il consumatore a sostituire la categoria in rapporto a
una data funzione d’uso/occasione di consumo. Nel caso poi
si arrivi ad acquistare un prodotto selezionandolo all’interno
di un assortimento di categoria molto esteso, il consumatore
proverà una emozione negativa (rammarico) per il timore di
aver fatto una scelta sbagliata. Questa emozione negativa è
indipendente dalla soddisfazione provata nel consumo del
prodotto acquistato ed è direttamente legata all’ampiezza
del campo di scelta. Il rammarico può orientare il
consumatore a cambiare categoria di prodotto in occasione
della successiva shop expedition.
L’estensione dell’assortimento non incide poi solo sulla
propensione all’acquisto e sulla soddisfazione che proviamo
dopo l’acquisto per la scelta effettuata, ma anche sulla
soddisfazione nel consumo. Iyengar e Lepper (2000) hanno
infatti dimostrato in un primo esperimento che un
assortimento ampio (24 referenze di marmellata) è più
attrattivo di un assortimento asciutto (6 referenze di
marmellata), ma meno efficace sul piano della propensione
all’acquisto; solo il 3% dei consumatori esposti al display di
24 marmellate ha deciso infatti di acquistare, contro il 30%
dei consumatori esposti all’assortimento ristretto di 6
marmellate. Sempre Iyengar e Lepper, in un successivo
esperimento, hanno verificato l’impatto dell’ampiezza della
scelta nella soddisfazione provata in seguito nel consumo. I
partecipanti a questo studio dovevano scegliere un articolo
da un assortimento di 6 oppure 30 cioccolate, consumarlo e
riferire poi sul livello di soddisfazione; i consumatori che
hanno scelto il prodotto da consumare nell’assortimento più
ristretto hanno riferito un maggior livello di soddisfazione
rispetto all’altro gruppo.30
Con l’estensione dell’assortimento crescono infatti anche
le nostre aspettative sulla soddisfazione che proveremo
consumando il prodotto acquistato. Siccome le nostre
percezioni sono legate alle aspettative, la soddisfazione che
proviamo nel consumo di un prodotto non ha una misura
oggettiva, ma è direttamente legata a ciò che ci aspettavamo
nel momento dell’acquisto. Ora, siccome l’ampliamento
dell’assortimento e il connesso aumento delle opzioni implica
che un numero crescente di consumatori può trovare il
prodotto più coerente con le proprie esigenze, le nostre
aspettative crescono in sintonia con l’estensione
dell’assortimento. Questo significa anche che la nostra
soddisfazione e il nostro benessere finiscono per essere
negativamente influenzati dall’ampliamento della scelta. In
altri termini, se possiamo scegliere tra un numero molto alto
di opzioni, la nostra mente cognitiva elabora una aspettativa
di soddisfazione molto elevata che raramente sarà in linea
con l’esperienza reale del consumo. Assortimenti troppo
estesi implicano dunque anche minor soddisfazione nel
consumo per la nostra propensione a spostare sempre più in
alto l’asticella delle nostre aspettative.
La letteratura sul choice overload effect ha fino a ora
trascurato due aspetti rilevanti, che possono essere
opportunamente combinati:
› la rinviabilità dell’acquisto;
› la motivazione del non acquisto, che può essere ricondotta
sia all’assenza di un’alternativa coerente con le proprie
attese sia alla presenza di troppe alternative coerenti con le
proprie attese, ma difficili da comparare.
È ovvio che l’estensione dell’assortimento scoraggia
maggiormente l’acquisto nel caso di categorie come quelle
dell’elettronica di consumo, degli elettrodomestici e delle
auto; in questi casi, si tratta infatti di acquisti di sostituzione,
che possono essere quindi rinviati. L’estensione
dell’assortimento può viceversa incoraggiare l’acquisto nelle
categorie dove la decisione non soddisfa un bisogno, quanto
piuttosto un desiderio di appartenenza e novità come nel
caso dei prodotti di abbigliamento e di profumeria-
cosmesi.31 Nel caso delle categorie del grocery, trattandosi
di acquisti frequenti e non rinviabili, con una varietà offerta
che supera di gran lunga la varietà richiesta, il choice
overload effect assume una particolare rilevanza. Qui di
seguito, schematizziamo il choice overload effect per settore.
Acquisti non
Acquisti rinviabili
rinviabili
Sicura presenza della Elettronica di consumo,
Grocery
alternativa richiesta elettrodomestici, auto
Possibile assenza della Abbigliamento,
alternativa richiesta profumeria, cosmesi
Se l’aumento delle categorie trattate nel grocery
incoraggia i consumatori ad aumentare gli acquisti perché la
concentrazione temporale della spesa è positiva sia sul piano
cognitivo per il risparmio di tempo, che sul piano emotivo
per la minor attivazione dell’amigdala nel pagamento
cumulato,32 lo stesso non si verifica per l’aumento del
numero di marche e del numero di referenze all’interno di
una stessa categoria. In quest’ultimo caso infatti, aumenta la
difficoltà della scelta che dobbiamo compiere per soddisfare
un determinato bisogno. Come possiamo dunque spiegare il
comportamento dei distributori che non si rendono conto che
nell’assortimento di una data categoria “more is less”? La
continua crescita degli assortimenti commerciali non può
essere solo ricondotta alla mancata comprensione del
processo di scelta del consumatore e, quindi, degli effetti
negativi che l’eccesso di alternative può avere sulle vendite,
ma dipende anche dalla presenza di altri obiettivi che
spingono il distributore ad assumere comportamenti contrari
alla soddisfazione della sua clientela.
Se le insegne decidessero la loro politica assortimentale
senza porsi come obiettivo anche la massimizzazione dei
premi di referenziamento e degli sconti assortimento offerti
dall’industria, l’ampiezza e la profondità dell’assortimento di
categoria sarebbero sicuramente molto più contenute. Di
fatto, siccome la definizione dell’assortimento di categoria
non risponde solo all’obiettivo della soddisfazione del
consumatore, ma anche alla massimizzazione dei contributi
offerti dai fornitori, quasi tutte le insegne continuano ad
aumentare la dimensione dell’assortimento. Se infatti si
prescinde dal discount, solo poche insegne hanno fino a ora
deciso di “asciugare” l’assortimento; spesso, questa
riduzione dell’ampiezza e della profondità dell’assortimento
di categoria non è stata peraltro motivata dalla necessità di
facilitare il processo di acquisto e rendere più piacevole la
spesa, ma dall’obiettivo di aumentare la quota della marca
commerciale.
Tra i distributori non vi è ancora la consapevolezza che
l’aumento della dimensione dell’assortimento può generare
una riduzione della propensione all’acquisto, se spinto oltre
certi livelli che variano da paese a paese e da formato a
formato. Secondo le interviste realizzate da Nielsen negli
USA nel 2009, la dimensione dell’assortimento si è ridotta
solo dell’1%. Nella Figura 3.5 riportiamo la segmentazione
delle insegne USA in funzione dell’aumento/riduzione della
dimensione del loro assortimento, mentre nella Figura 3.6
riportiamo la variazione dell’assortimento delle insegne
italiane.
Se si considerano le motivazioni che le insegne hanno
dato a Nielsen per spiegare la riduzione della dimensione del
loro assortimento, si può constatare la totale assenza della
consapevolezza che una dimensione eccessiva
dell’assortimento può ridurre la propensione alla spesa dei
consumatori. Le motivazioni offerte, più in dettaglio:
Vi erano molte ragioni a sostegno della razionalizzazione
dell’assortimento. Il 60% dei distributori motivò la
riduzione dell’assortimento con l’obiettivo di ridurre la
confusione dei consumatori. Le altre motivazioni addotte
riguardavano aspetti operativi della gestione: migliorare
l’esposizione (75%), migliorare il controllo inventariale
(71%), ridurre i costi e aumentare la profittabilità (52%),
creare lo spazio per ampliare l’assortimento di marca
commerciale (48%), liberare spazio espositivo a favore di
altre categorie (33%) e tenere il passo col comportamento
dei competitor (4%).
Figura 3.5 La segmentazione delle insegne USA

L’inconsapevolezza degli effetti negativi sulle vendite di


un assortimento troppo esteso deriva anche dal fatto che le
analisi di mercato hanno finora mostrato un consumatore
che desidera la massima ampiezza, profondità e varietà
dell’assortimento. Sempre Nielsen ha infatti rilevato che i
consumatori vogliono poter scegliere e penalizzano l’insegna
che offre una minor scelta: “Uno dei maggiori ostacoli alla
razionalizzazione aggressiva dell’assortimento è
l’atteggiamento del consumatore. […] oltre la metà dei
rispondenti nella survey del 2010 ha affermato che è minore
la probabilità di scegliere un’insegna che ha ridotto
l’assortimento”.
Si continua dunque a commettere un errore di fondo
basando le scelte economiche solo sulle risposte cognitive
del consumatore, dal momento che il comportamento di
acquisto è riconducibile anche e soprattutto a fattori
automatici, emotivi e relazionali, più che a valutazioni
razionali delle alternative disponibili.
L’ampliamento eccessivo della scelta riguarda anche i
produttori, sebbene in minor misura rispetto alle insegne. Lo
psicologo sociale Alexander Chernev ha verificato
sperimentalmente che offrendo più varianti di una marca di
dentifrici, si favorisce la migrazione degli acquirenti verso
marche che offrono una sola variante.
Se si inserisce un nuovo prodotto semplicemente per il
desiderio di ampliare la scelta all’interno di una stessa
marca, si finirà per offrire numerosi prodotti che hanno
come target lo stesso consumatore. Il cliente non ha idea
di come decidere e di conseguenza potrebbe spostare le
sue preferenze verso un’altra marca che non richiede
trade off.33

Figura 3.6 La revisione degli assortimenti


Fonte: Nielsen 2011

Anche sul fronte industriale, la consapevolezza degli


effetti negativi sul sell out di un eccesso di scelta è molto
rara. Una delle poche eccezioni sembrerebbe essere
rappresentata da Procter & Gamble, che ha deciso di ridurre
la sua gamma di shampoo da 26 a 15 referenze; questa
diminuzione della scelta si è tradotta in un aumento del 10%
delle vendite della marca nella categoria.34 L’asciugamento
del portafoglio prodotti di P&G non è tuttavia solo
riconducibile all’obiettivo di facilitare il processo di acquisto,
ma anche alla nuova strategia di sviluppo della presenza
dell’azienda nella fascia alta e bassa del mercato a fronte di
una contrazione del peso del segmento intermedio del
mercato. Questa nuova strategia implica infatti
necessariamente un asciugamento del portafoglio
eliminando le referenze col minor peso della fascia
intermedia per far posto alle nuove referenze della fascia
value e premium.35
Ribadiamo dunque che l’eccesso di scelta genera
confusione, disorientamento, panico e ansia e si traduce
nella incapacità di decidere e, quindi, nel rinvio della
decisione o nella sostituzione della categoria. L’esitazione
del consumatore di fronte a una vasta scelta può dipendere
dalla difficoltà di comparare i diversi attributi dei prodotti
rispetto ai benefici ricercati, ma anche dalla consapevolezza
del rischio connesso a una decisione il cui output è incerto.
Tutto ciò premesso, la conclusione normativa non può
essere solo quella della cosiddetta razionalizzazione
dell’assortimento, intesa come riduzione delle alternative di
acquisto all’interno della categoria. Bisogna infatti tener
presente che il ruolo di selezione dell’offerta industriale ha
una rilevanza di marketing fondamentale solo nella
distribuzione di specialità alimentari e di prodotti ad alto
contenuto moda. Per contro, abbiamo visto che nel grocery
la politica assortimentale è rilevante sul piano competitivo,
in quanto esprime l’efficacia nella selezione dell’offerta
industriale, solo nel formato tradizionale e nel discount.
Questa affermazione può sembrare singolare se si pensa che
le insegne GDO selezionano 10-15.000 referenze industriali
in un campo di scelta che consta di 240.000 referenze al
netto dei prodotti di marca commerciale. La nostra posizione
può risultare tuttavia più comprensibile se si osserva la
sovrapposizione assortimentale delle insegne che operano in
uno stesso mercato; si può infatti notare che il primo 10% di
referenze comuni rappresenta l’85,7% del fatturato dei
prodotti di marca industriale (Figura 3.4). Possiamo dunque
concludere che la differenziazione dell’assortimento non
mira tanto ad attrarre e fidelizzare la clientela quanto
piuttosto a ridurre la trasparenza dell’offerta e a conquistare
di conseguenza maggiori gradi di libertà nel pricing. La
facilitazione del processo di acquisto non è ancora un
obiettivo di marketing delle insegne grocery, che sono
tuttora bloccate nella sindrome “Autogrill” del cliente
ostaggio.

La possibile compensazione tra estensione e


3.3
struttura dell’assortimento
Gli effetti negativi dell’estensione dell’assortimento possono
essere in qualche misura compensati equilibrando la
struttura dell’assortimento stesso, vale a dire agendo
sull’entropia e sulla densità?
Posto che per entropia assortimentale si intende
l’equilibrio nel presidio dei diversi attributi da parte dei
prodotti offerti, nel caso in cui un attributo sia presidiato
solo da uno o pochi prodotti, parliamo di bassa entropia. Al
contrario, nel caso in cui un beneficio ricercato dal
consumatore sia offerto, seppur in diversa misura, da tutti i
prodotti trattati, parliamo di alta entropia.36
Per densità si intende invece la distanza tra i prodotti in
assortimento per quanto riguarda il livello con cui è offerto
un determinato attributo; se la distanza è modesta,
l’assortimento è denso e viceversa. Il numero di attributi /
benefici ricercati, il numero delle varianti per attributo e il
presidio più o meno equilibrato da parte delle marche
trattate dei diversi attributi e delle varianti dei singoli
attributi, contribuiscono tutti a definire la varietà dell’offerta
nel percepito del consumatore.
In letteratura, il numero di varianti di un dato carattere è
legato alla dimensione dell’assortimento; un assortimento
esteso è cioè anche denso. Così, per esempio, le varianti del
contenuto di grassi nello yogurt possono essere più o meno
numerose, ma in generale si pensa che all’aumentare delle
referenze di yogurt trattate da un’insegna aumenta anche la
densità media dell’assortimento. Rapportando i livelli degli
attributi presidiati al numero di referenze trattate in punti
vendita grandi e piccoli, emerge una maggior densità
assortimentale dei punti vendita grandi che hanno un
assortimento più esteso. Nella Tabella 3.3 riportiamo i dati
rilevati per alcune categorie da Fasolo.37
Tabella Estensione e densità dell’assortimento di categoria in punti vendita
3.3 grandi e piccoli
Livelli degli Livelli degli
Numero Numero
attributi attributi
referenze referenze Attributi Attributi
quantificabili quantificabili
P.V. P.V. quantificabili qualitativi
nei P.V. nei P.V.
grandi piccoli
Grandi piccoli
Latte 22 3 12 5 73 19
Yogurt 210 26 16 9 416 88
Margarina 21 4 10 4 71 26
Marmellata 138 13 9 9 173 31
Pasta 58 8 9 6 97 30
Caffè
11 3 4 2 21 8
solubile

Secondo Fasolo, più esteso è l’assortimento e più alta è la


sua entropia e densità; ciò che rende particolarmente
complessa la decisione di acquisto; il consiglio operativo di
questo studioso è dunque la compensazione della maggior
estensione dell’assortimento dei punti vendita grandi con
una selezione dei prodotti che garantisca una bassa
entropia/densità e per ciò stesso una maggior
differenziazione delle alternative proposte. In questo modo,
l’estensione dell’assortimento non sarebbe di ostacolo alla
scelta perché le alternative sarebbero maggiormente
distinguibili.
La nostra analisi ecologica dell’assortimento di due
supermercati ci ha rivelato che gli assortimenti più estesi
presentano un’alta entropia e un’alta densità rispetto agli
assortimenti più asciutti... La difficoltà con cui riusciamo
a valutare le molteplici opzioni al fine dell’acquisto può
essere attribuita al fatto che negli assortimenti estesi la
struttura informativa è complessa in quanto tutti i
prodotti presidiano i diversi attributi ricercati dal
consumatore rendendo così minime le differenze, mentre
si propongono diversi livelli per ciascun attributo.38
Oltre a Fasolo, altri autori ritengono che l’estensione
dell’assortimento, intesa come crescita del numero di
prodotti trattati in una data categoria, sia direttamente
legata all’aumento dell’entropia e della densità che, a loro
volta, esprimerebbero la complessità della valutazione delle
alternative e di conseguenza la difficoltà di scelta.39 La
posizione di Fasolo e Kahn è in netto contrasto con la
letteratura precedente. Si è infatti sempre pensato che
l’ampliamento della varietà dell’offerta ostacolasse l’acquisto
per l’aggiunta di prodotti con attributi non facilmente
comparabili e spesso negativamente correlati; non è facile
scegliere tra due telefoni se uno ha molte funzioni e una
corta durata della batteria, mentre l’altro ha poche funzioni
e una lunga durata della batteria.40 Per contro, si è sempre
pensato che l’inserimento di nuovi prodotti con attributi
comparabili favorisse l’acquisto in quanto la mente cognitiva
può decidere solo prendendo in considerazione la differenza
di intensità di uno stesso carattere.
La nostra posizione sul ruolo che la struttura
dell’assortimento può avere nel facilitare o rendere più
complesso il processo di acquisto consiste innanzitutto nel
metter in discussione la relazione tra aumento
dell’estensione e alta entropia/densità dell’assortimento.
L’estensione delle alternative può essere associata sia a una
bassa che a un’alta entropia dal momento che questo
parametro non svolge il ruolo di driver della politica
assortimentale, soprattutto per il fatto che il distributore
decide l’assortimento anche in funzione dei contributi dei
fornitori. È inoltre probabile che l’estensione
dell’assortimento si traduca in una riduzione
dell’entropia/densità perché l’offerta industriale si concentra
naturalmente sugli attributi e sulle varianti maggiormente
richieste dalla clientela. Infatti, se osserviamo il mercato dei
prodotti di largo e generale consumo, ci accorgiamo che la
popolazione delle marche che offrono un dato attributo, e
che sono presenti con prodotti differenziati per i diversi
livelli con cui può essere declinato l’attributo stesso, è una
funzione diretta della consistenza della domanda. In altri
termini, se calcolassimo la quota di mercato dei diversi
attributi con cui può essere declinata l’offerta di yogurt, ci
accorgeremmo che la numerica delle marche è maggiore
negli attributi con la quota più alta e in crescita; lo stesso si
può dire per i diversi livelli in cui è declinabile un dato
attributo. La struttura dell’assortimento dovrebbe
rispecchiare dunque la struttura del mercato, col risultato
che l’entropia e la densità potrebbero essere modeste in
alcune categorie ad assortimento esteso. Osservando la
maggior concentrazione delle marche in un attributo e in un
livello del suddetto attributo, oltre al conseguente maggior
spazio espositivo attribuito dall’insegna a questa alternativa,
l’acquirente inferisce che gli altri consumatori preferiscono
questi prodotti e, quindi, una bassa entropia/densità facilita
l’acquisto in quanto risponde alla propensione del
consumatore ad assumere comportamenti imitativi.
La struttura dell’assortimento non dovrebbe dunque di
norma ostacolare il processo di acquisto. Non possiamo
tuttavia escludere che in alcune categorie si presenti il
problema di un’alta entropia/densità dell’assortimento. In
questi casi, concordiamo con Fasolo che la struttura
dell’assortimento può ostacolare il processo di acquisto.
L’idea che un’alta entropia sia un ostacolo all’acquisto è
convincente non solo per l’effetto marmellata evidenziato da
Fasolo, nel senso che ci sono poche differenze tra un
prodotto e l’altro, ma anche perché la “lettura”
dell’assortimento non viene fatta comparando singole
referenze per ciascun attributo offerto. Questa analisi
richiederebbe troppo tempo e porterebbe a un overload
cognitivo nel caso, del tutto normale, in cui il consumatore
orienti la sua scelta in funzione di diversi attributi che per
definizione non possono essere sommati in quanto
incomparabili (grassi, zuccheri, sale, principi attivi per
prevenire o curare patologie).
Analogamente, non crediamo che la densità
dell’assortimento implichi una maggior difficoltà di scelta e
la possibilità che il consumatore rinvii di conseguenza
l’acquisto.41
La densità media non esprime però in maniera adeguata
la complessità/difficoltà della scelta. Infatti, la distribuzione
dei prodotti può non essere uniforme e, di conseguenza, si
può registrare un affollamento di marche intorno a uno dei
livelli in cui può essere declinato un singolo attributo. “La
distribuzione delle referenze di yogurt trattate da
supermercati con assortimento esteso e asciutto è risultata
per entrambi largamente squilibrata.”42
Apparentemente, può sembrare che la scelta sia più facile
se si deve decidere tra diversi yogurt che offrono ciascuno
un diverso contenuto di grasso; posto che la mente cognitiva
decide in termini relativi, la situazione descritta richiede
infatti un minor sforzo cognitivo. In realtà, quando scegliamo
un prodotto, non analizziamo tutte le alternative offerte
all’interno della categoria in termini di attributi/benefici
ricercati e per diversi livelli in cui possono essere declinati i
singoli attributi. Questa analisi richiederebbe infatti troppo
tempo e uno sforzo cognitivo eccessivo. Se analizzassimo il
tempo medio impiegato per fare la spesa presso un punto
vendita ad assortimento esteso e un punto vendita ad
assortimento ridotto, ma dello stesso formato, si potrebbe
facilmente riscontrare che non esiste un legame stretto e
monotono tra le due variabili. Si può dunque ipotizzare che,
il consumatore sviluppi euristiche che gli consentono di
economizzare il tempo di acquisto. In particolare, la
concentrazione dell’offerta di categoria in alcuni attributi e
in alcuni livelli in cui sono declinati i singoli attributi,
segnala le preferenze espresse dal mercato e permette al
consumatore di assumere comportamenti imitativi che
riducono lo stress e la responsabilità della scelta. Non
bisogna poi dimenticare che il ruolo della mente cognitiva
nell’acquisto di prodotti grocery è residuale. Decidiamo
infatti sulla base della nostra esperienza di acquisto, e,
quindi, utilizzando la mente emotiva. Per contro, la mente
cognitiva interviene solo quando dobbiamo valutare
cambiamenti rispetto alla precedente visita al punto vendita;
cambiamenti che possono riguardare l’assortimento e il
prezzo delle diverse alternative.
In conclusione, l’entropia e la densità assortimentale non
sono variabili azionabili dall’insegna per attenuare la
difficoltà della scelta in assortimenti relativamente grandi.
Diversamente dall’opinione espressa da Fasolo e indicata qui
di seguito, riteniamo che la struttura dell’assortimento
rispecchi necessariamente la struttura del mercato. Non si
può peraltro evitare di inserire una marca o una referenza se
questa azione si traduce in un aumento dell’entropia e della
densità assortimentale; l’insegna non può infatti prevedere
le preferenze del consumatore e non può neanche rinunciare
ai premi di referenziamento offerti dai fornitori per entrare
in assortimento.
Per decidere l’inserimento di una nuova referenza o una
nuova marca nell’assortimento di una data categoria, i
distributori e gli esperti di marketing non devono
considerare solo l’impatto sulla dimensione
dell’assortimento, ma devono tener conto anche della
struttura in termini di aumento dell’entropia e della
densità... chi pianifica l’assortimento deve trattare la
dimensione, l’entropia e la densità, come variabili
indipendenti che possono essere armonizzate. In questo
modo, la scelta in un contesto caratterizzato da un vasto
assortimento non è necessariamente problematica.43

Euristica della scelta in un contesto


3.4
assortimentale esteso
Tutti noi, quando entriamo in un punto vendita grocery,
abbiamo un assortimento mentale di ogni categoria che
intendiamo acquistare. L’assortimento mentale si forma
gradualmente nel tempo sulla base della nostra esperienza
di acquisto e della comunicazione cui siamo esposti, e
rappresenta un potente stimolo ad assumere comportamenti
ripetitivi scegliendo emotivamente. Possiamo etichettare
l’assortimento mentale come mindset prendendo a prestito
un termine della teoria delle decisioni. I prodotti contenuti
nel mindset sono naturalmente molto inferiori come numero
ai prodotti che compongono l’assortimento di categoria
esposto in punto vendita. La nostra propensione a
minimizzare lo sforzo (inerzia mentale) rende invisibili i
prodotti che non rientrano nel mindset e ci orienta a
scegliere all’interno di questo ambito ristretto; spetta
dunque all’insegna superare la nostra inerzia cognitiva
attraverso la manovra delle leve del merchandising e la
promozione delle vendite. Allargare il campo di scelta
ristretto (mindset) generato dalla nostra mente emotiva
rappresenta una missione fondamentale del distributore e
rientra anche nel nostro interesse in quanto non è affatto
sicuro che la ripetizione delle scelte fatte in passato sia
sempre la soluzione ottimale.
La psicologia cognitiva ci può aiutare a comprendere le
nostre decisioni di acquisto in un contesto assortimentale
esteso. Ci interessa in particolare comprendere come
estromettiamo dal nostro campo di scelta (mindset) le
alternative di cui non abbiamo alcuna esperienza di
consumo, senza indugiare peraltro in alcun trade off degli
attributi rilevanti/benefici ricercati. Da che il confronto delle
alternative proposte dall’insegna sul piano dei benefici
ricercati è estremamente complesso, lento e costoso in
termini di energia mentale, semplifichiamo questo compito
“impossibile” ricorrendo alle euristiche. L’euristica è una
procedura che aiuta a rispondere in maniera adeguata,
anche se imperfetta, a domande/compiti difficili. Si tratta in
sostanza di una scorciatoia mentale, ovvero di un modo per
sostituire un problema complesso con un problema semplice:
se non riusciamo a risolvere un problema complesso perché
lo sforzo cognitivo è eccessivo, cerchiamo una risposta
intuitiva che ha il vantaggio della rapidità e della
minimizzazione dello sforzo. Ci accontentiamo cioè di un
risultato soddisfacente, tenuto conto del costo e del tempo
necessario per trovare una soluzione cognitiva ottimale. La
sostituzione di un problema semplice a un problema troppo
complesso attraverso euristiche decisionali è senz’altro una
riflessione utile per spiegare il comportamento di acquisto in
un assortimento esteso,44 ma gli psicologi non tengono conto
della ripetizione della scelta che caratterizza gli acquisti
grocery. Come incide la ripetizione della scelta sul nostro
processo decisionale? Una scelta difficile, come la selezione
di una marca/referenza in un assortimento di categoria
esteso, viene progressivamente semplificata dall’esperienza?
In assenza di promozione, la scelta della marca all’interno
di una categoria estesa è governata dalla mente emotiva; la
mente cognitiva interviene infatti in questo caso solo nella
ricerca di informazioni a supporto (non a confutazione) della
scelta emotiva, sostanzialmente razionalizzando decisioni
intuitive. Quando invece interviene un’attività promozionale,
sia di prezzo che sul piano meramente espositivo, il contesto
della scelta cambia e la novità richiede una valutazione
cognitiva. Siamo infatti biologicamente costruiti per
affrontare le novità cognitivamente. L’evoluzione della
specie ci ha preparato a valutare positivamente e
rapidamente gli stimoli ambientali che si manifestano
continuativamente, semplicemente attivando il sistema
limbico. Al contrario, l’evoluzione della specie ci ha
preparato ad affrontare gli stimoli insoliti attivando la mente
cognitiva, che deve discriminare tra buoni e cattivi e
preparare reazioni coerenti con l’obiettivo primario della
sopravvivenza. L’attivazione della corteccia prefrontale non
esclude l’attivazione del sistema limbico; anzi, di norma, le
due componenti della mente operano in sintonia e in
maniera sinergica. Nel nostro caso, la valutazione cognitiva
di alternative che si collocano al di fuori del mind-set,
implica il recupero di informazioni depositate nella memoria
associativa.

1
Scontrino e spesa media rilevata dalla Nielsen, anno terminante giugno 2011.
S+H SUPER HYPER
Scontrino Medio (€) 23,18 19,17 30,50
Spesa Media (€) 1.563,60 890,32 886,76

2 “[...] researchers examining perceived and actual time spent waiting in check-
out lines (Hornik, 1984) found a tendency for individuals to overestimate time
spent waiting. This result validated earlier research suggesting that time spent
on “passive” activities such as waiting in line or on the phone is overestimated,
while active uses of time are underestimated (Cottle, 1976) […]. While earlier
research maintained that consumers generally underestimate the duration of
active uses of time (Cottle, 1976), we found that the time spent choosing a
product can be underestimated as well as overestimated, depending on how
many products are available for selection. If the choice is made from a small
number of options, the time spent choosing will likely be overestimated,
especially if this set is characterized by positive correlations; if there are many
products to consider, time spent choosing will likely be underestimated,
regardless of the attribute structure.” Fasolo B., Carmeci F.A., Misuraca R.
(2009), “The Effect of Choice Complexity on Perception of Time Spent
Choosing: When Choice Takes longer but Feels Shorter”, Psychology &
Marketing, Vol. 26(3): 213–228.
3 Non consideriamo in questa analisi, perché irrilevante , il tempo impiegato per
raggiungere il punto vendita che ovviamente è maggiore per l’iper. A noi
interessa infatti solo la possibilità di semplificare il processo di acquisto in un
contesto caratterizzato da una maggior scelta impiegando euristiche cognitive.
4 Nella nostra analisi, il consumatore multichannel non è solo l’acquirente che si
serve di diversi formati online e off line (E-commerce, m-commerce, click &
collect, click & deliver), ma anche chi fa la spesa presso diversi formati di
punto vendita (ipermercati, supermercati, discount, convenience).
5 Secondo Comscore Mobilens, nel mese di giugno 2011, 14 milioni di americani
(il 6,2% degli utilizzatori di cellulari) ha scannerizzato almeno un codice QR sul
proprio cellulare per ottenere informazioni sul prodotto che stava acquistando.
6 The Economist, 23 aprile 2011, p. 64.
7 The Wall Street Journal, 28 aprile 2011.
8 Asplund C.L., Dux P.E., Ivanoff J., Marois R. (2006), “Isolation of a central
bottleneck of information processing with time – resolved fMRI”, Neuron, Vol.
52, n. 6, pp. 1109-20.
9 The Economist, 23 aprile 2011, p. 64.
10 La strategia di scoraggiamento dell’entrata può essere realizzata fissando il
prezzo al di sotto del costo di produzione del nuovo entrante ( limit pricing ),
oppure, ampliando il portafoglio prodotti con varianti per le quali esiste un
vuoto di offerta, ovvero una domanda insoddisfatta che potrebbe essere scelta
come target dai potenziali nuovi entranti. Nel caso in cui la preemptive
strategy venga realizzata ampliando la gamma dell’offerta aziendale, la
convenienza del lancio del nuovo prodotto viene valutata prescindendo dal
cannibalismo.
11 “Wheel a trolley down the aisle of any modern Western Hypermarket, and the
choice of all sorts is dazzling. The average American supermarket now carries
48.750 items, according to the Food Marketing Institute, more than five times
the number in 1975. Britain’s Tesco stocks 91 different shampoos, 93 varieties
of toothpaste and 115 of household cleaner.” The Economist, 18 dicembre
2010, p. 111.
12 LePage-3M 234 F.3d 141-2003
13 La liberalizzazione degli orari di vendita, introdotta dal governo Monti nel
2012 senza tener conto della diversa sensibilità della domanda di categoria
all’estensione dell’orario di apertura dei negozi, avrà conseguenze negative nel
grocery. Infatti, posto che tutte le insegne si sono adeguate alla nuova
opportunità e che le vendite non aumenteranno per effetto del maggior servizio
offerto, il consumatore finirà per pagare prezzi più alti per godere della
possibilità di una maggior scelta dei tempi in cui effettuare la sua spesa.
14 Nella categoria Birra, sono disponibili 56 varietà che si caratterizzano per
l’impiego di diverse materie prime, diversa gradazione alcolica, diverso colore,
diverso gusto e così via. Si veda in proposito: G. Lugli, Marketing distributivo,
Torino, UTET, 2009, capitolo 4.1.
15 Li E.A., Baurzhan S., Khan Z., “Testing for real option in consumer behaviour”,
paper presentato alla conferenza Marketing Trend di Parigi nel gennaio 2011.
16 Schwartz B., Ward A., Monterosso J., Lyubomirsky S., White K. (2002),
“Maximising versus satisficing: Happiness is a matter of choice”, Journal of
Personality and Social Psycology, n. 83. pp. 1178-1197.
17 Kahneman D., Slovic P., Tversky A., (1982), Judgement under uncertainty:
Heuristic, and biases, Cambridge, Cambridge University Press.
18 “A person’s resultant uncertainty over whether he or she has chosen the best
option available might then lead to a heightened sense of regret (e.g., ‘I chose
option A, but option B, C, or D might have been even better.’) Sagi and
Friedland (2007) demonstrated that as the number of available alternatives and
the diversity of those alternatives increases, the greater is the amount of regret
that people tend to experience following their decisions. Their experiment
demonstrated that it is not just the most attractive non-chosen option that
causes regret, but rather the aggregate of positive attributes of all the non-
chosen alternatives.” Haynes G.A., “Testing the Boundaries of the Choice
Overload Phenomenon: The Effect of Number of Options and Time Pressure on
Decision Difficulty and Satisfaction”, Psychology & Marketing, Vol. 26(3): 204–
212 (marzo 2009).
19 Schwartz B. (2009), The paradox of choice, HarperCollins, New York, l. 2201-7.
20 “ ...if costs increase faster than benefits, satisfaction is an inverted U-shaped
function of set size .That is, higher satisfaction is associated with choice from
intermediate—as opposed to large or small—set sizes, and the peak of the
function shifts when perceived costs and benefits change. [...] Common sense
suggests that people will be confused by having “too many” choice alternatives.
Interestingly, the German retail chain ALDI carries 35 times fewer products
than its rivals—traditional supermarkets—but sells more of each product
(Fasolo et al., 2009; Kumar, 2006). It is important to understand what is
enough.”
Reutskaja E. Hogarth R. M. ( 2009 ), “Satisfaction in choice as a function of the
number of alternatives: when ‘Goods Satiate’”, Psychology & Marketing, Vol.
26(3): 197–203.
21 I soci alto-medio spendenti rappresentano l’80% delle vendite a valore.
22 Bellini S., Cardinali M.G., Ziliani C. , “Targeted and mass approaches to
customer loyalty: are ends meeting?”, XVI EARCD International Conference,
Parma, giugno 2011.
23 Kahneman D., (2011) Thinking, fast and slow, Farrar, Straus and Giroux, New
York, Kindle location 6975-78.
24 “The neglect of duration combined with the peak-end rule causes a bias that
favors a short period of intense joy over a long period of moderate happiness”,
Kahneman D., (2011) Thinking, fast and slow, Farrar, Straus and Giroux, New
York, Kindle location 7458-61.
25“Despite the fact that large assortments often lead to more complicated choices
-especially for novice consumers- empirical data show that , when given a
choice, both novice and expert consumers universally prefer larger to smaller
assortments.” Chernev A., (2003), “When more is less and less is more: the role
of ideal poin availability and assorment in consumer choice”, Journal of
Consumer Research, vol. 30.
26 “In USA the right to the largest possible range of products to choose from is
nearly regarded as a fundamental human right. No wonder that customers’
choices there are endless. More is better! But less can be more if the pure
stress of decision making is relieved and product selection is satisfying.”
Schwartz, B. (2004), The Tyranny of Choice: Why More is Less, (in preparation)
citato in D. Staib, “Will Love last? Second-guessing the new, new thing”, The
European Retail Digest, Templeton College, University Of Oxford, Issue 43,
autunno 2004, p. 41.
27 Abbiamo già avuto modo di evidenziare in un precedente lavoro
(Neuroshopping, Milano, Apogeo, 2010) che le scelte migliori non sono
necessariamente quelle realizzate impiegando maggiormente la mente
cognitiva. In questa sede, ci preme richiamare che J.W. Goethe, all’inizio
dell’Ottocento, affermava che “Colui che lungamente medita, non sempre
sceglie la cosa migliore”.
28 “ At this point, choice no longer liberates, but debilitates. ....the fact that some
choice is good doesn’t necessarily mean that more choice is better”. Schwartz
B. (2007), The paradox of choice, New York, Harper Collins.
29 “Draeger Supermarket di Menlo Park offre 75 varietà di olio d’oliva, 250 di
senape e più di 300 tipi di marmellata. Alcuni psicologi sistemarono all’interno
del detto supermarket un banco per assaggi; sul ripiano c’erano a volte 6 e a
volte 24 vasetti diversi di marmellate rare. Il maggior numero di clienti si
fermava quando? Il 60% lo faceva quando c’era la scelta più ampia e solo il 40%
quando c’erano solo poche alternative. Ma, quando compravano di più una delle
marmellate esposte? Con le 24 alternative lo faceva solo il 3% dei visitatori, ma
quando ce n’erano solo 6 era il 30% a comprare qualcosa; a conti fatti dunque,
quando la scelta era limitata, i clienti che compravano i prodotti erano dieci
volte di più. Erano più attratti da un maggior numero di alternative, ma
compravano più spesso i prodotti quando c’era una scelta più limitata.”
Gigerenzer G., (2009) Decisioni intuitive, Milano, Raffaello Cortina Editore, p.
32.
30 Iyengar S., Lepper M.R. (2000) , “When choice is demotivating: Can one desire
too much of a good thing?”, Journal of Personality and Social Psycology, 79, pp.
995-1006.
31 “If most of the time when people defer choice, it is due to none of the available
options possessing an acceptable level of attractiveness, then having more
options will make it more likely that at least one of them is sufficiently
attractive. Thus, increasing the number of options should decrease the
likelihood of a deferral; that is, the allure of more choice effect will be
observed.”
White C.M., Hoffrage U., (2009), “Testing the Tyranny of Too Much Choice
Against the Allure of More Choice”, Psychology & Marketing, Vol. 26(3): pp.
280-298.
32 Lugli G. (2010), Neuroshopping, Milano, Apogeo.
33 Chernev A. , (2003) , “When More Is Less and Less Is More: The Role of Ideal
Point Availability and Assortment in Consumer Choice”, Journal of Consumer
Research, Vol. 30.
34 The Economist, dicembre 18, 2010, p. 113.
35 “But cash-strapped shoppers, P&G learned, aren’t as willing to splurge on
household staples with extra features. Droves of consumers started switching
to cheaper brands, slowing P&G’s sales and profit gains and denting its
dominant market share positions. In late 2008, unit sales gains of P&G’s
cheaper brands
began outpacing its more expensive lines despite receiving far less advertising.
As the recession wore on, U.S. market-share gains for P&G’s cheaper Luvs
diapers and Gain detergent increased faster than its premium-priced Pampers
and Tide brands. Over the past two years, P&G has accelerated its research,
product-development and marketing approach to target the newly divided
American market. At the high end, it launched its most-expensive skin-care
regimen, Olay Pro-X in 2009, which includes a starter kit costing around $60.
Previously, the Olay line had topped out around $25. Last year, the company
launched Gillette Fusion ProGlide razors at a price of $10 to $12, a premium to
Gillette Fusion razors, which sell for $8 to $10, and Gillette Mach3, priced at $8
to $9. At the lower end, its new Gain dish soap, launched last year, can sell for
about half per ounce of the company’s premium Dawn Hand Renewal dish soap,
which hit stores in late 2008.” The Wall Street Journal, 12 settembre 2011.
36 Hoch S.J., Bradlow E.T., Wansink B. (1999), “The variety of an assortment”,
Marketing Science, 18, pp. 527-546; E. Van Erpen, Pieters R. (2002), “The
variety of an assortment: an extension to the attribute–based approach”,
Marketing Science, 21, pp. 331-341; Lurie N.H., (2004), “Decision making in
information-rich environments: the role of information structure”, Journal of
Consumer Research, 30, 473-486.
37 Fasolo B., Hertwig R., Huber M., Ludwig M., ( 2009 ), “Size, Entropy, and
Density : What is the Difference that make the Difference Between Small an
Large Real-World Assortments?”, Psycology and Marketing, Vol.26(3); 261.
38 Ivi pp. 273-274.
39 Kahn B.E. , Wansink B. ( 2004), “The impact of assortment structure on
perceived variety and consumption quantity”, Journal of Consumer research,
30, pp. 519-533.
40 “Of these complexity factors, interattribute correlation is the one with the
longest research tradition. This is probably because a basic tenet of
multiattribute decision theory is the necessity to recognize when attributes are
negatively correlated (Keeney R.L., Raiffa H., “Choice complexity and time
perception”, Psychology & Marketing, DOI: 10.1002/mar2171976). For
instance, mobile phones with better values on one attribute (e.g., more
functions) can have worse values on another attribute (e.g., shorter battery
life). Technological trade-offs of this sort are common in certain categories of
consumer products (e.g., Curry & Faulds, 1986). For consumers, making trade-
offs means engaging in more effortful and cognitively complex compensatory
strategies (e.g., Payne, Bettman, & Johnson, 1993). Negative correlations,
therefore, are a factor that makes choice more complex, at least for consumers
who adopt compensatory strategies. In contrast, positive correlations (e.g.,
mobile phones that have more battery life also have more memory) make the
choice simpler, because the decision maker can select the preferred option with
quick and noncompensatory strategies (e.g., lexicographic strategies; Bettman
et al., 1993; Fasolo, McClelland, e Lange, 2008).”
Fasolo B., Carmeci F.A. Misuraca R. (2009), “The Effect of Choice Complexity
on Perception of Time Spent Choosing: When Choice Takes longer but Feels
Shorter”, Psychology & Marketing, Vol. 26(3): 213-228.
41 “Our hypothesis is that in their quest to offer something for everyone within a
finite range of attribute values, large assortments are more likely than small
assortment to overcrowd the attribute space with products that are very close
(but not identical) to other products. Density thus would exacerbate the tyranny
of choosing from larger assortments, with large, high-density assortments
leading to more difficult choices than small, low-density assortments.” Fasolo
B., Hertwig R., Huber M., Ludwig M., (2009), “Size, Entropy, and Density: What
is the Difference that make the Difference Between Small an Large Real-World
Assortments?”, Psycology and Marketing, Vol.26(3); 258-259.
42 Fasolo B., Hertwig R., Huber M., Ludwig M., (2009), op. cit., p. 261.
43 Fasolo B., Hertwig R., Huber M., Ludwig M., (2009), op. cit., pp. 275-276.
44 Kahneman D., (2011) op. cit. Kindle Location 356-360.
Come scegliamo

In questo capitolo esamineremo l’impatto che l’estensione


del campo di scelta può avere su diversi segmenti di
domanda. Alcune insegne hanno cercato di orientare la
razionalizzazione dell’assortimento facendosi guidare, oltre
che dalla bassa rotazione, anche dal profilo dei loro clienti;
Tesco e Kroger sono i casi più citati. È ovvio che se un
prodotto ha una bassa rotazione, ma viene acquistato dai
clienti alto spendenti e più fedeli, occorre pensarci bene
prima di eliminarlo. La segmentazione della clientela può
aiutarci dunque a decidere quali prodotti è possibile
eliminare senza compromettere la vendita di altri, ma è utile
anche per comprendere il profilo dei consumatori
maggiormente colpiti dal fenomeno dell’espansione della
scelta. Una volta individuato il profilo e la consistenza dei
segmenti di consumatori più portati a rinviare l’acquisto o a
rinunciare alla spesa nel caso di un campo di scelta troppo
esteso, sarà anche possibile selezionare con maggior
efficacia le soluzioni più idonee a facilitare la lettura
dell’assortimento.

4.1 Perfezionisti e minimalisti


Rispetto all’estensione dell’assortimento, possiamo
innanzitutto individuare il profilo dei perfezionisti
(maximisers) e quello dei minimalisti (satisfiers). Il profilo
dei perfezionisti è caratterizzato da una serie di
comportamenti facilmente osservabili; si tratta infatti di
clienti che:
› effettuano più comparazioni di prodotto, prima e dopo
l’acquisto;
› impiegano più tempo per decidere;
› comparano i propri acquisti con quelli degli altri e, quindi,
sono molto interessati al ranking delle diverse opzioni;
› dedicano tempo a pensare alle alternative diverse da quella
che hanno scelto e, in questo modo, provano un forte
rammarico.
Un assortimento troppo esteso danneggia soprattutto i
perfezionisti, in quanto gli oneri sottesi all’acquisto
aumentano in maggior misura per questo segmento; i
minimalisti (satisfier) non si sentono infatti obbligati a
passare in rassegna un gran numero di alternative prima di
scegliere. Il profilo dei minimalisti è infatti opposto a quello
dei perfezionisti in quanto:
› impiegano poco tempo per decidere proprio perché
effettuano poche comparazioni di prodotto;
› non confrontano i propri acquisti con quelli degli altri e,
quindi, sono meno interessati al ranking delle diverse
opzioni;
› non perdono tempo a pensare alle alternative diverse da
quella che hanno scelto e, di conseguenza, non avvertono
l’emozione del rammarico.
La consistenza dei due segmenti può variare
profondamente da una categoria all’altra a seconda della
maggiore o minore problematicità dell’acquisto, oltre che da
un formato di punto vendita all’altro. È ragionevole pensare
che al ridursi della problematicità dell’acquisto corrisponda
una contrazione dell’incidenza del segmento dei
perfezionisti.
Esiste una caratterizzazione socio demografica e di
genere nella segmentazione della clientela in perfezionisti e
minimalisti? Secondo alcuni autori non vi sarebbe una
differenza di genere;1 a nostro parere invece, vi è senz’altro
una differenza di genere in questo profilo di acquirenti. Il
cervello delle femmine è infatti diverso da quello dei maschi;
l’evoluzione della specie e la specializzazione dei ruoli ha
plasmato in modo diverso la mente emotiva dei due generi.2
La mente è stata forgiata dall’evoluzione della specie in
relazione alla suddivisione dei compiti più funzionali alla
sopravvivenza: l’uomo era specializzato nella caccia mentre
la femmina era specializzata nella cura della prole e nella
selezione delle erbe, compito quest’ultimo che richiede una
maggior socializzazione e più tempo. Nel supermercato,
l’uomo-cacciatore colpisce la prima preda che incontra in
quanto non sa se avrà opportunità analoghe in seguito; al
contrario, la femmina raccoglitrice è più attenta a valutare
tutte le alternative, non si cura del tempo impiegato e trae
maggior soddisfazione nell’attività di selezione. Gli uomini
sono dunque minimalisti mentre le femmine sono
tendenzialmente perfezioniste.
La rilevanza del genere nel determinare il comportamento
di acquisto all’interno del punto vendita è accompagnata da
una differenza nel numero di punti vendita visitati; le
femmine visitano infatti un maggior numero di punti vendita
rispetto ai maschi. “Il modello di regressione di Poisson ha
confermato la rilevanza del genere al fine del numero di
negozi visitati: le femmine percepiscono maggiori benefici e
minori costi nel visitare più negozi rispetto ai maschi.”3

4.2 Maschi e femmine


L’eccesso di scelta può avere un diverso impatto su maschi e
femmine anche per il fatto che queste ultime assumono il
ruolo di responsabili di acquisto per la famiglia. L’abitudine
all’acquisto riduce infatti l’impatto dell’eccesso di scelta per
effetto della plasticità del cervello, che si modifica attraverso
l’esperienza. Per comprendere questo fenomeno, possiamo
fare riferimento allo studio condotto sui taxisti londinesi. In
questo studio è emerso che l’ippocampo raggiunge una
maggior dimensione nei taxisti che guidano da più tempo e,
quindi, hanno sollecitato maggiormente l’area deputata alla
memoria spaziale.4 Ci aspettiamo che lo stesso succeda per
gli acquisti. Esercitando maggiormente le aree cerebrali
deputate a selezionare poche alternative in un campo di
scelta molto vasto, le connessioni delle aree coinvolte
crescono in maniera significativa. Questa ipotesi è stata
verificata in un test sperimentale che abbiamo realizzato nel
maggio del 2012 per conto di Barilla. Si trattava di verificare
quanto tempo impiegavano gli studenti a individuare un
nuovo prodotto posizionato a livello alto-medio-basso. Le
femmine hanno impiegato molto meno tempo rispetto ai
maschi e la differenza è significativa. Resta da vedere quali
siano queste aree del cervello deputate all’acquisto e come si
possa utilmente impiegare questa conoscenza sul piano
commerciale.
Dato che l’eccesso di scelta impatta meno sulle donne che
sugli uomini per effetto della diversa esperienza di acquisto,
è possibile creare diverse modalità di lettura
dell’assortimento per i due generi, in modo da tener conto
della maggior propensione dei maschi all’acquisto veloce
ovvero alla rinuncia dell’acquisto quando sono sopraffatti
dall’eccesso di scelta? A questa domanda è difficile dare una
risposta perché il punto vendita grocery si rivolge ad
entrambe i generi, che spesso acquistano insieme. Tuttavia è
possibile immaginare un layout merceologico che tiene conto
di questa segmentazione della domanda. Posto che gli
uomini sono sempre meno dipendenti dalle donne per i loro
acquisti e sempre più simili alle donne per i prodotti
acquistati; ci riferiamo in particolare alla massiccia crescita
di cosmetici, profumi e prodotti di bellezza in generale che si
rivolgono agli uomini. Separare sul piano espositivo i
prodotti destinati alle donne dai prodotti destinati agli
uomini può essere fondamentale per sostenere le vendite
non solo perché questa decisione di merchandising facilita la
localizzazione e la scelta dei prodotti, ma anche perché gli
uomini non gradiscono la presenza delle donne mentre fanno
la loro spesa di prodotti culturalmente associati al genere
femminile.
Procter & Gamble sta ora cercando di esporre i cosmetici
maschili in diversi scaffali e in diverse aree del punto
vendita rispetto ai cosmetici femminili. Ciò allo scopo di
evitare l’imbarazzo dei maschi nel caso in cui fossero
costretti a scegliere una crema per il viso o una matita
per le ciglia accanto alle femmine che scelgono un
rossetto.5
Nonostante la convergenza di genere in molte categorie
di prodotto che un tempo erano specifiche per i maschi o le
femmine, non v’è dubbio che gli uomini si trovano a disagio
nell’acquistare prodotti che nel vissuto comune rientrano
nella sfera femminile. Di conseguenza, se possono acquistare
questi prodotti senza la presenza dell’altro sesso,
manifestano una propensione all’acquisto molto più alta.
Analogamente, la maggior sensibilità degli uomini
all’estensione della scelta può essere gestita con un
assortimento meno esteso dal momento che si realizza un
layout merceologico specifico per il genere maschile nella
categoria dei cosmetici.
Le differenze di genere nel comportamento di acquisto
non riguardano solo i prodotti di largo e generale consumo,
ma si riscontrano divergenze significative anche nella
compravendita professionale di titoli e derivati. Dopo le
perdite subite da grandi banche per operazioni non
autorizzate da parte di trader maschi,6 alcuni neuro
scienziati hanno indagato la natura dei comportamenti
emotivi che portano a questi errori così costosi.7 Coates, in
particolare, ha dimostrato che il comportamento dei trader è
riconducibile alla produzione di ormoni: quando il trader sta
guadagnando si registra un aumento di testosterone tale da
indurre a sottostimare i rischi assunti e, al contrario, quando
il trader si trova in una situazione di consistente volatilità del
mercato, le ghiandole surrenali producono un aumento di
cortisol tale da indurre alla sopravalutazione del rischio e
impedire scelte razionali. Siccome le femmine hanno appena
il 10% di testosterone riscontrato nei maschi, i neuro
scienziati sostengono che ulteriori perdite possono essere
evitate semplicemente inserendo donne al posto di uomini
nel ruolo di trader. Alle stesse conclusioni è giunto Terry
Odean nel suo paper “Boys will be Boys”.8

4.3 I bambini
Un’altra modalità di segmentazione della clientela potenziale
rispetto all’estensione del campo di scelta è la
clusterizzazione per fascia di età; in questo paragrafo
analizzeremo il segmento dei bambini.
Per quanto riguarda i bambini, bisogna subito prendere
atto che imparare a scegliere tra diverse alternative è una
pietra miliare del loro sviluppo. Nei primi anni di vita, il
bambino non conosce la vastità delle opzioni disponibili e
non sceglie tra diverse alternative, ma si limita ad accettare
o rifiutare ciò che gli viene proposto dai genitori. Con il
passare del tempo e in sintonia con lo sviluppo del
linguaggio, i genitori insegnano al bambino a scegliere
proponendogli diverse opzioni di uso del tempo, di cibo, di
divertimento; spesso la formazione alla scelta si esercita con
l’osservazione dell’adulto mentre acquista (co-shopping).
Questo addestramento non è tuttavia la prima forma di
educazione al consumo del bambino. Il bambino riceve infatti
un’eredità biologica dalla madre anche in materia di
consumo; il cervello del feto si forma riproducendo le
preferenze della madre per suoni, gusti e marche.9 Esiste
insomma un addestramento biologico durante la gravidanza,
che orienterà le nostre scelte per tutta la vita.10
Il senso dell’odorato si forma nel feto in relazione a ciò
che la madre mangia; la madre insegna al feto ad
apprezzare i profumi della sua dieta. Nello stesso tempo,
si riscontrano significative differenze nella struttura delle
aree del cervello deputate a processare gli odori perché
l’intermediazione del liquido amniotico influisce sullo
sviluppo di queste aree. Molte malattie che affliggono la
società derivano dal consumo eccessivo o carente di certi
alimenti. Comprendere i fattori che determinano la scelta
del cibo e l’alimentazione è importante per migliorare la
salute del bambino e dell’adulto.11
Può il feto diventare un target per le azioni di marketing?
Sembrerebbe proprio di si. Martin Lindstrom racconta che
Kopiko, una marca di caramelle molto nota nelle Filippine,
ha rifornito gratuitamente i pediatri ed i reparti maternità
per il libero consumo delle donne incinte e la conseguente
formazione del gusto dei neonati. La stessa impresa ha poi
lanciato una marca di caffè che aveva un gusto simile alle
caramelle Kopiko; la nuova marca di caffè è cresciuta
rapidamente in quota, anche presso il segmento dei bambini
che normalmente non apprezzano il caffè.12
Crescendo il bambino impara che la vita richiede
l’assunzione di decisioni che inevitabilmente comportano la
rinuncia a godere dei benefici delle opportunità scartate.
Imparare a scegliere bene tra un numero di alternative che
cresce a dismisura è difficile e richiede un grande impegno
da parte del bambino. L’addestramento alla scelta e la
trasformazione del bambino in un consumatore è un compito
educativo dei genitori, che tuttavia viene svolto in maniera
sempre più limitata e solo nei primi anni di vita in quanto
ben presto il bambino viene esposto alla pubblicità. È
appena il caso di precisare che l’educazione alla scelta non
può essere realizzata con riferimento ad un assortimento
esteso per le limitate capacità cognitive del bambino, che ha
una corteccia prefrontale in formazione.
Le imprese stanno moltiplicando gli sforzi per
raggiungere il target dei bambini. I piccoli mostri hanno
una straordinaria abilità nell’influenzare i genitori verso
gli acquisti di loro interesse. Vi è per altro la convinzione
che le abitudini apprese nell’infanzia durano anche
nell’età adulta. Così le imprese bombardano i bambini
con messaggi pubblicitari a partire dalla nascita. Il
bambino di tre anni riconosce in media negli USA 100
marche. Alcuni sanno anche ripetere i jingle. Se si offre
un’alternativa tra semplici carote e le carote di
McDonald, i bambini scelgono prontamente queste
ultime. Dal punto di vista dell’impresa, prima si aggancia
il potenziale cliente, tanto meglio. Alcuni esperimenti sui
topi suggeriscono che la propensione per il cibo
spazzatura può essere sviluppata durante la gestazione.13
La pubblicità ed il merchandising che hanno come target i
bambini assumono contenuti specifici e sono veicolati con
media specifici. Si pensi per esempio al ruolo del gioco
nell’addestramento all’acquisto e al consumo. Le fashion doll
(Barbie e Bratz), i fashion designer kit e i videogame,
svolgono tutti un ruolo importante nell’addestramento allo
shopping e al consumo strumentalizzando in sostanza il
gioco. Non è un caso che un retailer come H&M utilizzi
attraverso il licensing icone popolari (Garfield, Hello Kitty, i
Simpson, Snoopy, SpongeBob, Superman). Si pensi ancora
all’accordo commerciale realizzato da Benetton nel 2006 con
Barbie, che consisteva nel proporre i vestiti destinati alle
bambine insieme a bambole vestite nello stesso modo e
presentate con il claim “Barbie loves Benetton”. Vi sono poi
le cosiddette tecniche del trans-toying, che propongono
prodotti di consumo (biscotti, caramelle, patatine, pasta,
dentifrici e spazzolini) sotto forma di animali, lettere
dell’alfabeto e personaggi dei cartoni. I bambini diventano
dunque consumatori e acquirenti attraverso l’insegnamento
dei genitori, ma anche e soprattutto attraverso il gioco e
quindi grazie a un’attività di marketing che assume l’infanzia
come target primario. Il trans-toying può essere realizzato
anche agendo sui dettagli dei prodotti di uso comune, come
gli zainetti per esempio, aggiungendo occhi, ali, pinne e
quant’altro, al solo scopo di sfumare il confine tra gioco e
consumo.14 L’ambientazione del punto vendita o del reparto
destinato all’infanzia viene spesso organizzata simulando i
contesti di gioco. Al trans-toying si aggiunge poi la
miniaturizzazione del prodotto e del brand; si pensi in
proposito alle soluzioni adottate dal Mulino Bianco. Le
aziende hanno imparato a usare codici di comunicazione
propri dell’infanzia per instaurare una relazione con il
pubblico infantile, che rappresenta una domanda potenziale
da sottrarre ai competitor il prima possibile, anche prima del
momento in cui il bambino diventa autonomo sul piano
decisionale.
Spesso si confonde il consumo con l’acquisto e si
dimentica che non vi può essere educazione al consumo se
prima non si insegna ai bambini come scegliere tra diverse
alternative.15 Avendo poi i bambini una corteccia prefrontale
molto contenuta per estensione e ruolo, l’educazione alla
scelta acquista ancora più importanza in quanto è una delle
vie per costruire la mente cognitiva.
Anche il gioco online svolge oggi un ruolo importante
nell’addestramento alla scelta e nella formazione del futuro
acquirente – consumatore. Si pensi per esempio al Club
Penguin, un contesto virtuale progettato per bambini da 4 a
10 anni, che assegna al giocatore il controllo di un pinguino
come avatar da vestire, nutrire, divertire… Il sito Club
Penguin si propone ai genitori come uno spazio protetto
pensato per far divertire i bambini simulando la vita reale
degli acquisti che il bambino realizza con moneta virtuale.
Quando il bambino esaurisce la moneta virtuale, può
guadagnare altra capacità di spesa per il suo pinguino,
semplicemente giocando.
Più guadagni giocando, più acquisti puoi fare. Più acquisti
e più desideri guadagnare. Il sito può offrire ai genitori
una relativa sicurezza per i loro figli, ma è anche uno
strumento per apprendere le pene ed i piaceri
dell’acquisto compulsivo.16
Se il genitore ha il compito di educare il bambino a
scegliere, il bambino svolge per contro un ruolo di
suggeritore della spesa e finisce per condizionare in maniera
rilevante il comportamento di acquisto degli adulti. Che i
bambini influenzino le scelte degli adulti si può leggere
anche nel piano media delle aziende: Nickelodeon, un canale
televisivo per bambini, trasmette con alta frequenza spot di
auto di lusso e vacanze relax per la famiglia in luoghi esotici,
evidentemente facendo affidamento sul ruolo di influenzatori
dei bambini.17 Le aziende non considerano più dunque
l’infanzia solo come un mercato secondario da raggiungere
scegliendo come target gli adulti in quanto responsabili delle
decisioni di acquisto. Sempre più spesso l’infanzia viene
invece considerata come un mercato primario in una duplice
accezione:
› la fedeltà al brand inizia nell’infanzia, in quanto il bambino
di oggi sarà l’acquirente di domani (mercato futuro);
› il bambino non decide l’acquisto, ma può influenzarlo
(mercato di influenza).
Considerare l’infanzia come un mercato primario significa
sviluppare strategie di marketing specifiche, con codici
espressivi differenti da quelli degli adulti, ma accomunati
dall’obiettivo di stabilire una relazione positiva sul piano
dell’acquisto. E così il marketing ha invaso di fatto anche lo
spazio del gioco: molti giocattoli sono la semplice
riproduzione di personaggi e oggetti veicolati da programmi
televisivi, film e videogiochi.
Sfumando il confine tra pubblicità e divertimento, il
messaggio può generare notevoli benefici per l’impresa.
È possibile in primo luogo aggirare la regolamentazione
che proibisce la pubblicità televisiva del cibo spazzatura
ai bambini. In secondo luogo, il messaggio può
beneficiare di una diffusione virale dal momento che i
bambini, giocando e condividendo i contenuti del gioco
coi coetanei, diventano involontari ambasciatori della
marca. In terzo luogo, questi giochi creano dipendenza.18
Thomson (2010) e Lee et al. (2009) analizzano advergame
proposti da food brand mostrando il tentativo di orientare
il bambino nelle scelte di consumo attraverso la
persuasione implicita, l’immersione in una narrazione che
scavalca l’attenzione cosciente (Nairn e Fine, 2008). I
giochi online offrono contenuti emotivi interattivi (Bakan,
2011) orchestrati intorno alla paura o all’amore, come nel
caso citato di Club Penguin e Neopets.19
Anche i distributori hanno iniziato a scegliere i bambini
come target delle loro azioni di marketing, attraverso la
contestualizzazione dei prodotti loro dedicati in un unico
spazio, una comunicazione di punto vendita specifica per
genitori e figli, la realizzazione di club con carte dedicate e
lo sfruttamento della multicanalità. Si pensi per esempio
all’esperienza di Finiper, che ha realizzato un baby club con
una carta specifica ed una vivace presenza su Facebook e
Twitter.20
Nel nostro Paese le iniziative online vanno dalle pagine
Facebook dedicate ai prodotti per bambini21 o finalizzate
all’educazione alimentare (Kinder Colazione), alle
comunità virtuali basate sul gioco (Kinder Tv), fino al
coinvolgimento dei bambini nella progettazione dei siti
stessi (Nesquik).
My page è una comunità in cui i bambini possono creare
pagine web personalizzabili attraverso giocattoli digitali
(i kidget),22 che possono assumere la forma di game
online, video, disegni da colorare, ma anche sondaggi e
curiosità. Dietro alcuni kidget si nascondono noti brand
come Lego e Clementoni che sfruttano il gioco per
instaurare un legame con il bambino veicolando i valori
della marca.23

4.4 Gli anziani


Per analizzare il segmento degli anziani, bisogna
innanzitutto prendere atto dei cambiamenti che
intervengono nella nostra mente con il passare dell’età. Il
nostro cervello subisce rilevanti cambiamenti dopo aver
raggiunto il massimo di performance all’età di 22 anni.
Questi cambiamenti sono lenti fino a 60 anni e poi subiscono
una accelerazione. L’importanza del segmento degli anziani
(ultrasessantenni) sia in numerica che in termini di capacità
di acquisto è troppo evidente perché si debbano spendere
molte parole in questa sede. Ciò che invece interessa è il
significato dell’assunzione degli anziani come target delle
azioni di consumer marketing e shopper marketing. È ovvio
infatti che scegliendo gli anziani come target delle azioni di
marketing, non si può prescindere dai cambiamenti che il
cervello ha subito con l’età; questi cambiamenti influenzano
infatti in maniera rilevante il comportamento di acquisto.
Gli anziani presentano una minor capacità di
concentrazione sugli elementi essenziali della decisione da
assumere; più si avanza nell’età e più siamo soggetti a
distrazioni che finiscono per incidere sulla nostra capacità di
elaborazione cognitiva e di memoria. Questo elemento ci
porta a ritenere che se da un lato la propensione al consumo
dell’anziano si riduce per effetto dei minori stimoli sessuali
connessi alla riproduzione, dall’altro, l’anziano che si trova
all’interno del punto vendita è più portato ad acquistare
d’impulso. La comunicazione pubblicitaria tradizionale è
dunque sicuramente inefficace nell’orientare gli anziani
all’acquisto, mentre le raccomandazioni di parenti e amici
assumono un’importanza straordinaria.24
La ridotta capacità di concentrazione ed elaborazione
cognitiva implica poi che l’estensione dell’assortimento ha
conseguenze maggiormente negative sugli anziani che, oltre
ad avere una minor propensione all’acquisto di per sé,
possono spaventarsi e confondersi di fronte a una scelta
troppo ampia e cambiare di conseguenza formato o insegna.
Non è un caso che la struttura della clientela dei
convenience store evidenzi una maggior incidenza degli
anziani; oltre alla minor mobilità, l’anziano esprime infatti
disagio e una maggior repulsione verso contesti massificati
di prodotti e shopper.
Se da un lato il costo di opportunità del tempo dedicato
agli acquisti è minore per l’anziano che, essendo pensionato,
dispone di molto tempo per valutare le alternative, dall’altro,
il processo di valutazione innesca spesso conflitti e genera
insoddisfazione. È molto frequente infatti l’acquisto in
coppia: il marito pensionato accompagna la moglie, che
continua a svolgere il ruolo di driver negli acquisti e mal
sopporta le interferenze del compagno.
Un’altra caratteristica del segmento degli anziani è la
forte nostalgia. Con l’avanzare dell’età si è più portati a
credere che il passato era meglio del presente, non tanto
perché si era giovani, quanto piuttosto per i prodotti, le
relazioni ed il contesto del tempo che fu.
[…] sia che si tratti del ketchup o della mostarda in
frigorifero, ovvero del profumo del sapone da barba dei
nostri genitori, conserviamo per tutta la nostra vita di
adulti un particolare attaccamento ai prodotti della
nostra infanzia. La nostra esperienza non è l’unica
circostanza che influenza le nostre preferenze di marca.
Abbiamo infatti un anormale attaccamento anche ai gusti
ed ai profumi della nostra storia e cultura.25
Come si configura dunque il targeting degli anziani nel
marketing distributivo? Il primo e più importante elemento
da tener presente è la necessità di una offerta camuffata: gli
anziani non vogliono prodotti e punti vendita esplicitamente
rivolti a loro perché rifiutano emotivamente di appartenere a
questo cluster. Una volta scoperto il formato e l’insegna che
più soddisfa le loro esigenze, gli anziani sono pronti a
rimanere fedeli per la vita residua. In secondo luogo bisogna
considerare che alcuni benefici ricercati dagli anziani
soddisfano anche le esigenze dei giovani e, quindi, il
distributore può attrarre entrambi i segmenti con un’unica
soluzione. Si pensi per esempio alla grande dimensione dei
caratteri delle etichette a scaffale, alla maggior larghezza
delle corsie e alla minor altezza delle gondole. Altri benefici
ricercati dagli anziani nell’offerta distributiva sono invece
specifici per questo segmento. Gli anziani preferiscono
infatti un personale di vendita sopra i 50 anni mentre i
giovani preferiscono un personale di vendita sotto i 30 anni.
I prodotti ricercati dagli anziani sono sostanzialmente diversi
da quelli ricercati dai giovani sia per ricettazione che per
formato e fascia prezzo. In particolare, gli anziani
vorrebbero un assortimento essenziale, contestualizzato in
maniera stabile in modo da agevolare il loro processo di
acquisto.
Un’altra caratteristica del cervello dell’anziano è il
maggior controllo delle emozioni negative; il minor tempo
che resta da vivere, oltre all’esperienza maturata,
convergono nel ridurre l’ansia e la paura per le incertezze
riservate dal futuro. Anche questo elemento impatta in
maniera rilevante sul comportamento di acquisto. Maggior
controllo delle emozioni negative significa per esempio una
minor attivazione dell’insula e, quindi, una maggior
predisposizione all’acquisto di prodotti premium,26
soprattutto se si tratta di acquistare prodotti che allungano
la vita o promettono un benessere psico-fisico. Purtroppo,
dobbiamo invece costatare che la manovra del pricing per
attivare il segmento degli anziani è frequentemente
sbagliata. Si pensi per esempio agli sconti riconosciuti alle
persone con più di 65 anni nell’acquisto di un biglietto per il
cinema o per un viaggio in treno. Questi sconti, che sono
previsti per legge e si applicano ormai da molti anni, si
basano sull’assunto che gli anziani abbiano una capacità di
reddito inferiore a quella dei giovani, oltre a una minor
propensione all’acquisto. Il dislivello di reddito non risponde
più alla realtà attuale e, quindi, da questo punto di vista, la
discriminazione dei prezzi a favore del segmento degli
anziani dovrebbe essere dismessa. Siamo a conoscenza di un
unico caso di coerenza tra il target degli anziani ed il
posizionamento di prezzo; si tratta dell’insegna Mueller, che
vende prodotti per l’igiene ed il benessere della persona
proponendo anche sul piano espositivo la differenziazione
per età e prezzo come indicata nella Figura 4.1.
Da un punto di vista aziendale, la riduzione del prezzo è
un modo sbagliato per attivare il targeting degli anziani. La
minor propensione all’acquisto di uno spettacolo
cinematografico o di un viaggio non si contrasta con la
riduzione del prezzo, ma con la customizzazione del
prodotto. Gli anziani sono infatti scarsamente sensibili agli
sconti loro riservati; alcuni evitano addirittura di chiedere lo
sconto per non palesare la loro appartenenza al segmento. Al
contrario, gli anziani sono molto sensibili a un prodotto che
soddisfi le loro esigenze senza tuttavia palesarlo; la
customizzazione del prodotto permette al venditore di
applicare un premium price e, quindi, di seguire una strada
opposta a quella attualmente in uso nel targeting degli
anziani. Nei casi di specie, la ristrutturazione di film d’epoca
proposti a un premium price in maniera indistinta a tutta la
clientela, riscuoterebbe una larga adesione solo da parte del
segmento degli anziani. Nel caso del treno, dato che ormai
non è concesso fumare in alcuna carrozza, gli anziani
pagherebbero volentieri un premium price per poter sedere
in una carrozza dove, oltre a non fumare, non sia consentito
telefonare.
Figura 4.1: Il pricing per segmento di età

Una maggior sensibilità agli stimoli positivi rispetto agli


stimoli negativi e, in particolare, una resistenza alla
comunicazione formulata in termini di divieto, si traducono
poi nella necessità di utilizzare leve specifiche quando si
assume come target la popolazione degli anziani. Studi
neurologici hanno dimostrato che l’amigdala, responsabile di
emozioni negative come la paura e l’ira negli anziani, si
attiva molto meno. Anche questo cambiamento ha una
grande importanza nell’orientare il comportamento di
acquisto a fronte di specifiche azioni di marketing. Il
marketing della paura non funziona con gli anziani; la
promozione ad esaurimento della scorta ed i temporary store
non hanno alcun impatto su di loro.

4.5 I volitivi
La decisione di acquisto è spesso frutto dell’interazione tra
la mente emotiva e la mente cognitiva, ovvero
dell’attivazione di processi automatici e controllati. Questa
interazione è regolata da meccanismi di interpretazione,
cooperazione e competizione. Quando la corteccia orbito
frontale (OFC) orienta la scelta, la mente emotiva ha già
deciso. Le emozioni sono dunque una componente intrinseca
del processo decisionale, non un input che devia il cervello
consapevole dalla scelta più razionale.27 In molti casi, la
mente consapevole rappresenta solo un freno al
decisionismo della mente emotiva. Come i fumatori devono
fare uno sforzo cognitivo per contenere il loro impulso, e così
fanno gli individui in sovrappeso che tentano di resistere
all’impulso di abbuffarsi, lo stesso si può dire per il
comportamento di acquisto con riferimento agli individui che
cercano di frenare cognitivamente il loro impulso a
spendere. Ecco perché si parla comunemente di individui
con maggior o minor forza di volontà, intendendo con questo
la capacità di resistere agli impulsi delle emozioni. È stato
peraltro sperimentalmente dimostrato che la forza di volontà
è una risorsa limitata, che si esaurisce man mano che viene
utilizzata.28 Per cui, inevitabilmente, le emozioni finiscono
per prevalere in quanto la mente consapevole non riesce a
resistere a lungo alle tentazioni; l’energia mentale si
esaurisce dunque come l’energia fisica a seguito di un
utilizzo prolungato.29
La forza di volontà si esaurisce con l’uso. L’autocontrollo
diventa via via più difficile e alla fine soccombiamo alle
tentazioni. Una volta che le risorse di autocontrollo sono
esaurite, cambiamo idea circa il comportamento da
assumere.30
Gli psicologi hanno studiato la forza di volontà
prescindendo dalla difficoltà della decisione e, in particolare,
dall’impatto che l’eccesso di scelta può avere sulla difficoltà
della decisione e di conseguenza sull’esaurimento della forza
di volontà. Immaginiamo ora una sorta di tiro alla fune tra la
mente emotiva, che ci spinge ad acquistare, e la mente
cognitiva che al contrario frena la nostra propensione
all’acquisto. Il freno cognitivo all’acquisto può essere
spiegato con riferimento a motivazioni di ordine superiore
come il risparmio per far fronte a un futuro incerto, ovvero
la necessità di perdere peso per ridurre i rischi che l’obesità
rappresenta per la nostra salute, ma può essere ricondotto
anche alla difficoltà del trade off dei benefici ricercati in un
assortimento molto esteso. Posto che la nostra energia
mentale diminuisce in funzione del numero delle scelte che
facciamo e della difficoltà delle scelte stesse, non c’è dubbio
che, quando siamo costretti a scegliere una marca/referenza
in un assortimento di categoria molto vasto, la nostra mente
cognitiva si affatica.
Abbiamo visto nei precedenti capitoli che l’eccesso di
scelta genera confusione, disorientamento, panico e ansia;
ciò che si può tradurre nell’incapacità di decidere e, quindi,
nel rinvio della decisione. Quando però la decisione non può
essere rinviata, come nel caso degli acquisti grocery,
l’affaticamento mentale generato dall’eccesso di scelta si
traduce in euristiche semplificate che riducono la
componente cognitiva nel processo decisionale.
L’affaticamento mentale ci porta a risparmiare risorse
cognitive:
› focalizzando la decisione solo su uno o pochi benefici
ricercati;
› accettando i consigli del personale di vendita e, di fatto,
rinunciando a decidere;
› socializzando gli acquisti con la scelta dei prodotti più
venduti.
Quando entriamo in un punto vendita grocery, le decisioni
da assumere sono numerosissime e molto complicate:
dobbiamo scegliere il miglior percorso per risparmiar tempo
nella localizzazione dei prodotti che ci interessano e, davanti
allo scaffale in cui è esposta la categoria, dobbiamo
confrontare numerosissime alternative. È ovvio che, man
mano che procediamo nella spesa, la fatica mentale si
accumula e, di conseguenza, si riduce la forza di volontà che
frena la nostra propensione agli acquisti e cambia il processo
decisionale perché risparmiamo via via risorse cognitive.31
Questo significa che il layout merceologico, ovvero la
localizzazione delle categorie in punto vendita, non è
rilevante solo in relazione al flusso dei clienti, in quanto la
localizzazione nelle aree più frequentate aumenta la
probabilità di vendita del prodotto perché aumentano i
contatti con la clientela, ma è rilevante anche in relazione
alla fatica mentale che si accumula nel processo di acquisto.
I prodotti localizzati alla fine del percorso di acquisto
beneficiano cioè di un esaurimento della forza di volontà e di
una prevalenza della mente emotiva sulla mente cognitiva.
Le categorie dolciarie (confectionary), le merendine e gli
snack, se posizionati alla fine del percorso di acquisto e in
avancassa, possono beneficiare di una riduzione della forza
di volontà dell’acquirente e della prevalenza della mente
emotiva nella decisione di acquisto. Inoltre, visto che il
carburante del cervello è lo zucchero, e considerato che la
fatica di decidere abbassa gli zuccheri, posizionare le
categorie del dolce alla fine del percorso di acquisto significa
sfruttare un bisogno fisiologico dell’acquirente per vincere
anche in questo modo le sue resistenze all’acquisto.32
Una delle scoperte più importanti della psicologia
cognitiva negli ultimi decenni è stata la dimostrazione
dello sforzo che sopportiamo quando svolgiamo diversi
compiti in successione, specialmente se siamo sottoposti
ad una pressione temporale. […] Il sistema nervoso
consuma più zucchero di qualsiasi altra parte del corpo
[…]. Quando siamo attivamente impegnati in difficili
compiti cognitivi, ovvero in attività che richiedono un
autocontrollo, il livello di zucchero nel sangue cala.33
La fatica mentale si accumula durante l’acquisto, ma il
cliente può essere mentalmente affaticato anche quando
entra nel punto vendita. Siccome prendiamo decisioni
continuamente, fare la spesa il pomeriggio o la sera implica
una fatica mentale maggiore rispetto alla spesa di mattina.
Le insegne hanno fino a ora gestito il tempo della spesa con
la discriminazione temporale dei prezzi; per ridurre le
conseguenze negative della concentrazione temporale delle
vendite.34 I distributori offrono infatti incentivi a chi cambia
il comportamento di acquisto scegliendo i giorni e le fasce
orarie meno frequentate. Dato che l’affaticamento della
mente ha rilevanti conseguenze sul comportamento di
acquisto, potrebbe essere conveniente incentivare i clienti
ad acquistare nel tardo pomeriggio quando la loro resistenza
cognitiva è ridotta per effetto dell’affaticamento mentale
prodotto dalle decisioni assunte nella giornata.35

1 Schwartz B. (2009), The Paradox of choice, Harper Collins e-books, location


1078-84
2 Lugli G. (2011), Neuroshopping, Apogeo, Milano.
3 Luceri B., Latusi S. (2012), Multiple store patronage: the role of consumer
characteristics and market structure variables, Parma University, in corso di
stampa.
4 Maguire E.A., Nannery R., Spiers H.J. (2006), “Navigation around London by
Taxi Driver with Bilateral Hippocampal Lesions”, Brain, 129, II, pp. 2894-907.
5 Lindstrom M., op. cit., Kindle location 2035-38.
6 I più recenti casi sono quello di Jerome Kerviel della Société Générale del 2008
e di Kweku Adoboli di UBS nel 2011. Come si può osservare nel grafico
dell’Economist, le perdite sono state molto importanti.

7 Si veda in particolare la ricerca di John Coates della Cambridge University.


8 “...men acted on their useless ideas significantly more often than women, and
that as a result women achieved better investment results than man. [...] skill
in evaluating the business prospects of a firm is not sufficient for successful
stock trading, where the key question is whether the information about firm is
already incorporated in the price of stock. Traders apparently lack the skill to
answer this crucial question, but they still appear to be ignorant of their
ignorance. […] Our understanding of cognitive ease and associative coherence
locates subjective confidence firmly in System.1” Kahneman D., (2011)
Thinking, fast and slow, Ferrar, Straus and Giroux, New York, Amazon kindle,
location 3880-83, 3949-52.
9 Todrank J., Heth G. e Restrepo D. (2010), “Effects of in utero odorant exposure
on neuroanatomical development of the olfactory bulb and odour preferences”,
Proceedings of the Royal Society London, B 278: 1949-1955.
10 Mennella J.A., Jagnow C.P., Beauchamp G.K., “Prenatal and postnatal flavour
learning by human infants”, Pediatrics, 107 (2001), n. 6: E88.
11 http://www.sciencedaily.com/releases/2010/12/101201095559.htm.
12 Lindstrom M. (2011), Brandwashed: Tricks companies use to manipolate our
minds and persuade us to buy Crown Business, Kindle e-book location 393-96.
13 Ibidem.
14 Allo stesso modo, per raggiungere il consumatore con i loro messaggi, alcune
imprese sfumano i confini tra pubblicità e divertimento entrando dentro il
programma televisivo. “In this era of time-shifted television viewing and fast-
forwarding of commercials, how do you get the audience to stop and hear your
marketing message? Be a part of the show. Saks Inc., Macy’s Inc. and Swedish
retailer Hennes & Mauritz AB are doing just that with the new show “Fashion
Star,” which debuts Tuesday on NBC. On the program, aspiring apparel
designers pitch their fashions to buyers from the three retailers. The buyers bid
on the designs, which are made available online and in the retailers’ stores
after each episode.” The Wall Street Journal, Media & Marketing Edition, 13
marzo 2012.
15 “Il nostro sistema sociale non ha più la priorità di insegnare ai bambini come
crescere bene socialmente, intellettualmente e spiritualmente, ma ha la priorità
di educarli fin dalla nascita come consumatori”, Schor J.B. (2005), Nati per
comprare, Apogeo.
16 Lindstrom M. (2011), op. cit., location 1501-5.
17 Oltre a Nickelodeon, negli USA esistono altri due canali televisivi che hanno
come target i bambini da 2 a 11 anni: Walt Disney Co.’s e Time Warner Inc.’s
Cartoon Network.
18 Lindstrom M. (2011), op. cit., location 487-90.
19 Franchi M., Ziliani C., Bellini S. (2012), “Bambini: conversazioni nella rete e
strategie di brand. Prime osservazioni e linee di ricerca”, Paper in corso di
stampa.
20 Nel mese di ottobre 2011, risultavano 13.500 iscritti con 915.000 pagine
visitate e 104.000 visite. Secondo l’azienda, i clienti iscritti al baby club hanno
acquistato il 54% in più rispetto all’anno precedente, mentre le famiglie con
bambini che non sono iscritte al club hanno generato un aumento del 15% delle
vendite rispetto all’anno precedente. Fatta pari a 100 la scontistica dedicata da
Finiper al mondo baby, il 39% è somministrata on line, il 27% è attivata a punto
vendita mentre il restante 34% è riconducibile a buoni sconto sul volantino. Qui
di seguito la carta del baby club di Finiper.
21 Nel mese di marzo 2012, Kinder Sorpresa e Nutella risultavano tra i Top 5
brand in Italia per numero di fan su Facebook, rispettivamente con oltre 3,7 e
3,6 milioni di utenti (www.socialbakers.com).
22 I kid widgets (kidgets) sono applicazioni rivolte ai bambini che permettono di
personalizzare la propria pagina e contemporaneamente veicolano messaggi
pubblicitari tracciando la risposta al messaggio.
23 Franchi M., Ziliani C., Bellini S. (2012), op. cit.
24 “Marketing to the elderly is tricky. The direct approach – say, calling your
product < the soap for the over ’70 > does not work. And traditional
advertising fails. You can’t use TV adverts: they forget them… we show it again
and again and again – and they still can’t recall it … Word of mouth is the only
way.” The Economist, 30 luglio 2011, p. 56.
25 Lindstrom M. (2011), op. cit., kindle location 2979-82.
26 “Ueshima never explicitly describes it-self as a coffee shop for the elderly. But
it target them relentlessly – and stealthily. Stealthily, because the last thing
septuagenarians want to hears is that their favourite coffee shop is a nursing
home in disguise. … At Ueshima a medium-sized coffee is 380 yen, about 10%
more than Starbucks.” The Economist, 30 luglio 2011, p. 56.
27 Kahneman D., Slovic P., Tversky A., (a cura di) (1982), Judgement under
Uncertainty: Heuristic and Biases, Cambridge Universiy Press, Cambridge.
28 Baumeister R.F., Bratslavsky E., Muraven M. (1998), “Egodeception: Is the
active self a limited re source?”, Journal of personality and social Psycology 74:
1252-1265. Vohs K.D., Faber R. (2003), “Self-regulation and impulsive spending
patterns”, Advances in consumer research, Vol. 30, a cura di Keller P.A. e Rook
D.W., Association for consumer research.
29 Oscar Wilde sosteneva che “l’unico modo per liberarsi di una tentazione è
cedere ad essa”.
30 Levy N. (2009), “Neuromarketing: Ethical and political Challenges”, Etica &
Politica, 2, p. 15.
31 “Indeed, there is evidence that people are more likely to be influenced by
empty persuasive messages, such as commercials, when they are tired and
depleted”, Kahneman D., (2011) Thinking, fast and slow, Farrar, Straus and
Giroux, New York, Amazonkindle, location 1478-82.
32 Baumeister R.F. (2011), Willpower: rediscovering the greatest human strength,
Penguin Press, USA.
33 Kahneman D. (2011), op.cit., Kindle location 657-61, 761-64.
34 La concentrazione temporale delle vendite aumenta i costi di produzione del
servizio e peggiora la qualità delle prestazioni. Cfr G. Lugli (2009), Marketing
distributivo, UTET, Torino, 2009.
35 Mia moglie segnala che il punto vendita COOP dove fa abitualmente la spesa
offre punti tripli a chi fa la spesa il martedì, con il risultato che la domanda si
concentra al mattino ed il pomeriggio si verificano rotture di stock, soprattutto
nel settore fresco. Se la COOP volesse cogliere le opportunità offerte
dall’affaticamento mentale della clientela e nello stesso tempo migliorare la
qualità del servizio, dovrebbe offrire un maggior numero di punti per la spesa
effettuata il martedì pomeriggio rispetto al martedì mattina.
La gestione corrente
dell’eccesso di varietà

“Razionalizzare” l’assortimento per ridurre


5.1
la scelta
In letteratura, gli autori che si sono occupati
dell’ottimizzazione dell’assortimento, lo hanno fatto secondo
una prospettiva unidirezionale, vale a dire tenendo conto
solo della domanda e non anche dei contributi offerti dai
fornitori.1 Inoltre, il dibattito si è polarizzato tra chi
ipotizzava un calo di vendite e chi, al contrario, riteneva
possibile ridurre i costi eliminando le referenze a minor
rotazione senza contraccolpi negativi sulla domanda.
Uno studio del Food Marketing Institute ha dimostrato
che la riduzione delle referenze trattate in sei categorie
(cereali per la prima colazione, dentifrici, insalate, carta
igienica, condimenti per la pasta e cibo per animali) da
tre insegne non ha generato riduzioni significative nelle
vendite di categoria.
Progressive Grocer ha pubblicato un altro studio sugli
effetti della riduzione delle referenze trattate nella
categoria delle cassette igieniche per gatti; passando da
26 a 16 referenze, le vendite della categoria nei 23 punti
vendita in test non sono diminuite rispetto ai 23 punti
vendita di controllo.2
Sulla stessa lunghezza d’onda sono gli studi che
dimostrano l’incapacità del consumatore di percepire una
riduzione della varietà nel caso di una contrazione
dell’assortimento che:
› non superi una definita soglia (25%);3
› non intacchi la presenza dei prodotti maggiormente
acquistati;
› non si accompagni a una riduzione dello spazio assegnato
alla categoria perché, in questo caso, i prodotti a maggior
rotazione sono più facilmente localizzati sullo scaffale.
La nostra prospettiva di analisi è opposta rispetto agli
studi precedenti, dal momento che l’evidenza ci suggerisce
che un assortimento troppo esteso può indurre il
consumatore a rinviare la scelta e/o a sostituire la categoria;
di conseguenza, eliminare le referenze marginali a parità di
spazio espositivo assegnato alla categoria non solo non
avrebbe effetti negativi sul giro d’affari, ma potrebbe
addirittura portare a un aumento delle vendite. Il nostro
focus analitico non è dunque ridurre il choice overload al
fine di contenere i costi a parità di vendite, bensì ridurlo per
aumentare le vendite. È ovvio tuttavia che la relazione tra
razionalizzazione dell’assortimento e aumento delle vendite
non è univoca. In altri termini non è sufficiente eliminare le
referenze a minor rotazione per ottenere effetti positivi sui
costi e sulle vendite. Affinché la razionalizzazione
dell’assortimento produca effetti positivi in entrambe le
direzioni, minori costi e più vendite, occorre infatti tenere
conto del profilo degli acquirenti dei prodotti a bassa
rotazione e, soprattutto, dell’achoring effect. Se gli
acquirenti dei prodotti a bassa rotazione sono clienti alto
spendenti che rinuncerebbero a frequentare l’insegna in
caso di dereferenziamento dei prodotti di nicchia da loro
preferiti, la razionalizzazione non porterebbe a risultati
positivi. Oltre al profilo degli acquirenti dei prodotti a bassa
rotazione, occorre considerare il ruolo che questi prodotti
possono avere nel supportare la vendita di altri prodotti
attraverso l’effetto àncora. L’ampiezza dell’assortimento di
categoria è infatti rilevante sul piano informativo perché, per
alimentare la componente cognitiva del processo di acquisto,
abbiamo bisogno di un’àncora; in altri termini, può essere
conveniente trattare una marca premium a bassa rotazione
per l’informazione che fornisce ai clienti che scelgono
marche ad alta rotazione e posizionamento intermedio nella
scala prezzi. Analogamente, anche la profondità
dell’assortimento di categoria è rilevante sul piano
informativo perché àncora cognitivamente i nostri acquisti;
si pensi al ruolo svolto dai diversi formati di prodotto nel
supportare la scelta dell’acquirente. Posto che le insegne
aggregano l’esposizione delle referenze di una stessa marca
e articolano il prezzo sia per confezione che per unità di
misura, il prezzo unitario (più alto) dei formati più piccoli e
meno venduti rappresenta un’ancora rispetto al prezzo
unitario (più basso) dei formati più grandi e più venduti, che
si vuole promuovere attraverso la tecnica dell’unit pricing.
Anche in questo caso, asciugare l’assortimento eliminando le
confezioni a minor rotazione comprometterebbe l’anchoring
effect e non potrebbe quindi avere effetti positivi. In
definitiva, le preferenze degli acquirenti non sono stabili e
indipendenti dal contesto assortimentale. La conseguenza
operativa di questa scoperta della psicologia cognitiva è che,
eliminando una referenza a bassa rotazione, non si riducono
solo i costi ma possono ridursi anche le vendite di quelle
referenze il cui acquisto era ancorato alla referenza
eliminata.
Per dimostrare ulteriormente l’importanza dell’àncora
assortimentale ai fini del processo di acquisto, abbiamo
condotto un esperimento di valorizzazione di una bottiglia di
vino. L’importanza del contesto assortimentale nella
definizione del valore del singolo prodotto e, di conseguenza,
anche l’eccesso di offerta, può essere infatti verificata
sperimentalmente. Posto che l’ipotesi economica di
invarianza delle preferenze è stata messa in discussione con
successo dagli psicologi, che hanno dimostrato come le
nostre scelte cambiano a seconda del contesto e della
rappresentazione (framing), formuliamo l’ipotesi aggiuntiva
che il contesto incida anche sul valore attribuito a un dato
prodotto e sul conseguente processo di acquisto. Se
chiediamo a un gruppo di consumatori di fissare il prezzo a
cui sarebbero disposti ad acquistare un determinato
prodotto, il prezzo medio indicato dovrebbe
significativamente cambiare al variare del contesto
assortimentale. Infatti, quando dobbiamo valutare un singolo
prodotto è la mente emotiva che si attiva confrontando i
benefici previsti (nucleus accumbens) col dolore della
perdita di denaro che discende dal pagamento (insula).
Quando invece la valutazione soggettiva del prezzo può
giovarsi del confronto con altri prodotti di cui si conoscono i
benefici e il prezzo chiesto dal venditore, è la mente
cognitiva che viene attivata. La mente cognitiva ha infatti
bisogno di un riferimento, di un’àncora, per valutare
l’opzione presentata. Per verificare questa ipotesi, abbiamo
suddiviso gli studenti del corso di Marketing Distributivo in
quattro gruppi di 30 individui senza distinzione di genere. Al
primo gruppo abbiamo chiesto di fissare, individualmente e
senza consultarsi con i colleghi, il prezzo che erano disposti
a pagare per una bottiglia di Morellino di Scansano a marca
“Cantina Morellino”; i soggetti potevano leggere l’etichetta
che conteneva informazioni dettagliate sul vino, osservare e
toccare la bottiglia, ma non era previsto l’assaggio del vino.
Al secondo gruppo è stato affidato lo stesso compito del
primo, offrendo però anche una bottiglia dello stesso tipo di
vino, ma di marca “Moris”, con il prezzo già fissato dal
venditore (Ipercoop) a 10,94 €. Al terzo gruppo è stato
affidato lo stesso compito del secondo, ma la bottiglia già
prezzata dal venditore a 5,78 € aveva la marca “La Mora”.
Infine, il quarto gruppo doveva prezzare la stessa bottiglia
presentata agli altri tre gruppi, ma il compito poteva essere
svolto osservando il prezzo definito dal venditore per la
marca premium “Moris” (10,94€) e la marca value “la Mora”
(5,78 €). I risultati dell’esperimento sono stati i seguenti:
› 1° gruppo (solo Cantina Morellino): 5,65 € con un campo di
variazione da 3 € a 10 €;
› 2° gruppo (Cantina Morellino + Moris a 10,94 €): 10,98 €
con un campo di variazione da 5,5 € a 12,9 €;
› 3° gruppo (Cantina Morellino + La Mora a 4,62 €): 4,27 €
con un campo di variazione da 2,6 € a 6 €;
› 4° gruppo (Cantina Morellino + Moris a 10,94 € + La Mora
a 4,62 €): 6,75 € con un campo di variazione da 4,65 € a 8,6
€.
L’ipotesi che il valore attribuito a un prodotto dipenda dal
contesto assortimentale in cui è presentato risulta pertanto
confermata; il prezzo medio varia infatti in maniera
significativa da un gruppo all’altro. Si noti peraltro che il
prezzo attribuito è relativamente alto quando la bottiglia
“Cantina Morellino” è presentata insieme a un’alternativa
premium (Moris) mentre è relativamente basso quando
l’àncora è un’alternativa value (La Mora). Posto che il prezzo
Ipercoop di “Cantina Morellino” è di 6,24 €, il primo e il
quarto gruppo hanno espresso un posizionamento molto
vicino al reale. Ciò è particolarmente rilevante dato che il
primo gruppo ha svolto il suo compito attivando la mente
emotiva, mentre il quarto gruppo si è avvalso della mente
cognitiva che orienta le nostre scelte al centro della scala
prezzi per minimizzare il rammarico potenziale.
Attribuire un prezzo infatti equivale alla realizzazione di
una scelta di acquisto; nel momento in cui il soggetto
definisce il prezzo massimo che è disposto a pagare per il
prodotto (prezzo di resistenza), attiva tutti i processi
neuropsicologici sottesi alla decisione di acquisto.
Supponiamo a questo punto che la bottiglia premium a
marca Moris abbia una rotazione molto bassa;4 possiamo in
questo caso “razionalizzare” l’assortimento delistandola?
Certamente no! Il dereferenziamento di Moris potrebbe
ridurre i costi, ma renderebbe certamente più difficile il
processo di acquisto e, quindi, potremmo assistere a una
riduzione delle vendite. Non è dunque sempre vero che la
riduzione dell’eccesso di scelta può essere fatta senza
generare conseguenze negative sulle vendite o addirittura
aumentando le vendite; gli effetti della riduzione della scelta
dipendono infatti dal ruolo che le referenze estromesse
svolgono nel processo di acquisto.
Posto che la mente cognitiva ha bisogno di un prezzo di
riferimento per ancorare le nostre scelte, la politica
assortimentale non è indipendente dal pricing; in altri
termini, può essere opportuno continuare a trattare una
referenza a bassa rotazione se la sua presenza è necessaria
per ancorare la nostra valutazione cognitiva delle alternative
di prezzo. Il prezzo di riferimento che àncora le nostre scelte
non è sempre lo stesso; il prezzo della marca leader
rappresenta infatti l’àncora per il pricing della marca
commerciale e per gli acquisti delle altre marche in offerta
normale, mentre il prezzo pieno rappresenta l’àncora per gli
acquisti in offerta speciale, vale a dire in promozione. Dal
momento che oggi anche le marche leader sono offerte in
promozione, il processo di scelta si complica proprio perché
il prezzo di riferimento della categoria diventa instabile.
Posto che l’àncora deve essere stabile per orientare
l’acquisto, possiamo concludere che la componente cognitiva
del processo di acquisto si sta sempre più riducendo a favore
della componente emotiva anche per effetto del
comportamento delle imprese nella manovra della leva
prezzo.
Vi sono addirittura casi di inversione dell’àncora, vale a
dire di scelta di un prezzo di riferimento psicologicamente
sbagliato. Si pensi per esempio al pricing delle benzine.
L’offerta di uno sconto per il rifornimento a libero servizio
implica l’adozione del prezzo del rifornimento assistito come
prezzo di riferimento; in questo modo, si imita, sbagliando, la
tecnica promozionale del grocery, dove il prezzo pieno
rappresenta l’àncora del prezzo scontato. Le differenze tra i
due contesti sono tuttavia sostanziali. Nel grocery, il prezzo
pieno rappresenta l’opzione standard mentre il prezzo
scontato rappresenta l’opzione eccezionale, offerta per un
limitato periodo di tempo e/o a un limitato segmento di
clientela. In particolare poi, l’insegna grocery non ha alcun
interesse a sostenere le vendite del prodotto scontato, tanto
che spesso si agisce sull’esposizione e sullo stock proprio per
contenere la quantità venduta di tale prodotto. Nelle benzine
invece, lo sconto per il rifornimento a libero servizio è una
opzione stabile e, dal momento che è questa modalità che si
vuole promuovere, dovrebbe rappresentare l’opzione
standard.
Per comprendere meglio l’errore commesso nel pricing
delle benzine, bisogna tener conto del diverso peso che la
nostra mente cognitiva attribuisce a perdite e guadagni. In
altri termini, la funzione con cui valutiamo cognitivamente le
perdite è molto più ripida della funzione con cui valutiamo
cognitivamente i guadagni. Questo significa che il framing
del prezzo influenza il risultato. Nel caso delle benzine, il
prezzo può essere rappresentato in due modi:
› sconto sul rifornimento a libero servizio rispetto al
rifornimento assistito, che rappresenta in questo modo
l’opzione standard (soluzione corrente);
› sovrapprezzo sul rifornimento assistito rispetto al
rifornimento a libero servizio, che rappresenterebbe in
questo modo l’opzione standard (soluzione suggerita).
Nel primo caso è il prezzo del rifornimento assistito che
àncora il prezzo del rifornimento a libero servizio; nel
secondo caso, è il prezzo del rifornimento a libero servizio
che àncora il prezzo del rifornimento assistito. Nel primo
caso, ci viene offerta la possibilità di un guadagno se
scegliamo l’opzione del libero servizio; nel secondo caso, ci
viene esposta la possibilità di una perdita se scegliamo il
rifornimento assistito. Siccome la nostra mente cognitiva
valuta maggiormente le perdite rispetto ai guadagni (Figura
5.1), la seconda rappresentazione del prezzo è molto più
efficace della prima nello stimolare le vendite a libero
servizio, che sono più remunerative per il venditore.5
Insomma, manipolando il price framing, vale a dire
incorniciando la proposta commerciale come un guadagno o
una perdita, possiamo incidere in maniera rilevante sulle
preferenze degli individui orientandoli verso scelte più
convenienti per l’impresa.

Figura 5.1 Asimmetria nella valutazione psicologica di perdite e guadagni


Fonte: Tversky e Kahneman, 1991.

I neuroscienziati hanno dimostrato attraverso esperimenti


di neuroimaging che è l’amigdala l’area del cervello che si
attiva in risposta al framing della scelta come guadagno o
come perdita; è dunque l’amigdala che ci fa respingere
l’opzione rappresentata come una perdita anche quando il
risultato è lo stesso.
Una situazione analoga si verifica nei punti vendita
grocery per quanto riguarda la scelta tra prodotti a libero
servizio e prodotti acquistati al banco dal personale di
vendita. La carne, i salumi e i formaggi preconfezionati,
hanno un formato standard e, se confezionati in atmosfera
modificata, possono essere conservati più a lungo nel
frigorifero di casa. Al contrario, i prodotti acquistati al banco
sono preparati nelle quantità richieste dai clienti e devono
essere consumati in tempi più brevi, in quanto più freschi e
confezionati in maniera tradizionale solo per proteggere
l’alimento dalla contaminazione dell’ambiente. Inoltre,
l’acquisto a libero servizio è senz’altro più rapido
dell’acquisto al banco assistito ed ha il vantaggio di non
dovere entrare in relazione con il personale di vendita
subendo, a volte, pressioni imbarazzanti. Quali sono dunque
i fattori che determinano la scelta dei clienti tra l’alternativa
del libero servizio e l’alternativa del banco assistito? Ciò che
conta è solo la differenza di prodotto e servizio, ovvero gioca
un ruolo rilevante anche il prezzo? Per rispondere a queste
domande, bisogna per prima cosa specificare gli obiettivi dei
distributori e osservare poi le loro politiche di prezzo. Per
quanto riguarda gli obiettivi, ci troviamo in una situazione
sostanzialmente diversa da quella descritta più sopra per i
carburanti. Mentre nelle benzine l’obiettivo del pricing è
aumentare la vendita a libero servizio fino al punto da
azzerare i rifornimenti assistiti, nel caso della distribuzione
grocery non è concepibile eliminare i banchi per la vendita
assistita senza deteriorare l’immagine del punto vendita e
ridurre la sua attrattività. Quindi, nonostante la marginalità
dei banchi assistiti sia minore rispetto alla marginalità dei
banchi a libero servizio, il distributore non utilizza il framing
del pricing per spostare la clientela da una modalità all’altra.
Il differenziale di margine di cui si è detto più sopra è
riconducibile al fatto che le insegne praticano un prezzo per
unità di misura più alto sui prodotti venduti a libero servizio
rispetto ai prodotti venduti al banco. Non si tratta però di
un’inversione dell’àncora in quanto le due modalità di
acquisto non sono facilmente comparabili data la
differenziazione nel prodotto e nel livello di servizio. Ne
consegue che il consumatore sceglie tra le due modalità di
acquisto senza comparare i prezzi relativi e, quindi, il
framing del prezzo è semplicemente assente.
Una situazione ancora diversa la riscontriamo nel caso
dell’ortofrutta per quanto riguarda l’alternativa tra la libera
scelta e il libero servizio. L’acquirente che opta per la libera
scelta selezionando uno a uno i prodotti per poi pesarli,
etichettarli con il codice a barre e leggere eventualmente il
prezzo con il self scanning, lavora sostituendo il personale
del venditore e/o del fornitore. Il lavoro in punto vendita
dell’acquirente non riduce però i costi del distributore, ma li
aumenta. Infatti, la manipolazione aumenta il deperimento di
prodotti fragili e le connesse differenze inventariali, oltre a
incrementare i costi di manutenzione e rifornimento dello
scaffale. Posto che il prezzo dell’ortofrutta a libera scelta è
di norma più alto del prezzo dell’ortofrutta a libero servizio,
possiamo dedurre che l’obiettivo del distributore consiste nel
differenziare il prezzo in modo da coprire il diverso costo di
produzione del servizio, senza incentivare con il framing la
scelta di un’alternativa rispetto all’altra.
Si pensi ancora alla differenziazione del prezzo di vendita
in relazione alla modalità di pagamento: per contanti o con
la carta di credito. Siccome il distributore sostiene un costo
per l’accettazione della carta di credito in pagamento, è
frequente il trasferimento di questo costo sul prezzo di
vendita. Ma come vengono rappresentate le due opzioni?
L’acquisto per contanti viene presentato con un prezzo
scontato rispetto all’acquisto a credito? Oppure, l’acquisto a
credito viene presentato come una modalità che implica un
sovrapprezzo, rispetto all’acquisto per contanti che
rappresenta quindi l’opzione standard?6 Le compagnie
emittenti le carte di credito insistono sulla prima
rappresentazione del prezzo, vale a dire sullo sconto per il
pagamento in contanti. Considerata infatti la nostra
avversione alla perdita, la rappresentazione del prezzo per
l’acquisto a credito come una perdita induce un calo delle
vendite a credito molto più consistente della modalità
opposta, anche se sconto e sovrapprezzo di equivalgono.7
Siccome il costo che l’insegna sostiene per il pagamento con
carta di credito viene trasferito solo in parte sul prezzo,8 al
distributore converrebbe rappresentare il pagamento per
contanti come l’opzione standard e sfruttare di conseguenza
la nostra avversione alla perdita proponendo un
sovrapprezzo nel caso si utilizzi la carta.
Ritornando ora al tema della razionalizzazione
dell’assortimento per contenere l’eccesso di varietà,
dobbiamo chiederci quali siano gli obiettivi delle imprese che
hanno imboccato questa strada e quali siano gli strumenti
impiegati per restringere le alternative offerte:
› si punta semplicemente a ridurre i costi, oppure, si punta
anche a sostenere le vendite facilitando il processo di
acquisto?9
› la promozione della marca commerciale e l’aumento dei
listing fees attraverso l’incremento del turn over giocano un
ruolo rilevante?
› per decidere il dereferenziamento di un prodotto a bassa
rotazione, si tiene conto del profilo di chi l’acquista e
dell’effetto àncora?
Le insegne che in questi ultimi anni hanno provato ad
asciugare l’assortimento di categoria, lo hanno fatto perché
convinte della possibilità di contenere i costi senza ridurre le
vendite, in una prospettiva che è dunque opposta a quella
adottata in questo lavoro. L’insegna che dereferenzia un
prodotto a bassa rotazione si preoccupa infatti di capire se i
pochi acquirenti opereranno una sostituzione, ovvero
rinunceranno all’acquisto della categoria o addirittura
cambieranno insegna; solo nel primo caso il
dereferenziamento appare giustificato. Noi invece
sosteniamo che, nel caso di una estensione eccessiva
dell’assortimento, la riduzione delle alternative potrebbe
essere funzionale allo sviluppo delle vendite, sempre che non
si comprometta l’effetto àncora e la fedeltà dei migliori
clienti interessati ad acquistare prodotti di nicchia.10
Sebbene alcuni distributori abbiano iniziato a porsi come
obiettivo la razionalizzazione dell’assortimento, i risultati
raggiunti fino a ora sono stati molto modesti e instabili. Nel
2009, Mercadona ha ridotto il suo assortimento di 1000
referenze su un totale di 9000. Il fatto che Mercadona abbia
eliminato anche referenze di marca nazionale come Calvo,
Nutrexpa (Nocilla), Nestlè (Bonka), Sara Lee (Bimbo y Cruz
Verde), Don Simon, Legumbres El Hostal, Vileda, ci fa
sospettare che l’obiettivo prevalente della
“razionalizzazione” dell’assortimento fosse l’aumento in
quota della marca commerciale e non la riduzione dei costi o
l’aumento delle vendite attraverso la facilitazione del
processo di acquisto. La stampa internazionale ha riportato
nel 2010 i primi tentativi di razionalizzazione
dell’assortimento di Tesco,11 Carrefour (Figura 5.2),
Supervalue12 e Wal-Mart;13 come già era successo in
passato, alcune insegne hanno poi rivisto la scelta di
asciugare l’assortimento e reinserito molte delle referenze
eliminate.14 Un caso singolare di razionalizzazione si
riscontra nel discount a opera delle insegne che hanno
abbandonato la filosofia del “limited & unique assortment”; è
il caso di Netto, che ha annunciato una razionalizzazione per
far crescere la marca commerciale.15 Nel 2012 è poi arrivata
la news che il discount Lidl ha imboccato la strada della
razionalizzazione dell’assortimento. Ovviamente, trattandosi
di un discount, la riduzione dell’assortimento non ha come
obiettivo la facilitazione del processo di acquisto, ma lo
sviluppo della marca commerciale e la conseguente
riduzione della trasparenza dei prezzi.16
Figura 5.2 La razionalizzazione dell’assortimento prevista da Carrefour
Fonte: Planet Retail 2010.

Anche in Italia, una recente ricerca ha messo in luce


come l’aumento delle referenze di marca commerciale sia
spesso accompagnato da una contrazione delle referenze di
marca industriale; più in dettaglio:
› il maggior contributo alla estensione degli assortimenti di
274 categorie nel periodo 2009-2010 è attribuibile alla
marca commerciale;
› nelle 81 categorie in cui si è registrata una stabilità o una
riduzione dell’estensione dell’assortimento, la numerica
della marca commerciale è cresciuta mentre le referenze di
marca industriale hanno subito una maggior contrazione.17
La copertura assortimentale della marca commerciale ha
raggiunto, a totale mercato, un alto livello anche in Italia;
solo 31 categorie su 355 sono infatti prive di una alternativa
di marca commerciale. Se all’alta copertura si aggiunge
l’alta produttività assortimentale della marca commerciale,
intesa come rapporto tra quota di vendita e quota di
referenze, che raggiunge il valore di 1,20 contro 0,97 per la
marca industriale, possiamo condividere l’opinione degli
autori sopra citati secondo cui: “l’aumento del numero di
referenze di marca commerciale è stato in Italia almeno in
parte compensato da una riduzione delle referenze di marca
industriale.”
Per quanto riguarda in particolare il nostro paese,
Nielsen ha rilevato nel periodo 2010-2011 la seguente
dinamica del numero di referenze per formato di punto
vendita:
› iper oltre 4500 mq -0,84%
› iper da 2500 a 4499 mq +0,46%
› super da 1500 a 2499 mq +2,82%
› super da 800 a1499 mq +1,78%
› super da 400 a 799 mq +2,03%18
Nel 2010 gli assortimenti riprendono a crescere. Il
fenomeno si verifica in Paesi che si trovano in pieno
sviluppo, come Cina e Messico, negli Stati Uniti dove la crisi
ha infierito molto, così come in Germania e Francia, dove la
crisi è stata meno avvertita. Anche in Italia a giugno del
2011 si registra un incremento del 2.3% del numero medio
di prodotti trattati per punto vendita rispetto all’anno
precedente. Per di più, Nielsen ha evidenziato una forte
correlazione tra insegne che aumentano l’assortimento e
incrementano anche il fatturato e insegne che riducono
l’assortimento e perdono contestualmente vendite (Figura
5.3).
Di particolare interesse è il fatto che la razionalizzazione
dell’assortimento sia apparentemente in atto solo
nell’ipermercato, che attualmente si trova nella fase di
maturità del suo ciclo di vita e sta sperimentando di
conseguenza una crisi di vendite e di profittabilità,
soprattutto per quanto riguarda il formato di maggior
dimensione. La quota di mercato dell’iper non cresce infatti
dal 2008 e i nuovi punti vendita fatturano 5498 € per metro
quadro contro 7466 € per mq della media canale, vale a dire
una calo di produttività del 26,4%.19 La maturità del ciclo di
vita dell’iper viene affrontata nel nostro paese in primo luogo
attraverso una convergenza verso il formato super; ciò che si
evince da una serie di indicatori:

Figura 5.3 Variazione delle vendite e dell’assortimento. Distribuzione italiana –


Progr. Giugno 2011 vs 2010
Fonte: Nielsen feature insights, dicembre 2011.

› i nuovi punti vendita hanno una dimensione sensibilmente


inferiore alla media di canale;
› lo scarto della pressione promozionale tra iper e super si è
ridotto dal 10% del 2004 al 5% del 2011;
› lo scarto del livello medio dei prezzi tra iper e super si è
ridotto dal 4% del 2004 allo 0,5% del 2011.20
Tutto ciò premesso, la riduzione del numero di referenze
del formato più grande dell’ipermercato non sembra tanto
una scelta di razionalizzazione dell’assortimento motivata
dall’obiettivo di facilitare il processo di acquisto, quanto
piuttosto una ulteriore manovra di convergenza dell’iper
verso il super in risposta al cambiamento in atto delle
preferenze dei consumatori.
La crisi dell’ipermercato viene poi affrontata attraverso la
convergenza con altri formati anche nei reparti non food. Per
riconquistare i consumatori attratti dalle Grandi Superfici
Specializzate (Category Killer), alcune insegne hanno infatti
iniziato a implementare un orientamento alla multi
specializzazione nei formati più grandi. Una volta selezionate
le categorie non food da trattare, il nuovo format di
ipermercato offre un assortimento vario, ampio e profondo,
come quello dei Category Killer. Basti citare in proposito il
caso di Carrefour Planet.21 In questo caso, la convergenza ha
operato in senso contrario rispetto al grocery, vale a dire
attraverso una forte estensione dell’assortimento di
categoria e, di conseguenza, aggravando ulteriormente il
fenomeno dell’eccesso di scelta. Il tempo dirà se questa
strategia porterà vendite e profitti. A noi pare però che la
direzione sia sbagliata. Invece di estendere l’assortimento
delle diverse categorie non food per competere sullo stesso
terreno delle grandi superfici specializzate, si poteva
enfatizzare l’originale orientamento alla despecializzazione
dell’ipermercato. Per esempio, concentrando l’offerta sulle
referenze a maggior rotazione e variabilizzando il resto
dell’assortimento con numerose offerte promozionali a
esaurimento della scorta, vale a dire prodotti offerti in
maniera discontinua e in funzione degli incentivi industriali.
La variabilizzazione dell’assortimento non food in chiave
promozionale è da sempre uno dei punti di forza dell’hard
discount; il vantaggio di questa soluzione applicata
all’ipermercato sarebbe la proposta di un livello di
convenienza estrema in molte categorie
contemporaneamente, vista la dimensione dei punti vendita.
La variabilizzazione dell’assortimento attraverso la politica
della promozione “a sorpresa” è una realtà di successo
anche nell’internet shopping. Stanno crescendo come funghi
siti di “flash shopping” (Gilt, HauteLook, Rue La La, Woot,
Ideeli)22 che offrono per un tempo limitato articoli di lusso a
esaurimento della scorta; ciò che fa vendere non è tanto la
misura dello sconto, che può arrivare al 75%, quanto
piuttosto il brivido della caccia e il piacere della scoperta. Lo
stesso principio del gioco applicato agli acquisti
(GameShopping) è stato sviluppato da Groupon,23 un
acronimo che unisce group e coupon. Groupon offre sconti
attraverso mail ai sottoscrittori che risiedono in una data
città, a condizione di raggiungere una predefinita massa
critica in un periodo di tempo limitato. Anche in questo caso
i prodotti offerti in sconto sono una sorpresa e, per trarre
vantaggio dell’offerta, occorre prenotarsi entro una definita
scadenza e superare il numero minimo di aderenti che è
stato fissato dal venditore: ciò rende economica l’offerta
stessa. Il modello di business di Groupon sconta la
comunicazione word of mouth; ogni individuo che entra nel
sito e scopre un offerta interessante è infatti invogliato a
coinvolgere parenti e amici per contribuire al
raggiungimento della massa critica oltre la quale il buono
sconto è redimibile.24 Se non si raggiunge la massa critica e,
di conseguenza, coloro che hanno aderito non possono
beneficiare dello sconto, si riscontra il piacere di una “quasi
vincita” e di conseguenza gli individui sono portati a
ritentare la fortuna nella caccia agli sconti proprio come nel
gioco d’azzardo.25 In una recente ricerca svolta con la
tecnica della fMRI, è emerso infatti che nei cervelli dei
giocatori d’azzardo si attiva il circuito della ricompensa
anche quando si verifica una “quasi vincita”; di fatto, la
dopamina rilasciata in caso di vincita non differisce da quella
rilasciata in caso di una “quasi vincita” e, quindi, si continua
a giocare.26
Per concludere questo capitolo, ribadiamo che il
consumatore ha bisogno di un modello di acquisto
despecializzato; la soluzione per uscire dalla crisi
dell’ipermercato non può essere dunque semplicemente la
multispecializzazione dell’assortimento perché ciò
aggraverebbe l’eccesso di scelta e il consumatore
perderebbe la possibilità di concentrare la spesa in un’unica
shop expedition. Sappiamo, infatti, che vi è un consistente
segmento di domanda che rinvia l’acquisto o rinuncia ad
acquistare quando la scelta è eccessiva; peraltro, il
fenomeno dell’eccesso di scelta è particolarmente
importante proprio nel non food dove gli acquisti possono
essere rinviati senza conseguenze negative, trattandosi
spesso di sostituire prodotti che non hanno esaurito la loro
vita fisica. Questi acquirenti sono disposti a venire anche da
lontano per cogliere opportunità promozionali e concentrare
la spesa di più categorie proposte con un assortimento
essenziale e, quindi, tale da permettere una decisione rapida
senza suscitare rammarico.
La propensione a concentrare gli acquisti nel minor
numero di shop expedition non è solo una scelta razionale
riconducibile alla minimizzazione della risorsa più scarsa di
cui disponiamo: il tempo. La concentrazione degli acquisti
può essere infatti spiegata anche con riferimento a fattori a-
razionali come la propensione a cumulare le perdite. Posto
che l’acquisto implica la “perdita” di denaro, il consumatore
preferisce cumulare le perdite piuttosto che diluirle
parcellizzando gli acquisti in più shop expedition. La somma
delle perdite di denaro realizzata con la concentrazione degli
acquisti suscita infatti un’emozione negativa inferiore a
quella che avremmo avvertito diluendo gli acquisti; si
potrebbe anche affermare che le emozioni negative associate
alla perdita di denaro hanno rendimenti decrescenti. Per il
consumatore, la concentrazione degli acquisti equivale alla
riduzione “dell’effetto dotazione” e della connessa
avversione per la perdita di denaro in quanto si effettua un
solo pagamento e la sofferenza viene limitata a un solo
momento. Per sfruttare l’asimmetria della contabilità
mentale illustrata dall’economia comportamentale (Thaler),
le insegne dovrebbero investire maggiori risorse nella
manovra delle leve di up selling rispetto alle leve della
creazione del traffico e della fidelizzazione della clientela e,
soprattutto, dovrebbero evitare di proporre assortimenti di
categoria troppo estesi. Il più grande vantaggio offerto dai
formati ad assortimento despecializzato è infatti la
possibilità di soddisfare la domanda di concentrazione degli
acquisti di prodotti appartenenti a diverse categorie. Di
conseguenza l’intertype competition con i formati
specializzati non può essere vinta con la convergenza, ma
con una maggior enfatizzazione del valore offerto con la
despecializzazione; naturalmente, perché ciò sia possibile, è
necessario evitare un’eccessiva estensione degli assortimenti
di categoria e ampliare l’assortimento di punto vendita
aggiungendo continuamente nuove categorie.
Infine, tra le soluzioni adottate nell’economia reale per
ridurre la fatica e le difficoltà dell’acquisto in un contesto
assortimentale molto esteso, è opportuno citare anche gli
interventi a valle della spesa. In questo caso, l’insegna non
modifica l’assortimento e/o la sua rappresentazione in punto
vendita, ma le attività e i tempi richiesti per uscire dal punto
vendita dopo la selezione dei prodotti. Le soluzioni adottate
per evitare la fila con il self scanning, unitamente alle azioni
volte a ridurre la fila con il miglioramento della
organizzazione temporale delle casse, possono contribuire a
rendere più sopportabile la spesa.
Asda (Walmart) sta implementando in Gran Bretagna un
nuovo sistema di gestione delle code alle casse in tutti i
suoi punti vendita a partire da aprile 2012. Questa
decisione è stata assunta dopo un test di sei mesi in 30
punti vendita. Il nuovo approccio consiste nell’utilizzo di
fotocamere stereoscopiche che registrano i singoli
accessi nel punto vendita. I dati di accesso vengono
quindi elaborati automaticamente per calcolare il numero
di casse da attivare entro 10 minuti per minimizzare le
code. In questo modo, l’insegna non interviene a
posteriori dopo che le code si sono formate, ma a priori in
funzione della prevista domanda di check out.27

Reversibilità della scelta per vincere le


5.2
resistenze all’acquisto
È possibile contrastare il disincentivo all’acquisto che
discende dall’eccesso di scelta intervenendo sulle diverse
fasi in cui si articola la catena del valore. Per quanto
riguarda il contenuto, oltre alla “razionalizzazione”
dell’assortimento, è possibile intervenire sul costo
psicologico della scelta rendendo reversibile la decisione.
Nei settori dei beni problematici, i venditori offrono spesso
un periodo di tempo entro il quale l’acquirente può restituire
il prodotto se l’esperienza nel consumo risulterà
insoddisfacente.28 Yoox, un sito per la vendita online di
precedente abbigliamento griffato della passata stagione,
offre agli acquirenti la possibilità di restituire il capo se
l’ispezione fisica e la prova del prodotto, successive
all’acquisto, non saranno soddisfacenti. Anche in questo
caso, la reversibilità della decisione facilita la scelta
abbassando il costo psicologico del trade off tra acquisto e
rinvio della decisione.
Nelle categorie di prodotti di largo e generale consumo, il
rimborso del prezzo pagato viene spesso offerto in occasione
del lancio di nuovi prodotti; in questo caso infatti, si tratta di
vincere le resistenze verso un prodotto che l’acquirente
potenziale non conosce, semplicemente rendendo reversibile
la scelta nei primi mesi di ingresso nel mercato. Fra i casi
più noti possiamo citare il lancio di Activia da parte di
Danone e il recente lancio di Revitalift Total Repair 10 di
L’Oréal, di cui forniamo alcuni dettagli in appendice a questo
paragrafo. Nel grocery, l’hard discount, all’inizio del suo
sviluppo, offriva ai clienti la possibilità di restituire il
prodotto se la qualità risultava insoddisfacente; in questo
modo, il venditore cercava di aggirare la formazione di
aspettative negative sul livello di qualità e, soprattutto,
agevolava il trade off prezzo-qualità rendendo reversibile la
decisione.
In molti paesi, alcune insegne di ipermercati e
supermercati hanno adottato la strategia di garantire la
convenienza; se il consumatore può dimostrare che un
prodotto è più conveniente come prezzo a scaffale in un’altra
insegna, viene rimborsata la differenza. Anche in
quest’ultimo caso, il venditore agisce sul costo psicologico
della scelta facilitando il trade off sulla convenienza delle
diverse insegne.
Naturalmente, la reversibilità della decisione non implica
rilevanti costi aggiuntivi per il venditore in quanto
l’incidenza dei consumatori che restituiscono il prodotto è
veramente contenuta; la redemption dell’offerta è infatti
relativamente modesta sia per i costi impliciti della richiesta
di rimborso che per la tempistica limitata di validità della
clausola “soddisfatti o rimborsati”. Soprattutto, ciò che
trattiene il consumatore dal cogliere l’opportunità di
restituire il prodotto acquistato recuperando l’intera somma
pagata è l’effetto “dotazione”. Gli psicologi hanno dimostrato
che il valore di un prodotto in uscita è diverso dal valore in
entrata. In altre parole, il prezzo che richiediamo per
vendere un prodotto è maggiore del prezzo che siamo
disposti a pagare per acquistare lo stesso prodotto. Questo
fenomeno deriva dalla nostra avversione alla perdita: il
prodotto che vendiamo è vissuto come una perdita mentre
l’acquisto dello stesso prodotto è vissuto come un guadagno.
Il venditore che offre la possibilità di restituire il prodotto
acquistato scommette che i clienti, durante il periodo di
validità dell’opzione, matureranno una percezione di
possesso che gradualmente amplierà lo scarto tra il valore
del bene e il prezzo ottenibile in caso di restituzione.
Concedere dunque ai clienti la possibilità di restituire il
prodotto serve per superare le loro resistenze all’acquisto
senza che ciò si traduca in rilevanti costi per il venditore. Si
tratta in sostanza di agire sulla psicologia dell’acquirente
per predisporlo all’acquisto:
› minimizzando la percezione di perdita delle opzioni
scartate;
› superando le resistenze emotive all’acquisto di un nuovo
prodotto del quale non si ha alcuna esperienza diretta,
riequilibrando dunque attraverso la reversibilità della scelta
il ruolo dell’insula con quello del nucleus accumbens;29
› aggirando le resistenze cognitive che discendono dalla
valutazione del rischio e dalla scarsa affidabilità della
comunicazione pubblicitaria.
L’ampio utilizzo della tecnica della reversibilità
dell’acquisto dimostra che ci troviamo di fronte a una forma
di conoscenza tacita sviluppata dai distributori che, grazie
alla loro quotidiana relazione coi potenziali acquirenti, hanno
imparato a sfruttare le nostre debolezze psicologiche per
promuovere le vendite.
Infine, riscontriamo anche esempi di inversione della
reversibilità. Alcuni venditori di prodotti di moda specificano
infatti che in nessun caso la merce acquistata in saldo può
essere restituita, al solo scopo di aumentare la
determinazione all’acquisto dei prodotti in promozione
differenziando nel contempo la proposta commerciale dei
prodotti offerti a prezzo pieno. Se la restituzione del capo è
la norma (opzione standard) nella vendita normale, eliminare
questa possibilità nella vendita in saldo rafforza l’immagine
di convenienza e aiuta a fugare i dubbi sulla vera natura
della promozione; spesso infatti la merce venduta negli
outlet e in saldo non è una rimanenza della passata stagione,
ma una linea prodotta proprio per la vendita in promozione
nel periodo dei saldi semplicemente per sfruttare la maggior
propensione all’acquisto che si sviluppa in questi periodi.
Non sempre dunque, mantenere aperte più opzioni è la
soluzione ottimale. A volte, ridurre le opzioni è ciò che serve
per focalizzare il target su un obiettivo preciso. Basterà
citare in proposito il famoso caso di Sun Tzu, un generale
cinese vissuto nel 400 a.C. che, per motivare i suoi soldati al
massimo impegno nella battaglia del giorno successivo,
bruciò nella notte le navi che avrebbero dovuto servire come
via di fuga nel caso in cui le sorti della battaglia avessero
volto al peggio.
Per sostenere il processo decisionale degli acquirenti, non
ci si può tuttavia limitare a rendere reversibile la decisione,
ma occorre intervenire anche sul rammarico anticipato. Il
rammarico può essere successivo all’acquisto, quando ci
viene il dubbio di aver fatto la scelta sbagliata, ma può
essere anche antecedente l’acquisto quando ci viene il
dubbio che non saremo soddisfatti di una decisione
immediata perché ci aspettiamo che in futuro emergano
opzioni più favorevoli; questo rammarico viene chiamato
dagli psicologi “anticipato” ed è particolarmente negativo
per il distributore in quanto trattiene il consumatore
dall’acquisto. Naturalmente, più ampio è il campo di scelta,
maggiore è il rammarico che proviamo prima e dopo
l’acquisto. Il fenomeno del rammarico anticipato è
particolarmente consistente nel caso dei beni il cui acquisto
può essere rinviato senza rilevanti conseguenze per il
consumatore e, soprattutto, nel caso di prodotti soggetti a
un’intensa innovazione tecnologica; in quest’ultimo caso
infatti, il consumatore si aspetta che, rinviando l’acquisto,
beneficerà delle funzionalità più avanzate proposte dai
prodotti della futura generazione. Quanti consumatori hanno
comprato a settembre 2011 l’i-Phone 4S sapendo da notizie
di stampa che Apple aveva in preparazione l’i-Phone 5? Un
altro caso tipico è quello dei consumatori che ritardano
l’acquisto di un capo di abbigliamento per non perdere
l’opportunità dei saldi. Il rammarico per una decisione che
abbiamo assunto e che si dimostrerà poi sbagliata, come
quella di acquistare un prodotto a prezzo pieno una
settimana prima della sua vendita in saldo, è molto superiore
al rammarico che proviamo per una decisione che non
abbiamo assunto e che a posteriori ci accorgiamo sarebbe
stato il comportamento più vantaggioso per noi. In altre
parole, il rammarico anticipato ci porta a non acquistare
perché il rimorso di aver fatto la scelta sbagliata è superiore
al rimorso che proveremmo per non aver scelto al momento
giusto, per esempio aspettando i saldi solo per scoprire poi
che la nostra taglia non è disponibile. Per minimizzare il
rammarico anticipato e sostenere quindi l’orientamento
all’acquisto, il periodo dei saldi è definito dall’operatore
pubblico in modo da evitare una competizione temporale
nella svendita che finirebbe per spostare gran parte del sell
out nel periodo in cui la marginalità è ridotta. Soprattutto, la
coincidenza temporale imposta dall’operatore pubblico, evita
la massimizzazione del rammarico anticipato che si
verificherebbe nel caso opposto. Infatti, se il periodo dei
saldi fosse lasciato alla libera iniziativa dei singoli
dettaglianti, la conseguenza sarebbe da un lato l’attivazione
di una competizione per anticipare la data di inizio e,
dall’altro, una ridotta sovrapposizione del periodo. Il
consumatore interessato all’acquisto di un capo di
abbigliamento in un negozio che, a differenza dei
competitor, non ha ancora iniziato i saldi, svilupperebbe un
rammarico anticipato consistente perché si aspetterebbe un
imminente inizio dei saldi anche da parte del negozio che
propone in vendita il prodotto cui è interessato. Da questo
punto di vista, bene ha fatto il governo Monti a escludere le
vendite in saldo dalle liberalizzazioni introdotte con decreto
il 24 gennaio 2012.
Termini e condizioni del rimborso L’Oréal
Dal 16 maggio 2011 al 31 dicembre 2011 prova Revitalift
Total Repair 10. Se non sei soddisfatto, potrai essere
rimborsato grazie alla “Operazione Soddisfatti o
Rimborsati Con L’Oréal Paris”.
Acquista il prodotto promozionato – Revitalift Total Repair
10 confezione da 50 ml – e, se non sei soddisfatto, per
ottenere il rimborso dell’importo pagato per l’acquisto
della confezione, spedisci con Raccomandata con Ricevuta
di Ritorno, nel periodo compreso tra il 16 maggio 2011 e il
31 dicembre 2011 (farà fede la data del timbro postale) in
busta chiusa a “Operazione Soddisfatti O Rimborsati Con
L’Oréal Paris” presso DM GROUP S.p.A., via Ernesto
Nazzaro 2 – Area industriale Chind – 10034 – Chivasso
(TO):
› La fotocopia del documento di identità in corso di
validità;
› La fotocopia del codice fiscale;
› Il codice EAN ritagliato dalla confezione del prodotto
REVITALIFT TOTAL REPAIR 10;
› Lo scontrino in originale attestante l’acquisto (max. uno
per consumatore);
› Ogni scontrino dovrà presentare una data compresa tra il
16 maggio 2011 e il 31 dicembre 2011;
› La motivazione dell’insoddisfazione (almeno 15 parole).
L’insoddisfazione dovrà essere solo ed esclusivamente
legata alle prestazioni del prodotto;
› Il modulo richiesta rimborso compilato in ogni sua parte.
Il modulo è reperibile sul sito http://www.loreal-
paris.it/pdf/soddisfattiorimborsati.pdf. La data di invio
documentazione dovrà essere compresa tra 1 settimana
(minimo) e 4 settimane (massimo) dalla data di acquisto
del prodotto. La garanzia del rimborso ha validità a
partire dal 16 maggio 2011 e fino al 31 dicembre 2011.
Una volta ricevuta la tua segnalazione, verificheremo la
validità della richiesta e daremo disposizione a DM
GROUP S.p.A. di inviarti un assegno emesso da Poste
Italiane, a mezzo raccomandata A/R con importo pari al
valore del prodotto come indicato sullo scontrino fiscale.
L’assegno potrà essere riscosso presso un qualunque
ufficio postale entro 60 gg. dalla data di emissione dello
stesso. Il rimborso verrà effettuato entro 60 giorni dal
ricevimento della domanda completa di tutti gli elementi
richiesti.
L’importo che ti verrà rimborsato sarà quello riportato
sullo scontrino d’acquisto da te inviato. Per tutta la durata
dell’operazione, potrà essere rimborsata al massimo una
confezione a persona.
Note
› Non sono ammesse fotocopie dello scontrino o del codice
a barre
› Non saranno prese in considerazione richieste di
rimborso differenti da quelle comprovanti l’acquisto del
prodotto promozionato (REVITALIFT TOTAL REPAIR 10
confezione da 50 ml)
› La partecipazione è limitata al territorio dello Stato
Italiano, dello Stato Vaticano e della Repubblica di San
Marino
› L’indirizzo a cui inviare il rimborso, da indicare
nell’apposito Modulo, non potrà essere una Casella
Postale.
› A ogni persona potrà essere associata una sola richiesta
di rimborso.
› I documenti inviati per la richiesta di rimborso non
saranno restituiti.
› Se le richieste risulteranno non conformi al regolamento,
verranno automaticamente annullate.

Facilitare la scelta con il volantino


5.3
promozionale
Il volantino è tradizionalmente considerato come lo
strumento promozionale più diffuso nel grocery. In un
contesto di costante e significativa crescita della pressione
promozionale, che nel 2011 ha raggiunto il 26,4%, il
volantino gioca un ruolo importante. La Nielsen ha infatti
rilevato 6.500 campagne promozionali con il volantino nel
2011, che rappresentano 1,5 milioni di inserzioni e un
investimento che supera il miliardo di euro. Vi sono tuttavia
segnali di riduzione dell’efficacia di questa tecnica
promozionale (Figura 5.4); molte insegne avvertono dunque
l’esigenza di operare cambiamenti nel ruolo di marketing del
volantino sia in Italia che negli altri paesi occidentali. Fra le
principali modificazioni attualmente in test, riscontriamo:
› l’utilizzo dei dati loyalty per migliorare la distribuzione
geografica, concentrando la consegna nelle aree dove
risiedono i clienti alto spendenti;
› la tracciabilità del volantino per garantire all’insegna le
copie stampate ed effettivamente consegnate;30
› l’orientamento alla fidelizzazione, oltre che al traffico,
incentivando la lettura e la riconsegna a punto vendita,
offrendo prodotti esclusivi ai titolari della carta
commerciale, ovvero prodotti che consentono ai titolari di
accumulare più punti;31
› la migrazione sui nuovi media attraverso la digitalizzazione,
con la conseguente personalizzazione e geolocalizzazione
dei potenziali clienti;
› l’utilizzo di prezzi dispari anche nella promozione in quanto
le cifre che appaiono a destra dopo la virgola ricevono
meno attenzione e, di conseguenza, non vengono trasferite
nella memoria di lungo termine, con la conseguenza che
ricordiamo un maggior risparmio del reale;32
› l’utilizzo del volantino per facilitare la scelta in un contesto
assortimentale che si sta sempre più estendendo; ciò che
interessa in particolare questo lavoro.
Siccome negli ultimi anni si è registrata una riduzione
dell’efficacia promozionale del volantino, è innanzitutto
importante comprendere se questo risultato negativo sia
attribuibile a carenze di condotta delle insegne piuttosto che
alla saturazione di questa leva di marketing.
La riduzione dell’efficacia della promozione delle vendite
in generale e del volantino in particolare, registrata nel
periodo 2008-2011, può essere almeno in parte ricondotta
all’effetto assuefazione. Infatti, l’apprezzamento che le
persone riconoscono a una data opportunità non rimane
stabile nel tempo, ma si riduce progressivamente in funzione
dell’utilizzo. Tutti noi siamo naturalmente predisposti al
miglioramento e al cambiamento; la soddisfazione che
proviamo nel consumo di un prodotto o nel cogliere
un’offerta promozionale per la prima volta si riduce
progressivamente nel tempo in quanto i benefici riscontrati
vengono dati per acquisiti e ci aspettiamo qualcosa di
diverso. La nostra soddisfazione non è dunque mai legata
alla dotazione di beni e alle esperienze maturate, ma al
cambiamento rispetto alla posizione raggiunta. Posto che nel
grocery la pressione promozionale è ormai arrivata in media
al 26,4%; in alcune categorie è stata raggiunta la
saturazione della leva. La propensione del consumatore ad
anticipare gli acquisti stoccando i prodotti in promozione si è
infatti fortemente ridotta. La frequenza e l’estensione della
promozione a tutte le categorie e a tutte le marche che
compongono l’assortimento, hanno finito per vanificare
l’effetto scarsità generato dalla temporaneità dell’offerta; il
consumatore che desidera risparmiare non avverte più la
necessità di affrettare l’acquisto e di stoccarsi. Non stupisce
pertanto che gli investimenti promozionali abbiano raggiunto
la fase dei rendimenti decrescenti.

Figura 5.4 L’aumento della pressione promozionale è accompagnato da una


dinamica negativa delle vendite a rete costante
Fonte: Vendite Rete Costante Nielsen Like4Like – Pressione Promozionale
Nielsen Trade*Mis

Il fatto che l’aumento della pressione promozionale e


dello sconto medio (Figura 5.4) abbiano cominciato a
manifestare rendimenti decrescenti e, addirittura, la
scoperta che le categorie con la maggior pressione sono
anche quelle coi minori rendimenti promozionali (Figure 5.5
- 5.6), non deve tuttavia portare alla conclusione che non c’è
più “bisogno” di promozione. La domanda di promozione
resta infatti molto alta per due motivi sostanziali:
› abbiamo un inesauribile desiderio di risparmio, qualunque
sia la classe di reddito a cui apparteniamo;
› la rappresentazione promozionale del prezzo ci fa percepire
una maggior convenienza.33
Figura 5.5 Nel corso del 2010 si consolida un problema di efficacia dell’azione
promozionale: i reparti più promozionati sono quelli che registrano performance
più deludenti.
Fonte: elaborazione su dati aziendali COOP

Figura 5.6 L’aumento della pressione promozionale ha interessato tutte le


categorie, ma anche tra le aree merceologiche più promozionate si registrano
performance deludenti
Fonte: Nielsen Trade*Mis-Iper+Super – Prodotti Peso Imposto

La persistenza di una domanda di promozione non implica


tuttavia che non ci si possa assuefare alle tecniche utilizzate
quando rimangono immutate da molto tempo. Per
contrastare la riduzione in atto dell’efficacia della
promozione è dunque necessario stupire il consumatore con
nuove meccaniche e nuove opportunità di valore, oltre
naturalmente a correggere alcuni errori che caratterizzano i
comportamenti promozionali delle insegne.
Quante volte acquistiamo un prodotto di cui non abbiamo
bisogno semplicemente per cogliere l’opportunità dello
sconto offerto da una iniziativa promozionale? L’acquisto
realizzato per soddisfare il desiderio di risparmio non è
generato dalla mente emotiva, ma dalla mente cognitiva che
è biologicamente portata a valutare lo sconto
indipendentemente dalla consistenza del prezzo pieno. La
continua crescita della pressione promozionale, anche a
rendimenti decrescenti, può essere dunque spiegata con la
propensione del consumatore ad acquistare per soddisfare il
desiderio di risparmio. Per spiegare come mai la pressione
promozionale continui a crescere sia in numerica che in
ponderata, nonostante la riduzione del rendimento di questo
investimento, bisogna pertanto considerare l’importanza che
il marketing distributivo attribuisce alla soddisfazione del
desiderio di risparmio; un sentimento forte che si riscontra
nella maggioranza degli acquirenti.
Vi è poi anche un segmento di acquirenti patologici per i
quali il desiderio di risparmio prevale sempre sul bisogno di
risparmio. Si tratta di “cacciatori di sconti” che non hanno
bisogno di risparmiare e, ciò nonostante, avvertono una
sensazione di benessere quando possono acquistare in
sconto. Per massimizzare questa sensazione di benessere,
l’acquirente patologico è attratto da beni di cui non ha alcun
bisogno e, come un giocatore d’azzardo patologico, non dà
alcun valore al denaro impiegato; ciò che conta è solo la
gratificazione generata dal nucleus accumbens, che non
riguarda però la previsione del consumo del bene acquistato
bensì solo l’apparente risparmio realizzato nell’acquisto.
Fino a che punto si può “abbindolare” la mente cognitiva
dell’acquirente con la promozione?
Per fronteggiare la saturazione della leva promozionale,
la soluzione più opportuna non è la riduzione degli
investimenti promozionali; nessuna insegna può infatti
permettersi di ridurre singolarmente la promozione perché
perderebbe clienti a favore dei concorrenti. Non resta
dunque che spostare più in alto l’asticella della saturazione
migliorando la “qualità” della manovra con l’eliminazione di
alcuni comportamenti sbagliati.
Per svolgere in maniera ottimale la sua funzione di
promozione delle vendite creando traffico all’insegna, il
volantino dovrebbe poter contare sui seguenti contenuti:
› una frequenza di pubblicazione coerente con la frequenza
di acquisto;
› un numero di pagine non elevato e un ridotto numero di
prodotti per pagina;
› un framing dello sconto atto a stimolare la mente cognitiva;
› una prevalenza di prodotti idonei alla creazione di traffico
sia per il tipo di brand che per la sensibilità al prezzo da
parte degli acquirenti;
› un mix di categorie che minimizza la sostituibilità ed
enfatizza la complementarietà nella funzione
d’uso/occasione di consumo.
Per quanto riguarda il numero di pagine del volantino,
riscontriamo che nel nostro paese vi è una apprezzabile
differenziazione per formato di punto vendita; emerge per
contro una sostanziale convergenza di formato per quanto
riguarda il numero di prodotti per pagina e la frequenza di
pubblicazione (Tabella 5.1).
Tabella 5.1 I parametri strutturali dei volantini promozionali
Iper Iper Iper Super Super
Parametri C&c Discount > 2500 - 4500 - < 1000 -
8000 4500 7999 1000 2500
Numero medio di pagine 30 11 30 22 27 169 20
Numero prodotti per
302 112 411 291 365 212 255
volantino
% Prodotti lcc sul totale 70 55 46 55 47 64 61
% Prodotti pl sul totale 4 22 9 10 10 12 11
La differenziazione del numero di pagine del volantino
Iper rispetto al volantino Super è in parte spiegabile con la
diversa estensione dell’assortimento, oltre che con la
necessità di adeguare la pressione promozionale alla
frequenza di acquisto e all’area di incidenza. Infatti,
l’incidenza del grocery nel volantino iper è del 59,5% mentre
l’incidenza del grocery nel volantino super è pari all’81,4%
(Figura 5.7).

Figura 5.7 Percentuale di inserzioni a volantino – Ipermercati vs supermercati


Fonte: Nielsen foldernet, 2011

Soprattutto, è la maggior estensione dell’assortimento di


categoria dell’ipermercato, in termini di marche e di
referenze trattate, che aumenta le opportunità di contributi
promozionali dell’industria e, dunque, le pagine del
volantino. Posto che l’industria offre contributi promozionali
per le marche/referenze che soffrono rispetto ai propri
obiettivi di vendita, possiamo derivare che l’aumento delle
pagine del volantino non è contrassegnato da un aumento
della sua capacità di crear traffico al punto vendita.
L’inserimento dei prodotti in volantino è infatti in gran parte
guidato dall’offerta di contributi da parte dei fornitori; ciò
che dal punto di vista dell’insegna non è sempre il
comportamento ottimale in quanto, a fronte dei minori costi
dell’attività promozionale, bisogna considerare la possibile
minor efficacia della promozione. Infatti, l’efficacia
dell’inserimento di un prodotto a volantino non si misura con
l’incremento delle sue vendite, ma con il traffico creato e con
la qualità dei clienti attratti dalla promozione. Il traffico
generato si misura a sua volta sulla base dei nuovi acquirenti
che, oltre all’acquisto del prodotto promozionato, comprano
anche altri prodotti. La qualità del traffico creato invece si
misura con riferimento al profilo dei consumatori attratti per
quanto riguarda la spesa media e lo scontrino. Il
consumatore sensibile alla promozione di prezzo sceglie
infatti il punto vendita in relazione ai prodotti che desidera
acquistare, che in genere rappresentano una frazione di
quelli offerti nel volantino e coincidono spesso con la marca
leader.
Anche da un punto di vista psicologico e neurologico,
l’aumento delle pagine del volantino non è contrassegnato
da un aumento della sua efficacia. Infatti, la mente cognitiva
dell’acquirente ha una limitata capacità di elaborazione della
convenienza promozionale offerta con il volantino da diverse
insegne che operano in sovrapposizione spaziale e
rappresentano quindi possibili alternative. Quando il numero
di pagine del volantino supera le 30 unità e la frequenza di
pubblicazione è di molto inferiore alla frequenza di acquisto,
come si verifica in alcuni paesi e in alcune insegne, il
volantino diventa una sorta di catalogo la cui missione di
marketing consiste nel facilitare il consumatore nella
compilazione di una lista della spesa con riferimento
all’insegna abituale. In questo caso, il volantino diventa uno
strumento offerto all’acquirente fedele per agevolare la
compilazione della lista della spesa superando il disservizio
dell’eccessiva estensione dell’assortimento (Tabella 5.2).
In Spagna, i volantini con un numero di pagine compreso
tra 45 e 70 sono molto comuni e quelli proposti in
occasione delle ricorrenze di Natale e Pasqua,
raggiungono le 100 pagine.34
Nei paesi dove il numero delle pagine è cresciuto
maggiormente, come in Spagna, il ruolo del volantino non
consiste più nella creazione di traffico all’insegna, ma nella
facilitazione dell’acquisto aiutando il consumatore a
compilare la lista della spesa. Questa evoluzione del ruolo
del volantino trova una puntuale conferma nel profilo dei
consumatori spagnoli che utilizzano questo strumento.
Tabella Numero di pagine e frequenza di pubblicazione (durata in giorni) del
5.2 volantino in alcuni paesi/insegne
N° di pagine
ITALIA FRANCIA SPAGNA GERMANIA INGHILTERRA
(durata in gg)
Non Food:
72 pp. (31 gg,
24 pp. 88 pp.
gio-dom)
Carrefour - Planet (7 gg, gio- (7 gg, merc-
Prodotti Bambini:
merc) mar)
40 pp. (24 gg,
gio-sab)
Promo nuova
16 pp. 28 pp.
Carrefour - apertura:
(10 gg, lun- (6 gg, merc-
Market 16 pp. (8 gg,
merc) lun)
gio-gio)
24 pp. 28 pp.
Carrefour - Iper (7 gg, gio- (6 gg, merc-
merc) lun)
16 pp.
Carrefour-
(13 gg, gio-
Express
mar)
Food:
64 pp. (16 gg,
24 pp. 45 pp.
merc-dom)
Auchan (7 gg, gio- (7 gg, merc-
Non Food:
merc) mart)
72 pp. (31 gg,
gio-dom)
Per la Casa:
32 pp. (20 gg,
28 pp. 36 pp.
gio-merc)
Simply Market (10 gg, (12 gg, merc-
Per la Scuola:
merc-ven) dom)
8 pp. (37 gg,
mercgio)
Coop - Iper 20 pp.
(Consumatori - (14 gg, gio-
Mensile) merc)
Coop - Super 16 pp.
(Consumatori - (14 gg, gio-
Mensile) merc)
20 pp.
Esselunga
(14 gg, gio-
(News - Mensile)
merc)
Conad 16 pp.
(Bene Insieme - (13 gg,
Periodico) merc-lun)
Conad City 16 pp.
(Bene Insieme - (13 gg,
Periodico) merc-lun)
16 pp.
Il Gigante (14 gg, gio-
merc)
24 pp.
Il Gigante
(35 gg, gio-
Ipermercati
merc)
La Profumeria:
Mercadona 36 pp.
(primaveraestate)
Food:
Food:
10 pp. (5 gg,
8 pp. (6 gg,
8 pp. lunsab)
Lidl gio-merc)
(7 gg, lun- Non Food:
(Lidl Magazine) Non Food:
dom) 20 pp.
16 pp. (diversi
(diversi
periodi)
periodi)
28 pp. 32 pp.
24 pp.
Leclerc (10 gg, gio- (11 gg, merc-
(11 gg, merc-sab)
sab) sab)
32 pp. Non Food:
22 pp.
Spar (21 gg, lun- 24 pp (diversi
(tutto il mese)
dom) periodi)

Secondo un paper presentato alla EARCD Conference a


Parma nel 2011 i consumatori spagnoli “flyer-prone”
sarebbero infatti relativamente insensibili al prezzo.
Nei precedenti contributi, si sostiene che i consumatori
che rispondono al volantino sono sensibili al prezzo e
disponibili a investire tempo per risparmiare nella spesa.
In molti studi, il consumatore che risponde alle offerte
promozionali viene profilato come un acquirente che si
diverte nell’acquisto e non nutre sospetti sulla attività di
marketing delle insegne. I consumatori che utilizzano il
volantino condividono solo parte del profilo indicato più
sopra. Questi individui si preoccupano infatti del valore
dei prodotti che acquistano e, quindi, sono disposti a
dedicare tempo alla ricerca di informazioni sulle
alternative disponibili prima di iniziare la spesa. Tuttavia,
i consumatori che utilizzano il volantino non sembrano
essere egualmente preoccupati per il prezzo che
pagheranno. Questo risultato è abbastanza sorprendente
in quanto contraddice i precedenti studi sulla sensibilità
del consumatore alla promozione di prezzo. Una possibile
spiegazione di questi risultati inattesi è riscontrabile
nell’uso del volantino, che viene oggi utilizzato
prevalentemente come fonte di informazione sull’offerta
delle insegne […]. Visti gli alti costi sostenuti nell’utilizzo
contemporaneo dei volantini e delle offerte promozionali,
può essere consigliabile inserire nel volantino le marche
senza alcuna riduzione promozionale del prezzo.35
L’evoluzione del volantino da strumento promozionale a
catalogo volto a facilitare la spesa non è riconducibile solo
all’aumento delle pagine, ma anche:
› alla distribuzione del volantino all’entrata del punto
vendita, in modo da consentire ai clienti di utilizzarlo come
lista della spesa;
› alla evidenziazione in punto vendita, con apposita
segnaletica o etichette a scaffale di diverso colore, dei
prodotti promozionati a volantino;
› all’aumento del numero di prodotti per pagina;
› alla proposta massiccia di prodotti senza frame dello
sconto, vale a dire indicando il prezzo scontato senza
specificare il prezzo pieno e la percentuale di sconto.
Nel caso del volantino Ipercoop valido dal 27 dicembre al
4 gennaio 2012, abbiamo riscontrato pagine con 16 prodotti
e pagine con 4 prodotti; soprattutto, su un totale di 191
prodotti promozionati, ben 175 erano proposti con un prezzo
scontato senza frame. Da notare in particolare che nel
volantino COOP sopracitato, i 16 prodotti con frame erano
proposti in pagine con solo quattro prodotti; sembrerebbe
dunque esistere una correlazione tra il ridotto affollamento
della pagina e la valenza promozionale del volantino. Su 25
pagine, solo 4 pagine del volantino COOP avevano dunque
una valenza promozionale; tutte le altre erano utili per
facilitare la spesa più che come strumento di creazione del
traffico e di soddisfazione del desiderio di risparmio (Figure
5.8 e 5.9). Dal mese di febbraio 2012, COOP ha modificato
sostanzialmente il suo volantino:
› aumentando l’incidenza dei prodotti con frame dello sconto
dall’8,4% al 70%;
› segmentando il volantino sul piano della convenienza
offerta a soci e non soci, oltre a proporre il rispetto di valori
ambientali-sociali.
Anche nella Distribuzione Organizzata, la
rappresentazione dell’offerta specificando il prezzo pieno e il
prezzo scontato unitamente alla percentuale di sconto
interessa una minoranza di prodotti; per esempio, in ASPIAG
abbiamo riscontrato;
› zero referenze nel volantino Despar valido dal 13 al 31
dicembre 2011;
› 10 referenze su 225 referenze di marca industriale nel
volantino Eurospar valido dal 15 al 20-28 maggio 2012,
mentre le 88 referenze di marca commerciale sono state
tutte prezzate correttamente (da segnalare che 6 referenze
sono state presentate solo con la percentuale di sconto e,
quindi, senza il prezzo pieno e il prezzo scontato);
› 225 referenze su 229 nel volantino Interspar valido dal 22
maggio al 25 giugno; 2 referenze sono state prezzate
indicando prezzo pieno e prezzo scontato oltre alla
percentuale di sconto, mentre le restanti due sono state
proposte con la sola percentuale di sconto da applicare a
tutta la linea (promozione di categoria).
L’orientamento del volantino verso la facilitazione della
spesa è maggiormente evidente nei formati discount che
applicano una politica di every day low price. Per esempio,
nel volantino Simply valido dal 2 al 15 febbraio 2012, nessun
prodotto è proposto con un corretto frame dello sconto;
viene cioè specificato solo il prezzo scontato senza indicare il
prezzo pieno e la percentuale di sconto.
Figura 5.8 Pagina del volantino COOP a 4 prodotti

Figura 5.9 Pagina del volantino COOP a 16 prodotti


Se l’aumento del numero di pagine si accompagna a un
eccessivo numero di prodotti per pagina, ci possiamo
aspettare che questo affollamento riduca l’attenzione e il
ricordo degli acquirenti target. Anche nel volantino si può
produrre infatti il fenomeno dell’eccesso di informazione. Di
fronte a troppe pagine e a troppi prodotti per pagina,
l’acquirente potrebbe rinunciare alla lettura del volantino e,
siccome è stato sperimentalmente dimostrato che vi è una
differenza significativa negli acquisti di coloro che leggono
rispetto a coloro che non leggono il volantino, la circostanza
assume grande rilevanza. La rilevanza della lettura ai fini del
comportamento di acquisto è stata dimostrata da Burton36
con riferimento ai supermercati (Tabella 5.3). Le azioni
possibili sono di segno opposto. Un primo approccio può
essere l’introduzione di incentivi alla lettura; per esempio,
inserendo un errore nella rappresentazione di uno dei
prodotti promozionati e offrendo al lettore che lo scopre
prodotti omaggio o sconti ulteriori sulla spesa. In questo
modo si produce un impegno che rappresenta un prodromo
all’acquisto; siamo infatti naturalmente portati alla coerenza
e, una volta assunto un comportamento iniziale in una
direzione, ci sentiamo obbligati a seguire la linea invisibile
tracciata da questo impegno.37 La soluzione più radicale
della riduzione del numero di pagine e del numero di
prodotti per pagina, può essere invece adottata se l’eccesso
di informazione promozionale è particolarmente rilevante
nell’ostacolare la propensione all’acquisto.
Tabella 5.3 Impatto dell’acquisto dopo la lettura del volantino
Clienti che hanno Clienti che non hanno
letto letto
il volantino il volantino
Numero di prodotti acquistati fra quelli
proposti 2,02 1,02
nel volantino
Ammontare medio di spesa per i prodotti
proposti 1,89 0,83
nel volantino ($)
Numero di buoni sconto utilizzati in media 1,41 0,49

Fonte: Burton S. Lichtenstein D., Netemeyer R., (1999), “Exposure to sales flyers
and increased purchases in retail supermarkets”, Journal of advertising research,
39,(5), pp. 7-14.
Per verificare sperimentalmente questo effetto,
bisognerebbe sottoporre alcuni soggetti a risonanza
magnetica funzionale per osservare le attivazioni cerebrali
indotte da diversi livelli di affollamento unitamente alla
presenza/assenza di frame dello sconto. Sarebbe inoltre
opportuno studiare la rappresentazione del prezzo pieno e
scontato con riferimento al corpo di stampa. Per quanto
riguarda l’affollamento e il frame, le ipotesi sperimentali
consistono nel verificare se:
› l’attivazione e la memorizzazione si riducono passando
dalla vista di una pagina con 1 prodotto (copertina), 4
prodotti e 16 prodotti;
› con il passaggio dalla vista di pagine senza frame dello
sconto a pagine con frame dello sconto, si attivano anche le
aree della corteccia prefrontale deputate al ragionamento e
al calcolo.38
Infine, per verificare l’impatto del corpo (la dimensione)
di stampa con cui sono rappresentati il prezzo pieno e il
prezzo scontato, bisognerebbe manipolare la pagina del
volantino. Ai soggetti dovrebbe essere infatti mostrata la
pagina:
› con frame a corpo attuale, vale a dire il prezzo scontato con
corpo molto maggiore al corpo del prezzo pieno;
› con frame a corpo invertito, vale a dire il prezzo scontato
con corpo molto minore al corpo del prezzo pieno;
› con frame a corpo uguale, vale a dire il prezzo scontato con
corpo uguale al corpo del prezzo pieno.
In linea di principio, la comunicazione più efficace è
quella che minimizza lo sforzo cognitivo di comprensione;
una grande differenza tra il corpo del carattere utilizzato per
il prezzo pieno e il prezzo scontato non soddisfa questa
condizione. Se si utilizza il colore, il messaggio è più
credibile quando è scritto in rosso o in blu rispetto a colori
meno forti. Anche la sequenza dei prodotti è di grande
importanza perché la prima impressione che maturiamo
condiziona poi la visibilità delle proposte successive.39
Per quanto riguarda poi il framing della promozione, nella
Figura 5.10 è indicata l’incidenza delle diverse tipologie
promozionali a livello nazionale; in questa sede interessa in
particolare la quota delle cosiddette “promozioni non
dichiarate”, vale a dire le promozioni che non vengono
rappresentate indicando il prezzo pieno e il prezzo scontato,
ma solo quest’ultimo. Il peso di queste promozioni senza
framing si sta infatti riducendo, ma è ancora la tipologia
dominante. Come mai le insegne non tengono conto della
necessità di specificare un’àncora cognitiva?
La progettazione dei volantini è realizzata a livello
centrale per massimizzare in questo modo i contributi
dell’industria; a fronte di contributi marketing centralizzati,
riscontriamo una sostanziale discriminazione spaziale dei
prezzi al consumo e, di conseguenza, l’impossibilità di
stampare un volantino con prezzo pieno e prezzo scontato
uniformi sul territorio. Per evitare di proporre lo stesso
prodotto con diversi prezzi promozionali in punti vendita
della stessa insegna40, ma localizzati in diversi territori,
senza rinunciare per contro alla centralizzazione del
volantino, la soluzione più ovvia sembrerebbe essere quella
di scrivere sul volantino solo il prezzo promozionale e non
anche il prezzo pieno e/o la percentuale di sconto. In questo
modo, il prezzo promozionale è unico per tutti i punti
vendita, ma la profondità dello sconto varia da territorio a
territorio senza che il consumatore se ne accorga. Il
fenomeno appare particolarmente consistente perché,
secondo folder@net2.0 di Nielsen, il 63-65% delle referenze
a volantino è proposto con il prezzo finale senza il prezzo di
partenza; addirittura, nel caso dell’ortofrutta, l’assenza
dell’ancora raggiunge l’85% della numerica. Posto che la
promozione di prezzo si rivolge essenzialmente alla mente
cognitiva, che elabora le informazioni in termini relativi, vale
a dire con riferimento all’àncora rappresentata dal prezzo
pieno di cui spesso non si ha memoria, riteniamo che il
volantino abbia oggi un’efficacia inferiore al suo potenziale
anche per la mancanza di un frame dello sconto.41 Resta da
capire se si tratta di un’evoluzione del ruolo del volantino
decisa consapevolmente, ovvero, se non si tratti piuttosto di
una conseguenza indesiderata della centralizzazione dei
contributi promozionali. In quest’ultimo caso, la
centralizzazione della negoziazione sarebbe responsabile
della riduzione dell’efficacia dello strumento.

Figura 5.10 Incidenza delle promo a volantino senza l’ancora del prezzo pieno
Fonte: Folder@net 2.0-Nielsen

Se si vuole mantenere la centralizzazione della


negoziazione dei contributi promozionali senza rinunziare al
corretto framing degli sconti, l’unica soluzione è pianificare
la convergenza temporanea dei prezzi dei prodotti prima
dell’inserimento a volantino.
Per quando attiene al mix di categorie inserite a
volantino, non risulta che le insegne prestino attenzione alla
necessità di evitare la sostituibilità ed enfatizzare la
complementarietà nella funzione d’uso. In particolare,
emerge che il ranking delle categorie in funzione della
vocazione alla creazione di traffico42 è molto distante dal
ranking delle categorie in funzione della loro presenza a
volantino (Tabella 5.4).
Per quanto riguarda poi il contenuto del volantino sul
piano del tipo di marche scontate, riscontriamo una rilevante
presenza della marca commerciale e delle marche minori,
che sono meno efficaci nella creazione di traffico in quanto
caratterizzate da una minor penetrazione, una minor brand
loyalty e una minor sensibilità al prezzo (Figure 5.11 e 5.12).
In conclusione, possiamo affermare che il volantino è oggi
uno strumento che persegue diversi obiettivi di marketing: la
promozione delle vendite attirando consumatori non abituali
e la fidelizzazione della clientela abituale aiutandola a
compilare la lista della spesa per navigare meglio e più
velocemente all’interno di un assortimento che continua a
estendersi oltre le reali necessità della domanda.43
Tabella Le categorie più frequentemente inserite a volantino non sono
5.4 quelle a maggior vocazione nella creazione di traffico
IPERMERCATO ITALIA
Graduatoria Indice sintetico
Vocazione Presenza Categoria Vocazione Presenza a
creazione a creazione volantino
traffico volantino traffico (da 0 a 1) in % del totale
1 11 FORMAGGI FRESCHI 0,70 88
2 13 BISCOTTI 0,65 87
3 32 LATTE 0,61 81
PASTICCERIA
4 46 0,60 71
INDUSTRIALE
5 20 YOGURT 0,59 86
6 53 FORMAGGI FUSI 0,59 64
7 14 BIBITE 0,58 87
CEREALI PRIMA
8 37 0,57 75
COLAZIONE
9 2 GRANA LIBERO SERVIZIO 0,56 91
10 45 FORMAGGI STAGIONATI 0,56 72

Fonte: Nostre elaborazioni su dati Nielsen 2011


Figura 5.11 La pressione promozionale delle PL è in crescita, pur subendo una
battuta d’arresto nel 2011
Fonte: Nielsen Trade'Mis – Iper + Super + Libero Servizio

Figura 5.12 Incidenza delle tipologie di marche nel volantino promozionale


Fonte: Dati Folder@net, valori medi, anno 2011

Posto che questi obiettivi di marketing non possono


essere perseguiti efficacemente con un solo strumento, è
necessario differenziare il volantino e la relazione in
funzione degli obiettivi di marketing dell’insegna.
Se si opta per il volantino-catalogo e, quindi, si punta ad
agevolare il processo di acquisto in una condizione di
eccesso di scelta, occorre stimolare la fedeltà, per esempio
valorizzandola attraverso la riconsegna del volantino a punto
vendita nel momento del check out. Vi sono diverse possibili
meccaniche per incentivare la riconsegna del volantino; in
appendice a questo capitolo, proponiamo alcune soluzioni
operative.
Un’altra soluzione può consistere nell’agevolazione della
compilazione della lista della spesa scontata, offrendo
un’applicazione mobile per fotografare il codice a barre dei
prodotti inseriti a volantino.
Infine, merita una segnalazione l’innovazione del
volantino realizzata da Sigma. Il volantino Sigma valido
dall’11 giugno al 1° luglio 2012 consta di appena 4 prodotti
per pagina, che vengono proposti con uno sconto in euro e
nel formato di coupon ritagliabile (Figura 5.13).
Lo sconto in euro, senza indicare il prezzo pieno e il
prezzo scontato né la percentuale di sconto, semplifica la
gestione dello strumento promozionale senza per contro
comprometterne l’efficacia. Semplifica la gestione in quanto
può essere utilizzato per promuovere le vendite dell’insegna
in territori dove il prezzo al consumo è diverso in quanto
l’intensità della concorrenza e la elasticità della domanda
possono cambiare profondamente da un’area all’altra. Non
compromette l’efficacia della promozione in quanto la mente
cognitiva può valutare la convenienza dell’offerta nonostante
l’assenza di un frame dello sconto. Infine, ma non per
importanza, questa modalità di rappresentazione della
promozione incoraggia la lettura del volantino e facilita il
processo di acquisto in quanto il consumatore, ritagliando i
buoni sconto dei prodotti che desidera acquistare, realizza in
sostanza una lista della spesa che porterà con sé in punto
vendita per ricercare i prodotti in sconto e, successivamente,
per redimere in cassa i buoni sconto.
Attualmente, vi sono insegne che utilizzano la leva del
volantino anche per fidelizzare la clientela e, nel contempo,
facilitare il processo di acquisto. Si tratta di un formato
particolare di volantino molto snello, di solito 4 pagine che
riportano i regali ottenibili collezionando bollini, ottenibili in
cassa a valle della spesa. Per esempio, Eurospar/Despar
hanno distribuito un volantino per collezionare prove di
acquisto che consentono di ottenere in “regalo” una serie di
pentole Barazzoni. Questa promozione aveva una durata
limitata (dal 2 maggio al 22 luglio 2012) e consisteva nel
rilasciare in cassa un bollino ogni 15 € di spesa e un bollino
aggiuntivo ottenibile acquistando due prodotti sponsor
comunicati in punto vendita. In questa short collection
emerge con tutta evidenza l’obiettivo di fidelizzazione. Per
quanto riguarda l’insegna, l’evidenziazione in punto vendita
dei prodotti il cui acquisto dà diritto a bollini aggiuntivi,
consente di realizzare i seguenti obiettivi:

Figura 5.13 Volantino Sigma con buoni sconto ritagliabili

› ottenere contributi marketing dall’industria e contribuire


così al finanziamento della promozione;
› rendere più attraente la promozione velocizzando il
collezionamento;
› aiutare il consumatore a scegliere il prodotto in un
assortimento di categoria caratterizzato da un assortimento
molto esteso, semplicemente evidenziando il prodotto che
in esclusiva di categoria offre il beneficio del bollino
aggiuntivo (punti jolly).
Per quanto riguarda il fornitore, la partecipazione a una
short collection finanziando il rilascio di bollini aggiuntivi
rispetto a quelli guadagnabili con la spesa, si giustifica in
relazione all’aumento della penetrazione sia del brand che
della categoria. Questa promozione risulta essere infatti di
straordinaria efficacia nell’indurre il consumatore ad
acquistare una marca/categoria che non rientra nelle sue
abitudini di consumo. La promozione di prezzo non ottiene lo
stesso risultato perché il prodotto in questione non rientra
nel mind set dell’acquirente. Per indurre il consumatore ad
acquistare un prodotto che non rientra nella suo campo di
scelta non è infatti possibile sollecitare la mente cognitiva
con uno sconto; la promozione è rilevante solo se riguarda
prodotti che rientrano nel campo di scelta del consumatore.
Al contrario, per indurre il consumatore ad acquistare un
prodotto che non rientra nel suo campo di scelta, bisogna
sollecitare la mente emotiva sostituendo l’oggetto dello
scambio. Scegliendo il prodotto che dà diritto al punto jolly, i
consumatore in realtà acquista il regalo. L’euristica del
regalo è talmente potente che raramente riusciamo a
resistere. Se il regalo richiede un contributo in denaro (self
liquidating), come nel caso della short collection della Figura
5.14, la nostra mente emotiva attribuisce più importanza ai
benefici del prodotto desiderato (nucleus accumbens)
rispetto all’onere del contributo in denaro (insula). La
salienza del regalo aumenta poi nel tempo per effetto del
collezionamento; ogni volta che aggiungiamo un bollino, si
attiva il sistema della ricompensa generando dopamina. Il
desiderio del regalo cresce dunque nel tempo e finisce per
sovrastare il dolore della perdita di denaro connessa al
contributo che ci viene chiesto in aggiunta ai bollini
collezionati. Il successo di questa promozione per la marca
che offre bollini jolly è di norma talmente alto che l’insegna
si preoccupa di selezionare fornitori che, oltre a offrire
contributi marketing, sono in grado di flessibilizzare la
logistica per evitare rotture di stock.

Figura 5.14 Short collection Despar

Le meccaniche per incentivare la


APPENDICE restituzione a punto vendita del
volantino
Facendo leva sulla forte propensione degli italiani al gioco44
e sulla possibilità di stampare volantini con un codice a
barre progressivo leggibile in cassa, si potrebbe estrarre un
certo numero di volantini per ogni periodo promozionale e
formato di punto vendita. L’iniziativa implica l’informazione
del consumatore sia su volantino che in punto vendita,
chiarendo che la vincita si realizza consegnando il volantino
in cassa e a seguito della lettura ottica del codice a barre. Il
gioco può essere orientato sia al traffico che all’aumento di
vendite-marginalità e alla fidelizzazione. Nel caso si punti
alla creazione di traffico, si potrebbe offrire ai clienti che
riconsegnano il volantino estratto:
› la spesa gratis oltre una definita soglia (10€, 20€);
› un aumento dello sconto dei prodotti che compaiono nel
volantino e il cliente ha acquistato;
› l’azzeramento del prezzo dei prodotti di marca commerciale
acquistati dal cliente, anche se non compaiono nel
volantino;
› un buono sconto in euro da redimere sui prodotti non food
acquistati nella visita premiata.
Legando lo sconto aggiuntivo alla dimensione dello
scontrino, si punta anche a migliorare la qualità del traffico
ovvero ad attrarre i clienti medio-alto spendenti.
Nel caso in cui venga scelto l’obiettivo dell’aumento della
fedeltà all’insegna, si potrebbe offrire ai clienti che
riconsegnano il volantino estratto:
› uno sconto in euro a valere sullo scontrino della prossima
visita e a condizione che questa visita avvenga entro una
definita scadenza,45
› uno sconto in euro a valere sugli acquisti non food della
prossima visita e a condizione che questa visita avvenga
entro una definita scadenza;
› uno sconto continuativo fino alla fine dell’anno su tutti gli
acquisti di prodotti di marca commerciale.
Posto l’interesse dell’insegna a incentivare la riconsegna
del volantino in cassa per analizzare la distribuzione
territoriale dei volantini in rapporto alla provenienza della
clientela, oltre che per realizzare in maniera più efficace gli
obiettivi di marketing innovando la relazione con il
consumatore, si potrebbe dividere le pagine del volantino in
due cluster:
› I prodotti scontati riservati ai clienti che riconsegnano il
volantino in cassa;
› I prodotti scontati che possono essere acquistati da tutti,
indipendentemente dalla riconsegna in cassa del volantino.
Questa soluzione rappresenterebbe un forte incentivo alla
restituzione in cassa del volantino, a condizione che i
prodotti rientrino nella lista della spesa del consumatore.
Pertanto, la soluzione ideale sarebbe una promozione di
categoria riservata ai consumatori che riconsegnano in cassa
il volantino. Si potrebbe cioè offrire uno sconto percentuale
sul prezzo a scaffale di tutti i prodotti che compongono una o
più categorie merceologiche. Il prevedibile minor interesse
dei fornitori a contribuire al finanziamento della promozione
di categoria potrebbe essere gestito variando l’assortimento,
vale a dire delistando per la durata della promozione i
produttori che non partecipano al finanziamento.

Soluzioni adottate nell’economia digitale per


5.4
facilitare la scelta
Uno dei fattori che ha maggiormente esteso il campo di
scelta di film e programmi televisivi, di musica, di viaggi, di
giochi, di servizi e prodotti, è stato lo sviluppo di internet e
in particolare la diffusione della banda larga. Nell’economia
tradizionale, la scarsità dello spazio di esposizione e
comunicazione, unitamente agli alti costi di accesso ai
contenuti, impongono al venditore una selezione delle
alternative da offrire, scegliendo quelle dove si concentrano
le preferenze. Al contrario, nell’economia digitale, non
esistono vincoli di spazio e i costi di accesso ai contenuti si
riducono con il tempo in maniera esponenziale; ciò implica
un notevole allungamento della funzione di distribuzione
delle vendite per effetto dello spostamento di acquirenti dal
main stream a nicchie che ora sono diventate accessibili.46
La coda lunga della distribuzione delle vendite online non è
solo la conseguenza dello sviluppo di nicchie a scapito dei
segmenti main stream, ma è anche frutto dell’aumento delle
vendite della categoria per effetto di un allargamento della
clientela (aumento della penetrazione della categoria).
Questo effetto positivo sul sell out della categoria è a sua
volta attribuibile alla facilitazione del processo di acquisto
online; se da un lato le azioni dei venditori online vincono la
resistenza all’acquisto del consumatore riducendo la sua
paura di sbagliare e il rammarico, dall’altro, è lo stesso
consumatore che socializzando l’acquisto finisce per ridurre
i freni cognitivi alla spesa. Per quanto riguarda le azioni dei
venditori basterà citare la prassi molto diffusa di rendere
accessibili le statistiche di vendita e i commenti degli
acquirenti che hanno già sperimentato il consumo del
prodotto. Nelle categorie dei prodotti digitalizzabili,47 le
imprese si sono rese conto che è molto difficile influenzare il
consumatore solamente con la pubblicità tradizionale, a una
via; inoltre, si è capito che la propensione del consumatore a
socializzare gli acquisti e a collaborare con il venditore nelle
diverse fasi del processo di acquisto, rappresentano risorse
da sfruttare per sostenere il sell out.
Tutto ciò non sarebbe avvenuto se i venditori non
avessero sviluppato motori di ricerca efficienti per
permettere ai potenziali acquirenti di navigare in un mare
digitale di offerta illimitata e, nello stesso tempo, se gli
acquirenti potenziali non avessero espresso la loro
propensione a ricercare prodotti di nicchia e a condividere le
loro scoperte socializzando l’acquisto e il consumo. Nelle
categorie digitali riscontriamo dunque una sorta di
paradosso dell’acquirente che da un lato vuole sapere cosa
hanno scelto gli altri per minimizzare il rammarico
potenziale e, dall’altro, è gratificato dalla navigazione
dell’assortimento per scoprire nicchie da consigliare e
condividere. Nelle categorie digitali, come del resto nelle
categorie della moda, la propensione alla imitazione e alla
differenziazione convivono nello stesso consumatore e
contribuiscono entrambe a orientare il suo comportamento. I
venditori online hanno presto scoperto che espandere la
scelta è la via per sostenere la domanda; soprattutto, si è
visto che la crescita del sell out dei venditori online era in
gran parte originata da prodotti non reperibili presso i
rivenditori off line perché a bassissima rotazione.
[...] a fronte di un assortimento massimo di 130 paia di
jeans Levi’s per ogni tipo di taglia e foggia presenti in
ogni negozio, l’insegna online Original Spin mette a
disposizione dei clienti Levi’s più di 1,7 milioni di varianti
a un prezzo di soli 10 dollari in più rispetto a quello del
prodotto standard. Grazie a questo utilizzo brillante della
rete, Levi’s ha ottenuto due risultati: dare la sensazione
ai propri clienti di poter ordinare un capo su misura,
(cosa naturalmente non vera) aumentandone la
soddisfazione e la fedeltà, e ridurre le scorte di
magazzino, potendo contare su una programmazione
degli ordini legata alle prenotazioni.48
L’allungamento della coda delle vendite non è una
prerogativa esclusiva dei rivenditori online, ma è ora
accessibile anche ai distributori che fanno convergere i due
formati, off e online. Di particolare interesse è l’esperienza
dei negozi monomarca Pinko. Quest’insegna offre ai
potenziali acquirenti che entrano in punto vendita
un’assistenza online per navigare l’assortimento e
individuare la combinazione di prodotti più adatta alle
esigenze e a i desideri del visitatore. Si tratta di totem o di
tablet dove è possibile navigare nei due sensi: dal total look
al capo, ovvero dal capo al total look. Vi sono infatti
acquirenti che hanno bisogno di un’assistenza nello styling e
vogliono poter scegliere tra combinazioni di prodotti per
proiettare l’immagine di sé che desiderano.49 Vi sono anche
acquirenti che preferiscono iniziare il processo di acquisto
ispezionando l’assortimento a livello di singoli capi e poi, una
volta individuato un prodotto che interessa, farsi aiutare dal
totem/tablet che legge il codice a barre del prodotto e
propone numerosi accostamenti per arrivare al total look
desiderato. Il cliente Pinko trova online sia i prodotti
fisicamente presenti in punto vendita sia i prodotti che, pur
facendo parte della collezione, non sono disponibili. Posto
che i produttori di moda differenziano l’assortimento dei
punti vendita monomarca in funzione del formato, della
localizzazione e del profilo della clientela potenziale, solo
una minima parte della collezione può essere osservata
fisicamente nei singoli negozi. Con la soluzione descritta,
Pinko amplia di fatto l’assortimento offerto alla clientela e
allunga la coda della distribuzione delle vendite. Il
miglioramento del servizio alla clientela finale viene di fatto
coniugato con il miglioramento della relazione di canale.
Infatti, i rivenditori monomarca diventano parte attiva della
vendita online: la merce acquistata via totem/tablet viene
consegnata a punto vendita e il rivenditore fisico partecipa
alla condivisione del margine commerciale generato con la
vendita online. Facendo diventare il negozio punto d’ordine e
punto di consegna per gli acquisti online, si evitano gli attriti
che di solito nascono quanto il produttore diventa
concorrente dei punti vendita monomarca attivando il canale
online. Anche quando i produttori di moda si limitano a
vendere online le rimanenze e le seconde linee o, comunque,
prodotti non disponibili nei punti vendita fisici, questa
diversificazione nel retailing viene vista dai franchisee come
una minaccia. Al contrario, la convergenza del formato
online con il formato off line realizzata da Pinko, viene vista
dai franchisee come una opportunità di crescita del sell out
attraverso il miglioramento del servizio alla clientela finale.
Ciò che interessa sottolineare in questa sede è la possibilità
di allungare la coda della distribuzione delle vendite con una
soluzione tecnologica che aiuta il cliente a navigare nel mare
dell’offerta potenziale della griffe, vale a dire al di là
dell’assortimento fisico reperibile nei punti vendita
monomarca. Le alternative offerte fisicamente a punto
vendita possono dunque essere opportunamente contenute
espandendo l’assortimento reperibile online; data la maggior
facilità con cui si può leggere l’assortimento online, anche
grazie all’utilizzo di agenti elettronici, questa espansione
dell’assortimento non solo non ostacola il processo di
acquisto, ma lo facilita enormemente.
Sebbene nei rivenditori off line la distribuzione delle
referenze in funzione del venduto abbia necessariamente
una coda molto più breve di quella osservata nei rivenditori
online, si osserva la stessa propensione a sostenere la
domanda attraverso una espansione della scelta. Questa
propensione sarebbe giustificata se si trattasse di ampliare il
numero delle categorie trattate; è invece meno giustificabile
se si tratta di estendere la scelta delle marche e delle
referenze di una stessa marca all’interno di una data
categoria merceologica.
La propensione alla diversificazione assortimentale,
intesa come inserimento di una nuova categoria
merceologica, si fonda sugli economics dell’utilizzo della
capacità di vendita e riguarda tutti i formati di punto vendita
con la sola eccezione del discount. Per comprendere la
logica economica della diversificazione assortimentale, si
può partire dall’assunto che la capacità di vendita è data e
immodificabile sia nella componente espositiva che nella
componente logistica. L’inserimento di una nuova categoria
è dunque possibile solo riducendo l’esposizione delle
categorie correnti sovra stoccate, ovvero aumentando la
frequenza di rifornimento nel caso in cui non vi sia un sovra
stock. L’introduzione di una nuova categoria determina
normalmente un contributo positivo al margine operativo
superiore al contributo negativo che discende dalla riduzione
dell’esposizione delle linee correnti, che si è resa necessaria
per far posto alla nuova. Questa circostanza deriva dal fatto
che:
› le nuove categorie hanno in genere una domanda meno
elastica per effetto della prevalente distribuzione
specializzata e della minor frequenza di riacquisto, cosa che
permette di praticare margini unitari superiori alla media
del punto vendita despecializzato;
› l’aumento delle vendite generato con la diversificazione
assortimentale è superiore alla contrazione che si registra
per effetto della minor esposizione di linee correnti sovra
stoccate, in quanto lo spazio espositivo ha rendimenti
decrescenti;
› gli effetti positivi sulle vendite dell’introduzione di una
nuova linea non sono limitati ai prodotti che la compongono
perché esiste una sensibilità incrociata della domanda, nel
senso che alcuni consumatori possono scegliere quel punto
vendita proprio perché possono concentrare l’acquisto di
diverse categorie in un’unica shop expedition.
Le argomentazioni di cui sopra hanno minor validità nel
caso in cui l’espansione dell’assortimento riguardi
l’inserimento di nuovi prodotti in una categoria merceologica
già trattata. In questo caso infatti, la riduzione delle vendite
dei prodotti correnti di cui si diminuisce l’esposizione per far
spazio ai prodotti nuovi è maggiore in quanto subentra
anche il fenomeno del cannibalismo, trattandosi appunto di
alternative sostituibili. Inoltre, visto che la capacità di
vendita è perfettamente elastica per quanto riguarda gli
impieghi alternativi, l’offerta e la domanda possono essere
valorizzate in termini di unità di capacità come espressione
sintetica del binomio merce-servizio. Ne deriva che,
utilizzando solo parte della curva di domanda, il
prezzo/margine unitario dei prodotti correnti non può che
salire come conseguenza diretta dell’estensione
dell’assortimento di categoria o, ciò che è lo stesso, a seguito
della restrizione monopolistica dello spazio espositivo
assegnato in media alle singole referenze. Anche se
l’estensione in ampiezza/profondità dell’assortimento di
categoria determina un aumento del sell out per effetto della
crescita della penetrazione,50 questo aumento non è
sufficiente per evitare un abbassamento della rotazione
media di categoria e, quindi, maggiori costi distributivi che
devono essere trasferiti nel margine commerciale. Infine, ma
non per importanza, abbiamo visto nei capitoli precedenti
che l’eccesso di scelta può indurre il consumatore a rinviare
e/o sostituire l’acquisto della categoria.
In conclusione, l’estensione profittevole dell’assortimento
ha un potenziale molto diverso nei formati online e off line.
Se si vuole aumentare la capacità di sostenere le vendite
estendendo gli assortimenti fisici, occorre trovare il modo di
applicare alcune soluzioni tecnologiche del commercio
online al commercio off line per avvicinare il comportamento
di acquisto nei due contesti. In particolare, le insegne
grocery devono rendersi conto dell’opportunità di affiancare
alla segmentazione tradizionale della clientela una nuova
segmentazione basata sulla diversità del processo di
acquisto. Se da un lato vi sono certamente consumatori
propensi a un comportamento imitativo che possono quindi
essere influenzati comunicando la classifica dei prodotti più
venduti, dall’altro, vi sono anche consumatori che, una volta
dotati degli strumenti di accesso e personalizzazione delle
informazioni rilevanti, si orientano in maniera differenziata
verso prodotti di nicchia. Soprattutto, bisogna tener
presente che la segmentazione degli acquirenti non è
trasversale, ma specifica di categoria; lo stesso consumatore
può acquistare i prodotti più venduti in una categoria e
prodotti di nicchia in un’altra categoria per opposte ragioni.
Ognuno di noi appartiene a molte tribù e, di conseguenza, il
retail marketing non può assumere come target la persona
nella sua complessità, ma gli orientamenti espressi
nell’acquisto di singole categorie. Nel retail fisico, più che
nel retail online, non basta estendere l’assortimento per
estendere la domanda, ma bisogna fornire anche gli
strumenti per individuare le nicchie che soddisfano
particolari esigenze; e per questo non si può più fare
affidamento sul solo personale di punto vendita come motore
di ricerca.
L’allungamento della coda della distribuzione delle
vendite è un obiettivo di marketing per tutti i distributori, off
e online, in quanto può essere la via per sostenere la
domanda. Nel caso dei distributori fisici, l’allungamento
della coda ha anche come motivazione la maggior
marginalità unitaria dei prodotti di nicchia. Nel retail fisico
l’allungamento della coda della distribuzione delle vendite è
stato principalmente realizzato manovrando le leve del
merchandising. Attribuendo infatti ad alcune
marche/referenze una miglior visibilità e una quota di spazio
espositivo molto superiore alla loro quota di vendita, le
insegne hanno allungato la coda della funzione di
distribuzione delle vendite orientando il consumatore a
scegliere prodotti di nicchia più remunerativi. Alcune
insegne grocery hanno per contro saputo estendere
l’assortimento non food senza complicare ulteriormente il
processo di acquisto, semplicemente affiancando l’offerta
fisica con un’offerta digitale visitabile sia in punto vendita
che dal proprio domicilio entrando nel sito aziendale. In
questo caso, possono essere offerti prodotti a bassa
rotazione che non sarebbe conveniente trattare in maniera
continuativa a punto vendita. L’insegna acquista a valle
dell’ordine del cliente che, dovendo ritirare poi il prodotto a
punto vendita, ha così modo di acquistare i prodotti
dell’assortimento fisico e digitale in un’unica shop
expedition.

1 Chong J.K., Ho T.H., Tang C.S., 2001, “A modeling frame work for category
assortment planning”, Manufacturing & Service Operations Management,
3(3)191-210; Kok G., Fisher M.L., 2007, “Demand estimation and Assortment
Optimization under substitution: methodology and application”, Operations
Research, 55(6) 1001-1021; Fisher M.L., Vaidyanathan R., 2009, “An Algorithm
and demand estimation procedure for retail assortment optimization”, The
Wharton School, OPIM Department.
2 Broniarkzyk S.M., Hoyer W.D., McAlister L. (1998), “Consumer’ Perceptions of
the Assortment Offered in a Grocery Category: The impact of Item Reduction”,
Journal of Marketing Research, Vol. XXXV, pp. 166-176.
3 “Using the simple rule of eliminating low-selling items, we find that a 25% SKU
reduction results in only 7% of subjects findings their favorite product
unavailable. … Maintaining a constant shelf space is critical in minimizing the
impact of SKU reductions. …The cues of Favorite Available and Category
Space can attenuate the impact of SKU reduction and raise the level of the
threshold at which consumers notice a difference.” Broniarkzyk S.M., Hoyer
W.D., McAlister L. (1998), op. cit. p. 174.
4 La bassa rotazione è nella fattispecie confermata dalla polvere riscontrata sulla
marca premium e sull’assenza di polvere nelle altre marche.
5 “When directly compare or weigthe against each other, losses loom larger than
gains. This asymmetry between the power of positive and negative
expectations or experiences has an evolutionary history. Organisms that treat
threats as more urgent than opportunities have a better chance to survive and
reproduce”. Kahneman D., (2011) Thinking, fast and slow, Farrar, Straus and
Giroux, New York, Amazon kindle, location 5105-7.
6 “The default option is naturally perceive as the normal choice. Deviating from
the normal choice i san act of commission, which require more effortful
deliberation, take on more responsability, and is more likely to evoke regret
than doing nothing. These are powerful forces that may guide the decision of
someone who is otherwise unsure of what to do.” Kahneman D. (2011), op. cit.,
Kindle location 7498-7501.
7 Secondo il Census Bureau, gli americani hanno in media 8,5 carte. La
moltiplicazione delle carte possedute è la via per estendere il credito; una
volta raggiunto il limite di credito in una carta, si passa all’utilizzo di un’altra
carta. Il debito medio degli americani per gli acquisti con carta è passato da
2.697$ nel 2004 a 8.000$ nel 2007; per gli acquisti a credito con carta, gli
americani pagano un tasso di interesse medio del 18%.
8 Dato che il pagamento con carta è realizzato da compratori non abituali che il
distributore considera marginali, vale a dire clienti che non acquisterebbero in
caso non si accettasse il pagamento a credito senza oneri aggiuntivi, è normale
accettare una minor marginalità per questo segmento di acquirenti.
9 “German department store operator Karstadt has announced it is looking to
reduce its product range, Financial Times Deutschland reports. As such, the
retailer will close its multimedia departments and review others. In addition,
the retailer will slash its fashion assortment – the core of Karstadt department
stores – by 20%. The retailer is also looking to cut its number of suppliers.
Andrew Jennings, Karstadt CEO, told Financial Times Deutschland: “We had
too wide a product range for too long. The retailer has to come up with a
reasonable pre-selection for its customers to make shopping simpler.” Planet
Retail, 29 febbraio 2012.
10 Più avanti vedremo che il miglior modo per affrontare l’eccesso di scelta non è
la razionalizzazione dell’assortimento, in quanto difficile da realizzare senza
compromettere l’effetto àncora, penalizzare le preferenze dei migliori clienti e
ostacolare l’innovazione di prodotto. Cercheremo infatti di dimostrare che
l’eccesso di informazione non si può evitare, ma si dovrebbe gestire con
soluzioni che facilitano la lettura delle alternative e il processo di acquisto.
11 “Tesco has delisted a variety of products in the Republic of Ireland, local press
reports. Notable examples of de-listed brands include De Cecco and Barilla
pasta, leaving Tesco’s own brand varieties alongside Roma and Napolina. Other
categories have also reportedly been the subject of SKU rationalization”. Fonte:
Planet retail, 12 luglio 2010.
12 L’americana SuperValu sta seguendo l’esempio di Walmart e altre catene
distributive, lanciando un programma di razionalizzazione dell’assortimento. In
alcune categorie, il numero totale di referenze verrà ridotto fino al 25% poiché
SuperValu mira a ridurre i costi e a rendere l’esperienza d’acquisto meno
complessa. Secondo l’Amministratore Delegato Craig Herkert, la mossa ha
l’obiettivo di eliminare le confezioni ridondanti, piuttosto che eliminare intere
marche. “Non penso che il consumatore penserà che abbiamo ridotto la scelta;
in effetti, penso che apprezzerà la migliore selezione disponibile” ha dichiarato
Herkert. (Planet Retail, 14 gennaio 2010.)
13 “Walmart to reduce the number of SKUs it carried, with the spin-off strategy of
reducing inventory also being served through SKU rationalisation. There was a
10-15% SKU reduction in 2009 on top of 10-15% reduction in 2008, creating an
overall reduction of between 20 and 30% heading into 2010. “We try to show
[suppliers] that if we eliminate something, a customer might want to buy more
of one of their other products, because we will make the presentation better
and make the category easier to shop” (John Fleming CMO, Walmart). (Planet
Retail, 2010.)
14 “At Walmart’s recent Q2 update, Simon spoke of ‘thousands’ of SKUs being
added back into the mix. The retailer has engaged with suppliers to review its
assortment to make sure that it has the breadth of inventory that Walmart
customers have come to expect. Walmart is restoring thousands of products to
its assortment and adding new items. Cutting a slow-moving $1 item could cost
an entire shopping cart worth $60.” (Planet Retail, 2010.)
“[…] il colosso mondiale ha fatto un passo indietro, per recuperare i clienti nella
fascia di reddito 30-60.000 dollari, reintroducendo 10.000 referenze e milioni di
metri quadrati di aree espositive, dopo una fase che aveva portato a una
razionalizzazione e a una miglior leggibilità dell’assortimento che, in teoria,
avrebbe dovuto favorire proprio le preferenze delle famiglie con reddito più
elevato.“(Ad Age Digital, dicembre 2011.)
15 “Edeka’s discount chain Netto Marken-Discount is considering streamlining its
assortment. Lebensmittel Zeitung reports that the range of brands may be cut
back in favour of an optimised private labels offer, and B and C brands in
particular may be replaced by own labels. Drugstore and dairy products are
expected to be affected the most, while condiments and fresh products like
meats and charcuterie will also become focal points. So far, Netto’s product
range comprises around 3,500 products, which is significantly more than at
competing discounters. While discount market leader Aldi only has two SKUs in
the toothpaste category, for example, competitor Lidl (Schwarz Group) has
eight, Norma five, and Netto 18. According to the newspaper, the mentioned
variety and complexity has led to an unfavourable cost structure. Reportedly,
Netto also sees additional opportunities for optimisation in the rearrangement
of products on the shelves.” (Planet Retail, 11 febbraio 2011.)
16 Schwarz Group-owned discounter Lidl in Germany is working on streamlining
its product ranges, Lebensmittel Zeitung reports. Fewer articles but higher
profitability is the objective for all departments, from buying to logistics and
distribution. Lidl CEO Heinz Holland and Buying Director Robin Goudsblom
hope that the move reduces handling costs at stores and distribution centres.
Over the past few years, Lidl has reportedly been quicker to list new and
innovative items than its rivals, resulting in more products hitting shelves. The
new strategy could spell the end for several secondary and tertiary brands in
favour of private labels. Like other retailers, Lidl is asking for exclusive
products to be exempt from price comparison to give it greater freedom in
setting prices, an area which Aldi dominates in terms of basic ranges. (Planet
Retail, 10 febbraio 2012.)
17 Fornari D., Grandi S., Fornari E., “Effects of intra-brand competition between
private labels and manufacturer brands. Empirical results from the Italian
market”, XVI EARCD International Conference, Parma, giugno 2011.
18 Secondo Symphony IRI, nel 2011:
› gli ipermercati hanno ridotto il loro assortimento dello 0,6%, da 17.823 a 17.709
referenze, per effetto della compensazione tra una contrazione del 2% dei
prodotti di marca industriale e un aumento del 6,4% della marca commerciale;
› i supermercati hanno incrementato il loro assortimento dell’1,8%, da 9.060 a
9.223 referenze;
› le superettes hanno aumentato il loro assortimento dello 0,8%, da 6.221 a 6.247
referenze.
19 Nielsen future insights, settembre 2011.
20 Idem.
21 “Carrefour has been a part of the retail landscape for 50 years, and needed to
reinvent its brand to win the hearts of its customers back. One of the first steps
was to redefine the portfolio of banners to capitalize on the strengths of the
brand: modernity, innovation, choice, and the pleasure of shopping. Carrefour
now has different store formats: Carrefour and Carrefour planet for
hypermarkets, Carrefour market for supermarkets, Carrefour express,
Carrefour city, and Carrefour contact for convenience stores. Today,
Carrefour’s banners meet customers’ needs wherever they are. The non-food
range is divided into five areas. The Beauty offers a unique concept with spaces
for services and expert advice, from flash make-up to express hairdressing,
while the Fashion area has trendy and affordable items from the Tex brand in a
boutique ambiance. Carrefour planet also pays particular attention to the family
and offers a Baby area—clothing, feeding, growing and care, childcare advice
and other support services. The Home area is a totally innovative range and
brings every branch of furnishing and equipment into one single space: cooking
and dining, decoration, practical items, and equipment. Lastly, the area for new
technologies, the Leisure-Multimedia, includes our range of cultural products
(books, CDs, ecc.) and technology products (mobile telephones, cameras, ecc.),
together with the Carrefour ticket office. Innovation can also be seen through
stands for our customers’ favourite partner brands, such as the Apple
boutique.” (Annual report, 2010.)
22 Gilt ha 2 milioni di membri, Hautelook è cresciuto del 750% nel 2010
(http://weblogs.hitwise.com/heather).
23 Groupon vanta 4 milioni di utilizzatori e una capitalizzazione di borsa pari a 15
miliardi di dollari.
T. McMahan, Groupon: Deals for members, but what about the investors?, Wall
Street Journal Venture Capital Dispatch, 27 maggio 2010.
24 Il modello di business di Groupon è facilmente replicabile e, il fatto di offrire
buoni sconti online in mercati necessariamente locali, implica che non esiste un
vantaggio da prima mossa. Secondo The Economist (2 ottobre 2011, p. 75),
esistono già 20 imitatori di Groupon. La competizione ha portato a una perdita
di 280 milioni di dollari nel 2011 su un fatturato di 1,69 miliardi di dollari; ciò
che ha suggerito di rinviare la quotazione in borsa.
25 Tesco ha già sperimentato l’utilizzo di Groupon con i titolari della sua carta.
Tesco offre infatti attraverso Groupon promozioni collettive ai suoi clienti
Clubcard con:
› un meccanismo di count down;
› l’accesso di gruppo o per un periodo limitato;
› l’utilizzo dei punti Clubcard;
› soluzioni differenziate, vale a dire proposte per tutti e personalizzate per
utente.
Secondo Tesco “Promotions such as these drive people online to engage with
the Tesco brand, and help to increase traffic to the main grocery and Tesco
Direct websites”.
26 “What’s interesting about this system is that it’s all about expectation. Our
dopamine neurons constantly generate patterns base upon experience: if this,
then that. They realize that the tone predicts the juice, or that betting on the
laptop might get us a discounted reward. This means that our dopamine
circuitry isn’t just titillated when we win the auction – those predictive cells are
excited every time we bid, as they wait to see whether or not the reward will
arrive.
In other words, the dopamine system was firing like a rocket display but the
experience was awful.
Interestingly, although near-misses were experience as aversive they increased
the desire to play the game. …This, in a nutshell, is how Swoopo works. It’s one
near-miss after another, as we bid and then bid again. The experience feels
awful – we know we’re wasting money – and yet we can’t look away.”
Lehrer J., “Swoopo”, 10 luglio 2009,
http://scienceblogs.com/cortrx/2009/07/swoopo.php.
27 Planet Retail, 13 marzo 2012.
28 Nel mese di luglio 2011, Media World ha lanciato una promozione denominata
“Contenti o Contanti”. La promo consente all’acquirente di elettronica di
consumo di restituire entro un mese il prodotto acquistato e ottenere la
restituzione dell’intero prezzo pagato. Nel caso di un ripensamento sulla scelta
fatta, l’acquirente può così annullare la sua decisione senza alcun onere e dopo
aver provato il prodotto per un mese.
29 L’insula è quella parte del sistema limbico che genera il dolore della perdita
per il pagamento del prezzo, mentre il nucleus accumbens è l’area del cervello
che suscita emozioni positive prevedendo i benefici che ricaveremo dal
consumo. Per i prodotti di alto valore unitario e per i prodotti nuovi, la
reversibilità dell’acquisto riduce il peso dell’insula e aumenta il peso del
nucleus accumbens.
30 La tracciabilità si basa sulla codifica univoca di ciascun volantino, sulla lettura
del codice a barre da parte del portatore munito di uno strumento che
georeferenzia la sua posizione, sulla certificazione del numero di volantini
consegnati specificando via web dove, quando e come è stata fatta la consegna.
31 Il volantino Ipercoop di COOP Estense, valido dal 27 dicembre al 4 gennaio
2012, conteneva la foto di 60 prodotti che venivano proposti senza indicare il
prezzo di vendita, ma specificando i punti aggiuntivi cumulabili sulla carta
COOP col loro acquisto.
32 Guéguen N., Leogohérel P. (2004), “Numerical encoding and odd-ending
prices: the effect of a contrast in discount perception”, European Journal of
marketing, 38(1/2), pp. 194-208.
Schindler R.M., Wiman A.R. (1989), “Effect of odd pricing on price recall”,
Journal of business research, 19, pp. 165-177.
33 È stato dimostrato sperimentalmente che, proponendo un prodotto con un
prezzo costante (every day low price) e lo stesso prodotto con un prezzo
scontato pari al prezzo costante, si percepisce una maggior convenienza in
quest’ultimo caso. Tom G., Ruiz S. (1997), “Every day low price or sale price”,
Journal of Psychology, 131(4), pp. 401-406.
34 Gàzquez-Abad J., Martièz Lopez F., Cebollada Calvo J. (2001), “The flyer-prone
consumer: some findings base on economic and shopping relate aspect”,
EARCD Conference, Parma, June 2011, p. 11.
35 Ivi, pp. 12-13.
36 Burton S., Lichtenstein D., Netemeyer R. (1999), “Exposure to sales flyers and
increased purchases in retail supermarkets”, Journal of Advertising Research,
39,(5), pp. 7-14.
37 Kiesler C.A. (1971), The psychology of commitment. Experiments linking
behaviour to belief, New York, Academic Press.
38 Questa verifica può essere fatta utilizzando la tecnica della risonanza
magnetica funzionale o, più semplicemente, osservando la dilatazione della
pupilla. Infatti, quando utilizziamo la mente cognitiva, la nostra pupilla si dilata
e la dilatazione è direttamente proporzionale alla difficoltà del ragionamento
e/o del calcolo. “[…] psychologist Eckhard Hess described the pupil of the eye
as a window to the soul.” Kahneman D. (2011), op. cit., Amazon kindle, location
555-59.
39 “Sequence matter, however, because the halo effect increases the weight of
first impressions, sometimes to the point that subsequent information is mostly
wasted”, Kahneman D., (2011) op. cit., Amazon kindle, location 1512-15.
40 È quanto si è verificato per esempio in provincia di Reggio Emilia dove è stato
offerto dal 2 al 4 settembre 2010 il Dash Actilift con uno sconto del 50% a 3,49€
a Castelnuovo Sotto e 2,82€ a Cavriago in supermercati COOP.
41 Sul ruolo dell’anchoring effect nel comportamento di acquisto, si veda Lugli G.
(2011), Neuroshopping. Come e perché acquistiamo, Apogeo, Milano.
42 La vocazione al traffico è tanto maggiore quanto più consistente è la
penetrazione, la frequenza di acquisto, la concentrazione industriale e il peso
della categoria nel fatturato dell’insegna.
43 L’aiuto del volantino nel compilare la lista della spesa dei consumatori fedeli è
particolarmente importante nelle categorie in cui la fedeltà a una singola marca
è relativamente contenuta. Nel caso dell’acqua minerale per esempio, il
consumatore è naturalmente portato ad acquistare diverse marche per motivi
salutistici; i medici consigliano infatti di alternare diversi tipi/marche di acqua
per evitare residui eccessivi dei diversi minerali presenti nei vari prodotti.
44 Nel 2011, il fatturato dell’insieme dei giochi d’azzardo è stato di poco inferiore
a 80 miliardi di euro.
45 Di norma, il consumatore non è in grado di percepire il valore di uno sconto se
non è contestualizzato indicando anche il prezzo pieno e la percentuale di
sconto. Ciò in quanto la valutazione cognitiva di un’opportunità richiede un
àncora. Se, tuttavia, lo sconto in euro viene offerto non su singoli prodotti bensì
sullo scontrino, nel momento del check out e a valere sulla prossima spesa, il
consumatore è in grado di valorizzare lo sconto rapportandolo allo scontrino
che ha ricevuto a valle del pagamento.
46 “Presi uno per uno, nessuno di questi brani è popolare, ma sono talmente tanti
che tutti insieme rappresentano un mercato sostanzioso. Oggi, l’inventario di
Rapsody conta un milione e mezzo di brani diversi, ma tra un anno
probabilmente supererà i due milioni. E l’anno dopo potrebbe arrivare ai
quattro milioni. La cosa straordinaria è che praticamente ognuno di questi
brani venderà. Dal punto di vista di un negozio come Wal Mart, l’industria
musicale termina a meno di 60.000 brani. Invece, per rivenditori online come
Rapsody, il mercato è apparentemente infinito. Non sono solo i 600.000 brani
più popolari di Rapsody a essere scaricati almeno una volta al mese: lo stesso
vale per i top 100.000, i top 200.000 e i top 400.000, persino i top 600.000 e i
top 900.000 e oltre. Non appena Rapsody aggiunge dei brani al suo catalogo,
queste canzoni trovano degli estimatori, anche se solo una manciata al mese, in
qualche angolo del pianeta. Questa è la coda lunga. […] se i dati di Amazon
hanno un qualche peso, il mercato dei libri non venduti nelle comuni librerie
equivale a un terzo del mercato esistente e, quel che più conta, sta crescendo
rapidamente. Se questa tendenza di crescita dovesse continuare, il potenziale
mercato librario potrebbe essere una volta e mezzo più grande di quanto
sembri, ammesso che si riesca a superare l’economia della scarsità. Kevin
Laws, esperto di venture capital ed ex consulente per l’industria musicale, la
mette in questi termini: gli introiti più grandi sono nelle vendite più piccole.”

Anderson C. (2007), La coda lunga: da un mercato di massa a una massa di


mercati, Codice Edizioni, Torino, pp. 10-12; 14.
47 Musica, film, giochi, libri, giornali.
48 Gallucci F. (2011), Marketing emozionale e neuroscienze, Milano, EGEA, p.
203.
49 Questi acquirenti possono essere aiutati nella scelta con una proiezione della
loro immagine digitale che indossa diversi look. “UK retailer Tesco has
introduced a virtual fitting room service on its clothing Facebook page, Retail
Week reports. The new tool, developed by technology start-up Metail, enables
users to create a three-dimensional model of their bodies by either uploading
two photos of themselves or by providing their measurements and a photo of
their face on the Facebook site”. Cfr. Planet Retail, 29 febbraio 2012.
50 Numero di consumatori che acquistano la categoria nell’anno.
Le nuove frontiere di
gestione
dell’eccesso di varietà

Creazione di filtri e di percorsi tecnologici


6.1
per navigare l’assortimento
La gestione dell’eccesso di varietà può essere utilmente
affrontata modificando tutte le componenti della catena del
valore distributivo; nel precedente capitolo abbiamo
esaminato i possibili cambiamenti del contenuto e, dunque,
non resta ora che affrontare i temi del contesto e
dell’infrastruttura.
Sul piano del contesto, si potrebbe pensare alla possibilità
di facilitare l’acquisto con la comunicazione digitale in punto
vendita, anche se le esperienze fatte fino a ora non sono
state positive. Il rumore acustico e visivo degli schermi ha
infatti infastidito il consumatore e la vendita dello spazio
pubblicitario all’industria non ha coperto i costi
dell’investimento, costringendo così molte insegne a
dismettere questo approccio.1 Vero è che il mercato e la
tecnologia della comunicazione digitale in store si trovano
ancora nella prima infanzia. Quando la tecnologia sarà in
grado di misurare la risposta del consumatore al messaggio,
le prospettive potrebbero cambiare. Infatti, se si considera
che il messaggio potrà essere in futuro customizzato per
fornire contenuti rilevanti e differenziati per punto vendita,
giorno e ora, oltre che per singolo schermo in funzione del
posizionamento in store, la comunicazione digitale potrebbe
diventare un apprezzato veicolo per i messaggi pubblicitari e
aiutare il consumatore a scegliere. Per comprendere il
potenziale di questo intervento sul contesto della spesa, si
pensi che sono attualmente in sperimentazione tecnologie
che permettono un’interazione e una personalizzazione del
messaggio, che viene differenziato in funzione del genere e
della fascia di età della persona che sta guardando lo
schermo.
Per quanto riguarda l’infrastruttura, esistono già
esperienze di driving del comportamento di acquisto in
store. Una delle più note è quella di Mejer che ha offerto nel
2010 una applicazione per smart phone chiamata “find it”.
Gli acquirenti che scaricano l’applicazione sul cellulare
possono localizzare i prodotti ricercati sotto forma di punti in
una mappa del negozio.2 Tesco ha lanciato “shopnav” nel
2009, una applicazione per smartphone che ha
continuamente migliorato fino ad aggiungere il “product
finder” per trovare i prodotti nel negozio. Basta digitare il
nome del prodotto e compare l’ubicazione; nella Figura 6.1
riportiamo le informazioni che il cliente di Tesco riceve con
la localizzazione del prodotto ricercato via cellulare.
Figura 6.1: Il servizio di Localizzazione dei prodotti in Tesco

È dunque possibile offrire allo shopper un motore di


ricerca, più o meno sofisticato, per navigare l’assortimento
così come si naviga in internet con Google. Se si riuscisse
veramente a realizzare una sorta di shopper googling by a
personal digital assistant, non per singoli prodotti, ma per
l’intera lista della spesa, l’estensione dell’assortimento non
sarebbe più un ostacolo all’acquisto.3
L’adattamento dell’infrastruttura al bisogno informativo
dei consumatori che effettuano i loro acquisti all’interno di
un assortimento molto esteso può essere anche
customizzato. Si può infatti offrire al consumatore la
possibilità di comunicare la propria presenza abilitando la
relativa funzione sul cellulare; in cambio potrà ricevere
coupon più o meno personalizzati oltre alla possibilità di
essere guidato nella ricerca dei prodotti desiderati.4
Di particolare interesse è poi la nuova generazione di
value-added self scanning, che non si limita a trasferire
all’acquirente la funzione di price-look up, ma offre una serie
di servizi che facilitano e velocizzano il processo di acquisto,
orientandolo. Un assortimento molto esteso non ostacola
dunque necessariamente l’acquisto se il cliente utilizza un
self scanner che gli permette di:
› gestire elettronicamente una lista della spesa compilata al
proprio domicilio abbinandola a servizi di navigazione del
punto vendita;
› ricevere messaggi promozionali in funzione della posizione
in cui si trova;
› beneficiare di sconti e coupon riservati al segmento di
domanda in cui è stato inserito dall’insegna, che analizza
sistematicamente il profilo dei suoi clienti.
È probabile che in futuro, la funzione di mobile self
scanning venga svolta sempre di più dal cellulare di ultima
generazione.5 Il cellulare può rappresentare un quantum
leap rispetto al self scanner, non solo perché il distributore
sposterebbe sul cliente l’onere dell’investimento nella
tecnologia che presidia la funzione di price look up, ma
anche perché con questa sostituzione si renderanno possibili
nuove funzioni a valore aggiunto. Fino a ora la sostituzione è
stata pensata sul piano prettamente tecnologico: il cellulare
legge il codice a barre e riceve informazioni promozionali
per produrre poi, alla fine della spesa, un codice che viene
letto dalla macchina predisposta per il pagamento nelle
diverse modalità (cash, carta di credito, carta di debito,
fidelity card abilitata al pagamento). Dall’impostazione
tecnologica a quella commerciale, il passo è breve.
Immaginiamo dunque di offrire al cliente dell’insegna la
possibilità di compilare al proprio domicilio una lista
elettronica della spesa:
› scannerizzando con il cellulare le confezioni dei prodotti
consumati, ovvero le confezioni dei prodotti inseriti nel
frigorifero che si pensa di riacquistare;
› visitando il sito dell’insegna, relativamente al punto vendita
scelto per la vicinanza rispetto alla propria abitazione,
ovvero rispetto al percorso lavorativo.
In questo ultimo caso, si può supportare il consumatore a
compilare la lista elettronica della spesa aiutandolo a
navigare nel mare delle opzioni assortimentali. Le categorie
di acquisto, definite dai benefici ricercati, potrebbero
rappresentare le parole chiave per navigare l’assortimento
con il motore di ricerca predisposto dall’insegna. Se il
consumatore ricerca prodotti senza glutine, che abbassano il
colesterolo, biologici, locali, tipici e così via, il software filtra
l’assortimento del punto vendita scelto mostrando solo i
prodotti ricercati aggregandoli in categorie di acquisto. Lo
stesso si può fare per le offerte promozionali, i nuovi
inserimenti, i prodotti a esaurimento, e così via. Una volta
selezionato l’ambito assortimentale ristretto all’interno del
quale il consumatore vuole fare la sua scelta, si procede alla
compilazione della lista elettronica della spesa. Una volta
terminata la lista della spesa, il software procede al ranking
dei prodotti in funzione della priorità di acquisto; i prodotti
vengono cioè ordinati in funzione della loro localizzazione in
punto vendita in modo da minimizzare il percorso e il tempo
di acquisto. La lista elettronica della spesa viene quindi
inviata via bluetooth al cellulare e mantenuta aggiornata sui
prezzi e sulle promozioni.6 A questo punto il consumatore
deve decidere se inviare via email la lista della spesa
all’insegna, che provvederà a preparare l’ordine in tempi e
condizioni predefiniti per il ritiro attraverso una soluzione di
click & collect, oppure, se non opta per questa soluzione e
sceglie quindi di fare la spesa direttamente, il cellulare si
trasforma in navigatore per facilitare e velocizzare il
percorso in punto vendita.7 Questo up grading
dell’infrastruttura tecnologica non si limita a sostenere il sell
out contrastando gli effetti negativi dell’eccesso di scelta, ma
crea anche nuove opportunità promozionali. In generale, con
l’evoluzione descritta aumentano gli acquisti programmati
rispetto agli acquisti d’impulso; questo significa che gli
investimenti promozionali dovranno spostarsi al di fuori del
punto vendita. Per esempio, i produttori potrebbero
incentivare i consumatori che compilano la lista elettronica
della spesa scannerizzando la confezione dei prodotti
consumati perché così facendo si sostiene la brand loyalty. I
consumatori che scelgono la soluzione click & collect,
optando per la massima programmazione degli acquisti,
potrebbero essere contattati nel momento in cui compilano
la lista elettronica; siccome l’insegna conosce il profilo dei
suoi clienti, si potrebbe differenziare il contenuto
promozionale del sito in funzione della propensione alla
programmazione degli acquisti espressa in passato dal
cliente. Infine, se il cliente sceglie la modalità di acquisto
diretto in punto vendita perché per esempio compila liste
elettroniche parziali o vuole vedere le opportunità di
acquisto sviluppate dall’insegna tra il momento della
compilazione della lista e la visita del negozio, nascono
nuove opportunità promozionali. Si conosce infatti il
percorso che farà il consumatore per realizzare la sua spesa
con l’aiuto del shopping navigator e, quindi, si possono
lanciare promo sul cellulare in funzione di questo percorso e
del luogo in cui si trova; questa opportunità interessa sia
l’insegna che le aziende industriali.
Sempre sul piano delle nuove tecnologie, è possibile oggi
stampare sulle confezioni dei prodotti o sulle etichette a
scaffale un Quik Response Code (QR), in aggiunta o in
sostituzione del codice a barre. Il vantaggio del QR code
consiste nel fatto che può contenere 7.089 digit (4000
caratteri alfanumerici) contro appena 20 digit del codice a
barre; il QR code si basa su quadrati bidimensionali e può
essere letto dal cellulare. In questo modo, il telefono
cellulare diventa un chiosco dal quale si possono ricavare un
mare di informazioni utili sia direttamente sia indirettamente
attraverso il sito dell’insegna.8 La lettura del codice QR con
un telefono cellulare abilitato a svolgere anche la funzione di
self scanner può persino veicolare promozioni differenziate
in funzione del segmento di domanda cui appartiene lo
shopper.
Il codice QR è stato utilizzato da Tesco a Seul per
realizzare il suo Homeplus Subway Virtual Store. Tesco ha
installato pannelli retroilluninati che riproducono gli scaffali
del supermercato per permettere al viaggiatore, durante i
tempi di attesa nelle stazioni della metropolitana, di fare la
spesa fotografando il codice QR con il cellulare; la spesa
viene poi addebitata sulla carta di credito e consegnata a
domicilio nell’ora preferita. Si tratta di una innovazione del
prodotto commerciale molto rilevante perché, partendo
dall’esigenza di ridurre il tempo della spesa banale, si
inverte la relazione commerciale: non è più il consumatore
che si reca al punto vendita per fare la spesa, ma è il punto
vendita che raggiunge il consumatore quando ha tempo per
fare la spesa e non potrebbe utilizzare altrimenti il tempo di
attesa (Figura 6.2).9 L’esperienza di Tesco a Seul è già stata
imitata da altre insegne (Figure 6.3 e 6.4); segnaliamo in
particolare l’esperienza di Woolworths in Australia.10 Anche
Carrefour ha lanciato una soluzione di mobile retailing nel
2012 in Francia.11

Figura 6.2 Il nuovo formato mobile di Tesco nella Corea del Sud
Figura 6.3 Il nuovo formato mobile di Jumbo in Spagna

Figura 6.4 Il primo virtual store di Ocado a Londra

Anche le etichette a radiofrequenza (RFID)12 possono


offrire un contributo nell’orientare lo shopper a scegliere in
un assortimento che è cresciuto a dismisura. Questa
affermazione può sembrare singolare, visto che anche
Walmart ha dovuto fare marcia indietro sulle etichette RFID
one way applicate sui pallets in quanto, a fronte degli alti
costi scaricati sui fornitori, sono stati raggiunti solo benefici
marginali per le insegne rispetto al codice a barre
tradizionale.13 Sembra inoltre che ora sia stata dismessa
anche la prospettiva di arrivare un giorno alla applicazione
delle etichette RFID sui prodotti, eliminando così la
necessità di un check out a livello di referenza facendo
passare l’intero carrello in una sorta di telepass
commerciale; ciò che non dipende tanto dal costo della
etichetta, quanto piuttosto dall’impossibilità di leggere
contemporaneamente il segnale radio di diversi prodotti
attraverso metalli e liquidi.14 Tutto ciò premesso, indichiamo
nella Tabella 6.1 il diverso potenziale delle etichette RFID in
funzione della frequenza di trasmissione, mentre nella
Figura 6.5, riportiamo una previsione di Planet Retail circa il
potenziale delle diverse applicazioni RFID nella distribuzione
al dettaglio.
Tabella 6.1 RFID Labels
Ultrahigh
Low frequency High frequency
frequency
Reading
1,5 m 1,5m 4m
distance
Reading speed 3 kbps 10 kpbs 60 kpbs
100 /500
Reading rates 10 / 40 tags/s 10/50 tags / s
tags / s
Influence of
marginal medium strong
water
Influence of
Marginal mediem strong
metal
Palette
Asset management,
Typical fields Access control, immobilizers, animal logging
ticketing, book loan, smart
of application identification, automatic production Container
label
trading

Fonte: referring to Luupe & Florkemeier 2005, Informationsforum RFID 2008,


Kem 2006
Figura 6.5 Il potenziale di mercato della tecnologia RFID
Fonte: Planet Retail

Le etichette RFID possono tuttavia contribuire anche


attualmente alla facilitazione dell’acquisto nel caso di
prodotti offerti con un gran numero di varianti proposte in
quantità limitata; Walmart sta infatti applicando etichette
RFID nel non food con buone prospettive di successo.
L’insegna legge l’etichetta RFID sia quando il capo di
abbigliamento viene consegnato al punto vendita sia quando
si muove all’interno del punto vendita, per monitorare in
ogni momento gli articoli che richiedono un riassortimento e
quelli che si trovano in una posizione sbagliata; il personale
di vendita è così in grado di assistere meglio l’acquirente
conoscendo le taglie che mancano e la loro eventuale
disponibilità da magazzino. La tecnologia RFID può facilitare
dunque la scelta in una categoria dove il processo di
acquisto è particolarmente complicato in quanto
multidimensionale. Nell’acquisto per esempio di un paio di
jeans, il consumatore deve selezionare la marca, lo stile, la
taglia, il colore e il prezzo.
Infine, segnaliamo la possibilità di facilitare il processo di
acquisto con interventi sull’infrastruttura che interessano il
pricing. Esiste in proposito una esperienza di frontiera
realizzata da Albert Heijn. Questa insegna confronta le
vendite previste con le vendite e gli stock attuali dei prodotti
deperibili per derivare in automatico gli interventi sul
prezzo, che è necessario praticare per minimizzare le
rimanenze da scartare. Quando il sistema rileva la necessità
di un mark down, la comunicazione del prezzo abbassato
arriva direttamente sulle etichette a scaffale del reparto e
sul telefono cellulare degli acquirenti presenti in punto
vendita e abilitati a ricevere questa informazione. Più in
generale, è possibile monitorare l’approssimarsi della data di
scadenza dei prodotti deperibili attraverso le etichette RFID,
attivando di conseguenza una procedura automatica di mark
down progressivo semplicemente mettendo in relazione
l’etichetta RFID del prodotto con l’etichetta elettronica dello
scaffale e l’applicazione informatizzata del pricing del punto
vendita.
Sempre in materia di pricing, merita una segnalazione
l’esperienza di Leclerc che, dopo 4 anni dal lancio del sito
quiestlemoinscher.com per la comparazione dei prezzi, ha
sviluppato nel 2011 una applicazione mobile.
I consumatori che hanno scaricato la nuova applicazione,
possono usare il loro telefonino per leggere il codice a
barre di più di 200.000 prodotti e comparare il prezzo
Leclerc con quello dei rivali più vicini al luogo in cui si
trova il navigatore.15

Dissociare realtà e percezione per sostenere


6.2
la propensione all’acquisto
Per affrontare il tema dell’eccesso di varietà sul piano
normativo, occorre per prima cosa distinguere il choice
overload dall’information overload. Un assortimento esteso,
ma ben organizzato sul piano espositivo, non ostacola il
processo di acquisto; di conseguenza, è possibile espandere
il campo di scelta contenendo gli effetti negativi sul piano
informativo attraverso soluzioni che aiutino l’acquirente a
navigare nel mare dell’offerta esposta a punto vendita
riducendo nel contempo la percezione della difficoltà del
compito. Per chiarire l’importanza della percezione nel
sostenere la propensione all’acquisto, utilizziamo una ricerca
dell’Economist sulla evoluzione delle taglie
nell’abbigliamento femminile.
I produttori di abbigliamento femminile hanno
gradualmente allargato le taglie per generare nel
consumatore un benessere psicologico e indurlo
all’acquisto.16 Se una signora riesce a indossare la stessa
taglia di quand’era più giovane e magra, la dopamina
prodotta dal circuito della ricompensa sarà certamente
maggiore di quella che avrebbe prodotto nel caso di
aumento della taglia. Sappiamo poi che il processo di
acquisto implica spesso anche il coinvolgimento della mente
cognitiva, che razionalizza scelte emotive già effettuate.
Sappiamo inoltre che la mente cognitiva ha bisogno di
un’àncora per valutare le diverse opportunità. Nel caso di
due griffe che propongono un capo di diversa taglia per le
stesse dimensioni corporee, la cliente sceglierà la griffe che
propone la taglia più bassa perché così facendo percepisce
un maggior benessere psicologico. Ciò che conta per
l’acquirente è la costanza della taglia nonostante l’aumento
delle dimensioni; si tratta ovviamente di un’illusione che,
oltre a predisporci all’acquisto, ci permettere di sorvolare
sui rischi del sovrappeso e rinviare di conseguenza l’inizio
della dieta. Separare la dimensione corporea reale da quella
percepita inflazionando le misure delle diverse taglie è
diventato quindi uno strumento per competere. Lo stesso
approccio si può seguire nel caso dell’eccesso di scelta. In
questo paragrafo dimostriamo come sia possibile agire sul
contesto attraverso il merchandising per ridurre la
percezione dell’eccesso di scelta e facilitare in questo modo
il processo di acquisto. L’estensione dell’assortimento può
essere infatti assimilata all’aumento del girovita: se non ce
ne accorgiamo, stiamo bene con noi stessi e non
modifichiamo il nostro comportamento.
Per chiarire ulteriormente come si possa orientare il
comportamento di acquisto ampliando lo scarto tra realtà e
percezione, riportiamo qui di seguito alcuni comportamenti
innovativi assunti da Finiper nel formato iper. Avendo
costatato che man mano si riempie il carrello diminuisce la
propensione all’acquisto perché la mente emotiva (insula)
anticipa il dolore del pagamento, l’insegna ha deciso di
esternalizzare il reparto dei liquidi (acqua minerale, bevande
analcoliche) che occupa grande spazio nel carrello, incide
poco nella spesa e nella marginalità e rientra di norma negli
acquisti programmati. Il consumatore acquista ora i liquidi
all’esterno del punto vendita con la tecnica del drive in e,
quindi, con maggior comodità. Ciò che conta ai nostri fini è il
fatto che i carrelli meno pieni hanno aumentato la
propensione all’acquisto e sostenuto il sell out dei punti
vendita.
Segnaliamo poi l’esperienza Finiper di allungamento dei
tempi di servizio in alcuni reparti non food. Il personale di
vendita è stato sottodimensionato rispetto alle esigenze e,
inoltre, si utilizza un approccio flessibile nelle mansioni
(assistenza clienti, manutenzione scaffali, registrazione di
cassa); una stessa persona è cioè responsabile di diverse
attività al solo scopo di allungare i tempi di permanenza del
consumatore in reparto. Come si giustifica questo
disservizio? Anche in questo accaso la realtà è diversa dalla
percezione. L’insegna vuole attrarre acquirenti simulando un
interesse e un apprezzamento superiore al reale. La folla ci
attrae. Se dobbiamo scegliere dove pranzare e non abbiamo
alcuna esperienza da utilizzare nel luogo dove ci troviamo,
tra un ristorante pieno e un ristorante vuoto preferiamo il
primo. La nostra mente cognitiva genera infatti aspettative
di qualità dalle scelte degli altri. Se vediamo un reparto non
food affollato, non possiamo passare oltre perché, così
facendo, avvertiamo un rammarico insopportabile; ci
chiediamo infatti a quali opportunità abbiamo rinunciato
anche se la merceologia non rientra nella nostra
programmazione di acquisto. L’affollamento del reparto non
viene dunque percepito come un disservizio, ma come un
indicatore di interesse, di qualità, di convenienza. Siamo
insomma biologicamente portati a imitare la folla. Nei
Paragrafi 6.3 e 6.4 vedremo come la nostra propensione
all’imitazione possa essere utilizzata per ridurre gli effetti
negativi dell’eccesso di scelta e creare una nuova leva di
trade marketing.

Figura 6.6 Ovetto Kinder-Ferrero e Jeans

Figura 6.7 Tik Tac Ferrero e Giardino


Figura 6.8 Cornetto Algida e Mare

Un’altra innovazione recente di Finiper è stata lo


sfruttamento dell’effetto priming17 nel visual merchandising.
Si è trattato di una promozione cross category, food e non
food, che è andata oltre l’offerta congiunta, nello stesso
spazio, di prodotti appartenenti a diverse categorie. Finiper
ha saputo sviluppare una sinergia di offerta sfruttando le
forme, i colori e il vissuto di grandi marche alimentari per
promuovere sul piano espositivo con apposito materiale
POP18 le categorie non alimentari secondo un calendario
dettato dal succedersi delle stagioni e delle ricorrenze. Le
contestualizzazioni espositive sono state ulteriormente
sottolineate da un sottofondo musicale che richiamava il
jingle della marca o l’occasione di consumo. Nelle Figure
6.6, 6.7 e 6.8 vengono proposti alcuni esempi di
contestualizzazione espositiva realizzata attraverso un
materiale POP cross category. Con queste soluzioni, Finiper
ha saputo sfruttare l’esperienza di consumo e di acquisto dei
clienti richiamando dalla loro memoria profonda le emozioni
della marca alimentare. Il priming realizzato richiamando
l’immaginario della marca è servito per rendere più visibile,
e quindi per vendere di più, il prodotto non food che si
voleva promuovere. Si tratta in fondo di una pubblicità
subliminale applicata all’acquisto. L’informazione veicolata
richiamando i codici espressivi della marca food ci porta a
una elaborazione cognitiva che ci predispone all’acquisto del
prodotto oggetto del priming. Gli acquirenti sono
naturalmente inconsapevoli del legame che si attiva fra
l’informazione preliminare (il prime) e il comportamento
successivo. L’esca cognitiva rappresentata dal prime è stata
efficacemente etichettata come “piede nella porta”.19

Soluzioni di merchandising per facilitare la


6.3
lettura dell’assortimento e la scelta
Lo stesso assortimento di categoria, proposto con
un’esposizione più o meno ampia e ottimizzata, presenta una
diversa difficoltà di lettura e di acquisto. Un assortimento
asciutto può essere di converso percepito dal consumatore
come un’offerta caratterizzata da una scelta più ampia
rispetto a un assortimento composto da un maggior numero
di prodotti, ma esposti in minor spazio.20 Analogamente, la
leggibilità dell’assortimento in termini di alternative di
acquisto dipende anche dall’organizzazione del lineare, e
non solo dalla quantità, dello spazio espositivo assegnato alla
categoria. Così, un assortimento esteso, rappresentato in
modo da rendere più visibili le alternative in termini di
attributi/benefici ricercati piuttosto che di marca, facilita la
scelta dell’acquirente che ha programmato l’acquisto della
categoria e sceglierà la marca in punto vendita. Di norma il
consumatore ricerca infatti prima le alternative di prodotto
(varietà) e poi, a parità di benefici ricercati, prenderà in
considerazione le alternative di marca e quindi di prezzo.
Per contrastare l’impatto negativo che l’eccesso di scelta
può avere sull’acquisto, occorre cambiare la prospettiva del
merchandising: da set di leve manovrate per influenzare il
comportamento di acquisto a soluzioni per agevolare il
processo di acquisto. Si tratta in altri termini del passaggio
dal condizionamento stigmatizzato nel modello “Autogrill”,
dove l’acquirente è costretto a un percorso obbligato, oltre
alla permanenza in punto vendita più del desiderato, a un
approccio basato sulla flessibilità nei tempi di fruizione e
sulla libertà nel percorso di shopping. L’interpretazione del
merchandising in chiave push stigmatizzata dal modello
“Autogrill” è infatti compatibile solo con un mercato
scarsamente competitivo; al contrario, quando il
consumatore può scegliere tra diversi formati e diverse
insegne, la facilitazione del processo di acquisto, e la
conseguente riduzione dei tempi impiegati per la spesa,
diventano condizioni determinanti per la fidelizzazione della
clientela e il vantaggio competitivo.
Il cambiamento da un orientamento push a un
orientamento pull del merchandising non è di facile
realizzazione, dal momento che la cultura di marketing dei
distributori ha sempre avuto come perno la promozione delle
vendite dei prodotti e delle marche a più alta marginalità
unitaria. Si è sempre pensato che fosse possibile modificare
la struttura del fatturato aumentando l’incidenza dei
prodotti/marche a più alta marginalità unitaria, senza
compromettere le vendite complessive; anzi, siccome i
prodotti/marche a più alta marginalità unitaria sono quelli
maggiormente acquistati d’impulso, si è sempre pensato che,
assegnando un maggior spazio espositivo e una miglior
visibilità a questi prodotti, si poteva sostenere
contemporaneamente il sell out e la marginalità
complessiva.21
Ora, dopo quanto evidenziato nei capitoli precedenti circa
l’impatto dell’eccesso di scelta sul processo di acquisto,
dobbiamo rivedere molti degli assunti del merchandising
tradizionale. L’idea che si possano convenientemente
aumentare gli acquisti d’impulso con soluzioni di
merchandising che si traducono in un allungamento della
permanenza del consumatore nel punto vendita e in un
aumento della superficie visitata è improponibile in un
contesto caratterizzato dall’ eccesso di scelta. Il
merchandiser deve quindi modificare la sua visione di
business: da gestore dello spazio espositivo per
massimizzare il ROI22 nel breve periodo ad “architetto della
scelta”23 con la responsabilità di organizzare il contesto per
facilitare l’acquisto e soddisfare così il cliente in una
prospettiva di lungo periodo.
Il consumatore apprende emotivamente ogni volta che fa
la spesa e i suoi acquisti sono in gran parte automatici; la
mente cognitiva viene infatti attivata più per la scelta del
punto vendita che per la scelta dei prodotti da inserire nel
carrello della spesa. Dunque, il punto vendita può essere
immaginato come il contesto in cui il consumatore apprende,
mentre le leve del merchandising possono essere
interpretate come gli strumenti di questo apprendimento.
L’esperienza di acquisto permette al consumatore di
memorizzare informazioni di cui non ha ricordo, che
orienteranno la successiva scelta. L’apprendimento del
consumatore in punto vendita è sostenuto essenzialmente
dalla percezione visiva; è dunque di fondamentale
importanza che il merchandising si traduca in soluzioni
coerenti tra ciò che la nostra mente si aspetta di trovare e
ciò che effettivamente vediamo.24
Oltre alla vista, anche altri sensi possono essere attivati
per veicolare in maniera inconscia informazioni utili per la
scelta; si pensi in proposito al famoso esperimento del vino.
Per verificare l’influenza del contesto sulle nostre scelte, è
stato analizzato l’andamento delle vendite di vino francese e
di vino tedesco quando nel supermercato venivano suonati
famosi brani di musica dei due paesi in successione. Il
risultato fu sorprendente, non solo perché le vendite di vino
francese aumentavano significativamente quando gli
acquirenti ascoltavano musica francese, e viceversa per la
musica tedesca e le vendite di vini tedeschi, ma anche
perché solo il 14% degli acquirenti riconobbe che la sua
scelta poteva essere stata influenzata dalla musica ascoltata
durante il processo di acquisto.25 La musica è uno strumento
di apprendimento emotivo. Il comportamento di acquisto può
essere dunque influenzato senza interventi che aumentino il
tempo e la fatica della spesa, ma richiamando dalla memoria
di lungo temine emozioni di cui non abbiamo ricordo, che
influenzano in maniera determinante il nostro
comportamento.26 La musica proposta per accompagnare il
tempo che trascorriamo in punto vendita non dovrebbe
essere dunque scelta casualmente, ma ancorata al profilo
demografico prevalente nelle diverse ore del giorno e/o agli
obiettivi di sell out di specifici prodotti. Anche il tipo di
musica può influenzare il comportamento di acquisto; per
esempio, scegliendo brani lenti, si ottiene l’effetto di
rilassare l’acquirente e allungare la sua permanenza in
punto vendita. Adeguare il tipo di musica al contesto, ai
clienti target e ai prodotti venduti, può avere rilevanti effetti
sulla nostra propensione all’acquisto. Analogamente, alzando
il volume della musica si ottiene l’effetto di ridurre la
permanenza del consumatore nel punto vendita.27 Anche il
ritmo con cui è suonata la musica influenza il nostro
comportamento; un tempo lento riduce la velocità del nostro
passo, aumentando così l’attenzione con cui osserviamo i
prodotti orientandoci di conseguenza ad acquistare di più, e
viceversa.28 Il fatto che la musica influenzi il nostro
comportamento di acquisto senza che ce ne rendiamo conto
conferisce a questa leva il carattere di prime della spesa.
… nei grandi magazzini U.S.A., i consumatori esposti a
Muzak con un tempo lento, restano in punto vendita più a
lungo e acquistano di più. Nei supermercati, i
consumatori acquistano il 38% in più quando viene
suonato Muzak con un tempo lento. Al contrario, i
ristoranti fast-food suonano Muzak con un tempo più
accelerato allo scopo di aumentare il ritmo della
masticazione dei clienti così da velocizzare i pasti e
servire più clienti.29
Oltre a una congruenza musicale, è stata registrata una
congruenza olfattiva. I clienti effettuano infatti acquisti
supplementari dei prodotti congruenti con l’odore diffuso
all’entrata del punto vendita, senza tuttavia limitare
l’acquisto degli altri prodotti; il profumo rappresenta dunque
un prime che induce il cliente a ricercare il prodotto nel
punto vendita e poi ad acquistarlo.30 Analogamente, anche
l’intensità luminosa influisce sul nostro comportamento. È
stato sperimentalmente dimostrato che una luce soffusa
diminuisce la vendita di bottiglie di vino, ma favorisce la
vendita di vini più costosi.31
Cambiando la missione del merchandising, da set di leve
per condizionare il comportamento di acquisto a leve per
facilitare l’apprendimento del consumatore nella lettura
dell’assortimento, si incide in maniera rilevante sulla
fidelizzazione della clientela. La massimizzazione del
margine complessivo per unità di spazio espositivo resta
naturalmente la finalità del merchandising e uno strumento
di misura della performance del merchandiser, ma la sua
realizzazione in un contesto di eccesso di scelta non passa
più dalla promozione espositiva dei prodotti a più alta
marginalità unitaria, bensì dal sostegno al sell out attraverso
soluzioni che facilitano e velocizzano il processo di acquisto.
Le decisioni di allestimento della capacità di vendita per
quanto riguarda il layout delle attrezzature, il layout e il
display merceologico, così come la frequenza e le modalità di
rifornimento degli scaffali, hanno un orizzonte temporale di
lungo periodo e rappresentano un vincolo per le decisioni di
utilizzo della capacità espositiva che riguardano
essenzialmente l’assegnazione della quantità e della qualità
dello spazio disponibile. Il merchandiser opera dunque sia in
un orizzonte di lungo periodo, segmentando l’assortimento
in categorie di acquisto e organizzando il punto vendita con
il layout delle attrezzature e il layout merceologico, sia di
breve periodo individuando e selezionando le alternative di
utilizzo della capacità di vendita. Ogni leva di
merchandising, sia di breve che di lungo periodo, può essere
ridefinita per evitare che l’eccesso di scelta si traduca in una
minor propensione all’acquisto.
Se non si interpreta il merchandising come set di leve per
promuovere le vendite di una marca a scapito di un’altra
marca, bensì come un insieme di soluzioni per facilitare il
processo di acquisto in un contesto in cui il campo di scelta è
cresciuto esponenzialmente, gli interessi di industria e
distribuzione sono più allineati e si aprono nuove prospettive
di collaborazione verticale. I fornitori infatti, invece di
competere per la visibilità dei loro brand offrendo contributi
alle insegne, che poi riversano sul prezzo deprimendo il
valore della categoria, possono concentrare i loro sforzi di
marketing sul prodotto e sulla comunicazione contando sulla
neutralità di un distributore che è unicamente impegnato a
facilitare il processo di acquisto.
Segmentazione dell’assortimento sul piano espositivo. I
consumatori non entrano in punto vendita solo per
approvvigionarsi di beni di cui avvertivano a priori il
bisogno. Il punto vendita è infatti il luogo dove il
consumatore si informa sui prodotti in offerta e si forma
nuove idee di consumo. Questa visione è confermata dagli
acquisti d’impulso, vale a dire dalle decisioni di acquisto
maturate all’interno del punto vendita. L’acquisto d’impulso
può riguardare sia il prodotto/categoria merceologica che la
marca; infatti, la mobilità del consumatore è aumentata sia
all’interno di una data categoria merceologica che tra
diverse categorie merceologiche. Di norma, i consumatori
programmano i loro acquisti in termini di categorie
merceologiche, riservandosi poi di decidere la marca
all’interno del punto vendita anche in funzione delle
opportunità offerte dal distributore e/o dal fornitore.
Sarebbe logico attendersi che la segmentazione
dell’offerta realizzata dal marketing industriale avesse un
puntuale riscontro nella segmentazione espositiva per
saldare così il comportamento di consumo con il
comportamento di acquisto. L’unica forma di comunicazione
della categoria è realizzata infatti in punto vendita dal
distributore manovrando le leve del merchandising. Invece,
si verifica una sostanziale distonia tra la segmentazione
industriale e commerciale dell’offerta.
La segmentazione dell’offerta consiste nell’aggregare i
prodotti in cluster omogenei al loro interno ed eterogenei al
loro esterno. Con la segmentazione dell’offerta, le imprese
tracciano i confini della loro azione di marketing; si tratta
ovviamente di confini tanto più netti quanto maggiore è
l’omogeneità interna e l’eterogeneità esterna, che a loro
volta dipende dal numero di variabili considerate. I confini di
una categoria merceologica possono infatti essere definiti
attraverso l’intersezione di un numero più o meno
consistente di “insiemi” di prodotti omogenei rispetto a un
dato carattere. Naturalmente, maggiore è il numero dei
caratteri scelti per la segmentazione e più ristretti saranno i
confini della categoria, che risulterà anche tanto più
omogenea al suo interno. La diversa combinazione dei
caratteri di differenziazione del prodotto dà luogo di fatto a
numerosi segmenti di consumo che, ovviamente, sono in
gran parte sconosciuti alla maggioranza dei consumatori in
quanto non vengono trattati contemporaneamente dalla
singola insegna. La differenziazione dell’offerta industriale è
sempre eccessiva rispetto alla differenziazione della
domanda e, quindi, spetta al distributore riconciliare la
richiesta di varietà del consumatore con la differenziazione
dell’offerta industriale individuando la miglior combinazione
tra rotazione e prezzo al consumo. Aumentando il numero di
segmenti trattati, si riduce infatti il tasso di rotazione in
quanto la sensibilità della domanda all’aumento della varietà
è decrescente. La diminuzione del tasso di rotazione
determina a sua volta un aumento dei costi di distribuzione
e, quindi, del prezzo al consumo. Esiste pertanto un trade off
tra offerta di varietà e offerta di convenienza la cui
definizione rientra nelle manovre competitive del
distributore. Inoltre, l’aumento dei segmenti di consumo
trattati produce risultati positivi sul sell out solo se si
garantisce loro un’adeguata visibilità con l’esposizione in
verticale; ciò che a sua volta richiede il referenziamento di
un numero di marche per segmento almeno pari al numero
degli scaffali. La necessità di conferire visibilità alla
differenziazione industriale dell’offerta, unitamente ai limiti
fissati dallo spazio espositivo disponibile, implicano dunque
un freno all’espansione distributiva della varietà. Quando il
segmento espositivo non coincide con il segmento di
consumo, ovvero nei casi in cui più segmenti di consumo
sono offerti all’interno dello stesso segmento espositivo,32 il
comportamento di acquisto risulta gravemente ostacolato in
quanto il consumatore non riesce a leggere la varietà
dell’offerta.
La segmentazione espositiva dell’assortimento dovrebbe
essere coerente con l’organizzazione mentale dei bisogni del
consumatore (consumer decision tree). Attraverso la
segmentazione dell’assortimento in categorie è possibile
informare il consumatore sulle alternative offerte e facilitare
di conseguenza il processo di acquisto. La varietà
dell’assortimento, che si esprime nella articolazione delle
categorie in segmenti espositivi, viene infatti comunicata al
consumatore solo in punto vendita attraverso
l’organizzazione dello spazio assegnato alla categoria. La
manovra delle leve di merchandising è dunque di importanza
strategica per garantire visibilità ai benefici ricercati dal
consumatore all’interno di un campo di scelta cresciuto
esponenzialmente.

Layout delle attrezzature. Se la progressiva estensione


dell’assortimento viene gestita riducendo l’esposizione delle
categorie sovrastoccate, ovvero aumentando la frequenza di
consegna a punto vendita e riducendo quindi il numero di
facing per referenza, senza scendere tuttavia al di sotto del
minimo di visibilità (3 facing), l’estensione dell’assortimento
non ostacola gravemente il processo di acquisto. Al
contrario, se la progressiva estensione dell’assortimento
viene gestita facendo crescere la superficie espositiva, il
processo di acquisto può essere gravemente ostacolato e di
conseguenza anche le vendite possono soffrirne.
Adottando un layout delle attrezzature a griglia,
riducendo la dimensione delle corsie e aumentando l’altezza
degli scaffali, si ottiene il risultato di aumentare la superficie
espositiva rispetto alla superficie totale, diminuendo di
conseguenza la leggibilità dell’assortimento. Con il layout
delle attrezzature a griglia si riduce inoltre la libertà di
movimento degli acquirenti in punto vendita e cresce anche
il tempo della spesa. Al contrario, un layout delle
attrezzature “a isole” facilita la lettura delle alternative di
acquisto e velocizza la spesa permettendo maggior libertà di
movimento in punto vendita. Per altro, l’adozione di un
modello a isole non si limita a facilitare il processo di
acquisto, ma rappresenta anche un argine rispetto a
un’estensione dell’assortimento eccessiva rispetto alla
dimensione del punto vendita; si calcola infatti che, con il
layout a isole, il punto vendita non possa contenere più del
60% delle referenze proponibili con un layout a griglia.

Layout merceologico. La localizzazione dei prodotti nello


spazio di vendita , oltre a rispettare i vincoli fisici posti dalle
attrezzature espositive, non dovrebbe essere organizzata in
funzione dei flussi di traffico che si ritiene opportuno creare
per massimizzare i contatti del consumatore con
l’assortimento. Questa visione tradizionale contrasta infatti
con l’esigenza di facilitare il processo di acquisto. Al
contrario, la localizzazione dovrebbe essere in primo luogo
orientata dall’affiancamento di prodotti complementari per
una data occasione di consumo o funzione d’uso, in modo da
stimolare il ricordo del bisogno e velocizzare la spesa.
Le categorie possono essere dunque contestualizzate
secondo due criteri contrapposti. Il primo criterio, più
immediato e generalmente seguito dalla maggioranza dei
distributori, è quello merceologico. In altre parole, i diversi
reparti vengono creati aggregando categorie simili sul piano
strettamente merceologico. Si tratta del criterio di
aggregazione più diffuso, dal momento che è di facile
implementazione e coerente con la politica di aumento della
superficie espositiva. Il secondo criterio è quello che prevede
l’aggregazione espositiva di categorie diverse dal punto di
vista merceologico, ma omogenee sul piano della funzione
d’uso, del momento di consumo, del target di consumatori,
dello stile di vita ecc. L’aggregazione sul piano espositivo di
categorie complementari nella soddisfazione dei bisogni
stimola gli acquisti d’impulso e facilita il processo di
acquisto. Il consumatore non trae infatti un’utilità diretta dai
singoli beni che acquista, trattandosi di imput di un processo
che implica una diversa intensità di preparazione a seconda
del contenuto di servizio incorporato nel prodotto. Così, per
esempio, il bisogno di nutrirsi e di bere si articola in una
serie di processi di consumo (prima colazione, pranzo,
aperitivo, cena, merenda, fine/fuori pasto) che
rappresentano il primo gradino nella gerarchia della
soddisfazione del consumatore e altrettante occasioni di
scelta tra prodotti sostituibili, oltre che di trade off tra
acquisto di una materia prima e di un prodotto pronto per il
consumo. I distributori iniziano solo ora a rendersi conto
che, aggregando i prodotti in base all’omogeneità
merceologica e localizzando poi le categorie prescindendo
dai processi di consumo/funzioni d’uso in cui acquistano un
significato per il consumatore, si perdono consistenti
opportunità. L’affiancamento di prodotti complementari
nella occasione di consumo/funzione d’uso consente infatti di
stimolare gli acquisti d’impulso e di migliorare la qualità del
servizio riducendo il tempo di permanenza nel punto vendita.
Così, per esempio, il cibo per neonati può essere affiancato
ai prodotti per la pulizia e la cura del bambino creando una
funzione d’uso di livello superiore denominata baby care;
analogamente, il cibo per animali può essere affiancato ai
prodotti per la pulizia, il controllo e la cura degli animali
creando la funzione di Pet care. La pasta può essere
affiancata ai sughi e ai condimenti, creando la funzione d’uso
denominata primo piatto.
La manovra della leva della contestualizzazione espositiva
richiede dunque una segmentazione dell’offerta in aggregati
molto più ampi di quelli scelti dall’industria per orientare le
sue azioni di marketing. In generale, la distonia tra la visione
stretta dell’industria e la visione ampia della distribuzione
nella lettura del mercato è determinata dal fatto che per il
distributore la segmentazione dell’offerta ha sempre una
valenza espositiva; la segmentazione distributiva serve cioè
essenzialmente per facilitare e orientare il comportamento di
acquisto del consumatore che si trova all’interno del punto
vendita. Per il fornitore invece, la definizione dei confini
della sua azione di marketing prescinde di norma
dall’esposizione in punto vendita che, peraltro, è una leva
controllata dal distributore.
Se si ritiene che la domanda non vari in rapporto alle
occasioni di consumo/funzioni d’uso, la categoria verrà
proposta in un’unica localizzazione e articolata in diversi
segmenti espositivi. Se, viceversa, si ritiene che il
consumatore richieda diversi tipi di prodotto nelle diverse
funzioni d’uso/occasioni di consumo e, soprattutto, se si
ritiene che aggregando sul piano espositivo prodotti
complementari faciliti l’acquisto, si opterà per la
proliferazione della presenza espositiva della categoria. Ciò
non significa necessariamente aumentare lo spazio
espositivo attribuito alla categoria; si può optare infatti per
la doppia esposizione nel caso di abbondanza di spazio e di
forte elasticità della domanda, ovvero per l’esposizione
singola di un dato segmento di consumo in caso contrario.
La contestualizzazione delle categorie per funzione d’uso
– occasione di consumo è coerente con il funzionamento
associativo della mente emotiva; ciò che gli psicologi
chiamano priming effect.33 Quando entriamo in un punto
vendita grocery, la nostra mente emotiva è già attiva
(primed) sull’acquisto; riconosciamo (vediamo) dunque i
prodotti il cui utilizzo è principalmente associato ai bisogni
espressi nella lista (mentale o scritta) della spesa.
Analogamente, quando ascoltiamo e vediamo messaggi che
comunicano la situazione di crisi in cui versa il Paese, una
volta all’interno del punto vendita, noteremo principalmente
le alternative coerenti con il messaggio ricevuto; ciò che ci
induce ad acquistare primi prezzi, prodotti in promozione e
prodotti di marca commerciale, anche se la nostra situazione
personale non risente della congiuntura economica negativa.
Il priming effect agisce infatti in maniera uniforme
indipendentemente dalle condizioni specifiche del ricevente
in quanto interessa la mente emotiva, vale a dire un
processo decisionale che non è sottoposto a un controllo
cosciente. Siccome il distributore può contribuire a generare
l’effetto priming attraverso la comunicazione sui media e con
il volantino, diventa fondamentale raccordare
associativamente i contenuti della comunicazione con il
merchandising.
La rappresentazione del campo di scelta deve poi tener
conto di come percepiamo gli stimoli visivi. La vendita di una
categoria o di una marca dipende dalla sua visibilità in punto
vendita che, a sua volta, è riconducibile al modo con cui il
soggetto entra in contatto con l’assortimento e valuta le
alternative al fine di decidere l’acquisto. Basta osservare la
varianza dell’incidenza degli acquirenti che visitano le
diverse aree del punto vendita per rendersi conto che la
probabilità di vendita associata alla visibilità dipende dalla
localizzazione del prodotto.
Che cosa induce il consumatore a non visitare alcune aree
del punto vendita? Una parte della spiegazione del percorso
dell’acquirente può essere certamente trovata nel matching
tra ciò che si desidera acquistare e la conoscenza della
dislocazione dei prodotti che discende dalle precedenti
esperienze di acquisto, ed è quindi riconducibile a un
comportamento razionale. Tuttavia, se consideriamo la forte
incidenza degli acquisti d’impulso e la crescente
propensione dell’acquirente a visitare diversi formati
distributivi e diverse insegne, ci rendiamo conto che il
percorso dell’acquirente all’interno del punto vendita è in
gran parte guidato dalla mente emotiva ed è quindi a-
razionale. Vista la numerica dei prodotti che compongono
l’assortimento, è semplicemente impossibile considerare
tutte le alternative nei vincoli di tempo fissati per la spesa.
L’acquirente visita dunque il punto vendita rispondendo
alla mente emotiva che lo orienta a:
› privilegiare percorsi perimetrali;
› leggere le alternative assortimentali in verticale e
focalizzare l’attenzione sulla posizione centrale;
› acquistare preferibilmente i prodotti presentati all’inizio
dello scaffale rispetto al senso di percorrenza, senza
visionare quindi tutte le alternative offerte;
› rispondere più prontamente a stimoli non verbali della
corsia di sinistra, rispetto a un soggetto che avanza
guardando innanzi a sé.
La naturale tendenza a percorrere prioritariamente il
perimetro del punto vendita è spiegabile razionalmente con
la nostra decisione di non visitare tutto il punto vendita e di
limitare il tempo dedicato alla spesa, ma può essere spiegata
anche sul piano emotivo con la nostra propensione a
mantenere aperte vie di fuga. La spesa al supermercato è
come una battuta di caccia per procacciarsi il cibo nel
Serengeti: stiamo attenti ai minimi segnali di cambiamento
perché possono nascondere un pericolo (o un’opportunità) e
manteniamo il percorso che ci offre più sicurezza in termini
di vie di fuga da un nemico che non siamo in grado di
affrontare (ovvero da prodotti che non ci servono).
A volte, gli psicologi evoluzionisti ci descrivono
caricaturalmente come menti da età della pietra in un
universo da età dello spazio. Nella misura in cui la nostra
mente è il prodotto del nostro cervello, e il cervello non si
evolve molto rapidamente, il modo in cui pensiamo e
reagiamo alle esperienze della vita è inevitabilmente il
riflesso di un adattamento avvenuto molto tempo fa… La
conseguenza è che possiamo aspettarci che molti dei
nostri comportamenti possano essere non totalmente in
linea con le circostanze in cui ci troviamo a vivere oggi.
[…] rispondiamo come se fossimo ancora nelle pianure
africane, dediti a imprese di caccia e ad attaccare i nostri
nemici dalle colline. Rispondiamo più per istinto che per
giudizio.34
I distributori che sfruttano la nostra propensione al
percorso perimetrale posizionando all’entrata l’ortofrutta in
modo da rallentare la velocità dell’acquirente, che non può
esimersi dall’acquisto di questi prodotti, rimangono nella
vecchia logica del condizionamento; i consumatori sono
infatti costretti ad acquistare prima un prodotto delicato che
avrebbero voluto posticipare per evitare “schiacciamenti”.
Per facilitare l’acquisto in un contesto assortimentale
molto esteso, può essere poi opportuno legare la
contestualizzazione dei prodotti al profilo degli acquirenti,
creando zone chiaramente riservate a diverse tipologie. Un
esempio servirà a meglio comprendere le opportunità
dell’offerta di soluzioni di shop in shop per tipologia di
acquirenti.
Le donne che diventando mamme subiscono cambiamenti
radicali nel loro cervello e, quindi, nel comportamento di
acquisto.35 Questi cambiamenti nel cervello delle donne sono
permanenti, ma influenzano il comportamento di acquisto
soprattutto nei primi anni dalla nascita dei figli. Le
specificità del cervello femminile vengono enfatizzate dalla
maternità e altre capacità si aggiungono nelle aree rilevanti
per la sopravvivenza, la nutrizione e il benessere del
neonato. Posto che vi sono cambiamenti evolutivi del
cervello legati al diverso ruolo dei generi nella riproduzione
della specie, ci chiediamo come queste differenze impattino
nel comportamento di acquisto di maschi e femmine. I
maschi hanno sviluppato maggiormente il sistema limbico
perché nella lotta all’ultimo sangue per conquistare il diritto
alla riproduzione è più funzionale avere una corteccia
prefrontale limitata. Al contrario, le femmine hanno
sviluppato maggiormente la corteccia prefrontale in quanto
il successo riproduttivo dipende dalle relazioni sociali che
riescono ad attivare.
In molte specie di primati, la chiave del successo
riproduttivo di una femmina risiede nel sostegno che essa
riceve dalle compagne. Affinché le loro relazioni sociali
siano proficue, è necessario che le femmine sappiano
muoversi in un mondo sociale complesso. Più di
trent’anni di ricerche sulle dinamiche familiari di una
popolazione di babbuini del parco nazionale
dell’Amboseli, in Kenya, hanno mostrato che le femmine
socialmente più rispettate, hanno anche il numero più
alto di figli sopravvissuti fino alla fine della loro vita… In
effetti, le femmine hanno vinto la battaglia di chi
controlla la neocorteccia perché le competenze sociali
hanno maggior valore per loro, mentre i maschi hanno
vinto la battaglia per chi controlla il sistema limbico
perché, in uno scontro, pensare troppo a quello che si sta
facendo non paga. La battaglia evolutiva dei sessi si
risolve in parti distinte del cervello, anche se rimane
ancora un mistero come questo avvenga.36
La notevole memoria delle femmine, che deriva dal
maggior numero di connessioni neurali dei due emisferi,
permette di ricordare i prezzi promozionali e la
localizzazione dei prodotti che acquistano abitualmente. I
cambiamenti del layout merceologico e del display vengono
dunque percepiti dalle donne con fastidio e possono
addirittura indurre la mamma a cambiare insegna; la
naturale priorità assegnata alla cura-protezione del neonato
implica infatti che il tempo dedicabile alla spesa deve essere
ridotto al minimo. Se la mente dell’uomo è orientata
prioritariamente alla conquista e al mantenimento
dell’autonomia, il cervello delle donne, avendo maggiori
capacità empatiche, è prioritariamente orientato alle
relazioni e allo sviluppo della comunità. Queste capacità
aumentano in maniera esponenziale dopo la maternità
perché sono essenziali per il benessere del neonato.
I sensi delle donne si accentuano dopo la maternità per
rispondere al bisogno ancestrale di trovare il cibo per la
sopravvivenza del neonato. Ai nostri giorni, questo
cambiamento si traduce in una maggior sensibilità agli odori
e in una maggior capacità di esperienzializzare gli acquisti
per trovare i migliori prodotti per il neonato. Non è dunque
con il prezzo che si possono stimolare gli acquisti delle
mamme, ma con:
› la pulizia del punto vendita;
› la riduzione del tempo necessario per fare la spesa agendo
sulla categorizzazione dell’assortimento e sul
merchandising;
› lo sviluppo di shopping community, di carte fedeltà e di
cataloghi specifici per questo segmento di acquirenti;37
› l’attenzione agli effetti cromatici, visto che le donne
riescono a vedere più colori degli uomini.38
Una grande impresa che produce alimenti per bambini ci
ha chiesto un consiglio sull’ambiente ideale per le
mamme che acquistano prodotti per bambini e neonati.
Sulla base delle nostre ricerche sul punto vendita,
abbiamo suggerito di creare uno spazio separato con
pavimenti insonorizzati, luci soffuse e una atmosfera
tranquilla caratterizzata da una ninnananna. Si trattava
quindi di creare una ambiente protetto e insonorizzato
per la mamma; i nostri studi neurologici ci hanno infatti
rivelato che questa sorta di santuario multisensoriale
contribuisce a sostenere le intenzioni di acquisto facendo
leva sulla mente emotiva.39
Display merceologico. L’esposizione della categoria può
essere organizzata secondo diverse modalità; si può per
esempio decidere di esporre la categoria (segmento) in
verticale e le marche in orizzontale, oppure, si può optare
per il contrario. L’esposizione in verticale conferisce una
maggior visibilità dal momento che il nostro campo visivo è
limitato a sinistra e a destra, mentre lo spostamento fisico
può essere difficilmente coordinato con la vista. La
focalizzazione visiva sulla posizione centrale dello scaffale,
dove il distributore posiziona le marche a più alta
marginalità unitaria, è invece riconducibile alla maggior
accessibilità oltre che alla nostra propensione a minimizzare
l’emozione del rammarico che proveremmo scegliendo
prodotti posizionati agli estremi del campo di scelta dei
benefici ricercati. La nostra propensione ad acquistare
preferibilmente i prodotti presentati all’inizio dello scaffale
rispetto al senso di percorrenza è a sua volta riconducibile
all’impazienza limbica, vale a dire alla difficoltà con cui
sappiamo resistere alle emozioni generate dalla vista dei
prodotti che si succedono sullo scaffale.
Il display merceologico deve essere in grado di creare
cultura di prodotto informando il consumatore sulle
alternative esistenti, semplificando al contempo il processo
di acquisto. Nel momento in cui si definiscono i segmenti
espositivi, si creano i presupposti per la successiva
costruzione del display merceologico. Il display ottimale per
il distributore è quello verticale di segmento e orizzontale di
marca. Tale display garantisce infatti la visibilità del
segmento (esposto in verticale) e, contemporaneamente,
informa il consumatore sull’offerta favorendo il confronto tra
le diverse marche (esposte in orizzontale). Inoltre, il display
verticale di segmento e orizzontale di marca consente di
gestire la qualità dello spazio sia in verticale, dal momento
che si posizionano sui ripiani più pregiati le marche che
presentano il più alto margine unitario, sia in orizzontale (se
esistono più marche su ciascun ripiano), posizionando per
prima rispetto al percorso del consumatore la marca a più
elevata redditività unitaria.
Più in generale, la scelta di esporre in verticale il
segmento o la marca, conferendo di conseguenza maggior
visibilità all’uno o all’altra, dipende da ciò che ricerca il
consumatore in punto vendita. Nelle categorie molto
concentrate il consumatore cerca la marca, e viceversa.
L’esposizione in verticale delle marche riduce la
competizione in store dei fornitori proprio perché l’insegna
rinuncia in questo modo a manovrare la qualità verticale
dell’esposizione, che è quella più rilevante.
Una volta definito il display merceologico, è possibile
stabilire una graduatoria di importanza delle diverse sezioni
di gondola, in funzione del senso di percorrenza del
consumatore. Nonostante esistano opinioni discordanti in
merito alla diversa qualità attribuita alle diverse sezioni, è
ormai ampiamente accettato che l’area più pregiata è quella
che il consumatore visiona per prima e il valore della zona
decresce progressivamente in funzione del suo percorso.40
Se si intende aumentare il margine complessivo per metro
lineare, è opportuno posizionare i segmenti di consumo,
rispetto al percorso del consumatore, in ordine decrescente
di margine unitario medio. La gestione tattica della qualità
espositiva in orizzontale può generare a volte confusione
espositiva e impedire una chiara lettura del layout/display
merceologico. In questi casi,il layout merceologico deve
essere costruito secondo logiche diverse. Per esempio, nel
mondo della cura della persona, le diverse categorie
merceologiche devono essere posizionate, rispetto al
percorso del consumatore, secondo la sequenza logica di
utilizzo del prodotto e certamente non in base a criteri
meramente tattici di condizionamento del comportamento di
acquisto. In altre parole, ogniqualvolta la gestione della
qualità espositiva in orizzontale (posizionamento delle
diverse categorie/segmenti di consumo in funzione
decrescente del margine unitario medio) genera confusione
e non è di facile interpretazione per il consumatore finale,
l’obiettivo della qualità del servizio deve prevalere
sull’obiettivo di redditività di breve periodo. Se il
merchandising deve generare fedeltà cognitiva, l’obiettivo
della massimizzazione della redditività complessiva per unità
di spazio non deve contrastare con il principio della
chiarezza espositiva e dell’agevolazione del processo di
acquisto.

Allocazione dello spazio espositivo alle categorie e alle


marche. Gli interessi di industria e distribuzione non sono
allineati nella gestione dello spazio espositivo. Al fornitore
conviene investire in trade marketing per ottenere un
miglioramento dell’esposizione fintanto che l’incremento
delle vendite così realizzato contribuisce positivamente al
profitto; di solito, la quantità e la qualità dell’esposizione
ottimale per il fornitore è superiore a quella che il
distributore intende concedere sulla base della sua
convenienza. Per l’azienda commerciale, infatti, la sensibilità
delle vendite di una data marca all’esposizione è solo uno
degli elementi di un problema molto più complesso. Al
miglioramento dell’esposizione di una marca può infatti
corrispondere una riduzione più o meno consistente delle
vendite di un’altra marca cui è stato sottratto spazio o
peggiorata la qualità dello spazio assegnato in un gioco che
è a somma nulla. In particolare, poi, bisogna tener presente
che la sensibilità delle vendite all’esposizione non dipende
solo dalla quantità assoluta di spazio, ma anche e soprattutto
da quella relativa. Di conseguenza, riallocare lo spazio tra
due prodotti non porta solo a un aumento delle vendite del
prodotto promozionato e a una riduzione delle vendite del
prodotto penalizzato, ma anche le vendite degli altri prodotti
possono risentirne perché il loro peso espositivo risulta così
mutato. Soprattutto, gli interessi non sono allineati perché la
sensibilità delle vendite all’esposizione varia da prodotto a
prodotto. È cioè possibile che due prodotti presentino una
diversa elasticità all’aumento dell’esposizione anche se
hanno la stessa dotazione iniziale e lo stesso posizionamento
a scaffale. Per di più, i prodotti che compongono una stessa
categoria merceologica hanno margini unitari
sostanzialmente differenti. Di conseguenza, il distributore, a
parità di circostanze, avrà interesse a promuovere le vendite
dei prodotti più sensibili e unitariamente più redditizi. I
fornitori di questi prodotti non devono certo “pagare” i
distributori per ottenere un miglioramento dell’esposizione
perché è nell’interesse di entrambi operare in questo senso.
Dunque, il disallineamento di interessi di cui abbiamo detto
più sopra riguarda solo certi fornitori e, precisamente, i
fornitori di marca leader i cui prodotti hanno un’alta
rotazione e margini unitari relativamente bassi.
La rivalità tra le marche per la conquista del miglior
posizionamento in punto vendita riguarda essenzialmente la
qualità espositiva più che il numero di facing; la sensibilità
delle vendite alla qualità dell’esposizione è infatti molto
maggiore rispetto alla quantità dell’esposizione. Ciò che si
può facilmente verificare per il fatto che, in assenza di
contributi di trade marketing, i leader della categoria sono
posizionati sugli scaffali meno visibili/accessibili.
La rivalità spaziale delle marche si esprime nell’offerta di
contributi ai distributori. Il distributore non dovrebbe
accettare gli incentivi offerti dai fornitori per migliorare
l’esposizione dei loro prodotti perché:
› non è possibile sapere a priori se il contributo offerto è più
che sufficiente per compensare la minor efficacia nella
gestione del lineare;
› nel medio-lungo periodo, la concorrenza spaziale delle
marche finisce per estromettere dal mercato i fornitori più
deboli, con il risultato di aumentare la dipendenza del
distributore.41
Anche per i fornitori, la guerra spaziale ha conseguenze
molto negative; infatti, si tratta di una manovra imitabile che
difficilmente può portare a un vantaggio competitivo
consistente e stabile. Ne deriva che quote sempre più
consistenti di valore aggiunto industriale finiscono per
finanziare la concorrenza di prezzo nella distribuzione
sottraendo così risorse al marketing del prodotto e alla R&D.

Raccomandazioni. A conclusione di questo paragrafo, non


resta che riassumere le principali regole di merchandising
da seguire per ridurre l’impatto dell’eccesso di scelta sul
processo di acquisto.
1. La frequenza di rifornimento della categoria a punto
vendita non deve essere differenziata attribuendo alle
marche un numero di giorni di scorta inversamente legato
al loro tasso di rotazione. Rifornendo meno
frequentemente i prodotti a più bassa rotazione, che sono
anche quelli a più alta marginalità unitaria, si pensa di
aumentare il sell out delle referenze più profittevoli e di
conseguenza anche la marginalità complessiva. Nello
stesso tempo, aumentando la visibilità delle referenze
meno vendute si finisce per ostacolare il processo di
acquisto. La lettura dello scaffale risulta infatti più
difficile, dal momento che lo spazio attribuito a ciascun
prodotto non è proporzionale alle sue vendite. Questo
impedisce comportamenti imitativi da parte di coloro che
vogliono ridurre il rammarico socializzando il processo di
acquisto; per un maggior dettaglio su questo punto si
rimanda al prossimo paragrafo.
2. La rilevanza del contesto ai fini dell’acquisto non
interessa solo il senso della vista, ma anche tutti gli altri
sensi; la capacità di integrare gli stimoli visivi con quelli
sonori, gustativi, olfattivi e tattili può fare la differenza.
Ogni senso attiva diverse aree del cervello e può
contribuire a facilitare la decisione di acquisto.
3. La nostra memoria genetica ci induce a preferire le
superfici curve, mentre siamo portati a respingere le
superfici ad angolo e gli spigoli che inconsciamente
percepiamo come una minaccia;42 questi elementi possono
orientare il layout delle attrezzature in modo da favorire il
processo di acquisto (Figura 6.9).
4. La presentazione dei prodotti in modo coerente con il loro
consumo, per esempio aggregando sul piano espositivo le
categorie complementari nella funzione d’uso/occasione di
consumo, può facilitare l’acquisto.
5. Il cambiamento frequente del layout merceologico rende
più difficoltoso il processo di acquisto, in quanto il
consumatore non può contare sull’esperienza per reperire
rapidamente i prodotti che desidera. L’analisi
dell’andamento delle vendite a monte e a valle di un
cambiamento nel layout merceologico ha evidenziato un
calo attribuibile alla difficoltà nel localizzare i prodotti
desiderati.
6. L’articolazione dell’assortimento di categoria nel maggior
numero possibile di segmenti espositivi, da proporre con
un display verticale, può facilitare il processo di acquisto
migliorando la leggibilità delle alternative offerte. Dato
che, per esporre un segmento (sottocategoria) in verticale,
occorre disporre di un numero di marche almeno pari al
numero degli scaffali, l’adozione di questa regola empirica
implica un condizionamento della politica assortimentale.
Per massimizzare i segmenti di consumo esposti in
verticale, occorre infatti orientare la politica
assortimentale verso l’ampiezza (numero di marche) e
ridurre la profondità (referenze per marca). L’insegna
dovrebbe cioè referenziare nuove marche di una categoria
già trattata in modo da poterla suddividere poi sul piano
espositivo in più segmenti; per esempio, si può introdurre
un numero di marche sufficienti per suddividere la
categoria “cibo per animali” nei segmenti “cane” e “gatto”.
Posto infatti che il display delle categorie/segmenti deve
essere realizzato in verticale per non creare disservizi al
consumatore e per poter gestire la qualità dell’esposizione,
considerato inoltre che l’evidenziazione espositiva di un
segmento di consumo ha effetti positivi sulle vendite, il
distributore può opportunamente utilizzare lo spazio
liberato dalla riduzione del sovrastock anche per creare
nuovi segmenti espositivi.
7. L’adattamento dell’assortimento e dello spazio espositivo
alla variazione temporale della domanda può facilitare il
processo di acquisto e sostenere il sell out. In generale, più
consistente è la varianza temporale dell’assortimento e
maggiore è la performance attesa in quanto, in questo
modo, l’insegna:
adegua la sua offerta alla dinamica della domanda senza
ricorrere a svalorizzazioni;
aumenta la visibilità delle categorie stagionali che
possono così disporre di maggior spazio espositivo;
può animare il punto vendita e manovrare con maggior
efficacia le leve della creazione di traffico.
Figura 6.9 Le superfici curve attraggono lo shopper

Nell’ambito delle categorie caratterizzate da una forte


concentrazione temporale delle vendite, conviene
distinguere le categorie che appartengono al grocery
continuativo, al grocery stagionale e al non grocery.
Nel grocery continuativo e nel non grocery, la gestione
dei cambiamenti climatici consiste nell’adeguare
l’assortimento, oltre allo stock e allo spazio espositivo, delle
categorie più sensibili alle variazioni metereologiche. Si
tratta di categorie sempre presenti in assortimento, ma con
un numero di marche/referenze e un numero di pezzi esposti
(stock) che dovrebbe variare in funzione della consistenza
temporale della domanda. Alcune insegne gestiscono invece
la variabilità stagionale della domanda semplicemente
aumentando la frequenza della manutenzione a scaffale e,
quindi, senza intaccare in maniera significativa
l’assortimento e lo spazio espositivo. Questo comportamento
si traduce in una perdita di sell out sia perché l’aumento
della frequenza di rifornimento dello scaffale avviene spesso
a valle di una rottura di stock sia perché non si sfrutta la
propensione all’acquisto del consumatore. L’adattamento
dello stock al clima è peraltro più facile per il grocery
continuativo rispetto al non grocery in quanto, in
quest’ultimo caso, l’acquisto dev’essere fatto con forte
anticipo rispetto alla vendita e la consegna a magazzino ha
una bassa frequenza; in alcuni casi (climatizzatori), la
consegna è fatta una volta l’anno.
Vi sono poi le categorie del grocery stagionale, che
interessano in particolare il presente lavoro perché la
gestione del clima implica in questo caso soprattutto la
manovra della leva assortimentale. Si tratta di categorie che
escono dall’assortimento quando cambia la stagione e
rientrano nel momento in cui il clima ridiventa propizio per
quella tipologia di consumo. Nelle categorie food, il
momento dell’uscita e del rientro in assortimento sono
determinanti per il successo nella vendita e per il sostegno
dell’immagine di qualità dei brand. Un ritardo nell’uscita
dall’assortimento rispetto alla variazione del clima si traduce
in minori vendite, in quanto si rinvia l’entrata di
categorie/marche di stagione per le quali vi sarebbe una
consistente domanda. Inoltre, le poche vendite alimentari
fuori stagione rischiano di creare disaffezione nel
consumatore che ricorderà un’esperienza di consumo non
positiva.
Nel caso invece di un rientro anticipato di un alimento
nell’assortimento di stagione rispetto all’andamento
climatico, si osservano due effetti negativi:
la categoria/marca rientrata in anticipo non viene
acquistata da un numero rilevante di consumatori e occorre
pertanto sostenere il sell out con promozioni di prezzo che
deprimono il venduto a valore;
la categoria/marca uscita in anticipo per far posto alle
categorie/marche della nuova stagione non viene venduta
nonostante la domanda sia ancora consistente.
Per il food stagionale, il momento del rientro in
assortimento riveste dunque una importanza fondamentale.
Il time to market delle categorie/marche stagionali è
determinante per utilizzare al meglio la risorsa più scarsa e
meno elastica dell’insegna: lo spazio espositivo. Se, a parità
di esposizione complessiva (metri lineari sviluppati per
giorni di presenza), si riuscisse a concentrare
temporalmente l’offerta delle categorie/marche stagionali
nel momento in cui la domanda riprende consistenza per
effetto del cambiamento climatico, i vantaggi sarebbero
rilevanti sia per il fornitore che per il distributore. Piuttosto
che tenere sugli scaffali un prodotto che viene venduto poco
nonostante la promozione di prezzo in quanto il clima non è
coerente con quella tipologia di consumo, è molto meglio
concentrare l’offerta temporale aumentando
proporzionalmente l’esposizione nei giorni in cui il
consumatore è più ricettivo. Per migliorare la qualità del
servizio e agevolare il processo di acquisto, è dunque
fondamentale aumentare la variabilità dell’assortimento e
dell’esposizione. Per gli alimenti stagionali, si potrebbe
opportunamente calcolare un nuovo indice di merchandising
rapportando lo spazio occupato (in lineare e fuori lineare) ai
giorni di permanenza in assortimento. Analogamente, la
produttività delle insegne dovrebbe essere misurata e
gestita non solo con riferimento a fattori produttivi fisici
come lo spazio, il personale e il numero di referenze trattate,
ma anche con riferimento a fattori immateriali come la
composizione e la variabilità dell’assortimento. La
produttività dell’assortimento può essere sostenuta offrendo
per ciascun punto vendita un mix di categorie e marche
coerente con l’evoluzione nel tempo della domanda.
Vi sono poi anche prodotti grocery non alimentari
fortemente legati alla stagionalità; si pensi per esempio alle
creme solari e alle soluzioni per prevenire/curare le punture
di insetti. Gli entomologi ci insegnano che le uova di zanzara
si aprono solo per temperature superiori ai 25 gradi;
analogamente, le zanzare pungono solo dopo che la
temperatura ha superato i 25 gradi. Se ora ci chiediamo
quando il consumatore matura il bisogno e la propensione ad
acquistare soluzioni antizanzara, la risposta è semplice: dopo
i primi morsi e, quindi, dopo che la temperatura ha
raggiunto i 25 gradi. Quante sono le insegne che adeguano il
loro assortimento e il loro stock di punto vendita in funzione
della temperatura nel caso della categoria degli antizanzara?
Molto poche!

Sfruttare la propensione a socializzare gli


6.4
acquisti imitando le scelte altrui
Fronteggiare il problema dell’eccesso di scelta direttamente,
vale a dire riducendo l’estensione dell’assortimento, non è la
soluzione migliore sia perché non è facile individuare i
prodotti da dereferenziare sia perché quest’intervento può
essere penalizzante per l’innovazione. Favorire lo sviluppo
industriale dell’innovazione di prodotto non è solo un
interesse generale per il sostegno alla crescita della
ricchezza del paese, ma è anche un interesse specifico delle
insegne. Infatti, l’innovazione di prodotto aumenta il valore
della categoria sia in termini di penetrazione che in termini
di scontrino medio. Alcuni esempi serviranno a meglio
chiarire questo concetto.
Nel 2009, in piena recessione mondiale, Rekitt ha
aumentato del 25% il suo budget di marketing e ampliato la
gamma del suo Finish aggiungendo una quarta referenza
(Finish Quantum) a un prezzo che superava di due volte la
versione basic. Nello stesso periodo, Reckitt ha lanciato un
deodorante per l’aria munito di un sensore per il rilascio
automatico della sostanza in funzione del bisogno; anche
questa referenza è stata posizionata a livello premium con
un prezzo che superava del 20% la versione standard.
Analoghe considerazioni possono essere fatte per le ecodosi
di Dash.
Mr Becht sostiene che i consumatori non sono disposti a
riconoscere un premium price per miglioramenti
marginali come nuove profumazioni e gusti, ma solo per
innovazioni radicali. Abbiamo dimostrato questo assunto
in un periodo di congiuntura economica negativa
proponendo innovazioni significative che i consumatori
hanno acquistato nonostante il prezzo elevato.43
Nel 2011, FATER, azienda partecipata al 50% da Angelini
e P&G, ha lanciato negli USA e in Italia un’innovazione
radicale nel campo degli assorbenti femminili (Lines è); la
scelta di testare il nuovo prodotto in Italia oltre che negli
USA non risponde solo a una logica nazionale dei
proprietari, ma anche al fatto che il nostro Paese è fra i più
profittevoli per l’azienda. Posto pari a 100 il prezzo medio di
categoria, il nuovo prodotto è stato infatti lanciato a 140
negli USA e a 270 in Italia, dove ha raggiunto una quota del
15% alla fine del primo trimestre di presenza nel mercato.
Razionalizzare l’assortimento, ovvero alzare barriere
distributive all’entrata, può dunque essere
controproducente, dal momento che penetrazione e
scontrino medio possono ridursi come conseguenza diretta
di questi comportamenti se si escludono i prodotti innovativi
posizionati a livello premium.
Se da un lato vi è la necessità di non ostacolare l’accesso
al mercato dell’innovazione di prodotto, dall’altro bisogna
anche riconoscere che i distributori non possono non
trasferire sull’industria almeno parte del rischio della
mancata vendita attraverso i premi di referenziamento e gli
sconti assortimento. Se una singola insegna rinunciasse ai
contributi dei fornitori per asciugare il suo assortimento
mentre i rivali continuassero ad accettare incentivi per
l’inserimento di nuovi prodotti, rischierebbe di avere uno
svantaggio competitivo. Come fare dunque per coniugare la
necessità di mantenere basse barriere distributive
all’innovazione di prodotto con la massimizzazione dei
contributi dell’industria e la minimizzazione dell’impatto
negativo che l’eccesso di scelta ha sui clienti inducendoli a
rinviare la decisione di acquisto ovvero ad acquistare di
meno? La risposta a questo quesito può essere ricercata in
tre direzioni, che corrispondono all’articolazione della
catena del valore distributivo; si può infatti agire:
› sul contesto, aiutando la mente emotiva dei clienti a
processare più rapidamente le informazioni offerte con un
assortimento esteso;
› sull’infrastruttura, fornendo un motore di ricerca per
velocizzare l’analisi delle informazioni e, nello stesso tempo,
per minimizzare il rammarico potenziale della decisione di
acquisto nel caso di un assortimento esteso;
› sul contenuto, abbassando il costo di opportunità del trade
off dei benefici ricercati rendendo reversibile la decisione,
ovvero inserendo informazioni digitali per facilitare la
valutazione delle alternative.
Per quanto riguarda il contesto, gli effetti negativi
dell’eccesso di scelta possono essere bilanciati, oltre che con
una rivisitazione della cultura di merchandising secondo le
linee descritte nel precedente paragrafo, proponendo le
alternative in modo asimmetrico, vale a dire con una
etichetta a scaffale che specifica il numero di acquirenti o le
vendite del prodotto e, quindi, realizzando una sorta di
ranking delle preferenze rivelate.
Le decisioni di acquisto non vengono assunte solo
pensando al consumo del bene e, quindi, simulando nella
nostra mente la soddisfazione che proveremo. Al contrario,
quando decidiamo di assumere un determinato
comportamento di acquisto, teniamo conto anche delle scelte
effettuate dagli altri. Cialdini ha dimostrato
sperimentalmente l’esistenza di una “legge di rinforzo
sociale” che lega il nostro comportamento di acquisto a
quello degli altri. Se veniamo a conoscenza delle decisioni di
acquisto altrui, questa conoscenza influenza in maniera
rilevante il nostro comportamento.44 Al processo di
emulazione nell’acquisto è stato attribuito il significato di
“razionalità sociale”.45 L’imitazione del comportamento degli
altri è riconducibile all’euristica del riconoscimento:
possiamo ridurre il tempo impiegato nell’analisi delle
alternative e contenere l’ansia della scelta decidendo di
imitare il comportamento della maggioranza degli acquirenti
o delle persone che consideriamo nostri referenti in termini
di fiducia e appartenenza a un gruppo sociale.46 Posto che la
fedeltà a una marca è sostenuta anche dall’anticipazione del
rammarico che proveremmo se, cambiando, ci accorgessimo
che era meglio la scelta abituale, il produttore della marca
leader può crescere in quota bilanciando l’anticipazione del
rammarico dei non acquirenti con la comunicazione delle
preferenze accordategli dai consumatori. Chi non acquista
ancora la marca leader è infatti spinto a provarla se può
cognitivamente supportare questa scelta con la conoscenza
del comportamento della maggioranza degli acquirenti. La
nostra propensione all’imitazione compensa il rammarico
anticipato che proviamo quando consideriamo la possibilità
del cambiamento di scelte abituali.47 Naturalmente, la
fiducia nei segnali che ci provengono dal comportamento
altrui non è distribuita uniformemente. Vi sono persone più
portate di altre a imitare il comportamento di acquisto sulla
base di un rapporto fiduciario. Che cosa determina questa
asimmetria nella fiducia che le persone assegnano al
comportamento degli altri?
Recenti evidenze comportamentali dimostrano che
l’ossitocina aumenta la fiducia negli individui; ciò che
rappresenta un’opportunità unica per una comprensione
più profonda dei meccanismi neuronali sottostanti la
fiducia e l’adattamento delle persone alla rottura di un
rapporto fiduciario. Abbiamo analizzato i circuiti
neuronali del comportamento fiduciario combinando la
somministrazione blind per via nasale dell’ossitocina con
la fMRI. Abbiamo riscontrato che i soggetti esposti
all’ossitocina non mostrano cambiamenti nel loro
comportamento fiduciario quando apprendono che la loro
fiducia è stata tradita più volte, mentre i soggetti che
ricevono un placebo riducono significativamente la loro
fiducia negli altri. La differenza nel comportamento
fiduciario è associata a una riduzione nell’attivazione
della amigdala e dello striato dorsale nei soggetti che
ricevono l’ossitocina. Questo suggerisce che il sistema
neuronale che elabora l’emozione della paura (amigdala)
e l’adattamento del nostro comportamento
all’informazione sul tradimento della fiducia riposta negli
altri(striato dorsale) viene modulato dagli effetti
dell’ossitocina. Questi risultati possono contribuire allo
sviluppo di una conoscenza più profonda di disordini
mentali come la fobia sociale e l’autismo, che sono
caratterizzati da una persistente paura o repulsione delle
interazioni sociali.48
La volontà e la propensione a fidarsi degli altri dipende da
un ormone prodotto dal nostro cervello: l’ossitocina. Questo
ormone era già noto per le sue capacità di mediare le
reazioni di paura e le relazioni sociali prima della ricerca
dell’Università di Zurigo, che ha dimostrato l’importanza
dell’ossitocina nelle relazioni fiduciarie.49 È stato
sperimentalmente dimostrato che il segnale di fiducia che
inviamo attraverso l’ossitocina viene percepito dai nostri
interlocutori, che si sentiranno così obbligati ad assumere
comportamenti di reciprocità.50 Questa eccitazione ormonale
agisce sia a livello motivazionale (il fidarsi) che a livello
relazionale (il riconoscere la fiducia). Tutto questo rientra
nei nostri interessi attraverso la formulazione dell’ipotesi
secondo cui la generazione di fiducia e reciprocità non
richiedono la presenza fisica delle persone in uno stesso
luogo e tempo, ma è sufficiente che il soggetto conosca il
comportamento di altri di cui si fida in quanto non hanno
interessi conflittuali con i suoi. Possiamo dunque ritenere
che le persone più propense ad assumere comportamenti
imitativi negli acquisti, in quanto si fidano della bontà delle
scelte altrui, abbiano una maggior dotazione di ossitocina.
Analogamente, siccome le femmine hanno di norma una
maggior dotazione di ossitocina e una maggior empatia
rispetto ai maschi,51 possiamo prevedere una differenza di
genere nella propensione all’imitazione.
Vi è poi anche un elemento soggettivo che ci spinge alla
imitazione: la nostra propensione inconscia a minimizzare il
rammarico potenziale. In altri termini, scegliamo di imitare
le scelte di acquisto degli altri per evitare:
› l’emozione negativa generata dalla mente cognitiva
(rammarico), che ci fa dubitare di aver fatto la scelta
migliore quando il nostro comportamento diverge da quello
degli altri acquirenti;
› l’insoddisfazione che proveremo a posteriori se la scelta
degli altri, che diverge dalla nostra, si dimostrasse migliore.
Secondo Berns et al. (2002), il comportamento imitativo
attiva aree cerebrali del sistema limbico piuttosto che la
corteccia prefrontale. Sarebbero dunque le emozioni positive
generate da un comportamento conforme e le emozioni
negative (paura di sbagliare) generate da un comportamento
difforme, piuttosto che la mente cognitiva, a indurci a
imitare gli altri. A nostro parere invece, la mente emotiva e
la mente cognitiva sostengono entrambi il comportamento
imitativo, ma in diversi contesti e per diverse decisioni. La
logica ci spinge infatti a comportamenti imitativi tutte le
volte che non abbiamo sufficienti informazioni per decidere,
ovvero non abbiamo maturato esperienze che ci possano
aiutare nella scelta. Per esempio, se dobbiamo scegliere tra
due ristoranti dove non abbiamo mai pranzato e non
abbiamo informazioni rilevanti sull’uno e sull’altro, il fatto
che uno sia pieno e l’altro quasi vuoto ci fa dedurre
logicamente che quello pieno è meglio dell’altro; in questo
caso, seguire la folla è una decisione cognitivamente
determinata. Se invece abbiamo già un’opinione prima della
scelta, per esempio se la nostra esperienza ci dice che è
meglio la marca A rispetto alla marca B, la propensione alla
imitazione ci può spingere fino a scegliere l’alternativa che
consideriamo peggiore se veniamo a conoscenza che molti
altri hanno fatto questa scelta. In quest’ultimo caso è il
sistema limbico che svolge il ruolo di driver della scelta
imitativa.
Quando siamo davanti a uno scaffale di un supermercato,
la comunicazione attraverso le etichette a scaffale dei
prodotti più richiesti dovrebbe orientare molti acquirenti che
in passato hanno scelto altri prodotti verso il best seller. I
distributori conoscono la nostra propensione a effettuare
scelte imitative ed hanno imparato a sfruttarla nella
promozione delle vendite. Si tratta di una conoscenza tacita
che hanno sviluppato nella loro lunga esperienza di relazione
con il consumatore e che discende dalla pratica degli affari e
che i distributori stessi non sanno spiegare. Un esempio
servirà a chiarire il concetto.
Nel mercato domenicale di Forte dei Marmi, un
ambulante serviva una cliente che si provava un cappello di
paglia osservando la sua immagine in uno specchio fornito
dal venditore stesso; a un certo punto della relazione,
l’ambulante si rivolge alla cliente affermando che il modello
che si stava provando era quello più venduto. Non sappiamo
se questa affermazione rispondesse al vero, ma una cosa è
certa: il venditore pensava di facilitare la conclusione del
processo di acquisto facendo sapere alla cliente che la
maggioranza degli altri clienti aveva fatto la stessa scelta.
L’ambulante non aveva certo studiato la psicologia cognitiva,
ma sapeva per istinto ed esperienza che i clienti hanno un
comportamento imitativo. La segnalazione del distributore è
peraltro più credibile e impattante di quella del fornitore che
nel suo messaggio pubblicitario evidenzia il successo di
vendita del suo prodotto; il distributore infatti viene
percepito dal cliente come un “venditore di assortimenti” e,
quindi, più neutrale e credibile rispetto al fornitore che viene
percepito come un “venditore di marche”.52
La tecnologia consente oggi di informare i consumatori
che si trovano all’interno del punto vendita sulle scelte
effettuate in un dato periodo, categoria per categoria; è
sufficiente infatti collegare il database del venduto alle
etichette elettroniche di scaffale. In questo modo è possibile
visualizzare sull’etichetta elettronica a scaffale il numero
aggiornato di acquirenti del singolo prodotto nel giorno,
settimana o mese.53 Ci aspettiamo che i prodotti con il più
alto numero di acquirenti nell’unità di tempo abbiano più
probabilità di essere scelti dal consumatore che passa
davanti allo scaffale e riceve questa informazione. La mente
consapevole genera infatti un’aspettativa sulla bontà della
scelta; se molti hanno acquistato quella marca, possiamo
dedurre che la loro esperienza è stata positiva e quindi
possiamo razionalmente prevedere che anche la nostra
esperienza sarà positiva. La consapevolezza che molti altri
abbiano fatto un determinato acquisto prima di noi viene
vissuta come una sorta di raccomandazione che difficilmente
possiamo ignorare. Inoltre, scegliendo il prodotto più
acquistato, azzeriamo il rammarico che proveremmo se
optassimo per una alternativa che non gode della preferenza
dei più. Il comportamento imitativo mira dunque a
contrastare il disagio che proviamo per effetto del rischio
implicito nella scelta; il rischio individuale viene così
trasformato in rischio condiviso.54
Lo sfruttamento di queste componenti psicologiche e
neurologiche del comportamento di acquisto è già una realtà
nel commercio online. Amazon, per esempio, comunica agli
acquirenti di ogni categoria i prodotti più acquistati. Lo
stesso fa eBay che comunica ai partecipanti all’asta il
numero delle persone online interessate all’acquisto. Molti
quotidiani online offrono al lettore la possibilità di
selezionare gli articoli più letti e maggiormente oggetto di
interazione.
Quasi la metà dei consumatori U.S.A. che acquistano
online più di 4 volte l’anno e spendono almeno $500
affermano di ricercare da 4 a 7 consigli di altri acquirenti
prima di decidere la spesa.55
Amazon ha addirittura trasformato in senso proattivo la
nostra propensione a imitare il comportamento altrui. Una
volta entrati nella clientela di Amazon, a ogni ulteriore
acquisto ci viene comunicato quali altri prodotti sono stati
comprati dai soggetti che hanno fatto la nostra scelta. Se la
frequenza dei nostri acquisti scende al di sotto di una
predefinita soglia, Amazon invia una e-mail nella quale ci
comunica quali prodotti sono stati acquistati dal segmento di
clientela cui apparteniamo per aver fatto una determinata
scelta in passato. In questo modo Amazon non si limita a
influenzare la scelta degli individui già orientati all’acquisto,
ma promuove attivamente la nostra propensione all’acquisto
facendoci sapere cosa comprano i soggetti che hanno il
nostro profilo. Naturalmente, per manovrare questa leva di
promozione delle vendite è necessario sviluppare
un’avanzata capacità di data mining per clusterizzare gli
acquirenti in funzione dei loro acquisti.
Per ognuno di noi il valore di un bene si costruisce in un
contesto relazionale, nell’intersezione tra desideri
individuali e significati sociali condivisi… È il desiderio di
essere come l’altro a spingerci all’imitazione... Nel
processo di costruzione del valore di un bene, l’imitazione
contribuisce a una duplice azione di valorizzazione:
desidero ciò che è consumato dagli altri e nel contempo
consumo ciò che è desiderato. Per questa via si produce
una duplice valorizzazione: del prodotto e di sé… Nel
condividere l’informazione non siamo per lo più mossi
dall’intenzione di fare una cortesia al nostro
interlocutore, ma cerchiamo conferma delle nostre scelte
e, soprattutto, costruiamo per noi stessi, prima di tutto,
l’immagine di persone capaci di scegliere bene, di
apprezzare e fare le cose giuste… Attraverso il
passaparola gli individui si danno una legittimazione
reciproca. Chi dà e chi riceve informazioni entra in un
circuito che contribuisce ad alimentare una rete di mutuo
riconoscimento.56
Ferma restando la nostra propensione a socializzare la
scelta imitando gli acquisti, resta da vedere come varia
questa attitudine. Una prima considerazione da fare attiene
alla qualità della raccomandazione che ci induce
all’imitazione: è indifferente la fonte della raccomandazione
o siamo più propensi a imitare il comportamento di amici,
parenti e persone famose? Recenti studi hanno dimostrato
che si può migliorare l’efficacia della pubblicità associando
al prodotto un personaggio famoso.57 La qualità della
raccomandazione è dunque rilevante e ciò riguarda sia la
pubblicità che il merchandising; in alternativa alla
indicazione nelle etichette a scaffale del numero di
acquirenti o delle quantità vendute, si potrebbe per esempio
stimolare l’acquisto inserendo un fotogramma del
personaggio famoso cui è associato il prodotto. In fondo,
anche prima della comunicazione di massa che ha creato le
celebrità moderne, i produttori pagavano un prezzo per
poter apporre sulla confezione dei loro prodotti il sigillo di
fornitori della famiglia reale e generare così nei potenziali
acquirenti un’aspettativa di qualità. Il meccanismo di
rispecchiamento attivato dai neuroni specchio è tanto più
efficace nel generare il desiderio di acquisto quanto più
famoso è il personaggio che osserviamo. Comprando il
prodotto scelto dal personaggio famoso soddisfiamo anche il
nostro desiderio di possesso degli attributi di questa
persona.58
Le raccomandazioni delle celebrità sono omnipresenti.
Tuttavia, nonostante la loro prevalenza, non è chiaro
perché la raccomandazione delle celebrità sia più efficace
della raccomandazione dei comuni mortali. Il nostro
studio analizza i processi che stanno alla base della
notorietà e incidono sulla memoria del prodotto oltre che
sulle intenzioni di acquisto utilizzando la tecnica della
risonanza magnetica funzionale. Abbiamo riscontrato un
aumento dell’attività della corteccia orbito frontale nel
caso di abbinamento della raccomandazione a una
celebrità. Questo risultato suggerisce che l’efficacia delle
celebrità nel raccomandare i prodotti deriva dal
trasferimento di affetto positivo dalla persona al prodotto.
Ulteriori ricerche di neuroimaging ci hanno indicato che
il trasferimento di affetto deriva dal recupero di memorie
esplicite associate alla celebrità che effettua la
raccomandazione.59
Oltre alla fonte della raccomandazione, altri elementi
contribuiscono a spiegare la varianza del nostro
comportamento. La propensione all’imitazione varia infatti
anche in funzione dell’area territoriale, dell’età, del formato
distributivo e della categoria. Per quanto riguarda l’area
territoriale, la propensione all’imitazione è molto più alta nei
paesi asiatici dove prevale la cultura del collettivo rispetto
alla cultura dell’individuo propria dei paesi occidentali.60 La
straordinaria propensione all’imitazione degli asiatici può
essere ricondotta da un lato alla loro paura di essere
inadeguati rispetto al gruppo cui desiderano appartenere e,
dall’altro, alla tradizione culturale e religiosa secondo cui
non è importante l’affermazione dell’“io”, ma l’armonia e la
pace sociale. Un asiatico rinuncia a far valere le proprie
ragioni se pensa che ciò contribuisca all’armonia e alla pace
sociale. In Giappone, è addirittura nato un formato di punto
vendita orientato al segmento dei conformisti/imitatori.
L’insegna RanKing RanQueen propone a Tokyo, in 12 punti
vendita, un assortimento di 250 categorie e 1000 referenze
food e non-food selezionate fra quelle più vendute nella
settimana precedente. Il nuovo format è particolarmente
adatto al consumatore giapponese, dato che il segmento dei
conformisti-imitatori è molto consistente in quel paese.61
Ma, fino a che punto arriva la nostra propensione ad
assumere comportamenti imitativi? Si può immaginare di
scegliere un prodotto che non ci piace semplicemente
perché molti altri lo hanno acquistato? Il fisiologico bisogno
di coerenza che ci porta a ricercare una spiegazione logica
di ciò che vediamo, può essere manipolato al punto da
alterare i nostri giudizi e spingerci di conseguenza a
comportamenti che non avremmo assunto in assenza di
questa informazione? Per rispondere a queste domande,
utilizziamo i risultati di un esperimento di risonanza
magnetica funzionale realizzato da Berns.62
Un gruppo di adolescenti è stato esposto a una serie di
brani musicali scaricati da MySpace; a una parte del gruppo
è stata poi rivelata la popolarità dei diversi brani. Quando il
gradimento individuale dei brani ascoltati coincideva con la
classifica dei più venduti, è stata osservata un’attivazione
delle aree del cervello deputate alla ricompensa. Quando
invece si verificava una distonia tra il gradimento individuale
e la classifica delle vendite, nel senso che il brano preferito
non era quello più venduto, è stata osservata l’attivazione di
aree deputate allo stress e all’ansia. Secondo i neuro
scienziati che hanno realizzato l’esperimento, lo stato
d’ansia era provocato dal fatto che i soggetti erano portati
ad acquistare i brani più popolari nonostante le loro
preferenze per brani meno popolari.
Naturalmente la propensione ad assumere comportamenti
imitativi anche contro le preferenze individuali assume una
diversa consistenza a seconda della fascia di età. Posto che
la corteccia prefrontale raggiunge la sua piena maturità
all’età di 22 anni, i giovani al di sotto di questa soglia
tendono ad assumere comportamenti maggiormente imitativi
nei loro acquisti. Quando le capacità cognitive e, quindi, la
consapevolezza di sé, non sono pienamente formate, il
comportamento imitativo non è solo una euristica che facilita
la scelta, ma è anche un modo per guadagnare autostima e
senso di appartenenza; la socializzazione degli acquisti è
dunque la via per farsi accettare dagli altri. L’insicurezza e
la carenza di autostima dei ragazzi si trasforma in una sorta
di dipendenza dalle marche più note e acquistate.63
L’incompleta formazione della corteccia prefrontale e,
quindi, le carenze del sistema di controllo, rendono
particolarmente importante il rispetto dei coetanei e
l’emulazione64. Tutto questo implica che la propensione a
comportamenti imitativi nell’acquisto varia in maniera
rilevante da categoria a categoria anche per il profilo della
clientela target; le categorie maggiormente acquistate dai
giovani sotto i 22 anni sono quelle dove la scelta della marca
risponde a comportamenti prevalentemente imitativi. La
maggior propensione all’imitazione da parte degli
adolescenti che, in questo modo, rispondono al desiderio di
appartenenza a un gruppo, non deve tuttavia portare a
credere che i giovani siano propensi alla socialità.
Le norme sociali, come la cooperazione, la giustizia,
l’onestà o la cortesia, presuppongono un controllo delle
nostre tendenze egoistiche […] gli adolescenti, anche se
invocano spesso ideali astratti di giustizia, hanno
notoriamente un comportamento egoista. La corteccia
prefrontale dorso laterale è una delle regioni del cervello
che ha bisogno di più tempo per arrivare a maturità! 65
Da ultimo, ma non per importanza, è appena il caso di
accennare alle possibili fonti della nostra propensione ad
assumere comportamenti imitativi nell’acquisto. Siamo
sensibili solo alle opinioni espresse dagli altri acquirenti e
alle loro scelte, oppure, siamo sensibili anche all’influenza
esercitata da altri attori del mercato? Riteniamo che le
etichette nutrizionali e salutistiche, una volta approvate da
un’autorità pubblica indipendente, potrebbero essere un
rilevante driver degli acquisti.66 Le prime indicazioni di
questo fenomeno possono già essere osservate negli USA.
General Mills ha scoperto che i prodotti con vendite
maggiormente in crescita erano quelli che contenevano
nella confezione una qualche forma di approvazione del
claim salutistico da parte della Food and Drug
Administration.67
Dei 4.185 claim funzionali pubblicati dalla Commissione
Europea, 2.693 non hanno superato la selezione dell’EFSA,
che è chiamata a verificare la documentazione scientifica
fornita dai produttori a supporto dei loro claim. Se un
alimento viene proposto con finalità terapeutiche, sia di cura
che di prevenzione, è sottoposto oggi alla stessa normativa
prevista per i farmaci. Questo intervento della Comunità è
opportuno per contenere entro limiti accettabili il marketing
della paura,68 vale a dire la propensione dei produttori a
sfruttare l’emozione della paura per proporre prodotti con
claim funzionali non verificati sperimentalmente. D’altra
parte, l’intervento pubblico di selezione dei claim funzionali
rafforzerà in maniera sostanziale la credibilità del messaggio
dei prodotti che superano il filtro dell’EFSA, con il risultato
di orientare di conseguenza il nostro comportamento di
acquisto.
Un’altra esperienza di orientamento del comportamento
di acquisto da parte dell’operatore pubblico è quella
maturata dal Messico nelle etichette dei farmaci generici.
Per vincere le resistenze dei consumatori verso i farmaci
generici, resistenze riconducibili alle aspettative generate
dalla mente cognitiva sul rapporto prezzo-qualità, lo stato
messicano conduce proprie analisi e rilascia una etichetta di
reale equivalenza a una selezione di farmaci generici.69
Il comportamento degli altri potrebbe essere utilizzato
anche in maniera strumentale per orientare le nostre scelte,
per esempio indicando un venduto più alto del reale per la
marca commerciale o una marca industriale che riconosce
un corrispettivo per questa comunicazione? Non crediamo
che l’insegna possa comunicare attraverso le etichette a
scaffale dati di venduto non corretti al solo scopo di favorire
una marca; questo comportamento verrebbe infatti
rapidamente scoperto dalle altre marche che reagirebbero di
conseguenza. Tuttavia, non ci stupiremmo se alcune insegne
decidessero di comunicare con le etichette a scaffale il sell
out per marca solo nelle categorie in cui la marca
commerciale è leader; in questo modo, l’insegna
sfrutterebbe la nostra propensione ad acquistare in maniera
imitativa per sostenere le vendite e rafforzare la leadership
della marca commerciale.

Come utilizzare i social network per


6.5 facilitare l’acquisto in un assortimento
esteso
L’insegna può sfruttare la nostra propensione all’acquisto
imitativo anche orientando la comunicazione word of mouth.
Posto che l’efficacia della comunicazione dipende dalla
credibilità della fonte, un giudizio positivo di parenti, amici o
semplici sconosciuti che hanno provato prima di noi il
prodotto, è molto più impattante della pubblicità; la nostra
mente cognitiva filtra infatti la comunicazione di chi ci vuole
vendere qualche cosa generando un’aspettativa di scarsa
credibilità in quanto la fonte ha interessi che non coincidono
con i nostri. Anche il consiglio di terzi acquirenti può essere
però strumentalizzato. Basti citare in proposito l’iniziativa di
Dunnhumby, società di data mining controllata da Tesco, che
ha acquisito nel 2011 BzzAgent. Quest’ultima è una società
specializzata nella creazione di campagne di passa parola
per conto di società come Uniliver, L’Oréal e Michelin.70
BzzAgent si avvale di 800.000 volontari che non
percepiscono compensi, ma sono disponibili a esprimere i
loro giudizi su Twitter e Facebook relativamente a prodotti
che vengono forniti gratuitamente dalle aziende che pagano
la campagna.71 Dubit ha reclutato in UK centinaia di bambini
dai sette anni in su per svolgere il ruolo di brand
ambassador sui social network, in cambio di campioni
gratuiti e una paghetta che può arrivare a 25€ la
settimana.72 Fra gli esempi di maggior successo nell’utilizzo
dei social network figurano Ford e Levi Strauss.73
L’informazione di per sé non ha valore, ma se proviene da
una fonte i cui interessi non sono in conflitto coi nostri e
assume i connotati di una raccomandazione credibile, ecco
che le nostre resistenze all’acquisto si sciolgono come neve
al sole e siamo persino portati a provare prodotti di nicchia.
La raccomandazione può provenire da altri consumatori che
hanno acquistato il prodotto, ovvero da un motore di ricerca
come Google che ci presenta i risultati delle nostre ricerche
secondo una sequenza che tiene conto del nostro profilo e
del profilo di tutti quelli che prima di noi hanno fatto la
stessa ricerca. Le più recenti ricerche sulla comunicazione
sottolineano la maggior credibilità delle raccomandazioni
che provengono da conoscenti e dei messaggi postati online
(Figura 6.10).
Figura 6.10 La fiducia nella fonte del messaggio

La comunicazione tramite passaparola è il fattore


principale che motiva dal 20% al 50% degli acquisti.
Queste raccomandazioni hanno la massima efficacia su
chi compra un prodotto per la prima volta o nel caso di
prodotti relativamente costosi. […] la rivoluzione digitale
ha amplificato e accelerato la comunicazione passaparola,
che non è più frutto di una relazione bilaterale. Oggi,
questa comunicazione opera sulla base di una relazione di
uno a molti: le opinioni sui prodotti sono inserite in rete e
disseminate attraverso i social network.74
Secondo una rilevazione di DSM/Scan’s, le marche che
nel mese di settembre 2011 avevano raggiunto il traguardo
di un milione di fan su Facebook erano 117; Starbucks e
Coca-Cola hanno un numero di fan su Facebook che supera
da 10 a 100 volte il numero dei visitatori unici del proprio
sito. In generale, possiamo affermare che le imprese non
possono permettersi di non presidiare un media dove i
potenziali clienti affluiscono in massa, per di più sottraendo
tempo ai media tradizionali75. Il contagio del passaparola
rappresenta una sorta di infezione virale che esplode quando
si raggiunge una soglia che, secondo Gladwell, si colloca
intorno alle 150 persone.76 La velocità con cui si è sviluppato
il fenomeno dei social network è tale che le imprese non
hanno ancora saputo costruire un modello di business
coerente con il profilo dei nuovi media. Per raggiungere
un’audience di 50 milioni di utenti, Facebook ha impiegato 2
anni mentre la televisione ha impiegato 13 anni (Tabella
6.2). Nel mese di giugno 2011, nei soli Stati Uniti, Nielsen ha
rilevato 158.913 milioni di contatti su Facebook con un
tempo medio di connessione mensile superiore alle 5 ore
(Tabella 6.3). A livello globale, Facebook conta 800 milioni di
utenti, di cui 350 milioni si connettono da applicazioni
mobili; ogni giorno vengono scambiati 4 miliardi di
messaggi. Nei primi 6 mesi del 2011, Facebook ha realizzato
500 milioni di utili con una crescita del 100% sul 2010.77
Secondo Nielsen, nel 2011 l’Italia è stato il paese con la
maggior penetrazione di Facebook (Figura 6.11).
Tempo impiegato per raggiungere una audience
Tabella 6.2
di 50 milioni
Anni impiegati per raggiungere un audience di 50 milioni di utenti
Radio 38
Televisione 13
Internet 4
iPod 3
Facebook 2

Fonte: United Nation Cyberschoolbus http://bit.ly/bxm86j

Tabella 6.3 La Top 10 dei brand web a luglio 2011 (US, totale)
Audience Internet totale Tempo per persona
Posizione Brand
(000) (hh:mm:ss)
1 Google 172,533 1:29:40
2 Facebook 158,913 5:18:40*
3 Yahoo! 148,590 2:14:25
4 MSN/WindowsLive/Bing 131,061 1:38:57
5 YouTube 125,978 1:39:02
6 Microsoft 94,680 0:45:30
7 AOL Media Network 90,181 2:17:46
8 Wikipedia 74,655 0:18:19
9 Apple 71,153 1:03:48
10 Amazon 70,388 0:29:48

Da leggersi così: Durante il mese di luglio 2011, 172.5 milioni di visitatori unici
in U.S.A. hanno visualizzato i siti di Google.
Fonte: Nielsen
* – Due to a change in the type of call used behind Facebook’s AJAX interface,
Nielsen NetView data for Facebook duration will be underreported for June and
July.

Figura 6.11 La penetrazione dei social media nel 2011

Fonte: Nielsen NetView, AudiWeb 2011

La comunicazione delle scelte altrui non impatta solo


sulla mente cognitiva generando aspettative difficilmente
resistibili, ma produce effetti anche sulla mente emotiva
attraverso la ripetizione del messaggio. La semplice
ripetizione del messaggio, come avviene nella pubblicità
classica, predispone infatti favorevolmente la mente emotiva
del ricevente. La dimostrazione della relazione tra frequenza
della comunicazione e atteggiamento positivo del ricevente è
stata fornita da Robert Zajonic in un famoso esperimento
realizzato con gli studenti dell’Università del Michigan. Per
un periodo di alcune settimane, sulla copertina di due
giornali universitari sono comparse parole turche con una
frequenza 1,2,5,25; le parole comparse con minor frequenza
in un giornale sono apparse con maggior frequenza nell’altro
giornale. Nessuna spiegazione è stata offerta e, a chi faceva
domande, si rispondeva che l’inserzionista voleva mantenere
l’anonimato. Alla fine del periodo, i ricercatori inviarono un
questionario chiedendo agli studenti di associare la
descrizione “buono” o “cattivo” a ciascuna delle parole
pubblicate. Le parole pubblicate con maggior frequenza
ottennero un giudizio molto più positivo delle parole
pubblicate meno frequentemente. L’esperimento è stato poi
confermato usando ideogrammi, visi e poligoni. La frequenza
dell’esposizione al messaggio ha un effetto positivo non
riconducibile alla familiarità,78 ma alla nostra esperienza
biologica.
In particolare, in un contesto di progressivo affollamento
di messaggi pubblicitari e di conseguente riduzione del
livello di attenzione del target, i social media offrono nuove
opportunità per una comunicazione mirata. Basterà citare in
proposito il caso di Zynga, un’impresa che pubblica su
Facebook due giochi di grande successo: Mafia Wars e
Farmville.79 Dal 2009, Zynga invita i giocatori di Mafia Wars
e Farmville a guadagnare moneta virtuale cliccando su
messaggi promozionali, compilando questionari e scaricando
applicazioni. Quando facciamo clic su un messaggio
pubblicitario, l’inserzionista si riserva il diritto di scaricare
tutte le informazioni del nostro account Facebook per
utilizzarle poi al fine di inviare messaggi “personalizzati” sul
nostro profilo. Numerose applicazioni Facebook (Texas
HoldEm Poker, FrontierVille, FarmVille) scambiano
informazioni con 25 inserzionisti e imprese specializzate
nell’internet tracking, compromettendo così la privacy del
70% degli utenti.80
I produttori possono poi usare i social media per lanciare
i nuovi prodotti, rendendoli cioè disponibili per un limitato
periodo solo ai fan, che hanno così una ragione in più per
fare clic su “like” e rinsaldare la loro fedeltà al brand.81
Il modello di business inventato da BzzAgent, di cui si è
detto più sopra, non è adatto a supportare lo sviluppo delle
insegne grocery nei social network. Sono infatti i produttori
che, specialmente in occasione del lancio di un nuovo
prodotto, possono creare un buzz attivando il passa parola
degli 800.000 consumatori che accettano di postare la loro
opinione in cambio della prova o del consumo del nuovo
prodotto. Nella distribuzione invece, i tentativi di sfruttare la
presenza dei clienti potenziali nei social network non hanno
fino a ora avuto successo, sia a livello internazionale sia nel
nostro paese.82 La ragione di questo insuccesso è
riconducibile alla mancata comprensione del profilo degli
utenti dei social network nel momento in cui usano questo
nuovo media, oltre che nelle specificità di questo mezzo. Nel
libro bianco Who’s ignoring their customers: lesson from the
best and worst retailers on Facebook si analizza il
comportamento delle insegne inglesi non food in merito alle
modalità con cui vengono gestiti quesiti e lamentele dei
clienti; accanto ad alcune insegne che rispondono entro 60
minuti, vi sono insegne che non rispondono affatto.83 Anche
Wallmart, storicamente la prima insegna trend setter
nell’applicazione delle nuove tecnologie al retail, è entrata
nella logica dei social media solo a ottobre 2011, in
prossimità dell’incontro con gli analisti finanziari e dopo
nove trimestri di vendite in flessione. Si tratta per altro di un
ingresso limitato. Avendo constatato la forte sovrapposizione
tra i 150 milioni di visitatori mensili dell’insegna e i 165
milioni di utilizzatori di Facebook negli USA, Walmart offre
ora la possibilità di scaricare sullo smartphone il layout del
punto vendita dove si intende fare la spesa in modo da
facilitare l’individuazione dei prodotti ricercati.84
Una delle prime applicazioni di F-retailing è quella
lanciata da Tesco a fine settembre 2011 con il logo: “The Big
Price Drop”. Ai clienti Tesco è stata offerta la possibilità di
votare, in un paniere di 3.000 referenze di marca
commerciale, fino a 5 prodotti dei quali avrebbero voluto una
riduzione di prezzo. Le categorie più votate entrano a far
parte dell’offerta “Price Drop”. Secondo RetailWath, oltre 10
milioni di clienti possessori della Clubcard (circa il 90% dei
possessori) hanno partecipato all’operazione.
Il potenziale ancora da sfruttare dei social network è
decisamente rilevante. I distributori possono infatti gestire
sui social media una molteplicità di account allo scopo di
attivare specifici segmenti di clientela scelti come target
delle azioni di marketing. Le conversazioni dei fan possono
essere inoltre utilizzate come focus group. Stante la continua
ricerca di un modello di F-retailing sostenibile, azzardiamo
dunque la proposta di un nuovo modello di business
nell’utilizzo dei social network per i retailer che operano nel
grocery e si pongono il problema di ridurre l’impatto
dell’eccesso di scelta.85 Si tratta di un modello che si basa
sulla nostra propensione ad assumere comportamenti
imitativi, in particolare per superare l’ostacolo di una scelta
eccessiva che rende particolarmente complesso, costoso e
insoddisfacente il processo di acquisto.
Immaginiamo dunque che un’insegna offra ai titolari della
propria carta commerciale la possibilità di aderire a un
predefinito profilo di acquisto, semplicemente inserendo il
codice della carta commerciale nella pagina Facebook
dell’insegna. Il profilo è costruito sulla base del
comportamento di acquisto e di consumo che è noto
all’insegna, ma non deve essere necessariamente coerente
con il reale comportamento del titolare della carta che vi
aderisce. Si tratta infatti di un profilo aspirazionale, vale a
dire di una identità di acquisto desiderata ancorché non
concretamente manifestata nei comportamenti reali. Una
volta aderito al profilo di acquisto desiderato, il cliente può
chiedere direttamente su Facebook di conoscere la
graduatoria delle marche/referenze più acquistate dal
segmento cui vuole appartenere, facendo clic su una
categoria alla volta. In questo modo, l’insegna facilita la
stesura della lista della spesa in quanto i clienti
conoscerebbero le marche più acquistate dai consumatori
che appartengono al profilo in cui ci identifichiamo. Se si
riconosce che i profili sociali e psicografici si traducono in
diversi comportamenti di acquisto e consumo, conoscere le
scelte delle persone che appartengono al nostro profilo può
esserci di grande aiuto nel semplificare il processo di
acquisto in presenza di un eccesso di informazione.
Naturalmente, l’adesione a un profilo di acquisto veicolato
da Facebook non si limita a facilitare la nostra scelta in
punto vendita, ma apre tutta una serie di nuove possibilità di
interazione tra gli utenti che condividono lo stesso
orientamento all’acquisto e al consumo sfruttando le
possibilità di networking del nuovo media.
Per facilitare l’acquisto attraverso i social network,
occorre in primo luogo tenere presente che Facebook non
consente di scegliere come target i clienti di un competitor;
di conseguenza, le aziende possono utilizzare la loro pagina
Facebook solo come strumento di fidelizzazione della propria
clientela con offerte riservate al fan club.86 In secondo
luogo, bisogna tener presente che aprire una pagina su
Facebook non è solo una nuova opportunità di relazione con
i propri clienti, ma è anche una minaccia. Infatti,
diversamente dalla relazione sviluppata sul sito proprietario,
le richieste di informazioni e le lamentele dei clienti su
Facebook sono pubbliche. Questo significa che la gestione
della qualità del servizio deve essere affrontata con maggior
determinazione e con maggiori risorse in quanto, per
esempio, una risposta ritardata o addirittura la mancata
risposta alla lamentela di un cliente viene enfatizzata dal
mezzo.
Val la pena di rispondere rapidamente alle lamentele.
Una risposta veloce è apprezzata dall’interessato e questo
apprezzamento verrà condiviso. L’apprezzamento
pubblico è qualcosa che gli uomini di marketing cercano
con insistenza; in Facebook, l’apprezzamento pubblico si
può ottenere semplicemente con un una buona qualità del
servizio alla clientela.87
Un’altra potenziale minaccia dei social media è la
sopravalutazione del segmento di clientela interessato. Ciò
che rileva non è tanto il numero di utilizzatori in assoluto,
ma il numero di utilizzatori in quanto clienti dell’impresa. Se
si facesse questo calcolo, probabilmente si scoprirebbe che
le persone che utilizzano i social media in relazione alla loro
esperienza con l’impresa sono un segmento marginale
concentrato peraltro nelle fasce di età più giovani. Infine, ma
non per importanza, il fenomeno dell’information overload si
presenta anche nei social media. Più le persone utilizzano i
social media e minore è il valore dell’informazione postata,
in quanto l’attenzione riservata al singolo messaggio dai
singoli utilizzatori decresce in funzione dell’ampliamento
delle reti sociali. Queste cautele non esimono tuttavia le
insegne dal ricercare un modello di business sostenibile
nell’utilizzo dei social media; ogni volta che intervengono
importanti cambiamenti nell’ambiente sociale e nella
tecnologia, è infatti possibile realizzare un vantaggio
competitivo sfruttando le nuove tendenze con soluzioni
originali che colgono lo spirito del cambiamento prima dei
rivali.
Lo sfruttamento della nostra propensione a imitare il
comportamento altrui non è un dominio esclusivo dei media
digitali che, per definizione, si basano sulla interazione con
gli utenti. Anche un media classico come la televisione, che
abbiamo sempre considerato come la principale forma di
comunicazione di massa a una via, si sta orientando verso
l’interazione e lo sfruttamento della nostra propensione a
imitare il comportamento altrui. Basterà citare in proposito il
caso di Viggle, una applicazione mobile proposta da Function
(x) all’inizio del 2012, che funziona in questo modo: il
telespettatore accende la TV e si sintonizza su un canale che,
dopo pochi minuti, vuole cambiare perché non di suo
interesse; fino a ora il cambiamento era realizzato con il
telecomando, vale a dire passando in rassegna in modalità
random, un numero molto alto di canali, ma oggi, con la
nuova applicazione, il telespettatore può scoprire qual è il
programma più visto in quel momento, e per genere di
spettacolo, sintonizzandosi di conseguenza senza perdere
tempo e imitando le scelte della folla.88 Se poi il
telespettatore vuole ricercare i programmi che consentono
di accumulare premi offerti dai network che hanno la
necessità di crear traffico e fidelizzare la clientela;
l’applicazione consente di ottenere anche questo servizio.
L’applicazione può essere scaricata gratuitamente in quanto
il conto è pagato dai network che per la prima volta possono
incentivare i potenziali telespettatori puntando sulla loro
propensione all’imitazione e sulla loro disponibilità a
redimere incentivi in cambio della visione del programma e/o
della pubblicità.89

Verifica sperimentale della socializzazione


6.6 degli acquisti grocery in un supermercato
Migross di Verona90
La propensione ad assumere comportamenti imitativi può
essere utilizzata per facilitare il processo di acquisto, sia nel
caso di consumatori che desiderano compilare una lista della
spesa a casa con il metodo indicato più sopra sia nel caso di
consumatori che si recano in punto vendita senza aver
preparato una lista della spesa scritta. È da segnalare, in
proposito, la nuova applicazione per smartphone annunciata
da IBM Research,91 che consente allo shopper di individuare
rapidamente il prodotto cercato quando si trova davanti allo
scaffale in cui è esposta una categoria che ha deciso di
acquistare: basta digitare i benefici ricercati in ordine
prioritario o la richiesta di conoscere la referenza più
venduta, ed il telefono segnala immediatamente il prodotto.
Sempre nell’area dello smartphone utilizzato come personal
digital assistant, è molto interessante l’innovazione
introdotta da COOP Estense in due ipermercati di Modena.92
Questa cooperativa offre ai clienti la possibilità di sostituire
il self scanner con il telefono nella lettura del codice a barre
e, cosa che interessa in questa sede, la funzionalità della
lista della spesa. È dunque possibile immaginare che il
consumatore, quando riceverà al suo domicilio il volantino,
compili una lista della spesa scontata semplicemente
fotografando il codice a barre dei prodotti. A seguito della
lettura del codice, il sistema può essere orientato all’up
selling, per esempio offrendo uno sconto per l’acquisto di un
prodotto complementare da parte del fornitore interessato.
Oltre all’aumento dei contributi dell’industria attraverso la
promozione cross category, l’applicazione della COOP è in
grado di facilitare il processo di acquisto. Il consumatore,
infatti, può creare una lista senza alcuna digitazione ma
tramite alcuni scatti fotografici e tale lista non si presenterà
in formato scritto ma, appunto, come successione di foto dei
prodotti selezionati dal volantino. L’elenco dei prodotti può
essere poi organizzato in rapporto al percorso standard del
consumatore che, prima della compilazione della lista, deve
scegliere il punto vendita dove fare la spesa. Quando il
cliente COOP entra nel punto vendita, la lista della spesa
guida i suoi passi in modo da risparmiar tempo; sarà
sufficiente confermare l’acquisto digitando un apposito tasto
ogni volta che il prodotto che si è programmato di acquistare
verrà inserito nel carrello.
La frontiera tecnologica della facilitazione dell’acquisto in
un contesto di eccesso di scelta, dunque, sembra molto
promettente e tale da respingere l’idea della
“razionalizzazione” come unica via per rispondere alla
domanda di semplicità.
In questo paragrafo ci occupiamo della possibilità di
facilitare profittevolmente gli acquisti sfruttando la nostra
propensione ad assumere comportamenti imitativi. A tal
proposito, è fondamentale comunicare quali siano i prodotti
più acquistati utilizzando le etichette a scaffale; può trattarsi
di etichette elettroniche aggiornabili in tempo reale con un
collegamento alle casse oppure, più semplicemente, delle
tradizionali etichette cartacee in cui vengono indicati i pezzi
venduti. Le etichette a scaffale stanno diventando sempre
più importanti per comunicare al consumatore che ha già
deciso l’acquisto della categoria, ma non ha ancora scelto la
marca. Basti citare in proposito il nuovo orientamento di
Tesco, che in Gran Bretagna e in Irlanda utilizza le etichette
a scaffale per comunicare la convenienza di prodotto rispetto
alle insegne rivali e persino le ricerche di mercato che
attestano la sua posizione di leadership nella convenienza
generale di insegna.93
Per quanto ci consta, non esistono studi sperimentali
della socializzazione degli acquisti grocery. Gli unici studi
riscontrati in letteratura riguardano infatti evidenze
indirette della presenza di questo fenomeno, senza una
misura precisa della sensibilità della domanda nelle diverse
categorie. Il primo studio che si è occupato della
socializzazione è quello di Razzouk et al.,94 che hanno
verificato il ruolo dell’incompletezza dei display sulla scelta
della clientela. È emerso che i clienti, dinnanzi a due display
identici e adiacenti, uno completo e l’altro incompleto,
tendono a prelevare più frequentemente dal display
incompleto. Questo comportamento è coerente con la teoria
del rinforzo sociale di Cialdini;95 le persone, infatti, tendono
ad allineare il proprio comportamento a quello osservato o
semplicemente desunto dall’incompletezza del lineare.
Successivamente, van Herpen et al. (2009) e Parker e
Lehman (2011), hanno evidenziato sperimentalmente in
laboratorio che le persone tendono a scegliere i prodotti
caratterizzati da una maggior rarefazione relativa (minor
numero di referenze esposte); questa circostanza viene
infatti percepita come la conseguenza delle preferenze
espresse dagli acquirenti che hanno già fatto la loro scelta.
96
Per verificare la consistenza della nostra propensione ad
acquistare per imitazione e analizzare quindi la possibilità di
sfruttare questa propensione attraverso la comunicazione in
store, abbiamo proposto il test illustrato di seguito. Per
partecipare a questo “quasi esperimento”,97 non era
necessario disporre delle etichette elettroniche; è stato
sufficiente infatti intervenire sulle etichette cartacee
indicando l’incidenza delle vendite della referenza sulla
categoria nel periodo precedente e utilizzando un codice
colore per classificare le marche/referenze più vendute.
L’esperimento è stato proposto sottolineando che la sua
utilità non era limitata al piano scientifico e accademico.
Infatti, in caso di conferma dell’ipotesi, l’insegna avrebbe
potuto utilizzare una nuova leva di marketing per:
› aiutare il consumatore che vuol risparmiare tempo negli
acquisti a navigare assortimenti di categoria molto estesi;
› proporre al leader di categoria il ranking di marca come
una nuova forma di promozione delle vendite che prescinde
dall’abbattimento del prezzo, attivando di conseguenza un
nuovo istituto di trade marketing che lega i contributi
riconosciuti dall’industria all’incremento delle vendite
realizzato con questa nuova leva;
› sostenere la fedeltà alla marca leader a fronte della
promozione di prezzo di altre marche della stessa categoria.
È appena il caso di precisare che la manovra della leva
della socializzazione degli acquisti non è limitata ai leader
nazionali dell’industria di marca. Infatti, la quota di mercato
dei leader nazionali ha di norma un alto campo di variazione
territoriale; il leader nazionale può non essere il leader
regionale, provinciale o di una singola città. Questo permette
ai leader locali di rafforzare la loro posizione manovrando la
leva della socializzazione degli acquisti. Inoltre, la leadership
nazionale di una marca ha un ampio campo di variazione
anche per segmento di consumo; è abbastanza frequente che
alcuni specialisti abbiano una solida leadership in un
segmento di consumo ristretto e possano dunque rafforzare
questa loro posizione manovrando la leva della
socializzazione degli acquisti. Infine, ma non per importanza,
il leader di categoria varia spesso da punto vendita a punto
vendita di una stessa insegna. Questo significa che la leva
della socializzazione degli acquisti può essere manovrata:
› a livello di punto vendita, realizzando di conseguenza una
partnership promozionale con diverse marche di una stessa
categoria;
› a livello di insegna, realizzando economie di scala nella
comunicazione e favorendo l’allineamento di punto vendita
della quota del leader.
Abbiamo acquisito la collaborazione di INTERDIS per
verificare la presenza e la consistenza di un “effetto
imitazione” nel momento in cui vengono comunicate le
preferenze degli acquirenti con le modalità indicate più
avanti nel testo. L’esperimento è stato realizzato presso un
punto di vendita dell’azienda Migross: il Superstore di
Verona, sito in via Bionde. Migross è una delle imprese socie
del Gruppo Interdis più importanti in termini di fatturato
realizzato, con oltre 100 punti di vendita connotati dalle
insegne Migross Superstore, Migross Supermercati, Migross
Market e FrescoMio. Al punto di vendita in test sono stati
affiancati altri tre punti vendita dello stesso formato come
benchmark, due in provincia di Verona e uno a Noventa
Vicentina. Le categorie testate sono state complessivamente
13, selezionate in modo da verificare la consistenza
dell’effetto imitazione con riferimento ai diversi ruoli svolti
dalle differenti categorie (traffico, destinazione ecc.):
›Merendine
› Pasta fresca ripiena
› Patatine
› Primi surgelati
› Grissini
› Gnocchi
› Snack cioccolato
›Mozzarella
› Detersivi liquidi lavatrice
› Ketchup
› Yogurt da bere
› Pizza snack surgelati
› Birra chiara

Con riferimento alle categorie sopra elencate, abbiamo


chiesto all’insegna di fornire il sell out per riga-scontrino di
un periodo precedente l’inizio dell’esperimento; abbiamo
quindi calcolato le vendite medie settimanali a valore/volume
delle referenze e dei segmenti di consumo in cui si articola la
categoria fissando in questo modo la baseline per
l’esperimento. A questo punto, abbiamo chiesto all’insegna
di inserire un supporto cartaceo, con le seguenti
informazioni:
› denominazione del segmento di consumo;
› la referenza preferita dalla clientela Migross, individuata
sulla base dell’incidenza delle vendite sulla categoria (o in
alternativa del numero di pezzi venduti sul totale della
categoria) nel periodo di riferimento (mese) precedente
(Figura 6.12).
Il display con la rappresentazione della referenza più
venduta per ciascun segmento di consumo è stato mantenuto
per due settimane consecutive, seguite da due settimane con
il display tradizionale, ripetendo tre volte la
rappresentazione in test; l’esperimento ha dunque avuto una
durata complessiva di tre mesi. Durante le settimane di test,
sono state esposte in punto vendita locandine, rotair ed
evidenziatori a bandiera per spiegare il significato delle
etichette a scaffale realizzate ad hoc per l’esperimento e
attirare l’attenzione (Figura 6.13). Su ciascuna etichetta è
stata indicata l’incidenza delle vendite di prodotto rispetto
alla categoria di riferimento.

Figura 6.12 Le etichette a scaffale, in formato cartaceo, che evidenziano il


prodotto più venduto

Abbiamo quindi elaborato i dati di vendita delle referenze


delle tredici categorie per i tre periodi di esposizione del
prodotto più venduto e per i tre periodi di esposizione
tradizionale, confrontando poi i risultati del punto vendita in
test con il sell out medio dei tre punti vendita Migross
utilizzati come benchmark. Siccome precedenti impegni
commerciali hanno indotto Migross ad effettuare promozioni
di prezzo su referenze follower in alcune categorie in test,
abbiamo deciso di sdoppiare l’analisi distinguendo il cluster
di categorie in cui l’effetto imitazione poteva essere misurato
in isolamento, dal cluster dove la contemporaneità di altre
iniziative di marketing rendeva più complessa la misura
dell’effetto imitazione. Ciò ha permesso, peraltro, di valutare
la capacità dell’effetto imitazione di contrapporsi a
promozioni di prezzo nell’ambito della medesima categoria.
D’altra parte, l’interesse del “quasi esperimento” risiede
proprio nel fatto che è stato realizzato in un contesto reale e
non in laboratorio. Per l’insegna e il fornitore leader di
categoria, l’interesse nella manovra della leva della
socializzazione degli acquisti dev’essere infatti valutata in
aggiunta alle altre leve manovrate contemporaneamente a
sostegno del sell out della categoria. Alla validità ecologica
dell’esperimento si contrappone tuttavia la complessità e la
relativa soggettività del calcolo. Quando si verifica la
contemporaneità della promozione dell’imitazione della
referenza leader con la promozione di prezzo di un’altra
referenza della stessa categoria, la consistenza della
socializzazione degli acquisti è minore di quella che si
sarebbe avuta in assenza di queste azioni a sostegno delle
marche follower, ma l’effetto di riduzione risulta, in alcuni
casi, più contenuto che nei punti di vendita che costituiscono
il benchmark di riferimento. Lo stesso si può dire per le
variazioni delle vendite originate dalla stagionalità e/o da
azioni di marketing dei rivali sul territorio. Per calcolare
l’effetto imitazione al netto degli effetti del cambiamento del
contesto e della manovra di altre leve di marketing, abbiamo
dunque deciso di:
Figura 6.13 La locandina utilizzata per la comunicazione in punto vendita

› elaborare i risultati in termini di quote piuttosto che di


valori assoluti perché, in questo modo, si neutralizzano i
cambiamenti che riguardano la categoria nel suo insieme e
non le vendite di una specifica referenza;98
› utilizzare le quote a valore invece delle quote a volume
perché, così facendo, si tiene conto, da un lato, dei diversi
formati di prodotto e, dall’altro, si riduce l’impatto della
promozione di prezzo delle marche follower nel momento in
cui viene incoraggiato l’acquisto per imitazione del
leader;99
› considerare il cambiamento dell’assortimento come il
risultato dell’attività promozionale in quanto l’entrata in
assortimento è di norma contrassegnata da un’attività
promozionale;100
› affiancare l’analisi in verticale della quota a valore del
leader nelle settimane di esposizione e nelle settimane
senza esposizione, all’analisi in orizzontale coi tre punti
vendita di controllo; la quota a valore si modifica infatti
anche per fenomeni legati al mercato che niente hanno a
che fare con lo stimolo all’imitazione e, dunque, sottraendo
la quota a valore del leader nel punto vendita in test dalla
quota a valore del leader nei punti vendita di benchmark, si
depura il dato dalle componenti estranee alla leva della
socializzazione dell’acquisto e legate all’andamento del
mercato.
Richiamiamo poi l’attenzione del lettore sul tentativo di
promuovere le vendite della marca commerciale attraverso
la socializzazione degli acquisti in categorie dove la marca
del distributore è follower. Per esempio, nel caso dei grissini
Migross ha deciso di indicare come più venduta la marca
commerciale, che nel mese di baseline ha venduto 114 pezzi
di un formato di gr. 200, mentre il leader era Pangrì Mulino
Bianco con 131 pezzi venduti di un formato di gr. 300.
Per sfruttare pienamente la nostra propensione a imitare
il comportamento altrui, non basta indicare la referenza più
venduta, occorre infatti indicare anche i pezzi venduti della
referenza leader ed i pezzi venduti in media nella categoria,
o in alternativa l’incidenza delle vendite di prodotto sul
totale delle vendite realizzate nella categoria. La consistenza
della leadership è infatti molto rilevante nel generare
l’emozione del rammarico negli acquirenti che si discostano
dalla massa. Analogamente, per generare aspettative di
valore in relazione al comportamento altrui, la nostra mente
cognitiva ha bisogno di un’àncora; solo indicando i pezzi
venduti dal leader unitamente ai pezzi venduti in media
possiamo generare un efficace stimolo alla socializzazione
degli acquisti.
Fatte queste premesse per una corretta valutazione dei
dati, illustriamo qui di seguito i risultati del test. Iniziamo
con l’evidenziazione delle differenze di leadership a livello di
punto vendita ed il campo di variazione delle vendite di
categoria nel punto vendita in test. In 5 categorie sulle 13
esaminate, la leadership nei punti vendita di benchmark è
diversa rispetto al punto vendita in test. Il campo di
variazione delle vendite di categoria risulta inoltre molto
ampio in tutte le categorie esaminate (Tabella 6.4); ciò è
particolarmente rilevante dato che le referenze analizzate
sono solo le prime cinque nella graduatoria del sell out di
categoria. È appena il caso di sottolineare che lo
sfruttamento della propensione all’imitazione attraverso la
comunicazione in punto vendita della referenza più venduta
può aver contribuito ad ampliare il campo di variazione delle
vendite di categoria.
Varianza della leadership e dei pezzi venduti nel
Tabella 6.4
mese precedente il test
Campo di variazione
vendite in pezzi per le
Leader
Leader test prime 5 referenze trattate
benchmark
nel punto vendita in test
nel mese di baseline
Crois classic xz10 Plumcake Mulino Bianco
Merendine 149 – 518
Bauli gr.400 gr.300
Patatine amica
Papatine Pat-artiginale pata gr.150 80-385
chips gr.300
Pangrì Mulino
Grissini Pangrì Mulino Bianco gr.300 70 -131
Bianco gr.300
Ovetti kinder
Snack cioccolato Ovetti kinder sorpresa gr.20 138 -310
sorpresa gr.20
Sole lana
Detersivi liquidi Sole lana color/mughet.
color/mughet. 30 -259
lavatrice Ml1000
Ml1000
Yog drink fragola Yog drink fragola mila gr
Yogurt da bere 23 – 51
mila gr 200 200
Birra chiara
Birra gettinger
(bottiglia + Birra gettinger ml.500 361 – 840
ml.500
lattina)
Tort. Class. Crudo Tort. Avesani Valeggio gr.
Pasta ripiena 98 – 303
Fini gr.200 250
Linguine scoglio 4
Primi surgelati Paella Buitoni gr.600 15 – 35
salti gr.600
Gnocchi tirolesi Gnocchi tirolesi verdi Aves
Gnocchi 52 -134
verdi Aves gr.350 gr.350
Migross
Mozzarella Migross mozzarella gr.125 183 -391
mozzarella gr.125
Ktchup Calvè top Tomato squeeze McDonald
Ketchup 18 – 90
down ml 250 ml 250
Pizza snack Migross pizza Migross pizza margherita x2 101 -344
surgelati margherita x2 gr. gr. 630
630

Nella Tabella 6.5 riportiamo i risultati del test nelle tre


categorie dove non sono intervenute promozioni di prezzo
nei periodi di comunicazione e nei periodi di controllo. Solo
nel caso dell’Ovetto Kinder (snack al cioccolato) abbiamo
registrato un rilevante e continuativo effetto imitazione, in
quanto la quota a valore nel periodo di flight si è sempre
mantenuta al di sopra della quota a valore nel periodo di
controllo. Nella Tabella 6.6 riportiamo la dinamica della
quota a valore delle referenze comunicate come le più
vendute (flight) nelle dieci categorie in cui è intervenuta una
promozione di prezzo nel periodo di comunicazione e/o in
quello di controllo. Da sottolineare in particolare:
› la maggior sensibilità al prezzo rispetto alla comunicazione
del leader nella categoria della pasta ripiena (il leader
passa dal 7,61 nel flight con promo al 20,16 nel flight senza
promo);
› l’insensibilità al prezzo rispetto alla comunicazione del
leader nella categoria dei primi surgelati (la Paella Buitoni
passa dal 24,17% nel primo flight con promo al 18,17% nel
secondo flight senza promo, mentre nel periodo di controllo
la quota passa dall’11,9% senza promo al 9,30% con ben
quattro referenze sostituibili in promo);
› la sensibilità alla comunicazione del leader dei gnocchi, che
balza al 39,19% nel primo flight rispetto al 23,22% della
baseline, per poi scendere su valori più contenuti.
Dinamica della quota di vendita a valore delle
referenze comunicate come le più vendute (flight)
Tabella 6.5
in categorie senza promozione di prezzo nel
periodo esaminato
Controllo
baseline Flight 1 Flight 2 Controllo 2 Flight 3 Contr. 3
1
Yog-drink fragola
18,06 14,98 17,10 10,04 8,58 12,84
Mila gr200
Birra Oettinger ml
5,74 6,50 5,74 5,44 6,37 7,64
500
Ovetto Kinder Delistato Delistato
7,34 7,02 4,61 5,99 3,62
sorpresa gr.20 per per
stagionalità stagionalità

Dinamica della quota di vendita a valore delle referenze


Tabella
comunicate come le più vendute promozionate abbassando il
6.6
prezzo)
Baseline Flight 1 Controllo 1
7,61

Tortellino crudo Tort.Sfogliav.


10,88 7,61
superfiniAves gr 250 Crudo Rana gr250
Tort.Sfogliav.
Gorg/nocigr25 0
24,17
Paella Buitonigr 600 10,71 11,99
Lasagne bolognese
Buitonigr750
28,57
GnocchitirolesiverdiAves
23,22 39,19
gr.350
Gnocchidipatata Pataro’ gr1000
Migross mozzarella gr.125 5,31 4,19 17,34
Tomato squeeze
30,69 23,73 21,34
McDonaldml250
11,35
11,53
Plumcake x10Mulino Bianco Mer.Pan distelle m.B.
9,66 Flauticioccolato m.B. Gr280
gr.330 Gr280
Flautilatte m.B. Gr280
Mer.Kinder paneciocc.
Flautialbicocca m.B. Gr280
Gr300
35,60

Patatina artigianale Pata Pat.Chips trasparentipaigr200


23,06 28,40
gr150 Patatine amica chips gr500
Patatine amica chips gr30
Patatine amica chips gr100
3,98
4,82
Migross grissinio. Olive
7,27
gr200 Migross
Grissinifriabilimbgr300
grissini7cereal.Gr200
Migross bucato marsiglia
6,07 9,76 12,61
ml1000
11,65

Pizza ristor. Form.Cameo gr340


Migross pizza margh. Gr
23,14 20,34 Pizza rist. Pom/form.
630
Cameo gr355 Pizza
ristor.Funghicameo gr340
Pizza ristor. Tonno gr335

(flight) in categorie con promozione di prezzo nel periodo esaminato (nel


riquadro le referenze
Flight 2 Controllo 2 Flight 3
10,28
Rav.Carc.Gioiav.Rana fl. Gr250
20,16 Tortelliporc.Gioiav. Flgr250 11,85
Rav.Radicc.Gioiav.Rana fl gr250
Tort.Zucca gioiav.Rana fl.Gr250
9,30 12,39

Migross paella gr600 Linguine scoglio 4saltigr600


18,17
Ragu’dipesce that’s gr400 Tagliatel.Porcini4saltigr600
Gnocchet.Sorrent. 4Saltigr550 Bucatiniamatric.4Saltigr600
Penne tricolore 4saltigr600 Migross prep.Xup.Pesce gr850
22,08 25,90 28,27
4,93 3,70 2,91
Mozarygr125 Mozz.Santa lucia tris gr375 Migross mozzarelle tris gr375
19,29
15,62 16,18
Ketchupcalvètopdown ml250
4,99

Saccottino 4,15
Albic.M.B.
12,99
Gr336 Nastrine m.B. Gr240
Saccottino Migross crois.Zucch.X6gr240
Crema ciocc.
X8gr336
31,31
28,26 31,07
Pat.Oro midipaigr130
8,30 7,21
7,80
Bibanesiolio ex/ver. Gr400 Griss.Fagoloso gri/bon gr250
13,40
11,83 10,77
Migross bucato blackml1000
19,69

18,37 27,23 Migross pizza capricc.X2gr764

Migross pizza pros/fun.X2gr830

Nella Tabella 6.7 riportiamo in forma sintetica i risultati


della comunicazione del leader prescindendo dalla
promozione di prezzo delle altre referenze e dalla variazione
dell’assortimento di categoria; dall’analisi del campo di
variazione della quota di vendita a valore del leader di
categoria non emergono evidenze significative sulla
socializzazione degli acquisti. Assumendo la presenza di un
effetto imitazione quando la quota a valore nei periodi di
comunicazione supera la quota a valore nei periodi di
controllo, riscontriamo la presenza di questa condizione solo
in quattro categorie: pasta fresca ripiena, primi surgelati,
gnocchi, snack al cioccolato.
Sintesi dei risultati della comunicazione del leader prescindendo dalla
Tabella
promozione di prezzo delle altre referenze
6.7
(CV quota di vendita a valore del leader di categoria)
Baseline CV flight CV controllo
Yogurt da bere 18,06 14,98 - 10,04 17,10 – 8,58
Birra chiara(bot-lat) 5,74 6,50 – 5,44 5,74 – 6,37
Pasta fresca ripiena 8,09 7,61 – 20,16 7,61 – 10,28
Primi surgelati 12,24 24,17 – 18,17 11,99 – 9,30
Gnocchi 23,22 39,19 – 22,08 28,57 – 25,90
Mozzarella 5,31 4,19 – 4,93 17,34 – 3,70
Ketchup 30,69 23,73 – 15,62 21,34 – 19,29
Pizza snack surgelati 23,14 20,34 – 18,37 11,65 – 27,23
Merendine 9,66 11,35 – 4,99 11,53 – 4,15
Patatine 23,06 28,48 – 28,26 28,48 – 31,31
Grissini 7,27 3,98 – 8,30 4,82 – 7,80
Snack al cioccolato 7,34 7,02 – 5,99 4,61 – 3,62
Detersivi liquidi lavatrice 6,07 9,76 - 13,40 12,61 – 10,77

Sottraendo dalla quota a valore del leader nel punto


vendita in test la quota a valore del leader nei punti vendita
di benchmark, si depura la quota a valore del leader dagli
effetti di mercato permettendo di conseguenza una migliore
lettura dell’effetto imitazione. Con questa manipolazione dei
dati, otteniamo i risultati delle Tabelle 6.8 e 6.9; la presenza
di numeri negativi indica l’assenza della socializzazione degli
acquisti. Nelle tre categorie dove non è intervenuta una
promozione di prezzo, non è emersa una consistente
socializzazione degli acquisti (Tabella 6.8); occorre tuttavia
precisare che, nel caso degli snack al cioccolato, non
abbiamo potuto confrontare la quota del punto vendita in
test con la quota dei punti vendita di controllo, mentre era
emersa la presenza di un effetto imitazione rispetto alla
baseline. Nelle altre 10 categorie dove si è accertata la
presenza di un’attività promozionale su referenze follower,
la socializzazione degli acquisti è risultata particolarmente
rilevante per la pasta fresca ripiena, gli gnocchi, le
merendine, le patatine, la pizza snack surgelata, i detersivi
liquidi per lavatrice.
Ci sembra particolarmente rilevante che l’incentivazione
del comportamento imitativo attraverso la comunicazione in
punto vendita della referenza più venduta sia risultata
efficace in 6 delle 10 categorie oggetto di un’intensa
promozione di prezzo in tutto il periodo esaminato. Ciò
significa che il leader di categoria può efficacemente
contrastare la promozione di prezzo dei rivali collaborando
con le insegne nella comunicazione a punto vendita della
leadership.
Dinamica della quota di vendita a valore delle referenze
Tabella
comunicate come le più vendute (flight) in categorie senza
6.8
promozione di prezzo nel periodo esaminato
(QUOTA TEST MENO QUOTA BENCHMARK)
Flight 1 Controllo 1 Flight 2 Controllo 2 Flight 3 Contr. 3
Yog-drink fragola Mila gr200 2,31 -2,93 -5,09 0,8 1,53 3,02
Birra Oettinger ml 500 -0,16 1,05 -0,61 -1,78 -0,24 1,14
Ovetto Kinder sorpresa gr.20 Non è stato fornito il dato di benchmark

Dinamica della quota di vendita a valore delle referenze comunicate


Tabella
come le più vendute (flight) in categorie con promozione di prezzo nel
6.9
periodo esaminato
(QUOTA TEST MENO QUOTA BENCHMARK)
Flight Controllo Flight Controllo Flight
Baseline
1 1 2 2 3
Tortellino crudo
superfini 6,1 2,0 2,0 3,1 4,1 4,2
Aves gr 250
Paella Buitoni gr 600 3,5 -7,9 -0,5 2,3 0,6 4,7
Gnocchi tirolesi verdi
10,8 14,6 13,4 7,6 13,5 12,6
Aves gr.350
Migross mozzarella
-2,1 -0,8 0,8 1,2 -0,3 -0,6
gr.125
Calvé top
Tomato Squeeze
5,2 -5,9 6,3 -1,2 2,4 -2,3 -0,2 down 250
McDonald’s ml250
ml
Plumcake x10 Mulino
3,2 3,0 3,6 1,8 1,2 5,3
Bianco gr.330
Patatina artigianale
Pata 14,5 15,4 19,4 12,8 13,2 16,0
gr150
Migross grissini o.
Olive 0,4 -3,1 -3,6 -5,8 -0,5 -2,1
gr200
Migross bucato
0,3 0,3 2,2 1,1 -0,6 0,3
marsiglia ml 1000
Migross pizza margh.
13,1 6,8 nd 4,7 2,9 6,9
Gr 630

1 “Tesco, one of the pioneers of in store TV, had been using screens in its stores
since 2004. In march 2009, Tesco announced it was to shut down the network ,
five years after the service was launched. …the sales of advertisement didn’t
even cover the expenses of the network.” Fonte: Planet Retail, Retail
Technology Trends, 2001, p. 16.
2 “In August 2010, Meijer launched a product locator app called ‘Find-it’, built
upon a mobile destination content platform from solution provider Point
Inside’s. Shoppers can see the location of more than 100,000 items in a Meijer
outlet using their smart phones, eliminating the need to ask store employees
where particular items are. The free app shows items as pins placed on an
interior map of the store. The application also provides updated information on
weekly specials and price promotions available in the store, with the ability to
instantly locate sale items.” Fonte: Planet Retail, giugno 2010.
3 “Sfruttando la tecnologia dello smartphone, integrata però con i sistemi a
punto vendita e l’interattività del cliente, Walmart ha creato il più potente
strumento per rendere semplice fare la spesa nei suoi negozi. Una vera
rivoluzione tanto nel servizio al cliente che nelle promozioni mirate a lui
rivolte. Tra le più rilevanti novità la possibilità di scannerizzare a casa i
prodotti da acquistare per comporre la lista della spesa, o di dettarla
attraverso il sistema di comando vocale Siri. Esiste poi un interfaccia con il
sistema inventariale di Walmart per verificare le referenze disponibili in stock,
nonché per la distribuzione di coupon associati ai prodotti stessi, in
collaborazione con Coupons.com.
C’è poi un modulo che aiuta a trovare sugli scaffali del negozio le singole
referenze caricate. Inoltre l’applicazione offre la possibilità di fare il conto
progressivo dello scontrino, mano a mano che le referenze si inseriscono nella
lista della spesa, ottenere informazioni sui prodotti, condividere la lista con
amici o parenti e tenere in memoria l’elenco dei prodotti preferiti, per
successive visite al punto vendita.” Fonte: Advertising Age Digital, citato da
Around Marketing, n. 24, dicembre 2011.
4 “Tesco-owned Fresh & Easy in the US is rewarding shoppers who share their
whereabouts via a location-based mobile app, spokesman Brendan Wonnacott
told Supermarket News. Customers who visit the company’s newest stores and
register their arrival are awarded a coupon for a free item. Fresh & Easy is
considering expanding the scheme to additional stores. “Currently it’s just for
new stores, but it’s something that we may branch out a bit with,” said
Wonnacott.” Planet retail, 26 aprile 2011.
5 “La catena di supermercati Stop & Shop, una divisione di Ahold USA, sta
testando in tre spunti vendita del Massachusetts l’utilizzo del cellulare per
svolgere la funzione di price-look out e fare il check out in punto vendita.
L’applicazione, che funziona su iPhone 3GS o 4GS, verrà estesa a tutta la rete
di punti vendita dell’insegna nel 2012”. Fonte: Progressive Grocer, riportato da
Around Marketing, Newsletter n. 21, settembre 2011, p. 7.
“…Metro Group as well as Tesco are in the process of developing iPhone apps
that can be used for selfscanning. Both retail giants are likely to start testing
those applications in 2011. metro has already decided to use the technology
from RedLaser, which was recently acquired by eBay. Red Laser is one of the
software providers which enable the camera of the iPhone to read barcodes
without a laser scanner.“ Planet Retail, Retail Technology Trends, 2011, p. 14.
6 “Tesco in the UK launched its first transactional mobile app in
august 2010. The application lets shopper browse the complete
online offer of the retailer. They can also update their shopping
lists.” Planet Retail, Retail Technology trends, 2011, p. 26.
7 I consumatori possono ora localizzare più di 100.000 prodotti nei
supermercati Mejier.
8 “Users with a camera phone equipe with the correct reader can scan
the image of the QR code to display the information contained within it.
Google’s mobile Android operating system supports the use of QR codes by
natively including the barcode scanner (ZXing) on some models. […] QR codes
have become extremely popular in Japan. Recently, the trend has travelled
across to the USA and Europe. French retailers especially, such as Carrefour,
Casino, Auchan or Intermarché, have started to use them to provide shoppers
with additional product information.”

Fonte: Planet Retail, Retail Technology Trends, 2011, p. 27.


9 www.youtube.com/watch?v=nJVoYsBym88
10 Australian grocery retailer Woolworths (AUS) has released an update for its
mobile app which makes it transactional. Tjeerd Jegen, Woolworths Director of
Supermarkets, said: “Mobile shopping will transform the way our customers
shop. We are proud and excited to be the first supermarket in Australia to offer
our customers mobile shopping. The update, which was created in response to
user feedback, now enables customers to browse the aisles, order and pay on
their mobile phone. They can also scan items to add to their shopping lists and
convert it to an online order. Initially launched in August 2011, the app has
been downloaded by 1.5 million people. Fonte: Planet Retail, 15 febbraio 2012.
11 French retailer Carrefour has launched a transactional smartphone application
in its home market. With the My Carrefour shopping tool, customers can log
into their account on Carrefour.fr and select products either by using a
keyword search or scanning the barcode on an item. Shoppers can chose
whether they would like to have their groceries home delivered or pick them up
at a local Carrefour store. Currently, the application is only available for the
iPhone. Fonte: Planet Retail, 12 marzo 2012.
12 L’etichetta RFID è in grado di svolgere funzioni aggiuntive rispetto alle
etichette EAN e QR, in particolare:
› identifica il singolo oggetto per quanto riguarda il produttore, la categoria di
appartenenza ed un numero seriale specifico che permette un’assoluta
precisione nell’inventario in quanto lo stesso articolo non può essere contato
due volte e si possono considerare elementi, come la taglia e il colore, preclusi
dal codice a barre;
› localizza l’oggetto sia in senso statico che dinamico;
› contestualizza l’oggetto rispetto a parametri che ne determinano lo stato e la
relazione con l’ambiente.
13 “In terms of tagging transport units, retailers are now moving into the
deployment of reusable RFID tags on pallets, boxes and crates. This result in
significant lower costs and more benefits for the retailers and its business
partners” (Planet Retail, Retail Technology Trends, 2011, p. 42). Una diversa
valutazione dei benefici dell’utilizzo delle etichette RFID in Wal Mart si
riscontra in letteratura. L’imposizione a partire dal 2005 di etichette RFID sui
pallets ai primi 100 fornitori da parte di Wal Mart avrebbe infatti generato
economie annuali di otto milioni di dollari (Curtin J., Kaufman R.J., Riggins F.J.,
“Making the most out of RFID tecnology”, in Information technology
management, vol. 8, n. 2, 2007, pp 87-110) e una riduzione delle rotture di
stock del 21% (Hardgrave B.C., Langford S., Waller M., Miller R., “Measuring
the impact of RFID on out of stocks at Wal-Mart”, in MIS Quarterly Executive,
vol. 7, n.4, 2008, pp. 181-192).
14 Una diversa valutazione è offerta da Solima quando afferma che “…la lettura
multipla e contestuale di più tag e, quindi, di più oggetti (attualmente, fino a
100), fa sì che il passaggio attraverso la barriera casse possa avvenire in
simultanea per tutti i prodotti posti ad esempio all’interno di un carrello, così
che il cliente potrà beneficiare di ulteriori sensibili vantaggi in termini di
risparmio di tempo.” (Solima L. (2010), “Le tecnologie Rfid nella prospettiva
dell’utente: ambiti di utilizzo e criticità di applicazione” in Finanza, Marketing e
Produzione, settembre, p. 132.)
15 Planet Retail, 21 giugno 2011.
16 “Measurements vary by brand, but research by The Economist finds that the
average British size-14 pair of women’s trousers is more than four inches
bigger at the waist today than they were in the 1970s (see chart), and over
three inches wider at the hips. A size 14 today fits like a former size 18, and a
size 10 fits like an old size 14. The same “downsizing” has happened in America
where, to confuse matters further, a size 10 is equivalent to a British size 12 or
14, depending on the manufacturer.”

Fonte: The Economist, 7 aprile 2012 , p. 35.


17 Per il priming effect si veda anche a pag. 161 di questo capitolo.
18 Il materiale POP (point of purchase) è l’insieme di soluzioni utilizzate per
comunicare ed esporre in punto vendita al di fuori dei lineari.
19 “…far precedere una richiesta da un’altra molto più piccola predispone
favorevolmente alla accettazione . La tecnica del piede nella porta aiuta a
capire cosa significa l’espressione < se gli dai un dito si prende un braccio<. In
effetti, la richiesta iniziale è in grado di funzionare da prime per un certo tipo di
comportamento o di preparare la persona a mettere in atto alcuni
comportamenti. Una volta che questa preparazione è avvenuta, la persona è
pronta a spingersi molto oltre.” Guéguen N. (2010), Psicologia del
consumatore, Il Mulino, p. 122.
20 Broniarczyk S. M., Hoyer W.D., McAlister L. (1998), “Consumers’ perceptions
of the assortment offered in a grocery category: the impact of item reduction”,
Journal of Marketing Research, 35, 166-176.
21 Lugli G. (2009), Marketing distributivo, UTET, Capitolo 6.
22 Nella distribuzione grocery, il ROI di merchandising si misura in termini di
margine complessivo per unità di spazio espositivo impiegato.
23 “A choice architect has the responsability for organizing the context in which
people make decisions….many real people turn out to be choice architects,
most without realizing it. If you deign the ballot voters use to choose
candidates, you are a choice architect. If you are a doctor and must describe
the alternative treatments available to a patient, you are a choice architect. If
you design the form that new employees fill out to enrol in the company health
care plan, you are a choice architect. If you are a salesperson, you are a choice
architect. ...it is legitimate for choice architect to try to influence people’s
behaviour in order to make their lives longer, healthier, and better. ... Choice
architect are self-consciously attempting to move people in directions that will
make their lives better. They nudge. A nudge, as we will use the term, is any
aspect of the choice architecture that alters people’s behaviour in a predictable
way without forbidding any options or significantly changing their economic
incentive. To count as a mere nudge, the intervention must be easy and cheap
to avoid.” Sunstain C.R., Thaler R.H. (2008), Nudge: Improving Decision About
Health, Wealth, and Happiness, Yale University Press, location 114-17/50/60
Amazon Kindle.
24 Miani A., Tonielli M., Virardi G. (2008), Il marketing dei sensi, Milano, Lupetti.
25 North A.C., Hargreaves D.J., McKendrick, J. (1999) “The Influence of In-Store
Music on Wine Selections”, Journal of Applied Psychology, aprile, Vol. 84 Issue
2, p. 271-276.
26 “Studi di brain imaging recenti indicano che la musica sembra stimolare
profondamente alcuni centri primitivi nella parte anteriore dell’emisfero destro
del cervello. Per dirla in breve, l’emisfero sinistro del vostro cervello è più
attivo durante i processi coscienti - questa è la ragione per cui è strettamente
legato al linguaggio – mentre quello destro è più attivo negli aspetti del
comportamento inconsci, più primitivamente emotivi.” Dunbar R. (2010), Di
quanti amici abbiamo bisogno? Frivolezze e curiosità evoluzionistiche, Milano,
Raffaello Cortina, p. 74.
27 Cain-Smith P., Curnow R. (1966), “Arousal hypothesis and the effect of music
on purchasing behaviour”, Journal of Applied Psychology, 50(3), pp. 255-256.
28 Milliman R. (1982), “Using ancient music to affect the behaviour of
supermarket shoppers”, Journal of Marketing, 46, pp. 86-91.
29 McRaney D., “Muzak”, You are not so smart, 26 ottobre 2009
(http://youarenotsosmart.com/2009/10/26/musak/).
30 Guéguen N. (2010), op. cit., pp. 101-102.
31 Ivi, p. 111.
32 Si veda in proposito l’assortimento e l’esposizione della birra: Lugli G. (2009)
op. cit., Capitolo 4.
33 “If you have recently seen or heard the word EAT, you are temporarily more
likely to complete the words fragment SO_P as SOUP than as SOAP. The
opposite would happen, of course, if you had just seen WASH. We call this
priming effect and say that the idea of EAT primes the idea of SOUP , and that
WASH primes SOAP.” Kahneman D. (2011), Thinking, fast and slow, Farrar
Straus and Giroux, kindle location 948-51.
34 Dunbar R. (2010), op. cit., p.153.
35 Per una completa rassegna dei cambiamenti che intervengono nel cervello
delle donne che diventano mamme, di veda: Pradeep A.K. (2010), The buying
brain: secret to selling to the subconscious mind, Amazon Kindle, Capitolo 9.
36 Dunbar R. (2010), op. cit., p. 23-24.
37 Brennan B., (2009), “Why she buys: the new strategy for reaching the world’s
most powerful consumers”, Crown Business; Bailey M.T. (2011), Power moms:
the new rules for engaging mom influencers who drive brand choice,
Deadwood, Oregon, Wyatt-Mackenzie Publishing; Bailey M.T. (2005), Trillion-
Dollar Moms: Marketing to a New Generation of Mothers, Kaplan Publishing.
38 Le donne possono vedere 4-5 colori mentre gli uomini vedono solo i classici
tre: rosso, blu e verde (Dunbar, op. cit., pag. 25).
39 Pradeep A.K. (2010), op. cit., Amazon Kindle, 3346.
40 “Sequence matter, however, because the halo effect increases the weight of
first impressions, sometimes to the point that subsequent information is mostly
wasted”. Kahneman D., (2011) op. cit., Amazon Kindle, location 1512-15.
41 La concorrenza spaziale di Pepsi e Coca Cola negli Stati Uniti è ritenuta la
principale causa della concentrazione dell’industria della cola.
42 “The brain of humans and other animals contain a mechanism that is designed
to give priority to bad news. By shaving a few hundredths of a second from the
time needed to detect a predator, this circuit improves the animal’s odds of
living long enough to reproduce... No comparably rapid mechanism for
recognizing good news has been detected.“ Kahneman D. (2011), op. cit., kindle
location 5445-48.
43 The Economist, 22 agosto 2009, p. 50.
44 Cialdini R., (2006), Psycology of persuasion, New York, HarperCollins
Publishers.
45 Nozick R. (1993), The nature of rationality, Princeton, Princeton University
Press. Berns G., Rilling J., Gutman A., (2002), “A neural basis for social
cooperation”, Neuron 35, pp. 395-504.
46 Gigerenzer G. (2009), Decisioni intuitive, Milano, Raffaello Cortina.
47 Basterà citare il noto proverbio: “Chi lascia la strada vecchia per la nuova sa
cosa lascia, ma non cosa trova”.
48 Baumgartner T., Fischbacher U., Feierabend A., Lutz K., Fehr E. (2009) “The
Neural Circuitry of a Broken Promise”, Neuron, Vol. 64, No. 5.
49 “Nel comportamento animale, il rilascio di ossitocina corrisponde
all’indebolimento delle difese di fronte ai simili e facilita il comportamento di
avvicinamento e l’accoppiamento sessuale. È sulla base di questo importante
ruolo biologico che un gruppo di neuro economisti ha pensato di studiare le
conseguenze della secrezione di ossitocina nell’ambito di fenomeni economici
che si fondano prioritariamente sulla fiducia”. Gironde S. (2010), La neuro
economia: come il cervello fa i nostri interessi, Bologna, Il Mulino, p. 39.
50 Zak P., Kurzband R., Matzner W.T. (2005), “Oxytocin in associated with human
trustworthiness”, Hormones and Behavior, 48, pp. 522-527.
51 “L’empatia ha certamente un sesso. […] I risultati dell’esperimento di Tania
Singer indicano che […] le reazioni abituali di empatia di fronte al dolore di
terzi si trasformano nei maschi in piacere della rivincita, se il partner si è
dimostrato poco cooperativo. Nelle donne, in genere, la mancanza di
cooperazione di un individuo non impedisce una reazione di empatia di fronte al
suo dolore.” Gironde S. (2010), op. cit., p. 36-37.
52 Quando nella pubblicità del Kinder Bueno Andrews sottrae all’amica l’ultimo
pezzo rimasto in vendita, si fa leva sulla scarsità e sulla scelta di chi ha
acquistato prima di noi. Questa informazione, in quanto veicolata dal fornitore
che ha un interesse specifico nella vendita del prodotto, è meno credibile.
53 “Although Electronic Shelf Labels have been offered to the retail market for
more than 25 years, only a few retailers have gone beyond testing electronic
labels in some of their stores - with the remarkable exception of France, where
legal requirements have fuelled the nationwide roll-out of this technology.
Despite the fact that existing solutions on the market are typically offering a
return on investment within 18 months, many retailers seem to be waiting for
the one ideal solution that fits to all their requirements: high quality graphical
displays with low purchase and operating costs that can be easily integrated
into shelves and information systems and allow quick and reliable updates.”
Fonte: Planet Retail, Retail technology trends, 2011.
54 Balconi M., Antonietti A. (2009), Scegliere, comprare, Milano, Springer, p. 10.
55 Hart K. (2008), “Peer Pressure in Online Shopping”, Washington Post, 9 luglio.
56 Franchi M., Schianchi A. (2011), Scegliere nel tempo di Facebook, Roma,
Carocci editore, pp. 224-226.
57 Money R.B, Shimp T.A., Sakano T., “Celebrity Endorsements in Japan and
United States”, Journal of Advertising Research, 1 marzo 2006.
58 “When former president Bill Clinton, renowned for his love of fast food,
announced in late 2004 he was waiting to undergo heart bypass surgery, he
made reference in interviews to losing weight on the South Beach Diet.
Suddenly, sales of the book went through the roof, and today, the South Beach
Diet is not only one of the best-known diets in the United States, the book has
sold more than five million copies”. Linstrom M., Brandwashed… op. cit., Kindle
location 3228-32.
59 Stallen M., Smidts A., Rijpkema M., Smit G., Klucharev V., Fernadez G. (2009)
“Celebrities and shoes on the female brain: the neural correlates of product
evaluation in the context of fame”, Journal of Economic Psychology, agosto
2009.
60 Ravindran N. (2007), “Asia’s Love for Luxury Brands”, Entrepreneur, febbraio-
marzo.
61 Cfr. Business, 10/2009, pag. 76; www.kikilab.it.
62 Berns G.S. (2009), Natural Mechanism of Social Influence in Consumer
Decisions, University of Oregon, 10 aprile.
63 Beckstrom M., “Tweens want hip stuff, but self-esteem is the real need”, Twin
Cities Pioneer Press, 28 gennaio 2008.
64 Laurence Steinberg ha osservato attraverso la fMRI il cervello degli
adolescenti quando affrontano una simulazione di guida spericolata. Le aree del
circuito della ricompensa si attivano maggiormente quando il soggetto è
osservato da uno o più coetanei; il gruppo influisce dunque sul comportamento
dei singoli e, nel caso della guida, predispone ad assumere più rischi.
L’adolescente supera la propria insicurezza imitando il gruppo, ma poi cerca di
distinguersi assumendo comportamenti estremi. Internazionale 944, 13 aprile
2012, p. 55.
65 Gironde S. (2010), op. cit., p.31.
66 Il regolamento comunitario n. 1924 del 2006 fissa le norme da rispettare per
indicare sul prodotto e nella comunicazione pubblicitaria claim nutrizionali e
salutistici; questi ultimi sono stati articolati in claim che attribuiscono al
prodotto la capacità di ridurre il rischio di contrarre malattie e claim che
conferiscono al prodotto la capacità di curare patologie. Nel 2011, è poi stato
emanato il regolamento n.1169 che obbliga i produttori a specificare nelle
etichette dei prodotti alimentari la tabella nutrizionale, l’indicazione di origine
e la presenza di allergeni.
67 The Wall Street Journal, 11 ottobre 2011.
68 Lugli G. (2011), Neuroshopping, Milano, Apogeo.
69 Rajagopal (2006), “Brand excellence: measuring the impact of advertising and
brand personality on buying decisions”, Measuring Business Excellence, Vol.
10:3, pp. 56-65.
70 Secondo Advertising Age, il valore dell’acquisto si aggira intorno ai 60 milioni
di dollari.
71 Sospettiamo che, in caso di giudizi negativi, l’agente del passaparola venga
eliminato dal panel in occasione delle successive campagne.
72 www.dubitplatform.it.
73 “Eighteen months before Ford reentered the US sub compact-car market with
Fiesta model, it began a broad marketing campaign called the Fiesta
Movement. A major element involved giving 100 social-media influencers a
European model of the car, having them complete missions, and asking them to
document their experiencews on various social channels. Videos related to the
Fiesta Campaign generated 6.5 million views on YouTube, and Ford received
50,000 requests for information about the vehicle, primary fro. non-Ford
drivers. When it finally became available to the public, in late 2010, some
10,000 cars sold in the first six days […]. Levi Strauss has used social media to
offer location-specific deals. In one instance, direct interactions with just 400
consumers led to 1,600 people to turn up at the company’s stores; an example
of social media’s word-of mouth-effect.” Divol R., Edelman D., Sarrazin U.
(2012), “Demystifying social media”, McKinsey Quarterly, number 2, p. 69.
74 Bughin J., Doogan J., Vetvik J., (2010), “A new way to measure word-of-mouth
marketing”, McKinsey Quarterly, aprile, p. 1.
75 “Social network, particularly Facebook, are emerging as the dominant digital –
communications channels. For people aged 34 and under, they already are the
preferred channel ( by minute of use per day ), displacing e-mail, texting, and
phone calls. Social network use , growing swiftly among all segment of our
survey population, has doubled among those over 55. Such network are also
becoming information portal for people seeking items such as videos, photos,
and content posted by friends. In our latest survey , 33% of the respondents
said they use social networks to navigate content on the web, up from 13% in
2008. While search engines continue to be the leading way consumers access
online content, the use of social networks is growing. As consumer spend more
time on them, decision about what to purchase often reflect interaction with
friends and others influencers. In response, leading marketers are adapting
their strategies to reach increasingly networked consumers and placing more
stress on tactics such as word-of-mouth marketing and storytelling.“ Chapuis
B., Gaffey B., Parvizi P., “Are your customers becoming digital junkies?”,
McKinsey Quarterly, 2011 n. 3, p. 20-21.
76 Gladwell M. (2000), ll punto critico. I grandi effetti dei piccoli cambiamenti,
Milano, Rizzoli.
77 Cometto M.T. (2011), “Web. Quanti amici rischia di perdere Zuckerberg”, in
“Corriere Economia”, 3 ottobre.
78 “The mere exposure effect does not depend on the conscious experience of
familiarity. In fact, the effect does not depend on consciousness at all: it occurs
even when the repeated words or pictures are shown so quickly that the
observers never become aware of having seen them. They still end up liking the
words or picture that were presented more frequently. [...] System 1 can
respond to impressions of events of which System 2 is unaware. Indeed, the
mere exposure effect is actually stronger for stimuli that the individual never
consciously sees. Zajonic argued that the effect of repetition on liking is a
profoundly important biological fact, and that it extends to all animals. To
survive in a frequently dangerous world, an organism should react cautiously to
novel stimulus, with withdrawal and fear. […] The mere exposure effect occurs,
Zajonic claimed, because the repeated exposure of a stimulus is followed by
nothing bad. Such a stimulus will eventually become a safety signal, and safety
is good.” Kahneman D. (2011), op. cit., Kindle location 1226-29.
79 Kafka P., “Facebook Farmville now wasting a third of your web time”, All
Things Digital, 2 agosto 2010.
80 Steel E., Fowler G.A., “Facebook in Privacy Breach”, Wall Street Journal, 18
ottobre 2010.
81 Exclusive merchandise such as Coca-Cola branded items are available via
Facebook stores. Heinz offered new flavours of ketchup to fans on Facebook
before releasing them into stores and also has a store locator for its latest
product. Planet Retail, Retail & social media, marzo 2012.
82 Su questo punto si veda Negri F., “Socialtailing: exploring how FMCG retailers
in Italy are using social networking”, XVI EARCD International Conference,
Parma, giugno 2011.
83 http//www.conversocial.com.
84 Cfr. Advertising Age Digital.
85 Nel non alimentare esistono già esperienze significative. Segnaliamo in
particolare l’esperienza di Euronics Italia, che comunica in modo “aperto”
attraverso tutti i social network e le piattaforme mobile per gestire il sentiment
dei consumatori nei confronti dell’insegna, la customer care con un approccio
web 2.0 e più interazioni nel corso di una stessa giornata, le azioni push-pull e
le relazioni pubbliche. I risultati ottenuti da Euronics sono notevoli, dato che:
› una campagna promozionale attiva in media 4 milioni di visitatori;
› sono 3 milioni i clienti potenziali che sfogliano il volantino;
› i fan ammontano a 119.000;
› i post mensili arrivano a 8000.
86 Facebook ha aggiunto nel 2011 uno strumento come il Coupon Factory di
Rockfish Interactive e un manuale per la forza vendita, proprio per aiutare le
aziende ad utilizzare al meglio la piattaforma relazionale.
87 Conversocial, “Who’s ignoring their customers: lesson from the best and worst
retailers on Facebook”, http://www.conversocial.com/resources, p. 6.
88 Secondo Function (x), i primi 150 programmi nel ranking degli ascolti coprono
il 92% dell’audience.
89 L’applicazione, dopo un campionamento della voce di pochi secondi, riconosce
il programma sia nel caso che sia live sia nel caso in cui sia registrato su DVR e
riconosce i punti ; naturalmente, i punti possono essere guadagnati solo
guardando con continuità il programma per più di un definito numero di minuti,
che all’inizio era trenta. Sono previsti punti sia per la fidelizzazione al
programma che al palinsesto ed ai singoli spot pubblicitari.
90 Questo capitolo è frutto della collaborazione dell’Autore con Valter Mion,
Presidente di Migross S.p.A., azienda socia di Interdis, con la Direzione
marketing di Migross e con Giorgio Santambrogio e Gianluca Tositti,
rispettivamente Direttore Generale e Responsabile Marketing e Vendite di
Interdis; all’elaborazione dei dati ha contribuito la professoressa Beatrice
Luceri.
91 Fonte: “Linkedin today”, Mashable, luglio 2012.
92 Consumatori, luglio-agosto 2012, pp. 36-38.
93 http://retailwatch.it, 25/10/2011.
94 Razzouk N.Y., Seitz V., Kumar V. (2002), The impact of perceived display
completeness/incompleteness on shoppers’ in-store selection of merchandise:
an empirical study. Journal of Retailing and Consumer Services 9(1): 31-35. doi:
10.1016/S0969-6989(01)00008-X.
95 Cialdini R.B. (2001), Influence: Science and Practice, 4th ed., Needham
Heights, (MA): Allyn & Bacon.
96 van Herpen E., Pieters R., Zeelenberg M. (2009), “When demand accelerates
demand: Trailing the bandwagon”, Journal of Consumer Psychology, 19(3): 302-
312, doi: 10.1016/j.jcps.2009.01.001.
Parker J.R., Lehmann D.R. (2011) “When Shelf-Based Scarcity Impacts
Consumer Preferences”, Journal of Retailing, 87(2): 142-155. doi:
10.1016/j.jretai.2011.02.001.
97 Il “quasi esperimento” è uno studio che si propone di misurare la relazione tra
una variabile indipendente (nel nostro caso la segnalazione della referenza più
venduta) e una variabile dipendente (l’aumento della propensione all’acquisto
dei consumatori esposti al messaggio) senza esercitare alcun controllo sulle
altre variabili che possono impattare sul risultato.
98 Si pensi per esempio all’andamento delle vendite di birra in relazione
all’aumento della temperatura; se si utilizzassero i valori assoluti, si potrebbe
confondere l’andamento stagionale con l’effetto imitazione. Le vendite
complessive della categoria possono essere inoltre influenzate dalla promozione
realizzata in altre categorie sostituibili o complementari nella funzione d’uso –
occasione di consumo. Considerando la dinamica delle quote invece della
dinamica delle vendite in valore assoluto, si depura di fatto il risultato del test
dagli elementi estranei che riguardano la categoria nel suo insieme.
99 La promozione di prezzo aumenta sicuramente i volumi, ma non è detto che
aumenti anche il valore. Entrambi gli effetti si verificano solo se la profondità
dello sconto è contenuta e la elasticità al prezzo è elevata; ciò che, per esempio,
raramente si verifica quando due o più referenze della stessa categoria sono
proposte con sconti rilevanti.
100 Durante il periodo di osservazione, alcune referenze sono entrate ed altre
sono uscite. Per esempio, nelle merendine sono entrate il Pan di stelle Mulino
Bianco gr. 280 ed il Kinder Paneciocc gr. 300, mentre sono uscite le Nastrine
Mulino Bianco ed il Pan Goccioli.
Soluzioni cognitive per
fronteggiare,
come individui, l’eccesso di
scelta

Secondo il filosofo Savater (2006):1 “Oggi viviamo


l’istituzionalizzazione dell’edonismo attraverso il consumo: il
divertimento è diventato un obbligo estetico e politico dalla
culla alla tomba, mentre la pubblicità dei prodotti che
soddisfano tutti i capricci, quando addirittura non li
inventano, è divenuta l’ideologia dominante. […] Nella
nostra società dei consumi s’inneggia alla spesa come
simbolo dei piaceri più sublimi”.
Nel nostro libro abbiamo tuttavia dimostrato che il
piacere del consumo non è indipendente dalla qualità
dell’acquisto.
Nelle economie occidentali la scelta che sperimentiamo
ogni giorno è sempre meno un privilegio e sempre più un
onere. Per far fronte a questo fenomeno ciascuno di noi può
sviluppare alcune euristiche (scorciatoie mentali), vediamo
quali.
Sostanzialmente, si possono immaginare due strategie. La
prima consiste nel riflettere prima di iniziare il processo di
acquisto su ciò che realmente desideriamo, per utilizzare poi
uno dei filtri offerti dal venditore o da intermediari autonomi
per selezionare le alternative. In un contesto caratterizzato
da una progressiva estensione della scelta, il ricorso ai filtri
elettronici diventerà sempre più importante per la nostra
soddisfazione di acquirenti. La seconda strategia consiste
nell’imporre limiti alla nostra libertà di scelta al fine di
velocizzare l’acquisto e migliorare la nostra soddisfazione di
acquirenti e consumatori.
Scegliere di non scegliere. Abbiamo visto che la
possibilità di scegliere è essenziale per il nostro benessere,
ma abbiamo anche considerato che l’eccesso di scelta
genera alti costi sociali e individuali. Se da un lato la
possibilità di scegliere è la via che in una economia di
mercato assicura l’aumento oggettivo della ricchezza ed il
miglioramento del benessere della popolazione, dall’altro, il
processo di acquisto può diventare così complesso che la
soddisfazione psicologica percepita dopo aver effettuato i
nostri acquisti può discostarsi molto dalle nostre attese. Una
possibile euristica per fronteggiare individualmente il
problema è la scelta di non scegliere, ovvero, scegliere di
essere fedeli a una marca o a una insegna senza ripetere
ogni volta il processo di valutazione delle alternative offerte.
Tale euristica può essere razionalmente supportata
dall’aspettativa di convergenza delle alternative, che è
tipicamente associata a un mercato competitivo.
Possiamo poi decidere quanto tempo dedicare all’acquisto
e sviluppare euristiche che ci permettono di realizzare la
spesa nei vincoli temporali che ci siamo assegnati. Ancora,
possiamo decidere il numero di alternative da considerare
sia a livello di insegna che di marca. Per esempio, possiamo
autolimitare il nostro campo di scelta delle insegne che
operano nella nostra area alle due più vicine alla nostra
abitazione. Quando siamo all’interno del punto vendita e di
fronte allo scaffale dove è esposta una categoria che
abbiamo programmato di acquistare, possiamo circoscrivere
il nostro campo di scelta alle due marche più vendute
semplicemente osservando lo spazio espositivo occupato2
ovvero le etichette a scaffale che segnalano questo dato per
favorire la nostra propensione all’imitazione. L’esercizio di
ridurre consapevolmente il nostro campo di scelta richiede
disciplina mentale, ma è attuabile e può portare a una
maggior soddisfazione; ci comportiamo nello stesso modo
quando decidiamo di limitare le bevande alcoliche che
assumiamo durante una cena sapendo che poi dovremo
guidare fino a casa.
Formulare ipotesi cognitivamente sostenibili.
Supponiamo di voler valutare le tariffe di diversi gestori
telefonici al fine di scegliere la compagnia per noi più
economica. Confrontare le tariffe richiede tempo e non è
semplice perché ogni compagnia propone piani tariffari
volutamente orientati alla non trasparenza; se fosse semplice
confrontare le tariffe, la concorrenza di prezzo spingerebbe
al ribasso i profitti. Dunque, i gestori propongono tariffe
“personalizzate” per i diversi profili di clientela e una
valorizzazione della fedeltà che si traduce in costi
difficilmente quantificabili per la clientela; il gestore può
infatti praticare una tariffa bassa per i primi sei mesi e
recuperare poi successivamente in un contratto di durata
biennale. Di fronte a questa complessità, come possiamo
semplificare il processo di acquisto? Possiamo ipotizzare che
le tariffe dei diversi gestori tendano a convergere nel tempo
per effetto della concorrenza e, quindi, possiamo decidere di
accettare il consiglio di un venditore multibrand per il nostro
profilo di utenza. Analogamente, potremmo ipotizzare che i
gestori tendano a praticare tariffe più basse agli utenti che
provengono da un competitor. Sulla base di questa
assunzione, potremmo decidere per tariffe che non ci
vincolano nel tempo e cambiare frequentemente il gestore.
Una situazione analoga si verifica nel settore bancario. È
quasi impossibile confrontare le condizioni praticate dalle
diverse banche per decidere poi quella più conveniente;
basta osservare il contratto che ci chiedono di firmare
quando apriamo un conto corrente per dedurre che lo scopo
non è quello di informare, ma solo porre le premesse per
affrontare da una posizione vantaggiosa le contestazioni che
dovessero sorgere in futuro. Nessuno, del resto, legge un
contratto di numerose pagine in corpo 8 e linguaggio legale.
D’altra parte, non ci possiamo fidare della comunicazione di
alcune banche che propongono rendimenti di molto superiori
alla media di mercato; esiste infatti sempre un rapporto tra
rendimento e rischio. Nel caso delle banche, vi sono
switching cost altissimi che rendono difficoltoso il
cambiamento; d’altronde, sono le stesse banche che si
premurano di rendere molto alti questi costi, per esempio
evitando di agevolare il trasferimento dell’addebito delle
utenze, al solo scopo di scoraggiare la migrazione degli
utenti. Anche in questo caso, possiamo semplificare il
processo di acquisto con l’euristica del cambiamento. Dato
che anche le banche incoraggiano sul piano economico i
nuovi clienti, possiamo cambiare banca frequentemente
chiedendo al nuovo fornitore di accollarsi tutti gli oneri del
passaggio.
Azzerare i costi di opportunità dopo l’acquisto. Abbiamo
visto che l’estensione della scelta implica parecchi trade off
e, di conseguenza, un aumento del costo di opportunità per i
benefici cui dobbiamo rinunciare decidendo di acquistare
uno dei tanti prodotti alternativi.3 La soddisfazione che
proviamo con l’acquisto si riduce quindi anche per effetto
dei costi di opportunità relativi alle alternative scartate. È
però una nostra decisione considerare più o meno a lungo i
benefici cui abbiamo dovuto rinunciare scegliendo un dato
prodotto, soprattutto nel caso dei beni durevoli. Prendiamo
per esempio il caso dell’acquisto di un’auto. Vi sono persone
che hanno bisogno di confermare la bontà della loro scelta
continuando a valutare le diverse alternative anche dopo
l’acquisto e in particolare con riferimento ai nuovi modelli.
Così facendo, i costi di opportunità crescono continuamente
e, di conseguenza, si riduce anche la soddisfazione per
l’acquisto realizzato. Anche in questo caso, una disciplina
mentale ci può aiutare a godere più completamente dei
nostri acquisti. Bisogna interrompere il processo mentale di
acquisto una volta presa la decisione, evitando confronti che
possono solo peggiorare la nostra soddisfazione. Se non
interrompiamo il processo mentale di acquisto una volta
effettuata la nostra scelta, siamo esposti allo sviluppo di un
desiderio di cambiamento che a sua volta ci provoca
insoddisfazione. In questa prospettiva, è meglio evitare di
acquistare prodotti che è possibile restituire, seppur in un
definito spazio temporale e a definite condizioni. Posto che il
venditore offre la reversibilità dell’acquisto giusto per
vincere le nostre resistenze, bisogna diffidare degli Achei
anche quando portano doni. La semplice possibilità di
cambiare idea su un acquisto rende la nostra scelta meno
soddisfacente. Infatti, il processo di valutazione dei costi di
opportunità non si interrompe e, soprattutto, fintanto che la
decisione è reversibile non scatta la razionalizzazione della
scelta. La nostra mente cognitiva tende infatti a produrre
giustificazioni automatiche per le nostre scelte in quanto, più
che razionali siamo razionalizzatori. La soddisfazione che
proviamo acquistando è dunque frutto anche di un processo
cognitivo, che scatta solo quando la scelta è irreversibile.
Anticipare il processo di adattamento. Gli esseri umani
sviluppano un processo di adattamento a qualsiasi
situazione. L’adattamento ci aiuta a superare i periodi più
difficili e le circostanze più negative ma, di converso, riduce
nel tempo anche il piacere che proviamo in una situazione
positiva ovvero la soddisfazione che ricaviamo dal consumo
di un prodotto molto desiderato. Succede con le auto e le
abitazioni di lusso, ma si verifica anche nel consumo dei
prodotti grocery. Consumare giorno dopo giorno la stessa
marca, lo stesso tipo e lo stesso gusto di yogurt, implica un
processo di adattamento che finisce per ridurre la
soddisfazione. Una semplice euristica per anticipare il
processo di adattamento e mantenere quindi alta la
soddisfazione nel consumo della categoria consiste
nell’acquistare contemporaneamente più marche, più tipi e
più gusti, in modo da disporre di una varietà nella selezione
a valle della spesa.4
Evitare l’eccitazione emotiva dell’acquisto. Tutti noi
sottostimiamo l’influenza dell’eccitazione emotiva sul nostro
comportamento; ciò che George Loewenstein (1996) ha
chiamato hot-cold empathy gap. Nel caso dell’acquisto, il
punto vendita offre infinite lusinghe al nostro sistema della
ricompensa; più a lungo si prolunga la nostra presenza in
punto vendita e maggiore è la tentazione dell’acquisto,
anche perché la nostra forza di volontà è una risorsa scarsa
che si esaurisce progressivamente in relazione al suo
utilizzo. Per decidere gli acquisti da fare, è meglio dunque
essere in uno stato “freddo” piuttosto che nella condizione
“calda” dell’eccitazione emotiva. Per risolvere il problema
dell’acquisto d’impulso di prodotti di cui non abbiamo reale
necessità, esiste una soluzione pratica che consiste nel fare
una lista della spesa scritta quando ci troviamo nel nostro
domicilio e ricercare poi in punto vendita solo i prodotti della
lista.
Comprare piccolo è meglio. In un famoso esperimento
realizzato nel 2006, Wansink ha dimostrato che la
dimensione della confezione, nel caso specifico si trattava di
tazze di zuppa Campbell, influenza il nostro
comportamento.5 Consumiamo di più se il bicchiere, la tazza,
il piatto, e più in generale il formato di prodotto, è grande.
Di conseguenza, se avete problemi di dieta, inserite nella
vostra lista della spesa solo prodotti in piccoli formati.
Verificare le valutazioni espresse dagli acquirenti.
Quando prenotiamo un soggiorno in un hotel, oggi possiamo
facilmente confrontare i prezzi delle diverse alternative,
mentre per la qualità del servizio ci viene offerta la
valutazione di chi, prima di noi, ha soggiornato in quel luogo.
Ma, come facciamo a sapere se le valutazioni espresse sono
corrette o pilotate dal management dell’hotel? Quando
cerchiamo in rete la valutazione degli acquirenti di un
prodotto che ci interessa, come possiamo valutare la
genuinità di questi pareri, dal momento che esistono società
che si specializzano nel generare buzz per le imprese, che
pagano per avere opinioni positive? L’unica difesa possibile
contro opinioni falsamente veicolate dal venditore per
promuovere il suo prodotto è il confronto di valutazioni
espresse da diverse fonti. L’esistenza di un campo di
variazione ampio tra rating espressi da diverse fonti è un
indicatore di possibile frode.
Scegliere il cambiamento come opzione standard. Se
vai al solito ristorane, non chiedere il solito piatto. Se compri
una categoria, non scegliere la solita marca. L’effetto
paralizzante dell’anticipazione del rammarico connesso al
cambiamento, può essere contrastato dalla mente cognitiva
che applica la logica. Non è certo che cambiando si
migliorerà, ma è altrettanto certo che se non si cambia non
si può migliorare. Il vecchio proverbio secondo cui chi
cambia la strada vecchia per la nuova sa cosa lascia, ma non
sa cosa trova, si fonda sull’opzione standard della
preferibilità dello status quo. Invertire l’opzione standard nel
senso del cambiamento, seppur con una frequenza che può
variare da caso a caso e da individuo a individuo, è
sicuramente il sentiero più utile.
Ampliare il mindset. Quando rappresentiamo il nostro
campo di scelta per organizzare il processo di acquisto, è
meglio utilizzare un frame ampio. Per esempio, invece di
compilare la lista della spesa indicando le marche che si
intendono acquistare, è meglio indicare le categorie, le
funzioni d’uso e le occasioni di consumo. In questo modo,
aumenta la razionalità delle nostre decisioni in quanto
costringiamo la mente cognitiva a intervenire maggiormente
nel processo di acquisto risolvendo i numerosi trade off che
si presentano all’interno del campo di scelta.
Evitare la posticipazione del pagamento rispetto
all’acquisto, così come il pagamento anticipato del
prezzo rispetto all’ utilizzo del bene /servizio. L’impiego
della carta di credito può essere effettivamente molto
comodo per una serie di ragioni, ma la separazione tra
acquisto e pagamento ci induce a una sottovalutazione del
prezzo e ad acquisti superiori a quelli che avremmo fatto se
avessimo pagato in contanti. La sottovalutazione del prezzo è
stata dimostrata da Soman in un esperimento sul ricordo del
prezzo pagato; chi aveva pagato con la carta di credito aveva
un ricordo del prezzo significativamente inferiore e meno
corretto rispetto a chi aveva invece pagato in contanti.6 Per
quanto riguarda gli effetti sull’aumento della spesa che
deriva dall’utilizzo della carta di credito, si rimanda ai
numerosi contributi della psicologia cognitiva e delle
neuroscienze.7
Se, da un lato, non ci conviene usare la carta di credito
separando il momento del pagamento dal momento
dell’acquisto per i motivi ricordati sopra, dall’altro, non ci
conviene nemmeno il contrario, vale a dire anticipare il
pagamento rispetto all’utilizzo. L’anticipo del pagamento
trasforma i costi variabili in costi fissi e, così facendo,
influenza negativamente il nostro comportamento. Si pensi
per esempio alle tariffe flat che si pagano nel caso dei servizi
di telefonia. Questa forma di pricing ci induce ad un maggior
utilizzo del telefono perché percepiamo una sostanziale
dissociazione tra prezzo e numero/durata delle telefonate; in
realtà, i gestori tengono conto del maggior traffico generato
da questa tariffazione nel momento in cui la fissano e,
quindi, la convenienza è solo apparente e finiamo per
spendere di più rispetto a quanto avremmo speso se non
avessimo anticipato il pagamento del prezzo con una tariffa
flat.
Analogamente, chi utilizza poco l’auto ed abita in città,
non ha interesse a possedere il mezzo. Acquistare l’auto
significa infatti anticipare il costo rispetto all’utilizzo, col
risultato che si finisce per utilizzarla di più per far tacere
l’emozione negativa di spreco che avvertiamo quando
facciamo un acquisto importante che non ci serve. Invece di
sostenere un costo fisso non recuperabile (sunk cost),
sarebbe meglio far coincidere l’utilizzo col pagamento dei
relativi costi variabili affittando l’auto quando serve.
Realizzare una contabilità mentale registrando le
singole spese in categorie. Siccome siamo portati a
valutare i singoli acquisti senza considerare quelli dello
stesso tipo realizzati in un recente passato, è utile registrare
le singole spese in categorie mentali. In questo modo si
esercita infatti una forma di autocontrollo semplicemente
realizzando un collegamento tra gli acquisti passati con
quelli che si sta considerando di effettuare nel rispetto del
“vincolo di bilancio”.
Il controllo della spesa attraverso la categorizzazione
mentale degli acquisti può essere accompagnato dalla
attivazione di opzioni commerciali che aiutano a gestire il
trade off tra acquisto immediato e acquisto futuro. WalMart
ha reintrodotto nel 2011 la pratica del set a side, che
consiste nel versare all’insegna piccole somme di denaro fino
al raggiungimento del valore del bene che si vuole comprare;
questa opportunità interessa i clienti che non possono
acquistare a credito perché lo hanno esaurito e desiderano
nel contempo un aiuto a risparmiare per raggiungere la
disponibilità necessaria a realizzare l’acquisto desiderato.
Sempre negli Stati Uniti, durante la grande depressione
degli anni Trenta del secolo scorso, era stato introdotto un
conto natalizio che riconosceva interessi molto bassi e una
penale per il ritiro delle somme depositate prima di Natale;
anche in questo caso, l’obiettivo consisteva nell’aiutare i
clienti a risparmiare per essere poi in grado di acquistare i
regali. In Europa, le cooperative di consumo riconoscono ai
clienti un ristorno annuale sugli acquisti effettuati; anche in
questo caso, siamo in presenza di un risparmio forzoso volto
a facilitare l’accumulo di disponibilità finanziarie per
realizzare poi acquisti importanti.
1 Savater F. (2006), op. cit., pp. 106-107.
2 Di norma le insegne riforniscono lo scaffale con la stessa frequenza per tutte le
marche. Ciò implica una maggior esposizione per le marche più vendute.
3 Ricordiamo di nuovo che l’etimologia di decidere è caedere, che in latino
significa tagliare e perdere qualcosa.
4 Una nota personale: mia moglie acquista regolarmente due marche di yogurt,
di tre diverse tipologie e quattro gusti.
5 Wansink B. (2006), Mindless eating. Why we eat more than we think, New
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Notre Dame Press.
Neuroshopping
Gianpiero Lugli

ISBN 978-88-503-3014-0
Pagine 240 – Euro 19

Come e perché decidiamo di acquistare un


determinato prodotto? Quale ruolo hanno le
valutazioni razionali e quanto incidono le emozioni?
Come percepiamo i prezzi? Come rispondiamo alle
promozioni, alle scelte di packaging, alla disposizione
della merce nel punto vendita?
Le recenti scoperte delle neuroscienze consentono di
affrontare queste domande da una prospettiva inedita:
tecniche quali la risonanza magnetica funzionale
permettono di guardare, letteralmente, “dentro la
testa” del consumatore, seguendo la diverse fasi del
processo di acquisto attraverso l’attivazione delle
singole aree cerebrali coinvolte.
In questo volume l’autore illustra i risultati finora
raggiunti dalla ricerca in quest’ambito e presenta gli
esiti di alcuni esperimenti originali. Ne derivano
preziose indicazioni sia per lo studio del
comportamento del consumatore, sia per la
determinazione di scelte di marketing più efficaci e di
una migliore gestione dei punti vendita.
Marketing digitale
Paola Peretti

ISBN 978-88-503-3002-7
Pagine 360 – Euro 22

L’evoluzione del mondo digitale – l’affermarsi dei


social network, delle pratiche di e-commerce, lo
sviluppo del settore mobile – ha comportato notevoli
mutamenti nel campo del marketing. La
comunicazione tra azienda e consumatori, tramite
l’instaurarsi di relazioni dirette e interazioni basate su
scambi di messaggi, evolve sempre più verso un vero e
proprio dialogo. Per attuare questo scambio l’azienda
deve comprendere lo scenario, definire obiettivi
specifici e attuare strategie che permettano di
conseguire risultati che possano avere impatto sul
business.
Integrando gli aspetti teorici con numerosi esempi
italiani ed internazionali, l’autrice illustra i metodi per
la costruzione di un piano di marketing digitale che
permetta all’azienda di raggiungere i propri obiettivi e
di misurare adeguatamente i risultati conseguiti. Un
utilizzo consapevole del digital marketing e delle sue
leve principali – siti, community, blog, social network –
consente alle organizzazioni di costruire visibilità,
reputazione e immagine e, soprattutto, una relazione
in grado di portare valore aggiunto nel tempo e di
generare un vantaggio competitivo.
Business Intelligence
Alessandro Rezzani

ISBN: 978-88-503-3105-5
Pagine 336 – Euro 22

La Business Intelligence comprende una serie di


tecniche, processi e strumenti che, trasformando i dati
in informazioni, offrono un valido supporto per
l’attività dei decision maker.
Le imprese si trovano ad affrontare sfide ardue che
rendono essenziali l’incremento della produttività, la
riduzione dei costi e l’innovazione (nei prodotti, nei
processi, nei modelli di business). Si rendono pertanto
necessarie accurate misurazioni delle performance e
dei costi e analisi previsionali.
Un sistema di Business Intelligence permette di
trasformare dati disorganizzati, ridondanti e
disomogenei in informazioni di qualità, certificate e
centralizzate offrendo un valido supporto per il
management nel compiere scelte operative e
strategiche adeguate e tempestive.
Il volume si propone come guida di riferimento:
accanto alla base teorica presenta schemi pratici
consolidati che consentono di implementare i vari
aspetti della Business Intelligence in azienda.
Fornisce, inoltre, regole e pattern di disegno non
legati a una specifica tecnologia, ma applicabili su
qualsiasi piattaforma.
Nel sito web abbinato a questo libro il codice di
applicazioni per il datawerehouse, fogli excel per il
calcolo del ROI e la modellazione, forme Microsoft
Visio per la progettazione.

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